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Intervista ◆ Le donne sono state presenti nella storia della scienza fin dagli albori, ma sono state rese invisibili

Un libro le riscopre, raccontando che la strada verso la parità di genere è ancora lunga

«Fare lo scienziato è un mestiere da uomini»; «le donne mancano di rigore e razionalità»; «alle bambine non piace la matematica». Quante volte abbiamo sentito queste frasi, ripetute come un mantra, al punto da essere considerate incontrovertibili? I pregiudizi che vorrebbero le donne poco propense alle materie scientifiche hanno radici nell’antichità e, nel corso dei secoli, hanno relegato le scienziate nel dimenticatoio. Nonostante le difficoltà continuino, la situazione sta migliorando. Lo raccontano ad «Azione» le docenti universitarie Maria Pia Abbracchio e Marilisa D’Amico e la ricercatrice Cecilia Siccardi, autrici del saggio Donne nella scienza. La lunga strada verso la parità (FrancoAngeli).

Maria Pia Abbracchio, Marilisa D’Amico e Cecilia Siccardi, nel vostro libro scrivete che le donne sono state presenti nella storia della scienza fin dagli albori, ma sono rimaste invisibili. Chi erano queste scienziate?

Elencarle tutte è difficile perché sono state numerose. Le donne hanno contribuito in modo rilevante a molte scoperte scientifiche importanti. La loro presenza, però, è stata occultata. Le donne, infatti, sono state tenute lontane dalle accademie e dai circoli scientifici nei quali avveniva la narrazione delle scoperte. Erano ritenute, già da Aristotele, incapaci di svolgere funzioni sociali che implicassero l’uso dell’intelletto. Tuttavia, nonostante le discriminazioni, non hanno mai rinunciato a partecipare agli esperimenti e allo studio, accontentandosi dei ruoli ancillari. Facevano le disegnatrici di libri scientifici, raccoglievano gli appunti dei colleghi maschi e li approfondivano, sviluppando nuove teorie. Le scienziate non compaiono nei documenti ufficiali e quindi la loro presenza va ricercata scavando nelle fonti secondarie, come ad esempio i diari familiari o i taccuini di laboratorio. Sono pochissimi i nomi famosi, come quelli della matematica Ipazia e di Trotula, che fu la prima medica: la stragrande maggioranza resta ancora dimenticata.

Nel libro ricostruite la storia di alcune donne scienziate meno conosciute, riscoperte di recente. Una di queste fu Rosalind Franklin. Rosalind Franklin è stata fondamentale per la scoperta del DNA. Fu la prima a fotografare la molecola del DNA , la spirale a doppia elica che ricorda una scala a chioc- ciola. La immortalò usando tecnologie che aveva perfezionato da sola con grande intelligenza. Purtroppo, a differenza di James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins, i tre scienziati considerati i primi veri scopritori della molecola del DNA e vincitori del premio Nobel, Rosalind Franklin non ottenne alcun riconoscimento nel corso della sua vita. Nonostante la comunità scientifica l’abbia sempre marginalizzata, lei lavorò in modo appassionato. Prima di morire, a soli quarantotto anni, Rosalind Franklin capì anche come venivano immagazzinate le informazioni genetiche all’interno del DNA, una delle scoperte più straordinarie mai fatte: il codice genetico.

Perché le scienziate sono rimaste invisibili?

Come in molti altri ambiti, dalla letteratura alla politica, le donne sono state discriminate perché non considerate all’altezza. Fin dall’antica Grecia, si pensava che l’intelli- genza delle donne fosse diversa da quella degli uomini. Non erano ritenute capaci di logos, cioè della facoltà di ragionamento, ma soltanto di metis, l’astuzia, un’intelligenza più bassa. E questo stereotipo si è trasmesso nelle epoche successive. Soltanto adesso, ad esempio, stiamo comprendendo il ruolo fondamentale che hanno avuto le mogli di alcuni scienziati nelle scoperte scientifiche attribuite esclusivamente ai loro mariti. Pensiamo a Mileva Marić, prima donna ad aver studiato Fisica al Politecnico di Zurigo e moglie di Albert Einstein. L’eccezione che conferma la regola è stata la fisica Marie Curie perché nella sua famiglia non c’erano preconcetti di genere, i rapporti erano paritari. Per la famiglia Curie la scienza era una pratica che doveva essere accessibile a chiunque avesse passione e talento, senza distinzioni. Tanto è vero che sua figlia Irene Curie portò avanti il lavoro della madre e del padre col marito Frédéric Joliot, vincendo il Nobel.

Le scienziate ottengono meno premi dei colleghi uomini. Perché?

Analizzando i dati nell’ambito delle STEM, acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics, si scopre che le donne vincono meno premi soprattutto nella matematica e nell’informatica. Inoltre, la percentuale si abbassa se il premio è dedicato alla memoria di un uomo. Una delle ragioni, per quanto riguarda la matematica e l’informatica, è che si può partecipare ai convegni internazionali soltanto su invito e così le donne vengono escluse. Nel mondo scientifico è fondamentale andare alle conferenze per avere un dialogo con i colleghi e per essere riconosciute come parte della comunità ufficiale. Per i premi si viene prese in considerazione in base ai convegni, ai report online, ai libri e all’impatto mediatico. È drammatico considerare le pubblicazioni scientifiche internazionali dal 1993 al 2005 e constatare quante poche scienziate vengano citate nei paper. Il pregiudizio riguarda tutti: le donne stesse citano di più i colleghi a discapito delle colleghe perché ritengono i maschi più adatti alla scienza.

Quali sono le principali difficoltà che le donne incontrano oggi nel mondo scientifico?

C’è stato sicuramente un miglioramento rispetto al passato. In tutti i Paesi europei è aumentato il numero delle immatricolazioni nei corsi universitari scientifici. Alla facoltà di medicina, in media, le iscritte sono la metà del totale e in alcuni Paesi superano il 50 per cento. Restano tuttavia alcuni settori come l’ingegneria e l’informatica di dominio quasi esclusivamente maschile: le ragazze li evitano perché pensano di non essere in grado di farcela. In generale, va sottolineato che le scienziate scontano gli stessi problemi del resto del mondo del lavoro. A pesare, perciò, ci sono la maternità, considerata penalizzante, e la mancanza di role model, di modelli nei quali identificarsi. Ce ne sono sicuramente di più rispetto al passato, ma non sono ancora abbastanza.

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