Balarm Magazine | Idee, personaggi e tendenze che muovono la Sicilia | numero 5

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SOMMARIO IN PRIMO PIANO España 1957-2007: da Picasso, Mirò, Dalì ai nostri giorni_6

MUSICA I Tinturia alla riscossa_10 “VoXas” al cuore delle emozioni_12 CordePazze, l’ironia è d’autore_13 Pop jazz “Made in Sicily”_14 Colapesce, il musical dei siciliani_15

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TEATRO Il Gruppetto, da Palermo in “Tintoria”_16 “Quattro cunti” e tre cuntisti_18 I Quartiatri in “Testa o croce”_20

ARTE Max Ernst e la realtà del sogno_22 Daniele Franzella, scultore ironico e inquieto_24 Andy Warhol, trent’anni di Pop Art_25

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LIBRI Fulvio Abbate, quarant’anni dopo il ‘68_28 L’indifferenza degli altri_30 Agli italieni non resta che piangere_32 La città magica e la strega “Mafia”_33

CINEMA “La Terramadre”, un progetto che parla siciliano_34 Il Marchese e lo Spirito Santo_36 Luca Vullo, dallo zolfo al carbone_37

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SOCIETA’ L’emporio “Pizzo Free”_38 “Telefono Amico”, 36 anni di volontariato_40

COSTUME

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Speed Date, 4 minuti per dirsi “sì”_42 Combomastas’, u Tagghiamu stu palluni?_44 Von Hell Sista e il divine female_46

CIBO Pasta ca nunnata una sola ce n’è_48

www.balarm.it balarm magazine bimestrale di cultura e società anno II n°5 aprile/maggio 2008 registrazione tribunale di palermo n° 32 del 21.10.2003 editore balarm edizioni direttore responsabile fabio ricotta progetto grafico salvo leo redazione via candelai 73 - 90134 palermo tel/fax +39 091.7495020 redazione@balarm.it

comitato di redazione barbara randazzo, letizia mirabile, maria teresa de sanctis, marina giordano, saverio puleo, tonya puleo articoli alessandra sciortino, alessia rotolo, antonio castiglia, carla incorvaia, claudia brunetto, barbara giordano, claudia scuderi, daniele sabatucci, fabio manno, gigi razete, giulia scalia, laura maggiore, manuela pagano, marina sajeva, paola catania, rossella puccio, sergio algozzino, sonia papuzza, tommaso gambino fotografie agnese faulisi, carlo gambino, cinzia la mantia, dodo veneziano, federico maria giammusso, gero cordaro, maria luisa ferraro, massimo ragusa, mauro d’agati, roberto fenix, silvio zaami, soraya gullifa, totò bongiorno

pubblicità tel. 091.7495020 / mob. 328.5351236 pubblicita@balarm.it stampa artigiana grafica progetto web fabio pileri tiratura e distribuzione numero chiuso in redazione il 15/4/2008, stampato in 15.000 copie e distribuito gratuitamente in circa 180 punti a palermo, mondello, monreale, bagheria, termini imerese e villafrati (la lista completa dei punti è consultabile a pagina 50 di questo numero) in copertina un’opera di rafael canogar

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EDITORIALE

La terra del GATTOPARDO

di FABIO RICOTTA

Cari affezionati lettori, chissà cosa penserebbe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del celebre romanzo “Il Gattopardo”, se fosse ancora vivo. Di sicuro si ritroverebbe a rappresentare ancora una volta quella consapevolezza di un immutabile stato di cose di cui è espressione la natura stessa dei siciliani. E' una riflessione che si manifesta spontanea, soprattutto dopo le ultime consultazioni elettorali. E per tale ragione ritorna alla memoria la celebre frase (tratta sempre da “Il Gattopardo”) del principe Tancredi, che deciso a combattere a fianco delle truppe garibaldine, comunica a Don Fabrizio le proprie intenzioni dicendo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Frase singolare, per non dire assurda, che illustra la situazione storica della Sicilia del 1860. Una frase che, però, rimane di un’attualità così disarmante da renderci quasi impotenti (ma non rassegnati) di fronte ad una situazione di immobilismo politico-sociale che è tipica, non solo della Sicilia dei giorni nostri, ma dell'Italia intera. Oggi, più che mai, tutto continua a cambiare per rimanere così com’è. E' un dato di fatto, un'amara constatazione che forse, un po' per quella che è la nostra storia e un po' per precise volontà politiche, ci condanna ad una vita difficile. Non mi è però chiaro cosa stia esattamente succedendo. Non riesco a mettere a fuoco, non capisco in che direzione stiamo andando. Ho il presentimento che in tutto questo rimescolamento effimero alla fine ci ritroveremo esattamente come prima. Tra le tante domande che affollano la mia mente, ce n'è una che ritorna più spesso delle altre. Se fossero ancora in vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, come sarebbe adesso la Sicilia? Una società civile libera dall'oppressione di una “mala pianta”? Quanto ci piace pensarlo, quanto lo desideriamo. Ma oggi la Sicilia non parla di mafia, la conosce, sa dov’è, la vede tutti i giorni per le strade e tra la gente. Ma non ne parla. Solo i ragazzi lo fanno, i giovani di Addiopizzo, Libero Futuro e di tutte quelle associazioni antimafia presenti nel territorio, che giorno dopo giorno tentano di diffondere la cultura della legalità, dando sostegno concreto ai cittadini. Concludo prendendo in prestito una delle tanti frasi celebri che ascoltiamo nei film al cinema: "L'importante non è come colpisci, l'importante è come sai resistere ai colpi, come incassi. E una volta che finisci al tappeto hai la forza di rialzarti...così sei un vincente". Noi siciliani, dunque, siamo dei veri campioni. Vorrei non avere dubbi. Buona lettura. balarm magazine 5


IN PRIMO PIANO

ESPAÑA 1957-2007 Un panorama della produzione visiva degli ultimi cinquant’anni in Spagna: da Picasso, Mirò, Dalì, Tapies ai nostri giorni, in mostra a Palazzo Sant’Elia dal 18 maggio al 14 settembre

Un’opera di Francisco Leiro

di MARINA GIORDANO

“Nessuno può negare la vitalità e la giovinezza che la lotta porterà all’arte spagnola. Qualcosa di nuovo e di forte, che la consapevolezza di questa magnifica epopea seminerà nell’animo degli artisti spagnoli, apparirà indubbiamente nelle loro opere. Questo contributo dei più puri valori umani a un’arte rinascente sarà una delle grandi conquiste del popolo spagnolo”. Affermava così Pablo Picasso, con l’icasticità che ha sempre contraddistinto le sue parole, nel 1937, durante gli scontri della Guerra Civile spagnola e dopo il bombardamento di Guernica, a cui aveva dedicato forse la più intensa opera mai realizzata sulla guerra. Gli anni della dittatura franchista, il sangue, la repressione, la violenza, insieme al dramma del conflitto mondiale, hanno senza dubbio segnato l’evolversi dell’arte iberica della seconda metà del XX secolo, dando vita a linguaggi, tecniche, poetiche in cui terrore e tragedia, protesta e disagio, impegno sociale e fuga verso dimensioni oniriche o ripiegamenti esistenziali, sacralità e laicismo si sono fusi con esiti di grande forza espressiva. Un panorama della produzione visiva degli ultimi cinquant’anni in Spagna è offerto dalla mostra “España. Arte spagnola 1957-2007. Da Picasso, Mirò, Dalì, Tapies ai nostri giorni”, a cura di Demetrio Paparoni, ospitata presso Palazzo Sant’Elia dal 18 maggio al 14 settembre, promossa dalla Provincia Regionale di Palermo e dall'Istituto Cervantes, con il patrocinio del Parlamento europeo e del Ministerio de Cultura spagnolo, con la collaborazione del DARC Sicilia, e organizzata e prodotta da Arthemisia. L’esposizione parte dal 1957, anno in cui nacque il collettivo “El Paso” (Il passo), formato dagli artisti Manolo Millares, Antonio Saura, Rafael Canogar, Luis Feito, Manuel Rivera, Juana Francés, Antonio Suárez e Pablo Serrano che, insieme ai critici Manuel Conde e José Ayllón, ne firmarono il manifesto di fondazione. Il gruppo, scioltosi nel 1960, voleva dar vita a un’arte “rivoluzionaria, dove coesistano la nostra tradizione drammatica e la nostra espressione diretta […], un’opera autentica e libera, aperta alle sperimentazioni e all’indagine a tutto campo, non soggetta a canoni esclusivisti e limitativi, […] dove incontrare l’espressione di una nuova realtà, in cui lo spettatore e l’artista prendano coscienza della loro responsabilità sociale e spirituale” (dal Manifesto). Ciò si tradusse visivamente in linguaggi basati sulla forza del segno e sul potere evocativo della materia, su concrezioni magmatiche o tempeste di tracce dipinte a distorcere la figura o a giocare su un’astrazione mai algida, tra informale e dimensione fantastica. A proposito dell’Informale, ten-

denza dominante in Europa nell’immediato secondo dopoguerra, in mostra ritroviamo le opere del suo più celebre rappresentante spagnolo, Antoni Tapies, a cui a Barcellona sono dedicati una fondazione e un museo ove è ricostruito il suo itinerario creativo, dalle suggestioni surrealiste alle installazioni. Le sue grandi opere mettono al centro del quadro il supporto, la sua ribellione alla tirannia di qualunque linguaggio, la brutale schiettezza della tela, dei metalli, di materiali quale legno, cartone, lana, bronzo, ove si dispiega una pittura epica, travolgente e tormentata nei suoi bruni e nelle sue scritture. La mostra si dipana secondo aree tematiche, seguendo, dunque, percorsi trasversali che vanno dagli anni Cinquanta ad oggi: punto di partenza la figura di Don Quijote di Cervantes, un vero e proprio topos della cultura ispanica, simbolo di una tensione verso l’altrove, di un’ironia amara che assume toni Pablo Picasso

grotteschi e tragi-comici per esemplificare il dramma della sconfitta, di una mancata attuazione della conquista di mete irraggiungibili, ma anche emblema di una energia indomita e densa di pathos. Dalla sezione del “Quijotismo trágico” si passa a quella del “Misticismo pagano”, ove l’esperienza del sacro diviene, sulla scia dei grandi mistici spagnoli, da San Giovanni della Croce a Santa Teresa d’Avila, esperienza fisica, che acuisce e coinvolge tutti i sensi e che dalla corporeità aspira alla congiunzione con il divino. Come non citare, dunque, le drammatiche crocifissioni di Miquel Barcelò, esposte nel 1998 nella chiesa di Santa Eulalia dei Catalani di Palermo, oggi sede dell’Istituto Cervantes. La terza sezione è dedicata all’ “Existencialismo barrocco”, caratterizzato da un intenso horror vacui visto come forma di sublimazione di un’inquietudine esistenziale profonda. Il richiamo al Barocco suggella quel filo rosso che lega la cultura ispanica a quello che, non a torbalarm magazine 7


IN PRIMO PIANO to, è stato definito ‘el siglo de oro’, il secolo d’oro della Spagna, il Seicento, ove si sarebbero delineati i caratteri più significativi della cultura iberica: il gusto dell’apparire, una religiosità patetica ed emozionale, la teatralità, la forte sensualità, la carica espressiva tendente quasi all’eccesso del linguaggio. Seguono, infine, le sezioni del “Tenebrismo hispánico” e de “l’Astrazione Simbolico-formale”: nella prima torna come leitmotiv dell’arte spagnola l’intenso rapporto con il nero, con i colori bruni e i chiaroscuri, concretizzazioni visive di umori, emozioni, tormenti, le cui radici possono essere individuate nelle grandi pitture livide del pittore manierista cinquecentesco El Greco, che dalla Grecia natia visse in Spagna la maggior parte della sua vita, o nelle Pinturas Negras (1819-23) della Quinta del Sordo di Francisco Goya, ove il dramma esistenziale dell’artista diviene emblema dell’ancestrale esplodere delle forze oscure del maligno e dell’ignoranza. Nella sezione che riflette sull’astrazione, invece, viene tracciato un doppio binario che individua due poli, quello dell’immaginario surrealista, dello sconfinamento verso la dimensione dell’inconscio, e quello che parte dalle forme geometriche esistenti in natura, tradotte in una nuova grammatica del segno. In mostra spiccano alcuni dei nomi che sono visti come l’emblema dell’arte iberica del Novecento, da Picasso, onnivoro divoratore di forme e linguaggi, che ha attraversato con la sua arte quasi tutto il XX secolo, a Mirò (a sinistra), poetico magicien capace di dar vita a costellazioni e universi fantastici di segni e forme, a Salvador Dalì, icona surrealista, artista e personaggio, affabulatore e indomito creatore di metamorfiche ossessioni. Non mancano altri nomi illustri come il cineasta Luis Buñuel, che proprio con Dalì creò alcuni capolavori del cinema surrealista, o lo scultore Eduardo Chillida, autore di segni plastici austeri e lirici al tempo stesso, Juan Munoz, con i suoi inquietanti personaggi-manichini, Antoni Muntadas e le sue azioni-performance, lo stile crudo e realista di Santiago Serra, artista madrileno (1966) autore di sculture, installazioni e performance, maturato nella Città del Messico degli anni della rivolta zapatista e della crisi economico-monetaria (1995) e che mira ad una lucida analisi del sistema economicosociale globalizzato e a una critica del mondo dell’arte. Una pluralità di linguaggi, di stili, di emozioni, per cercare di cogliere, attraverso il visuale, il carattere profondo di un popolo che non ha cancellato il suo passato, anche quello più drammatico, ma che ha saputo proiettarsi con realismo ed energia nella contemporaneità più radicale. balarm magazine 8


MUSICA

I TINTURIA alla riscossa “Di mari e d’amuri” è il nuovo disco della band siciliana tra pop, reggae e tradizione italiana. E testi che parlano di ciò che non va di DANIELE SABATUCCI Dai papà coi bambini in braccio alle vecchiette. Pochi in Italia vantano un pubblico trasversale come i Tinturia, apprezzati sia dagli amanti di musiche più ricercate che dall’ascoltatore occasionale. Merito delle melodie accattivanti, con alcuni pezzi che ormai sono dei veri classici, e di testi che, con un linguaggio diretto, gettano uno sguardo sulla realtà. Dopo vari album e presenze tra tv e cinema, i Tinturia ci riprovano col nuovo disco “Di mare e d’amuri”. Undici brani di cui abbiamo parlato col cantante Lello Analfino e il chitarrista Lino Costa. Lello, com’è nato questo disco? «È stato a lungo come compresso dentro di noi. C’erano delle idee, ma dopo un incontro di pre-produzione le abbiamo accantonate quasi tutte ed è stato come se si fosse aperto un canale. “I don’t know”, il primo singolo, viene da un pezzo che Lino ha scritto con sua moglie, che mi ha dato uno spunto. Prima di sapere di cosa parlava il ritornello ho scritto un testo ambientalista in siciliano, vedendo poi che c’era una corrispondenza». A proposito dei testi, si nota che ci sono molti riferimenti alla società e alle cose che non funzionano. «Sì, ma in maniera ironica, sottile, non siamo più dei ragazzini di vent’anni schierati. La politica in Sicilia è solo interesse del politico. Noi siamo dalla parte del popolo, non ho più voglia di fare battaglie perché mi schiererei comunque dalla parte sbagliata. Questo non è disimpegno, non è qualunquismo, né resa: si può fare politica senza avere a che

fare con i politici. Non mi sento più vicino alla sinistra siciliana, anche se rimango di sinistra». Come si fa a fare politica “scavalcando” i politici? «Il mio strumento è la denuncia. Credo che tutto dipenda dalla coscienza civica dei siciliani. I politici capirebbero che hanno a che fare con un popolo pensante, non strisciante. Dobbiamo andare a testa alta, dire no alla mafia, al clientelismo, alle raccomandazioni, al voler fottere il prossimo». Il disco mi sembra più pop dei precedenti. Diventerete una boy band? «Chissà che alla soglia dei quarant’anni non si diventi una boy band! In realtà, se ascolti i dischi dei Tinturia non trovi mai le stesse cose, c’è una sorta di crescita, di cambiamento. La cosa che ci contestano spesso è che abbracciamo vari stili» .Secondo te questo eclettismo vi ha ostacolato? «Per i grandi numeri ci ha sempre ostacolato. I manager discografici si lamentano perché non c’è uno stile uniforme. Ma c’è chi apprezza davvero i Tinturia: siamo in giro dal ’94». Però dei punti di continuità col passato ci sono. Il reggae, o la canzone italiana, con un’altra cover di Modugno. «Modugno lo porto nel cuore. Sono molto attaccato a questo disco e al primo, mentre per gli altri sono affezionato alle canzoni, ma questo nuovo album è corale, è nato stando tutti insieme, invece c’è stato un periodo in cui i Tinturia erano musicisti che si incontravano per suonare e poi ognuno tornava per la sua strada». Avete mai pensato a dividervi? «Prima c’era un approccio più da “turnista” da parte di alcuni, ma non abbiamo mai pensato di scioglierci. In balarm magazine 10

ph. Mauro D’Agati

alcuni momenti ci siamo trovati senza i musicisti giusti, ma ora abbiamo trovato gente che si diverte a fare musica». Cosa non ha funzionato per il definitivo salto di qualità nazionale? «Io ero convinto di poter fare un salto di qualità e in effetti abbiamo venduto trentamila copie. Non ha funzionato il fatto che voglio vivere in Sicilia. Sto bene come sto, vendo quello che vendo, faccio i concerti che faccio, ma sono felice. Se vuoi fare il salto di qualità, invece, devi curare personalmente ogni giorno immagine e promozione, e per chi resta in Sicilia è tutto più difficile». Lino, anche secondo te abitare in Sicilia è un ostacolo al successo nazionale? «Non credo che il successo dipenda dal fatto di abitare in Sicilia. Se fai delle cose veramente buone arrivi dovunque. Se non abbiamo sfondato a livello nazionale, forse la nostra musica non è piaciuta a chi la promuove. Ci sarebbero da fare critiche alla discografia, ma la mia è più un’autocritica. Non studiamo le cose a tavolino, per-

ché piacciano agli altri. Anche questo disco è spontaneo, rispecchia ciò che abbiamo dentro». Il singolo, “I Don’t Know”, è particolare: il testo in siciliano e un ritornello in inglese cantato con una voce da bambino, che gli dà un sapore internazionale. «Il singolo nasce da un ritornello composto cinque anni fa, ripreso e fatto sentire a Lello che l’ha riscritto. Poi l’abbiamo ri-arrangiato tutti assieme con sonorità un po’ british, un po’ internazionali, ma anche quello non è costruito. Quanto alla lingua, per noi il siciliano è una specie di scommessa». Che vi aspettate dal nuovo album? «Consolidare il successo che abbiamo in Sicilia ed essere più presenti. Il cinema ci piace, mentre per la tv dipende: l’esperienza con Ficarra e Picone è stata fantastica, la televisione è gratificante per l’immagine, ma io voglio suonare nei concerti in piazza. Il live rimane il nostro punto di forza». I Tinturia sono anche online su www.tinturia.it balarm magazine 11


MUSICA

ph. Dodo Veneziano

“VoXas” al cuore delle emozioni Il nuovo progetto sperimentale di Lucina Lanzara fra musica jazz, world, new age e reading di GIGI RAZETE Non è una cantante Lucina Lanzara (nella foto), non nel modo usuale. La sua voce è di quelle che sanno dimenticare le pur notevoli doti di estensione, flessibilità e bellezza timbrica per abbandonarsi interamente all’intensità dell’interpretazione, al potere evocativo delle storie raccontate. Già coi precedenti “De mare” (edito da Rai Trade) e “Il canto del sole”, progetti che l’hanno segnalata all’attenzione nazionale, la vocalist romana (ma cresciuta a Genova e ormai da anni stabilitasi a Palermo) aveva espresso grande temperamento,

mostrando di appartenere a quella assai ristretta schiera di artisti per i quali la modulazione della voce, piuttosto che scintillante ed ostentato esercizio di virtuosismo, è soprattutto strumento privilegiato per giungere al cuore delle emozioni. In “VoXas – Il Grano e l’Alba” va ancor più oltre ed alle suggestioni visive con cui sa dare immagine, forma e colore ai paesaggi emotivi narrati aggiunge adesso anche la capacità di suscitare molte altre sensazioni fisiche, perfino termiche ed olfattive, tutte di sorprendente vivezza. C’è, in “VoXas”, un affresco assolato, quieto e drammatico ad un tempo, che richiama le millenarie distese della Magna Grecia, come fossero riprese in un lungo ed aereo piano-sequenza; c’è l’innocenza pagana e naturalistica di amori che congiungono umano e divino; c’è il respiro caldo e avvolgente di una sensualità panica; c’è l’odore del grano falciato di fresco e dei covoni lasciati al sole; c’è il brivido leggero che preannuncia il cedere del giorno all’incalzare delle tenebre. E’ storia semplice ma densa di metafore quella narrata in “VoXas”: l’alba sorge dalla notte, si affaccia trepida sul mondo, si innamora di un campo di grano e consuma quella passione, che è di amore ma anche di morte (la mietitura), nel breve spazio che le è concesso dall’irrompere del sole, dal luccichio impietoso delle falci, dal sudore ansante dei contadini e dalle altre albe che verranno dopo di lei. Nel disco, edito da Nota Preziosa, a dare suono alle immagini ed alle suggestioni sensitive provvedono, con grande immedesimazione, il sax tenore di Stefano D’Anna (il campo di grano), il contrabbasso di Marko Bonarius (la Terra), le percussioni di Rosario Punzo e la voce narrante di Maurizio Spicuzza oltre, naturalmente, alla flessuosa vocalità di Lucina Lanzara (l’Alba). I tredici movimenti si snodano tra citazione contemporanea e canzone popolare, jazz e new age, lied ed elegia, candore e sensualità, teatro di parola e flusso libero di emozioni. Ma c’è, in “VoXas”, soprattutto lo spessore e la flessibilità di una scrittura che consente alle musiche (composte da Bonarius, D’Anna, Lanzara e, in un brano, Paolo Damiani) ed ai testi (di Lucina Lanzara e Nonuccio Anselmo) di offrire piani di lettura anche molto diversi da quelli fissati su disco, come è stato possibile cogliere dalla formazione, alquanto differente, esibitasi a febbraio all’Auditorium della Rai di Palermo, con il contrabbasso di Massimo Patti (la Terra), la chitarra ed i live electronics di Francesco Guaiana (il Grano), il violino elettrificato di Mario Bajardi (le Spighe e il Giorno), le percussioni di Michele Piccione, la voce recitante di Spicuzza e quella, meravigliosamente sospesa tra cielo e terra, di Lucina Lanzara. Una storia senza tempo e, per ciò stesso, attualissima. balarm magazine 12

MUSICA

CordePazze, l’ironia è d’autore Nel primo cd musicale del gruppo palermitano sonorità elettroniche ed atmosfere acustiche C’è uno sguardo ironico e amaro sulla nostra società nel pop d’autore delle CordePazze, giovane band palermitana che dal 2003 (anno in cui si è formata) ad oggi, ha fatto un bel po’ di strada, arrivando alla pubblicazione del primo cd dal titolo “Irrequieti”. Il 2007 è stato l’anno della svolta, con la vittoria del Premio Fabrizio De Andrè e le finali delle selezioni per Sanremo giovani, mancando per un soffio la partecipazione al Festival. «Dopo il Premio De Andrè - ci dice Vincenzo Lo Franco, batterista della band - ci sono arrivate varie proposte discografiche. Abbiamo scelto l’etichetta indipendente Monnalisa che ci ha dato la possibilità di produrre questo nostro primo cd. Ci sono brani storici del gruppo ma completamente riarrangiati e due pezzi nuovi. Abbiamo inserito sonorità elettroniche abbandonando la componente esclusivamente acustica che ci caratterizzava, ma l’elemento fondamentale resta la necessità di comunicare, l’ironia e la provocazione, l’essere politicamente scorretti, quel carattere estroverso che rende particolari le nostre esibizioni dal vivo ma che caratterizza anche il disco». Sono sei, le CordePazze: Alfonso Moscato alla chitarra, voce e testi (nella foto), Michelangelo Segretario al pianoforte, Davide Inguaggiato al basso elettrico e contrabbasso, Vincenzo Lo Franco alla batteria e percussioni, Francesco Incandela al violino e Davide Severino alla tromba.

di BARBARA GIORDANO

«L’esperienza in studio - continua Vincenzo - è stata intensa. Abbiamo registrato in un mese e mezzo di lavoro massacrante ma che ci ha arricchito tanto. Devi fare i conti con la voglia di migliorare sempre, ma con la necessità, ad un certo punto, di fermarsi e dire: va bene così. E’ un mettersi al servizio della musica che sicuramente arricchirà anche i nostri prossimi live». Ed infatti, l’estate sarà ricca di concerti, con il tour promozionale che porterà i sei in giro per l’Italia in una quarantina di date. «Il pezzo di punta del disco è “La sinfonica sociale”, - dice ancora Vincenzo - che racconta di una nota stonata che non vuole stare all’interno dell’armonia ma che alla fine comprende che, per quanto si voglia stare al di fuori degli schemi, ci si deve allineare sul rispetto di alcune regole fondamentali. Poi c’è il pezzo che abbiamo presentato alle selezioni per Sanremo, “Sono morto da cinque minuti”, un ode alla vita; “La canzone dello spacciatore” con cui abbiamo vinto il premio De Andrè e “Giovannino senza paura”, una ballata folk che parla di mafia». Ci credono, le CordePazze, nella loro musica e ci si dedicano con serietà e impegno: «Il nostro più grande desiderio è di venire licenziati per assenteismo dai nostri attuali lavori: vorrà dire che la musica sarà diventata la nostra attività fondamentale e che ci permetterà di vivere». CordePazze online su www.myspace.com/cordepazze. balarm magazine 13


ph. Massimo Ragusa

MUSICA

MADE IN SICILY Il patrimonio tradizionale siciliano in chiave pop-jazz nel cd promosso da Alfredo Lo Faro di ALESSANDRA SCIORTINO Chi l’ha detto che la musica popolare ha bisogno di uscire dagli stereotipi sviluppando un linguaggio universale per diventare comunicativa? Sempre controverse sono le reazioni di fronte a rimpasti sonori di brani della tradizione, rivisitazioni e riletture che già di per sé destano pregiudizi. È dunque un’impresa non facile imbarcarsi, da esecutore o arrangiatore, in questa scommessa. Premesse d’obbligo per addentrarci nel lavoro discografico promosso da Alfredo Lo Faro per la sua etichetta Made in Sicily dal titolo “The songs” (in

distribuzione in negozi di dischi, librerie, edicole, bar, alberghi, ristoranti, aeroporti al costo di 4,90 euro). L’obiettivo primario di questa produzione è quello di diffondere il patrimonio tradizionale siciliano attraverso arrangiamenti in chiave pop-jazz affidati a musicisti professionisti del panorama locale. Parte dell’Orchestra Sinfonica Siciliana e dell’Orchestra The Brass Group, due realtà lontane per repertorio e prassi esecutiva, dirette coraggiosamente (non è facile d’altronde gestire più di 100 musicisti per la prima volta in un’unica compagine, metà dei quali poco avvezzi al linguaggio jazzistico) da Vito Giordano e Nico Riina, supportano le voci soliste di Mara Eli e Anita Vitale (nella foto) con special guests, tra gli altri, Francesco Cafiso e Orazio Maugeri (sassofoni), Francesco Buzzurro (chitarra), Giuseppe Milici (armonica) e Ruggero Mascellino (fisarmonica). Indispensabile l’apporto di sei diversi arrangiatori siciliani: Nico Riina, Rita Collura e Anita Vitale, Massimo Scalici, Giuseppe Vasapolli, Ninni Pedone. Le canzuni rivisitate spaziano dalle tradizionali Colapisci e Mi votu e mi rivotu sino a Lu pisci spada di Domenico Modugno e Nun lu sapiti di Esposito-Maglia. Come non rifarsi in certi casi alle interpretazioni di Rosa Balistreri o dello stesso Modugno? Scevri da questi condizionamenti cerchiamo di tener conto soprattutto dell’aderenza della musica al testo, non potendo trascurare tuttavia i caratteri della tradizione nostrana se non a favore di un senso più profondo, un sovra-senso. Solo così si può giustificare una mossa commerciale che punti ai giovani ma senza peccare in qualità. Nelle due prime tracce del disco, “Sicilia”, interpretata da Mara Eli, e “Abballati” cantata da Anita Vitale (presente in sole due track) compaiono le due voci soliste in evidente contrasto: laddove la voce della Eli, chiara e limpida e tendente al fraseggio pop risulta meno consona al repertorio, mentre una pur swingata “Abballati” rivela una vocalità più scura e duttile con un respiro e degli accenti più vicini alla tradizione popolare, complici forse gli arrangiamenti di Collura-Vitale di questo brano e di “La siminzina” entrambi interpretati dalla stessa Vitale. “Amuri e Fantasia” è invece un tango, godibile, eseguito con dovizia di particolari, ma l’aderenza al testo si smentisce alla quarta traccia, proprio sull’arrangiamento soft del tormentato “Mi votu e mi rivotu”. Anche “Lu pisci spada” risulta meno drammatica di quanto non sia, mentre “Nun lu sapiti”, pur se discutibile, centra il senso nell’arrangiamento di Scalici. Più interessanti, forse perché più fedeli alle sonorità originali, sono gli arrangiamenti della “Barunissa di Carini”, di “E Vui durmiti ancora” e, su tutti, “La siminzina”, rispettivamente di Riina, Scalici e Vitale-Collura. balarm magazine 14

MUSICA

COLAPESCE, il musical dei siciliani Nella nuova opera del maestro Martino Brancatello la storia d'amore di uno dei miti più antichi di Sicilia Aprendo le finestre delle nostre case quello che spesso vediamo è una terra fatta di contraddizioni. I fasti di antiche dominazioni sono solo ricordi che trasudano dai palazzi diroccati dei centri storici delle città della Sicilia, ma quando si solca lo stretto di Messina ecco che qualcosa afferra allo stomaco e non molla, cominciano a mancare gli odori, i sapori, le luci, i volti. La Sicilia in tutte le sue espressioni, anche quelle più marginali, alla quali raramente si desta attenzione, tornano indietro come un boomerang facendo sospirare i suoi abitanti. Siamo un popolo frustrato, dilaniato da mille sconfortanti vicissitudini, ci hanno tolto molto, ma ciò che rimane fervida è la dignità, l'identità. Leggende, racconti, modi di dire, proverbi, miti siciliani, ricordano e insegnano la saggezza di un background che abbiamo e che ci portiamo appresso ovunque. Il maestro Martino Brancatello, direttore della Roland Music School di Palermo, conosce bene questi sentimenti, è stato spesso in giro per il mondo a suonare con grandi orchestre e la voglia di tornare a Palermo lo attanaglia sempre. Aspettava da tempo l'ispirazione giusta per scrivere un'opera che gli permettesse di raccontare queste emozioni, per tradurle in musica. L'occasione arriva inaspettata quando un giorno la figlia, gli chiede di raccontarle la storia mitologica di Colapesce. Da allora quattro anni e mezzo sono passati e quella che era solo un’idea oggi è diventata realtà: un

di ALESSIA ROTOLO

musical tutto siciliano che verrà presentato al pubblico, in anteprima nazionale a Palermo, il prossimo ottobre, per poi spostarsi in tournee in tutta la Sicilia. «La storia dice Martino - non spiega il mito in sé, sarebbe scontato, ma guarda la vicenda di Colapesce da un'altra prospettiva, racconta col linguaggio del melodramma la storia d'amore che vive Cola, l'eroe messinese dalle portentose doti natatorie, vissuto intorno alla metà del 1100, che sacrifica la propria vita per il bene della Sicilia». Vuole essere un grido di speranza, l'inno dei siciliani. Una storia nella quale cambia il tempo, gli uomini, i luoghi, ma che sarebbe perfettamente riadattabile ai giorni nostri, quella di un uomo che si immola per il bene altrui. Le musiche e il soggetto sono, appunto, di Martino Brancatello, mentre le liriche di Valeria Martorelli che ha magistralmente tradotto sentimenti antichi e profondi in pura poesia. Il progetto è ambizioso e prevede: sul palcoscenico, un cast formato unicamente da giovani artisti siciliani, mentre dietro le quinte, un team di grandi professionisti. I provini, le audizioni nonché la preparazione vocale ed artistica è affidata alla Roland Music School. Martino ha voluto che l'opera fosse in italiano e non in dialetto in modo che tutti possano capirne i contenuti, affinché un giorno questo musical possa andare in tournée anche oltre lo stretto, sempre che Scilla e Cariddi siano d’accordo. balarm magazine 15


TEATRO

IL GRUPPETTO

“Tutti per uno, uno per tutti”, il motto è noto, artisti hanno comunque con Palermo un legame profoneppure non siamo nel bel mezzo di un’avventura do, non solo perché hanno la città nel cuore, ma piuttodi D’artagnan e i moschettieri del re, anche se sempre di sto perché è proprio grazie a Palermo che Il Gruppetto un ben affiatato quartetto si tratta, e più precisamente ha potuto crescere e soprattutto incontrare il regista di attori: Il Gruppetto. Parliamo della compagnia di tea- Pippo Spicuzza che, artisticamente parlando, li ha adottro comico brillante formata da Emanuela D'Antoni, tati, divenendo per loro non solo un maestro dal punto Giorgia Lo Grasso, Giuseppe Sorgi e Rosario Terranova. I di vista professionale, ma anche qualcosa di più. «Pippo quattro, partiti insieme dalla natia Palermo, dai teatri è stato per noi la chiave di tante cose, – dice non senza della loro città sono ora approdati alla televisione nazio- una certa emozione Giuseppe Sorgi – un grande uomo nale. I nostri infatti sono entrati in pianta stabile nel cast di teatro che ci ha rivelato una serie infinita di trucchi del del programma televisivo “Tintoria” in onda su Rai Tre, mestiere, ci ha incoraggiato ad andare via ma ci ha uno dei tanti impegni per i quali da qualche tempo è a anche insegnato a non essere divorati dalla nevrosi per Roma che “fanno casa”, come ci dice il regista del grup- questo lavoro, a mantenere sempre un certo distacco». po, Giuseppe Sorgi. E inoltre abitano insieme nella capi- E certo poi non è cosa da poco avere un teatro a dispotale (ottimizzazione di tempi e di costi) dando così anco- sizione - «come se fosse la mia cantina» aggiunge ra più ragione d’essere alla citata frase di dumasiana Giuseppe Sorgi – in una città dove il problema sempimemoria. Conoscendo le vicende artistiche della com- terno per i teatranti è quello degli spazi. Un altro punto pagnia poi, ci si rende subito conto come questa scelta di forza poi della compagnia è la grande armonia che li professionale, e inevitabilmente di vita, non sia stata accompagna nella vita professionale e non solo, un’unadettata da quello spirito di avventura giovanile che tan- nimità tale di vedute (anche per quanto riguarda le scelto bene fa ai sogni (e certe volte economiche) da condurli perte purtroppo tali li fa rimanere), sino, come già detto, a vivere La loro prima apparizione è nella stessa casa. «Quattro caratquanto invece sia il risultato di nel 1998 a Palermo con un ponderato progetto sulle teri diversi ma siamo sempre “Un problema alla volta”, basi di un continuo percorso di concordi su quello che vogliamo crescita ricco di fatiche sì, ma fare» sottolinea ancora Giuseppe spettacolo scritto da anche di soddisfazioni. Infatti, Giuseppe Sorgi con la regia Sorgi. Dopo Pippo Spicuzza, un prima del grande passo (dal altro importante incontro per Il di Pippo Spicuzza, 2007 sono in pianta stabile a Gruppetto è quello avuto con recentemente scomparso Roma), dopo più partecipazioni Pino Quartullo, regista de “La a festival e rassegne, ricevendo famiglia Lo cicero” (in scena nel anche premi e riconoscimenti (Cabarèt amore mio!, dicembre 2007 a Roma e a Palermo), autore del testo Premio Walter Chiari, Premio Franco Franchi e Ciccio insieme con Giuseppe Sorgi, che di lui ci dice «Un granIngrassia), nel 2006 i quattro vincono il Premio Charlot, de regista teatrale con la mente rivolta ai giovani, senza sono ospiti fissi in tv nel programma Supertrambusto di dubbio ci è stato mandato da Pippo da lassù». L’ultimo Europa 7 e si aggiudicano il secondo premio al Festival lavoro portato in scena da Il Gruppetto si intitola “Un Cabarèt di Modena. Il tutto continuando a girare l’Italia problema alla volta”, un nuovo allestimento la cui regia con gli spettacoli scritti da Giuseppe Sorgi e diretti da stavolta sarà curata dallo stesso autore, Giuseppe Sorgi. Pippo Spicuzza, attore e regista palermitano di recente La commedia ruota intorno al teatro: un corso di recitascomparso. Quindi, considerata da una parte l’impossi- zione per non professionisti vede coniugi in crisi e single bilità di essere sempre in viaggio e dall’altra la mole via in pena quali novelli teatranti alle prese con una rivisitavia crescente di impegni televisivi (nel 2007 sono fra i ta versione dell’Otello che offre non pochi spunti per un comici del programma “Tribbù” in onda su Rai Due), alla tourbillon di gag frenetiche al cardiopalma (l’affiataluce poi del fatto che ormai era ben poco quel che mento fra i quattro crea sempre sulla scena esilaranti Palermo poteva loro offrire, il trasferirsi a Roma diventa sincronismi) in uno spettacolo che è un ulteriore omaginvero più una necessità contingente che non un passo gio alla memoria di Pippo Spicuzza. E se li perdiamo a rischioso. I quattro, con diverse esperienze teatrali alle teatro, c’è sempre la televisione: oltre alla Rai si prospetspalle, fanno la loro prima apparizione insieme nel 1998 tano nel loro futuro anche programmi per Mediaset. Per a Palermo con “Un problema alla volta”, spettacolo scrit- chi poi volesse saperne ancora di più, basta consultarne to da Giuseppe Sorgi con la regia di Pippo Spicuzza. Gli il sito all’indirizzo www.ilgruppetto.net.

La compagnia palermitana di teatro comico brillante è entrata in pianta stabile nel cast del programma televisivo "Tintoria" in onda su Rai Tre di MARIA TERESA DE SANCTIS

ph. Maria Luisa Ferraro

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TEATRO

QUATTRO CUNTI Tre giovani cuntisti rievocano la Palermo antica nel nuovo spettacolo di Fabrizio Lupo di FABIO MANNO Chissà cosa ne pensa Mimmo Cuticchio? Chissà come giudica questi tre giovani cuntisti che rielaborando tecniche di narrazione vecchie di secoli rievocano i fantasmi della Palermo dei curtigghi (vedi cortile Cascino) e delle vanedde (vedi via Scippatesta, via delle Sedie Volanti), dando voce a quell’epica palermitana conosciuta a menadito dai nostri nonni e nonni avi avventori di taverne alla briaria o al capo - e da quei pochissimi iniziati capaci di comprendere il baccagghiu? Non so Mimmo Cuticchio - da molti dipinto come

purista e protettore del cunto tout court - ma ho la sensazione che Salvo Licata avrebbe certamente gradito e sostenuto Gaetano Celano - nipote di Don Peppino (cuntista della Palermo antica, nella foto, ormai scomparso), Maurizio Maiorana e Salvo Piparo. Di questa nouvelle vague di cuntisti fanno parte anime diverse tra loro: alcuni sono figli d’arte, altri musicisti o addirittura sinceri autodidatti. Tutti insieme andranno in scena a Palermo con uno spettacolo di Fabrizio Lupo: “Quattro Cunti”. Descrivendo i contenuti dello spettacolo Fabrizio Lupo, noto scenografo e da diversi anni ormai anche regista teatrale, dice: «La mia è una rappresentazione cattiva che racconta una cultura povera, governata ancora oggi da una aristocrazia opprimente, che intreccia l’epica carolingia, con l’epica della storia più o meno antica della città di Palermo e con l’epica del disastro culturale odierno». I tre protagonisti non sono degli attori e non interpretano nessun ruolo in scena. Sul palcoscenico ognuno di loro sfiderà il compagno a colpi di cunti, sfruttando al meglio le proprie abilitità affabulatorie. Proprio come avvenne alla taverna di Tabbard di Chauceriana memoria dove i pellegrini in sosta per la notte, dal mugnaio al cavaliere, dalla suora al giovane studente occuparono il tempo a sfidarsi a vicenda a colpi di novelle. Anche in “Quattro Cunti” la scena si svolge in una taverna ma di certo non si spilla birra non filtrata come nell’Inghilterra di Chaucer. Nelle taverne siciliane (purtroppo quasi scomparse del tutto) si beve tri quarti e ‘na azzusa e si fa il tocco giocando a sutta e patruni. E proprio in questa atmosfera di festa e di lutto, di gioco e angherie, dove il vino rosso fa da carburante e dove la sciarra sta dietro ad ogni parola le cui finali sono sbiadite dall’alcool e dove è facile da fraintendere, che i tre cuntisti si fanno il segno della croce. Fabrizio Lupo mi spiega che prima di ogni cunto, era un gesto automatico per il cuntista farsi il segno della croce. Un rito necessario prima che il corpo e la voce del cuntista iniziasse a diventare altro da sé. Lo spettacolo conclude il regista: «Non è mai uguale a quello della sera prima. I Cuntisti hanno piena libertà. La narrazione è loro patrimonio e la interpretano sempre a modo diverso». “Quattro Cunti” sembra avere tutte le carte in regola per diventare uno spettacolo di culto. Uno spettacolo che guarda dritto negli occhi alla Palermo antica, senza reticenze e senza perbenismi. Come ogni rito che si rispetti, pagano o religioso che sia lo spettacolo finisce con un caposaldo della cultura popolare palermitana: a masculiata. I tre cuntisti ipnotizzano e incantano con una rutilante narrazione mozzafiato a tre voci. Altro che dervisci rotanti! balarm magazine 18


TEATRO

I QUARTIATRI in “Testa o croce” La giovane compagnia palermitana è pronta per “uscire allo scoperto” con nuovo spettacolo di CLAUDIA BRUNETTO

ph. Agnese Faulisi

Da due anni lavorano nel teatro e per il teatro, in un piccolo spazio nel cuore del quartiere Capo a Palermo. Sono i giovani attori e le giovani attrici della compagnia Quartiatri che hanno appena ultimato il loro ultimo spettacolo. “Testa o croce” rappresenta un nuovo traguardo e in attesa di un calendario di date, è stato un importante banco di prova per affrontare la drammaturgia e la regia in chiave diversa. Per la prima volta, infatti, c’era un occhio esterno a seguire la costruzione dello spettacolo, quello di Dario Mangiaracina, attore del gruppo. «Abbiamo sentito l’esigenza della figura del regista – dice l’attore – Qualcosa è cambiato. Sentiamo di essere pronti per uscire allo scoperto e per far arrivare a un più vasto pubblico il nostro teatro». Alle spalle due spettacoli che hanno già girato molto: “Nel blu dipinto di blu” e “Dove le stesse mani…”. In scena Dario Muratore, Chiara Muscato, Gisella Vitrano e Marcella Vaccarino. I Quartiatri hanno scommesso sullo spirito di gruppo e sulla condivisione della formazione. «Partiamo sempre da una fase laboratoriale – continua Mangiaracina – Per questo su ogni spettacolo lavoriamo per lungo tempo. Poi iniziamo le prove e alla fine il debutto. Tutto nasce sempre dagli attori, e anche quando partiamo da un testo, questo si modifica via via con nuove battute e nuove interazioni». Uno dei problemi con cui si confrontano quotidianamente è quello della

mancanza di uno spazio adeguato per fare teatro. In 26 mq costruiscono lo spettacolo e invitano le persone più vicine ad assistere a qualche prova aperta. Ma trovare un luogo adatto per invitare un pubblico numeroso e calendarizzare lo spettacolo, è sempre un problema. Li abbiamo visti in prima linea nella recente occupazione del capannone Spazio Nuovo dei cantieri alla Zisa, dove insieme ad altre compagnie hanno portato avanti il loro percorso creativo. E anche i Quartiatri sono entrati nell’associazione temporanea di scopo, Spazio Zero-Teatro dei Cantieri, che cerca di mantenere viva l’attenzione sull’emergenza cultura a Palermo e propone una Casa Teatro dove catalizzare le energie e i progetti delle giovani compagnie presenti sul territorio. Come gruppo hanno coltivato esempi da seguire, ma hanno anche voluto superarli. Dal teatro di Emma Dante al grande Nekrosius, dai Raffaello Sanzio a «ogni spettacolo interessante che ci capita di vedere – dicono gli attori – perché nutrirsi di teatro aiuta il processo creativo». Fra i loro desideri futuri, c’è quello di portare i loro spettacoli in Festival italiani ed europei per un confronto diretto con il panorama teatrale contemporaneo. Una compagnia che dimostra di avere almeno tre carte vincenti: una prorompente passione, una freschezza creativa e una seria disciplina nel lavoro. I Quartiatri sono online su www.quartiatri.it. balarm magazine 20


ARTE

MAX ERNST e la realtà del sogno Sessantatre opere provenienti dalla collezione privata del mecenate Reinhold Würth sono in mostra a Palermo, a Palazzo dei Normanni, fino al 15 luglio di GIULIA SCALIA balarm magazine 22

“Il poeta futuro supererà l’idea deprimente dell’irreparabile divorzio tra l’azione e il sogno” afferma nel 1934 André Breton, poeta e guida spirituale del Surrealismo, riferendosi al merito indiscutibile del movimento d’avanguardia nato in Francia che, dopo il disastro della Prima Guerra mondiale, ha visto artisti, scrittori e intellettuali impegnati nel colmare il vuoto creatosi tra società e arte, tra libertà sociale e libertà individuale. Il Surrealismo si fondava su un sistema di conoscenza che intendeva liberare l’uomo e la società dai pregiudizi dello stile di vita borghese e dal pensiero logico, grazie alle scoperte psicanalitiche di Freud e alle teorie sociali di Marx. La ragione aveva fallito ed era necessario volgere lo sguardo altrove. Max Ernst (Brühl, 1891-Parigi 1976), uno dei protagonisti principali del movimento surrealista, ha applicato all’arte la poetica dell’automatismo. Al suo genio dobbiamo l’invenzione di una serie di procedimenti che rivoluzionarono radicalmente le modalità di percezione dell’arte e della creatività. La volontà di irrompere nella storia con una visione nuova che affonda le sue radici nel sogno e nella poesia è il leitmotiv della mostra “Max Ernst nella collezione Würth” curata da Sylvia Weber e realizzata in collaborazione con l’Assemblea Regionale Siciliana e la Fondazione Federico II, visitabile a Palermo a Palazzo dei Normanni fino al 15 luglio (da lunedì a sabato, ore 8.30-17; domenica, ore 8.30- 12.30). Le sessantatre opere esposte fanno parte della collezione privata del mecenate Reinhold Würth, noto per il contributo decisivo al restauro della Cappella Palatina. Le opere della collezione sono state selezionate grazie all’apporto critico di Werner Spies, direttore del Centre Pompidou di Parigi dal 1997 al 2002, che ha permesso il formarsi di uno dei nuclei collezionistici più ampi, circa cento opere, dedicati ad Ernst. L’automatismo psichico, come sottolinea Breton nel Manifesto del Surrealismo del 1924, è “il dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione”. Ernst trovò il modo di applicare l’automatismo alle arti, grazie alla scoperta di nuove tecniche atte a sottrarre al dominio delle facoltà coscienti l’elaborazione dell’opera. L’arte non attingerà più all’imitazione della realtà ma si rifarà a un “modello interiore”. L’artista proveniva dall’esperienza dadaista che gli aveva permesso di sperimentare la tecnica del collage definito “come un composto alchemico di due o più elementi eterogenei che risulta dal loro inaspettato accostamento”. L’immagine infatti punta sulla dissimilitudine, sulla necessità di sca-

tenare nel fruitore un effetto “shock”. Il collage surrealista differisce dunque dal papier collé cubista, selezionato in base alle sue qualità formali. La tecnica surrealista si oppone invece ai processi artistici tradizionali. Ciò è evidente nelle illustrazioni di Répétitions (1922) realizzate per il testo di Paul Eluard e nell’opera Les maleheurs des immortels (1922). La femme 100 têtes (1929) è il primo romanzo-collage. I ritagli assumono infatti una valenza narrativa anche se la consequenzialità del racconto viene spesso interrotta e non risulta comprensibile. Come afferma Spies, «l collage è soddisfazione del desiderio». La necessità di reperire nuove radici ha spinto Ernst ad approfondire la conoscenza delle culture dell’isola di Pasqua e degli esquimesi. Il gruppo di sculture Corpo insegnante per una scuola di gangster (1967) evoca la scultura tribale e la divinità bifronte Janus (1974) celebra una sessualità libera, consapevole della sua ambivalenza. Nel 1925 Ernst inventa il frottage. Come annota in Au delà de la peinture, era arrivato alla tecnica dello sfregamento restando affasci-

nato dalle marezzature del pavimento. L’ Historie Naturelle (1926) è la prima opera realizzata con questo tipo di procedimento automatico che consiste “nel ricalcare”. Le parole di Ernst, a questo proposito, sono illuminanti: “Andando attraverso la foresta e guardando ostinatamente per terra si scoprono cose stravaganti e meravigliose […]”. Maximiliana (1964), enciclopedia illustrata che rappresenta il culmine del metodo automatico, si basa sulla storia di Tempel, astronomo senza laurea. Ernst, artista autodidatta, si rispecchia nel protagonista. Afferma Spies: «Ernst motiva con ironia la sua inibizione nei confronti della pittura spontanea: di fronte al foglio bianco sarebbe colto da una sorta di complesso di verginità». Attraverso le sue tecniche riesce ad accostarsi alla meraviglia della creazione come l’astronomo Tempel che osserva con il telescopio l’immensità del firmamento. «Max Ernst - afferma Breton - ha realmente stregato le sue pagine che sono palpebre che hanno preso ad aprirsi e chiudersi di continuo». balarm magazine 23


ARTE

ARTE

DANIELE FRANZELLA Scultore palermitano, ironico e inquieto: crea corpi fittizi a cui non può accadere mai nulla di MARINA SAJEVA E chi l’ha detto che l’arte di qualità è intrinsecamente legata a una dimensione mondana, fatta di aperitivi e vernissage a cui non mancare? Questo è quello che mi sono chiesta dopo aver conosciuto meglio Daniele Franzella, lo scultore palermitano del quale capita poco di sentire parlare rispetto ai suoi colleghi, sicuramente altrettanto talentuosi, ma di certo più presenzialisti e disinvolti in quel mondo inesorabile che prende il nome di “Sistema dell’Arte”. Daniele è all’opposto; e forse è un peccato: la profondità delle idee e la virtuosità del suo

lavoro meriterebbero una visibilità maggiore di quella avuta finora. L’ultima sua apparizione è stata quella nell’ambito della manifestazione di arte nello spazio urbano “Via Alloro inart”, curata lo scorso settembre da Eva di Stefano, con l’installazione di tre teche contenenti grandi ex-voto, che rappresentano il tema centrale del suo lavoro, ossia il corpo e la sua caducità. Questo suo interesse risale ai tempi dell’Accademia, quando Daniele frequentava il corso di scultura, in cui lo studio attento del corpo umano stava alla base delle più tradizionali delle sculture figurative. Nulla a che vedere, però, con questo tipo di statuaria, hanno le opere di Franzella; i suoi corpi, o i brandelli di esso, sembrano venuti piuttosto da una fabbrica che da un atelier; questo perché è esplicito nelle intenzioni dell’artista il voler plasmare degli oggetti che prendano in giro i prodotti industriali, le cui superfici smaglianti seducono chi guarda fuori dalla vetrina. Oggetti belli ma inutili, come i souvenir, gli stessi che il padre vende nel negozio di famiglia. Ma questo è soltanto la “buccia”, come lui stesso afferma, del suo lavoro: infatti, all’inutilità dell’oggetto in serie, egli affianca la fede nell’utilità di un’arte che è anche terapeutica, in cui i tempi lunghi necessari alla realizzazione di queste opere, così perfette da competere con quelle fatte dalla macchina, aiutano ad esorcizzare le paure più nascoste. «Siamo una generazione di ipocondriaci!», dice Franzella, il quale ammette di studiare attentamente il corpo per avere maggiore controllo su di esso, e per allontanare la paura del suo indebolimento o della sua malattia. Crea corpi fittizi a cui non può accadere mai nulla, astucci simili a sarcofagi che hanno il fine di proteggere dalle minacce del mondo esterno stesso o chi si ama, come nel caso dell’astuccio sagomato sul corpo della sua compagna, il primo di questa serie, realizzato per la mostra “Il Cantico dei Cantici” (2005), il cui tema era quello di interpretare il rapporto amoroso, come quello tra Dio e la Chiesa raccontato nell’omonimo libro della Bibbia. Caratteristica precipua sia degli ex-voto (il ricordo della malattia) che degli astucci (il rifugio del corpo), è quella di non avere una maniglia, obbligando a il loro trasporto con un reale sforzo fisico, sotto braccio, in un rapporto morboso con quello che rappresenta, come a marcare l’ossessione sottesa. Un senso di inquietudine, quindi, attraversa tutto il lavoro di Franzella, il quale, però, sa sapientemente stemperarla, sia con il rimando alla sfera dell’oggetto-merce, sia con una dose di intelligente ironia, come quella presente nella sua recente serie di improbabili ortaggi biomorfi (un cuore-finocchio o un asparago-pene), pronti per essere venduti al banco della frutta. balarm magazine 24

Andy Warhol, trent'anni di Pop Art Arte, genio e provocazione: in mostra a Palermo un centinaio di opere tra grafiche, oggetti, foto e video Andy Warhol (1928-87), rutilante creatore di icone ed icona egli stesso della Pop Art, continua a esercitare un intenso fascino presso il grande pubblico per aver scelto come tema della sua opera la cultura di massa, gli oggetti del consumo quotidiano, i protagonisti dello star system. Egli ha teorizzato quella mitologia dell’apparire più che dell’essere che lo ha condotto a costruire su di sé un personaggio – quell’inconfondibile parrucca bianca e quel viso chiarissimo da albinoe ha vissuto l’arte come business, facendo della sua firma un vero e proprio marchio di fabbrica. L’artista americano è al centro della mostra “Andy Warhol – Storia del mito per immagini”, visitabile fino al 29 giugno presso il Loggiato di San Bartolomeo di Palermo (ingresso libero; da martedì a giovedì, ore 1013 e 16-21; da venerdì a domenica, ore 16-24), organizzata dall’associazione M.A.R.E. con il supporto in Sicilia della società Argomenti di Amelia Bucalo Triglia & C. L’esposizione comprende un centinaio di opere provenienti quasi tutte dalla collezione Rosini-Gutman, nata dalla fusione della raccolta dei Rosini, storica famiglia di galleristi romagnoli, e di Delilah Gutman, moglie di Gianfranco Rosini, il quale nell’arco di vent’anni ha costruito una delle più ricche collezioni antologiche del maestro della Pop Art. Essa prende avvio dal Gold Book del 1957, realizzato da Warhol in occasione della sua prima personale newyorkese presso la Bodley Gallery e composto da venti opere rilegate a mano con ritocchi ad acquerello. Segue la carrellata di ritratti, volti illustri di Hollywood, da Liz Taylor a Marilyn Monroe, da Liza Minnelli a Sylvester Stallone, personaggi come Mao o Joseph Beuys, sino ai suoi amici, raffigurati nella serie Ladies&Gentlemen. Ogni soggetto viene isolato, decontestualizzato, ingrandito, alterato nelle tinte, raffigurato con tecniche (quasi sempre la serigrafia) che vogliono riproporre l’impersonalità e l’anemotività delle riproduzioni meccaniche; allo stesso tempo, però, esso viene sottratto all’anonimato e all’obsolescenza inevitabile della società dell’immagine per essere reso eterno, innalzato al ruolo di personaggio. Non mancano le serie dei Flowers, moderne rivisitazioni delle nature morte della pittura classica, seducenti riproposizioni del tema della

di MARINA GIORDANO

Vanitas, con alcuni pezzi ritoccati a mano e resi unici dall’artista, o quelle degli Space fruit e di Diamond Dust Shoes, realizzate con polvere di diamante e inneggianti al feticismo della moda. Presenti in mostra anche le opere che testimoniano il rapporto tra Warhol e il mondo della musica, come la celebre banana disegnata per la copertina dell’album più noto dei Velvet Underground (1967), di cui l’artista fu produttore e promotore. Dopo la ristampa del disco “Velvet Underground and Nico”, sono i Rolling Stones a chiedere a Warhol di realizzare la cover per l’album “Sticky Finger” (1971) e lo stesso Mick Jagger viene immortalato in uno dei celebri ritratti warholiani. Ad accompagnare le opere, anche le immagini del fotografo Dino Pedriali, che seguì Warhol durante tutte le tappe di un suo viaggio in Italia, con più di cinquanta scatti che offrono anche alcuni momenti della quotidianità dell’artista, ove persino la banalità diviene spettacolo. balarm magazine 25


Palermo, capitale di “España” Cinquant’anni di arte spagnola in mostra a Palazzo Sant’Elia: Picasso, Dalì e Mirò inaugurano il nuovo sito museale della Provincia Regionale di Palermo Mezzo secolo di arte spagnola, pittura, scultura e installazioni per oltre cento opere di settanta artisti fra i quali Picasso, Mirò, Dalì, Barcelò, Muñoz. Palazzo Sant’Elia a Palermo ospita “España - Arte spagnola 1957.2007”, la mostra promossa dalla Provincia regionale di Palermo e dall’Istituto Cervantes di Madrid (organo ufficiale del Ministero degli Esteri spagnolo), curata da Demetrio Paparoni. Prodotta da Arthemisia, è organizzata con il patrocinio del Parlamento europeo e del Ministero della Cultura Spagnolo e con la collaborazione del Darc Sicilia (il Dipartimento per l’Architettura e l’Arte Contemporanea della Regione Siciliana). Dai grandi maestri che hanno segnato il XX secolo sino ai contemporanei, per consacrare Palazzo Sant’Elia come sede museale d’eccellenza: l’allestimento è concepito per sfruttare al meglio lo spazio espositivo di Palazzo Sant’Elia, gioiello settecentesco acquistato dalla Provincia nel 1985 e sottratto al degrado grazie all’intervento della Giunta Musotto. Il recupero è stata articolato e complesso. I tecnici della direzione Sovrintendenza Beni culturali della Provincia, hanno prima predisposto un impegnativo progetto di restauro mirato al recupero e al consolidamento dei prospetti, dei cortili e degli interni. Successivamente si è provveduto alla trasformazione in sede museale: il piano nobile ed il piano sottotetto sono stati destinati a

spazio espositivo, così come l’ex cavalerizza. Nell’androne dell’ingresso principale trova posto la biglietteria e, sempre a piano terra, sono previsti servizi a supporto dell’attività espositiva. Il piano ammezzato è destinato alla biblioteca, alla fototeca (centro di documentazione) e agli uffici. La mostra, omaggio alla Spagna e al legame che unisce la penisola iberica alla Sicilia, rispetta la linea culturale seguita in questi anni dalla Giunta guidata da Francesco Musotto: promuovere il ricco patrimonio del territorio e il dialogo con le grandi istituzioni culturali, per trasformare Palermo nella capitale mediterranea dell’arte. Un percorso che lo scorso anno, grazie alla collaborazione con l’Hermitage di San Pietroburgo, aveva già permesso di aprire la prima ala restaurata di Palazzo Sant’Elia ospitando i capolavori dell’arte italiana che lo zar Nicola I aveva scelto in Italia e portato in Russia. “España” è l’ultimo tassello di questo progetto, ultimo regalo alla città della Giunta Musotto al termine del mandato, ultima manifestazione di un’articolata politica culturale che, attraverso il linguaggio universale dell’arte, è riuscita in questi anni a coinvolgere un pubblico eterogeneo, emozionando e stimolando la curiosità intellettuale di esperti e profani. In questa occasione il Palazzo, restaurato sotto la direzione dell’architetto Maurizio Rotolo della Soprintendenza provinciale ai Beni Culturali, potrà essere visitato interamente, svelando nuovi spazi recuperati, con una superficie espositiva quasi triplicata. “Questa mostra - sottolinea il commissario straordinario della Provincia di Palermo, Patrizia Monterosso - è una grande occasione per proiettare Palermo e il suo territorio nei grandi circuiti internazionali, confermando l’intuizione dell’Amministrazione provinciale in questa direzione. Un grande evento che mette in cambalarm magazine 26

po professionalità e risorse per offrire al pubblico un prodotto culturale di altissimo livello. Un sicuro motivo di richiamo turistico, che coniuga l’arte moderna e contemporanea ad un edificio storico di grande prestigio candidato a diventare un punto di riferimento nel panorama internazionale dell’arte e della cultura”. Considerando il 1957 - anno di costituzione del gruppo El Paso - il punto di svolta dell’arte spagnola, momento di passaggio dalla modernità alla contemporaneità, la mostra, per una scelta ben precisa, non è suddivisa cronologicamente ma segue un percorso espositivo per sezioni: Quijotismo trágico, Misticismo pagano, Existencialismo barrocco, Tenebrismo hispánico, Astrazione simbolico-formale. Una impostazione tematica e narrativa che accosta le opere in modo da sottolineare la continuità di stili e contenuti. Sculture e disegni, dipinti e fotografie, video e installazioni che conducono il visitatore alla scoperta di materiali e tecniche differenti in un’ampia carrellata di arti visive. Le opere in mostra provengono dalle più prestigiose isti-

tuzioni museali dedicate all’arte moderna e contemporanea e in alcuni casi anche da gallerie e privati. «Palermo - sottolinea il curatore della mostra, Demetrio Paparoni - è in assoluto la città che più di ogni altra in Europa avrebbe potuto ospitare questa mostra, che per mole e qualità delle opere - per la maggior parte di formato gigantesco e provenienti da grandi istituzioni museali spagnole - è la più grande del genere sinora realizzata fuori dalla Spagna. Palermo ha grandi tradizioni spagnole, ancora vive, sentite. La mostra è stata studiata per gli spazi del Sant’Elia e anche il suo impianto teorico è frutto di “considerazioni palermitane”». La mostra resterà aperta al pubblico dal 18 maggio al 14 settembre e potrà essere visitata nei seguenti orari: martedì, mercoledì, giovedì, domenica dalle ore 10 alle 13 e dalle 17 alle 20; venerdì, sabato e prefestivi dalle ore 10 alle 13 e dalle 17 alle 23; lunedì chiuso. Biglietto 7 euro. balarm magazine 27


ph. Carlo Gambino e Cinzia La Mantia

LIBRI

FULVIO ABBATE “Quando è la rivoluzione”, è il titolo dell’ultimo libro dello scrittore palermitano, che racconta il ’68 con un inedito punto di vista di ANTONIO CASTIGLIA balarm magazine 28

La serena mancanza di timore riverenziale e la caustica ed irriverente ironia dell’autore, da queste senza dubbio deriva l’originalità dell’ultimo libro di Fulvio Abbate, “Quando è la rivoluzione”, Baldini e Castoldi Dalai editore, 311 pagine, in vendita a 17 euro. L’autore si cimenta con uno stile a lui nuovo e il risultato è un romanzo estremamente godibile, nel quale la descrizione dei tipi sociali, e dei personaggi - molti dei quali reali e viventi - è efficace quanto impietosa. Protagonista del libro, manco a dirlo, il periodo storico dell’ultima vera rivoluzione socio-culturale nel nostro paese, il ’68. Sulla questione se abbia fondamento o meno un certo luogo comune secondo cui in realtà ben poco sia cambiato dopo quegli anni, Abbate ha una opinione ben precisa: «Personalmente credo che col ’68 siano cambiate molte cose, innanzitutto i giovani sono diventati un importante soggetto sociale agente, si pensi soltanto al ruolo assunto nel mercato dove oggi sono i consumatori più forti. L’invenzione dei giovani si deve in senso assoluto al ’68, fino ad allora i ragazzi non avevano voce, in famiglia, nella società. E inoltre dopo il ’68 nulla è stato più nella nostra società, una serie di diritti e condizioni civili, tralasciamo se di tipo più o meno consumistico sono stati di fatto acquisiti. Basti l’esempio del sesso dopo il ’68 ha smesso di essere qualcosa di proibito». Che altro è mancato - abbiamo chiesto allora - perché il ’68 fosse la rivoluzione perfetta? «Il ’68 è stato fondamentalmente una rivolta libertaria nella quale si chiedevano più diritti individuali. Tuttavia secondo una prospettiva politico-ideologica comunista, il ’68 sarebbe dovuto sfociare in una società socialista anche qui in occidente ma questa è fantapolitica. Certo avrebbe potuto essere molto diverso ma comunque il ’68 ha significato moltissimo. Pensiamo alla moda che è un indice sensibile del costume quotidiano, prima di allora il mondo era bianco, nero e antracite, dopo il ’68 sono esplosi i colori, c’è un momento dei primi anni ’70 in cui il mondo diventa oggettivamente a colori e non solo riguardo agli abiti. Se osserviamo i filmati dell’epoca la moda di

quegli anni nella sua forma più popolare, frutto anche della cultura beat, scopriamo realmente che il mondo era un’altra cosa. Non a caso poi Bob Dylan cantava “il mondo sta cambiando, non è vero Mr Jones?”». Visto il suo status di intellettuale palermitano «fuori dall’isola», era d’obbligo chiedere a Fulvio Abbate come si vede Palermo da fuori. «Io manco dal ‘83 e pur avendo un legame familiare con la città l’ho vista cambiare a distanza. Fino al 2001 quando scrissi “Il rosa e il nero” avevo ancora la sensazione di poterla leggere, oggi per molti versi faccio fatica, è come se ci fosse stato un cambio epocale, ma questo è un fatto personale. Palermo in effetti viene vista in due modi. Come luogo meraviglioso e magico da chi non è palermitano e sa dell’esistenza di Palermo come possibilità narrativa, esistenziale, turistica. Un luogo dunque per il quale bisogna ringraziare il cielo e la storia. Tuttavia questa percezione quasi magica non tiene conto delle condizioni attuali della città, di quello che è il suo stato oggettivo dal punto di vista politico, culturale, dal punto di vista della vivibilità. La mia percezione, che è quella di chi per anni ha avuto la sensazione che la città fosse un laboratorio straordinario dal punto di vista civile, è quella che ci sia stata come una interruzione della energia vitale. Questa comunque è una condizione che riguarda tutti i luoghi di produzione culturale umanistica, comprese altre metropoli come Milano o Roma. Questa considerazione mi fa pensare a come viene narrata oggi la mafia. Oggi la televisione più che il cinema è lo strumento più a portata di mano che abbiamo a disposizione, oggi la mia sensazione è che gli unici strumenti che siamo in grado di mettere in campo siano quelli di una certa fiction, rispondenti più ad una esigenza di spettacolarizzazione, come se stessimo trattando piuttosto che la mafia una spy story, un giallo, un poliziesco. Una situazione ben diversa da quella che rivelava per esempio “Il sasso in bocca” di Ferrara, un film che suscitava riflessioni e serviva ad un progetto di mutamento civile del tessuto sociale. Questo tuttavia è un problema che riguarda tutta la vecchia Europa purtroppo». balarm magazine 29


LIBRI

L’indifferenza degli ALTRI Il triller d’esordio di Antonio Pagliaro è ambientato in una Palermo afosa ed effimera

Una Palermo alla deriva e afosa quella che Antonio Pagliaro descrive nel suo primo romanzo “Il sangue degli altri” (Sironi Editore pagine 252, euro 14,50). Il titolo, preso a prestito da una poesia di Franco Fortini, diventa pretesto per sintetizzare l’indifferenza comune di un mondo assuefatto alla rovina. L’accezione “altri”, in questo contesto, è estraneità, qualcosa che non ci appartiene o esiste solo quando si vede e tocca da vicino. Con il suo romanzo, senza moralismi, Pagliaro ha il pregio di farci riflettere. La storia è completa; si vede, si respira e s’apprezza anche per le mani che attingono a pagine di quotidianità, ai tanti scandali, ai documenti. Una storia dal finale aperto, proprio come la vita, perché non siamo in un giallo padano e nessuno vuole offrire soluzioni scontate. La crudeltà dell’antefatto,

di TOMMASO GAMBINO

che precede i tre omicidi, è il filo rosso che conduce Corrado Lo Coco, giornalista, agli eccidi e alle aberrazioni d’una guerra sottotraccia, quella russa in Cecenia. Nulla è lontano, niente può essere lasciato alle spalle, la barbarie soppianta la civiltà. Crimini e criminali di guerra, fiumi di denaro e sangue. Sangue ripulito dalla superficialità degli altri (in questo caso noi) e dalla diffusione dei vizi. Palermo, nella finzione letteraria, è candidata ad essere una novella Las Vegas; una ribalta per vip di bassa lega e talenti di periferia; una realtà letargica, arroventata, visibilmente distratta, con la vocazione a crescere sull’effimero – case da gioco e croupier, – grazie a politicanti senza scrupoli con l’unico scopo di sostituire al potere se stessi in un circolo vizioso. La distrazione dei tanti e la distruzione degli altri; gli estranei da noi. Questo binomio non passa inosservato a Corrado Lo Coco, che annoiato dall’essere cronista di gossip (anche se i giornaletti scandalistici gli danno il guadagno negatogli dalla serietà d’essere un cronista di nera in un quotidiano di impegno) s’avventura in un viaggio d’inchiesta – per un futuro libro denuncia, – a Mosca, Groznyj e Riga, dopo essere stato testimone di un omicidio in pieno centro cittadino. L’incontro con Anastasija, quasi una sorta di Simon Wiesenthal, a caccia di criminali di guerra per conto di un’associazione di madri di militari russi, alza il velo su un universo sconosciuto al cronista di una provincia “kitch” dell’Unione Europea. La perversione è globale, senza tregua, incontrastata, e alimenta il nostro benessere; basta solo voltare le spalle e far finta di nulla, minimizzare. Però niente può essere lasciato alle spalle e Corrado Lo Coco lo impara in fretta, in poche settimane. La realtà palermitana descritta dall’autore non è romantica, come non lo è la relazione di Lo Coco con Cinzia, né tanto meno altisonante, vista quella parte di società composta da tipi trendy, che parlano con parole «…di vetro, trasparenti, parole senza nulla dentro. Come pesci rossi nella boccia di vetro». In un’intervista Pagliaro afferma che «La Sicilia di Montalbano non esiste. E’ affascinante, ma non esiste». Fortuna vuole che non tutti i siciliani siano trendy e forse pure per questo che parte dei proventi di vendita del libro saranno devoluti dall’autore ai giovani di Addiopizzo. balarm magazine 30


LIBRI

LIBRI

Agli italieni non resta che piangere

La città magica e la strega “Mafia”

Dopo i costi della politica denunciati nella "Casta", in "Sparlamento" i vizi inveterati dei politici italiani

Nella graphic novel di Silvestro Nicolaci la storia del giudice Paolo Borsellino e della giovane Rita Atria

E “Sparlamento” sia! Libro delle domande, copiose e arrabbiate filiazioni di ogni parola letta. La lilith dei quesiti è: perché non si (s)parla abbastanza di ciò che viene raccontato nell'ultimo libro del cronista parlamentare di “Repubblica”, Carmelo Lopapa? Il titolo c'è: “Sparlamento” (Chiarelettere, pagine 215, euro 12,60), anche l'occhiello: “teofurbi, affaristi, trasformisti, massoni, famigli” e per trovare risposta ad uno dei 5 sensi del giornalismo, il “cosa”, basta giungere al sottotitolo: “vita e opere dei politici italiani”. Di Dario Fo e Franca Rame la mordente prefazione da palco per questa radiografia alla nostra classe politica, osservata quotidianamente nelle proprie miserie dal bravo Lopapa. Cosa mi resta da fare? “Sparlamento” non è libro da recensire o da raccontare ma da citare interamente.

di ROSSELLA PUCCIO

Esplicativo già dalla titolazione dei capitoli, sette come i vizi capitali di questa Italia inveterata e accidiosa. Il quadro di complessivo degrado è fatto di istantanee scattate nei luoghi di governo sempre più simili a banchi del mercato, curve da stadio e palchi sui quali esibirsi. È il libro dell'indignazione, opera di testimonianza necessaria che racconta con tono asciutto e ironico, avvalendosi di cronicistici parallelismi, le inquinate digestioni dei nostri politici. Privilegi, leggi ad hoc, “politiche condominiali” battezzano i balenga del nostro Governo “inquilini del Palazzo” che con sempre maggiore facilità e minore pudore si tessono costosi privilegi. Dove sono finiti il rigore e l'austerità dovuta ai luoghi di governo? Le impalcature del libro sono chiare e dirette: fatti realmente accaduti, con date e nomi che vanno da destra a sinistra passando per il centro. Nessuno da assolvere, i Very Important Parlamentari della nostra politica conquistata la poltrona sprofondano nel galateo dell'affarismo, del familismo non lasciando nulla di intentato per se stessi e i propri cari. È il Governo della spettacolarizzazione che con l'ingresso delle telecamere in aula ha creato showman intenti a pianificare azioni sempre più inaudite: la mortadella mangiata dall'opposizione per la caduta del Governo Prodi, docet. Epiteti, baruffe, sputi, striscioni e candeline spente sugli scranni per il parlamentare che compiva gli anni, la lettera ufficiale di Rocco Buttiglione (Udc) e di Albertina Soliani (Ulivo) per ottenere che la buvette del Senato vendesse i gelati, i cambi di schieramento, le teofurbizie e i Family day di chi difende la famiglia ma poi si intrattiene tra prostitute e festini, non dimenticando le storie “stupefacenti”, i tavoli di ripartizione e spartizione e la cosiddetta “legge mancia” approvata sempre all'unanimità per la distribuzione dei residui attivi in opere e missioni con padrini politici promotori. “Cosa abbiamo fatto per meritarceli?” si chiede Lopapa che non sempre mantiene il distacco del cronista tradendo il tono di cittadino amareggiato. Tutti, tranne noi italiani anzi italieni, sembrano accorgersi di questa “opera buffa che lascia poche ragioni per ritenere che il declino italiano venga arrestato” come cita il recente editoriale del Financial Times “An election that Italy cannot afford” (Un'elezione che l'Italia non può permettersi). balarm magazine 32

Ho conosciuto Silvestro Nicolaci, o meglio le sue prime prove da autore di fumetti, nel 2000; tratto acerbo, quasi maldestro, ma soprattutto poco caratteristico. Silvestro decise poco dopo di iscriversi alla Scuola del Fumetto di Milano - all'epoca la nostra città non poteva vantare una filiale della stessa scuola - e l'ho rivisto, anzi conosciuto sul serio, nel 2003, agli esordi del GruppoTrinacria (prima esperienza collettiva per riunire fumettisti e aspiranti fumettisti da tutta la Sicilia, ma questa è un'altra storia...). Silvestro oggi frequenta ancora quella Scuola del Fumetto, sì, ma come insegnante, ma coglie ogni occasione per tornare nella sua città natia per godere un po' della nostra aria, soprattutto del nostro mare. Di estate ha la fortuna di potersi rilassare in una casetta nei pressi della piazza principale di Mondello, ed è proprio dalla vista che si ha da quella prospettiva che inizia “Favola di Palermo”. Qualcuno di voi avrà certamente sentito paragonare Monte Pellegrino, per via della sua forma, ad un segugio addormentato: provate a guardarlo dal lato di Mondello e vi stupirete. Se non ne avete voglia, basta sfogliare il libro di Silvestro. Ma Silvestro non ha scritto e disegnato un fumetto solo per parlare della somiglianza fra Monte Pellegrino ed un cane; “Favola di Palermo” è un altro tassello importante della non pianificata serie di fumetti ad opera di palermitani dedicati alla nostra città, dopo “Brancaccio”, di Giovanni Di Gregorio e Claudio Stassi, e “Il Giocatore”, di Roberta Torre e Gianni Allegra, riappropriandoci di un tema forte come la mafia e raccontandolo non attraverso luoghi comuni ma descrivendo odori e sensazioni che soltanto noi palermitani siamo in grado di recepire. Se “Brancaccio” riesce a parlare di Padre Puglisi senza quasi farlo mai vedere, Rita Atria e Paolo Borsellino sono invece i protagonisti diretti di “Favola di Palermo”; Silvestro, che è già da anni uno straordinario disegnatore, si rivela essere anche uno sceneggiatore tecnicamente ineccepibile, e soprattutto, dalla spiccata sensibilità, immaginando una Palermo magica, dove la Mafia è una strega cattiva che tiene soggiogati i palermitani grazie alle sue pozioni di Ignoranza e Omertà e Paolo Borsellino è un Cavaliere di Stato. Rita Atria mantiene il suo triste ruolo senza strani appellativi, ovvero, una bambina di una famiglia mafiosa che in nome della mafia, quella

di SERGIO ALGOZZINO

vera, a undici anni perderà il padre e a diciassette il fratello, e che decide perciò di confidare le sue informazioni direttamente a Borsellino, contribuendo quindi all'arresto di numerosi malavitosi locali. Nel fumetto, questa troppo poco ricordata pagina di cronaca, si adatta al tono favolistico utilizzato da Silvestro senza minimamente perdere in credibilità, anzi, dà un valore aggiunto a questo albo, che in questo modo può benissimo essere letto ed assimilato anche da un bambino di tenera età senza che ne rimanga gratuitamente scioccato, mentre un adulto potrà cogliere più nel profondo, con delicata commozione, i riferimenti più crudi. Pubblicata dalla Scuola del Fumetto, “Favola di Palermo” è una storia che in un mondo perfetto dovrebbe assolutamente diventare una lettura obbligatoria nelle scuole. balarm magazine 33


ph. Totò Bongiorno

CINEMA

LA TERRAMADRE Il nuovo lungometraggio di Nello La Marca, arrivato senza soste direttamente al Festival del Cinema di Berlino, nella sezione Forum di FABIO MANNO

Chi di voi sa dell’esistenza di una linea di corriera dal mare e che provengono da un altrove più a sud, che da Palma di Montechiaro arrampicandosi per anch’essi in cerca di una vita migliore o ancor peggio gli Appennini lungo tutto lo stivale, percorrendo il cuore obbligati alla fuga. Singolare è il percorso che ha portadelle Alpi, costeggiando le acque del Reno arriva - sen- to alla realizzazione del film. Un intero paese impegnato za fermate intermedie - a Mannheim in Germania, nella per mesi in laboratori di scrittura creativa fa nascere al regione di Baden-Württemberg? Probabilmente nessu- regista l’esigenza di realizzare un film. Nello La Marca no a meno che non siate originari di Palma e pertanto recatosi a Palma per realizzare un documentario sulla in famiglia abbiate almeno un parente emigrato in terra d’origine del principe Tomasi di Lampedusa, - nonGermania. Io l’ho scoperto grazie al film di Nello La ché duca di Palma di Montechiaro - viene travolto dalla Marca, “La Terramadre”. Un anonimo capolinea di pul- urgenza dei palmesi di raccontare la propria storia in man GT. Un sole che fonde l’asfalto. Una carrellata di prima persona. Dai racconti della gente vengono fuori personaggi in piano americano racconta le diverse luoghi e personaggi reali. L’operaio specializzato che ragioni del viaggio. Un pulman che si avvicina. A carat- lavora in Germania, l’immigrato arrivato su una carretta terizzarlo c’è soltanto un piccolo foglio A4 sul parabrez- del mare, la maara che cura i malati, il bracciante clanza. A penna sono indicati i punti estremi del viaggio che destino extracomunitario, il credente devoto, il giovane questi uomini, donne, bambini e anziani stanno per che ha studiato e che non vuole abbandonare il proprio compiere: Palma di Montechiaro/Mannheim. Viene rac- paese, il caporale sfruttatore, gli adulti privi di sperancontata così una delle ultime scene del film. Abbandono ze che immaginano per i propri figli lo stesso tragico della propria terra e raggiungimento di un altrove. Per destino che è toccato loro: emigrare. “La Terramadre” ironia della sorte il film ha ripercorso sotto un’altra luce annoda assieme l’estremità di una matassa che vede lo stesso tragitto dei suoi protaPalma di Montechiaro come luogonisti. Da Palma di go di partenza e luogo d’arrivo. “La Terramadre” Montechiaro è arrivato senza Mentre Gaetano - giovane palsoste direttamente a Berlino, al è un progetto tutto siciliano. mese protagonista del film Dal regista agli attori - ad Festival del Cinema, sezione sembra essere destinato a salire Forum. Ancora prima di uscire eccezione di un tunisino - dalla sul pulman che lo porterà in nelle sale. “La Terramadre” è un costumista agli sceneggiatori, Germania insieme al padre, a progetto tutto siciliano. Dal dalla fotografia ai laboratori Palma arriva Alì, immigrato clanregista agli attori - ad eccezione destino - anch’egli senza possibidi scrittura alla musica di un tunisino (Youssif Latif lità di scelta. Per tutto il film corJarallah, nella foto) - dalla costurono parallele le vite dei due promista agli sceneggiatori, dalla fotografia ai laboratori di tagonisti fino a quando la vicenda rende l’uno artefice scrittura alla musica. Tutti parlano siciliano, proprio del destino dell’altro. Durante l’intervista Nello La Marca come gli attori nel film che non sono altro che gli abitan- mi dice che l’unica storia inventata del film è quella di Alì ti di Palma di Montechiaro. Il progetto è stato realizzato che tuttavia ricalca quella di migliaia di immigrati che con un budget da record: meno di 500.000 euro attinti rimangono delusi una volta approdati in Sicilia o ancora dal fondo europeo per i POR 2006 - lo stesso già utiliz- peggio rispediti da dove sono partiti. «In molti casi la zato da Wim Wenders per “Palermo Shooting” e da situazione del migrante oggi è da paragonare a quella di Pasquale Scimeca per “Rosso Malpelo”. E poi si dice che Sisifo costretto a ricominciare sempre dall’inizio la sua i siciliani non spendono i fondi messi a disposizione dal- faticosissima impresa» poi aggiunge «La stessa conforla Unione europea. Almeno i cineasti lo fanno. Nello La mazione fisica e geografica di Palma di Montechiaro non Marca è il regista. Originario di Canicattì, ma differisce affatto dalle terre che questi immigrati si sono Palermitano da sempre. Il suo percorso artistico lo vede lasciati alle spalle». Non appena nelle sale cinematografotografo all’inizio, documentarista poi e infine regista fiche “La Terramadre” è un film da vedere per diverse di lungometraggi. Protagonisti del film sono il paese di ragioni: per la bravura dei suoi protagonisti, per incoPalma di Montechiaro e gli uomini che l’attraversano. raggiare il cinema siciliano e per sostenere quei percorLuogo di partenza per i palmesi che hanno ripreso in si di conoscenza che attraverso l’analisi e la riflessione questi ultimi anni ad emigrare in Germania - proprio su ciò che siamo ci aiutano a comprendere le ragioni come avveniva negli anni sessanta - in cerca di una vita profonde che ci legano alla nostra terra. Tutto ciò vale migliore. Terra d’approdo per gli immigrati che arrivano ampiamente i sette euro del biglietto. Buona visione. balarm magazine 35


ph. Dodo Veneziano

Il MARCHESE e lo Spirito Santo Nell'esordio alla regia di Lorenzo Bertuglia, le vicende di un "Don Chisciotte palermitano" di LAURA MAGGIORE Leggenda narra che un nobile palermitano, un po’ per invidia, un po’ per fede, decise un giorno di intraprendere un viaggio verso Gerusalemme. Non avendo, però, i soldi per compiere tale impresa, decise di percorrere la distanza tra casa sua e la Città Santa dentro le mura del suo antico palazzo. L’affascinante storia del marchese Ciminna ha ispirato libri e spettacoli teatrali; Lorenzo Bertuglia, ne è rimasto così colpito da sceglierlo per il suo esordio alla regia. Per lui, Ciminna è il “Don Chisciotte palermitano”. Così, all’inizio di quest’anno, “Il Marchese Ciminna e lo Spirito

Santo” è stato presentato al cinema ABC di Palermo, riscuotendo anche un discreto successo. Ma come ha fatto questo ragazzo a coronare questo sogno costato dieci mila euro? «Tutto è cominciato due anni fa con il soggetto e la prima stesura della sceneggiatura – racconta -. L’approccio “da gioco” col tempo è diventato sempre più serio e professionale, ma era necessaria una maturazione, non solo da parte della troupe, ma anche dal punto di vista produttivo perché senza fondi il sogno era destinato a svanire». Un giorno, proprio come in un film, Lorenzo riceve un’eredità. Sono poche migliaia di euro, ma è una partenza che lo incoraggia a cercare un finanziamento pubblico: «ho bussato a tante porte, fino a quando, una Giunta ‘illuminata’ ha deciso di approvare il progetto e mi ha messo a disposizione l’intero paese di Caprileone. Tuttora quando ho cali di autostima, vado lì a sentirmi chiamare maestro». Nel suo cortometraggio, il giovane palermitano, usa una regia semplice, pochi movimenti di macchina, inquadrature quasi statiche perché «quando ti accorgi della tecnica perdi l’effetto film. – spiega - Ostentare i movimenti di macchina é come parlare solo per avverbi: bisogna usarli solo quando serve. Volevo raccontare una storia, piuttosto che dimostrare come so muovere la camera». Nel suo film, Lorenzo, usa il “viaggio” come metafora di un’esplorazione interiore dove cose e persone evolvono da uno stato materiale a uno spirituale. «Mi piaceva analizzare questo cambiamento dall’apparire all’essere» spiega. Un’analisi di vizi e virtù della sicilianità resi attraverso i contrasti tra buio e luce. «Ho dato al mio direttore della fotografia, Dodo Veneziano, delle foto prese da alcuni film per fargli capire cosa volevo – dice Bertuglia - lui mi ha fatto la ‘lista della spesa’. Alla fine avevamo un parco luci da colossal». Sono nate così le atmosfere del film, dove il buio rappresenta una materialità che evolve fino alle inquadrature volutamente sovraesposte della spiritualità. «È stato il mio primo lavoro importante – racconta il giovane presidente dell’Associazione Ottavadarte – un progetto in cui si sottolinea la professionalità con la presenza di un direttore artistico (nonostante si tratti di un corto), Salvatore Pietro Anastasio». Lorenzo, infatti, tiene a sottolineare il lavoro di gruppo svolto: «Il film non è mio, secondo me è stupido dire che il film è del regista, il cinema è il risultato del lavoro di squadra. Il regista è un organizzatore, un direttore d’orchestra che ha il compito di motivare tutti: se la troupe è entusiasta del progetto, il prodotto finale riuscirà sicuramente bene. Io spero d’esserci riuscito». balarm magazine 36

CINEMA

ph. Silvio Zaani

CINEMA

Luca VULLO, dallo zolfo al carbone Nel documentario del giovane regista nisseno l’avventura umana dei siciliani emigrati in Belgio Viaggio al centro della terra. Forse basterebbe questo titolo di verneriana memoria per trasmettere il senso profondo di avventura di cui è permeato il documentario di Luca Vullo “Dallo zolfo al carbone” presentato lo scorso mese di marzo in un’affollata sala del cinema Arlecchino da Ignazio Buttitta e Alessandro Rais. Ma qui non è l’avventura immaginaria ad essere raccontata, quanto l’avventura umana dei siciliani emigrati in Belgio nel dopoguerra per lavorare nelle miniere di carbone. E’ la vicenda della povertà di tanta parte delle nostre province, della voglia di farcela costi quello costi, foss’anche scendere nel ventre della miniera facendo quotidianamente i conti con la paura, il rischio, il sudore, la polvere, il caldo insopportabile, l’attesa - a volte disperata - delle mogli, la sera. Immagine dopo immagine, il regista ricostruisce con la tensione degna di un film d’azione, la storia di quel Patto Italo-Belga che nel 1946 sancì l’impegno del Governo di rifornire le miniere belghe di manodopera a basso costo trasferendo migliaia di operai italiani, siciliani soprattutto, minatori di zolfo o semplici contadini, nelle città di Charleroi e dintorni, con l’offerta di un viaggio a spese dello Stato, di un contratto di lavoro stabile, di un alloggio, di potersi presto ricongiungere con le famiglie. L’arrivo in Belgio riservò, invece, la certezza di un impegno massimamente usurante

di PAOLA CATANIA

di almeno 5 anni nelle miniere, di case ex baracche dei prigionieri di guerra, di condizioni di vita da apartheid, dell’impossibilità di trovare un impiego diverso, perché no, all’aria aperta, di un destino di enfisema polmonare. E tuttavia la massa silenziosa dei nostri uomini lavorò, lavorò e lavorò. Nelle interviste realizzate con il supporto di associazioni locali da Vullo, emerge la proverbiale fierezza dei siciliani, la nostalgia del passato ma anche la consapevolezza di essere riusciti a salvare se stessi e le proprie famiglie dal degrado e dalla fame, l’orgoglio di avere figli e nipoti finalmente integrati nel tessuto sociale. Il sole fuori dal tunnel con cui chiude il regista vuol dire tutto questo. Luca Vullo, nato a Caltanissetta nel ‘79, laureando al D.A.M.S. di Bologna, autore di altre opere di inchiesta (www.lucavullo.it), vuol far girare “Dallo zolfo al carbone” nelle scuole prima di dedicarsi al nuovo lavoro sull’emigrazione in Argentina. I contributi scientifici di Anna Morelli, Girolamo Santocono e Antonio Buttita, di cui ha punteggiato il film fanno, infatti, di questo un tassello emozionante di memoria civile. Senza dubbio, però, è la qualità del racconto che colpisce lo spettatore. Per quadri e con il supporto della musica originale di Giuseppe Vasapolli, sono i protagonisti di allora che stabiliscono il contatto con il pubblico. Che si commuove e comprende. balarm magazine 37


SOCIETA’

L’EMPORIO “PIZZO-FREE” Da un’idea di Fabio Messina, nasce il primo “Punto Pizzo-free” nel quartiere della città in cui è più alto il numero degli aderenti alla lista di Addiopizzo di SONIA PAPUZZA

ph. Gero Cordaro

bello vedere che entrano come se l’emporio fosse qui da anni». Anche il luogo dove ha aperto i battenti l’emporio, in corso Vittorio Emanuele, ha una doppia valenza. E’ nel quartiere della città in cui è più alto il numero degli aderenti alla lista di Addiopizzo e poi ha un significato simbolico: è a pochi passi dall’Antica focacceria San Francesco, il locale di Vincenzo Conticello, l’imprenditore coraggio che indicando in un’aula di tribunale gli estorsori che si presentavano ogni mese a chiedergli il pizzo ne ha permesso la condanna. Quel giorno in tribunale vicino a Conticello c’erano anche i ragazzi di Addiopizzo. Sono molti i commercianti che hanno trovato nell’associazione un punto di riferimento. E pensare che quando è nata, Addiopizzo non aveva idea del marasma che avrebbe provocato. Quella mattina del 29 giugno 2004 la città lesse su ogni muro, palo, saracinesca, quel messaggio: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”, caratteri neri su sfondo bianco su centinaia di adesivi listati a lutto. Era un atto di ribellione, lo sfogo di un gruppo di ragazzi nauseati dalle stime della procura secondo cui l’80 per cento dei commercianti palermitani paga il pizzo. Fu convocato il comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, la notizia andò su tutti i tg, il giallo dell’attacchino misterioso appassionò la città. Da quel giorno tante sono state le battaglie e i successi di Addiopizzo, dalla creazione della lista di consumo critico, che contiene già 245 nomi di commercianti e imprenditori, alle attività con le scuole, che hanno dato grande spinta al movimento. E proprio dalle scuole è venuta l’idea di una ricerca fra i negozianti dei vari ph. Federico Maria Giammusso

Il nome è ammiccante, ricorda i “duty free” quelle zone franche negli aeroporti dove sui prodotti non è caricato il costo delle imposte locali o internazionali. A Palermo lo scorso mese di marzo è nato il primo “Punto Pizzo-free”, dove il balzello più odioso, perché ingiusto, è fuori gioco. Nel punto vendita si trovano infatti solo i prodotti dei commercianti che hanno aderito all’associazione Addiopizzo denunciando pubblicamente coloro che volevano estorcergli del denaro. Nel Punto pizzofree si può trovare di tutto, dagli alimentari ai pigiami all’artigianato in legno, ma si può anche affittare una bicicletta o collegarsi a Internet. L’idea è venuta a Fabio Messina, 29 anni, “skipper di professione ma col pallino del commercio”, come si definisce lui. Fabio faceva parte della lista di consumo critico di Addiopizzo con la sua “Enoteca al porto”, in via Crispi, finché ha deciso di fare qualcosa in più: «Era arrivato il momento di creare un po’ di movimento economico all’interno della lista - dice Fabio - E oltretutto mi è sembrata un’ottima idea commerciale». E infatti i clienti non mancano, come ci racconta soddisfatto Fabio: «Sono contento di come stanno andando le cose. Pensavo che avrei venduto soprattutto ai turisti, invece sono stato piacevolmente stupito da come i Palermitani hanno partecipato alla novità. E’

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quartieri della città per sapere cosa ne pensassero del pizzo. Così è nato “Palermo: vista racket”, un volume che raccoglie i risultati dei questionari distribuiti dai ragazzi di più di 20 scuole di ogni grado e compilati in forma anonima dai commercianti. Il 32 per cento di loro sostiene che se gli chiedessero il pizzo non si rivolgerebbe alle istituzioni, ma chiuderebbe l’attività e andrebbe via, piuttosto che pagare. Il 26 per cento non pagherebbe e cercherebbe l’appoggio di un’associazione antiracket e solo il 25 per cento denuncerebbe il fatto alle forze dell’ordine. La buona notizia è che solo il 2,2 per cento dei commercianti pagherebbe senza battere ciglio e il 6,2 si rivolgerebbe ad un amico per non pagare o per pagare meno. «Non è un dato anomalo il fatto che i commercianti preferiscano rivolgersi a noi piuttosto che alla polizia - commenta Ugo Forello, uno dei primi “attacchini” - Da loro si sentono giudicati, non capiti. Noi

siamo persone come loro, commercianti, con noi è più facile aprirsi e raccontare. Svolgiamo un’opera di mediazione, siamo un cuscinetto importantissimo fra la gente e le istituzioni». E’ per questo che in quattro anni il numero di chi denuncia è cresciuto e la tendenza continua ad essere questa? «Addiopizzo ha due fattori di successo - continua Ugo - Il primo è l’attività nelle scuole, che coinvolge non solo i ragazzi, ma anche molti commercianti che ci arrivano tramite loro. Il secondo è l’innescarsi di un circolo virtuoso per cui i negozianti oggi vedono che il contesto è cambiato, che non sono più soli e quindi ribellarsi diventa più facile». Anche quest’anno Addiopizzo festeggia il compleanno il 16 e 17 maggio a piazza Magione, con la partecipazione delle scuole e tante novità su cui ancora gli “attacchini” non vogliono sbilanciarsi. Un motivo in più per esserci, mentre si festeggia il cambiamento. balarm magazine 39


ph. Federico Maria Giammusso

SOCIETA’

Una telefonata che allieta la vita Il "Telefono Amico" è attivo a Palermo da 36 anni, conta 40 soci ed oltre 240mila interventi di BARBARA RANDAZZO Il telefono: croce e delizia. Inevitabile schiavitù che scandisce i nostri vissuti, strumento di tortura quando non squilla mai... Nell’era della comunicazione si è soli. Lo confermano dati allarmanti, che rivelano un malessere acuto in ogni età, sesso e status sociale. Causato soprattutto dalla “fatica del quotidiano”, che innalza troppi muri e pochi ponti. Se il “Grande Fratello ci guarda” nessuno sembra stia a sentire… La sorpresa giunge da perfetti sconosciuti. Ogni anno, a sostenere migliaia di SOS verbali, l’associazione di volontariato

“Telefono Amico Italia”, che all’emergenza emozionale risponde con l’ascolto, la sublime accoglienza. Promotore del primo “Osservatorio sul disagio” e membro IFOTES (Federazione Internazionale delle Helplines), il TAI coordina a livello nazionale 700 operatori dislocati in 25 Centri Locali, raggiungibili dal numero unico 199.284.284, tutti i giorni (festivi compresi) dalle 10 alle 24. Costo al minuto delle “chiamate urgenti”: euro 0,24 da fisso e massimo euro 0,42 da cellulare (scatti alla risposta esclusi). In Sicilia l’unico referente è il TA Palermo (www.telefonoamicopalermo.org), fondato dal gesuita Domenico Lentini, con all’attivo 36 anni di “onorato ascolto” e oltre 240mila interventi. Il servizio, dalle spese di gestione alle attività promozionali, è interamente sostenuto da un gruppo eterogeneo di circa 40 soci. «La nostra è una pratica di cittadinanza solidale basata sull'empatia, la capacità di uscire da un’ottica unidirezionale ed entrare nell’animo altrui; nei suoi toni, silenzi, respiri...» afferma la presidentessa Maria Teresa Bentivegna, veterana della cornetta. Per mettersi sulla stessa frequenza d’onda “ci vuole orecchio” attento e un cuore ospitale. La richiesta d’aiuto, al di là del bisogno posto, instaura un delicato scambio emotivo che esige pazienza, elasticità mentale e una formazione continua. Le cui basi vengono fornite dai volontari senior nei corsi periodici per aspiranti “phone angels”. Una ventina le “nuove voci” palermitane reclutate lo scorso febbraio, che affronteranno lezioni interattive e successivo tirocinio presso la sede segreta del Centro. Superato il test sul campo, ai neo turnisti è richiesto un impegno mensile di 12 ore e, condizione sine qua non, l’assoluta tutela delle confidenze raccolte e l’anonimato reciproco. «Solo così l’appellante può essere libero da vincoli». A differenza dei “Telefoni Colorati” che offrono consulenze specialistiche, in TAI è “amico” la parola chiave. Qualcuno alla pari, che non giudica mai e accompagna “per voce” a vedere con più chiarezza dentro di sé, gestire la crisi attingendo alle proprie risorse. «Ogni persona è un valore da trattare col massimo rispetto. Senza pregiudizi, consigli o soluzioni imposte». Alla Linea Amica nel 2007 si sono rivolti 12.000 concittadini, tra i 25 e i 40 anni, in prevalenza maschile. Le problematiche più riscontrate: solitudine, carenze relazionali e sessuali; più rare le situazioni estreme. Storie che lasciano l’eco dentro, da cui è difficile “staccare la spina”. «Dopo un turno si può provare stanchezza, impotenza, gratificazione… L’importante è esserci. E aspettare. Anche una telefonata che non arriva…» balarm magazine 40


ph. Soraya Gullifa

COSTUME

SPEED DATE, 4 minuti per dirsi “sì” “L’appuntamento lampo” sbarca a Palermo. Pioniera dell’iniziativa è Maria Pia Licciardi della "Ida Consulenze - Eventi per single" di BARBARA RANDAZZO

Prendete un gruppo di single ambosessi, un loca- figlia “d’arte”, che rispiega brevemente le regole: vietale trendy, un fischietto, carta e penna. to scambiarsi i recapiti, 4 minuti di corte serrata e poi Aggiungete stuzzicanti aperitivi e musica soft; mescola- “Avanti il prossimo!”. Fischio e sonoro “Via!” fanno scatte bene e in una manciata di secondi ecco servito lo tare il cronometro. 240 secondi a disposizione per fare Speed date; la seduzione col timer. Nell’era dei senti- colpo, assaggiare vite e sguardi. Alla fine del primo menti fast, dove ci si “connette” agli altri con una tastie- round i cavalieri salutano la dama e si spostano per un ra, anche l'amore ha i minuti contati. Alle cene a lume di nuovo tète a tète. Quelli che si attardano, sono richiacandela si prediligono gli appuntamento lampo, incon- mati all’ordine. Tra un cambio e l’altro, si compila la protri “al buio” combinati da apposite organizzazioni. Il cor- pria pagella: SI o NO accanto a tre valutazioni sul teggiamento “mordi e fuggi” è già fenomeno di costu- “numero” appena conosciuto. Le prime sondano il feeme, esaltato da media e ricerche sociologiche. Crolla il ling fisico e mentale, l’ultima, “Voglio rincontrarlo/a mito della “beata solitudine”, causa di molti dolori e fuori da qui” è quella determinante. Solo questa conferpoche gioie. In Italia, a tutela degli oltre 6 milioni di cuo- ma reciproca, fa scattare, entro 24 ore, l’invio ai forturi solitari, nascono associazioni di categoria come l'ANIS, nati dei rispettivi contatti. «La versione italiana prevede promotrice della “Festa dei single” che rivendica, tra i 3 minuti, noi ne diamo uno in più. Bastano per rompere propri diritti, anche un “santo in paradiso”. E fu un’illu- il ghiaccio ma sono eterni se una persona è noiosa!» irominazione divina, dieci anni fa, a dare origine al freneti- nizza Maria Pia. Che il tempo dell’amore è rock lo conco “cambio di coppia”. A coglierla un rabbino america- ferma anche l’alchimia dell’attrazione, che stima in dieno, che sperimentò i mini rendez-vous per incrementa- ci secondi l’inizio del colpo di fulmine. Al termine del re i matrimoni della comunità ebraica. Dal sacro delle tour de force, i verdetti vengono raccolti insieme ai badsinagoghe al profano dei pub ge, due dei quali si aggiudicano europei; per approdare nella a sorte dei buoni-viaggio. A quecool Palermo solo lo scorso sto punto il rito classico dovrebStabiliti orario e luogo, dicembre. Pioniera dell’iniziatil'intrigante "derby" si svolge be concludersi, ma la “deformava, Maria Pia Licciardi, fondatrisentimentale Licciardi” così: al loro arrivo, gli speed zione ce della “Ida Consulenze stravolge l’iter, consentendo agli daters vengono indirizzati stanchi Speedy Gonzalez di Eventi per single”. «Oggi l’amoin due sale diverse, per re non sta bene…in tutte le godersi, stavolta con calma, la generazioni c’è un fortissimo garantire l'effetto sorpresa serata e il buffet incluso. bisogno di socializzare» rivela. Risultati: il 70% di affinità risconAnche in una città dove “si trate. «Finora non sono scoccate conoscono tutti”? «Qui ci si frequenta a gruppi, dove è scintille ma tantissime amicizie» precisano le nostre difficilissimo inserirsi» evidenzia l’esperta. Che, per referenti. «E’ un modo originale di mettersi o rimettersi smuovere un po’ le acque e il destino, organizza ogni in gioco». Perché questa è la parola chiave del Gran mercoledì il “Love Attraction”, l’happy hour per chi cer- Premio dell’abbordaggio. Un’occasione ghiotta per rimca l’anima gemella. Requisiti richiesti: essere maggio- pinzare l’agendina, ad un costo di 12 euro (under 35 e renni e, ovviamente, stato civile libero. Non è prevista donne) e 20 euro (uomini over 35). E se la freccia di nessuna verifica a riguardo, ci si attiene alla buona fede. Cupido ha fatto cilecca, si può sempre riprovare. Come Poi s’invia un sms al 340.2783426 o un’email a: idacon- conferma l’alta percentuale di “recidivi”. Ed ecco l’idensulenze@libero.it, indicando nome ed età. Due le fasce tikit degli schietti nostrani: in prevalenza impiegati; età previste (23-35; 35-50 anni); da 12 a 30 i partecipanti in media 28 anni, soli per scelta altrui o imposta dalla carogni meeting (equamente divisi per sesso). Stabiliti ora- riera. Nei maschi prevale lo spirito goliardico, le Bridget rio e luogo, l’intrigante “derby” si svolge così: al loro Jones hanno un approccio diverso: diffidenti le ragazze, arrivo, gli speed daters vengono indirizzati in due sale più determinate le ladies. Nella provinciale Palermo vige diverse, per garantire l’effetto sorpresa. Dopo aver sal- ancora l’onta della malafiura, ma il passaparola e la dato la quota d’iscrizione, si ritira targhetta col numero curiosità sembrano avere la meglio. E la mission romanidentificativo, drinkcard e scheda di gradimento par- tica “Ida Consulenze” continua. Dai single party al prostner. Tra risatine imbarazzate si familiarizza un po’, fin simo sito tematico, fino al “Love attraction” over 50. quando non si prende posto ai tavolini “da combatti- Perché a tutte le età ”…la vita non ha molto senso, se mento”. Arbitro imparziale del match Letizia Licciardi, non c'è un appuntamento…”. balarm magazine 43


ph. Roberto Fenix

COSTUME

“U TAGGHIAMU Stu Palluni” Il nuovo brano-denuncia dei palermitani Combomastas' di CLAUDIA SCUDERI è scaricabile gratuitamente sul sito Combostudio.it «Palermo te la vivi o ti vive lei a suo modo». Da qui parte la mia riflessione. Un concetto. Breve, ma così pregnante da colpire al primo ascolto. In “U Tagghiamu Stu Palluni” è racchiuso l’urlo di tutte quelle realtà “ignorate” dai più, che però parte della città sono. La città in questione è Palermo, difficile, come molte realtà isolane, emarginate da aspetti tipici di questa condizione. In questa sua difficoltà c’è chi riesce ad emergere, e chi, travolto dall’indifferenza e dall’impossibilità di una vita non “rose e fiori”, soccombe agli eventi. La famosa “fuga dei cervelli”. Tutti prima o poi sono alla ricerca di un lavoro che possa mettere in risalto le proprie potenzialità. E coloro che a Palermo non lo trovano non sono pochi. Sembra scontato che ad una certa età si lasci la terra del sole per nuove mete, magari meno colorate, ma possibilmente più consone alla ricerca di prospettiva. La denuncia che questo testo, messo in musica dai Combomastas’, vuole evidenziare è rivolta proprio a ciò che scontato non deve essere, perché non è vero che «non cambierà mai nulla, ma chi l’ha deciso?». Così Othello, noto in primis come Eddie Palermo, rapper e produttore che nel palermitano ha cambiato il volto della musica rap e hip hop, ha asserito all’incontro di presentazione del brano. Il titolo è il punto di partenza, limitazione tipo del panormita medio. Sei di palermo se… “U tagghiuamu stu palluni..?”, vi ricordate? Ci abbiamo

scherzato e ci scherziamo tutt’ora, tanto è tipicamente sicula la formula. Oggi i Combomastas’, crew creata proprio da Othello nel 2003, ci hanno regalato un pezzo che sta già avendo successo nazionale, lo stesso Piotta, in collaborazione con altri maestri del settore, l’ha inserito in un progetto che mette insieme artisti da tutte le parti d’Italia, e che adesso ha il solo fine di “sensibilizzare gli animi nostrani”, non a scopo di lucro, rendendo presto il pezzo stesso fruibile in free-download sul sito www.combostudio.it. La critica che sorge spontanea è il solito mettere in evidenza il marcio della nostra terra, «la malavita che ho fa male alla vita che vivo». Di contro i ragazzi ribattono che la denuncia vuole partire dall’interno per l’interno, smuovendo le coscienze senza millantare ciò che ancora non esiste del tutto, costruendo il cambiamento insieme, guardandoci dentro, senza colore politico né schieramento di sorta. Di recente i Combomastas’ si sono incontrati con un comico palermitano che sui problemi della nostra terra ha sempre ironizzato: Sasà Salvaggio, rimasto colpito dalla forza di questi giovani, è stato parte attiva del progetto con la strofa, da lui stesso scritta, che chiude con amarezza e veridicità un pezzo già duro e consapevole. U spiegasse vossia come si fa a non emigrare…Chista è na terra di cultura e civiltà, l’amo a canciare, l’amo a campare, amo a moriri cà. balarm magazine 44


COSTUME

VON HELL SISTA Diciotto scatti raffiguranti il divine female che fanno il verso a David La Chapelle di CARLA INCORVAIA Colori pastello, tattoo traditional, ma anche tribali e stelline, cuori trafitti e ancore, percing, drappi economici, trucchi che sembrano rubati a set cinematografici splatter e sullo sfondo Montepellegrino. Sacro e profano si mischiano in Sante Patrone, la mostra fotografica delle Von Hell Sista, alias Camilla Belmonte ed Emanuela Cangemi, la prima brasiliana di Petropolis, Rio De Janeiro, l’altra palermitana di via Nino Bixio. Diciotto scatti raffiguranti il divine female posto a protezione della città di Palermo, ritratto in pose vamp e riecheggiante le pagine patinate delle riviste di moda, facendo anche un po’ il verso all’amato David La Chapelle. In

mostra dal 6 maggio al primo giugno al Desafinado, in via della Vetriera 72, una traversa di via Alloro, accanto palazzo Sambuca, quello delle Von Hell Sista è un progetto nato a Palermo nel gennaio di quest’anno. Camilla ed Emanuela, 24 e 26 anni, si sono incontrate in piazza Magione e da allora è stato un appassionante scambio di opinioni e idee sulla fotografia. «Un giorno sono rimasta bloccata in ascensore completamente al buio – racconta Emanuela – Ho pensato a santa Rosalia e ho avuto l’illuminazione». Da quell’episodio nascono le “Sante Patrone”, un progetto sviluppato sull’iconografia religiosa tutta al femminile di Palermo e dintorni. «Da buona ignorante ho fatto delle ricerche – continua Camilla – e abbiamo scoperto la storia di santa Rosalia. Del suo eremitaggio e dell’uomo che ne scoprì le ossa a Montepellegrino. Portandole a Palermo poi, fece cessare l’epidemia pestilenziale che affliggeva la popolazione. Insieme a lei abbiamo approfondito la storia di altre sante, sant’Oliva, santa Ninfa, Cristina e Agata, raffigurate nella parte più alta dei Quattro Canti di piazza Vigliena. Hanno preceduto Santa Rosalia come patrona, ma sono state spodestate da questa figura dal forte carisma mistico. Una donna, Rosalia, che ha saputo imporre il suo stile e che al giorno d’oggi sarebbe una perfetta diktat fashion» aggiunge sorridendo Emanuela. Per gli scatti, 18 in tutto, le Von Hell Sista hanno scelto inevitabilmente il monte più alto della Conca D’Oro. «In realtà le foto sono state realizzate in due diversi momenti – spiega la coppia di giovani fotografe – alcune come quella di santa Cristina e santa Lucia sono state scattate in set interni. In particolare, Santa Lucia è stata scelta perché la sua festività è fortemente sentita a Palermo. Ci piace per le arancine e perché ha sacrificato i suoi occhi in onore della causa religiosa». Tre scatti in primo piano, realizzati da differenti angolature. Il resto del progetto ha avuto come set Montepellegrino. «Le nostre modelle sono tatuate e hanno i piercing. Gli abiti sono stati realizzati con lenzuola ed espedienti super economici. E’ una scelta voluta come alternativa, per rendere attuale la storia delle sante». Così a tener ferma sant’Agata (Angelina) ci sono le mani nerborute di due ragazzi in jeans a tre quarti, santa Lucia (la stessa Emanuela, nella foto) ha un piercing al labbro inferiore e santa Ninfa (Vanessa) ha un aquila tatuata sul decolté. Entrambe autodidatte, dopo un diploma in decorazioni pittoriche, Camilla ha intrapreso la strada della fotografa freelance (www.sickgirl.it/lucybel), mentre Emanuela sta completando gli studi di pittura all’Accademia di Belle Arti. Le loro foto sono visibili su www.myspace.com/vonhell_sista. balarm magazine 46


CIBO

ti. Insomma in cucina ci deve essere discernimento! L’ultima volta che sono andata a Milano, una coppia di amici, di origini siciliane, molto affettuosi, invitandomi a cena, ha preparato, in mio onore, la pasta con la neonata. Uuuuu, che piacere! Quando mi hanno detto che avrei trovato una sorpresa, non mi aspettavo una cosa del genere. Ero perplessa. Dicono che a Milano c’è il pesce più fresco d’Italia, ma io non ho mai mangiato pesce che sapesse di mare, come a Palermo. La sera del mio arrivo, sono andata a cena da questi amici, con il fagotto di cannoli, preparati la mattina da uno dei noti bar della nostra città. La tavola era apparecchiata, gli aperitivi erano pronti e dopo poco, lei, entusiasta, è arrivata con la zuppiera fumante: «Ecco! Questo è un piatto tipico» spiegava agli altri commensali. «Vero Letizia?». Penso di essere

gliavano il lamento del mio cuore! Vedevo quella poltiglia rosa insapore. No, no, no. Non poteva essere. E tutti ‘sti milanesazzi che si complimentavano? «Uhm, buona!». C’è chi ha fatto un abbondante bis. Ma non si diceva che la ristorazione milanese era di alto livello? E questi professionisti, habituè dei ristoranti non capivano che era un obbrobrio? Lo facevano pro forma? No, li conosco, non avrebbero preso il bis. Non avevano metro di paragone? Ma non si riconosce una carne dura o una pasta insapore, anche se non si conosce il sapore autentico? E poi questi giovin signori vengono a svernare in Sicilia, è possibile che dopo tanti anni non abbiano mai mangiato la pasta con la neonata? Impossibile. Invece di mentire, è meglio non dire nulla. Certo non offendere, per rispetto alla fatica e al pensiero che i padroni di casa hanno avuto, ma neanche dire fissarie! Finita la cena, come sempre si parlava di ricette e di cucina e, a quel punto ho approfittato per calare gli assi. «Ma, sai, in realtà, a Palermo, almeno a mia memoria, la pasta con la neonata si fa bianca. Per esaltare la delicatezza di questo pesce… Certo, poi ognuno varia secondo abitudini…». Per fortuna abbiamo cambiato discorso, distratti dalle idiozie televisive. La riuscita di questo piatto dipende dal difficile equilibrio degli ingredienti, che devono essere di altissima qualità. Come per la pasta, aglio, olio e prezzemolo. La preparazione è semplicissima: bisogna rosolare l’aglio in abbondante olio extra vergine, scegliete quello siciliano, che è più ph. Federico Maria Giammusso corposo rispetto a quello leggero ligure o fruttato toscano. Lessate gli spaghetti, rigorosamente di gradiventata paonazza. Mi sono sentita Paperino, con il no duro. E una volta cotti e scolati metteteli in una cappio al collo e la botola sotto i piedi umidicci. scodella, con un po’ dell’acqua di cottura. Versate Sudavo, bevevo per prendere tempo. I pensieri mi l’olio caldo e aggiungete subito la neonata lavata e affollavano il cervello: come non tradire la memoria scolata. Questi passaggi devono avvenire velocemenstorica, come non offendere la dignità della nostra te, perché il pesce deve cuocere con il calore della cucina, così ricca, così equilipasta. Rimescolate bene, brata nella mescolanza dei stando attenti a evitare La riuscita di questo piatto sapori? Come non offendere dipende dal difficile equilibrio ammataffamenti. Infine la mia ospite? Ho accennato macinate il pepe nero, per degli ingredienti, che devono un sorriso e ho detto: «Bene, favore non mettete quello essere di altissima qualità. assaggiamola allora!». C’era bianco, il cui sapore Come per la pasta, aglio, una cosa che non andava. dolciastro stonerebbe e olio e prezzemolo ERA ROSSA! NO, NO, NO! Non insaporite con il prezzemolo si può distruggere una cosa fresco tritato. Et voilà il pricosì delicata! Mettereste un condor su un ramoscello mo è pronto, servite subito e godetevi quest’immerdi mandorlo? Mettereste sulla cassata una bella cola- sione nelle profondità marine. Vi consiglio di far ta di sciroppo all’amarena? Vi siedereste su vostro vostra una regola fondamentale, che, ovvio, ha le sue figlio mentre fa i capricci? No, quest’ultima cosa eccezioni: meno ingredienti ci sono, più si gusta il lasciamola perdere, magari istigo novelli Erode. sapore di ciascuno di essi. Quella pasta era un pianto! Neanche le prefiche ugua-

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Pasta ca NUNNATA una sola ce n’è Mettereste sulla cassata una bella colata di sciroppo di LETIZIA MIRABILE all'amarena? Noi no, ma in quel di Milano sì! D’accordo che adoro il pomodoro; è vero che lo mangerei a qualsiasi ora: come aperitivo, come spuntino, come contorno. E in qualsiasi modo: a stricasale, a insalata, secco, sbattuto al muro; confesso che da piccola bevevo, di nascosto, non so quante tazze di salsa, tanto che mi si irritava la bocca. Comincio a pensare di essere nata sotto qualche pianta di pomodoro in una delle mie vite passate. Ricordo che un anno mia zia, per farmi uno scherzo, mi ha confezionato una bella porzione di spaghetti al pomodoro sotto l’albero di Natale. Non mi feci scappare l’occasione e gradii gli squisiti spaghetti grondanti di salsa sotto gli occhi sbigottiti di tutti i parenti! Che fa fare l’amor, ti fa immolare nonostante tutto! Nonostante ciò, sostengo che non si può appiccicare il pomodoro ovunque. Ha un sapore forte, copre quelli più delica-


PUNTI DI DISTRIBUZIONE PALERMO 091 Winebar // Via Castrofilippo 10 161 LoungeBar&Restaurant // Via Libertà 161 4 Canti pub // Piazzetta delle Vergini 9 Aborigenal Cafè // Via S. Spinuzza 51 Ai Chiavettieri / Via Chiavettieri 18 Al Siciliano // Via dell'Orologio 37 Al Viale // Via Archimede 189 Altroquando // Corso Vittorio Emanuele 145 Auditorium Rai // Viale Strasburgo 19 Banacalì wine bar // Via IV Aprile 9 Bar Magnolie // P.zza Franco Restivo 1 Bar Mazzara // Via Gen. Maiocco 15 Birimbao pub// Via dei Leoni 85 Birmingham Cafè // Via R. Wagner 16/18 Bisogno di vino // Via Giacalone 2 Box Office 2 // Via F. Lo Jacono 53 Blow Up // P.zza Sant’Anna 17/18 Blue Brass // Via dello Spasimo 15 Byblo's wine bar // Via Simone Corleo 2 Cafè Moma // Via Gioacchino Di Marzo 61/c Caffè 442 // Piazza Don Bosco 1 Cambio Cavalli // Via Giuseppe Patania 54 Casa Pitrè pub // Via Sant'Oliva 18 Centro culturale Biotos // Via XII Gennaio 2 Centro culturale Francese // Via Paolo Gili 4 Ccp Agricantus // Via XX Settembre 82/a Centro del tè Cha // Via Velasquez 28/34 Centro di cultura Akiti // Via Lombardia 19 Centro di cultura Barag // Via De Spuches 7 Centro di cultura Rishi // Via S. Bono 19 Cinema ABC // Via Emerico Amari 166 Cinema Ariston // Via Pirandello 5 Cinema Aurora // Via Tommaso Natale 177 Cinema Arlecchino // Via I. Federico 12 Cinema Dante // Piazza Lolli 21 Cinema Fiamma // Largo degli Abeti 6 Cinema Gaudium // Via D. Almeyda 32 Cinema Holiday // Via Mariano Stabile 223 Cinema Igea Lido // Via Ammiraglio Rizzo 13 Cinema Imperia // Via Emerigo Amari 160 Cinema Jolly // Via Costantino 54 Cinema King // Via Ausonia 111 Cinema Lubitsch // Via Guido Rossa 5 Cinema Lux // Via Francesco Di Blasi 25 Cinema Marconi // Via Cuba 12/14 Cinema Rouge et Noir // Piazza G. Verdi 82 Cinema Tiffany // Viale Piemonte 38 Cineteatro Golden // Via Terrasanta 60 Cineteatro Metropolitan // V. Strasburgo 356 Convivium Miceli // Via Generale Streva 18/a Cortile Patania wine bar // Via G. Patania 34 Coso Cafè // Piazzetta Sant'Onofrio 39 Country Time Club // Viale Dell'Olimpo 5 Desafinado // Via Vetreria 72 Dischi & Co // Via Alcide De Gasperi 32 Diskery // Via Aquileia 7/c El Mescalito // Via Libertà 84/b Emporio Pizzo Free // C. V. Emanuele 172 Fides Time // Via Principe di Paternò 91 Fransal donna // Via Giuseppe La Farina 14 Fransal uomo // Via Giuseppe La Farina 9

Fresco // Via Enrico Albanese 24/26 Frida Kahlo // Via Bara all'Olivella 56 Gagini wine bar // Via Cassari 35 Galleria Expa // Via Alloro 97 Gatto Nero // Rua Formaggi 15 Gattuso Musica // Via M. di Villabianca 50 Genesi pub // Via Monsignor Serio 6/c Gentleman Loser // Piazzale Ungheria 33 Gliamanti // Piazzetta Colonna Goethe Institut // Via Paolo Gili 4 Guitar Point // Via Cristoforo Colombo 14 Hammam // Via Torrearsa 17/d Hirsch pub // Via Damiani Almeyda 3/a I Candelai // Via Candelai 65 I Grilli // Largo Cavalieri di Malta 2 Jason Irish pub // Via dei Nebrodi 55 Jazz 'n Chocolate // Via Giacalone 26 Il Musichiere // Via Damiani Almeyda 15 International House // Via Quintino Sella 70 Istituto Cervantes // Via Argenteria 33 Jackass // Via Sammartino 117 John Milton Institute // Via G.G. Sirtori 73 Kursaal Kalhesa // Foro Umberto I 21 La Cuba // Viale Francesco Scaduto La Cueva // Via delle Balate 13/15 L’antro di Bacco // Via dell’Orologio 46 L'aperitivo // Via Giusti 34 L'Espace // Via G.B.F. Basile 3 Libr'Aria // Via Ricasoli 29 Libreria Ausonia // Via Ausonia 70/74 Libreria del Mare // Via della Cala 50 Libreria Dante // Via Maqueda 172 Libreria Broadway // Via Rosolino Pilo 18 Libreria Feltrinelli // Via Maqueda 395 Libreria Flaccovio // Via Ruggero Settimo 37 Libreria Flaccovio // P.zza V. E. Orlando 15 Libreria Kalòs // Via XX Settembre 56/b Libreria Liberamente // Via Villareale 53 Libreria Mercurio // Piazza Don Bosco 3 Libreria Modusvivendi // Via Q. Sella 79 Libreria Mondadori // Via Roma 287 Libreria Oliver // Via F. Bentivegna 9/13 Libreria Universitas // Corso Tukory 140 Lighea // Via Alloro 22 Lord Green // Via Enrico Parisi 30 Lulu pub // Via San Basilio 37 Luppolo l'ottavo nano // Via Manin 36 Malaluna // Viale della Resurrezione 82 Malavoglia // Piazzetta G. Speciale 5 Marphi’s pub // Via Sciuti 252 Martin's Ristogallery // Via Calascibetta 25 Master dischi // Via XX Settembre 38 Mikalsa // Via Torremuzza 27 Mi manda Picone // Via A. Paternostro 59 Mondolibri // Corso Vittorio Emanuele 244 Montezemolo // Piazza Unita' d' Italia 10 Mora Mora // Via R. Mastrangelo 21 More wine bar // Via Mariano Stabile 32 Nashville pub // Via Belgio 4 Nexus Street Bar // Piazza Cassarelli 21 Nuovo Montevergini // P.zza Montevergini 8 Oliver wine bar // Via F. Paolo Di Blasi 2

Palab // Via del Fondaco Palazzo Ziino // Via Dante 53 Pan Store // Via Siracusa 22 Parco T. di Lampedusa // Vicolo della Neve 2 Paskal // Corso Domenico Scinà 190 Pata Palo // Piazza Giovanni Borgese Poker Room // Via Libertà 131 Reloj // Via Pasquale Calvi 5 Ricordi Box Office // Via Cavour 133 Robinson Vini // Via Ariosto 11/a Rocket Bar // P.zza S. Francesco di Paola 42 Roots // Piazza Santa Cecilia 22 Rumors Cocktail Bar // Via I. La Lumia 70 Scacco Matto // Via Nicolò Spedalieri 2 Scuola di tango Assud // Via Bara 70 Scuola di tango D. Calarco // P. Pantelleria SestoSenso // Vicolo Fonderia (dietro la Cala) Solemar // Lungomare C. Colombo 2109 Spasimando // Via Spasimo 44/48 Spazio 500g // Via Bara all’Olivella 67 Spirito DVino // Via P. di Belmonte 44/46 Taco Loco // P.zza G. Campolo 27 Teatrino Ditirammu // Via Torremuzza 6 Teatro Bellini / Piazza Bellini Teatro Crystal // Via Mater Dolorosa 64 Teatro Al Convento // Via C. Bandiera 66 Teatro Al Massimo // Piazza G. Verdi 9 Teatro Biondo // Via Roma 258 Teatro Lelio // Via Antonio Furitano 5/a Teatro Libero // Piazza Marina Teatro Massimo // Piazza Giuseppe Verdi Teatro Orione Spicuzza // Via Don Orione 5 Teatro Politeama // P.zza R. Settimo Teatro Savio // Via Evangelista Di Blasi 102/b Teatro Zappalà // Via A. Siciliana 125 The Cube // Via Giotto 1 Tinto // Via XX Settembre 56/a Travel Cafè // Via Carducci Giosuè 18 Tribeca // Via Mariano Stabile 134 Tutto Musica // Via Principe di Villafranca 5 Villa Giuditta // Via San Lorenzo 17 Vinile pub // Via Piazzi (piazza Lolli) Volo wine bar // Via Libertà 12 World Wide Web // Via P. di Belmonte 103/c Zsa Zsa Mon Amour // Via Angelitti 32 BAGHERIA Edicola Pippo Bonura // Corso Umberto I 38 Edicola M. Albanese // Corso Butera 531 Sikelia wine bar // Via del Cavaliere 92/a MONDELLO Libreria Sellerio // Viale Regina Elena 59/v MONREALE La Bettola Del Novelli // Via Torres 30 TERMINI IMERESE Libreria Caffè Punto 52 // Via Belvedere 52 VILLAFRATI Teatro del Baglio // Corso Sammarco

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