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Rafael Videla

Il generale Jorge Rafael Videla nel 1978. (Keystone) pale argentina riportate nella prefazione. Ad aver percorso il cammino – si legge – di «questa ricerca della verità ci muove la necessità di chiedere perdono (…). Per quanto le persone che formano oggi questo corpo collegiale non siano le stesse d’allora, siamo coscienti che, in molte decisioni, azioni e omissioni, la Conferenza episcopale argentina non fu all’altezza delle circostanze». Dai documenti si evince dalla fine degli anni Sessanta l’esistenza di «formulazioni morali» del Vicariato per la lotta antisovversiva. La parte golpista delle forze armate e della destra estrema argentina, i due poteri che poi realizzarono nel 1976 il colpo di stato a Buenos Aires, sostenevano infatti dal decennio precedente che la società ribollisse di tentazioni rivoluzionarie che andavano soffocate con la lotta «antisovversiva» che poi si rivelò pura eversione delle regole democratiche con mitra in mano e carri armati in strada. «Quanto era stato formulato a partire da un’etica astratta di principi cristiani per la guerra e concepito come estremo rimedio, al fine di restaurare la pace e l’ordine, finì per essere utilizzato come pratica comune amorale e pragmatica». Dal 1975 in poi nei centri di detenzione clandestini furono torturate e uccise moltissime persone, il terrore fu metodo consapevole di cui fu fatto un utilizzo meticoloso. Nonostan- te ciò tra il 1975 e il 1976, nel comune sentire condiviso tra i vescovi e una parte considerevole del clero argentino – si legge nel testo – «prevaleva la convinzione che le Forze armate fossero le uniche in grado di contenere nella società, inclusa la stessa Chiesa, l’infiltrazione marxista». Il lavoro di analisi ha riportato alla memoria di molti un’intervista rilasciata nel dicembre 1979 dal capo della giunta, Videla appunto, in cui lui, il capo supremo della fabbrica del terrore, dava delle persone che risultavano scomparse nel nulla la definizione plastica di «incognita»: il desaparecido «non ha entità, non c’è, né morto né vivo, è scomparso». Videla poi nel 2011 disse che i desaparecidos furono «il prezzo della vittoria», ma che il suo Governo volle che tutto ciò passasse inosservato all’interno della società argentina. Disse che non ci furono pubbliche esecuzioni perché temeva l’opposizione di Paolo VI.

Il lavoro edito da Planeta dimostra anche che Videla ebbe degli incontri privati con la Commissione esecutiva dell’episcopato e con il nunzio apostolico, monsignor Pio Laghi. Ai componenti della Commissione dell’episcopato disse che i desaparecidos si potevano considerare morti. Con il nunzio ammise la loro esistenza, in un numero tra i 2000 e i 3000. Di più alla Universidad catolica de Buenos Aires obiettivamente non si poteva chiedere.

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DUG POTATO

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