Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Un progetto didattico della Supsi mira ad avvicinare i ragazzi alla matematica anche tramite i fumetti
Ambiente e Benessere Pediatria: in allerta più che per il decorso del Covid nei bambini, per l’impennata del numero di casi positivi e delle relative ripercussioni sulla loro salute psicofisica
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIII 26 ottobre 2020
Azione 44 Politica e Economia Il mondo aspetta l’esito delle elezioni americane come se dovessero cambiare il mondo. Non accadrà
Cultura e Spettacoli Il ritratto di spalle nell’arte nasce per motivi diversi e offre prospettive inattese
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In modalità slow down Cito Steiger, per evitare lockdown dietro la maschera Una settimana prima, la capitale simbolica del virus in Europa era Parigi, costretta a decretare il coprifuoco assieme ad altre metropoli francesi, quella successiva lo è stato il Vallese, con i suoi 1000 casi di contagi per centomila abitanti (a Milano erano 83 giovedì, sollevando timori di lockdown): nel suo cammino inesorabile il Coronavirus sta introducendo anche in Svizzera, e ancora una volta nelle vostre vite, nuove limitazioni e chiusure. Il consigliere federale Berset l’ha sottolineato mercoledì scorso: «Tre settimane fa avevamo una delle migliori situazioni in Europa, oggi fra le peggiori». I contagi aumentano in modo esponenziale, a metà di settimana scorsa superavano i 5000, con alti tassi di positività nei tamponi e un crescente numero di ospedalizzazioni, anche in cure intense. Non c’è più tempo per tergiversare, bisogna agire. Secondo i calcoli degli esperti della Task force scientifica, fra 4-5 settimane i 1600 letti in cure intense in Svizzera sarebbero tutti occupati, se non si prendono contromisure. Ancora a metà ottobre la posizione del Consiglio federale era di lasciar fare ai cantoni, di intervenire solo in caso la situazione sfuggisse di mano. Pochi giorni dopo la situazione è mutata: domenica 18 ottobre ha annunciato le prime restrizioni (mascherine nei luoghi chiusi, assembramenti di al massimo 15 persone e un invito pressante a tornare in home office). E mercoledì scorso (secondo la «Neue Zürcher Zeitung») Berset avrebbe dovuto presentare nuove misure. Così non è stato. Saranno pronte fra una settimana, e ricalcheranno verosimilmente quanto fanno e faranno i cantoni nei prossimi giorni, fortemente sollecitati ad agire di concerto (questo articolo è scritto giovedì sera, potrebbe essere già datato al momento della pubblicazione). Berset lo ha preannunciato, le misure riguarderanno il numero massimo degli assembramenti, dei partecipanti a lle manifestazioni pubbliche e l’accesso ai luoghi pubblici. Quale aria tirasse lo lasciava bene intendere un tweet di giovedì del presidente della Conferenza cantonale dei direttori della sanità pubblica Lukas Engelberger: «Se aspettiamo troppo a lungo aumenta il rischio che non dovremo soltanto limitare il nostro tempo libero e portare più spesso una mascherina, bensì sopportare anche dolorosi interventi sulla vita economica e sociale». Berset tuttavia è più ottimista: con l’impegno di tutti, autorità e popolazione, possiamo farcela. E si farà di tutto per evitare lockdown e mini-lockdown. Il Vallese sarà l’esempio da imitare in questa seconda ondata? Massimo 10 persone insieme, ristoranti aperti solo fino alle 22, cinema, teatri, musei, biblioteche, piscine chiuse, visite in ospedali e case anziani permesse solo in casi speciali, partite di calcio e hockey senza pubblico... ci aspetta un autunno e un inverno a vita sociale limitata? Lukas Engelberger ha usato il termine slow down, in alternativa a un lockdown: rallentare, limitare i contatti, sia sul lavoro (tramite home office), sia nella cerchia personale, evitare gli assembramenti, mantenere le distanze, portare la mascherina, igiene delle mani. In poche parole, rinunciare, ritirarsi. Come la prenderà la popolazione, dal cui comportamento dipenderà in ultima istanza se la curva dei contagi tornerà a scendere o aumenterà ancora? Sappiamo della stanchezza che serpeggia, sappiamo che è difficile tornare a limitarsi dopo un’estate in cui si era tornati a vivere più liberamente. Tuttavia, la consapevolezza che la situazione si è fortemente aggravata si sta facendo largo, spontaneamente si torna ad auto-limitarsi, a rinunciare a una parte della vita sociale, la mascherina diventa normalità anche sul luogo di lavoro, si torna a fare i conti con lo home office. Forse i crescenti casi di quarantena in classi scolastiche contribuiranno a rendere (più) responsabili anche i ragazzi. Ma non basta un rinnovato senso di accettazione della situazione, per superare questo autunno e l’inverno: serve anche un messaggio positivo. Secondo vari epidemiologi in primaGenerazione M vera si arriverà alla svolta, arriveranno Speciale Sostenibilità i primi vaccini, le cure saranno ancora Prodotti, imballaggi, migliorate, i test rapidi aiuteranno a riciclo, engagement gestire meglio le infezioni. Resistiamo.
di Simona Sala e Alessandro Zanoli
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Vincenzo Cammarata
di Peter Schiesser
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Società e Territorio SOS Genitori Un progetto di comunicazione empatica per aiutare i genitori ad affrontare situazioni problematiche
Il caffè delle mamme Come aiutare le figlie alle prese con i brufoli e i cambiamenti fisici della pubertà? Un aiuto arriva dal libro di due giovani dottoresse norvegesi
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Educare con empatia
Una Nuova EXPO per il 2028 Il progetto NEXPO che coinvolge 17 città svizzere, tra cui anche Lugano, è entrato nella sua fase di consolidamento
Famiglia L’associazione Empa-Ti promuove il progetto «SOS Genitori»: una serie di incontri gratuiti online
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per affrontare situazioni problematiche o dubbi insieme a un’esperta di comunicazione nonviolenta
Alessandra Ostini Sutto
Matematica senza ansia
Didattica La Supsi organizza degli incontri
rivolti ai genitori per supportare i figli nell’apprendimento della matematica e propone un fumetto su personaggi e aneddoti della sua storia
Valentina Grignoli Parliamo di matematica, quella che si insegna sui banchi di scuola, e che spesso mette in agitazione studenti di tutte le età. Numeri, figure, calcoli, quante volte si fa fatica a contestualizzarli e a concretizzarli in un mondo fatto di parole e immagini? In realtà la matematica è una materia dal fascino indiscutibile che ci aiuta a comprendere la complessità di quanto ci circonda. Riconosciuta come disciplina fondamentale per l’educazione è però vittima di un paradosso perché percepita da molti come materia difficile e distante, generando scarsa motivazione e insuccessi scolastici. Per questo motivo nasce quattro anni fa, su iniziativa del Centro competenze didattica della matematica del Dipartimento formazione e apprendimento – Supsi, nella persona della professoressa Silvia Sbaragli, il progetto Communicating Mathematics Education finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero Agora per la divulgazione scientifica. Un progetto che si basa sull’esperienza di successo dell’evento biennale Matematicando (anche piattaforma del progetto matematicando.supsi.ch) con lo scopo di espandere e rinforzare il festival, creando ponti con genitori, docenti e studenti attraverso attività didattiche estese nel tempo. Non essendo possibile realizzare quest’anno il festival per la crisi sanitaria, Silvia Sbaragli e i suoi colleghi hanno deciso di promuovere due iniziative alternative: incontri con genitori e insegnanti e fumetti divulgativi. Il primo degli incontri che stanno sotto questo cappello è previsto il 28 ottobre alle 20.30, presso l’Aula Magna del Dipartimento formazione e apprendimento Supsi di Locarno e sarà tenuto dalla psicologa e psicoterapeuta Piera Malagola. Una conferenza incentrata sulla tesi secondo la quale la paura di sbagliare negli studenti sia influenzata in realtà dallo stile relazionale e comunicativo di insegnanti e genitori.
Concretamente, dottoressa Malagola, quali sono i segni di ansia manifestati dai ragazzi nei confronti della matematica ai quali bisogna prestare attenzione?
Generali tensione e disagio nei confronti di stimoli precisi come i numeri o la soluzione dei problemi. Ci possono essere pensieri di incapacità e inadeguatezza, ma anche segnali fisici quali mal di pancia e testa, sudorazione, tachicardia che si manifestano prima di una lezione o di un test, o quando si parla in generale della materia. Quando la matematica diventa un problema?
Quando queste sensazioni di incapacità prendono il sopravvento e ostacolano sia l’apprendimento delle nozioni sia lo svolgimento degli esercizi. Ansia da prestazione che rischia poi di influenzare il percorso futuro dello studente?
Vari studi mettono in evidenza come si crei un vero e proprio circolo vizioso fra lo stabilizzarsi dell’ansia e le acquisizioni matematiche. La sensazione di paura verso la matematica fa sì che colui che la sente tenda ad evitare di entrare in contatto con la materia per i frequenti pensieri negativi rispetto alle proprie competenze. Questo fa diminuire l’interesse per la materia: ci si esercita di meno mantenendo bassi i livelli di competenza e aumentando l’ansia durante lo svolgimento di una prova. Cosa possono fare concretamente i genitori?
Se il genitore prova ansia per la matematica tenderà a innescarla o intensificarla nel figlio. Sarebbe opportuno quindi trovare modalità efficaci per ridurla, così da invogliare i figli a vedere la materia nei suoi aspetti di curiosità e interesse, attraverso le molte applicazioni della vita concreta. E la scuola?
Potrà proporre atteggiamenti costruttivi attraverso programmi motivanti che mantengano legami forti con la pratica
La prima puntata dei fumetti matematici dedicata a Didone la si trova su www.matematicando.supsi.ch e su www.azione.ch
e rafforzando l’idea che solo attraverso l’esercizio si possono migliorare sia le proprie competenze sia la fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità. Un altro modo pensato per attirare l’interesse dei più giovani verso gli affascinanti misteri della matematica è una serie di fumetti su personaggi e aneddoti della sua storia. Si tratta dei viaggi nel tempo che la piccola Ellie, molto scettica riguardo la materia, compirà grazie agli occhiali virtuali costruiti in laboratorio dal geniale zio Angelo (che incarna l’archetipo della Guida). Un’ideazione di Silvia Sbaragli (già coautrice dei quattro volumi La matematica e la sua storia editi da Dedalo) realizzata
dall’illustratore Andrea De Carli, che ci racconta: «l’idea è quella di intrigare i preadolescenti con un format vicino a loro. Solitamente c’è infatti una barriera tra i concetti insegnati e le persone che li dispensano, sapere che dietro la teoria ci sono delle storie è molto più interessante!». La professoressa Sbaragli aggiunge che questi fumetti sono «pensati in modo da agganciare anche gli aspetti storici e geografici. Ci saranno infatti una linea del tempo, da Didone ai giorni nostri, e i vari luoghi dove si sono svolti gli eventi, aprendo la strada a percorsi interdisciplinari. Siamo partiti dal mondo ellenico con la geometria e proseguiamo verso il presente, con aspetti vicini ai ragazzi
come la musica e i computer». Anche lo stile del disegno è particolarmente adatto a loro, e l’impresa diverte molto sia l’illustratore che l’autrice: «creare fumetti è sempre stato il mio sogno, da anni ne vedo la potenzialità divulgativa. Per ora verranno pubblicati una volta al mese sul sito Matematicando, vorremmo farne poi un albo da distribuire gratuitamente nelle scuole a settembre». I fumetti su www.azione.ch
Sul nostro sito pubblicheremo periodicamente le puntate del viaggio a fumetti alla scoperta dei personaggi della matematica.
L’associazione Empa-Ti, nata meno di due anni fa da un gruppo di mamme ticinesi, propone progetti con lo scopo di sensibilizzare la popolazione – in particolare genitori, insegnanti, enti ed istituti – sull’importanza dell’empatia per la formazione di nuove generazioni emotivamente stabili, responsabili, più consapevoli della collettività e quindi meno propense a ricorrere a forme di violenza. «Come spiega Catherine Gueguen, pediatra francese formata in comunicazione nonviolenta, nel suo libro Pour une enfance heureuse: repenser l’éducation à la lumière des dernières découvertes sur le cerveau (Per un’infanzia felice: ripensare all’educazione alla luce delle recenti scoperte sul cervello), la relazione adulto-bambino agisce sullo sviluppo del cervello dei nostri figli e determina quello che saranno da adulti», premette Elena Bernasconi-Tabellini, formatrice certificata del Centro Internazionale di Comunicazione Nonviolenta, che collabora con Empa-ti, in particolare per la conduzione di alcuni dei suoi progetti. «Una risposta empatica dei genitori nei primi anni di vita permette una piena maturazione del cervello, con conseguenti facilità di apprendimento, auto-regolazione emotiva e sviluppo di comportamenti prosociali nella vita adulta. Per contro, le reazioni punitive (fisiche e verbali) generano risposte di stress nel corpo dei bambini, una ridotta maturazione del cervello, con conseguenti minori capacità di apprendimento e difficoltà di auto-regolazione emotiva, che possono sfociare in ansia, depressione, aggressività e comportamenti antisociali», continua l’esperta, lei stessa mamma di due bambine. Ma l’empatia – che, va specificato, nell’ambito della comunicazione nonviolenta include anche l’empatia verso sé stessi, non solo verso gli altri – in che misura è innata e in che misura si può invece apprendere? «Recenti ricerche nell’ambito delle neuroscienze dimostrano che biologicamente siamo tutti attrezzati per essere empatici e collaborativi, capacità fondamentali in natura per la sopravvivenza della specie. Esse dimostrano però pure come, se non sostenute e allenate fin dalla prima infanzia, queste capacità si riducano fortemente in breve tempo», spiega Elena Bernasconi-Tabellini. Imparare – o re-imparare – ad essere empatici comunque si può, anche se richiede un po’ di impegno, dal momento che spesso bisogna sradicare abitudini di pensiero ed azione profondamente radicate nella nostra cultura. Ma ne vale la pena, soprattutto se si considera che i bambini apprendono principalmente per imitazione e gioco nei primi anni della loro vita. «Non si tratta quindi di “insegnare” l’empatia, quanto piuttosto di adottarla noi adulti, fungendo così da esempio, in
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Nei primi anni di vita la relazione adulto-bambino agisce sullo sviluppo del cervello. (Marka)
un processo che presuppone amore e comprensione per noi stessi, soprattutto quando i comportamenti meno empatici riaffiorano nella nostra relazione con i figli», commenta l’esperta di comunicazione nonviolenta. Per aiutare i genitori ad essere empaticamente presenti e fermi, Empa-Ti propone il progetto «SOS Genitori – Educare con empatia». «L’idea è quella di rivolgersi ai genitori durante il periodo di un anno scolastico, attraverso brevi momenti di incontro, proprio per sostenerli con costanza nell’adottare un approccio che presuppone un cambiamento di paradigma importante. I risultati potranno essere tangibili già dopo un breve periodo e permetteranno ai genitori di sentirsi più rilassati e fiduciosi nelle proprie capacità e nella relazione con i propri figli», spiega Elena Bernasconi, che accompagna i genitori in questo percorso. Questo approccio, ideato nel 1960 dallo psicologo statunitense Marshall Rosenberg, è oggi diffuso in tutto il mondo. Elena, che ha lavorato nell’ambito della comunicazione a livello internazionale per oltre 20 anni, ne è venuta in contatto nel 2005. Rimasta affascinata, inizia ad approfondirlo, portandolo sempre più nella sua vita personale, professionale e familiare. Attualmente, tramite la sua attività Back to Empathy, offre seminari, consulenze e mediazioni a genitori, docenti, aziende, associazioni, scuole, coppie e individui. Il progetto «SOS Genitori» – riconosciuto dall’Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giova-
ni del DSS, nell’ambito dei contributi Infofamiglie – ha preso avvio il 5 ottobre. Esso si rivolge ai genitori e più in generale a chi si occupa di bambini da 0 a 10 anni. Gli incontri sono gratuiti e hanno luogo ogni due settimane circa. Della durata di un’ora e mezza circa, si svolgono online, pur mantenendo l’atmosfera rilassata, di interesse e di scambio, che caratterizza gli incontri in presenza. «“SOS Genitori” nasce come complemento agli incontri che già svolgiamo nei centri di socializzazione e intende sostenere quei genitori che, in queste occasioni, hanno fatto richiesta di ulteriori momenti in cui affrontare tutte quelle questioni che quotidianamente sorgono con i figli. Allo stesso tempo, il progetto si rivolge a quei genitori che, per mancanza di tempo, potrebbero più facilmente chiedere sostegno da casa», commenta la formatrice. Una formula, quindi, che va incontro alle esigenze dei genitori, i quali possono partecipare da casa, senza doversi spostare né organizzare, annunciando la loro partecipazione anche con un breve preavviso. La modalità scelta – sulla quale hanno influito anche le esperienze fatte durante il lockdown – pone al centro il genitore che è invitato a condividere le situazioni problematiche vissute da lui e il suo nucleo familiare. Durante gli incontri, la formatrice invita i partecipanti a presentare queste situazioni. Dopo aver ricordato le basi teoriche della comunicazione nonviolenta, cerca insieme ai partecipanti di identificare reazioni e risposte diverse da quelle usuali. «Siamo stati abituati
a parlare un linguaggio della critica, della colpa e dell’accusa. Attraverso questo modo di comunicare, impariamo invece a riconoscere e nominare le emozioni e i bisogni nostri e delle parti coinvolte e a prendere coscienza che così facendo ci apriamo ad una gamma più ampia di soluzioni», spiega Elena Bernasconi-Tabellini. I genitori sperimentano, per esempio, a porre limiti senza entrare nello stile autoritario, reagire di fronte ai «capricci» oppure gestire la rabbia del bambino con più fiducia nelle proprie possibilità, evitando così di scivolare in atteggiamenti permissivi o violenti. «In questo senso, l’idea alla base del progetto è quella di favorire la comprensione dei concetti della comunicazione nonviolenta – detta anche comunicazione empatica – attraverso l’analisi di situazioni concrete, riguardo alle quali si sperimenta il procedimento che porta alla loro risoluzione», continua. Ciò consente ai presenti di scoprire un approccio semplice, autentico, che rispetta i loro bisogni e quelli degli altri, per permettere di acquisire la capacità di mettersi nei panni dell’altro – l’empatia, appunto – fondamentale per costruire relazioni sane. I genitori prendono inoltre coscienza della forza delle parole e dell’opportunità di evitare alcune espressioni spesso usate in famiglia che accrescono i sensi di colpa e inadeguatezza nell’altro, i quali possono sfociare in atteggiamenti violenti o comportamenti che portano a diventare delle vittime. «Riuscendo ad adottare questa
modalità di gestione dei conflitti trasmettiamo al bambino la sensazione di sicurezza e accudimento, che lo renderà in futuro più empatico e fiducioso nelle sue relazioni – precisa la formatrice – pertanto invitiamo i genitori a partecipare con curiosità agli incontri: potranno porre le proprie domande e confrontarsi con altri genitori ed acquisire maggiore motivazione a crescere ed esplorarsi nel loro ruolo genitoriale». Empa-Ti persegue il suo obiettivo di promuovere la conoscenza dell’empatia attraverso proposte di vario tipo tutte basate sulla comunicazione nonviolenta. Si tratta di progetti che promuovono soprattutto il sostegno alle madri e alle famiglie durante il periodo che va dalla gravidanza alla prima infanzia dei figli. Quanto sia importante questo tipo di sostegno lo conferma pure la «Strategia cantonale di prevenzione della violenza che coinvolge i giovani 2017-2020», che sottolinea il ruolo della «prevenzione precoce svolta con le famiglie durante la prima infanzia e in gravidanza». Oltre al progetto appena illustrato, che costituisce una novità nell’offerta della giovane associazione, è tuttora in corso quello denominato «Relazioni serene in famiglia – I capricci dei bambini, come gestirli?!». Per la prossima estate è invece prevista una formazione rivolta ai docenti sul tema «Empatia a scuola».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Società e Territorio SOS Genitori Un progetto di comunicazione empatica per aiutare i genitori ad affrontare situazioni problematiche
Il caffè delle mamme Come aiutare le figlie alle prese con i brufoli e i cambiamenti fisici della pubertà? Un aiuto arriva dal libro di due giovani dottoresse norvegesi
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Educare con empatia
Una Nuova EXPO per il 2028 Il progetto NEXPO che coinvolge 17 città svizzere, tra cui anche Lugano, è entrato nella sua fase di consolidamento
Famiglia L’associazione Empa-Ti promuove il progetto «SOS Genitori»: una serie di incontri gratuiti online
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per affrontare situazioni problematiche o dubbi insieme a un’esperta di comunicazione nonviolenta
Alessandra Ostini Sutto
Matematica senza ansia
Didattica La Supsi organizza degli incontri
rivolti ai genitori per supportare i figli nell’apprendimento della matematica e propone un fumetto su personaggi e aneddoti della sua storia
Valentina Grignoli Parliamo di matematica, quella che si insegna sui banchi di scuola, e che spesso mette in agitazione studenti di tutte le età. Numeri, figure, calcoli, quante volte si fa fatica a contestualizzarli e a concretizzarli in un mondo fatto di parole e immagini? In realtà la matematica è una materia dal fascino indiscutibile che ci aiuta a comprendere la complessità di quanto ci circonda. Riconosciuta come disciplina fondamentale per l’educazione è però vittima di un paradosso perché percepita da molti come materia difficile e distante, generando scarsa motivazione e insuccessi scolastici. Per questo motivo nasce quattro anni fa, su iniziativa del Centro competenze didattica della matematica del Dipartimento formazione e apprendimento – Supsi, nella persona della professoressa Silvia Sbaragli, il progetto Communicating Mathematics Education finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero Agora per la divulgazione scientifica. Un progetto che si basa sull’esperienza di successo dell’evento biennale Matematicando (anche piattaforma del progetto matematicando.supsi.ch) con lo scopo di espandere e rinforzare il festival, creando ponti con genitori, docenti e studenti attraverso attività didattiche estese nel tempo. Non essendo possibile realizzare quest’anno il festival per la crisi sanitaria, Silvia Sbaragli e i suoi colleghi hanno deciso di promuovere due iniziative alternative: incontri con genitori e insegnanti e fumetti divulgativi. Il primo degli incontri che stanno sotto questo cappello è previsto il 28 ottobre alle 20.30, presso l’Aula Magna del Dipartimento formazione e apprendimento Supsi di Locarno e sarà tenuto dalla psicologa e psicoterapeuta Piera Malagola. Una conferenza incentrata sulla tesi secondo la quale la paura di sbagliare negli studenti sia influenzata in realtà dallo stile relazionale e comunicativo di insegnanti e genitori.
Concretamente, dottoressa Malagola, quali sono i segni di ansia manifestati dai ragazzi nei confronti della matematica ai quali bisogna prestare attenzione?
Generali tensione e disagio nei confronti di stimoli precisi come i numeri o la soluzione dei problemi. Ci possono essere pensieri di incapacità e inadeguatezza, ma anche segnali fisici quali mal di pancia e testa, sudorazione, tachicardia che si manifestano prima di una lezione o di un test, o quando si parla in generale della materia. Quando la matematica diventa un problema?
Quando queste sensazioni di incapacità prendono il sopravvento e ostacolano sia l’apprendimento delle nozioni sia lo svolgimento degli esercizi. Ansia da prestazione che rischia poi di influenzare il percorso futuro dello studente?
Vari studi mettono in evidenza come si crei un vero e proprio circolo vizioso fra lo stabilizzarsi dell’ansia e le acquisizioni matematiche. La sensazione di paura verso la matematica fa sì che colui che la sente tenda ad evitare di entrare in contatto con la materia per i frequenti pensieri negativi rispetto alle proprie competenze. Questo fa diminuire l’interesse per la materia: ci si esercita di meno mantenendo bassi i livelli di competenza e aumentando l’ansia durante lo svolgimento di una prova. Cosa possono fare concretamente i genitori?
Se il genitore prova ansia per la matematica tenderà a innescarla o intensificarla nel figlio. Sarebbe opportuno quindi trovare modalità efficaci per ridurla, così da invogliare i figli a vedere la materia nei suoi aspetti di curiosità e interesse, attraverso le molte applicazioni della vita concreta. E la scuola?
Potrà proporre atteggiamenti costruttivi attraverso programmi motivanti che mantengano legami forti con la pratica
La prima puntata dei fumetti matematici dedicata a Didone la si trova su www.matematicando.supsi.ch e su www.azione.ch
e rafforzando l’idea che solo attraverso l’esercizio si possono migliorare sia le proprie competenze sia la fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità. Un altro modo pensato per attirare l’interesse dei più giovani verso gli affascinanti misteri della matematica è una serie di fumetti su personaggi e aneddoti della sua storia. Si tratta dei viaggi nel tempo che la piccola Ellie, molto scettica riguardo la materia, compirà grazie agli occhiali virtuali costruiti in laboratorio dal geniale zio Angelo (che incarna l’archetipo della Guida). Un’ideazione di Silvia Sbaragli (già coautrice dei quattro volumi La matematica e la sua storia editi da Dedalo) realizzata
dall’illustratore Andrea De Carli, che ci racconta: «l’idea è quella di intrigare i preadolescenti con un format vicino a loro. Solitamente c’è infatti una barriera tra i concetti insegnati e le persone che li dispensano, sapere che dietro la teoria ci sono delle storie è molto più interessante!». La professoressa Sbaragli aggiunge che questi fumetti sono «pensati in modo da agganciare anche gli aspetti storici e geografici. Ci saranno infatti una linea del tempo, da Didone ai giorni nostri, e i vari luoghi dove si sono svolti gli eventi, aprendo la strada a percorsi interdisciplinari. Siamo partiti dal mondo ellenico con la geometria e proseguiamo verso il presente, con aspetti vicini ai ragazzi
come la musica e i computer». Anche lo stile del disegno è particolarmente adatto a loro, e l’impresa diverte molto sia l’illustratore che l’autrice: «creare fumetti è sempre stato il mio sogno, da anni ne vedo la potenzialità divulgativa. Per ora verranno pubblicati una volta al mese sul sito Matematicando, vorremmo farne poi un albo da distribuire gratuitamente nelle scuole a settembre». I fumetti su www.azione.ch
Sul nostro sito pubblicheremo periodicamente le puntate del viaggio a fumetti alla scoperta dei personaggi della matematica.
L’associazione Empa-Ti, nata meno di due anni fa da un gruppo di mamme ticinesi, propone progetti con lo scopo di sensibilizzare la popolazione – in particolare genitori, insegnanti, enti ed istituti – sull’importanza dell’empatia per la formazione di nuove generazioni emotivamente stabili, responsabili, più consapevoli della collettività e quindi meno propense a ricorrere a forme di violenza. «Come spiega Catherine Gueguen, pediatra francese formata in comunicazione nonviolenta, nel suo libro Pour une enfance heureuse: repenser l’éducation à la lumière des dernières découvertes sur le cerveau (Per un’infanzia felice: ripensare all’educazione alla luce delle recenti scoperte sul cervello), la relazione adulto-bambino agisce sullo sviluppo del cervello dei nostri figli e determina quello che saranno da adulti», premette Elena Bernasconi-Tabellini, formatrice certificata del Centro Internazionale di Comunicazione Nonviolenta, che collabora con Empa-ti, in particolare per la conduzione di alcuni dei suoi progetti. «Una risposta empatica dei genitori nei primi anni di vita permette una piena maturazione del cervello, con conseguenti facilità di apprendimento, auto-regolazione emotiva e sviluppo di comportamenti prosociali nella vita adulta. Per contro, le reazioni punitive (fisiche e verbali) generano risposte di stress nel corpo dei bambini, una ridotta maturazione del cervello, con conseguenti minori capacità di apprendimento e difficoltà di auto-regolazione emotiva, che possono sfociare in ansia, depressione, aggressività e comportamenti antisociali», continua l’esperta, lei stessa mamma di due bambine. Ma l’empatia – che, va specificato, nell’ambito della comunicazione nonviolenta include anche l’empatia verso sé stessi, non solo verso gli altri – in che misura è innata e in che misura si può invece apprendere? «Recenti ricerche nell’ambito delle neuroscienze dimostrano che biologicamente siamo tutti attrezzati per essere empatici e collaborativi, capacità fondamentali in natura per la sopravvivenza della specie. Esse dimostrano però pure come, se non sostenute e allenate fin dalla prima infanzia, queste capacità si riducano fortemente in breve tempo», spiega Elena Bernasconi-Tabellini. Imparare – o re-imparare – ad essere empatici comunque si può, anche se richiede un po’ di impegno, dal momento che spesso bisogna sradicare abitudini di pensiero ed azione profondamente radicate nella nostra cultura. Ma ne vale la pena, soprattutto se si considera che i bambini apprendono principalmente per imitazione e gioco nei primi anni della loro vita. «Non si tratta quindi di “insegnare” l’empatia, quanto piuttosto di adottarla noi adulti, fungendo così da esempio, in
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Nei primi anni di vita la relazione adulto-bambino agisce sullo sviluppo del cervello. (Marka)
un processo che presuppone amore e comprensione per noi stessi, soprattutto quando i comportamenti meno empatici riaffiorano nella nostra relazione con i figli», commenta l’esperta di comunicazione nonviolenta. Per aiutare i genitori ad essere empaticamente presenti e fermi, Empa-Ti propone il progetto «SOS Genitori – Educare con empatia». «L’idea è quella di rivolgersi ai genitori durante il periodo di un anno scolastico, attraverso brevi momenti di incontro, proprio per sostenerli con costanza nell’adottare un approccio che presuppone un cambiamento di paradigma importante. I risultati potranno essere tangibili già dopo un breve periodo e permetteranno ai genitori di sentirsi più rilassati e fiduciosi nelle proprie capacità e nella relazione con i propri figli», spiega Elena Bernasconi, che accompagna i genitori in questo percorso. Questo approccio, ideato nel 1960 dallo psicologo statunitense Marshall Rosenberg, è oggi diffuso in tutto il mondo. Elena, che ha lavorato nell’ambito della comunicazione a livello internazionale per oltre 20 anni, ne è venuta in contatto nel 2005. Rimasta affascinata, inizia ad approfondirlo, portandolo sempre più nella sua vita personale, professionale e familiare. Attualmente, tramite la sua attività Back to Empathy, offre seminari, consulenze e mediazioni a genitori, docenti, aziende, associazioni, scuole, coppie e individui. Il progetto «SOS Genitori» – riconosciuto dall’Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giova-
ni del DSS, nell’ambito dei contributi Infofamiglie – ha preso avvio il 5 ottobre. Esso si rivolge ai genitori e più in generale a chi si occupa di bambini da 0 a 10 anni. Gli incontri sono gratuiti e hanno luogo ogni due settimane circa. Della durata di un’ora e mezza circa, si svolgono online, pur mantenendo l’atmosfera rilassata, di interesse e di scambio, che caratterizza gli incontri in presenza. «“SOS Genitori” nasce come complemento agli incontri che già svolgiamo nei centri di socializzazione e intende sostenere quei genitori che, in queste occasioni, hanno fatto richiesta di ulteriori momenti in cui affrontare tutte quelle questioni che quotidianamente sorgono con i figli. Allo stesso tempo, il progetto si rivolge a quei genitori che, per mancanza di tempo, potrebbero più facilmente chiedere sostegno da casa», commenta la formatrice. Una formula, quindi, che va incontro alle esigenze dei genitori, i quali possono partecipare da casa, senza doversi spostare né organizzare, annunciando la loro partecipazione anche con un breve preavviso. La modalità scelta – sulla quale hanno influito anche le esperienze fatte durante il lockdown – pone al centro il genitore che è invitato a condividere le situazioni problematiche vissute da lui e il suo nucleo familiare. Durante gli incontri, la formatrice invita i partecipanti a presentare queste situazioni. Dopo aver ricordato le basi teoriche della comunicazione nonviolenta, cerca insieme ai partecipanti di identificare reazioni e risposte diverse da quelle usuali. «Siamo stati abituati
a parlare un linguaggio della critica, della colpa e dell’accusa. Attraverso questo modo di comunicare, impariamo invece a riconoscere e nominare le emozioni e i bisogni nostri e delle parti coinvolte e a prendere coscienza che così facendo ci apriamo ad una gamma più ampia di soluzioni», spiega Elena Bernasconi-Tabellini. I genitori sperimentano, per esempio, a porre limiti senza entrare nello stile autoritario, reagire di fronte ai «capricci» oppure gestire la rabbia del bambino con più fiducia nelle proprie possibilità, evitando così di scivolare in atteggiamenti permissivi o violenti. «In questo senso, l’idea alla base del progetto è quella di favorire la comprensione dei concetti della comunicazione nonviolenta – detta anche comunicazione empatica – attraverso l’analisi di situazioni concrete, riguardo alle quali si sperimenta il procedimento che porta alla loro risoluzione», continua. Ciò consente ai presenti di scoprire un approccio semplice, autentico, che rispetta i loro bisogni e quelli degli altri, per permettere di acquisire la capacità di mettersi nei panni dell’altro – l’empatia, appunto – fondamentale per costruire relazioni sane. I genitori prendono inoltre coscienza della forza delle parole e dell’opportunità di evitare alcune espressioni spesso usate in famiglia che accrescono i sensi di colpa e inadeguatezza nell’altro, i quali possono sfociare in atteggiamenti violenti o comportamenti che portano a diventare delle vittime. «Riuscendo ad adottare questa
modalità di gestione dei conflitti trasmettiamo al bambino la sensazione di sicurezza e accudimento, che lo renderà in futuro più empatico e fiducioso nelle sue relazioni – precisa la formatrice – pertanto invitiamo i genitori a partecipare con curiosità agli incontri: potranno porre le proprie domande e confrontarsi con altri genitori ed acquisire maggiore motivazione a crescere ed esplorarsi nel loro ruolo genitoriale». Empa-Ti persegue il suo obiettivo di promuovere la conoscenza dell’empatia attraverso proposte di vario tipo tutte basate sulla comunicazione nonviolenta. Si tratta di progetti che promuovono soprattutto il sostegno alle madri e alle famiglie durante il periodo che va dalla gravidanza alla prima infanzia dei figli. Quanto sia importante questo tipo di sostegno lo conferma pure la «Strategia cantonale di prevenzione della violenza che coinvolge i giovani 2017-2020», che sottolinea il ruolo della «prevenzione precoce svolta con le famiglie durante la prima infanzia e in gravidanza». Oltre al progetto appena illustrato, che costituisce una novità nell’offerta della giovane associazione, è tuttora in corso quello denominato «Relazioni serene in famiglia – I capricci dei bambini, come gestirli?!». Per la prossima estate è invece prevista una formazione rivolta ai docenti sul tema «Empatia a scuola».
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Idee e acquisti per la settimana
15 anni e non sentirli
Attualità In corso la terza e ultima fase della campagna di comunicazione dedicata
al giubileo dei Nostrani del Ticino
Latte fresco ticinese
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Il «Lacc frésch ticinés» dei Nostrani del Ticino è disponibile sia nella qualità Intero con 3,5% di grasso, sia Drink con 2,5% di grasso. Il latte è raccolto presso un centinaio di produttori locali e giunge giornalmente alla LATI di S. Antonino. L’accurata lavorazione, che include bactofugazione, omogeneizzazione e pastorizzazione, permette di salvaguardare la genuinità e le caratteristiche organolettiche del latte fresco 100% ticinese. Da poco, della gamma fa parte anche il latte fresco ticinese biologico. Biscotti nostrani
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Questo prodotto da spalmare tutto ticinese è composto da una sapiente miscela di miele e pasta di nocciole. Il miele di robinia è certificato biologico. La Mérola non contiene inoltre zuccheri aggiunti, né grassi e nemmeno cioccolato o lecitina. È una delizia non solo spalmata sul pane, ma anche sulle crêpe, mescolata allo iogurt naturale oppure come ingrediente per la preparazione di altre specialità di pasticceria.
5 Iogurt nostrani
Prodotti regionali autentici certificati Tutti i prodotti dei Nostrani del Ticino sono certificati con il marchio di qualità «regio.garantie», che ne attesta la territorialità e tracciabilità. Il marchio è stato lanciato dall’Associazione svizzera dei prodotti regionali, di cui è membro anche l’organizzazione «alpinavera» che applica la garanzia di qualità «regio.garantie» ai prodotti agroalimentari di Ticino, Grigioni, Uri e Glarona. I prodotti certificati «Ticino regio.garantie» devono essere almeno all’80% a base di ingredienti re-
gionali (per quelli non composti al 100%) e la loro produzione genera almeno 2/3 del valore aggiunto nella regione di riferimento. Il rispetto delle direttive e il diritto di utilizzare il marchio sono garantiti da un organismo di certificazione esterno e indipendente. Preferire i prodotti a marchio «Ticino regio.garantie» significa non solo mangiare regionale e con gusto, ma anche garantire occupazione sul territorio, ridurre i trasporti e sostenere i produttori tradizionali e innovativi.
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Gli iogurt nostrani sono preparati con puro latte di montagna della regione del Gottardo e frutta priva di additivi. Morbidi, cremosi e lievemente acidi, sono disponibili in una quindicina di golosi aromi per ogni gusto e piacere. Ad occuparsi della produzione è l’azienda Agroval di Airolo, già fornitrice per Migros Ticino di alcuni apprezzati formaggi a base di latte crudo. Formaggella della Valle di Blenio
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Conosciuta come «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» nel dialetto della valle del sole, questa delicata formaggella è prodotta artigianalmente dal Caseificio del Sole di Aquila con latte vaccino di montagna. È un formaggio aromatico, con sapore mediamente dolce, a pasta bianca, dalla consistenza morbida. La stagionatura ha una durata di trenta giorni.
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Uova nostrane biologiche
Prodotte a Bironico dalla dinamica azienda agricola biologica Gigi’s Ranch, le uova nostrane bio sono l’ingrediente fondamentale per molte delle vostre ricette dolci e salate. L’azienda alleva 2000 galline ovaiole, che vengono foraggiate esclusivamente con specifici mangimi certificati bio, privi di soia. Gli animali possono muoversi liberamente all’interno del pollaio e possono razzolare all’aperto in piena libertà.
Un prosciutto sopraffino Attualità Il San Daniele è considerato uno dei migliori
prosciutti stagionati all’aria
Azione 25% Prodotto esclusivamente nella zona tipica del comune di San Daniele del Friuli, in provincia di Udine, il prosciutto crudo San Daniele è ricavato dalla coscia fresca di suini pesanti di allevamento nazionale. Le cosce non devono pesare meno di 10 kg, mentre la stagionatura deve essere almeno di 13 mesi a partire dalla salatura fatta solo con sale marino. Possiede un caratteristico sapore dolce, delicato, come pure un colore più scuro rispet-
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Mérola
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Migros Ticino ha festeggiato quest’anno il quindicesimo anniversario dal lancio del marchio Nostrani del Ticino. E lo ha fatto in grande stile: oltre ad una nuova campagna d’immagine ambientata in tre suggestivi luoghi della nostra regione, durante il mese di settembre è stato anche organizzato il tour «In gir par al Cantón» con il mitico camion vendita Migros colmo di prodotti nostrani a km zero, evento itinerante che ha fatto registrare un enorme successo sostando in una trentina di località ticinesi e della Mesolcina. In questa pagina vi presentiamo alcuni dei prodotti protagonisti della terza fase della campagna pubblicitaria, con un’invitante tavolata ambientata in un incantevole paesaggio di montagna, nella fattispecie in Valle di Blenio.
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Il pasticcere Paul Forni sforna quattro tipi di biscotti realizzati esclusivamente con ingredienti genuini locali: le Frolle al limone, le Pastefrolle della Valle Bedretto, i Biscotti alla farina bona e i Crefli al miele. La farina è ottenuta da frumento coltivato sul Piano di Magadino e nel Mendrisiotto, il burro proviene da un caseificio leventinese, la farina bona è una specialità della Valle Onsernone, mentre il miele di castagno è prodotto nel bellinzonese.
to ad altre varietà di prosciutto crudo. Stagiona in locali ventilati dove l’aria frizzante delle Alpi Carniche si mescola con quella marina dell’Adriatico. Sono solo una trentina i prosciuttifici autorizzati a produrre il San Daniele con la denominazione di origine protetta (DOP). La tipica forma della coscia intera è a «Chitarra» e comprende il piedino. Si serve affettato sottile, accompagnato idealmente con fichi, melone e pane rustico.
Prosciutto crudo San Daniele DOP Italia affettato in vaschetta da 100 g Fr 6.30 invece di 8.40 dal 27.10 al 02.11
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Idee e acquisti per la settimana
Un viaggio ai confini della natura
Novità Lo scrittore ticinese Federico Iannaccone, già autore dei due
bellissimi libri di successo «Come radice nella pietra» e «Un ultimo fiocco di neve» con protagonista il suo cane trovatello Frida, ha da poco pubblicato il nuovo romanzo «Il profumo della natura». Lo abbiamo incontrato al lettore delle emozioni ho bisogno di viverle prima sulla mia pelle. L’anno scorso ho deciso di coronare un sogno che mi portavo dietro fin da bambino, incontrare l’orso bruno nel suo habitat naturale, senza protezioni, senza aiuti, diventando parte del suo stesso mondo. In quelle terre selvagge tra Finlandia e Russia ho vissuto un’esperienza che doveva essere raccontata. Ecco perché ho scelto di condividerla attraverso questo libro.
Federico, innanzitutto, come sta Frida?
Frida è sempre più anziana e affaticata ma sta bene. La nostra storia d’amore continua. Di cosa parla il tuo nuovo romanzo e dove hai trovato l’ispirazione per scriverlo?
I miei romanzi sono sempre tratti da storie vere. Per riuscire a trasmettere
convivere con il rimpianto invece no. Perché sei diventato scrittore?
Ho sempre amato i libri perché sono capaci di trasportarti là dove non puoi arrivare. Grazie a loro ho potuto vivere mille vite senza nemmeno uscire di casa. Poi, ad un certo punto, iniziai a desiderare delle avventure tutte mie e decisi che avrei permesso, a chiunque lo avesse desiderato, di viverle insieme a me. Ecco perché scrivo. Qualcosa di interessante su di te?
Perché i lettori dovrebbero acquistarlo?
Sono una persona che ama vivere intensamente ogni istante della propria esistenza. Non do mai niente per scontato. Il profumo di un fiore, un tramonto, il rumore del vento, la pioggia che cade. Queste le cose che mi emozionano davvero. Mi piace riconoscere la vita in ogni respiro.
Cosa vorresti dire loro?
Il profumo della Natura di Federico Iannaccone Fr. 14.30 In vendita nelle maggiori filiali Migros
Perché viviamo in un mondo in cui i sogni vengono troppo spesso messi da parte. Questo libro ci dimostra che se si desidera davvero qualcosa, se si spegne ogni tanto il cervello e si segue solo il proprio cuore, tutto diventa magicamente possibile. Se avete un sogno, inseguitelo. Non rimandate, non rinunciate. Potrete fallire, è vero, ma con la delusione si può
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Veramente Nostrani!
Prodotti genuini a km zero
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Società e Territorio
Maledetti brufoli!
Il caffè delle mamme Appaiono in contemporanea agli scombussolamenti fisici della pubertà
e possono minare l’autostima: come aiutare le nostre figlie ad accettarli e ad accettarsi?
Simona Ravizza Maledetti brufoli. A Il caffè delle mamme lo ammettiamo subito: i punti neri e le bollicine gialle sulla pelle sono una delle peggiori scocciature che capitano nell’adolescenza. Vulcani in miniatura che possono minare l’autostima delle nostre figlie già alle prese con gli scombussolamenti fisici della pubertà. Proprio nel momento in cui le 12enni iniziano a volersi vedere più belle allo specchio, studiano con cura gli outfit, muovono i primi passi con il mascara, ecco è allora che si vedono comparire sul viso l’odiosa T a puntini che tratteggia fronte, naso e mento. Liquidare l’argomento con un semplicistico «Tanto passerà» lo riteniamo sbagliato. Non è frivolezza, che pure non fa mai male (come ci ricorda la poetessa Alda Merini, «Se le donne sono frivole è perché sono intelligenti a oltranza»). È piuttosto la volontà di mettersi nei loro panni. La domanda che s’impone, allora, è: come possiamo aiutare le nostre figlie ad accettarli? A Il caffè delle mamme io mi autodenuncio senza neanche un po’ di vergogna: al primo punto nero di Clotilde, dopo avere cercato invano di schiacciarglielo, ho preso appuntamento dall’estetista e l’ho portata a fare la pulizia del viso. Reazione impulsiva (e costosa), ma tentare non nuoce. Dopodiché bisogna razionalizzare. L’età è impegnativa, ma non possiamo demordere. Cose da ragazze (ed. Sonzo-
gno) – pubblicato il 25 settembre, già considerato dalla rivista «Internazionale» il libro da regalare di corsa a chi ha tra i 12 e i 13 anni – spiega tutto su quel corpo che improvvisamente suda, sanguina, a volte è percorso da brividi strani e si riempie improvvisamente di peli. L’hanno scritto due dottoresse norvegesi, la 33enne Nina Brochmann e la 29enne Ellen Støkken Dahl, entrambe con una formazione all’Università di Oslo ed esperte in educazione sessuale: l’una oggi lavora all’Akershus University Hospital, l’altra al Centro per la salute sessuale e riproduttiva di Oslo. Naturalmente non può mancare un capitolo sui brufoli! «Non sei la sola». «I brufoli non spuntano per colpa tua». «Tutto dipende da una predisposizione ereditaria, dal tipo di pelle e da un po’ di pura e semplice fortuna». Convincere di ciò le nostre figlie è sicuramente il primo passo. Per farlo possiamo ricorrere anche alle blogger che, a colpi di hastag honest, pubblicano foto al naturale. Nell’epoca social sono nate le acne influencer, giovani ragazze che si mostrano sui profili web con la pelle imperfetta sfidando l’odiosa pratica del body shaming, il bullismo nei confronti di chi non è perfetto secondo i canoni omologati di bellezza, brufoli inclusi. Una delle prime, già nel 2017, è Hailey Wait, coraggiosa diciassettenne del Colorado che, stanca di dover sempre nascondere il proprio volto, ha deciso di lanciare un appello attraverso il suo
profilo @Pigss su Instagram, e pubblicare le foto del viso, acne compresa. Una delle ultime è, l’estate scorsa, Aurora Ramazzotti, 23 anni, figlia di Eros Ramazzotti e di Michelle Hunziker: «Per postare una foto così, come l’hai scattata, ormai ci vuole coraggio. Soprattutto per chi da sempre fa a botte con la sua insicurezza, il suo peso, i suoi brufoli. Abbiamo dato vita ad una piattaforma dove essere “umani” spicca perché è quasi strano. Siamo tutti belli, famosi, felici e realizzati. Ma, visto che ne ho la possibilità, sfrutterò questa stessa piattaforma che sa di perfezione per ricordarci che la perfezione non solo non esiste, ma non è neanche bella. Siamo belli noi, con le nostre cicatrici, e anche se sembra tutto un po’ cliché, a questo punto non c’è cosa a cui credo di più». Capire cosa sono e perché vengono è un altro passo. Brufoli e punti neri sono la risposta ai nuovi ormoni che circolano nel corpo e la loro comparsa spesso è legata al ciclo mestruale. «Se osservi bene la tua pelle allo specchio, vedrai tanti piccoli forellini: sono i pori, cioè le aperture di minuscole cavità nascoste sotto la cute, al cui interno si produce una sostanza grassa che si chiama sebo – scrivono le dottoresse Nina Brochmann e Ellen Støkken Dahl –. Il sebo serve ad ammorbidire e proteggere la pelle e i capelli. Siccome il viso, a differenza del corpo che copriamo con i vestiti, è più esposto alle intemperie, un po’ di sebo è utilis-
simo, specie se fuori fa freddo. Durante la pubertà, quando nel corpo circolano più ormoni, i pori ricevono l’ordine di produrre più sebo. Di conseguenza, la pelle diventa più grassa. A volte l’apertura dei pori viene bloccata da cellule della pelle, che impediscono al sebo di uscire». Eccoli, brufoli («una piccola infiammazione dei pori») e punti neri (sotto cui si nasconde «un cilindretto di sebo morbido e giallastro»). Bisogna capire, poi, se c’è del vero in leggende come quella del rapporto tra cibo e brufoli. «L’hai sentita quella che mangiare la cioccolata o gli zuc-
cheri te li fa venire? – chiedono Brochmann e Støkken Dahl –. Comunque, una cosa è certa: gli scienziati non hanno trovato nessun legame sicuro tra brufoli e alimentazione». In ogni caso, nel dubbio, a Il caffè delle mamme, salame e cioccolata sono contingentati. Per fortuna le dottoresse norvegesi sdoganano all’occasione la possibilità di spremere un foruncolo: «A volte va bene, usando una certa cautela. Se i brufoli fanno male e sono maturi, fare uscire il pus può alleviare il dolore. Ma evita di schiacciare quelli non ancora maturi rischi di peggiorare la situazione, perché il pus che si trova sottopelle non ha via d’uscita. Per scongiurare un’infezione è sempre bene lavarsi prima le mani». Da mamme pratiche a Il caffè cerchiamo, però, soprattutto soluzioni. Il commento delle due dottoresse norvegesi all’utilizzo di un po’ di dentifricio – lì, proprio sulla punta del brufolo, come facevamo noi da giovanissime – è: «Non ci cascate!». Lo stesso vale per lo sciacquarsi la faccia con un panno umido (che rischia di riempirsi di batteri): «Meglio le mani ben pulite». Quel che resta davvero da fare: «Lavati la faccia una-due volte al giorno con un detergente delicato senza sapone: i saponi normali sono troppo aggressivi per la pelle del viso e possono peggiorare la situazione. E usa una crema idratante non troppo grassa». Perché accettarli va bene, ma curarsi anche un po’ la pelle è meglio. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Società e Territorio
Una nuova esposizione nazionale NEXPO I promotori la prevedono nel 2028 e la vogliono sostenibile, partecipativa e diffusa su tutto il territorio Stefania Hubmann NEXPO è un acronimo ancora poco visibile nei media, eppure il progetto di una nuova esposizione nazionale (Nuova EXPO) sta crescendo in diverse città svizzere, fra le quali anche Lugano. L’orizzonte temporale sembra lungo, poiché l’evento culminerà nel 2028 con la possibilità di vivere e sperimentare in tutto il Paese proposte di convivenza che vedranno la luce negli anni a venire. Il lavoro sta però già entrando nel vivo con iniziative locali e il coordinamento dell’associazione fondata a questo scopo, per cui NEXPO 2028 diventerà un richiamo sempre più frequente. Nata per iniziativa delle dieci maggiori città svizzere, la Nuova EXPO si vuole tale perché punta ad una forma totalmente inedita. Per volere dei suoi promotori sarà infatti sostenibile, partecipativa, orientata al futuro e diffusa su tutto il territorio. Il tema principale della convivenza nella Svizzera del XXI secolo sollecita tutti a chiedersi sin d’ora in quale futuro ci si vuole proiettare in un’era in cui globalizzazione, digitalizzazione, cambiamento climatico e migrazione sono sfide mondiali da cogliere come opportunità piuttosto che subire arrendevolmente. Tutti possono contribuire a forgiare il grande evento di portata nazionale
e con esso il proprio futuro. Questo il senso del progetto, la cui prima idea, come spesso accade, è stata abbozzata durante una pausa caffè nel 2016 dai sindaci di Basilea, Berna, Bienne, Ginevra, Losanna, Lugano, Lucerna San Gallo, Winterthur e Zurigo. Quest’ultima ha svolto un ruolo trainante e presiede il consiglio direttivo nella persona della sindaca Corinne Mauch, mentre i vicepresidenti sono i colleghi Alec von Graffenried (Berna), Sami Kanaan, (Ginevra) e Marco Borradori di Lugano. Ecco quindi che la Città ticinese è chiamata a giocare un ruolo di rilievo nel consolidamento della candidatura di NEXPO a esposizione nazionale, candidatura che dovrà essere sottoposta al Consiglio federale.
È iniziata ora la fase di consolidamento del progetto NEXPO che coinvolge 17 città svizzere, tra cui Lugano Tornando al coinvolgimento della popolazione, una prima possibilità su scala nazionale è offerta dal sondaggio online NEXPLORER (www.nexplorer. ch) lanciato lo scorso primo agosto e presentato durante un tour estivo che
ha toccato diverse città. A Lugano la bicicletta con rimorchio di NEXPLORER è giunta il 21 agosto per invitare la gente ad esprimere preoccupazioni, desideri e motivi di gioia attraverso le risposte a 50 domande. Si tratta di un sondaggio sui valori al quale nelle prime settimane hanno partecipato oltre 2500 persone. Dai risultati raccolti finora sono state individuate le prime tendenze. In un anno pesantemente condizionato dalla pandemia gli auspici per il proprio Paese riguardano in prevalenza sicurezza e stabilità (65%), ma anche equità e solidarietà (55%). Emergono inoltre propensioni diverse, ad esempio riguardo alla natura con la quale le donne nutrono un legame più forte rispetto agli uomini, o ancora una differenza fra residenti in campagna e in città per quanto concerne la dimensione del «Qui» (per la quale propendono i primi) e quella del «Là» (più accentuata nel secondo caso). Questi poli, unitamente a «Io» e «Noi», si trovano alle quattro estremità della croce svizzera personalizzata che ogni partecipante ricava al termine del sondaggio. Nel complesso i primi dati indicano che le croci dei gruppi analizzati presentano molte più affinità che differenze. Come testimonia questo tassello della fase esplorativa, le modalità digitali rivestono un ruolo chiave nell’in-
Corinne Mauch, sindaca di Zurigo, durante la conferenza stampa tenutasi a Berna lo scorso 12 settembre dopo l’incontro di tutti i rappresentanti di NEXPO. (Keystone)
tero progetto. Ad un uso intelligente delle moderne tecnologie punta anche Lugano con l’obiettivo di costruire un futuro che abbini qualità di vita e sostenibilità a fronte di una crescente urbanizzazione. Questo processo, che si sta concretizzando attraverso le Linee di Sviluppo 2018-2028 e lo specifico impulso del laboratorio urbano Lugano Living Lab, è in sintonia con i propositi della nuova esposizione nazionale, come rileva Giorgio Maric, direttore dell’Ufficio di statistica della Città e suo rappresentante in seno alla direzione di NEXPO. Precisa l’intervistato: «La Città di Lugano è interessata da una profonda trasformazione, condizionata da fattori esogeni come la dimensione e una dinamica accelerata, ma anche interni nell’ambito della visione e delle relative strategie volte a renderla un luogo attrattivo dove vivere e lavorare. Questa trasformazione costituisce un’opportunità per chinarsi sui reali bisogni dei cittadini, così come NEXPO intende fare sul piano nazionale. Bisogni legati ad esempio al contatto con la natura – qui Lugano ha ancora un ampio margine di manovra valorizzando i territori aggregati – ma che devono tener conto delle esigenze economiche associate alla dimensione del lavoro sfociando in compromessi accettabili e sostenibili. Va rilevato come in questa visione l’innovazione tecnologica non rappresenti una finalità, bensì uno strumento al servizio degli obiettivi perseguiti». Quale a questo punto il ruolo delle dieci maggiori città svizzere? Risponde Giorgio Maric: «L’intento iniziale, poi sfociato nel progetto NEXPO, era di riconoscere la responsabilità delle città in quanto detentrici di una massa critica di competenze e di un ampio spettro di sensibilità nel processo strategico di riflessione sul Paese, sui valori, sulle modalità di convivenza lungo un asse temporale che giunge fino a fine secolo. L’idea di abbinare questa riflessione a un’esposizione nazionale è emersa pensando al “diritto” di ogni generazione di poter vivere pienamente un evento di tale portata. Il questionario Gulliver dell’EXPO ’64 svoltasi a Losanna – una serie di domande per i visitatori le cui risposte non furono rese pubbliche per volontà del Consiglio federale – ha ispirato il sondaggio NEXPLORER.
Questa volta un’indagine che precede l’evento e all’insegna della massima trasparenza». A livello locale sono già stati avviati percorsi concreti da inserire nel più ampio progetto nazionale volto ad identificare su tutto il territorio i punti di riferimento della Svizzera di domani, alcuni esistenti, altri nuovi. Giorgio Maric illustra una prima nuova iniziativa luganese: «Un programma sperimentale di formazione per allievi e allieve delle scuole elementari della Città è stato presentato durante la recente manifestazione “Aspettando le giornate digitali”. Denominato TAC (Tecnologia, Ambiente, Competenze), ha quale obiettivo lo sviluppo di competenze nella raccolta e nell’interpretazione di dati ambientali e nella didattica con l’ausilio di tecnologie digitali. TAC intende avvicinare i più piccoli, ma anche gli adulti, all’uso di queste tecnologie in modo originale e ludico per accrescere la sensibilità ambientale e favorire l’adozione di comportamenti sostenibili. Saranno raccolti dati relativi a temperatura, umidità, qualità dell’aria, rumore e luminosità. Pure in questo caso la tecnologia è utilizzata come prezioso alleato». Il progetto sarà proposto nelle classi nel corso di questo anno scolastico e al pubblico durante alcuni incontri previsti nel 2021. Il mese di ottobre coincide anche con l’inizio della fase di consolidamento (prevista fino al 2022) di NEXPO, cui hanno nel frattempo aderito altre sette città: Aarau, Coira Friburgo, La Chauxde-Fonds, Neuchâtel, Sciaffusa, Uster. In questo periodo ci si concentrerà sulla partecipazione della popolazione e sul processo politico con la candidatura ufficiale presso la Confederazione. NEXPO 2028 è un progetto innovativo che mira a coinvolgere l’intero Paese valorizzando le iniziative locali. Uno dei suoi punti di forza, come sottolinea Giorgio Maric in conclusione, è costituito dal carattere evolutivo grazie al quale è possibile dar vita con dinamismo e agilità alla visione della Svizzera del futuro così come desiderata dai suoi cittadini. Informazioni
www.nexpo.ch, www.luganolivinglab.ch
Dai bambini per i bambini Pro Juventute Dalla vendita di confezioni di panpepato si imparano
le regole base della gestione del denaro in nome della solidarietà Guido Grilli Ma che ne sanno i bambini del denaro? Vendere, ricevere soldi, consegnare il resto non sono un’esclusiva del mondo degli adulti? Nient’affatto. Sin da piccoli si possono – si dovrebbero – maturare concrete esperienze per misurarsi con le monete e le prime banconote per conoscerne il reale valore e il significato. Ne è convinta da lungo tempo Pro Juventute, che dal 26 ottobre al 5 dicembre ripropone l’iniziativa denominata «Dai bambini per i bambini». Si tratta della vendita di confezioni di panpepato alla nocciola, un’azione tanto semplice quanto tangibile nel campo della vendita che mira a molteplici obiettivi e opportunità: incrementare il budget della propria classe di scuola o della propria associazione e, allo stesso tempo, contribuire al finanziamento del numero d’emergenza telefonico di sostegno a bambini e giovani in difficoltà, «Consulenza + aiuto 147» e di altri progetti di Pro Juventute.
Cosicché all’iniziativa possono partecipare classi e sodalizi, coinvolgendo direttamente i bambini ad affinare l’arte del commercio e dell’economia, imparando a gestire il denaro e calandosi in situazioni reali, nonché a sviluppare il loro senso di responsabilità e di solidarietà. Naturalmente, l’iniziativa prevede una preparazione. Pertanto i docenti sono invitati a trattare l’argomento a scuola, discutendo e pianificando la vendita con i bambini e tutti gli aspetti che ruotano attorno alle regole del denaro, fra cui: come verrà utilizzato il denaro raccolto (budget della classe)? In quali zone è possibile vendere (vicinato, quartiere, spazio pubblico)? Come si organizza il quantitativo di monete per dare il resto? Come ci si approccia e quali parole e nozioni occorre conoscere per rivolgersi ai potenziali acquirenti dei dolciumi? Concretamente, il panpepato di Pro Juventute può essere acquistato a 4 franchi al pezzo. E i bambini e giovani
lo venderanno a 5 franchi, ciò significa che 1 franco andrà direttamente a favore della propria classe di scuola o dell’associazione che aderisce all’iniziativa. La vendita per i bambini rappresenta inoltre un importante banco di prova nel solco della responsabilità. Naturalmente con le necessarie precauzioni: gli alunni devono andare in giro in coppia, non entrare mai negli appartamenti delle persone alle quali si prospetta la vendita dei dolci ma rimanere all’esterno. E ancora: conservare al sicuro i soldi e i pezzi di panpepato non ancora venduti – a casa e in classe. Non portare con sé troppi contanti durante il giro di vendite (conservare eventualmente quanto si è guadagnato a casa di uno degli alunni). Vanno inoltre osservate le disposizioni anti-Covid che prevedono le distanze di sicurezza e l’uso delle mascherine. L’esperienza di Pro Juventute insegna che i bambini imparano da queste prime e concrete iniziative a familiarizzarsi su molteplici aspetti: relazionarsi,
I bambini possono sostenere progetti a favore di propri coetanei. (Pro Juventute)
mostrarsi in grado di spiegare chi sono i beneficiari della vendita per ottenere le migliori reazioni da parte degli acquirenti; saper far di conto, conteggiare i guadagni con l’aiuto degli insegnanti, creare tabelle per un riscontro contabile. Insomma, prodigarsi nella vendita attrezzati di risorse valide. L’iniziativa di Pro Juventute rappresenta anche per la scuola un’occasione multidisciplinare, attraverso ad esempio lezioni nel campo della matematica – familiarizzandosi con concetti quali le statistiche di vendita; e dell’italiano – misurando la propria capacità
di esporsi ed esprimersi di fronte agli altri e di saper comunicare adeguatamente. Insomma, l’iniziativa dal motto «Dai bambini per i bambini» mette in campo un’ampia gamma esperienziale per gli alunni, dall’esercizio pratico di natura economico-finanziaria con le vendite delle confezioni di panpepato, fino a prime esperienze di autonomia con la realizzazione di un progetto concreto, che oltretutto s’inserisce nell’ambito della solidarietà a favore dei propri coetanei, dal momento che a beneficiare delle vendite sono principalmente progetti per la gioventù.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Freschezza floreale Nuova fragranza e nuovo design: l’ammorbidente Exelia Elegant Purple dona al bucato una freschezza floreale dal piacevole profumo di gelsomino e iris, con una nota fruttata di bacche. Grazie a pregiate materie prime, il bucato ha un profumo gradevole, che si mantiene per molto tempo anche dopo aver indossato i capi. L’ammorbidente protegge inoltre i tessuti dall’usura e previene le cariche elettrostatiche. La linea Exelia ha da qualche tempo un nuovo design, i prodotti sono facilmente biodegradabili, mentre la loro compatibilità cutanea è stata dermatologicamente testata.
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Ammorbidente Exelia Florence Confezione di ricarica, 1,5 l Fr. 3.25 invece di 6.50
Freschezza duratura
I profumi per bucato Exelia contengono un’innovativa tecnologia attiva: ad ogni movimento delle microscopiche capsule freschezza rilasciano la fragranza in esse racchiusa.
Ammorbidente Exelia Elegant Purple Confezione di ricarica, 1,5 l Fr. 3.25 invece di 6.50
Ammorbidente Exelia Fresh Morning Confezione di ricarica, 1,5 l Fr. 3.25 invece di 6.50
Ammorbidente Exelia Peach & Citrus Confezione di ricarica, 1,5 l Fr. 3.25 invece di 6.50
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Società e Territorio Rubriche
Approdi e derive di Lina Bertola Il valore della misura e i lupi hobbesiani Di conflitti di interesse si discute spesso, direi sempre di più. Benché emerga soprattutto in ambito politico, il tema ha però radici profonde che si manifestano anche in molte altre situazioni in cui sono in gioco i valori del vivere e del convivere. Una radice importante dei conflitti etici che riguardano tutti noi sta proprio nel duplice volto del vivere. Perché per scegliere il proprio cammino è necessario appartenere a sé stessi, vivere il contatto intimo e personale con il valore della propria vita e desiderare affermarlo. Nello stesso tempo, però, è necessario percepire anche la nostra appartenenza al mondo che ci ospita con i suoi valori e ci invita a condividerli. Questo duplice volto del vivere richiede a volte equilibri difficili che espongono ai rischi di un conflitto interiore. Un esempio illuminante, che riguarda un po’ tutte le sfere della convivenza, concerne il rapporto tra competizione e collaborazione. A ragione si afferma
che il nostro mondo diventa sempre più competitivo. Ecco allora la domanda: in un contesto che esalta la cultura della performance, dell’efficienza, della prestazione migliore e vincente, come può esprimersi il bisogno di sempre migliorarsi? Che significato può assumere questo desiderio che ci sollecita e ci accompagna durante tutta la vita? Siamo forse sempre più orientati a concepire la vita come una gara, come una continua competizione? In realtà qualche segnale che le cose stiano proprio così ci viene, ma è solo un esempio tra molti possibili, fin dall’infanzia. Basta guardare come i bambini vengono accolti nel mondo dello sport. Qui gli aspetti ludici non sono distinguibili dagli aspetti competitivi, seppure a volte concepiti come una benefica gara con sé stessi. Sullo sfondo di atmosfere competitive non sempre indolori, il desiderio di affermarsi migliorando le proprie prestazioni mantiene comunque molti
aspetti positivi, alimentati da quell’idea di progresso che ha profondamente segnato la cultura della modernità. In questo senso, pur con le difficoltà di un suo corretto esercizio, la tanto discussa meritocrazia sembra esprimere uno dei volti più sani della competizione. Le derive sono tuttavia sempre in agguato e il valore insito nel desiderio di migliorarsi può trasformarsi nel desiderio di primeggiare ad ogni costo, ad ogni prezzo, come mostrano le sempre più frequenti tristissime vicende di mobbing, pronte a risuscitare la prospettiva hobbesiana di guerra di tutti contro tutti. Sono derive individualistiche che trasformano e soprattutto tradiscono il valore dell’individuo e delle sue responsabilità. Derive che entrano in conflitto con un altro valore del vivere e del convivere, ovvero con la condivisione di mete comuni basate sulla collaborazione. Unire lo spirito competitivo con quello
collaborativo pare una bella scommessa etica che fonda tanto l’esercizio democratico del potere quanto l’impresa scientifica, fino alle forme più minuscole di altri possibili «giochi di squadra». Una scommessa etica bella, ma molto difficile da praticare. Le vicende di questo equilibrio difficile e delicato, sempre esposto al conflitto, hanno attraversato la nostra civiltà fin dalle sue origini. L’etica eroica, quella dei poemi epici, conteneva di fatto un’esaltazione della hybris, ovvero della dismisura: coraggio, audacia, ma anche tracotanza nell’affermazione di sé degli eroi omerici. La cultura della polis elabora in seguito un orizzonte etico che tende a superare questa visione, ancora sostenuta dai sofisti nel dibattito con Socrate. Un nuovo orizzonte in cui si afferma il valore della misura e il senso del limite nell’espressione e realizzazione di sé. Il valore della misura permette di contrastare quel desiderio di hybris mai
completamente sopito che spinge gli uomini a quelli che ancora oggi chiamiamo deliri di onnipotenza. È forse la premessa di una vita davvero felice, riuscita nell’espressione delle proprie potenzialità, quella in cui la propria forza interiore riesce a sbocciare e ad espandersi in modo armonioso. Platone Aristotele Epicuro, seppure in modi assai diversi, indicano una via comune verso forme armoniose di realizzazione della propria vita. La modernità ha in seguito rielaborato questo orizzonte di pensiero con l’idea forte di una comune appartenenza come misura della nostra umanità: limite ma anche sorgente di un vivere e convivere felici. La dismisura come controvalore individualistico ha attraversato comunque, come una spina nel fianco, tutta la nostra storia. Lo abbiamo appena ricordato a proposito dell’attuale ricomparsa dei lupi hobbesiani. Il pasticcio etico è di nuovo servito.
roccia, corde eccetera ma anche gli impianti sciistici per me rovinano il paesaggio. Un sentiero sbagliato apposta, per il gusto di perdermi nei boschi, mi fa trovare bellissime castagne grosse tipo marroni e una curiosa fontana nella roccia dalla quale bevo acqua rigenerante. Vivere di acqua fresca, castagne, sole in faccia, penso, per un paio di giorni, non sarebbe male. Come Gusto, chiamato così perché si gusta la vita. La grotta Gräser (437 m) come la chiamano alcuni, meglio nota come Grotta dei Pagani e segnata nella cartografia ufficiale come Tana dei Pagani, benché non indicata e il sentiero trascurato non facilissimo da individuare o indovinare, alla fine è meno imboscata di come me la immaginassi. «Dopo il posteggio vai dentro a sinistra cento metri nel bosco» mi ha detto prima uno alle prese con il zacky-boy – allegro elvetismo per decespugliatore la cui variante altoticinese è jacky-boy – su in cima tra massi erratici verso il monte Ruino. Un vecchio castagno vigila davanti la grotta come un guardiano,
tra massi ammantati di muschio. Non sono neanche tanto un fan di grotte, va pur detto, ma questa è particolare. L’apertura nella pietra è speciale, come una bocca o un becco, perdipiù compie un arco. Resti di un fuoco davanti. La terra è nerissima. Sulla roccia interna disegnini slavati di neoneanderthal. Entro nell’antro-tana e mi siedo, non serenissimo, su un masso. L’aria è umida-opprimente, noto due anelli da catena legati a una vite imbullonata. «I 20’000 Bovis osservati nell’antro sono un chiaro invito a un momento di introspezione» scrive Claudio Andretta in Luoghi energetici in Ticino (2016). Qui nel 1907, Hermann Hesse, ospite al sanatorio del Monte Verità per disintossicarsi dall’alcol, è riuscito a dare una svolta alla propria vita grazie ai giorni iniziatici passati con Gusto Gräser. Profeta-vagabondo con i sandali in pelle alla schiava, al quale, un mese fa, è stato dedicato un bel ritratto su «Libération» firmato da Agnès Giard dove viene definito «il più celebre» tra i fondatori del Monte Verità. Vado a
far legna e accendo un fuoco. Mi sono portato nello zaino tutto il necessario per le caldarroste: castagne raccolte giorni fa e messe al sole, pentola apposita in ferro battuto, treppiede sempre in ferro battuto che potevo forse anche lasciare a casa visto che dei sassi scelti potrebbero svolgere la stessa funzione di sostegno. Ripenso a quel giovanile dipinto misterioso – l’unico rimasto di Gräser, gli altri li ha distrutti a ventanni per poi mettersi in cammino – che mi ha portato qui. Tra i boschi di castagni secolari, sulla soglia dell’ashram losonese. Luogo ideale per una robinsonade sudalpina. Trovo energetico già l’odore delle castagne abbrustolite sulla brace. Ricche di vitamine e minerali, rinforzano i muscoli, rigenerano i nervi, utili in caso di stanchezza psicofisica. «Le castagne sono un dono della Madonna, non solo del Signore» declamava, nel suo bislacco discorso settimanale in piazza, a Ponte Capriasca, il Rota. Eremita un po’ matto che viveva in un rustico semidiroccato in mezzo ai boschi della Meraggia.
l’investitore in hedge fund Peter Thiel con la loro startup Unity Biotechnology. Anzi, secondo Thiel «il grande compito del mondo moderno è fare della morte un problema risolvibile». Compito rimandato, evidentemente, al dopo Covid. Il libro parla di molte cose e ve lo consiglio nei weekend a venire un po’ più freddi e solitari perché può aiutarvi a ritrovare il focus e a non perdere la speranza mentre, se avete fortuna, dalla finestra della vostra sala potete ammirare le foglie rosse degli alberi. Girst stesso lo dice «se devo essere onesto, con questo libro ho cercato prima di tutto un aiuto per me stesso. Un aiuto in un mondo in cui il brutto, a quanto pare, si sta diffondendo sempre più rapidamente e il bello sembra aver bisogno di protezione. Un aiuto in un’epoca in cui, spesso, mi tormenta il timore che un giorno i miei figli se la passeranno peggio della generazione che li ha preceduti
e che, nella maggior parte dei casi, ha beneficiato di straordinari privilegi». E alla domanda se l’essere umano è ancora in grado di creare qualcosa di meraviglioso risponde con esempi del passato, ad esempio con la storia del portalettere Ferdinand Cheval che lungo le rive del Galaure, nella cittadina francese di Hauterives, con pietre, conchiglie e ciottoli costruì il gigantesco Palais Idéal. Oppure Proust e la sua Recherche. «Quel che bisogna sapere è che non si legge Proust e basta, ma si vive con lui. Con il rallentamento che si accompagna alla lettura, con la concentrazione che il libro esige, con il tempo che richiede, il mondo di Proust guadagna fascino». Per leggere Proust bisogna accordare la propria anima come si fa con uno strumento, annotò lo scrittore Jochen Schmidt. Anche rileggere Proust può essere un’idea, nel caso, non dimenticate la cioccolata.
A due passi di Oliver Scharpf La grotta Gräser ad Arcegno In una stanza, al primo piano del museo di casa Anatta sul Monte Verità di Ascona, è esposto un grande dipinto a olio di Gustav, detto Gusto, Gräser (1879-1958). Cofondatore nel 1900 della colonia vegetariana Monte Verità, in contrasto con l’idea imprenditoriale del sanatorio – «insalatorio» come l’aveva soprannominato Mühsam – della coppia Oedenkoven-Hofmann, a un certo punto se ne va a vivere in una grotta non lontanissima, ad Arcegno. Paesino di pietra sopra Losone che attraverso e mi lascio alle spalle, incamminandomi lungo via Pestalozzi all’ora di pranzo verso la metà di ottobre. Ritrovato a Budapest, nell’estate 1981, in casa di un nipote di Gusto Gräser, raffigura un paesaggio silvestre mistico-onirico. Una famigliola nuda, proveniente da una landa infernale al crepuscolo, con corvi e condor appollaiati nel buio, sopra una falesia rocciosa, si affaccia a una radura paradisiaca nel bosco-giungla dove vedono tre caprioli. Dipinto in Transilvania, nell’autunno-inverno 1898-1899, s’ispira alla pittura visionaria di Karl
Wilhelm Diefenbach, utopista nudista fondatore, prima di approdare a Capri, di una comune vicino Vienna – precorritrice del Monte Verità – dove per un periodo vive Gusto Gräser. Proto-hippy, guru di Hermann Hesse considerato l’ispiratore di Demian (1919), come biglietto di visita dava dei fili d’erba. Gräser, in tedesco, sono i cespugli erbosi noti anche come graminacee. Oltrepassato il desolante Campo Pestalozzi, villaggio vacanze deserto dedicato dal 1929 al famoso educatore e pedagogista svizzero, finalmente respiro l’odore liberatorio di humus. Quando inizia la Strada dei Polacchi – costruita nella seconda guerra mondiale dai soldati polacchi internati come ricorda una targa nella roccia – incominciano i boschi e soprattutto emergono, tra stagni e graminacee, strane rocce enormi come promontori. Falesie levigate, potenti, aborigene. Nere-lucide, alla base, per via delle tante sorgenti che sgorgano e le bagnano, in cima sono deturpate da orde di arrampicatori. Mai sopportato, ve lo confesso, ganci conficcati nella
La società connessa di Natascha Fioretti Non dimenticate la cioccolata Confesso, ad attirarmi tempo fa è stato il titolo Tutto il tempo del mondo (add editore). Poi, sbirciando velocemente tra le pagine, per ben due volte, accanto a citazioni letterarie e filosofiche importanti mi è capitato di cogliere la parola cioccolata. È stato amore a prima vista. Chi mi conosce sa che nel mio caso la cioccolata non passa mai inosservata. E allora parlando di tempo, di quel tempo che in questi giorni di risalita di contagi e di misure da discutere è tornato protagonista, voglio partire dall’esempio della cioccolata. La persona vissuta più a lungo al mondo si chiamava Jeanne Calmet e aveva 122 anni. Morta ad Arles nel 1997 pare che mangiasse un chilo di cioccolata alla settimana. Devo provarci. L’altra cosa di cui ci parla Thomas Girst, autore e manager culturale tedesco, è il piacere dei sensi quando si assapora un pezzetto di cioccolata che, attenzione, non va masticato. «La cioccolata
va succhiata. Lentamente. Il sapore si deve espandere in bocca. Finché dura. Goditi ogni momento». So di cosa parla e lo spunto di riflessione è interessante. Abbiamo infatti disimparato ad assaporare lentamente i piaceri o più in generale i momenti della vita. Ad attenderli, soprattutto, facendo dell’attesa un regalo. «Tutto nella nostra società mira alla breve felicità immediata: espresso, zucchero, like su Facebook... Si tratta sempre di una soddisfazione istantanea. La soddisfazione immediata ci impedisce un benessere più profondo». A proposito di cioccolata, ho un amico che ne va matto. Lui però è molto misurato nel consumo, vale a dire che ogni sera dalla sua tavoletta rigorosamente al latte e con le nocciole, ne spezza un quadratino esatto, non di più. Ogni sera ripete lo stesso rituale e una volta richiusa accuratemente la confezione vive nell’attesa dell’indomani e di un
nuovo pezzetto. Oggi, secondo Girst, per la maggioranza delle persone il piacere si realizza facendo l’esatto contrario dunque riempiendosi la bocca per un unico momento purché questo dia l’illusione di poter avere sempre tutto. Tutto e subito, ovvio, grazie a internet. Ma di questo abbiamo parlato ampiamente in molte occasioni. Trovo invece interessante ciò che Girst mette in luce del nostro rapporto con la morte. «Who wants to live forever?» cantava Freddy Mercury nel 1986 e oggi che nessuno vuole invecchiare, figuriamoci morire, risuona come una domanda retorica. Anzi, la morte deve morire, acclamano i cosiddetti imprenditori della longevità, quelli, ad esempio, della California Life Company finanziata con un miliardo di dollari da Google, mentre Mark Zuckerberg ha investito seicento milioni di dollari nel suo centro di ricerca sulla cellula. Non sono da meno Jeff Bezos e
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Un buon impasto deve riposare a lungo
Pane del maniero dal forno a pietra Il pane del maniero, grazie all’alto contenuto di farina integrale, si caratterizza per il suo sapore pieno con una leggera nota aromatica acidula. TerraSuisse Pane del maniero dal forno a pietra 500 g Fr. 3.60
Il lungo riposo di sei ore conferisce ai pani cotti su pietra un aroma pronunciato e una più lunga conservabilità. Tra le 13 varietà disponibili alla Migros a base esclusivamente di ingredienti naturali ognuno troverà il proprio pane dal forno a pietra favorito
Nelle maggiori filiali
Bio Pane d’altri tempi dal forno a pietra 500 g Fr. 3.90
Azione 20X Punti Cumulus sul nuovo Twister ai semi di zucca dal forno a pietra fino al 2 novembre
TerraSuisse Ciabatta croccante dal forno a pietra 400 g Fr. 3.80
Rombo dal forno a pietra Un pane per gli amanti degli aromi speziati: pasta acida raffinata, germogli di frumento e segale regalano al rombo molto sapore. La crosta è fine e croccante, l’interno morbido e areato. Bio Rombo dal forno a pietra 250 g Fr. 2.50
Bio Twister chiaro dal forno a pietra 360 g Fr. 2.95
Foto e styling Veronika Studer
Concorso rispondete su www.pane-cotto-su-pietra.ch a una domanda sulla lievitazione e vincete con un po’ di fortuna un anno intero di pane gratis.
Limited Edition: Twister ai semi di zucca dal forno a pietra I semi di zucca conferiscono a questo pane disponibile solo in autunno quel tocco in più: sono contenuti sia nella crosta croccante sia nella mollica. Doppio sapore nocciolato garantito. Twister ai semi di zucca dal forno a pietra 400 g Fr. 3.30
Per i pani dal forno a pietra vengono utilizzati esclusivamente ingredienti naturali quali farina, acqua, lievito e sale. Allergeni come noci, uova e latte sono esclusi.
I pani dal forno a pietra sono cotti su una piastra di granito italiano. Questo procedimento permette di ottenere una crosta particolarmente croccante e una mollica molto saporita.
L’unione tra lavorazione artigianale tradizionale e moderna tecnologia fa sì che la pasta dei pani dal forno a pietra resti umida e morbida. Ciò permette di mantenerli a lungo freschi.
Più tempo ha la pasta per il pane di svilupparsi, più intenso sarà il suo sapore. Per questo i pani dal forno a pietra riposano sei ore prima di essere infornati. Bio Twister rustico dal forno a pietra 360 g Fr. 2.95
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Un buon impasto deve riposare a lungo
Pane del maniero dal forno a pietra Il pane del maniero, grazie all’alto contenuto di farina integrale, si caratterizza per il suo sapore pieno con una leggera nota aromatica acidula. TerraSuisse Pane del maniero dal forno a pietra 500 g Fr. 3.60
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Nelle maggiori filiali
Bio Pane d’altri tempi dal forno a pietra 500 g Fr. 3.90
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TerraSuisse Ciabatta croccante dal forno a pietra 400 g Fr. 3.80
Rombo dal forno a pietra Un pane per gli amanti degli aromi speziati: pasta acida raffinata, germogli di frumento e segale regalano al rombo molto sapore. La crosta è fine e croccante, l’interno morbido e areato. Bio Rombo dal forno a pietra 250 g Fr. 2.50
Bio Twister chiaro dal forno a pietra 360 g Fr. 2.95
Foto e styling Veronika Studer
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Limited Edition: Twister ai semi di zucca dal forno a pietra I semi di zucca conferiscono a questo pane disponibile solo in autunno quel tocco in più: sono contenuti sia nella crosta croccante sia nella mollica. Doppio sapore nocciolato garantito. Twister ai semi di zucca dal forno a pietra 400 g Fr. 3.30
Per i pani dal forno a pietra vengono utilizzati esclusivamente ingredienti naturali quali farina, acqua, lievito e sale. Allergeni come noci, uova e latte sono esclusi.
I pani dal forno a pietra sono cotti su una piastra di granito italiano. Questo procedimento permette di ottenere una crosta particolarmente croccante e una mollica molto saporita.
L’unione tra lavorazione artigianale tradizionale e moderna tecnologia fa sì che la pasta dei pani dal forno a pietra resti umida e morbida. Ciò permette di mantenerli a lungo freschi.
Più tempo ha la pasta per il pane di svilupparsi, più intenso sarà il suo sapore. Per questo i pani dal forno a pietra riposano sei ore prima di essere infornati. Bio Twister rustico dal forno a pietra 360 g Fr. 2.95
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Ambiente e Benessere Spine mediterranee La macchia nutre insetti strani e ispidi, che si cibano solo dei suoi vegetali
Intestini metropolitani Da Londra a New York, da Parigi a Roma, le città e i loro segreti sotterranei sempre più oggetto di curiosità e mete di un turismo ricercato
Un turismo campagnolo Tra le residenze di campagna e le ville medìcee della Toscana anche Villa della Petraia
Non solo di patate La purea di zucca con latte di cocco è deliziosa e ideale con i filetti di lucioperca pagina 23
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Il virus accelera
Covid-19 Salute psicofisica dei bambini
e della società sotto la lente
Maria Grazia Buletti A Zurigo, il 19 settembre scorso, circa 500 persone hanno protestato contro la «bugia del coronavirus» senza indossare, per principio, una mascherina, condizione invece imposta per autorizzare l’evento. La scorsa settimana, a Praga in migliaia hanno manifestato contro le restrizioni della Repubblica Ceca, che peraltro ha il più alto tasso di contagio in Europa. Malgrado la tendenza al rialzo dei contagi, molti oggi reagiscono con rabbia e malessere: chi ribellandosi alle autorità, chi negando, talvolta, le evidenze scientifiche sulla pandemia, chi prendendo sottogamba le indicazioni, fra ansiosi, depressi, tendenze suicidali e persone fuori controllo. «Psicologicamente, questa situazione di allerta sta creando una controreazione, quasi un rifiuto di ciò che succede: in effetti, più a lungo durano allarme e allerta e più sarà complicato gestire l’irritabilità dilagante e lo stato psicologico interiore», dice lo psichiatra e psicoterapeuta Michele Mattia che conferma la stanchezza di chi riesce sempre meno a seguire le indicazioni delle autorità, portando poi l’attenzione pure su chi manifesta conseguenze ben più gravi come depressione, tendenze suicidali e quant’altro: «Anche perché complottisti e negazionisti cominciano a rafforzarsi; mentre alcune personalità politiche di altri paesi deformano la vera portata dei fatti inerenti il virus, alimentando la confusione e le difficoltà delle persone già dubbiose. Così si causa inquietudine, difficoltà a seguire le linee guida e quant’altro. Oggi ci rendiamo conto della mancanza di quell’unità che aveva contraddistinto il lockdown e viviamo una disunità corrispondente sì alla democrazia e al pluralismo, ma che psicologicamente disgrega e può andare ad alimentare le fragilità delle persone». Molto preoccupata per l’aumento repentino di casi positivi al coronavirus dei suoi piccoli pazienti (che rispecchiano la curva in ascesa dei dati nazionali) la pediatra ticinese Patrizia Tessiatore esorta alla responsabilità individuale: «Sul sito UFSP (Ufficio federale della sanità pubblica) troviamo, suddivisi per sesso ed età, il numero di casi positivi dall’inizio della pandemia
fino a oggi: si osserva un netto aumento di quelli nella fascia pediatrica, in modo preoccupante dall’inizio di ottobre. Ad esempio, dal primo ottobre a oggi, in Ticino, il 14 ottobre la media dei positivi, da 0 a 9 anni, è di 3 nuovi casi al giorno; tra 10 e 19 anni, ne abbiamo 12, quando prima non c’erano dati così alti. Pur considerando le fluttuazioni, il numero di tamponi e il contact tracing, non possiamo negare la tendenza in aumento anche nei bambini e nei giovani. Anche il nostro servizio di sentinella pediatrica ticinese (tutti i pediatri del territorio possono inviare in forma anonima le schede relative ai loro casi positivi) rispecchia questa propensione». La pediatra è in allerta più che per il decorso della malattia nei bambini, per l’impennata del numero di casi positivi (che denota un allentamento delle regole di protezione da parte degli adulti) e delle relative ripercussioni sulla loro salute psicofisica: «Non cediamo all’allarmismo, ma è necessario aumentare il nostro livello di responsabilità personale: adesso ciascuno, per il proprio ruolo, deve fare il meglio per dare il proprio contributo e, di riflesso, proteggere l’equilibrio psicofisico di quelle fasce più vulnerabili tra le quali i nostri bambini». Se arrivasse una nuova chiusura, dice, ai bambini e ai giovani verrebbero nuovamente tolti «elementi essenziali di crescita come la scuola e lo sport, il loro benessere psicofisico potrebbe vacillare». Ora la stanchezza generale pare alleggerire le energie da investire nella protezione dei singoli e della collettività. Perciò la dottoressa Tessiatore si rivolge direttamente ai bambini: «Siate di stimolo per farci riflettere sulle rinunce che possiamo mettere in atto per il vostro benessere, non per il Covid, ma per le conseguenze psicologiche che un aggravamento della pandemia comporterebbe anche per voi ragazzi». Secondo lei, i bambini ci possono dare la «risposta» alle difficoltà che il coronavirus ci sta imponendo: «Se li sappiamo osservare e ascoltare, loro ci parlano e ci chiedono di riscoprire il valore delle piccole rinunce e del tempo in famiglia. Oggi li vediamo andare nuovamente a scuola, praticare sport, vivere. Chiediamoci se deside-
La pediatra ticinese Patrizia Tessiatore mentre visita una giovane paziente. (Stefano Spinelli)
riamo che tutto ciò subisca una nuova interruzione e pensiamo, oltre alle ripercussioni di tipo economico, anche alle conseguenze psicofisiche di tutti, compresi i nostri figli per i quali vorremmo il meglio». Dal canto suo, lo psichiatra conferma che i bambini sono sicuramente in grado di comunicare «attraverso la parte sensoriale, con le emozioni e le relative reazioni comportamentali. Dobbiamo ascoltarli perché vivono comunque il disagio degli adulti e della società che si è “mascherata”. I bambini si chiedono dove sia il grande mostro che arriva? Dove si nasconde?, e si trovano nella “terra di mezzo” per rapporto agli adulti». I due specialisti sono concordi sull’importanza di cogliere il malessere psicofisico dei nostri giovani, ma il dottor Mattia puntualizza: «È essenziale ascoltarli, assicurare loro la libertà che
devono avere e permettere loro di mantenere sane abitudini e necessità fra cui il gioco, ad esempio. Poi, però, dobbiamo entrare nel loro mondo attraverso i nostri strumenti di adulti, senza seguirli nelle loro sensazioni perché verrebbe a mancare la capacità panoramica della società. Ciò permetterà all’adulto di prendere decisioni migliori secondo una sensibilità più profonda». Il dottor Mattia auspica che non si giunga a un secondo lockdown, concorde che questo potrebbe minare pure le necessità psicofisiche dei bambini e degli adolescenti. L’incognita sta nel non sapere, in termini di equilibrio psicofisico, se la gente riuscirebbe a sopportare una nuova chiusura: «Sarebbe tollerata, ma aumenterebbero le crisi relazionali, i disagi e le tensioni a livello di micro e macro società. Andremmo verso un
condizionamento significativo del vivere quotidiano e le relazioni sociali sarebbero messe a rischio, con conseguenze psichiche che non dobbiamo sottovalutare». La ricetta sta nella tanto evocata responsabilità individuale e nell’essere coscienti che non esiste solo il Covid: «Valutiamo attentamente tutto sui piatti della bilancia, altrimenti corriamo il rischio di dare troppa attenzione al coronavirus sottostimando le problematiche di salute connesse ad esso: parliamo di parecchie sofferenze psicofisiche che possono tramutarsi in psichiatriche forti, fino all’aumento di suicidi. Maggiore è la pressione e più aumenteranno le contro-reattività aggressive». Molto di quel che sarà della nostra salute psicofisica nelle prossime settimane dipenderà dunque sempre e solo da tutti noi.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Ambiente e Benessere
Insetti cavernicoli e spinosi
Entomologia I differenti vegetali, che compongono la macchia mediterranea, nutrono una fauna
altrettanto peculiare – Seconda parte dell’articolo «Strani insetti e loro storie»
Alessandro Focarile Peculiari condizioni climatiche in tutte le regioni affacciate al Mediterraneo sono: l’elevata luminosità comparabile a quella delle altitudini alpine, la scarsa nebulosità, la notevole insolazione nel corso dell’anno, la presenza di una stagione calda e asciutta alternata a una stagione piovosa e mediamente mite. Nelle regioni litoranee del Mediterraneo, e dove non è stata distrutta dall’uomo, domina una peculiare formazione vegetale: la macchia mediterranea, tuttora presente lungo ampi settori della costa del Mare Tirreno, dalla Toscana fino alla Campania e soprattutto in Sardegna, dove ricopre vasti territori anche nell’entroterra. La macchia mediterranea può essere definita come una boscaglia composta di vegetali legnosi con portamento arbustivo alto fino a tre metri, sempreverdi e con fogliame coriaceo spesso spinescente, lucido e ricco di cellulosa e di sostanze aromatiche.
L’Hispa testacea è una singolare creatura irta di spine, la cui larva si comporta in modo piuttosto raro tra gli insetti coleotteri Nelle sue fasi più mature, nella macchia mediterranea prevale il leccio (Quercus ilex) dal portamento arboreo, con per l’appunto foglie spinescenti fino a tre metri, per contrastare la brucatura delle capre. Mentre nelle fasi più alterate da incendi e pascolo, essa è composta da un intrico arbustivo, la cui copertura emblematica è costituita dalla dominanza del corbezzolo (Arbutus unedo) che ospita il bruco della più vistosa farfalla europea: il Pascià con le lunghe code (Charaxes jasius). Oltre a un ampio e profumato corteggio di cisti (bianchi e rosa), rosmarini, ginestre, mirti, filliree, pistacchi e lentischi.
La spiaggia di Randello, in Sicilia, conta molte piante, tra cui eucalipti, mirti e altre specie della macchia mediterranea: un habitat ideale per varie specie di esseri viventi. (Riserva Naturale Randello)
Percorrere in primavera le distese di macchia mediterranea è come entrare in una ben fornita erboristeria, generosa non soltanto di profumi, ma anche di colori e di inebrianti sensazioni. Ed è proprio la macchia mediterranea ad ospitare anche una ricca e variegata fauna di insetti che si cibano dei suoi vegetali: dalle radici ai pollini dei fiori ai differenti livelli. Si tratta di una componente arcaica dell’ambiente al pari della vegetazione, entrambe testimonianze di ambienti caldo-umidi persistenti durante parecchi milioni di anni. E persistenti anche tuttora su vaste aree del Globo: in California, nel Cile, in Sud Africa e in talune regioni dell’Australia dove si ripetono le condizioni climatiche della regione mediterranea propriamente detta.
I differenti vegetali che compongono la macchia mediterranea nutrono anche una fauna di insetti altrettanto peculiare. Spesso si tratta di entità «monòfaghe» (= che si nutrono soltanto di una specie vegetale). Per esempio, la crisomela del rosmarino (Chrysolina americana), la Colaspidea metallica, l’Hispa testacea, entrambe esclusive dei cisti. Quest’ultima è una singolare creatura irta di spine, la cui larva ha un comportamento piuttosto raro tra gli insetti coleotteri. Difatti, la larva dell’Hispa testacea è una «minatrice» in quanto scava le sue gallerie di alimentazione tra le due pagine di ciascuna foglia dei cisti, evitando di rosicchiare la foglia stessa e la superficie e i bordi. A quanto pare, le nervature adducono sostanze tossiche (alcaloidi). Si
tratta di un bel coleottero di colore rosso-corallo, lungo 5-6 millimetri, e con il corpo e le zampe ricoperti da lunghe spine rigide, una efficace difesa contro gli eventuali predatori sempre in agguato, come le lucertole e gli uccelli. Le spine nelle foglie dei vegetali sono particolari produzioni rigide derivate dalla trasformazione ed evoluzione di foglie primitive, oppure primitivi peli in taluni animali vertebrati e insetti, come in molte cavallette e cimici delle piante (Emitteri). Tra i vertebrati sono note diverse specie di lucertole di clima tropicale, e alle nostre latitudini l’istrice, un vistoso mammifero popolante la macchia mediterranea, e il grazioso e vistoso porcospino (il risc pursel, in dialetto lombardo). Mamma istrice e mamma porcospino non hanno problemi nel partorire minuscoli
esserini pelosi, che si trasformeranno, crescendo, in robusti animali irti di spine. All’epoca dei dinosauri, durata 140 milioni di anni, numerose specie erano vegetariane e munite di numerose spine per difendersi dagli attacchi dei dinosauri carnivori. Grazie alle spine: mangiare e non essere mangiati. Anche il fico d’India ha le spine. Bibliografia
Luigi Fenaroli. La Flora mediterranea. Aldo Martello Editore (Milano), 1968, 2 voll., 143 + 156 pp. Informazione
La prima parte dell’articolo è uscita su «Azione» no. 41 del 28 settembre 2020.
Un frutto velenoso? Nutrizionista Si parla di melanzane: non sono davvero potenzialmente tossiche
come la credenza popolare sostiene
Gentile Laura, per il mio benessere (soffro un po’ di stitichezza e stanchezza) sto cercando di aumentare il mio consumo di verdure. Ammetto che non riesco a mangiarle tutte, ma mi sono fatta il buon proposito e quindi mi sto sforzando comunque a metterle sempre nel mio piatto. Tra quelle che potrei mangiare ci sono le melanzane, però mi scoccia prepararle perché complicate: da qui le mie domande. È vero che si devono prima tagliare e poi salare e lasciarle schiacciate per un’ora prima di consumarle perché sono tossiche? Perché se così fosse, la vedo dura aggiungerle nel mio piatto visto che lavoro e ho poco tempo per cucinare. Altre idee per mangiare più verdure? / Morena Cara Morena, bravissima, è importante aumentare il consumo di verdure per beneficiare di tutte le vitamine, i sali minerali, gli antiossidanti e le fibre che contengono. Vedrai che ti aiuteranno a stare meglio. Ricorda che per stare bene la Società Svizzera di Nutrizione consiglia di mangiare al giorno 600g tra frutta e verdura. Per aumentare la varietà cerca di
mangiare verdure più o meno simili e prova a consumarle in tutti i modi possibili. Se per esempio ti piacciono i broccoli, prova anche il cavolfiore: lo si può mangiare crudo, tritato finemente in insalata con olio di oliva, scaglie di grana e un po’ di pepe (vedrai che bontà), oppure al forno o bollito o saltato in padella... insomma, non ci si deve abbattere al primo tentativo, la cucina permette di trasformare il cibo in tanti modi e di trovare quello che più ci aggrada. Oltretutto si può pure pensare di
Pxhere.com
Laura Botticelli
aggiungere una verdura in un sugo per la pasta o in una torta salata così che il gusto sia mitigato dal resto e lo si accetti meglio. Cosa dire delle melanzane? La melanzana è tecnicamente un frutto, non un vegetale. Appartiene alla famiglia delle Solanacee. Ha origini antichissime che affondano in Oriente. Quando fu portata in Italia, a causa del suo sapore amaro e della credenza che consumarla cruda fosse velenosa, venne chiamata melanzana, la cui etimologia rimanda a «mela non sana». È disponibile in molte varietà diverse, tonde e ovali, e non tutte hanno il colore viola caratteristico, alcune sono rosate o bianche. Tuttavia, la maggioranza delle melanzane sfoggia questa tonalità tipica che è dovuta alla presenza di antocianine. Le antocianine sono pigmenti appartenenti al gruppo dei flavonoidi che spesso conferiscono appunto la colorazione viola ma anche rossa o blu a petali, foglie e frutti delle piante. Questo tipo di composto è anche responsabile del sapore amaro della melanzana, ma non solo: è anche il motivo per cui le melanzane diventano rapidamente marroni quando vengono tagliate. Non hanno però solo aspetti
«negativi» e perlopiù estetiche: le antocianine, infatti, sono efficaci nel proteggere le cellule dai danni provocati dai radicali liberi. Per rispondere alle sue domande, dunque: no, le melanzane non sono velenose, né cotte né crude. Tuttavia, le foglie e i fiori della pianta possono essere tossici. Le piante della famiglia delle Solanacee – che comprendono anche le patate, i peperoni e i pomodori – contengono un alcaloide chiamato solanina, che in dosi molto grandi può essere velenoso. Per l’adulto medio, 400 mg di solanina sarebbe pericolosa per la vita. Ma un conto è la quantità di solanina nella pianta, l’altro ciò che ritroviamo negli ortaggi: in media contengono da 2 a 13 mg di solanina e le melanzane ne contengono 11 mg al massimo. Quindi, per avere dei problemi di salute consumando melanzane crude se ne dovrebbero mangiare prima 36 tutte assieme. E mi pare parecchio improbabile che ciò possa accadere! È vero però che alcune persone – una percentuale molto piccola della popolazione – sono allergiche alle Solanacee e non possono mangiarle. Altre persone potrebbero scoprire che il contatto con le foglie o le piante pro-
voca loro irritazione della pelle, ma non è altro che prurito. Se avete il sospetto, vi consiglio comunque di parlarne con il vostro medico di famiglia. A che cosa serve dunque la pratica di salare e schiacciare le melanzane? È utile per far perdere l’acqua di vegetazione al frutto rendendo la polpa più asciutta e più dolce, ma anche quale prevenzione dell’imbrunimento della melanzana. Le melanzane «moderne» però sono selezionate per avere tutte, mediamente, un gusto più gentile e non essere eccessivamente acquose, quindi non è più necessario. Io lo consiglio solo in caso si vogliano friggere, per evitare che la melanzana assorba troppo olio. Questo articolo mi ha fatto venire voglia di preparare una buona parmigiana di melanzane… buon appetito a voi! Informazioni
Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch Le precedenti puntate si trovano sul sito: www.azione.ch
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Ambiente e Benessere
Il mondo sottosopra
Viandanti giardinieri
Viaggiatori d’Occidente Dalla stanza della guerra di Churchill alla fermata fantasma
di City Hall
Bussole I nviti a
letture per viaggiare
Claudio Visentin Scendere sotto le strade per visitare le viscere delle città non è un viaggio per chi soffre di claustrofobia, si capisce. In passato era un’esperienza avvolta di mistero, per pochi iniziati bene informati, ma da qualche tempo è sempre più comune; associazioni di appassionati esplorano nuovi spazi e li aprono al pubblico con visite guidate in sicurezza. Londra per esempio, dove recenti scoperte hanno riacceso l’interesse. Nell’Ottocento, Londra, al centro di un vastissimo impero che giungeva sino in India, era per così dire la capitale del mondo (New York sarà la sua erede dopo la Prima guerra mondiale). La città era già molto estesa e, non potendo abbattere edifici per rispondere a nuovi bisogni, si aprirono spazi sottoterra, a cominciare naturalmente dalla famosa metropolitana. Durante la Seconda guerra mondiale, quando i tedeschi bombardavano la città, Winston Churchill e il suo governo dirigevano la guerra sotto Westminster, dalle Cabinet War Rooms (una sala riunioni, la camera delle mappe, la stanza da letto del capo del governo, altri uffici e servizi). Tutto è rimasto come quando le luci furono spente nel 1945 e dal 1984 le stanze sono aperte ai visitatori, come parte dell’Imperial War Museum. Ma anche in questo caso, apparentemente ben conosciuto, non sono mancate le sorprese; proprio dalle Cabinet War Rooms parte un percorso sotterraneo di oltre sei chilometri e si torna alla luce su un’isola spartitraffico, nel mezzo di un’autostrada pubblica. Altri spazi furono costruiti durante la Guerra fredda. Un recente articolo della «BBC» ha rivelato l’esistenza del tunnel segreto del direttore delle Poste, costruito per proteggere i macchinari e le comunicazioni dalla minaccia delle bombe atomiche. Vi si accede dal seminterrato del monumentale War Office; il palazzo è stato acquistato nel 2014 dalla catena Hotel Raffles per trecentocinquanta milioni di sterline ed è destinato a diventare «The OWO», uno dei più raffinati hotel al mondo (54mila metri quadri, 125 stanze, 85 appartamenti; l’apertura è prevista nel 2022). Questi spazi sotterranei nascosti, spesso dimenticati, sono vere macchine del tempo, tra arredi arrugginiti degli anni Settanta, impianti in disuso e infiltrazioni d’acqua. Molti sono mal co-
«Questo libro è un invito ad arricchire il proprio spazio verde, passeggiata dopo passeggiata, con quanto gratuitamente la natura mette a disposizione lungo i sentieri (…) Non è un manuale di botanica, né di giardinaggio, ma offre utili spunti, filosofici e pratici, per guardare con altri occhi al paesaggio, per trarre più piacere dalle camminate e per rendere il vostro angolo verde molto speciale, ricco di biodiversità e di bei ricordi (…) Camminare attraversando paesaggi può creare uno spazio mentale…».
La stazione fantasma City Hall della metropolitana di New York chiusa nel 1945, ora richiamo per turisti. (Rhododendrites )
nosciuti, sia perché classificati in origine come segreti di Stato, sia anche solo perché gestiti da ministeri diversi (Difesa, Poste, Telecomunicazioni eccetera). Di alcuni si sospettava l’esistenza: quando la stazione della metropolitana di Westminster fu costruita, il governo respinse senza spiegazioni molte proposte di percorso, evidentemente perché avrebbero intercettato la rete di tunnel segreti. «Quando metti il piede su una pavimentazione in pietra a Londra, stai letteralmente camminando sopra centinaia di miglia di tunnel, passaggi, condotti, fogne, camere e luoghi segreti. La maggior parte delle persone non ha assolutamente idea che siano lì!» spiega lo scrittore Mark Ovenden. Lui sa bene di cosa parla. A sette anni ha percorso da solo dieci miglia nella metropolitana di Londra, armato unicamente di una mappa, e da allora non ha mai smesso di interessarsi al tema. Quest’anno ha pubblicato Città sotterranee (Underground Cities. Mapping the tunnels, transits and networks underneath our feet, Frances Lincoln editore). Per quanto Londra sia speciale,
anche altre città hanno costruito il loro doppione sotto la superficie, a cominciare da New York. Anche qui ci sono molte storie da raccontare. Il Proibizionismo ha lasciato innumerevoli stanze sotterranee utilizzate per distillare e immagazzinare alcolici. Infine, è ormai un segreto a tutti noto (il New York City Transit Museum organizza delle visite guidate una volta al mese) l’esistenza della famosa stazione fantasma della metropolitana a City Hall, costruita in un elegante stile liberty e inaugurata nel 1904. Dal 1945 è inutilizzata, per quanto ben conservata, ma si può vederla restando a bordo dopo l’ultima fermata (Brooklyn Bridge) della linea 6 verso sud. Il treno inverte il senso di marcia proprio percorrendo un anello lungo la stazione abbandonata. Altrettanto note sono le catacombe di Parigi (si entra da Place Denfert Rochereau): alla fine del Settecento nelle cave di pietra degli antichi romani – a circa trenta metri sotto la superficie, ancora più in basso dei binari della metropolitana – furono stipati milioni di corpi in precedenza inumati nei cimiteri cittadini. Durante la Seconda guerra mondiale i partigiani si nascondeva-
no negli oltre trecento chilometri delle gallerie, ma anche i soldati tedeschi crearono un bunker sotterraneo sotto il Lycée Montaigne. Allo stesso modo Napoli scavò dal sottosuolo la pietra per costruire i suoi edifici, così che la città di superficie si rispecchia negli spazi vuoti sotterranei, novecentomila metri quadri di cavità artificiali dove si trova di tutto, dai resti di acquedotti antichi ai rifugi antiaerei della Seconda guerra mondiale. Una curiosità? Si possono vedere automobili storiche abbandonate, risalenti a quando le autorità usavano questi spazi come deposito di veicoli sequestrati. Si potrebbe continuare a lungo: immaginate soltanto cosa potreste vedere a Roma. Ma è già chiaro il senso del discorso. Il viaggiatore contemporaneo padroneggia con raffinatezza diversi punti di vista. Grazie al drone scruta e fotografa la città dall’alto (una ticinese, Alessandra Meniconzi, ha da poco vinto un prestigioso premio internazionale in questo campo, il Drone Photo Awards 2020), poco dopo si aggira nei cunicoli sotto le case, passando di meraviglia in meraviglia.
È un libro originale, delicato, poetico. Racconta cinque camminate, in cinque diversi paesaggi italiani, dal nord al sud, dai monti al mare, percorse con gli occhi dell’aspirante giardiniere. Suggerisce come raccogliere semi e talee lungo i sentieri (ovviamente nello stretto rispetto delle regole), per trapiantarli poi nel proprio giardino o balcone. Invece del solito verde ornamentale senz’anima, il giardino sarà ispirato ai luoghi attraversati, alle piante incontrate sul cammino, ai ricordi e alle emozioni del viandante giardiniere. Al tempo stesso cominceremo a sentire il paesaggio come un giardino affidato alle nostre cure. Non serve andare lontano, anche la più semplice passeggiata intorno a casa svela inesplorate possibilità botaniche per chi sa cogliere la bellezza delle «erbacce» o delle piante cresciute nell’interstizio di un muro, con le loro effimere ma coloratissime fioriture. Per questa via si esplora una doppia felicità: quella del camminare, con occhi da botanico, l’Appennino, i boschi alpini, gli spazi residuali delle città, la macchia mediterranea, e la felicità di creare un balcone / giardino / orto resiliente, selvatico, profumato, etico. / CV Bibliografia
Nora Bertolotti ed Emina Cevro Vukovic, Consigli per viandanti giardinieri. Storie di paesaggi, semi e talee, Ediciclo, pp. 192, € 14.–. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere La grande fontana nei giardini di Villa della Petraia; una galleria fotografica più ampia si trova su www.azione.ch.
L’arte nella natura toscana
Reportage Nella quiete delle colline toscane, alla scoperta di Villa della Petraia, sulle orme dei Medici,
grandi mecenati fiorentini
Tommaso Stiano, testo e fotografie Pochi minuti a piedi separano la stazione ferroviaria di Santa Maria Novella dal centro storico di Firenze. Solitamente ci si ferma lì perché è tutto uno splendido «museo a cielo aperto» che si completa con la ricca offerta dei musei al coperto e delle magnifiche chiese urbane. Vale però la pena, ogni tanto, uscire dal trambusto cittadino alla scoperta di luoghi meno affollati, inseriti in paesaggi sintonizzati sul canale della tranquillità senza rinunciare né all’arte in tutte le sue espressioni né alle bellezze naturalistiche. È così che si scoprono residenze di campagna come le ville medìcee presenti in tutta la Toscana, un tempo luoghi riservati dai nobili soprattutto all’otium (riposo, quiete, nutrimento dello spirito, creatività), comunque non troppo lontani dai faticosi impegni del negotium (affari politici e commerciali) in cui bisognava rituffarsi… magari a spron battuto. La dinastia dei Medici, che governò Firenze e il Granducato di Toscana per
tre secoli (1434-1737), in queste dimore coltivava le passioni che resero celebre in tutta Europa la città sull’Arno e precisamente: le varie arti figurative (pittura, scultura…), la letteratura, la filosofia, le scienze, la musica, tutte arti di cui furono assidui mecenati, senza trascurare – noblesse oblige – la buona tavola e la convivialità, le escursioni campagnole e l’attività venatoria nei boschi adiacenti alle ville. Di sicuro – dicono gli storici – questa tipologia architettonica fuori le mura era molto apprezzata da Lorenzo di Piero de’ Medici (1449-1492), detto il Magnifico, banchiere, governatore, poeta, gaudente, quello di «Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: del doman non v’è certezza…» di liceale memoria. In meno di un’ora di viaggio dallo scalo ferroviario nominato all’inizio, con un bus di linea e una passeggiata a piedi, siamo arrivati a una di queste perle nell’ampio panorama delle verdi colline toscane disseminate di ulivi. Si chiama Villa della Petraia, sorge ai piedi del Monte Morello e oggi appartiene al
Polo Museale della Toscana; dal 2013 è contemplata nell’elenco del patrimonio Unesco assieme ad altre dodici residenze simili sparse nella regione e al blasonato Giardino di Boboli di Palazzo Pitti. Oltre il cancello al numero 40 di via della Petraia – toponimo che richiama la zona sassosa su cui sorge la residenza – si apre un grandioso parco cinquecentesco di oltre cinquemila metri quadrati che si sviluppa su tre livelli sfruttando la morfologia del territorio e la geometria per l’assetto di piante, fiori, siepi e arredi. Nel Rinascimento Villa della Petraia con i giardini all’italiana costituiva un esempio di architettura nella natura imitato in altre parti della Penisola e anche all’estero. Percorrendo il viale centrale raggiungiamo l’edificio signorile sul cui portone d’ingresso spicca l’inconfondibile stemma dei padroni d’un tempo, i Medici, con sei palle e i gigli sormontati dalla corona del Granducato di Toscana. Assieme ad altri turisti, siamo accolti dagli «Angeli del bello», studenti volontari che valorizzano le meraviglie di Firenze fungendo da guida ai visi-
tatori sia in pieno centro sia in campagna. Con due di loro che si alternano nelle spiegazioni cominciamo il giro della tenuta partendo dai giardini che permettono una splendida vista sulla città; continuiamo quindi all’interno, nella ventina di stanze della villa, non tutte ancora accessibili al pubblico. Arriviamo così nel fulcro della dimora, la corte interna. Questa si presenta nella sua spettacolarità costituita dai portici con le logge sovrastanti e con tutte le pareti affrescate nel Cinque-Seicento da pittori toscani che raffigurarono, tra le altre cose, gli eventi trionfali dell’illustre casato fiorentino. I ragazzi ci spiegano che nel 1872 questo spazio fu coperto con un ampio lucernario di vetro e ferro per ordine del primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, il quale volle trasformare il magnifico cortile in una grande sala da ballo per le feste con tanto di lampadario in cristallo al centro. Come capita sempre – continuano i due giovani – anche Villa della Petraia fu ampliata, rimaneggiata, modificata a seconda della volontà dei nuovi inqui-
lini, per cui le stratificazioni storiche sono parecchie; il nucleo originale risale al Medioevo quando probabilmente era un castello turrito e serviva a scopi bellici, ben differenti rispetto alla residenza rinascimentale. In un’ora e mezza passiamo in rassegna gli ambienti della vita di corte con mobili d’epoca e suppellettili ben conservati, opere d’arte di varia fattura e, in tre sale, ammiriamo le 14 lunette del fiammingo Giusto Utens che attorno al 1599-1602 ha raffigurato altrettante residenze suburbane dei Medici; sono documenti preziosi per un confronto con la situazione odierna, per vedere ad esempio com’era a quel tempo Villa della Petraia. Al piano superiore percorriamo gli ambienti tipici di una dimora nobile: spazi di rappresentanza, sala da pranzo, camere da letto, locali per la toeletta, studioli, la cappella, la sala giochi ben fornita e diverse altre stanze che prendono il nome dal colore della seta alle pareti. Davvero rilassante fuori dalla frenesia del centro cittadino. E poco lontano, volendo completare l’itinerario delle residenze toscane, c’è pure Villa medicea di Castello, la sede dell’assai nota Accademia della Crusca che sorveglia l’andamento della nostra lingua materna; qui solo il giardino è a ingresso libero, per la villa conviene informarsi. Dove e quando
Il cortile interno della villa della Petraia trasformato in sala coperta per le feste dei regnanti di casa Savoia.
La sala giochi della villa toscana, adibita per l’intrattenimento di padroni e ospiti, fu arredata tra il 1853 e il 1861.
Villa della Petraia, Via della Petraia 40, 50141 Castello (Firenze). Dalla stazione di S. Maria Novella, bus linea 2/28 fino alla fermata Sestese 03 di Viale Sestese, poi a piedi per un km passando da via G. Pazzagli, via R. Giuliani e via della Petraia. Visite: è meglio controllare nel sito orari e condizioni data la situazione postpandemica. Sito: www.polomusealetoscana.beniculturali.it (cercare Villa Petraia) e www.stazioneutopia.com/ villapetraia
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Ambiente e Benessere Migusto La ricetta della settimana
Purea di zucca al cocco con filetti di lucioperca Piatto unico Ingredienti per 4 persone: 2 zucche Hokkaido di ca. 800 g ciascuna · sale · 1 dl di
latte di cocco · 50 g di burro · pepe · 2 c noce di cocco grattugiata · 2 c di semi di zucca · 4 filetti di lucioperca di ca. 150 g ciascuno · 20 g di microgreen o germogli.
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
1. Dimezzate le zucche, privatele dei semi e tagliatele a cubetti senza sbucciarle, o a spicchi, e lessate in acqua salata per 15-20 minuti. Scolate il liquido. 2. Scaldate il latte di cocco e la metà del burro e incorporate alla zucca. Con una frusta mescolate fino a ottenere una purea. Condite con sale e pepe e tenete la purea in caldo. 3. In una padella antiaderente tostate la noce di cocco grattugiata e i semi di zucca, finché si dorano leggermente. Metteteli da parte. 4. Condite il pesce con sale e pepe. Fate fondere il burro rimasto in una padella antiaderente e rosolatevi i filetti di pesce da entrambi i lati a fuoco medio per circa 5 minuti. 5. Servite la purea di zucca al cocco con i filetti di lucioperca e guarnite con la noce di cocco e i semi di zucca messi da parte. Cospargete con i microgreen. Preparazione: circa 30 minuti; cottura: circa 20 minuti. Per persona: circa 36 g di proteine, 22 g di grassi, 18 g di carboidrati, 450 kcal/
1850 kJ.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Ambiente e Benessere
Ridimensionare o morire?
Sport Con o senza Covid, il professionismo è confrontato con inquietanti problemi finanziari. Come uscirne?
Credo che non ci sia un’unica ricetta garantita. Lascio agli economisti il compito di studiare le varie strategie atte a ridurre il debito contratto dal mondo dello sport professionistico in questi ultimi anni. Mi sento tuttavia di affermare che una possibile via d’uscita sia il ridimensionamento. Una famiglia che fatica ad arrivare al 25 del mese, si aggrappa a due semplicissimi principi: aumentare le entrate e diminuire le uscite. Impresa non facile, per il primo principio, allarmante per il secondo quando il bilancio è già ridotto all’osso. Vogliamo considerare lo sport come una grande e ricchissima famiglia? Che cosa può fare per incrementare le entrate? Vendere di più, e meglio, i suoi prodotti? Ma come può un fruitore medio spendere sempre più denaro per un bene non primario? Creare nuovi eventi, come ad esempio la Nations League, giunta nel 2019 a intasare un calendario sempre più compresso? Idem, come sopra. Il proliferare di eventi costringe ad aprire portafogli sempre più vuoti. Sedurre un numero sempre più importante di sponsor di alta gamma? Perché no? Sarebbe una via percorribile, ma di questi tempi, con gli stadi semivuoti, e soprattutto con ben altri problemi da risolvere, non sono molte le grandi imprese che avrebbero i mezzi per avventurarsi nel mondo dello sport. Non è un caso che nella caccia ai diritti televisivi per le prossime edizioni della Champions League si sia lanciata anche Amazon. Il colosso della vendita online è stato uno dei
grandi beneficiari dell’effetto Covid. E non è un caso che dalla corsa alle immagini si sia defilata la RAI, che non ha inoltrato nessuna offerta. In Italia, sindacati e Comitato di redazione hanno gridato allo scandalo. A me ha ricordato la rinuncia della SRG-SSR all’acquisto dei diritti di diffusione dei Mondiali di calcio del 2002 in Corea e Giappone. L’Agenzia che li deteneva aveva sparato molto alto, e l’allora Direttore Generale della TV Svizzera, Armin Walpen, dopo un’estenuante negoziato, aveva chiuso la porta dicendo: «Teneteveli!». Ricordo che a suo tempo non mi ero scandalizzato. Anzi! E non mi scandalizzo per la scelta fatta dai dirigenti di Saxa Rubra. La considero un segnale di senso di responsabilità. A mio modo di vedere ci sono delle priorità di cui un’emittente pubblica deve tener conto. Nonostante l’esplosione dei costi e l’inevitabile riduzione delle entrate, lo sport pare non avere intenzione di ridimensionarsi. A fine 2018, a titolo di esempio, le venti società della serie A italiana avevano accumulato 2,5 miliardi di debiti. E durante l’estate, le varie trattative del calciomercato non sono state condotte al ribasso. Decine di big, e non solo, hanno cambiato casacca con le consuete cifre da capogiro. Come se nulla di anomalo fosse accaduto da febbraio a oggi. Come se da domani un tocco di bacchetta magica riportasse tutta alla «normalità». Ridimensionare sarebbe la parola d’ordine: ridurre i salari dei campioni, il costo dei biglietti allo stadio, la cifra che le TV devono sborsare per poter diffondere gli eventi sportivi. Opera-
N. 37 2 8 Giochi per “Azione” - Ottobre 2020 Stefania Sargentini
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zioni tutt’altro che facili. Più la posta G 7 8 in gioco è alta,9 meno si è disposti a fare A 10 11 12 noi, in un contesto delle rinunce. Da L finanziario medio-basso, numerose 13 14 1
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Cruciverba Il fiume nelle foto si trova a Verona e si chiama Aril. È il fiume più corto del mondo. Scoprite quanto misura, risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 19, 5)
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ORIZZONTALI 1. Coperta fatta di ritagli cuciti insieme 1 2 3 4 5 7. Tentare arditamente 6 7 8 8. Lago etiopico 9 10 9. Fanno rima... con ma 10. Vale dieci11a briscola 12 11.14Principio di locuzione 13 15 16 17 12. Primogenito di Carolina di 18 19 Monaco (iniz.) 20 21 22 13. Riservata a te con affetto 23 26 18. Pianta24aromatica25 27 28 20. Uno strato del nucleo terrestre 22. Porta di casa 24. Il prefisso che dimezza (N. 39 - Il sanscrito - India) 25. Senza eguali 1 4 5 7 8 9 27.2 Tre3 volte in latino6 1029. Attaccato a certi... 11 tronchi 12 1330. Avverbio di tempo 14 31. Avverbio16di luogo 15 17
(N. 38 - Magnesite - Per migliorare la presa)
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(N. 41 - Centosettantacinque metri) 3
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch 1 2 3 4 5
I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno 6 pervenire la 7 soluzione 8 fatto corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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C E N T O VERTICALI O al punto S giusto A R E 1. Cucinata 2. Titolo di dignitari dell’Impero bizantino T A N A 3. Persone non all’altezza... 4. Preposizione T vocali Rmi sentoEmolto bene)L 5.40 Di-nove... (N. ... e io non N. 37 6. Relativi alla morale 9. Gare per A cow-boys C D E 11. Altro nome degli elci 8 13. È circolare a facce piane A N I C6 14. A metà del percorso 5 8 15. Un figlio di Giacobbe... in caserma 16. Il Sawyer di Mark Twain Q U S C4 17. Leggeri soffi 19. Notte a Parigi U diN C I5 21. Avverbio luogo I 23. Il gigante figlio di Poseidone 9 26. Fu un AfamosoRtrombettista... T ORosso 6 28. Pronome poetico 18
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Soluzione:M A Scoprire i 3 I N numeri corretti T A da inserire nelle R S caselle colorate. E R S A G I O A I O A R R A P A C C I S
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Partecipazione online: inserire la 1 soluzione del cruciverba o del sudoku
nell’apposito formulario pubblicato 3 sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la6 so-
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Giochi per “Azione” - Novembre 2020 6 Stefania Sargentini
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società negoziato con i I Lsportive I M hanno A loro dipendenti riduzioni di salario di R A G A T varia entità. E S I I L In Italia, c’è stata rispondenza da
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1 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 9franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi 6 con4 il sudoku 3
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(N. 37 - ... gli arti inferiori troppo corti)
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parte di quasi tutti i club. Ad esempio, a Roma, sponda giallorossa, giocatori e staff hanno accettato di non percepire il salario di marzo, con l’eventualità di fare altrettanto da aprile a giugno qualora l’attività agonistica non fosse ripartita. A Barcellona si è optato per una decurtazione media del 30%, ma Leo Messi, the Star, è passato da 71 a 21 milioni. Chapeau, anche se non si può certo affermare che ora si ritrovi in una situazione di estrema indigenza. Queste operazioni hanno consentito alla società blugranata di risparmiare circa 200 milioni di Euro. Insomma, c’è margine. Un margine che comporterebbe, per i fenomenali protagonisti delle eroiche gesta domenicali, il passaggio dalla villa di 12 stanze, con palestra, zona Wellness, piscina interna/esterna, a un modesto attico da 250 metri quadrati. Con vista mare, qualora fossero a Genova o a Napoli. Oppure dai 336mila euro di una Ferrari 812 GTS, ai circa 110 di una sobria Porsche Carrera 911 Coupé. In fondo si tratterebbe di piccole rinunce, che non dovrebbero ledere l’immagine pubblica di chi le fa. 8 Altra sfida è quella che tutto il sistema dovrebbe affrontare. Quella6della riduzione 7 della 4 complessità. Anno dopo anno si è insinuata nel mondo dello sport, tutta una serie di 8 intermediari, 3 categorie, procuratori, agenzie, che hanno reso lo sport più 1 2 3 caro. Se complesso, e soprattutto più per salvare il pianeta si va predicando, fra 9l’altro, la filosofia 6 del «chilometro 7 zero», dal produttore al consumatore, per salvare lo sport dalla bancarotta, 2 perché non pensare a un sistema più sobrio, più snello, e meno caro?
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Giancarlo Dionisio
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B E R O N L E I O L A A L I A S R O E N E A I A S C I O R D T I C N O T E P A L O S V A N O C E R I D I Soluzione della settimana precedente R I AMICI A N –N«Carlo, A il mondo SUDOKU PER sta AZIONE - OTTOBRE TRA rimanendo senza geni,2020 Einstein è morto Bee-
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N E 8 5 6 T 4 8 R I N.39 O pure…» C Resto della frase: …«E IO NON MI SENTO MOLTO BENE». thoven 8 1 3 2M D8E D I I ACN OA N TE O AN 4 7 2 8 9 3 1 6 5 F A I A R D E A 6M O 7R 4 8 63 5 6 1 7 4 9 2 C I A T R A T T I 9E 8O 3S O LS 7 1 26 952 4 5 8 7 3 A L I A N A T R8A 5 8 6 1 7 2 9 3 4 1 2 3 B I E N O D I O P T O6O R M A7E N5MO L IO 2 4 1 9 34 6 15 8 7 1 I9 R O 3 9 7 4 5 8 6 2 1 2 O A V I E R I P E R T 7 5 82 3 6 4 2 1 59 8 A TT4E NEE 9R 9G O B1P 9 2 3 5 8 1 7 4 6 A R E 1N A C6 O S T E I P O I L I 4 1 6 1 4 7 2 9 3 5 98 4N A I A 3 E G R E G I O 7
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luzione, corredata da nome, cogno2 partecipanme, indirizzo, email del te deve essere spedita a «Redazione 6 8 Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 8 9 Lugano». 5 9 Non si intratterrà corrispondenza sui
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concorsi. Le vie legali sono escluse. 8 9 un 3 pagamento 5 7 6 in4 con2 Non è1possibile tanti 3dei2premi. I vincitori saranno 6 4 9 1 8 5 7 avvertiti per iscritto. Partecipazione 7 4 5 8 2 6 1 3 9 riservata esclusivamente a lettori che 6 1in Svizzera. 7 5 8 4 2 9 3 risiedono
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Politica e Economia Ultima sfida Quello fra Trump e Biden è stato il confronto Tv della moderazione dei toni. Ma sempre scontro è stato
Ricominciando da Pechino Il resto del mondo discute sul tema: può la Cina trainare fuori dalla crisi anche noi? Dopo una ripresa già avviata nel secondo trimestre l’economia cinese ha accelerato nel terzo trimestre. E sta anche vincendo la sua guerra contro il Covid-19
Fratelli tutti La terza enciclica in otto anni di pontificato e l’apertura civile alle coppie omosessuali: Bergoglio a 360 gradi pagina 29
Fissa o bilanciata? I tassi ipotecari resteranno bassi, con qualche flessione momentanea: per quale tipo di ipoteca optare?
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AFP
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Usa, il voto non risolverà la crisi
Casa Bianca Immaginare che Trump sia il centro dei poteri americani, o addirittura il presidente del mondo,
come specie in Europa si fantastica, significa ragionare in termini irrealistici Lucio Caracciolo Il mondo aspetta l’esito delle elezioni americane come se dovessero cambiare il mondo. Non accadrà. Chiunque sia l’inquilino della Casa Bianca, le linee di fondo della geopolitica mondiale sono quelle correnti. Certo, l’impatto del Covid-19 sta alterando alcune dinamiche, aggravando diverse crisi, producendo un problema di legittimazione e di efficienza nelle istituzioni nazionali e internazionali. E la figura del vecchio/nuovo presidente americano avrà, come e più di prima, un impatto sulle percezioni altrui dell’America. Ma immaginare che il presidente degli Stati Uniti sia il centro dei poteri americani, o addirittura il presidente del mondo, come specie in Europa si fantastica, significa ragionare in termini irrealistici. Quello che l’esito della competizione elettorale ci dirà è anzitutto il grado
di efficienza della tecnocrazia strategica, dello Stato profondo a stelle e strisce. Non è un mistero che fra Trump e quelle agenzie – intelligence sopra ogni altra – la temperatura non sia mai stata piacevole. In particolare con la Cia e l’Fbi la lotta è stata all’ultimo sangue. Ma anche all’interno della sua mobile amministrazione il clima non è mai stato tranquillo, considerata la permanente turnazione negli incarichi di base e di punta, compresa la segreteria di Stato e il Consiglio per la Sicurezza nazionale. Alcuni se ne sono andati sbattendo la porta, come l’ex segretario di Stato John Bolton, capo dei «falchi» neoconservatori, che dalla sua breve esperienza ha tratto spunto per un libro di grande successo, ritratto spietato del caos regnante nella Casa Bianca di Donald Trump. Negli apparati spira quindi un vento di insofferenza verso Trump, consi-
derato a torto o a ragione un problema più che una risorsa per l’impero americano. Un suo ritorno alla Casa Bianca per altri quattro anni significherebbe che le burocrazie non sono in grado di controllare o alterare l’esito di una tornata elettorale presidenziale, ciò che è nelle loro possibilità. Sotto certi aspetti, persino loro dovere. In particolare vale per le agenzie di intelligence, che non sono sottoposte alla legge ma ad essa sovraordinate, in nome della protezione dei superiori interessi dello Stato, ovvero della difesa del primato globale americano. La vittoria di Trump non sarebbe accolta con speciale gioia nemmeno dal Partito repubblicano. I più autorevoli senatori e deputati del Grand Old Party non nascondono oramai ciò che alcuni di loro hanno sempre pensato di Trump, ovvero che sia un pessimo presidente ma anche un pessimo porta-
bandiera del partito. E nella campagna elettorale che prevede un ampio rinnovo delle Camere diversi candidati repubblicani hanno preso le distanze da The Donald, temendo che schiacciarsi sulla sua retorica sia poco utile ai fini della conservazione dei loro seggi parlamentari. Tutto questo, insieme alla grave crisi sociale e di identità attraversata dal Paese, spiega perché alla vigilia i sondaggi dicano Biden. Certo, anche nel 2016 le agenzie incaricate di sondare gli umori dell’elettorato certificavano la vittoria di Hillary Clinton, tanto che Trump aveva preparato il discorso di accettazione della sconfitta, non il bollettino della vittoria. Stavolta, se l’esito sarà contrastato, è probabile che il presidente uscente contesti la legittimità del voto e si barrichi, forse non solo metaforicamente, nello Studio Ovale. Sicuramente Trump metterebbe sotto
accusa il voto per posta e accuserebbe il rivale di avere manipolato il risultato. È quindi da prevedere un dopovoto acrimonioso e forse drammatico. In estrema ipotesi, sarebbe la Corte Suprema, sulla carta orientata per Trump, a dire l’ultima parola. La vera incognita, in caso di vittoria di Biden, sarà chi in effetti incarnerà il ruolo di portabandiera degli Stati Uniti. A meno di miracolose trasformazioni – la magistratura rivela l’uomo, dicevano i romani – Biden non avrà la statura e l’irradiamento che normalmente sono richiesti a una personalità pubblica di tale visibilità. E soprattutto, occorre chiedersi chi in effetti presiederà alla macchina dell’impero, stante l’estrema incertezza che regna riguardo alla squadra di governo. Prepariamoci in ogni caso a un prolungamento della crisi americana in corso. E ad assorbirne gli effetti anche in casa nostra.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Politica e Economia
Trump-Biden, rush finale 3 novembre Nell’ultimo dibattito fra i due sfidanti è stato scontro su tutti i fronti, dal Covid al clima all’Obamacare.
Ma stavolta il presidente sceglie una linea più morbida e distaccata. Non sbagliando Federico Rampini Donald Trump negli ultimi giorni prima del voto si è riscoperto capace di una campagna stile 2016: l’outsider contro il politico di mestiere. La linea di attacco più efficace contro Joe Biden l’ha sfoderata nel duello televisivo andato in onda giovedì 22 ottobre da Nashville nel Tennessee: perché non hai fatto le cose che hai promesso, negli 8 anni in cui eri vicepresidente, o durante i 47 anni della tua carriera politica? È un attacco semplicistico, e il ruolo dell’outsider sta stretto a chi occupa la Casa Bianca, ma probabilmente è una tattica più efficace delle accuse personali sulla «corruzione» del candidato democratico o di suo figlio. Sanità, immigrazione, razzismo: su questi terreni Trump ha rinfacciato a Biden le riforme non realizzate, o deludenti, dei periodi in cui governavano i democratici e Joe era vicepresidente o un senatore della maggioranza. È uno dei punti deboli di un politico che calca il palcoscenico di Washington da quand’era trentenne. Su due di questi punti – razzismo e immigrazione – Trump spera di rosicchiare qualche consenso tra i neri moderati (quella middle class che diffida di Black Lives Matter) o tra gli ispanici di successo, anche loro spaventati dal prevalere di frange estreme come i «no border» di Alexandria Ocasio-Cortez. Anche un’erosione di minuscole frazioni nei consensi delle comunità afroamericane ed ispaniche verso il partito democratico, può avere conseguenze.
Per molti elettori l’economia era in ottima salute prima del Covid e non è quindi colpa di Trump se è piombata in crisi L’ultimo dibattito televisivo è stato meno indecoroso del primo ed anche più equilibrato. Si è potuto sentire un confronto sugli argomenti e sulle proposte. Trump è chiaro sulla priorità di questa fase: per lui è riaprire l’economia e rilanciare la crescita, più che combattere la pandemia. Sul cambiamento climatico lui è convinto che penalizzare le energie fossili ha un costo insopportabile in termini di occupazione. Ha descritto i piani dell’avversario come troppo costosi, socialisti, inevitabilmente forieri di stangate fiscali sulla maggioranza dei contribuenti.
50 milioni di elettori americani hanno già votato prima di vedere il duello in tv. (AFP)
In politica estera si è vantato di aver evitato nuove guerre, di aver incassato una tregua negli esperimenti nucleari della Corea del Nord, di aver favorito il disgelo tra Israele e una parte del mondo arabo. Biden è stato efficace nella requisitoria contro gli errori commessi da questo presidente sul Coronavirus: i messaggi contraddittori, la tendenza a minimizzare, la sfiducia verso i suoi stessi consiglieri scientifici. Ê meno chiaro quale sia il suo piano alternativo. È stato vincente nella difesa di Obamacare, quella riforma sanitaria che i repubblicani ancora sperano di smantellare grazie alla Corte suprema: la più grave delle conseguenze sarebbe di restituire alle compagnie assicurative la libertà di scegliersi i clienti, escludendo con ogni probabilità gli ammalati di Covid. Sulla Cina e la Russia, Biden ha promesso di tornare a lavorare d’intesa con gli alleati: una buona notizia per gli europei. L’ex vice di Barack Obama è riuscito a presentarsi come il presidente di tutti gli americani; colui che capisce le sofferenze di chi ha perso il posto di lavoro o un familiare ucciso dalla malattia. Ha rinfacciato a Trump l’incapacità di varare una nuova manovra di aiuti statali per famiglie e imprese in difficoltà. Si è dovuto destreggiare con qualche equilibrismo fra le proposte della sua ala più radicale – come il divieto totale di estrarre gas e petrolio attraverso il fracking – e la necessità di non perdere voti negli Stati energetici come la Pennsylvania.
Biden non era nella sua serata più felice in quanto a forma fisica, ha avuto momenti di incertezza, si è ingarbugliato più di una volta. Trump è stato aiutato – involontariamente – proprio da un formato a lui ostile e da una moderatrice severa: gli hanno fatto un favore impedendogli di debordare nella gazzarra. I democratici canteranno vittoria comunque, non foss’altro che per un dato: quasi 50 milioni di elettori hanno già votato prima di vedere il duello in tv, ed è difficile che in quelle schede già spedite o consegnate in anticipo ci sia una maggioranza per Trump. Il partito repubblicano continua a sperare, aggrappandosi ad alcuni segnali in controtendenza, tra un mare di sondaggi favorevoli a Biden. Una speranza gliela fornisce Nancy Pelosi, la presidente democratica della Camera, che ha mandato una email allarmata: «Urgente. I repubblicani sono davanti a noi nel registrarsi per il voto negli Statichiave». In America non basta essere cittadini per votare, bisogna fare atto d’iscrizione nei registri degli elettori. Il dato che segnala la Pelosi nella sua email indica un sorpasso dei seguaci di Trump nelle aggiunte recenti alle liste dei votanti. Qualcosa di simile sembra accadere nel voto postale: in generale sono i democratici a usarlo di più (anche perché sono i più sensibili al rischio di contagio), ma in alcuni Stati in bilico di recente c’è stata un’avanzata delle schede spedite da repubblicani. Un
altro dato pro-Trump lo segnala un esperto di campagne elettorali, quel Karl Rove che fu lo stratega di George W. Bush. «I democratici sono nervosi – dice – perché a questo punto della campagna nel 2016 Hillary aveva margini di vantaggio superiori in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, rispetto a quelli di Biden». Si tratta di tre «battleground States»o Stati contesi, che possono fare la differenza. Biden è in vantaggio, sì, ma ipotizzando che i sondaggisti ripetano gli sbagli di quattro anni fa, il suo margine è al di sotto della sicurezza. Infine ci sono alcune risposte contraddittorie che sembrano gettare il dubbio sull’attendibilità delle rilevazioni demoscopiche. Negli stessi sondaggi nazionali che danno per favorito il candidato democratico, spesso gli intervistati rispondono di «stare meglio oggi rispetto a quattro anni fa». Questa, pur non essendo una risposta diretta sul voto, in passato di solito si traduceva in consensi verso il presidente uscente in quanto la sua azione di governo sarebbe associata a un miglioramento nel tenore di vita. Una leggera maggioranza di americani sembra convinta – forse astraendo dall’impatto finale della pandemia – che il primo mandato di Trump le sia stato favorevole. Sempre sull’economia c’è un altro indicatore controverso. Per ben cinque volte in questa campagna elettorale il sondaggio del «Wall Street Journal» ha chiesto agli elettori chi sarebbe il
miglior presidente per governare l’economia e trascinarci fuori dalla crisi; cinque volte la risposta ha premiato Donald Trump con margini ampi (dai 7 agli 11 punti di vantaggio). «La maggioranza degli elettori – osserva sullo stesso giornale Gerald Seilb – sembra condividere il giudizio di Trump: l’economia era in ottima forma prima del Covid e non è colpa sua se è piombata in crisi con la pandemia». Sempre quel sondaggio del quotidiano economico ha continuato a chiedere quale sia il tema più importante su cui orientano il loro voto, e le risposte hanno messo l’economia al primo posto. Come si spiega allora che lo stesso campione di intervistati alla fine dà una maggioranza di voti a Biden? Seilb ricorda che accadde la stessa cosa alle ultime elezioni legislative di mid-term (novembre 2018) ed anche nelle presidenziali del 2012 in cui Obama venne rieletto sconfiggendo Mitt Romney. Gli elettori dicono di mettere l’economia al primo posto e danno generalmente più fiducia ai repubblicani su questo terreno, ma hanno in mente altri temi la cui rilevanza influisce anche sull’economia. Quest’anno sembra essere il caso per la gestione del Coronavirus. Infine c’è la contraddizione più stridente: in molti sondaggi che esprimono una maggioranza di consensi per Biden, il rapporto di forze si rovescia quando si chiede «chi vincerà». A quel punto esce favorito il presidente. È come se una quota di democratici, pur decisa a sostenere il loro candidato, non creda alla sua vittoria finale. Trump ha colto al volo questo segnale: «È perché sanno come votano i loro vicini di casa». Biden ha già vinto almeno una gara, quella per la raccolta fondi. Invertendo una tradizione consolidata, è lo sfidante ad avere più soldi del presidente in carica. I democratici entrano nel rettifilo degli ultimi giorni con un vantaggio che si traduce nella capacità di acquisto di spazio televisivo. Il mercato degli spot quest’anno polverizza un record: le due campagne hanno già speso un miliardo di dollari per la pubblicità televisiva soltanto nei «battleground States». La campagna di Trump e il Republican National Committee hanno annunciato di aver raccolto contributi per 248 milioni nel mese di settembre. È un dato che in altri tempi sarebbe stato eccellente, ma quest’anno viene surclassato da Biden e dal Democratic National Committee, che hanno raccolto 383 milioni nello stesso mese. Rispetto a Trump, però, anche la campagna della Clinton nel 2016 era più ricca. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Politica e Economia
Pil su, Covid-19 giù Cina È la prima nazione (con un regime autoritario) a ricominciare
a crescere economicamente dopo la pandemia
C’è coprifuoco e coprifuoco Pandemia Arma antica che evoca le guerre.
Ben più gravi di quella contro il Covid-19 Alfredo Venturi
Turisti interni a Pechino durante la Golden Week di ottobre. (AFP)
Giulia Pompili La Cina è il paese dove tutto ha avuto inizio. Il luogo dove è iniziata la pandemia, dove la poca trasparenza, l’autoritarismo del governo centrale e l’eccessiva burocratizzazione hanno contribuito alla diffusione internazionale del nuovo Coronavirus. Eppure la Cina è anche il primo paese ad aver avuto per più di due mesi di seguito zero trasmissioni interne di Covid-19, e contemporaneamente è anche la prima economia del mondo a tornare a crescere dopo la peggiore crisi dal secondo Dopoguerra. Secondo i dati dell’Istituto cinese di statistica, nel terzo trimestre del 2020 il prodotto interno lordo della Cina è aumentato del 4,9 per cento. È un dato di certo inferiore al 5,2 per cento che era stato previsto dagli analisti, ma è stato sufficiente per riportare la crescita del periodo gennaiosettembre al +0,7 per cento. Pechino ha ritrovato la sua fase espansiva, dunque, mentre il resto del mondo continua a gestire la seconda ondata di contagi da Coronavirus. È il risultato che il governo del presidente Xi Jinping voleva ottenere a tutti i costi, proprio per via del profondo significato geopolitico che ha la vittoria della Cina sulla pandemia, soprattutto nei confronti degli Stati Uniti, oggi più che mai in fase di instabilità. Perché, come sottolineato dai funzionari cinesi, la ripartenza economica del Dragone è direttamente collegata al sistema di contenimento del virus. Nonostante la sostanziale «sospensione» del modello economico globalizzato dovuto al diffondersi del virus, la Cina può contare sulla sua produzione industriale e su una popolazione di quasi 1,4 miliardi di persone, ed è proprio su questo asset che si è concentrata la strategia di Pechino. Una volta riconosciuta l’epidemia, quando ormai il virus era fuori dai confini nazionali, i funzionari cinesi hanno avuto due ossessioni: l’azzeramento dei contagi e quindi la fine dell’emergenza sanitaria. Per almeno due ragioni. Il patto sociale che lega la popolazione cinese e il Partito comunista, subito dopo la strage di piazza Tiananmen, riguarda la sicurezza economica, ottenuta in cambio di un controllo sociale autoritario. Ma questo patto salta ogni volta che c’è di mezzo un’emergenza sanitaria: il controllo della popolazione non funziona se il governo non è in grado di mettere in sicurezza i cittadini, o peggio ancora di nascondergli la verità. Lo dimostrano le proteste che ci furono a seguito dell’epidemia di Sars e
dopo lo scandalo del latte contaminato dieci anni fa, per fare due esempi. Da una parte proteggere a tutti i costi i cittadini significa non esporsi a possibili critiche, o peggio ancora proteste, ma dall’altra vuol dire anche far ripartire l’economia: il Partito comunista è riuscito a far uscire dalla povertà 800 milioni di persone sin dagli anni Ottanta, ma quell’equilibrio è ancora precario. Per raggiungere l’obiettivo dei contagi zero il governo di Pechino ha a disposizione la tecnologia più avanzata del mondo e la mobilitazione di massa tipica dei paesi asiatici, che è ancora più forte in Cina, dove la società civile in caso di emergenza contribuisce al bene collettivo. Ma a favorire il governo di Xi c’è soprattutto l’assenza di un reale confronto con l’opinione pubblica: può fare, quindi, quello che ritiene più giusto senza dibattito. Secondo una lunga inchiesta del «Financial Times», che è partito da Wuhan, l’epicentro dell’epidemia, per cercare di analizzare che cosa è andato storto, i dati sui contagi cinesi difficilmente si avvicinano alla realtà: il governo a oggi dichiara più di 85 mila infezioni e 2752 decessi, ma tra gennaio e febbraio, quando quasi tutte le metropoli cinesi erano sottoposte a durissimi lockdown, molti infettati non venivano registrati. «I lockdown sono impopolari ovunque, anche in Cina», ha scritto sul «New York Review of Books» Ian Johnson, scrittore e docente che vive a Pechino. «Tuttavia, la leadership di Xi Jinping ha ascoltato gli esperti e ha deciso che il blocco era necessario, probabilmente facendo tesoro dell’esperienza dell’epidemia di Sars del 2003 e calcolando che avrebbero guadagnato favore politico se avesse protetto con successo i cittadini da una nuova malattia mortale. Si è rivelata una strategia intelligente, soprattutto dopo aver chiamato a fare da volto alla rigida politica del governo un veterano della Sanità pubblica come Zhong Nanshan. Come Anthony Fauci negli Stati Uniti, Zhong è una figura credibile, perché è stato coinvolto in prima persona nella lotta contro l’epidemia di Sars. A differenza di Fauci, Zhong ha ricevuto sostegno politico e pochi hanno dubitato dei suoi consigli sul Covid-19». La scelta di affidarsi a scienziati capaci ha pagato, e anche se a Wuhan ci sono state molte polemiche sul trattamento dei cittadini (il libro della scrittrice cinese Fang Fang, Wuhan – Diari da una città chiusa, molto critico nei confronti delle autorità locali, lo dimostra) e ancora oggi parte della popolazione è spaventata,
insicura, ma gran parte delle persone è convinta che il governo di Pechino sia riuscito a sistemare le cose. Un paio di settimane fa dodici persone sono state trovate positive al nuovo Coronavirus nella città portuale di Qingdao, nella provincia di Shandong. Un nuovo focolaio improvviso nato da trasmissioni interne, quindi non importato dall’estero. La macchina della sicurezza sanitaria cinese si è subito messa in moto: il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Qingdao ha annunciato il test di massa per i quasi dieci milioni di abitanti della metropoli, che sono stati eseguiti in circa cinque giorni. Per farlo, hanno usato un metodo per lotti: si analizzano dieci campioni per volta, e se uno risulta positivo tutti e dieci i soggetti sono sottoposti alla quarantena e vengono testate individualmente. La capacità di test di massa della Cina è sicuramente un vantaggio, ed è efficiente, ma il metodo specifico è messo in dubbio da molti scienziati perché rischia di perdersi per strada diversi positivi. A una settimana dalla scoperta del focolaio di Qingdao, inoltre, le autorità locali sono riuscite a risalire ai primi due casi: due lavoratori portuali sono risultati positivi il 24 settembre scorso e sono stati trasferiti al Qingdao Chest Hospital, ma le stanze non sono state disinfettate correttamente e il focolaio si è generato proprio all’interno del nosocomio. Per questo, la scorsa settimana il direttore della Commissione sanitaria di Qingdao e il presidente del Qingdao Chest Hospital sono stati rimossi dai loro incarichi. Questo tipo di focolai, circoscritti ma che possono allargarsi molto velocemente se non contenuti per tempo, sono il terrore del governo centrale di Pechino. Perché, mentre riparte la produzione industriale, a trainare la crescita e la normalizzazione cinese c’è soprattutto l’aumento dei consumi interni. Durante la Golden Week, la festa di metà autunno, Pechino ha lasciato che seicento milioni di persone promuovessero il turismo interno viaggiando dentro ai propri confini: le immagini delle persone in visita sulla Muraglia cinese o a piazza Tiananmen, dopo mesi di lockdown, sono servite a offrire, nella propaganda interna ma anche all’estero, l’immagine di una nazione responsabile e capace di gestire la crisi. Ma il focolaio di Qingdao rappresenta il rischio, segnalato anche dall’Istituto di statistica nel confermare i dati positivi dell’economia: il virus non è scomparso, e potrebbe tornare da un momento all’altro.
La battaglia contro il Covid-19 si combatte anche, in molti Paesi d’Europa e nel resto del mondo, con l’arma antica del coprifuoco. Qualcosa che sembra stridere con i nostri tempi, fa un certo effetto vedere deserte le strade delle nostre città. Parigi per esempio, la scintillante Ville Lumière annichilita dalle nove di sera alle sei del mattino, soltanto sporadicamente animata dalle pattuglie di polizia a caccia dei trasgressori. Il coprifuoco evoca la guerra, quando nei Paesi coinvolti veniva applicato letteralmente, nel senso che i governi intimavano di coprire le luci per nascondere le città prese di mira dai bombardieri notturni. Oggi questa misura non servirebbe più, la tecnologia ha offerto all’arte della guerra sofisticati strumenti di localizzazione e dunque non basterebbe più a proteggerci il buio della notte.
Molti sono gli esempi di coprifuoco imposti da governi autoritari non a scopo protettivo come invece nel caso della pandemia Il coprifuoco serve, invece, per limitare i contagi. Ne esistono due tipi. C’è quello appena citato, che consiste semplicemente nell’imporre di spegnere le luci, per difendersi dai bombardamenti come nel caso della Seconda guerra mondiale o anche, come è accaduto da molte parti al tempo della grande crisi energetica degli anni Settanta, per risparmiare elettricità. Era un coprifuoco letterale, che non implicava necessariamente il divieto di uscire di casa. Quello di questi giorni, chiaramente espresso dal termine tedesco Ausgangssperre, non riguarda le luci ma impone ai cittadini di rimanere tappati in casa al sicuro, lontani dal virus. La stessa pratica è servita spesso a difendere non la gente ma il potere minacciato dal dissenso. La misura restrittiva che si pratica in molti Paesi nei giorni della pandemia è la più vicina al coprifuoco delle lontane origini, è analogamente protettiva. Erano i tempi in cui le nostre città erano fatte prevalentemente di legno, mentre l’illuminazione si ricavava dalle fiamme di torce e candele e il riscaldamento invernale da quelle di stufe e camini. Dunque gli incendi erano all’ordine del giorno, anzi della notte, tanto per citarne uno il Great Fire che incenerì Londra nel 1666. Per questo nacque il coprifuoco, bisognava coprire quelle fiamme per impedire che innescassero disastri. Ovviamente la misura non incideva di per sé sulla libertà della gente di andarsene a zonzo per le vie tenebro-
se, ma a parte questo dettaglio aveva, come oggi la lotta contro la pandemia, un carattere tipicamente difensivo. La libertà di movimento viene invece messa in discussione ogni volta che i governi, a cominciare da quelli autoritari, considerano prudente tutelarsi dalla possibilità di disordini o rivolte, o più semplicemente da una criminalità che tendenzialmente agisce di notte. Un esempio di autotutela del potere quello egiziano del 2011, quando fu imposto il coprifuoco per domare una durissima contestazione popolare. Negli Stati Uniti, anche in anni recenti, sono state adottate misure di questo tipo da parte delle autorità locali, contee o municipalità, per frenare le imprese delle bande giovanili abituate a guerreggiare durante la notte. In questi casi il coprifuoco consiste proprio nel divieto di lasciare le proprie abitazioni. Sono imposizioni giuridicamente assai controverse, e chiamano in causa i molti emendamenti costituzionali che tutelano negli Stati Uniti i diritti individuali. Altri esempi storici riguardano le emergenze dovute a catastrofi sismiche, come il terremoto che devastò il Cile nel 2010. A volte la misura è selettiva, come quella che colpì la comunità americana di origine giapponese durante la Seconda guerra mondiale. O come certi divieti di uscita per classi di età: talvolta, ancora negli Stati Uniti, i giovani sono stati rinchiusi in casa o comunque affidati alle famiglie. Si trattava di combattere i vandalismi, le sparatorie, gli abusi sessuali, gli eccessi di bevande alcoliche o la guida in stato di ebbrezza: tutte pratiche che troppo spesso movimentano le notti americane e non soltanto quelle. Nelle intenzioni di chi le applica, queste misure hanno anche la finalità di responsabilizzare le famiglie. In Italia, dove il coprifuoco riguarda finora soltanto alcune regioni colpite dal Covid-19 in modo particolarmente grave, la memoria corre agli eventi dell’ultima guerra mondiale. I meno giovani ricordano il frequente coprifuoco temporaneo per le incursioni aeree, l’urlo delle sirene, le corse verso i rifugi nelle strade oscurate, le cantine e i bunker squassati dalle esplosioni, l’attesa col cuore in gola del segnale di cessato allarme. Ricordano anche gli eventi successivi al 25 luglio 1943, quando uno dei primi provvedimenti del governo guidato da Pietro Badoglio, che aveva preso il posto di Benito Mussolini sfiduciato dai gerarchi fascisti e fatto arrestare dal re, impose il coprifuoco dal tramonto all’alba. Nelle zone occupate dalla Wehrmacht furono i comandi tedeschi a decretare qua e là la Ausgangssperre, agevolando i rastrellamenti casa per casa per catturare oppositori da mettere al muro e gente comune da spedire in Germania ai lavori forzati. È una pandemia ben più grave dell’attuale, la guerra.
Un locale di Parigi si prepara a chiudere prima del coprifuoco. (AFP)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Politica e Economia
Fratelli tutti: anche i gay
Vaticano Il Papa compie un passo inedito nell’accettazione dell’omosessualità aprendo alle unioni civili
per gli omosessuali a pochi giorni dall’uscita della terza enciclica
Giorgio Bernardelli Un testo lungo e articolato. Il più politico mai scritto da un Papa da cinquant’anni a questa parte. E per di più costruito con l’ambizione dichiarata di ridare speranza a un mondo messo in ginocchio dall’esperienza della pandemia. Eppure a pochi giorni dalla sua diffusione Fratelli tutti, la nuova enciclica di Papa Francesco, sembrava già passata via senza lasciare il segno. Finché non è arrivata mercoledì 21 ottobre la dichiarazione con cui il Pontefice apre al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. Una risposta in realtà contenuta in un’intervista girata tempo fa per un docufilm del regista russoamericano Evgeny Afineevsky; ma che di fatto ha riacceso i riflettori sull’idea di fraternità di papa Francesco. L’aveva voluta firmare pubblicamente ad Assisi, proprio sulla tomba del santo completamente fuori dagli schemi da cui ha scelto di prendere il nome, l’enciclica Fratelli tutti. E forse pochi gesti quanto questo compiuto nei confronti del mondo LGBT sottolineano lo sguardo davvero a 360 gradi di Bergoglio. Va detto che le parole dell’intervista non cambiano la visione di fondo da parte della Chiesa: non si tratta di un’apertura all’equiparazione tra il matrimonio e le unioni omosessuali. Il Papa distingue in maniera chiara tra il piano delle legislazioni civili e la dottrina della Chiesa riguardo alla famiglia, che non si sposta dall’idea di un’unione fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Eppure per anni buona parte del mondo cattolico – con il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche – ha descritto anche lo strumento giuridico delle unioni civili come un «pericoloso scivolamento» verso i matrimoni tra gay. Ora invece è il Papa in prima persona a indicare questa strada. E non nella prospettiva di un presunto «male minore», ma perché anche le coppie omosessuali sono fratelli a cui vanno garantiti diritti specifici di fronte alla legge. Non stupisce che questa dichiarazione di Papa Francesco abbia fatto subito il giro il mondo. Anche se in realtà di contenuti nell’enciclica ce ne sono
anche molti di più e non meno destabilizzanti per i cultori dell’ordine all’interno della Chiesa di Roma: Fratelli tutti è infatti un vero e proprio manifesto del pensiero sociale di Bergoglio. La fraternità di cui parla non è un mero ideale personale, ma un paradigma per tutti i rapporti all’interno della società, fino alle stesse relazioni internazionali. È un prisma attraverso cui il Pontefice legge tante situazioni chiave del mondo di oggi: parte dalla questione del dialogo interreligioso, dicendo espressamente che il suo modello ispiratore è proprio san Francesco che otto secoli fa – nel mezzo di una crociata – si recava a Damietta, in Egitto, per incontrare «come un fratello» il sultano Malik alKamil, cioè il nemico per eccellenza. Da quell’esperienza – ricorda il Pontefice argentino – il santo di Assisi tornava chiedendo ai suoi frati inviati tra i saraceni di «non fare liti e dispute», ma di essere «soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio». Questo modo di intendere la fraternità oggi per papa Francesco significa soprattutto promozione di una società aperta, dove il punto di vista è universale e i diritti di cui ogni uomo è portatore sono senza frontiere. Una visione agli antipodi del sovranismo, indicato senza troppi giri di parole come il contraltare della buona politica. Per Bergoglio «aprire il cuore al mondo» non è affatto una resa a un modello di globalizzazione dove a vincere è sempre il più forte dal punto di vista economico. Chiede di andare oltre l’orizzonte di «un mondo di soci», scrive a un certo punto dell’enciclica, rimproverando alla cultura illuminista di aver svuotato la fraternità – uno dei tre grandi ideali della Rivoluzione francese – della sua estrema concretezza. Al contrario, dice papa Francesco, la fraternità deve diventare un orizzonte anche economico, alla luce di quella «destinazione universale dei beni» che non è certo un’idea nuova nel magistero della Chiesa cattolica ed è ben poco compatibile con il dogmatismo liberale su cui si fonda la globalizzazione. Alla fine – in questo suo volumetto di più di duecento pagine – Bergoglio non fa altro che spiegare fino in fondo
Bergoglio: la sua dichiarazione sui gay ha fatto il giro del mondo. (AFP)
che cosa volesse dire quando nel momento più duro della pandemia ripeteva che «siamo tutti sulla stessa barca». Se nel tramonto tenebroso di marzo in piazza San Pietro quell’immagine appariva soprattutto come il riconoscimento di una tragedia che ci accomuna, ora nell’enciclica il Papa mette l’accento sul fatto che per uscire da questo e da tanti altri mali il mondo è chiamato sì a farsi carico di ciascuno, ma remando tutti nella stessa direzione. Far si che non diventi un’utopia è il compito che spetta alla politica: papa Francesco in Fratelli tutti ne riafferma con forza il primato sui diktat dell’economia e della tecnocrazia. Si scaglia contro le polarizzazioni che in nome di un consenso facile acuiscono le divisioni interne in tanti Paesi e minacciano la pace tra le nazioni. Propone la distinzione tra popolare e populista: «Un popolo vivo, dinamico e con un futuro – scrive – è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi, assumendo in sé ciò che è diverso». Temi alti e decisamente sul pezzo rispetto alle questioni calde che oggi agitano il mondo. Ma il problema di quest’enciclica sta a monte: chi sono gli interlocutori in grado di raccogliere questi inviti di papa Francesco? Il mondo cattolico per primo fatica a stargli
dietro; appare esso stesso polarizzato, scosso da una fronda forse numericamente non poi così significativa ma molto intraprendente sul web e sostenuta da generosi sponsor nel mondo neoliberista; una galassia di singoli e gruppi che mettono ormai apertamente in discussione la linea di questo Pontefice «più preoccupato delle questioni sociali che dell’annuncio di Gesù Cristo». Proprio la presa di posizione sulle unioni omosessuali accentuerà ulteriormente questa critica interna: nel cattolicesimo americano c’è già chi sta dicendo apertamente che «il Papa è in errore». Il tutto, poi, mentre gli scandali e le lotte di potere vaticane rilanciano un’immagine non esattamente fraterna persino di quel piccolo lembo di terra che il Papa dovrebbe governare. I frutti delle riforme della Curia Romana più volte auspicate stentano decisamente a vedersi, e questo non aumenta la credibilità di Bergoglio. Ma è soprattutto nel main stream del popolo cattolico che la rassegnazione oggi sembra decisamente prevalere sulla voglia di cambiamento. Le parrocchie sono tra i pezzi di mondo che più faticano a trovare il bandolo da cui ripartire dopo l’esperienza della pandemia: l’ultima cosa che oggi hanno in mente è preoccuparsi di ripensare la
propria presenza nella società. Quanto poi ai leader politici in circolazione basta guardare il livello della campagna elettorale negli Stati Uniti per avvertire l’impossibilità di trovare anche solo un vocabolario comune con papa Francesco. Mentre nemmeno il dialogo con le nuove potenze come la Cina di Xi Jinping sembra andare molto meglio alla Chiesa cattolica, visto quanto sta accadendo a Hong Kong. E infatti oggi il Vaticano – con la sua scelta più che comprensibile di rinnovare l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina, fortemente voluto da Bergoglio nel 2018 – fatica a non farsi strumentalizzare dentro lo schema dello scontro geopolitico tra Washington e Pechino. In fondo Fratelli tutti e l’apertura alle unioni omosessuali sono lo specchio della fase difficile che il Pontificato di Francesco sta vivendo. Esaurita la spinta propulsiva degli inizi, ricacciato in Vaticano dalla pandemia che per la prima volta dopo molti anni rende impossibili viaggi papali e bagni di folla, ostinatamente controcorrente in una fase storica in cui sembra dilagare ogni genere di paura, Bergoglio ha delineato il suo manifesto sul futuro. Ma senza una Chiesa che scelga di farlo proprio per davvero, rischia di trasformarsi nel sogno di un uomo solo. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Ancora bassi i tassi d’interesse ipotecari La consulenza della Banca Migros
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Strategie ipotecarie: esempi di tre profili di rischio
Fonte: Banca Migros
Santosh Brivio è Senior Economist presso la Banca Migros
La storia si ripete: come già avvenuto durante la crisi finanziaria del 2008/2009, anche nel corso della crisi legata al coronavirus le banche centrali hanno proceduto a importanti iniezioni di liquidità per attenuare il crollo congiunturale e garantire il funzionamento dei mercati finanziari. Inoltre, con gli acquisti di obbligazioni esse garantiscono la sostenibilità dei debiti pubblici, notevolmente aumentati per poter finanziare i piani di ripresa economica. Di conseguenza, per il momento non è prevedibile un decisivo rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato, nemmeno negli Stati Uniti, dove l’indebitamento è in forte aumento. Finché la banca centrale statunitense lascerà invariati i suoi tassi di riferimento, sarà scarso il margine di manovra della Banca centrale europea (BCE) per un aumento dei tassi. Pertanto, per la Banca nazionale svizzera (BNS) tutto resta come prima. Non può permettersi un rialzo dei tassi. In primo luogo, nei confronti del franco l’euro ha registrato un incremento molto inferiore rispetto al dollaro statunitense. In secondo luogo, la crisi
economica è ben lungi dall’essere superata. Esiste piuttosto il rischio che la BNS debba allentare ulteriormente la propria politica monetaria. Considerando dei tassi di riferimento invariati per i prossimi tre anni circa, i tassi ipotecari tenderanno a seguire perlopiù un andamento laterale. Non si possono escludere momentanee
oscillazioni verso il basso dovute alla crisi. Tuttavia, resta ben poco margine di manovra per tassi ancora più bassi. Chi in questo scenario vuole essere più sicuro può scegliere la cosiddetta strategia ipotecaria «conservativa» e fissare i tassi d’interesse attuali per diversi anni con un’ipoteca a lungo termine. Chi vuole invece salvaguar-
dare l’opportunità di una temporanea flessione dei tassi a lungo termine può scegliere una strategia «bilanciata» o «dinamica». Queste strategie comprendono le ipoteche basate sul mercato monetario, per le quali a breve termine si può passare alle ipoteche fisse e, all’occorrenza, avvalersi di un livello dei tassi ancora più basso. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Addio alla produzione di cemento A partire dalla fine dell’Ottocento e fino ai nostri giorni l’evoluzione della produzione di cemento è stata, con quella del consumo di energia, l’indicatore più certo della crescita economica. Nella società in via di industrializzazione della prima metà del Novecento, e in quella che stava urbanizzandosi della seconda metà, gli investimenti nell’edilizia e nel genio civile hanno sicuramente avuto un’influenza significativa sulla crescita della domanda globale e del Pil. Il cemento era così importante che, una sessantina di anni fa, lo si riteneva un prodotto strategico per l’economia nazionale e si incoraggiavano le iniziative, come quella della Saceba a Morbio inferiore, che tendevano a creare sul territorio nazionale centri produzione di questa materia indispensabile per l’edilizia e
per il genio civile. Oggi, in un periodo dove primeggiano le preoccupazioni per il riscaldamento dell’atmosfera, la produzione di cemento viene sicuramente guardata con occhi diversi e c’è chi si domanda addirittura come si sia potuto costruire un «Mostro» come la Saceba in un territorio con caratteristiche paesaggistiche pregiate come le Gole della Breggia. Sic transit gloria mundi! È bene però ricordare che non fu la coscienza ecologica in risveglio a decretare la fine di questa società, ma la concorrenza in un mercato che, nella seconda metà del secolo scorso, si fece sempre più internazionale. La Saceba fu fondata nel periodo di maggior espansione della produzione di cemento in Svizzera, ossia gli anni Sessanta dello scorso secolo. Con la crisi petrolifera dell’inizio degli anni Settanta, iniziaro-
no a calare i volumi costruiti e anche la domanda di cemento. La Saceba, che era nata come azienda indipendente, cominciò a segnare il passo e, alla fine, fu assorbita dalla Holcim S.A., il gigante dell’industria del cemento svizzera. Ma il processo di decadenza della produzione di cemento non si arrestò. Anche la Holcim cominciò a conoscere difficoltà crescenti, almeno sul mercato nazionale, e tese quindi a internazionalizzarsi. La revisione della legge sui cartelli, nell’ultima decade del secolo, assestò un secondo colpo doloroso a questa industria, obbligandola, di fatto, a sciogliere il cartello che la proteggeva. Poi, nel nuovo secolo, l’intensificarsi della coscienza ecologica e della lotta all’inquinamento le crearono nuove difficoltà. I produttori reagirono cercando di ridurre le emissioni di anidri-
de carbonica dei loro forni. L’obiettivo era quello di ottenere un cemento «verde» ossia senza immissioni di anidride carbonica entro trenta anni. Nel frattempo, però, l’innovazione tecnologica ha messo a punto materiali dai processi di produzione non inquinanti che possono sostituire il cemento. Oggi, secondo il parere degli esperti, i produttori di cemento svizzeri – in pratica la multinazionale Lafarge-Holcim – devono quindi prepararsi a un’ulteriore diminuzione della domanda del loro prodotto per la concorrenza di prodotti meno inquinanti che continueranno ad affluire sul mercato dei materiali da costruzione nei prossimi decenni. Stiamo quindi, in un certo senso, assistendo a una corsa tra gli interessi, in questo momento dominanti, del settore, rappresentati dalla Lafarge-Holcim,
che è alla ricerca di nuovi procedimenti per ridurre le immissioni di anidride carbonica che accompagnano la produzione di cemento, e gli innovatori nel settore dei materiali da costruzione concorrenziali che intendono mettere sul mercato prodotti sostitutivi sempre meno inquinanti. In Ticino, i resti della Saceba, che ha prodotto cemento per quattro decenni, dalla fine degli anni Cinquanta fino alla fine del secolo scorso, hanno dato vita a un «percorso del cemento» all’interno del parco naturale delle Gole della Breggia. A dipendenza di come si svilupperanno i materiali sostitutivi, questo percorso potrebbe diventare, in futuro, un monumento a una produzione abbandonata: quella del cemento tradizionale. È probabile che i nostri bisnipoti non vedranno più nemmeno un sacco di cemento.
sembrano insofferenti alla mascherina e alle altre regole. Che non piacciono a nessuno; ma pure un popolo individualista e familista dovrebbe convincersi che, se noi e i nostri familiari abbiamo la fortuna di non avere il Covid, questo non significa che altri non lo abbiano, e non possano trasmetterlo. Del resto, il negazionismo detta legge in molti campi, ed è stretto parente del complottismo. L’attitudine è antica come l’uomo. Tendiamo a pensare che le cose non siano così come ci vengono raccontate. Il che a volte è vero; ma non sempre. Il confine tra un sano spirito critico e la più sfrenata fantasia è labile, e spesso viene superato. Il criticone a prescindere, lo scettico integralista, il complottista è sempre esistito; ma finora il suo campo d’azione era limitato ai tavolini del bar. Ora la rete gli ha spalancato le praterie di Internet e della società virtuale. E in rete tutto ciò che è «alto» – la politica, la scienza, financo il giornalismo e tutto quanto sia percepito come «rappresentazione» – viene automaticamente screditato, a favore del «basso», il luogo mitico in cui si dicono
«le cose come stanno», e la «voce del popolo» diventa effettivamente «voce di Dio». Ormai il negazionista-complottista ha conquistato l’egemonia. Se poi ha l’impressione di essere leso nei propri interessi – o nel proprio narcisismo, altro fenomeno galoppante –, allora si salvi chi può. I dati peggiorano ogni giorno. L’esperienza dimostra che la pandemia può aggravarsi molto rapidamente. L’allarmismo non serve a nulla, ed è controproducente. Ma in giro non sento allarmismo. Sento molta gente sostenere tesi strampalate e assurde: è un complotto cinese, no è un complotto americano, ma che dite è un complotto mondiale, no è un piano di Conte per tenerci sotto controllo. Verrebbe da dire: magari ci fosse un piano. Il mondo intero va avanti a tentoni, naviga a vista. L’unico Paese davvero uscito dalla pandemia è la Cina; ma l’ha fatto con metodi dittatoriali impensabili in Europa. Però tra l’esecuzione sommaria di coloro che trasgredivano il lockdown e tossire sul prosciutto con la mascherina abbassata, come ho visto fare al
salumiere l’altro giorno, c’è di mezzo il buonsenso, il rispetto reciproco. Il povero Conte è stato paragonato sia a Göring sia a Fidel Castro. Ma qui non ci sono nazisti o bolscevichi. Ho qualche dubbio che il coprifuoco serva davvero. Ma rinunciare a fare tardi la sera non significa essere rastrellati e mandati nei lager o nei gulag. C’è un governo e ci sono «governatori» non sempre all’altezza della situazione. Si tratta ora di capire se Conte riuscirà a ritrovare il bandolo della matassa, o se si avviterà su se stesso. Di rimpasto di governo non si parla più, e neppure dei due vicepremier destinati ad affiancarlo; ma non è detto che sia un buon segno. Si attendono i soldi dell’Europa come una manna provvidenziale; ma già ora l’Italia non riesce a spendere tutti i fondi europei. Una quota del Recovery Fund, oltre ai sacrosanti investimenti su digitale, infrastrutture, ambiente, dovrà servire anche a ristorare i danni che la pandemia continua a infliggere a un tessuto produttivo che non si era mai ripreso del tutto dalla grande crisi finanziaria iniziata in America nel 2008.
zioni finanziarie, ma è certo che ne fosse a conoscenza. Di qui la proposta, avanzata da alcuni politici locali, di trasferire in un museo il monumento eretto nel 1889 di fronte alla stazione centrale. Ad ogni modo le ricerche proseguono ed è giusto che sia così. Escher fu senz’altro una personalità fuori del comune, per la straordinaria capacità di lavoro e per le energie che profuse nelle sue numerose iniziative; non è sbagliato considerarlo uno dei padri della Svizzera moderna uscita dalla guerra civile del Sonderbund. Ma anche lui, come tanti imprenditori rampanti dell’epoca, chiuse gli occhi di fronte alle ingiustizie generate dagli «spiriti animali» del liberismo allo stato brado, al destino dei miserabili, agli stenti delle classi subalterne. Anche l’impresario che si aggiudicò lo scavo del traforo ferroviario del San Gottardo, Louis Favre, meriterebbe un riesame critico. Finora ha prevalso
l’agiografia. Ginevra e Chêne-Bourg (il comune in cui nacque nel 1826) gli hanno dedicato monumenti e piazze. Un suo busto – opera dello scultore Pietro Andreoletti – è presente nel cimitero di Göschenen. Ma come non ricordare che fu la sua impresa ad arruolare nel 1875 le guardie che repressero nel sangue i minatori scesi in sciopero per protestare contro le proibitive condizioni di lavoro e per rivendicare aumenti salariali? I colpi di fucile nel villaggio urano fecero quattro vittime e numerosi feriti. Illuminare questi angoli bui non è lesa maestà. Voci di denuncia si levarono già in quel giro d’anni. Una di queste la espresse Vincenzo Vela, lo scultore del celeberrimo bassorilievo dedicato alle «vittime del lavoro», il quale così giustificò la sua iniziativa in una lettera indirizzata all’amico Carlo Baravalle: «informato a principii liberali sempre ammirai l’operaio, le classi oppresse, stimai sempre i martiri del
lavoro, quelli che arrischiano la loro vita senza fanatismo né orgasmo che la guerra produce ma calmi soldati del lavoro…». La Compagnia del Gottardo respinse l’offerta di procedere alla fusione in bronzo dell’opera, cosicché il bassorilievo fece ritorno nello studio dell’artista a Ligornetto. Solo nel 1932 fu possibile collocarlo sul piazzale antistante la stazione di Airolo. Purtroppo l’ecatombe di lavoratori non è mai cessata da allora. Anche i cantieri ticinesi sono spesso teatro di disgrazie, come testimoniano le cronache: frontalieri arruolati dalle imprese edili per svolgere mansioni ingrate e pericolose e poi nemmeno chiamati per nome quando perdono la vita per sventura o negligenza altrui. Se Vela resuscitasse in questo anno in cui si celebra il suo bicentenario della nascita (1820-2020), siamo certi che renderebbe omaggio alle tante nuove formiche operose che ciclicamente cadono sul fronte del lavoro.
In&outlet di Aldo Cazzullo Magari ci fosse un piano
Wikipedia
La seconda ondata, prevedibile e prevista, è arrivata; e l’Europa – tranne la solita Germania – si è fatta trovare clamorosamente impreparata. Rispetto a marzo, almeno si trovano le mascherine, e si fanno molti più tamponi. Ma il sistema di tracciamento è ormai saltato. A Roma ci sono persone che fanno ore di coda per uno dei test più banali che esistano: un tampone non è una Tac o una risonanza magnetica, è un bastoncino che si infila nel naso
e/o in gola e trae materiale in cui grazie ad appositi reagenti è possibile rilevare o escludere la presenza del virus. Eppure le operazioni più semplici diventano, nella capitale italiana, molto complicate. E anche il settore della sanità privata, tenuto incomprensibilmente a freno per mesi, ora che è stato autorizzato a fare pure i tamponi molecolari fatica – con le solite eccezioni – a mettersi in moto. Il presidente del Consiglio Antonio Conte (nella foto) esita a prendere le decisioni più drastiche, che il partito democratico gli chiede. Il premier capisce di non essere più popolare come ai tempi del lockdown. Gli italiani hanno paura del virus, ma hanno anche paura della povertà. E la burocrazia si conferma a ogni occasione strutturata più per alimentare se stessa che per rendere esecutivi i provvedimenti: lo Stato italiano è un pessimo pagatore, e molte risorse già stanziate non sono ancora arrivate, dalla cassa integrazione agli aiuti ai lavoratori autonomi. Questo spiega ma non giustifica l’insofferenza che serpeggia nel Paese. Più che negazionisti, molti italiani mi
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Vincenzo Vela e i morti sul lavoro «Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie…», proclamavano i futuristi nel loro «Manifesto» del 1909. Era una provocazione, naturalmente, un guanto di sfida lanciato ai conservatori e ai tradizionalisti, ma qualcuno allora prese quelle parole alla lettera, pensando che il passato si potesse cancellare con un colpo di spugna. Grandiosa e disperata illusione, giacché la storia prima o poi presenta il conto: è come un torrente carsico, che dopo un periodo di relativa quiete riemerge con impeto alla superficie, portando con sé i detriti rimossi, i traumi e le ferite individuali e collettive. Quanto sta succedendo in questi mesi sulle due sponde dell’Atlantico, ossia la furia iconoclasta contro figure un tempo ritenute illustri e benemerite, è da un lato comprensibile (si pensi all’abbattimento delle statue di Lenin nell’ex Unione Sovietica), ma dall’altro rischia di rendere un cattivo
servizio alla formazione di un’articolata coscienza storica. Distruggere non è mai la via migliore, anche se la rabbia proviene da minoranze tuttora oppresse, come i neri e i nativi rinchiusi nelle riserve. Ciò detto, è bene che finalmente, sull’onda dell’indignazione popolare, autorità e accademie abbiano deciso di riaprire le indagini su personaggi non propriamente immacolati. Zurigo lo sta facendo nei confronti di Alfred Escher, il barone delle ferrovie, uno degli artefici della galleria del San Gottardo, promotore di istituti bancari e assicurativi, co-fondatore del Politecnico federale nonché cittadino onorario di Lugano. Recentemente si è scoperto che gli zii Fritz e Ferdinand impiegarono nella loro piantagione di caffè sull’isola di Cuba un’ottantina di schiavi. I ricercatori non sono ancora in grado di stabilire se Escher medesimo avesse tratto profitto da quest’attività del parentado per le sue opera-
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Sono tornati i classici
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Cultura e Spettacoli Le donne della Mazzucco A colloquio con la scrittrice italiana Melania Mazzucco, che sarà ospite degli Eventi letterari
Per una poesia della vita La nuova raccolta di poesie dell’italiano Paolo Ruffilli è un «canzoniere della modernità» pagina 43
Un Le Corbusier inedito Le Corbusier, prima di divenire uno dei più influenti architetti del Novecento, si dedicò alla pittura; a Mendrisio lo celebra una mostra
Cito, ossia Nuvitads Abbiamo incontrato l’artista ticinese Cito Steiger, autore di memorabili personaggi comici
pagina 46
pagina 47
pagina 41
Giandomenico Tiepolo Il Mondo Novo, 1757. (Keystone)
Il fascino discreto del rovescio
Pubblicazioni Il ritratto di schiena, oltre a offrire prospettive inedite, può avere funzione filosofica,
sensuale e concettuale
Emanuela Burgazzoli L’idea del libro di Eleonora Marangoni, intitolato Viceversa – il mondo visto di spalle, uscito per le edizioni Johan e Levi nella bella collana «Parole e immagini» – ha origine dal suo desiderio di fare ordine; di capire perché nel corso degli anni, prima durante i suoi studi di letteratura comparata a Parigi e poi in Italia, nella sua vita di copywriter, abbia collezionato immagini che ritraggono quasi sempre figure girate di spalle. Il percorso di Marangoni intreccia la storia della pittura e della fotografia con la letteratura, all’occorrenza riuscendo a ricostruire una convincente classificazione delle Rückenfiguren che parte dall’antichità, con l’hapax della così detta Flora di Stabia, la figura di un affresco del I secolo d.C. scoperta nella villa Arianna nell’odierna Castellammare a fine Settecento. Se è vero che non sono tutte uguali, queste figure voltate emanano tutte un potere che risiede nel mistero di un volto celato, «sono povere di armi e insieme potentissime». La dea della primavera è l’anello
che unisce il mondo dell’antico Egitto e la tradizione pittorica europea, quella del Giotto che ritrae di schiena alcuni apostoli nell’Ultima cena nella Cappella degli Scrovegni. Si comincia così a fare a meno della frontalità – anche se il Quattrocento predilige il canone albertiano del decorum, fatto di proporzioni e armonia. La figura di spalle non è sempre solitaria, diventa anche una moltitudine di corpi: ne è un sorprendente esempio Il Mondo novo di Tiepolo, affresco dipinto nel 1791 a pochi anni dalla fine della Serenissima, in cui il pittore sceglie un’inquadratura moderna e inedita che rende partecipe l’osservatore di questa visione tesa verso «un futuro imprendibile». Poi c’è una categoria di figure in contemplazione della Natura; il Sublime con cui dialogano le emblematiche figure dei viandanti di Friedrich, eroi romantici; una linea sottile che riemerge nel Novecento, per esempio in un disegno giovanile di Hopper che ritrae un bambino di spalle al mare, premonitore di quella solitudine esistenziale che avvolge molti dei suoi personaggi successivi
di interni newyorchesi. Una solitudine che viene da lontano, dal Seicento olandese, dove il quotidiano è diventato arte e noi siamo invitati a rubare momenti privati, come nell’emblematico Lo studio dell’artista di Vermeer. E poi c’è il fascino della sensualità, con l’avvento della nuca femminile, che nell’Ottocento è «metafora soffusa e ammiccante del desiderio» (si pensi alle pensose schiene di donna in molte tele impressioniste); e l’invenzione artistica e letteraria trova riscontro scientifico nei trattati di frenologia dell’epoca. I poteri della nuca si estendono nel Novecento, sino a divenire – come provano gli scritti di Proust, Svevo o Colette – elemento dirompente, capace di «svelare segreti e ribaltare equilibri». Ma Marangoni non dimentica il nudo di schiena maschile dalla lunga tradizione che inizia nel Cinquecento e prosegue fino ai potenti nudi di Lucian Freud, «maestro dei corpi». E cosa succede quando il quadro stesso diventa il suo rovescio? Un’operazione concettuale che non è soltanto esclusiva di artisti a noi vicini come
Giulio Paolini e Roy Lichtenstein, ma che ha un unico precedente illustre nella pittura fiamminga del Seicento, con Cornelis Gijsbrechts che dipinge un sorprendente Trompe l’oeil. Rovescio di un quadro. Opera che lanciava «una doppia sfida, all’osservatore e alla pittura stessa». Una sfida che evolve nel Novecento, quando ci si chiede se esiste un’arte di guardare l’arte. Risponde la fotografia contemporanea: negli anni Ottanta il tedesco Thomas Struth indaga il rapporto che intercorre fra il pubblico dei musei e i capolavori della pittura. Nella sua serie Museum Photographs il tempo dell’opera e quello dello spettatore vengono messi sullo stesso piano, sottraendo i capolavori del passato al «loro status di icone immortali». Infine c’è la postura di spalle come destino che prende spunto da «una delle prime poser della storia», ovvero la Contessa di Castiglione, amante di Napoleone III. Una donna che aveva intuito molto prima dell’era dei selfie il potere del culto della propria immagine e l’efficacia di farsi ritrarre di schiena, «per sottolineare la propria unicità».
Ci sono poi i ritratti di schiena con intenti politici, come nel caso dei Veteranos, foto di soldati nei paesi in guerra di Santiago Sierra. E poi quelle che hanno una funzione quasi filosofica, come le mitiche capigliature e schiene di Domenico Gnoli: dopo una brillante carriera di illustratore e scenografo, a 33 anni Gnoli si era ritirato sull’isola di Maiorca a dipingere, scoprendo la piena libertà «dalla cultura del secolo». Viste di spalle le sue figure sono libere da preconcetti, «riscrivono l’ordine delle cose» perché sospendono gli automatismi del vedere. Ecco perché la sua è una pittura del nascondimento e dell’essenza; di fronte a essa abbiamo la possibilità di indugiare, di tergiversare; le figure di schiena «servono anche, e forse innanzitutto, a concederci una tregua». Che di questi tempi non è poco. Bibliografia
Eleonora Marangoni, Viceversa – Il mondo visto di spalle, Monza, Johan&Levi, 2020.
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Cultura e Spettacoli
Le migliori espressioni umane Incontri A colloquio con la scrittrice italiana Melania Mazzucco, che sarà ospite
degli imminenti Eventi letterari del Monte Verità Abbiamo incontrato Melania Mazzucco, scrittrice italiana, tradotta in tutto il mondo, autrice di numerosi romanzi tra i quali Lei così amata (Einaudi 2000) dedicato alla storia dell’artista svizzera Annemarie Schwarzenbach e L’architettrice (Einaudi 2019), sulla vita di Plautilla Brecci, architetta romana del ’600.
Giorgio Thoeni
In L’architettrice racconta la storia dimenticata di Plautilla Brecci, come Anna Banti fece con la pittrice Artemisia Gentileschi. Secondo lei queste donne erano solo ribelli o andavano più veloce del loro tempo?
Nelle prime pagine del suo ultimo romanzo, racconta del pesce dux che aiuta i grandi cetacei a cibarsi e li guida «come un timone». Cosa la
Melania Mazzucco è nata a Roma nel 1966. (Keystone) guida nella scelta delle storie che racconta?
Non ho ancora capito se io sono la balena o il pesciolino, se conduco io la storia o ne vengo condotta... Alle storie mi attira una scintilla, che infiamma una brace sopita. Può essere un’intuizione, un’immagine, una parola, un quadro, o un semplice nome nel libro di un altro. Sul momento non capisco mai la potenza del fuoco che quella scintilla può sprigionare, né la capacità di incendiare i miei ricordi, i miei desideri, i miei interessi. Solo il tempo che passa mi rivela quanto lontano possa guidarmi.
Nel suo romanzo Io sono con te. Storia di Brigitte (Einaudi 2016) lei dona alle lettrici e ai lettori la testimonianza di una donna scappata dal Congo e approdata a Roma. Anche Brigitte si è ribellata alle ingiustizie subite nel suo paese d’origine e anche lei ne ha pagato severamente il prezzo. Qual è la differenza tra ribellione e eroismo?
Credo che l’eroismo sia qualcosa di molto semplice, e perciò così raro: nel momento in cui sei chiamato a una scelta, fare ciò che è giusto. Poiché il bene e il male esistono, e tutti noi lo sappiamo. Senza nemmeno porsi la domanda se agire diversamente, d’istinto, con naturalezza e incuranti delle con-
seguenze. Un ribelle può essere eroico, un eroe può non essere un ribelle – anzi, spesso è qualcuno che si limita a fare il proprio dovere. E a volte, in molte circostanze della storia, è esattamente ciò che è accaduto.
In L’architettrice, per raccontare quanto fosse effimera la vita nel ’600, scrive: «chiunque poteva sparire dall’oggi al domani, morire per una febbre qualsiasi o la puntura di un insetto, affogare nel Tevere, finire spiaccicato sotto un carro, fracassato dal calcio di un cavallo…». Dal suo punto di vista, la fase storica che stiamo vivendo ci cambierà? E come?
Non so se la lezione del Covid ci cambierà. I comportamenti della popolazione mondiale dopo il lockdown sembrano testimoniare che non si sia compreso che la vita umana – e anche la vita del nostro pianeta – è precaria e preziosa, perché non si può comprare, né scambiare, né ritrovare dopo che l’hai gettata via o distrutta. Anzi il vitalismo postcatastrofe è sembrato quasi una sfida al virus e alla morte. Ma forse la ricaduta di questo autunno potrà illuminare di altra luce l’evento e far ripensare davvero al nostro modo di stare al mondo. Credo che comunque ciascuno di noi abbia sperimentato la precarietà
e anche l’insensatezza di abitudini e comportamenti sui quali erano basate le nostre esistenze, e abbia ridimensionato prospettive, spese, progetti, e riscoperto il valore del tempo, del corpo e delle relazioni. Questo trauma resterà, anche se non è detto che ci renderà migliori. Al contrario, di solito dopo un trauma insorge il «disturbo» – la rimozione, l’evitamento, la negazione, l’incubo ricorrente. Chissà per quanti anni sogneremo la tosse, le mascherine, l’asfissia, la paura degli altri. E quanto tempo ci vorrà perché torniamo a fidarci di un abbraccio o una stretta di mano tra sconosciuti. Non vedo cambiamenti positivi dopo mesi di sospetto reciproco, delazione o spionaggio involontario, isolamento e perdita di socialità. L’incontro, la mescolanza, lo svago collettivo, il piacere del contatto e della condivisione di un’esperienza erano le migliori espressioni dell’essere umani, una conquista di libertà e uguaglianza – e c’è da rimpiangerle, e da ripristinarle. Melania Mazzucco parlerà di Sogni di donne ribelli venerdì 30 ottobre al Monte Verità (ore 21). Per maggiori informazioni: www.eventiletterari.swiss
Ferruccio Cainero.
Balletto U na Bella addormentata che non si desta al bacio del principe
Sempre tassative le misure eccezionali adottate dall’Opernhaus in questi tempi di Corona. Mascherina obbligatoria per i 900 spettatori ammessi, contact tracing, punti di ristoro chiusi, orchestra a distanza, ma ascoltata live in teatro via cavo in fibra ottica. Come per il recente Boris Godunov, risultati sonori al di là di ogni previsione anche alla première della Bella addormentata di Čajkovskij con nuove coreografie di Christian Spuck, peraltro realizzate facendo rispettare regole severe anche all’interno della troupe. La Bella Addormentata, dunque, varato a Pietroburgo nel 1890, su libretto di Ivan Vsevolozhsky basato sull’omonima fiaba di Perrault, e primo balletto di Čajkovskij su coreografie del già famoso Marius Petipa. La partitura molto descrittiva di situazioni e caratteri quindi musicalmente «prestabiliti» ha ispirato generazioni di coreografi di alta levatura che ne hanno comunque fatto oggetto delle più svariate interpretazioni. Ce ne ricordiamo due zurighesi diverse tra di loro e anche da questa di Spuck: una più tradizionale di Uwe
Scholz nel 1985, e l’indimenticabile di Mats Ek nel 2011/ 2014, la cui azione si svolgeva nel famigerato Platzspitz di Zurigo. Anche questa nuova versione è modernizzata: per esempio non vi sono i personaggi di altre fiabe come il Gatto con gli stivali, Cappuccetto rosso, Cenerentola, Pollicino, inclusi dal librettista e quasi sempre presenti come divertissement alla fine del balletto; vi sono
Carabosse (William Moore). (© Gregory Batardon)
tuttavia dei divertissement nel prologo e in altri momenti. Ma c’è di più: Spuck pone l’accento sul processo di emancipazione di Aurora, sia dai genitori (che nel prologo rubano alle fate la carrozzina con la neonata), sia, come donna, da ogni stereotipo culturale. Aurora non si desta al bacio del principe, ma solo a quello di Carabosse. Resasi poi conto del suo potere (di fata, di donna?) fa riaddormentare tutti prima di decidere autonomamente se accettare l’amore di Désiré, e sarà quindi lei a baciare lui. Conflitto generazionale, amore e sessualità ed emancipazione, dunque, ma anche l’assenza di una netta cesura fra bene e male. Carabosse non è la strega cattiva, il male, né una figura interamente negativa; è sensibile, vulnerabile e vuol bene ad Aurora, al punto che sarà proprio il suo bacio sincero a svegliarla. William Moore è davvero magnifico nel ruolo. Gli è pari Jan Casier quale Fata dei Lillà con l’onnipresente borsetta lilla, più indaffarata direttrice di scena che fatina tutta bontà e sorrisi. Ottima Michelle Willems nei panni che le calzano a pennello di Aurora: minuta e leggera, credibile come bimba iperprotetta, come adolescente, infine
Dopo la lettura pubblica dello scorso luglio alla Filanda di Mendrisio, il Teatro Sociale di Bellinzona ha recentemente ospitato il debutto della versione scenica di Socrate e la sabbia di Ferruccio Cainero, accompagnato dalla proiezione dei disegni realizzati con la sabbia da Lorenzo Manetti su una tavola illuminata. La lettura drammaturgica, intesa come struttura dello spettacolo attraverso la narrazione della storia e i suoi interpreti, si sviluppa da Socrate a Nietzsche, dai miti greci agli algoritmi, da Babbo Natale alla pizza, riferimenti sui quali Cainero ripercorre oltre duemila anni di civiltà, immergendoli nella dubbiosa dimensione filosofica fra fede e verità, fra trascendenza e intelligenza del reale. Due ore frammezzate da una pausa in cui la bravura affabulatoria dell’attore si alterna alla composizione dei disegni che, come dei mandala, conquistano il respiro fra i vari capitoli del racconto per poi sparire come in un processo cosmico. L’idea, non nuova ma centrata, permette a Cainero di cadenzare la parte iniziale del suo spettacolo, più fluida e leggera, divertente e farcita di spunti autobiografici rispetto a quella conclusiva, in cui le riflessioni sui destini del mondo indugiano con un sermone laico su preoccupazioni condivisibili, ma la cui presa emotiva tende a perdere di intensità. Numerosi applausi hanno siglato lo spettacolo sulla cui tenuta, a nostro avviso, si devono ancora fare i conti con una misura predicatoria meno profetica e una regia più calibrata.
Dove e quando
Tutt’altro che addormentata Marinella Polli
Teatro I n scena
anche un’affascinante danza Bauhaus
Laura Marzi
Artemisia di Anna Banti rimane un romanzo capitale della letteratura italiana, un esempio perfetto di equilibrio fra ricerca, racconto, invenzione e stile, e mi stupisco (e mi indigno anche un po’) che non figuri nelle storie letterarie con il rilievo che merita. Ma non so quanto consapevolmente Artemisia o Plautilla fossero ribelli. Per lunga parte della loro vita accettarono le scelte dei loro padri, anche se erano sbagliate o nocive. E li rispettarono e omaggiarono fino alla fine. Di certo con la maturità (ancora giovane ma già moglie e madre Artemisia, più adulta Plautilla) rifiutarono entrambe il destino assegnato, e non si accontentarono dello spazio angusto loro riservato nel mondo dell’arte. Forzarono consapevolmente i margini, e questo le proiettò oltre le convenzioni, le abitudini, i giudizi e il loro tempo. Le escluse, anche – basti pensare alla «cattiva fama» che avviluppò Artemisia fino alla fine, o al silenzio che inghiottì Plautilla. Furono delle pioniere. La loro importanza sta proprio in questo: fecero qualcosa che non era mai stato fatto prima. Qualcuno deve assumersi il compito di agire per primo, di incamminarsi su una strada ignota, per cambiare le regole per tutti. E loro lo hanno fatto, subendone le conseguenze.
Cainero: 2000 anni di verità e sabbia
Il fascino Bauhaus
come giovane donna che sa quello che vuole. E bravo anche Esteban Berlanga quale principe Désiré. Un Ballett Zürich, insomma, di elevato livello tecnico e artistico e meritevole del titolo di Compagnia di ballo dell’anno insignitogli dalla prestigiosa rivista «Tanz» (che ha inoltre definito il balletto di Spuck La piccola Fiammiferaia produzione dell’anno). Quasi una coreografia nella coreografia, la scena girevole di Rufus Didwiszus, un labirinto di interni e di porte, belli i costumi variopinti di Buki Shiff, Anni Cinquanta nel prologo e nel primo atto e, paradossalmente, ottocenteschi nel secondo. Resta ancora da dire della Philarmonia Zürich diretta da Robertas Servenikas che ha reso tutto il colore fra il francese, lo slavo e il wagneriano della ricca partitura, malgrado l’ordine dei numeri musicali sia stato modificato; e malgrado la citata situazione d’emergenza. Dove e quando
Fino al 28 marzo all’Opernhaus con il Ballett Zürich. www.opernhaus.ch
Il Teatro San Materno, grazie alla tenacia e alle idee di Tiziana Arnaboldi, riesce a mantenere alta la sua offerta artistica. Come ha dimostrato Autour du corps, l’omaggio al Bauhaus che la coreografa asconese ha messo in scena nella piccola sala che, nonostante le regole sanitarie, ha fatto il tutto esaurito. Lo spettacolo si sviluppa dai concetti basilari su forme e movimento della storica scuola tedesca d’arte e design che, riletti oggi, mettono ancora in luce la loro modernità e il senso di un’espressione dilatata del teatro e del corpo nello spazio. Sulla scena due gruppi di cerchi di dimensioni modulari e due bravissime danzatrici, Marta Ciappina e Eleonora Chiocchini, che vi ruotano attorno dando una dimensione ipnotica alla circolarità. A poco a poco, i cerchi vengono uniti in un insieme concentrico indossato sui fianchi come una gonna (creazione di Claudia Broggi). La trasformazione diventa il motore dell’allestimento, forma metafisica e sacrale di una «danza dervisci» che si compone e destruttura in una fitta trama spaziale. Un astratto formale con cui la Arnaboldi ci proietta fra le orbite Bauhaus nell’avvolgente elaborazione elettronica dalle venature futuriste di Mauro Casappa e le luci di Elia Albertella.
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Cultura e Spettacoli
Corpo a corpo col mondo Poesia L’ultima raccolta dell’italiano Paolo Ruffilli a tratti ha un taglio quasi cinematografico Guido Monti Paolo Ruffilli con Le cose del mondo ci lascia un’opera rilevantissima, composta come dice l’autore in nota, nell’arco di quarant’anni e che, a ragione, potrebbe essere definita un canzoniere della modernità per le sue varietà contenutistica, complessità linguistica, capacità di saper penetrare i vari piani dell’esistere. I versi del libro difatti si misurano in un corpo a corpo con quella che è la minuta storia e rivelano di essa quei movimenti interni fatti di luci, ombre, inaspettate folgorazioni; la grande storia invece, quella che sembra da sempre muovere e indirizzare il mondo, non ha come d’incanto in queste pagine più cittadinanza. L’attacco della prima sezione, dal taglio quasi cinematografico intitolata, Nell’atto di partire, è fulminante per forza d’immagini alimentate: un ipotetico viaggiatore su un ipotetico treno, vede sfilare dal finestrino il variegato mondo di fuori cosicché egli riesce, attraverso la suggestione della visione, a immaginare e annotare una realtà molteplice. Vi è nel libro questo continuo misurarsi dell’autore e del suo intelletto con i dati d’esistenza sempre mutevoli che paiono da dietro il vetro in corsa, domandandogli audizione, interpretazione: «Dalla discesa della nostra corsa / rallentata, un qualche interno: / il letto
sfatto, un bagno e la cucina. / … / Dalla vetrata aperta sul terrazzo / qualcuno che tenta di sottrarsi e / che si stende in fretta sul divano / … / la mano senza presa tra le tende al vento. / ...».
In questo «canzoniere della modernità» vi è un continuo misurarsi con i mutevoli dati dell’esistenza E qui è la forza di Ruffilli, riportare storie dalla pura osservazione dell’attimo, non concedersi mai ad astrazioni, rimanere sempre appeso al filo del vissuto, da quello semmai sempre ripartire, per poter parlare di emozione, miseria, esaltazione, paura, umiltà, eroicità; parole che potrebbero risultare nella loro accezione vuote e astratte, prive di mordente, se non vi fosse questa traboccante esperienza a sorreggerle. E nell’esperire, provare il mondo, il poeta ci ha dato una prova magistrale, seppur non attraverso il mero e scontato travaso autobiografico; certo la parola dell’autore, tocca le relazioni anche personali con il variegato ventaglio di emozioni a corollario, facendone però dei movimenti dello spirito, degli spartiti lirici che camminano sulla pagina e per questo si staccano dal mero personalismo divenendo specchio per tutti noi: «Come eroe, lo sai, mi sono / defilato: non ho la faccia / per sostenere il ruolo, timido e / impacciato,… / Ma non importa che io sia perfetto / e onnipotente, allora non avrei / davvero niente da suggerirti / e non sarei presente come invece / spero di restare,… / …». Nel libro corre parallela naturalmente, anche la riflessione irrinunciabile sulla parola, quella che certo ragiona sul mondo, ma anche su sé stessa, sulla sua capacità evocativa, ed ecco allora che l’autore da linguista di rilievo che è, formatosi su Heilmann, Barthes, Chomsky, ci fa intendere che il mondo esiste solo se nominato e quale parola, più di quella poetica, ha questa capacità?: «Fatale è il gelido potere che la parola / ha in sé, più nuda e
Il poeta Paolo Ruffilli.
più crudele / di qualsiasi altra cosa in bene e in male. / …». Ma occorre sapere evocare e mi viene in mente a proposito di linguisti, il Saussure segreto, quello che parlava degli anagrammi, le parole sotto le parole, e difatti quella di Ruffilli in qualche modo è una parola che dicendo un poco cela e celando un poco svela, che è il proprio della più autentica poesia. Tutto attraverso la nominazione dall’esistenza informe prende consistenza e nella sezione Le cose del mondo, una serie di manufatti umani, proprio perché nominati e ripescati dall’indistinto, assumono una funzione, rivelando il loro proprio. Ecco allora la capacità identitaria ma anche evocativa di questa parola, che tutto
al suo interno è capace di ricomprendere; questo anche nel capitolo Atlante anatomico, dove appunto le parti del corpo vengono come sezionate, pronte ognuna dal particolare della propria funzione a riportarci a un’idea più generale della variegata storia dell’uomo. Prendiamo la «Schiena»: «Portarci su qualcuno di inatteso / scroccone sfruttatore parassita / … / Voltarla per fuggirsene senza respiro / lasciando qualcun altro al suo destino / ... / Metterci in groppa… / un figlio o un nipotino da portare in giro / o l’amante da gettare sopra al letto». Ma il poeta, per poter dire davvero, deve anche avere talento nel fare assonare le parole; assonanza, massima in questo libro, come capacità più
generale della parola di riprendere e rincorrere l’altra sopravanzandola, talvolta inglobandola, aprendone talvolta nuovi orizzonti di significato; la musicalità linguistica nel verso quindi come strumento sapienziale che concorre al discoprimento delle ragioni più nascoste del vivere di ognuno di noi. Paolo Ruffilli nel suo corpo a corpo, non solo figurato, col mondo, ha dato prova di aver raggiunto con questa raccolta, un esito tra i più alti, un apice artistico. Bibliografia
Paolo Ruffilli, Le cose del mondo, Milano, Mondadori, 2020. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Cura autunnale per la pelle Proprio adesso il cambio di stagione può strapazzare la pelle. La linea pH-Balance offre prodotti per la prevenzione. Olivia Arnold, responsabile ricerca e sviluppo presso Mibelle, dà qualche consiglio per i giorni più freddi
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Olivia Arnold è responsabile ricerca e sviluppo per la cosmetica naturale, prodotti per il corpo e igiene dentale presso Mibelle Group.
Secondo alcuni studi, dal 40 al 50 percento delle persone lamentano sintomi quali prurito, tensione o arrossamento della pelle. Come mai?
La pelle è ben protetta contro gli influssi esterni dal mantello acido protettivo. Tuttavia, condizioni meteo e climatiche come caldo, freddo, riscaldamento e sostanze nocive possono irritare la pelle. Anche una bassa assunzione di liquidi, alimentazione sbagliata e cosmetici non adatti possono provocare questa reazione. Cosa si può fare in questo caso?
La pelle sensibile necessita di una cura attenta per mantenere il mantello acido protettivo. Un consiglio è quello di uti-
lizzare prodotti con un valore pH di 5.5. Questo valore preserva il mantello acido protettivo naturale della pelle. In aggiunta i prodotti dovrebbero contenere sostanze neutre e curative. Quali prodotti soddisfano questi requisiti?
Tra gli altri quelli della linea pH-Balance della Migros. È stata sviluppata appositamente per le persone con pelle sensibile. I prodotti detergono e curano la pelle in modo delicato con sostanze neutre e sono arricchiti con principi attivi quali bisabololo e dexpantenolo. Grazie a ingredienti accuratamente selezionati tutti i prodotti pH-Balance sono molto ben
tollerati dalla pelle e sono pertanto indicati per tutta la famiglia. Come si verifica che i prodotti pHBalance siano veramente efficaci?
I prodotti sono testati clinicamente presso l’Inselspital di Berna. Inoltre la loro tollerabilità è dermatologicamente confermata. Prevengono le irritazioni cutanee e sono stati sviluppati per la detersione e la cura quotidiana. I prodotti della linea rossa sono in aggiunta consigliati per i tipi di pelle molto secca. Di base pH-Balance è indicato anche per le pelli normali. Come utilizzo correttamente il gel doccia e l’olio trattante?
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Per la doccia è sufficiente mettere un cucchiaino da tè di prodotto sulla mano, schiumare brevemente e distribuirlo su tutto il corpo. Anche l’olio da doccia può essere utilizzato allo stesso modo. L’olio trattante si applica dopo la doccia in un sottile strato sulla pelle asciutta. A dipendenza dell’area del corpo, basta anche qui una porzione equivalente a un cucchiaino da tè. E la crema per le mani e il roll-on?
Per la crema per le mani mettere una piccola porzione sulla mano e spalmarla bene. Il roll-on va applicato una volta sotto le ascelle, dall’alto verso il basso, e lasciarlo asciugare.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Cultura e Spettacoli
Il pittore Le Corbusier Mostre Il singolare parallelo con le opere di formazione di Edward Hopper
Alberto Caruso Chi, tra i visitatori della mostra I disegni giovanili di Le Corbusier 1902-1916 – inaugurata lo scorso 19 settembre al Teatro dell’Architettura di Mendrisio – ha avuto l’occasione nei mesi scorsi di visitare anche la mostra dedicata all’opera di Edward Hopper alla Fondazione Beyeler di Riehen, avrà forse notato una particolare assonanza tra l’atmosfera sospesa dei primi paesaggi dipinti da Hopper e le prove pittoriche giovanili di Le Corbusier. Due storie personali diverse, quelle di Hopper e di Charles-Edouard Jeanneret-Gris (in seguito chiamato Le Corbusier), maturate in contesti diversi e lontani, ma coetanee e accomunate dai riferimenti culturali della loro formazione. Il più significativo artista del cosiddetto «realismo» americano e l’architetto che ha caratterizzato più di ogni altro la modernità europea sono nati rispettivamente nel 1882 e nel 1887 e sono scomparsi nel 1967 e nel 1965. Oggi spesso si parla di globalizzazione culturale come se si trattasse di un fenomeno del tutto nuovo, mentre la storia del mondo occidentale è stata attraversata dalla conoscenza di movimenti artistici che hanno valicato frontiere e oceani. Si pensi, per esempio, ai modelli dell’architettura palladiana diffusi dal Veneto all’Inghilterra e agli Stati Uniti, o all’architettura religiosa barocca, contaminata dalle culture locali in Africa e in America Latina. Un
successo analogo lo ha avuto la cultura pittorica europea della fine del XIX secolo, in particolare l’impressionismo francese, e quella del primo Novecento. Sia nel caso di Le Corbusier che di Hopper, parliamo di «formazione», cioè di opere artistiche prodotte nel periodo precedente l’espressione matura. A Mendrisio sono esposte circa ottanta piccole opere del pittore Le Corbusier (disegni, acquerelli, gouaches e olî), molte delle quali dipinte quando ancora l’autore non aveva scelto con certezza di dedicarsi all’architettura. I soggetti più interessanti sono i paesaggi, fortemente espressivi e ispirati alle opere degli impressionisti, in particolare di Pissarro, e dei pittori fauves come Derain. Nei primi dipinti, Le Corbusier non aveva ancora viaggiato in Italia e in Grecia e le atmosfere pittoriche sono più nordiche che mediterranee. Nei quadri della formazione di Hopper, che ha più volte soggiornato a Parigi, i riferimenti dei paesaggi del Maine o di Cape Cod sono singolarmente molto simili a quelli di Le Corbusier. Nella sequenza temporale si coglie il lento avvicinamento di Hopper dalla prospettiva aperta e senza limiti dei paesaggi alla ricerca del limite spaziale. Hopper è un pittore «architettonico», nel senso della descrizione luminosa dello spazio concluso, nel quale la figura umana ha innanzitutto il ruolo di illustrare la scala, la misura dello spazio. Lo spazio è spesso osservato dall’esterno di una finestra, è delimitato dai muri di un locale e traguarda il
contesto esterno attraverso una seconda finestra passante. Nei paesaggi di Le Corbusier, a un certo punto della loro storia, irrompono come soggetti le colonne del Partenone. È qui che – come ha sottolineato Mario Botta durante la presentazione della mostra – si può forse cogliere l’inizio della speciale propensione dell’autore per l’architettura e la ricerca spaziale. La frequentazione, dal 1902, dell’École d’Art appliqué à l’Industrie di La Chaux-de-Fonds ha formato Le Corbusier lasciando un profondo segno nel suo pensiero. La presenza così dominante, nella sua città natale, dell’industria meccanica (soprattutto dedicata alla produzione degli orologi) ha conferito al suo atteggiamento verso la natura una sostanziale razionalità, che avrebbe distinto il suo pensiero e la sua attività progettuale. La natura, avrebbe scritto nel 1925, «…non rappresentatela come fanno i paesaggisti, che ne mostrano solo l’aspetto esteriore. Indagatene la causa, la forma, lo sviluppo vitale…». L’attività pittorica di Le Corbusier è continuata per tutta la vita e, soprattutto dopo gli anni 30, è diventata matura e autonoma rispetto all’attività architettonica. La storia del pittore (e scultore) Le Corbusier deve essere ancora scritta e la ricerca di Danièle Pauly, curatrice della mostra, costituisce un primo contributo importante nell’ordinamento e nell’interpretazione del suo corpus complessivo. Nell’opera di Le Corbusier è differente il ruolo dei dipinti e degli sketch.
Scultura su legno del museo di Cluny, 1909, mina di grafite e matita nera su carta, datato «30 juin 1909». (Coll. privata, Svizzera, Fotografia © Éric Gachet)
I dipinti, meno conosciuti degli schizzi, formano un patrimonio artistico imponente e del tutto indipendente dall’attività progettuale del maestro. Anche se, ovviamente, lo scambio di esperienze tra le due attività di ricerca formale erano costanti. Gli sketch sono, invece, uno strumento fortemente espressivo dell’attività progettuale, sono riflessioni funzionali al progetto, anche quando non sono connessi specificamente a un tema progettuale, come quelli dei carnet dei viaggi. La mostra di Mendrisio, che espone la produzione grafica, in gran parte ine-
dita, della formazione di Le Corbusier, illustra efficacemente l’autonomia della sua attività pittorica, restituendo la figura di un grande intellettuale il cui pensiero spazia tra più discipline, in un’attività di ricerca apertamente poliedrica. Dove e quando
I disegni giovanili di Le Corbusier. 1902-1916. Mendrisio, Accademia di architettura. Orari: ma-me-gio-ve 14.00-18.00; sa-do 10.00-18.00; fino al 24 gennaio 2021. Per info: info.tam@ usi.ch o tel. 058 666 58 67. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 26 ottobre 2020 • N. 44
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Cultura e Spettacoli
Le mille anime di Juancito
Incontri A colloquio con il comico ticinese Cito Steiger, nel cuore di innumerevoli spettatrici e spettatori
grazie a personaggi come ul Sciur Piantoni o Nuvitads
Simona Sala, Alessandro Zanoli Una parete piena di diavoli, in tutte le fogge e forme possibili ci accoglie nell’appartamento luganese della casa Anni 30 di Cito Steiger. Non hanno l’aria minacciosa però, perché in qualche modo ricalcano la vena ironica e divertita che ritroviamo anche nel sorriso del padrone di casa, sempre pronto al gioco di parole, alla battuta e alla freddura. Cito Steiger è stato forse il personaggio comico a lasciare il segno maggiore nella Svizzera di lingua italiana, e questo grazie a un’autoironia implacabile, a un dileggio altrui mai offensivo e a una profonda umanità, che si scorge soprattutto nel suo sguardo. Cito-Juancito Steiger, alias Sciur Piantoni, o ancora Nuvitads da Coira, vive gli anni giovanili in una Lugano contraddistinta da un forte fermento culturale: tra gli anni 60 e 70, oltre al jazz sulla scena c’erano anche il rock, con gruppi come i Cani Sciolti e frange che ricordavano gli Indiani Metropolitani italiani, o il teatro, ad esempio la comparsa del Panzinis Zirkus, di cui Steiger faceva parte, gruppo di avanguardia teatrale, a quell’epoca unico in tutto il Ticino. Cito Steiger, lei dunque viene da un humus culturale «alternativo».
Nel 1969 sono andato con alcuni amici all’École des Etudes Sociales di Ginevra per diventare animatore socioculturale. Era un’esperienza che nei quartieri di Ginevra funzionava, ma qui in Ticino, oltre a Molino Nuovo, di quartieri non ce n’erano. Una volta tornati in Ticino abbiamo proposto un’esperienza simile a quella ginevrina, ma l’allora DOS – Dipartimento opere sociali – ci disse di non avere spazio. Allora fondammo una compagnia teatrale, il Panzinis Zirkus. Dove nasceva il nome Panzinis Zirkus?
Ginevra viveva il suo periodo brechtiano, e noi ci ispirammo a un burattino, dittatore del paese delle torte di Mahagonny, dall’opera Ascesa e caduta della città di Mahagonny di Brecht. Andammo avanti per qualche anno con il Panzinis, poi continuò Vania Luraschi, cambiando il nome in «Teatro Pan», dove «Pan» non sta per pan büter e confitüra, ma per il diminutivo di Panzini! Vania è andata avanti in quest’ottica creando poi un festival internazionale, il FIT. Come è iniziata l’esperienza televisiva?
Con il Panzinis non si guadagnava molto, così ogni tanto facevo delle presenze in televisione per la trasmissione Top con Maristella e Bigio, dove mi occupavo di teatro per i ragazzi; più tardi nacque Buzz Fizz Quiz. Un giorno un ospite musicale non poté partecipare, allora inventai il personag-
Cito Steiger sul suo balcone luganese. (Vincenzo Cammarata)
gio del Sciur Piantoni. Ne seguirono altri, come Gino Trampiglio, impersonato da Giorgio Thoeni o sua moglie Olivia Tremezzi, impersonata da me. Mi sono sempre divertito, anche se a volte è faticoso concentrarsi per ideare un personaggio, capire che carattere ha o come si veste. Bisogna fare la drammaturgia del personaggio proprio come in teatro. Da Milano arrivò quindi un «certo» Aldo Grasso per esaminare le trasmissioni per i ragazzi: disse che eravamo bravi, ma che il Piantoni doveva essere lasciato libero! Da quel momento potei muovermi liberamente, bastava che dicessi al regista dove sarei intervenuto, così che potesse gestire le luci. In fondo, ero regista di me stesso – senza offesa per i registi, ovviamente!
I postini d’antan camminavano con passo... spedito. (Cito Steiger) Si ispirava a qualcuno in particolare? Come nascevano i personaggi?
Il famoso Sciur Maestro ad esempio, era frutto di un’imitazione. Un giorno Angelo Frigerio, agronomo, si trovava in radio per parlare di vini, allora il mio collega Augusto Chollet mi chiese di fargli sentire come lo imitavo. Abbiamo quindi riproposto L’ora della terra: all’inizio alla radio facevo entrambi i personaggi, poi Mario Del Don prese il ruolo del contadino. Scrivevamo insieme tutti i testi, poi regolarmente andavamo fuori strada e improvvisavamo. Era bello lavorare con Mario, abbiamo perfino registrato dei blues.
Come ha imparato a scrivere?
Ho imparato a scrivere nel 1965, quando entrai in televisione grazie a un concorso per il servizio film: dopo avere visionato i film dovevo scriverne la trama per il «Radioprogramma», il giornale che presentava le trasmissioni. Ho così imparato a essere conciso… ma senza andare al circo! (sornione infila una battuta, NdR). E nel caso della storica trasmissione satirica La Palmita?
Ero il responsabile dei testi, poiché non tutti erano professionisti. Si decideva cosa fare di settimana in settimana. Il produttore era Pedrazzetti, e alla regia Mauro Regazzoni si alternava con altri. La Palmita, che a un certo punto cambiò nome, diventando Ziuq, ossia Quiz al contrario, durò cinque anni, dal ’90 al ’95. Vi fu poi Siore e siori buonasera con il defunto Gianmario Arringa, una presa in giro del Quotidiano in cui proponevamo notizie finte. Quindi l’hanno sempre chiamata a fare il ruolo del regista senza però accreditarla mai?
Mai! Ma non lo rimpiango.
Come ha imparato a fare ridere? Sempre che sia una cosa che si possa imparare…
Ho sempre avuto il gusto della battuta, vedo i difetti delle persone, le imito. Io ho cominciato con i burattini: a nove anni quando ricevetti i burattini rimasi a bocca aperta. Ero un bambino timido, ma da dietro il teatrino non mi si vedeva, così scoprii che potevo esprimermi attraverso i burattini. Più tardi a scuola imparai che si tratta di una tecnica sociale per insegnare ai bambini a disinibirsi.
Lei fa ridere gli altri, chi fa ridere lei invece?
Prima di tutti Totò. Ma anche tanti altri comici di oggi, come Crozza e Brignano, quelli che vengono dalla scuola di Gigi Proietti. I personaggi fatti in A me gli occhi, please sono indimenticabili. Amo Totò perché rappresenta le origini di tutti loro. Il personaggio di Nuvitads come è nato?
Dalla riverenza che c’è sempre stata verso i Grigioni, che portava ad esempio la redazione del Regionale a sentirsi in colpa se non se ne parlava abbastanza. La storia delle previsioni del tempo nasce da mia mamma, che per farmi andare a scuola mi diceva «Levas sü», e quando le chiedevo che tempo che facesse, lei rispondeva: «Verd la fineschtra che ta vedat», che poi è diventato «Che temp che fas». A un certo punto dico «Ils temp e il cü, fan quel che vör lü». Per fare il Nuvitads avevo il volante usato da Clay Regazzoni nelle gare minori: me l’aveva portato il trovarobe, così potevo fare «Da Coira ves tüt, tüt». Dunque, in testa ha un repertorio di voci? È questa la dotazione dell’attore?
Certo, devi avere un repertorio delle voci in testa. Ma a me viene naturale. Per la radio ho fatto Cavoli perduti, una radionovela quotidiana di 3 minuti: lì dovevo fare tutti i personaggi, botta e risposta (e qui improvvisa un dialogo tra un certo Barone Depliant, dal forte accento francese, e un ticinese, NdR). È mai stato censurato?
Una volta ho preso in giro Papa Giovanni Paolo II parlando con accento polacco e mi hanno redarguito.
Non trova che nella nostra televisione manchi la satira?
Io la faccio per conto mio a casa. Ne ho fatta anche nel mio libro Gent, di cui vi parlo perché è un modo per aiutarmi a venderlo! Parlo di quello che mi circonda, della gente con i suoi difetti e con i suoi pregi, anche se alla fine è un pretesto per giocare sulla e con la lingua, quella parlata ovviamente!
L’imitazione tutto sommato non è un modo facile di fare satira? Anche un po’ bastardo forse?
Cito Steiger nei panni del leggendario Sciur Piantoni. (© RSI Radiotelevisione svizzera)
Dipende come la fai, credo però che nella satira non si debba mai dimenticare il buon gusto. Quando imitavo il Sciur maestro non lo denigravo. Lui era un brav’uomo un po’ ingenuo, e avevo rispetto di questo. Se invece di mezzo c’erano i politici, gli facevamo dire quello che volevamo noi. Alla radio ci piaceva prendere in giro
gli altri programmi, così facevamo una parodia di Rete 2 con le spiegazioni di un musicologo che ogni tanto si sentiva russare. Non se la presero, perché erano contenti di essere citati. Abbiamo fatto anche i burattini per le cronache del governo: Mario Del Don ne aveva fatti di bellissimi, come quello del Maspoli. Andò a finire che tutti i politici volevano il loro burattino.
Ci parli ancora del suo libro Gent…
Faccio filastrocche, aforismi e poesie attraverso cui tiro fuori il mio vero pensiero, non quello da dare a un personaggio o da fare dire a un personaggio: qui parlo io. Si tratta di cose anche intime, dei miei genitori, dei miei amici morti, della morte stessa, ma lo faccio senza retorica e sempre con un certo distacco, seppur con benevolenza. In questo libro ci sono pensieri comici, pensieri seri, sul mondo, sulla vita, sulla gente come me e anche sui me gent. Io sono cresciuto parlando dialetto, nonostante mi chiamassi Steiger. Mia nonna, quando qui si moriva di fame, emigrò con il marito in Argentina, lei trovò lavoro in un’hacienda come donna di casa, mentre il nonno faceva il muratore. Dopo dieci anni dovette tornare per i polmoni: l’aria là non le faceva bene. Mia madre è nata qui, e la nonna la chiamò Panchita, poverina, mentre a me diede il nome Juancito, ossia Giovannino. Immagino abbia deciso la nonna, poiché era il caporale della famiglia! Aveva mai pensato di scrivere un libro?
Avevo già scritto delle pièce teatrali che non ho mai rappresentato tranne una, che ebbe un discreto successo in radio. Quando sono in giro, alla vista di qualcosa mi viene un’idea e la registro o la scrivo su un foglietto. Con gli anni i foglietti si sono ammucchiati, così li ho messi insieme. Non vorrei mai scrivere un romanzo perché, a parte quelli gialli, non mi piacciono. Scrivendo e rileggendomi però ho cominciato a capirmi, ho scoperto me stesso. Mi sono chiesto: «Ma io sono così?». Semplicemente, si impara a conoscersi. Penso a Zanni della Commedia dell’arte, lo stupidotto che diceva le grandi verità, come i giullari: ecco, io sono un po’ così. Non si può prendersi troppo sul serio. Ci sarà un prossimo libro?
Certo, e sarà più libero. Sarà fuori di testa, mi occuperò della cultura del boccalino, ossia di quello che ha sempre sbagliato il turismo ticinese. Ci sarà molto humour nero!
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