Balarm Magazine | Idee, personaggi e tendenze che muovono la Sicilia | numero 10

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SOMMARIO PRIMO PIANO 6_Eleonora Abbagnato, la sicilienne dell’Opéra MUSICA 10_Flora Faja, l’esordio con “Italian songs” 12_Mario Crispi, con “Arenaria” i suoni della terra 14_Germano Seggio, il vintage di “Life Box” 16_Palermo in un “Tour de Forst” 17_Sabù e la vigilia, da Villabate a “Sanremo”

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TEATRO 18_Paride Benassai, ritratto di un attore 20_Moschella&Mulè, tra ironia e riflessione ARTE 22_Antonio Miccichè, pittura senza pittura 24_Il Museo Guttuso riapre le porte 25_Villa Cardillo Alliata, arte in cantiere LIBRI 28_Salvo Sottile, “Più scuro di mezzanotte” 30_In libreria: le proposte di Balarm 31_In libreria: le proposte di Balarm

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CINEMA 34_Vincenzo Ferrera, l’ispettore di “Agrodolce” 36_Un “corto” per Li Vigni & Li Vigni COSTUME & SOCIETA’ 38_Matrimoni & Superstizioni, la guida 40_Siamo tutti nella stessa barca 41_”Troni pubblici”, una guida sul web 42_Un movimento “Per Palermo”

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CIBO 46_”Grattò”, l’orgoglio della zia 48_Casa Pitrè: tra cucina, arte e storia www.balarm.it balarm magazine bimestrale di cultura, costume e società anno III n°10 aprile/maggio 2009 registrazione al tribunale di palermo n° 32 del 21.10.2003 editore associazione culturale balarm direttore responsabile fabio ricotta redazione via nicolò gallo 1 - 90139 palermo tel. 091.6113538 / fax 091.6114523 redazione@balarm.it pubblicità w5 mediafactory srl tel. 091.6113538 / mob. 328.5351236 pubblicita@balarm.it

articoli adriana falsone, alessandra sciortino, claudia brunetto, claudia scuderi, daniela genova, dario prestigiacomo, federica sciacca, gigi razete, giorgio aquilino, giulia scalia, giulio giallombardo, letizia mirabile, luca giuffrida, manuela pagano, marina giordano, marina sajeva, sonia papuzza, sveva alagna, tommaso gambino, vassily sortino fotografie antonia giusino, cinzia garofalo, danilo corallo, federico maria giammusso, francesco d’alleo, gleb kosorukov, leo butera, luca savettiere, valentina glorioso progetto web fabio pileri stampa artigiana grafica

tiratura e distribuzione numero stampato in 15.000 copie e distribuito gratuitamente a palermo, monreale, mondello, bagheria e comprensorio in circa 250 punti di aggregazione culturale e mondana (la lista dei punti è consultabile su www.balarm.it/distribuzione.asp) abbonamenti per ricevere il magazine via posta ordinaria in tutta italia basta cliccare su www.balarm.it/abbonamento.asp l’associazione balarm è iscritta nel registro degli operatori di comunicazione al numero 18155 in copertina eleonora abbagnato (ph gleb kosorukov)

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ph. Federico Maria Giammusso

INTRO

Numero DIECI, il ricordo

di FABIO RICOTTA

Cari lettori, lo scorso mese di marzo dopo una lunga e sofferta malattia si è spento Lucio Forte, storico collaboratore di “Repubblica” a Palermo fin dai primi numeri, ma anche di Balarm.it e Balarm magazine. Sua è infatti la rubrica “Le storie di ieri”, pubblicata per circa tre anni su Balarm.it, e l’articolo su Santa Rosalia che ha inaugurato il numero zero di questo magazine. Lucio era una persona sobria, sincera e disponibile. Ha insegnato per oltre trent’anni lingua e letteratura inglese. Era uno degli amministratori della fondazione “Salvare Palermo” e per questo girava sempre con la macchina fotografica al collo per immortalare le mille facce della città e del suo centro storico. E non solo. Oltre al giornalismo, a cui ha dedicato molto del suo tempo dopo essere andato in pensione, c’era il jazz. Infatti, per circa dieci anni ha ricoperto l’incarico di addetto stampa del Brass Group, del quale è stato socio fondatore e sostenitore, avendo combattutto tutte le battaglie che hanno portato alla nascita dell’omonima fondazione. Lucio aveva 69 anni. A lui dedichiamo questo Balarm magazine numero dieci, e alla sua famiglia va il nostro abbraccio ideale. E ora passiamo alla novità di questo numero che riguardano l’abbonamento al magazine, semplice ed economico perché veniamo noi da voi a ritirare il pagamento. Infatti, solo per i residenti a Palermo, è possibile abbonarsi al costo di 8 euro per un anno e ricevere sei numeri del magazine via posta ordinaria direttamente a casa. L’abbonamento si può sottoscrivere online compilando, in ogni caso, l’apposito modulo di registrazione presente su www.balarm.it/abbonamento.asp. Una volta compilato il modulo con i vostri dati e selezionata l’opzione “Contrassegno”, un nostro incaricato vi contatterà per il ritiro del pagamento in contanti presso il luogo da voi indicato (una comodità che dunque viene a costare solo due euro in più rispetto alla formula di abbonamento già esistente). Vi ricordo a questo proposito che è sempre possibile acquistare l’abbonamento anche online (tramite PayPal, quindi carta di credito, Postepay e altre carte prepagate) oppure presso la nostra redazione, in via Nicolò Gallo 1 a Palermo (W5 mediafactory). Il costo è soltanto di 6 euro (giusto la copertura delle spese di spedizione) per sei numeri del magazine. Altre novità riguardano invece l’aspetto grafico del magazine, più in particolare quello legato alla fotografia, a cui già dal numero scorso abbiamo deciso di dedicare due pagine ospitando collage a tema di fotografi palermitani. Perciò, chiunque volesse proporre le proprie foto può farlo inviandole all’indirizzo redazione@balarm.it. Buona lettura. balarm magazine 5


PRIMO PIANO

ELEONORA ABBAGNATO

La sicilienne dell’Opéra torna a Palermo, dal 15 al 21 maggio al Teatro Massimo, con “Giulietta e Romeo”, un classico tra i più romantici ma in una nuova versione di CLAUDIA SCUDERI

ph. Gleb Kosorukov

Sguardo imperscrutabile, ma che scruta. Sorriso accattivante, dolce, ma attento, lucido, osservatore. I tratti sono quelli di una donna bella e forte, e se la conosci meglio bella lo è, e forte anche, ma la sua dolcezza viene fuori velocemente, se solo sai toccare le giuste corde. Eleonora Abbagnato ha forgiato il suo carattere con il rigore e la disciplina di un’arte tra le più formative e “catartiche” per il corpo e per la mente, la danza. È nata con uno scopo e l’ha ottenuto lasciando mamma e papà ad appena 11 anni per seguire uno dei coreografi più grandi del secolo scorso, Roland Petit, e con lui un sogno. «È un uomo difficilissimo, sa essere crudele. Anche per questo mi ha fatto crescere». Oggi, una volta raggiunta la sua ambizione più grande, prova con fermezza a raggiungere gli altri suoi due scopi, quasi come adempiere a dei compiti: avvicinare il grande pubblico italiano alla danza è il suo obiettivo primario, il suo grande desiderio di oggi. E diventare mamma, un giorno, «quando sarà il momento e con l’uomo giusto. Voglio che i miei futuri figli crescano con me e non con una babysitter». La sicilienne dell’Opéra (così la chiamano in Francia), a giugno 31enne, a soli 14 anni passa l’audizione con Claude Bessy per entrare nella scuola di danza dell’Opéra di Parigi, dopo la tournèe con Petit per “La Bella addormentata”, durante la quale frequentava ancora la sua prima scuola di danza, quella di Marisa Benassai, a Palermo, accanto alla boutique di mamma Piera. Sarà allora che deciderà di trasferirsi in Francia, giovanissima e sola, ma caparbia e tenace come pochi adulti. Io me la ricordo, Eleonora. Io conoscevo lei, ma lei non conosceva me. Ero parte di quella folta tacca che inondava la boutique di Piera, e di quella elite che ha potuto vederla ballare per Marisa, perché la mia miglio-

re amica era sua compagna di danza. Me la ricordo, con quella espressione ammiccante e grintosa già allora, quando prendeva parte, già giovane “special guest”, di quei saggi di danza. A 18 anni supera tutti gli esami ed entra nel corpo di ballo del grande teatro parigino. La data fatidica è il 21 febbraio 2001, giorno della nomina a prèmiere danseuse, che le permetterà di danzare per nomi quali Nureyev, Balanchine, Martha Graham e Pierre Lacotte. Spetta al Ministro della Cultura francese la nomina di étoile, «ma a me non cambierebbe nulla, ballerei gli stessi ruoli». Ci fa notare, però, quanto questa decisione sia tenuta in gran conto in Francia, come la danza tutta, cosa un po’ diversa nel nostro paese, dove un’Accademia come l’Opéra «ce la sogniamo». Da qui, infatti, la sua voglia di mettere in evidenza l’importanza della danza anche attraverso il suo recente percorso che l’ha vista al fianco di Paolo Bonolis in quest’ultimo Sanremo, e la sua partecipazione a nuovi, grandi progetti in Sicilia. Oggi è felice di poter coordinare un progetto da lei stessa ideato mettendo insieme i teatri greci di Agrigento, Taormina e Siracusa, per un festival di balletto a 360 gradi, «perché il pubblico la ami e la segua, come accade in Francia, deve conoscere la danza in ogni sua espressione». Dal 12 al 19 luglio la manifestazione, finanziata dall’Assessore Regionale Antonello Antinoro, si districherà tra l’hip hop dei danzatori di strada delle favelas di Rio de Janeiro (il 12 a Taormina), un “Abbagnato & Friends” di cui la stessa Eleonora sarà protagonista, insieme al corpo di ballo dell’Opéra al completo, per un repertorio di estratti dai più importanti balletti da lei stessa danzati, tra il classico e il contemporaneo (il 17 al Tempio della Concordia di Agrigento e il 18 a Solunto). Il festival si concluderà il 19 ad Eraclea con

“L’Aterballetto” di Mauro Bigonzetti. Questo il suo pri- Teatro di Verdura”, ndr), e con l’attaccante del Torino mo, imminente, grande progetto del quale le si può attri- Rolando Bianchi, sono reali, ma finite. Sono invece solo buire la maternità. Ma Eleonora arriverà prima in Sicilia, presunte quelle con Matteo Marzotto e Lapo Elkann, per un evento molto atteso. Dall’15 al 21 maggio torna al «carissimi amici, e splendide compagnie, ma nulla di più». Teatro Massimo, per un classico tra i più romantici da lei Quanto ad ulteriori impegni, aspettando il Teatro interpretati, ma in una nuova Massimo, il nostro orgoglio In giro per il mondo sempre, versione. Eleonora sarà a per la danza nel mondo, dopo ma di abbandonare queste Palermo per un Romeo e un recente week end in città radici non se ne parla, perché, per vedere Cannito e stare un Giulietta targato Luciano Cannito, ma strutturato su po’ con la sua famiglia, il 20 come ripete spesso: «puoi misura per e con lei. Da qui a aprile torna in Italia, per un andare ovunque nel mondo, maggio, però, non starà mica calendario fitto di appuntama senza radici affondi» ferma Eleonora, che della sua menti: il 21 sarà su Rai 1 per vita privata non ama parlare troppo, il “curtigghio” sì, è incontrare la Caterina Balivo de “I sogni son Desideri”, concesso, ma solo tra intimi, non sui giornali. Quello che per proseguire con una serie di incontri dei quali non possiamo confermare è che le relazioni con David possiamo svelare ancora troppo, ma solo un assaggio, Charvet (ex bello di Baywatch, che io conobbi qui a sotto voce: pare si paventi la possibilità di una collaboraPalermo, nella meravigliosa villa Abbagnato, in un “after zione con il Teatro Petruzzelli di Bari per un Gala in favo-

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ph. Gleb Kosorukov


ph. Gleb Kosorukov

PRIMO PIANO re dell’Abbruzzo. Vedremo. Dal 27 maggio all’8 giugno si torna a Paris, all’Opéra Garnier, per “Proust et les intermittances du coeur”, una sorta di “ritorno alle origini” in quanto le coreografie sono di Roland Petit, per poi tornare a casa, come dicevamo, per il festival Teatri Greci di Sicilia. Insomma, in giro per il mondo sempre, ma di abbandonare queste radici non se ne parla, perché, come ripete spesso e come infatti “suona” la stessa pagina My Space di Eleonora, «puoi andare ovunque nel mondo, ma senza radici, affondi». Sette ore di allenamento al giorno da sempre, un ottimo stipendio fisso, la tredicesima, le ferie pagate e la pensione a 42 anni, il tutto all’interno di un accademia che non ha eguali nel mondo, e come lei stesso fa notare, non trova competitor in Italia. «La Scala ha un’ottima scuola e una grande compagnia. Anche Aterballetto è una bella compagnia. Ma manca un’Accademia con tanto di internato». Dunque in Italia, e di questo lei ne è certa, non avrebbe fatto la strada che ha fatto, Eleonora Abbagnato, colei che si è definita “maniaca del balletto” a soli 3 anni, quando ha iniziato a ballare. Un grande rammarico, che si lega al suo obiettivo di avvicinare il grande pubblico alla danza, è il vedere che l’arte debba spesso piegarsi ai meccanismi della tv per affermarsi e farsi conoscere: «a me in Italia mi conoscevano solo perché sono andata a Ballando sotto le stelle, la trasmissione di Milly Carlucci, perché ho ballato la salsa con Massimo Ranieri su Rai 1 e perché sono stata ospite di Pippo Baudo a Domenica In. Ho più fan in Giappone che a casa mia». Anche se oggi, dopo Sanremo, le cose stanno cambiando. Viaggia tanto, Eleonora, e per svariati motivi. La danza il primo, ma anche la moda fa parte dei suoi “impegni/passioni”, recente la sua partecipazione come guest all’ultima sfilata di Roberto Cavalli a Milano. Io infatti la incontro al Principe di Savoia, in jeans, giacca e sorriso sfavillante. Al passaggio di Milla Jovovich, che scambia un saluto cordiale e amichevole con lei, io rimango di sasso, e a lei confido «ah, Milla…», prendendomi un po’ in giro. Lei è raggiante e disinvolta come sempre, ma mostra un momento di stanchezza, quindi le chiedo: «Dunque, sei umana anche tu! Come gestisci questo aspetto della tua vita con l’Opéra?». Lei mi incalza subito, seria: «Basta semplicemente che io non salti una sola lezione, e non possono dirmi nulla», e allora lì ti rendi conto che c’è “chi può e chi no”, ed Eleonora Abbagnato… può. Dal festival di Sanremo ai teatri Greci, dalle sfilate di alta moda al Teatro Massimo, il 24 e 25 luglio si sposterà in Spagna, al Teatro di Malaga, per prendere parte al Gala di danza, con Manuel Legris, collega dell’Opéra. Possibile che Eleonora Abbagnato sia una soltanto? Ebbene sì. balarm magazine 8


MUSICA

FLORA FAJA

La cantante palermitana esordisce, insieme al gotha del jazz siciliano, con il disco “Italian songs”, un viaggio tra “stranezze”, brani inediti e super classici di GIGI RAZETE

ph. Danilo Corallo

Col bianco e nero molto glamour, la foto in copertina di Flora Faja è decisamente rassicurante: rassicurante nel fascino levigato del volto, nel morbido gioco di luce dei capelli, nel sorriso appena accennato e nello sguardo trasognato. E rassicurante lo è, nella sua semplicità, anche il titolo dell’album: “Italian songs”. Perfino l’etichetta che lo pubblica, la prestigiosa Philology che da oltre vent’anni documenta il miglior jazz di Phil Woods (da cui il marchio), Chet Baker, Lee Konitz e di moltissimi big italiani e stranieri, rassicura sul contenuto sonoro dell’argenteo dischetto. Poi, giri la custodia e giunge la prima sorpresa: Flora a testa in giù! Per un istante pensi ad un errore di stampa o confezionamento ma subito ti accorgi che titoli e scritte sono corretti: Flora è proprio fotografata a testa in giù, col sorriso aperto, lo sguardo malizioso e la chioma scompigliata dalla gravità. «È stato un impulso spontaneo e spiritoso, proprio come sono io – confessa la cantante palermitana, giunta solo adesso, dopo quasi 35 anni di carriera, al debutto discografico – Ma è stato anche un voler suggerire di guardare le cose ed ascoltare la musica da una differente angolazione, costringendo chi ha in mano il disco a capovolgerlo, a chiedersi il perché di questa stranezza». Di “stranezze” il disco ne riserva ben altre. Il titolo, ad esempio: è in inglese ma contiene famose canzoni italiane: “Eppur mi son scordata di te” di Mogol/Battisti, “Senza fine” e “La gatta” di Gino Paoli, “Parlami d’amore Mariù” di Neri/Bixio, “Donna” di Gorni

Kramer, “Breve amore” di Sordi/Piccioni, “Ma l’amore no” di D’Anzi/Galdieri. «L’idea ispiratrice viene dalla musica americana, quella con cui sono cresciuta e formata artisticamente, ma la mia cultura è quella italiana. Insomma, ho voluto sottolineare il legame tra l’esperienza acquisita col vocalese anglosassone e le mie radici naturali: quindi, titolo inglese ma canzoni e parole rigorosamente italiane». Le sorprese aumentano sfogliando il raffinato e documentato libretto, corredato di testi e formazioni. Sì, le canzoni sono quelle prima citate ma all’interno di ciascuna di esse c’è una parte originale aggiunta, con musiche di Giovanni Mazzarino (del progetto pianista e geniale direttore musicale) e parole della stessa Faja. «In realtà scrivo da tanto tempo – prosegue Flora – ma finora ho sempre tenuto tutto nel cassetto. Solo adesso il coraggio dei miei anni mi ha fatto tirar fuori questi testi e mi ha indotto a inserire nel disco anche due canzoni, “Un colore che non so” e “Primavera sarà”, interamente scritte da me e Giovanni. Ecco perché “Italian songs” rispecchia davvero me stessa». E così il celebre brano di Battisti s’attorciglia a “La vita è strana”, “Senza fine” sfuma in “Rido”, la vecchia pagina di Bixio incarta amorevolmente “Ricordi lontani”, il successo del Quartetto Cetra swinga con “Donna sei tu”, le note del pezzo di Alberto Sordi vanno a incastrarsi in quelle di “Pensiero costante”, la gatta di Paoli fa le fusa con “Sogno di gatta” e “Cosa vuoi dalla vita” si scioglie insensibilmente in “Ma l’amore no”. Non una semplice operazione di medley, dunque, ma una vera ricostruzione di miti intoccabili che Flora trasforma in canzoni assolutamente nuove, inedite. Gli elementi aggiunti sono talvolta

straordinariamente simbiotici con le atmosfere origi- Denaro, percussioni, Beppe Vella, Dario Effettivo e nali, sia nelle musiche che nei testi, al punto che è dif- Francesco Petralla, cori. Resta da dire, infine, della perficile credere che quelle architetture non siano nate formance di Flora Faja e della sua caratteristica grana proprio così come proposte nel disco; altre volte se ne vocale calda e sabbiosa. «Ho voluto sfruttare tutta la distaccano, giocano sui contrasti e propongono diffe- gamma della mia voce, dalle note più basse a quelle renti prospettive emotive. Da più alte, ma sempre con sottolineare, ancora, la qualigrande naturalezza, senza «L’idea ispiratrice viene dalla tà dell’incisione ottenuta dalcercare inutili virtuosismi, musica americana, quella con lo studio palermitano dando maggior peso al calocui sono cresciuta e formata Labmusic (solo il mastering è re interpretativo». In delizioartisticamente, ma la mia stato effettuato al prestigioso bilico tra jazz e canzone cultura è quella italiana» so Nautilus di Milano) e il d’autore, “Italian songs” è livello dei musicisti impegnacome un bacio a fior di labti, il gotha del jazz siciliano, a parte il trombettista tori- bra: fresco, delicato e sensuale. C’è da chiedersi, semnese Fabrizio Bosso: Francesco Cafiso, Orazio Maugeri mai, perché Flora abbia atteso tanto a scoccarlo. Nei e Gaspare Palazzolo, sassofoni, Ruggiero Mascellino, giorni scorsi il disco è stato tra i più graditi nelle colonfisarmonica, Vito Giordano e Aldo Oliveri, tromba, Totò nine d’ascolto della Mondadori di Milano mentre da Pizzurro, trombone, Riccardo Lo Bue, contrabbasso, Usa e Giappone sono già arrivati cospicui ordinativi: Fabrizio Giambanco e Sebastiano Alioto, batteria, Toti insomma, non è mai troppo tardi.

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ph. Danilo Corallo


ph. Cinzia Garofalo

MARIO CRISPI

“Arenaria” è l’ultimo disco del musicista palermitano: un viaggio al centro della Sicilia di ALESSANDRA SCIORTINO Le geografie dei luoghi sono contraddistinte da un particolare paesaggio sonoro che subisce le stratificazioni delle ere geologiche e gli incalzanti cambiamenti dovuti al progresso industriale e tecnologico. Le interferenze di una città contemporanea muovono nell’uomo la volontà e il bisogno di un recupero del paesaggio sonoro rurale, dove riscoprire i suoni naturali e modularli sugli strumenti musicali in una sintesi che coniuga l’anima ancestrale di un luogo e le sue radici multietniche, senza rinnegare il contemporaneo. Sembra essere

MUSICA questo il percorso di “Arenaria”, l’ultimo disco di Mario Crispi (www.mariocrispi.it) che ne ha composto e interpretato le tredici tracce. Inciso per Suono Records e già in distribuzione nelle edicole con la rivista Suono Musica, il cd sarà distribuito da maggio anche nei negozi di dischi. Si tratta di un viaggio al centro della Sicilia, tra le suggestive rifrazioni dell’arenaria, roccia sedimentaria rappresentativa di un paesaggio primitivo e sempiterno, una tonica immutabile del paesaggio sonoro nostrano. Un viaggio che invera la tradizione siciliana senza prescindere dalle influenze dell’Est europeo, del Medioriente e del Nord Africa che campeggiano nella ricerca di Crispi, nei suoi “Soffi dal mondo”, e si intrecciano con le esperienze degli altri musicisti ospiti, dalle esplorazioni sonore di Enzo Rao agli Archi Ensemble che scantonano abilmente dal loro genere nella seducente melodia di “Cannitu”. La prima traccia muove i passi proprio da Palermo, dal suo mercato del pesce alla Cala. La registrazione notturna dei suoni del mercato ittico (un documento etnografico che diventa una soundscape composition) è lo spunto per un brano in dialetto che racconta la vita dei pescatori intonato da Crispi (voce, friscalettu, tamburi a cornice, darbouka), Maurizio Curcio (stick bass), Massimo Laguardia (tamburi a cornice), Giuseppe Lomeo (chitarre) ed Enzo Rao (violino). Da Palermo ci si sposta nelle Grotte della Gurfa ad Alia, un monumento di architettura rupestre, anche questo ricavato dall’arenaria rossastra, databile all’età del rame. Qui sono registrati “Gurfah” (presente anche nella versione remix di Danilo Rispoli) e l’elegiaco “Tholos” con la chitarra di Sergio Laviola il cui titolo fa riferimento alla tomba a campana di cui la seconda stanza della grotta è testimonianza. Nell’arghoul egiziano che evoca le melodie dell’Alto Nilo si fanno sentire le influenze nord-africane che non a caso risuonano da quella grotta della Gurfa che la tradizione popolare vuole sia un antico insediamento saraceno. Nel tholos della Gurfa si riverbera anche la melodia di un canto tradizionale siciliano evocato in “Focu” così come di eco tradizionale è anche “Carrittera”, ispirato al canto dei carrettieri bagheresi in un’originalissima versione che ospita duduk, sintetizzatore, scacciapensieri indiano e pianoforte (Salvatore Bonafede). Ancora sull’onda della tradizione, la tecnica del cunto palermitano è alla base del testo di “Cuntu ri guerra” dalla ritmica estremamente efficace. Ci si addentra poi nell’agrigentino con la ninna nanna di Calamonaci registrata nella tomba del Principe a Sant’Angelo Muxaro dove si aggiungono Francesco Calabria (elettronica) e Rajaz (insert dub, programming). balarm magazine 12


ph. Francesco D’Alleo

MUSICA

GERMANO SEGGIO

Il chitarrista palermitano esce con il suo ultimo cd “Life Box”, un colorato inno al vintage di GIULIO GIALLOMBARDO La granitica chitarra di Germano Seggio va dritta al suo scopo senza troppi fronzoli: colpire chi l’ascolta con immediata semplicità, evitando, nello stesso tempo, di essere troppo prevedibile. La scommessa è alta, non c’è che dire. Una prova che il chitarrista palermitano sembra, comunque, aver superato a pieni voti, con la sua nuova fatica discografica, “Life Box”, da poco in distribuzione in tutti i negozi di dischi della città. Il disco prodotto dalla Modern Music Academy, la scuola di musica creata da Seggio, con l’associazione

Art End, è un colorato inno al vintage. Siamo di fronte ad un disco da classico trio: chitarre, basso e batteria. Le sonorità sono, quindi, smaccatamente rock, nonostante siano presenti interessanti sviluppi blues e jazz. Il punto di forza del lavoro di Seggio, semplice e diretto all’ascolto, ma profondamente strutturato al suo interno, sta proprio nel compatto amalgama sonoro che è riuscito a restituire con i suoi nove brani. Uno stile “vintage fusion”, come ama definirlo il chitarrista, ovvero sintetico rispetto ai generi musicali che attraversa, con, in più, un’attenzione speciale al calore dei suoni. Serpeggia tra i pezzi una vaga nostalgia del rock da vinile anni ‘70, quello fatto in modo artigianale, secco e con pochi orpelli: chitarre ruvide, bassi pieni e batteria asciutta. Non è un caso, infatti, che il disco sia stato registrato con il trio base dal vivo, proprio per dare all’ascotatore il senso del suonare insieme. I due “compagni di viaggio” che hanno partecipato all’album, sono Fabrizio Francoforte alla batteria e percussioni e Mario Tarsilla ai bassi elettrici ed acustici, oltre, ovviamente, alle chitarre suonate dallo stesso Seggio. «“Life Box è appunto un contenitore di vita – spiega Germano – un disco concepito mentre mia moglie aspettava nostra figlia. Il lavoro acquista quindi un duplice significato: da un lato contiene la vita trascorsa, ovvero è il frutto delle mie esperienze musicali accumulate fino ad ora, dall’altro contiene la nuova vita che sarebbe nata dopo pochi mesi. Infatti, un brano dell’album, “Juliet”, è dedicato proprio a mia figlia Giulia». Il chitarrista palermitano sembra aver voltato pagina, dopo il precedente disco “Back to life”, uscito del 2005. «In fondo, quello era un disco da vetrina, – confessa Seggio – un disco con cui ostentavo troppo la tecnica per mettermi in mostra. Questo nuovo lavoro, invece, è nato da una motivazione profonda. Non riesco a fare musica a programma. Non compongo per forza, ma ho bisogno di continui stimoli». I nove pezzi di “Life Box” corrono come la Dodge Charger arancione in primo piano sulla copertina del disco. Si susseguono liberi e senza schemi, con ritmi serrati che alternano parentesi di respiro. C’è il rock orecchiabile con tinte jazz di “Hypnopotamo”, il blues aggressivo di “Blues Outside”, le note intime da ballata di “Juliet”, la martellante “Rock Dream” fino alle trame libere di “Sky”, un brano ricco di aperture sorprendenti, dalle vaghe suggestioni orientali. Germano Seggio è sul web con il suo sito personale www.germanoseggio.com dove, tra l’altro è possibile acquistare il disco, e anche su Myspace all’indirizzo www.myspace.com/germanoseggio. balarm magazine 14


MUSICA

Palermo in un “Tour de Forst” Giunge alla terza edizione il festival itinerante che punta sul meglio della musica palermitana

no. «Nonostante le mille carenze del nostro territorio, band e singoli artisti sono riusciti a maturare, a perfezionare la qualità delle loro produzioni – continua Vesco – Il problema è che non si fa ancora nulla per aiutare questo movimento spontaneo. Eppure, la musica ha un notevole spessore sociale, influisce su questa città in un modo che solo la nostra classe politica non riesce a vedere». Gli esempi a sostegno di tale tesi sono tanti. Vesco ricorda le recenti primarie dei giovani del Partito democratico. «A votare, in tutta la provincia, saranno stati non più di duemila ragazzi. Se fai un concerto a piazza Magione, te ne ritrovi almeno il triplo». Ma non è solo questione di numeri. «La musica, e più in generale l’arte, traggono linfa dal conflitto sociale – spiega – e questo rapporto, se coltivato nel giusto modo, può risultare costruttivo per la società in cui si vive». Non è un caso, quindi, che l’organizzazione del “Tour de Forst” sia stata orientata alla responsabilità sociale. Innanzitutto, perché il festival sarà il primo evento culturale di Palermo a basso impatto ambientale. Grazie alla collaborazione con Exalto, società specializzata in soluzioni tecnologiche per minimizzare i consumi puntando su efficienza energetica, nel corso del tour verrà calcolato l’impatto ambientale dei concerti. Alla fine del festival, Exalto provvederà a piantare un numero di alberi che serviranno a compensare l’inquinamento prodotto complessivamente nel corso delle varie serate. In tale ottica, buona parte del materiale di promozione sarà stampato su carta riciclata. Inoltre, nel corso dei concerti, saranno organizzate delle raccolte di fondi per il Ciss, la più importante organizzazione di cooperazione internazionale della Sicilia. Queste le tappe del tour: 24 aprile, Montevergini; 2 maggio, piazza Bologni; 7 maggio, Candelai; 16 maggio, piazza Unità d’Italia; 22 maggio, Malox; 30 maggio, piazza Magione. Maggiori informazioni sul sito www.myspace.com/alcaponeecolabel ph. Federico Maria Giammusso

L’idea è di quelle così semplici da apparire rivoluzionarie: dare vita a un tour musicale tra piazze e locali della città, mettendo alla ribalta esclusivamente il sottobosco della musica da cantina palermitana. Niente nomi più o meno di spicco del panorama italiano o internazionale (che poi basta un passaggio su Mtv a dare l’attestato “di spicco”). Solo la buona musica proveniente dal ventre di Palermo, da questa fabbrica improvvisata che continua a crescere in qualità e quantità, quasi infischiandosene dell’immobilismo culturale che vi ruota intorno. «Abbiamo un’offerta artistica di alto livello. Basta leggere le recensioni delle più importanti riviste

di DARIO PRESTIGIACOMO

musicali per accorgersene. Ma spesso, siamo noi palermitani i primi a dimenticarcene», dice Simone Vesco di Alcapone records (al centro nella foto), ideatore e promotore del “Tour de Forst”, giunto quest’anno alla terza edizione. Un festival itinerante che vedrà alternarsi sul palco il meglio della musica palermitana: Matrimia, Famelika, Serenella, Venus in drop, Mezcagano, Asharr, Marco Sabatino, Laya, Moque e la “cricca” Malintenti, con Akkura, Don Settimo, Om, Toti Poeta e Sadpony. Si va dal folk al jazz, passando per l’hip hop e il post rock. Insomma, i vari filoni su cui sta crescendo un movimento musicale che ha poco da invidiare al resto del paese, se non le strutture e le opportunità che altrove si trova-

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MUSICA

Sabù e la vigilia

I quattro ragazzi di Villabate sono gli unici siciliani presenti nel disco “Sanremo 59 web” di LUCA GIUFFRIDA Non capita tutti i giorni di vivere l’esperienza del festival di Sanremo, seppur non in maniera canonica, per una settimana intera, dopo anni di gavetta. È ciò che è successo ai Sabù e la vigilia, grazie a una nuova categoria della manifestazione musicale ligure, “Sanremofestival.59”, un modo diverso per arrivare al grande pubblico, attraverso la visibilità non convenzionale del web. Questi ragazzi di Villabate (Sabù Alaimo alla voce e chitarra, Giovanni Villafranca al basso, Salvo Lo Cicero alla batteria e Sal Cavallaro alla chitarra solista) hanno superato tutte le selezioni di rito col brano “Meglio di così”, e sono stati tra i novanta artisti invitati durante la settimana sanremese; la gara virtuale non li ha visti vincitori, ma la visibilità che hanno ottenuto è stata notevole, tanto che il brano con cui hanno partecipato è stato inserito nella tracklist di “Sanremo 59 web”, la compilation ufficiale, uscita il 10 aprile nei negozi (distribuzione Edel). Un’iniziativa, questa, che, secondo la band, «dà forza e voglia di andare avanti anche a chi non ha la stessa visibilità dei soliti noti: la gente è stanca di ascoltare sempre le solite cose, non a caso anche in una vetrina tradizionale come quella di Sanremo negli ultimi tempi è stato dato spazio al pop-rock più giovanile e addirittura all’hip-hop». Il successo ottenuto in questi ultimi mesi non può che giovare alla promozione del loro primo disco, “Schemi”. «Siamo ingabbiati da schemi invisibili, creati scrupolosamente a tavolino»: questo il senso principale che vuole indicare il titolo del disco, un modo per sottolineare i tempi in cui stiamo vivendo. «Uno dei pochi antidoti a questa condizione è sicuramente la musica - dice Sabù - deve far prendere coscienza di quello che ci succede intorno». È difficile che la musica cambi il mondo, ma può dare una sveglia, un segnale forte, essere un piccolo tassello di un cambiamento. In questo senso è davvero significativo, all’interno dell’album, il brano “Apri gli occhi”: non un ritratto amaro della nostra terra, ma la focalizzazione del buono che la Sicilia possiede. “Il fresco odore del mandarino il compromesso soffocherà” è una frase forse fin troppo utopistica, ma di certo rappresenta un atteggiamento più pro-

ph. Leo Butera

positivo rispetto all’atavica rassegnazione di molti. Un tema importante, come lo è quello della visibilità ottenuta a tutti i costi, un concetto ormai palese nell’era dei reality-show: è quello che Sabù e la vigilia “teorizzarono” già nel 2002 con il brano “L’audience”, rimasto però fuori dalla tracklist del disco (non è detto però che non trovi spazio nel prossimo lavoro). «Gli schemi sono anche quelli che ci impone la televisione – aggiunge il leader della band - coi suoi programmi che speculano sulle emozioni della gente per distrarla da quello che le succede intorno: purtroppo ci si sta convincendo fin troppo che alla visibilità equivalga la qualità, dimenticandosi cosa vuol dire fare la gavetta». Adesso il futuro dei Sabù e la vigilia sembra ancora più chiaro, con un’estate in tour sulle spiagge per conto di Radio 105, il video di “Cosa resta” diretto da Davide Salmeri e concerti che cavalcheranno l’onda di questo successo d’impronta brit-rock. Sul web: www.myspace.com/sabuxx. balarm magazine 17


TEATRO

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ph. Federico Maria Giammusso

re». A cinquantadue anni, portati più che bene, Benassai è uno degli attori più rappresentativi della cultura siciliana e ha dimostrato di essere versatile e soprattutto aperto sempre a nuove sfide. A otto materie dal conseguimento della laurea in giurisprudenza, Benassai ha capito che la sua strada era un’altra:

«Avevo appena finito di preparare l’esame di procedu- essere proprio questo, andare incontro alla gente senra penale. Quando mi sono presentato all’esame e ho za aspettare che questa entri a teatro. Ogni esibizione, visto quella calca tremenda ho capito che io non appar- infatti, è da considerare quasi un rito collettivo». Tra gli tenevo a quel mondo. Tornai a casa e dissi ai miei geni- altri spettacoli ricordiamo “Chewing-gum” con 230 tori che volevo fare altro». E dire che già da bambino, a repliche solo nella città di Palermo, “Aspettando 4-5 anni, intratteneva i coetanei, e non solo, interpre- Palermo”, trasmesso anche da Rai Tre, “A memoria” tando una nota maschera siciliana: «Inventai un teatri- rappresentato anche a New York, Detroit, Filadelfia, no fai da te e gli altri bambini mi guardavano. Poi a sei “Palermo fatta a scale”, “Molo Santa Lucia” e tanti altri. anni mia sorella Marisa, che allora danzava al Teatro Nel teatro di Benassai c’è l’uso sarcastico ma non veleMassimo, mi fece fare un provino per interpretare il noso dell’intelligenza, la tragedia, lo scetticismo, l’arroDelfino di Francia in “Maria Antonietta”, proprio al ganza, il gusto sapiente per il sorriso, oltre naturalmenMassimo. Loro cercavano un bambino biondo ma io gli te alla voglia di portare sulla scena il territorio palermipiacqui così tanto che mi misero una parrucca. Stavo tano, il linguaggio e la gestualità che Palermo produce. sempre in scena e avevo di fatto imparato tutta l’ope- Da qui, ad esempio, lo spettacolo “Munnizza” (in replira a memoria, tanto che il soprano certe volte si rivol- ca dal 22 maggio, per due settimane, all’Agricantus di geva a me più che al suggeritore». Insieme con un Palermo), un problema siciliano e non solo: «Passeremo gruppo di compagni umbertini, Benassai fonda il grup- alla storia come la civiltà del rifiuto - aggiunge ironicapo “I pizzicagnoli”: «Ci esibivamo al centro culturale “La mente. - Il teatro ha un linguaggio universale che prefamiglia trapanese”, che allora si trovava in via Libertà. scinde della lingua in cui si recita. Sono stato invitato Eravamo veramente alle prime armi ma in scena cerca- dal Ministero della Cultura ad esibirmi ai figli degli vamo di dare il meglio di noi immigrati in Argentina. Lo stessi. Là conobbi per la prispettacolo era in siciliano ma ma volta Mimmo Cuticchio, «L’esperienza più bella è portare anche se gli immigrati proveil teatro in strada. Lo scopo del nivano da tutta l’Italia comprima ancora che diventasse famoso. Ci incoraggiò e ci dis- teatro dovrebbe essere proprio prendevano comunque il se che anche lui cercava una senso». Il teatro di Benassai è questo, andare incontro alla forma espressiva diversa da sempre aperto ad un congente senza aspettare che quella tradizionale della sua fronto suggestivo tra moderquesta entri a teatro. Ogni famiglia». Da quell’occasione nità e tradizione coniugando esibizione è un rito collettivo» il teatro popolare con i nuovi nacque lo spettacolo “Prosa, pupi e cabaret”, di scena al linguaggi della scena. Non teatro di via Bara. E durante l’intervallo venivano offer- mancano, poi, anche le esperienze cinematografiche e te panelle e vino. «Erano altri tempi ma ci siamo davve- televisive. “Nuovomondo”, “Baaria”, “Il sette e l’otto”, ro divertiti. Poi conobbi Nino Drago, fondatore del “My name is Tanino”, “L’amaro caso della baronessa di Piccolo Teatro di Palermo, un teatro storico della città, Carini”, “Il commisario Montalbano”, “Il figlio della e iniziò la nostra collaborazione. E dire che diversi anni luna”, solo per citare alcuni titoli. Nonostante il riconodopo, dal 1983 al 1988 mi occupai proprio io della dire- sciuto successo non ha perso l’umiltà e ammette: «In zione di questo teatro. Allora sì che mi ritornarono uti- televisione e nel cinema so che devo ancora trovare il li gli studi di giurisprudenza – aggiunge sorridendo – in giusto modo per esprimermi, posso fare molto di più. questo teatro si è formata un pò tutta la vecchia guar- Un lavoro a cui sono molto affezionato, tra gli altri, è dia, tutti recitando comunque con una cifra stilistica “Brancaccio”, il film su Padre Puglisi. Qui non ho recitadiversa. Un grande successo, ad esempio, fu tributato to soltanto nella parte di attore ma sono stato anche a “Palermo cara”, scritto da Gigi Burruano. Per diversi assistente alla regia. Il punto di vista della macchina da anni replicammo con il tutto esaurito». Il teatro di presa è completamente diverso da quello del teatro. Paride Benassai nasce proprio da Palermo e sembra Sul palcoscenico non puoi bluffare. Mentre la regia filquasi dialogare con la città, seppur misurandosi con la mica, infatti, crea un punto di vista soggettivo, a teatro cultura europea ed internazionale. C’è la vita quotidia- è l’occhio umano che mette a fuoco. E il compito delna, c’è la storia e ci sono le riflessioni sul futuro. l’attore è quello di trasmettere energia. La guida deve «L’esperienza più bella è portare il teatro in strada – essere il pubblico. Tra attore e platea si crea una sorta aggiunge Benassai – Lo scopo del teatro dovrebbe di volano, uno scambio continuo di energie».

PARIDE BENASSAI

Teatro, riflessione e cabaret: il ritratto di uno degli attori più rappresentativi della cultura siciliana Il teatro con la “T” maiuscola, un modo per raccontare le proprie “scaglie di verità”. Così Paride Benassai, attore, regista e autore di diversi testi teatrali, prova a definire il suo mondo, costruito nel tempo, spettacolo dopo spettacolo. «Per me esiste il teatro e basta, può far ridere o piangere, ma soprattutto deve far riflette-

di ADRIANA FALSONE


ph. Federico Maria Giammusso

Moschella&Mulè

Da Palermo al teatro Zelig di Milano: ecco il duo palermitano dall’ironia che fa riflettere di MANUELA PAGANO È il 2005 quando il regista Giuseppe Moschella e l’attrice Emanuela Mulè decidono di creare un sodalizio artistico e di investire la loro creatività in progetti comuni. Poco dopo nasce “Scarafaggi/Beatles”, lo spettacolo musicale che i critici definiscono una stand up comedy al vetriolo con l’intento di ironizzare sugli stereotipi, sui luoghi comuni della nostra società e in particolare sui pregiudizi che segnano come un marchio indelebile la Sicilia.

TEATRO Merito di Moschella&Mulè è stato quello di far ridere con l’amaro in bocca del malessere di vivere, una scommessa difficile che, a giudicare dal successo della loro ultima tournée nazionale, è stata decisamente vinta. “Scarafaggi/Beatles”, nella nuova versione arricchita da sketch sempre più caustici che si alternano a quelli storici come “la moglie del latitante” e “la sauna”, ha varcato i confini regionali, approdando al teatro Zelig Cabaret di Milano, una piazza impegnativa dove ha superato qualunque aspettativa, e poi al teatro del Sale di Firenze e al teatro L’Arciliuto di Roma. Da nord a sud si ride allo stesso modo, con una frizzante ironia che fa riflettere. «L’esperienza di “Scarafaggi/Beatles” - dicono Moschella&Mulé - ci ha confermato che basta trovare la chiave giusta per parlare al cuore della gente e muovere le corde di un sentire comune che, attraverso il riso, supera i regionalismi. Abbiamo ironizzato su situazioni che tipicamente connotano la nostra città ma che, senza troppi sforzi, si adattano perfettamente alla ‘fredda’ Milano o alla “caciarosa” Roma». Sul palco dove la recitazione e la musica degli evergreen inglesi si fondono in un tutt’uno, gli attori sono accompagnati da due apprezzati interpreti del panorama musicale nazionale: il pianista Diego Spitaleri che ha curato gli arrangiamenti e la cantante Valeria Milazzo. Anche se non mancheranno altre repliche dello spettacolo in Sicilia e a Palermo, Moschella&Mulè non si fermano un istante e stanno già pensando ad altri progetti che questa volta riguardano il cinema. Parallelamente all’esperienza teatrale, entrambi hanno recitato in due film recenti: Giuseppe Moschella ha indossato i panni di Liborio Galfo, ex ballerino anni ‘50 di boogie-woogie in “Quell’estate felice” di Beppe Cino mentre Emanuela Mulè ha interpretato il ruolo di pubblico ministero ne “La siciliana ribelle” di Marco Amenta. «Siamo in attesa - dice Moschella - dell’approvazione della Sicilia Film Commission per un mediometraggio intitolato “U vattiu” diretto da me e interpretato da Emanuela e da Ernesto Mahieux, protagonista de “L’Imbalsamatore” di Matteo Garrone». Dopo i film brevi “Ferragosto” e “L’avvoltoio” (che ha ottenuto il riconoscimento del Certificato del Chicago International Film Festival 2007) che ruotavano attorno al tema dell’usura e dei boss, anche questo film verrà girato in Sicilia. Il battesimo a cui allude il titolo rappresenta l’iniziazione di un ragazzo omosessuale nel clan di appartenenza del padre, una realtà che, pur spettandogli di diritto, non gli appartiene. La storia diventa quindi un pretesto per trattare la delicata questione sociale dell’identità sessuale, un’identità che aspetta di essere riconosciuta e dichiarata apertamente anche a costo delle conseguenze più estreme. balarm magazine 20


ARTE

ANTONIO MICCICHÈ

L’artista, pittore e scenografo palermitano, torna a far parlare di sè con un’installazione che evoca le atmosfere sospese de “La terra desolata” di Eliot di MARINA GIORDANO Sviluppare una profonda riflessione sulla pittura, sul processo della rappresentazione, sul ruolo dell’osservatore che diventa al contempo soggetto e fruitore del quadro, parlare di pittura senza pennelli e colori, attraverso oggetti, luci, ricorrendo al bianco assoluto di un ambiente, un bianco che non è assenza ma sintomo di una pregnanza. E attraverso ciò, parlare dell’Uomo, dei tempi che stiamo vivendo, sposando il linguaggio visivo alla straordinaria forza evocativa di un testo letterario e teatrale, “The Waste Land” (La terra desolata) di T. S. Eliot. È questa l’ultima sfida dell’artista palermitano Antonio Miccichè (1966), da vent’anni presenza costante della scena artistica cittadina, pittore, virtuoso disegnatore, scenografo, autore di installazioni e docente presso l’Accademia Abadir di San Martino delle Scale. Dopo essersi concentrato, nelle sue opere più recenti, sul tema del waterfront e del paesaggio, egli ritorna al codice espressivo dell’installazione e al suo rapporto con la performance e il teatro nel suo ultimo lavoro, allestito in un grande salone di 180 mq di Palazzo Resuttano, spazio espositivo diretto da Maria D’Agostino (direzione generale) e Beatrice Feo Filangeri (direzione artistica). Antonio aveva già lavorato sull’opera di Eliot realizzando nel 2003 le scenografie per la versione di Claudio Collovà messa in scena al Teatro Bellini di Palermo, e lo stesso Collovà, oltre a scrivere una testimonianza in occasione di questa nuova opera, è tornato a recitare “La terra desolata” dentro l’installazione in occasione dell’inaugurazione, lo scorso 9 aprile (l’opera è visibile fino al 24 aprile presso Palazzo Resuttano, piazza di Resuttano, 5, tutti i giorni

tranne il lunedì dalle 17 alle 20), unico attore, per un solo giorno e per soli 30 minuti, nella penombra di una luce lunare, silente, tra file di letti vuoti. Già in altre occasioni Miccichè aveva posto questi ultimi al centro dei suoi lavori: a Palazzo Rammacca, alla Vucciria, nel 2000, nell’ambito della manifestazione “Doppia croce++, il Parco dell’Arte”, o a Berlino, in una installazione dal titolo “Il sogno dell’arte”, presso il Kunsthaus Tacheles e a Stoccarda presso il Zapata Centro Culture Institute, nel 2002. In uno spazio totalmente azzerato, dominato dal bianco delle pareti e del gesso sul pavimento, soltanto una finestra, aperta citazione del capolavoro del pittore surrealista René Magritte “Il mese della vendemmia” (1959), riproposto attraverso l’immagine più leggera, un video in loop con la fotografia e il montaggio realizzati da Salvo Cuccia e Peppino Sciortino. Stavolta però, al posto dei personaggi in bombetta tipici dell’iconografia magrittiana, ripetuti ossessivamente in una folla che sta come una falange dietro una finestra aperta, cloni di se stessi, uomini senza qualità ed identità, a porsi come alter-ego dello spettatore sono volti di individui palermitani, silenziosi, immobili, che solo dopo il passare dei minuti manifestano qualche segno impercettibile di movimento, accompagnati, come sottofondo, dal frinire delle cicale, dal rumore degli elicotteri, dal rombo dei tuoni (il video è stato girato con un audio ambientato). Dichiara Antonio Miccichè: «Questa installazione, con i letti vuoti, con le lenzuola appena sgualcite e drappeggiate in modo da ricordare l’iconografia dei sarcofagi antichi, non accolgono

nessun cadavere, non sono reali simulacri di morte, morte). L’assistere ignavi o impotenti a questo tresenza cadaveri non c’è neanche la speranza di una mendo vuoto dei personaggi proiettati nel video (altre resurrezione, sono la metafora assoluta di un’assenza, volte è stato lo specchio ad accompagnare le installasono la terra desolata, emblema di un tempo non ulti- zioni) evoca, secondo l’artista, il processo concettuale mo, ma penultimo come quello che stiamo vivendo, della rappresentazione pittorica, quel riprendere la ancora non pronto a rinascerealtà senza riproporla merare nonostante eventi apocamente, quella distanza tra «Questa installazione è la littici, dalle guerre al crollo immagine, raffigurametafora assoluta di un’assenza, reale, delle Torri Gemelle, un temzione, che il già citato la terra desolata, emblema di Magritte aveva messo a fonpo sterile». Anche il titolo del un tempo come quello che lavoro, “Aprile è il mese più damento della sua poetica. stiamo vivendo ancora non crudele”, riprende fedelIn questo abbandono totale mente l’incipit del primo della pittura Miccichè non pronto a rinascere» canto del poema di Eliot, “La sente uno iato con i suoi presepoltura dei morti”, che in pochi versi sintetizza que- cedenti lavori, che invece hanno vissuto fasi legate al sto forte senso di sterilità, l’arida lontananza della virtuosistico segno grafico o alla decisa matericità delciviltà moderna dai ritmi vivificanti della natura (nel le paste cromatiche, miste a catrami e colle, ma affertesto del poeta americano persino il contatto con l’ac- ma: «È una delle mie opere più pittoriche, perché qua, fonte di vita per eccellenza, diventa causa di ragiona sui meccanismi della pittura stessa».

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ph. Federico Maria Giammusso


ARTE

Il Museo Guttuso riapre le porte Dopo dieci mesi di restyling Villa Cattolica ritorna ad ospitare l’arte del Maestro e dei suoi “amici” artisti

di MARINA SAJEVA

Domenica 29 marzo il Museo Guttuso (Villa Cattolica, Bagheria) ha riaperto le sue porte dopo dieci mesi di restyling. La copiosa affluenza dei visitatori ha rappresentato un’ulteriore conferma del ruolo centrale che il museo riveste sia nella vita culturale della cittadina di provincia, sia più in generale nel sistema del musei palermitani. La villa tardo barocca ospita il Museo Guttuso dal 1973, ma da allora nuove opere sono state acquisite e nuove sezioni hanno incrementato quella collezione che allora il pittore donò alla città natale in un progetto culturale che oggi raggiunge la sua forma più completa; da ciò il bisogno di una risistemazione degli spazi e delle opere. Infatti, per dare una sede alle nuove sezioni, come quella della pittura di carretto (legata alla primissima formazione di

museo ha continuato su tale scia, pensando il museo come un luogo dinamico, dove proporre mostre temporanee di largo respiro, non soltanto dell’artista di Bagheria (come ad esempio la mostra del 2007 “La potenza dell’immagine”, a cura di Fabio Carapezza Guttuso e Dora Favatella Lo Cascio, direttore del Museo Guttuso, ultima di una trilogia sul pittore iniziata dal 1987), ma anche di altri artisti. Alcune opere di questi sono diventate parte della collezione permanente, a dimostrazione di un lento ma continuo desiderio di evoluzione dell’eredità guttusiana, rinnovando e dando continuamente nuova linfa vitale a quel serbatoio creativo che dovrebbe essere il museo. L’idea di museo a cui si fa riferimento non è sicuramente quello del Guggenheim, che centuplica esageratamente le

Guttuso a Bagheria), del libro d’artista, del disegno e della fotografia, gli spazi espositivi sono stati raddoppiati (le opere occupano adesso 1500 mq della villa), anche perché le sezioni già esistenti della pittura e della scultura sono state a loro volta aumentate grazie a recenti acquisizioni di giovani artisti; la sezione della cartellonistica cinematografica (donazione Fratelli Lo Medico, presente dal 2004) si trova, invece, staccata dal corpo centrale della villa. I criteri delle acquisizioni rispondono all’aspirazione propria del Maestro, ossia, come dice il figlio adottivo Fabio Carapezza Guttuso, quella di essere un testimone del suo tempo; per questo motivo Guttuso non ha mai concepito il museo come il “suo” museo, ma come un luogo dove le sue opere avrebbero potuto dialogare con quelle dei suoi amici artisti. Dopo la sua morte, chi ha preso le redini del

sue sedi, esempio di “museo in franchising”; al contrario il Museo Guttuso, nella sua rinnovata veste, ribadisce la sua precipua caratterizzazione, quella di essere legata al territorio in cui è nato e vive. Molti tra vecchie e nuove presenze sono di Bagheria, ricordiamo i fotografi Scianna, Pintacuda, Falcone e, ovviamente, il premio Oscar Peppuccio Tornatore, presente all’inaugurazione anche per la presentazione del libro curato da Biagio Napoli e Mimmo Aiello “I ragazzi di Via Sant’Angelo. Tornatore e Co. Dal 1975 al 1980 a Bagheria”, sulla storia del circolo “L’ Incontro”, fondato dal famoso regista bagherese. Proprio sulla fotografia l’organizzazione del museo intende indirizzare le sue prossime iniziative, insieme (è auspicabile) all’inserimento di apparati didattici più adeguati a un luogo così importante per la cultura dell’Isola. balarm magazine 24

ARTE

Villa Cardillo Alliata, arte in cantiere Trasformata nel Centro d’arte Piana dei Colli, la villa apre con la mostra fotografica “Visioni di cantiere” Una delle pagine più affascinanti della storia di Palermo è stata scritta nelle ville settecentesche che punteggiavano le campagne circostanti la città, soprattutto nella zona della Piana dei Colli, dove molti nobili palermitani costruirono le loro residenze estive, nella tradizione dei luoghi di delizia arabo-normanni. A partire dagli anni ’60 del Novecento, in concomitanza con lo scempio edilizio di cui fu oggetto la città, l’importanza di questi luoghi è stata dimenticata e occultata. Oggi, grazie alla volontà della famiglia Lodetti Alliata e al co-finanziamento dall’Assessorato ai Beni culturali della Regione Sicilia, la villa Alliata Cardillo, significativo esempio di quella cultura, è stata interamente recuperata e trasformata in prestigiosa sede del Centro d’arte Piana dei Colli (www.pianadeicolli.net) che ha inaugurato le sue attività il 18 aprile con la mostra fotografica “Visioni di Cantiere”. Le foto, commissionate dalla famiglia Alliata a Riccardo Scibetta (Besana Brianza, 1971), sono state realizzate ad hoc durante i lavori di restauro e sono il frutto dell’incontro tra la specificità di un luogo e lo sguardo curioso e indagatore dell’artista. Le immagini di cantiere resteranno in permanenza, dopo la mostra, nei locali della villa. Il progetto di ripristino della residenza è stato supervisionato dalla famiglia proprietaria e dalla storica dell’arte Giulia Ingarao, direttore artistico del centro e curatrice della mostra. Villa Cardillo, incastonata nella Piana dei Colli, è nata dal rifacimento di un originario baglio agricolo e, appartenuta nel ‘700 a Domenico Cardillo, passò nell’800 agli Alliata. Stefania Alliata Lodetti ha fortemente voluto il recupero di questa dimora salvandola da un grave stato di abbandono. Sono stati così recuperati la facciata lesenata con il fastigio della

di GIULIA SCALIA

famiglia, le terrazze panoramiche, la cappella con il suo altare, il giardino e il cosiddetto “passeggio”. All’interno dei saloni a enfilade del piano nobile è stato inoltre realizzato un percorso multimediale, una sorta di archivio permanente, corredato da dodici totem interattivi, intitolato “Storia ed evoluzione di un territorio: Palermo e la Piana dei Colli”. Sono stati girati cinque video-documentari che intendono analizzare il rapporto tra la villa e il territorio circostante attraverso differenti punti di vista. Le tematiche, affrontate da vari esperti, sono urbanistico- architettoniche, socio-antropologiche, botaniche, paesaggistiche e storico- artistiche. Nel video che riguarda l’ambito storico artistico, realizzato con l’intervento

ph. Antonia Giusino

dell’artista Anne-Clémence de Grolée, l’attuale realtà suburbana si confronta con il passato, evidenziando il ruolo delle periferie e riflettendo sulla possibile valorizzazione dell’antico. Il centro ospiterà, dunque, mostre di varia natura ed è dotato di biblioteca multimediale, bookshop, attrezzature all’avanguardia per la realizzazione e fruizione di prodotti audiovisivi e multimediali. La villa è sede inoltre dell’Osservatorio Outsider Art, diretto da Eva di Stefano (Cattedra di Storia dell’Arte contemporanea dell’Università di Palermo). Un centro d’arte di cui si sentiva il bisogno, importante per la rivalutazione del territorio, del suo patrimonio e per la promozione dell’arte contemporanea. balarm magazine 25



LIBRI “Un palermitano alla conquista dell’etere” si ra direttore del Tg 5, lo mette di fronte a una telecamedirebbe di lui se non fosse che Salvo Sottile è un ra e lo promuove inviato sul campo per il Tg nazionale; noto mezzo busto televisivo da tempo (Mediaset Tg5 e da quel momento l’ascesa inarrestabile e Sottile diventa Sky news 24). Trentaseienne da poco e figlio d’arte da un appuntamento fisso per tutti i telespettatori. «Nel sempre (il padre Giuseppe, già cronista de L’Ora e del novanta, da poco ventenne – dice – raccontai di Capaci Giornale di Sicilia, era un giovane cronista che racconta- e Via d’Amelio e della strategia stragista della mafia. va la strada e i grandi delitti di mafia nella Palermo anni Negli anni a seguire sono stato testimone di un pezzo ‘70). Sottile nel 2007 esordisce da scrittore con della nostra storia, come la cattura di Totò Riina, che “Maqeda” (Baldini Castoldi Dalai) e oggi si riconferma rappresentò la fine di un’epoca, fino ai bombardamenti con un giallo, in classifica tra i primi dieci libri più letti, in Afganistan in cui ero in prima linea». Tra i modelli del dall’emblematico titolo “Più Scuro di Mezzanotte” giornalismo nazionale annovera Zavoli, Montanelli e (Sperling & Kupfer, Pagg. 360 - € 18,90). Sottile, però, Capuozzo (a quest’ultimo legato da profonda amicizia) e non s’accontenta del piccolo schermo ed è ora impe- del padre Giuseppe confida bonariamente: «Non mi ha gnato alla riduzione cinematografica del suo primo dissuaso né incoraggiato nella scelta della professione, romanzo. «Ciò che accomuna lasciandomi libero di decidei tre distinti ruoli di giornali«Scrivere un libro permette di re. Ho scelto di fare il giornasta, scrittore e sceneggiatore lista anche per capire come misurarmi con la scrittura. – afferma Salvo Sottile – è lo mai crescevo da solo, visto Una cosa è raccontare una scrivere, e farlo mi piace. Solo mio padre essendolo, era notizia, un’altra imbastire una che che i tempi di scrittura in telesempre lontano da casa». Una trama: una scommessa che visione sono minimi, mentre scelta di vita, scrittura e carta resterebbe irrisolta se mi sui libri si ampliano. In questi stampata, fatta sempre calcochiedessero di raccontare cosa lando i tempi. L’ultimo suo posso creare storie e personaggi o trovare più spazi, ma libro è un giallo di mafia, ma mi manca di Palermo» la tv la porto addosso ormai, senza nessun contatto con il così scrivo per immagini». Ed è un passato di tutto precedente: «Facendo un parallelismo, “Maqeda” è un rispetto, quello di Sottile, che inizia collaborando a raccontino di vita, “Più scuro di mezzanotte” semplicediciassette anni col quotidiano La Sicilia di Catania ed il mente un giallo, un mistero da risolvere, l’ossessione di mensile Sicilia Motori, quindi con l’emittente regionale due donne che diventano una sola». Scrivere ancora una Telecolor Video 3. «Ricordo – aggiunge – che i primi volta, dunque, raccontare un mondo o inventarselo, esercizi di scrittura li facevo su un quaderno di scuola, in perché «scrivere un libro– conclude – permette di misucui annotavo tutto ciò che mi passava per la mente, ma rarmi con la scrittura vera e propria. Una cosa è racconnon come un diario: sceglievo una cosa che m’aveva tare una notizia, un’altra imbastire una trama. Una colpito e ne scrivevo tre versioni, al passato, al presen- scommessa da vincere, che resterebbe irrisolta se mi te, al futuro. Poi il mio esordio giornalistico: un raduno chiedessero di raccontare cosa mi manca di Palermo: la di auto per una rivista di motori». La grande opportuni- scrittura non sempre è in grado di descrivere la sensatà è nel 1992, durante un’eruzione dell’Etna che minac- zione dell’odore di salsedine che t’impregna non appecia di travolgere Zafferana Etnea. Enrico Mentana, allo- na scendi dall’aereo e sei nella tua Isola».

Più scuro di mezzanotte / 352 pagg. / € 14 / Sperling & Kupfer

SALVO SOTTILE

Il ritratto del giornalista e scrittore palermitano che torna in libreria con “Più scuro di mezzanotte”, un giallo che racconta l’ossessione di due donne che diventano una sola di TOMMASO GAMBINO balarm magazine 28

Rosa Martinez sognava di diventare una ballerina e conoscere il mondo. Si è sposata con un boss corleonese pensando che questi l'avrebbe liberata dalla gabbia del padre, non sapendo che così, sarebbe solo passata da una prigione all'altra. Quando si rende conto che i delitti della nuova criminalità, di cui fa parte suo marito, non risparmiano più nessuno, allora, per ridare un senso alla propria vita, e riconquistare tutto ciò di cui è stata privata, sceglie di prender parte a un gioco molto pericoloso, che nessuna donna prima di lei aveva avuto il coraggio di condurre. La storia è ben raccontata dal giornalista e scrittore Salvo Sottile, già autore del romanzo Maqueda, i cui diritti sono stati comprati dal produttore cinematografico Valsecchi. (di Adriana Falsone) balarm magazine 29


IN LIBRERIA

IN LIBRERIA

LA VERITÀ SCOMODA / 176 pagg. / € 15 / Aliberti

SCONOSCIUTI E DIMENTICATI / 158 pagg. / € 12 / Navarra Editore

Mauro De Mauro, nel 1962, ritrova un vecchio verbale di polizia: sono le rivelazioni di un pentito mafioso, risalenti al 1936, che descrivono l'organigramma completo di Cosa Nostra. Il giornalista de "L'Ora" pubblica in tre puntate il verbale sul celebre giornale palermitano. Quel documento potrebbe rappresentare una svolta decisiva per far luce sulla scomparsa di De Mauro, avvenuta il 16 settembre 1970. L'inchiesta di Francesco Viviano, inviato speciale di "Repubblica" sostiene che dietro la morte di De Mauro ci sarebbe il tentato golpe di Junio Valerio Borghese e la ricostruzione, con troppi anni d'anticipo, degli interessi che la mafia siciliana tesseva insieme a illustri personalità del mondo politico e imprenditoriale, che collegava Palermo con Roma. (di Adriana Falsone)

Forse non tutti sanno che in corso Pisani c'è una coppia di orologi, risalenti al 1802, che era destinata originariamente a indicare l'ora l'uno ai sani, l'altro ai pazzi. E poi ancora cosa si cela dietro la strada del Capo detta "via Scippateste"? Lino Buscemi, con ironia e un pizzico di critica agli amministratori della città di Palermo, ha raccolto una settantina di articoli dedicati a luoghi, monumenti e personaggi poco noti della storia cittadina, apparsi tra il 1998 e il 2001 su La Sicilia nella rubrica "Palermo Sconosciuta", dando corpo ad un libro pieno di curiosità e aneddoti. Ai giovani l'invito ad indagare la storia "minore"con attenzione rivolta verso un patrimonio storicoartistico sconosciuto ai più e non sufficientemente valorizzato. (A. F.)

VENTO SCOMPOSTO / 405 pagg. / € 19 / Feltrinelli

MONDO BASTARDO / 240 pagg. / € 12 / Duepunti edizioni

Un disegno ambiguo realizzato dalla piccola Lucy Pitt sta per strappare una bambina e la sua sorellina alla propria famiglia. Come vengono tutelati i bambini vittime di abusi? Forte della sua esperienza come avvocato, Simonetta Agnello Hornby presenta il suo nuovo romanzo giudiziario ricco di spunti di riflessione e avvincente come un thriller. Un'indagine che si snoda all'interno della middle class londinese, descrivendo il paradosso della norma giuridica chiamata Children's Act: pensata per tutelare il minore, infatti, può finire, nella prassi giudiziaria, proprio per penalizzarlo. La Londra di Kensington e l'opulenza della city rivivono mettendo insieme alta-borghesia e appartamenti di periferia, aule di tribunale, parchi e mercati. (A. F.)

Paura del diverso e criminalizzazione indistinta degli stranieri, anche a causa del caotico bombardamento mediatico. Giusto Catania propone un'ipotesi "scomoda" sullo stato attuale delle cose: la società multiculturale non è una speranza per il futuro, ma, al contrario, è l'emblema della contrapposizione costante tra culture perchè si sta sempre di più affermando un modello di società nei fatti xenofoba. Si dovrebbe costruire un mondo in cui le culture possano contaminarsi, in cui il "meticciato" diventi l'unica opzione plausibile. Da qui la definizione positiva di "bastardo", una mescolanza tra culture ed etnie. L'autore è parlamentare europeo per la Sinistra unitaria europea, ed è vice-presidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. (A. F.)

PALERMO GUIDA ALL'ARCHITETTURA DEL '900 / 280 pagg. / € 18 / Salvare Palermo

IL SONAGLIO / 195 pagg. / € 12 / Sellerio editore

Non è una storia dell'architettura ma una storia del tessuto cittadino attraverso le opere presenti in città. Questa guida, nell'intento di Matteo Iannello e Glenda Scolaro, nasce come strumento di conoscenza per i turisti, gli studiosi o i semplici appassionati che siano disposti ad affrontare un itinerario inedito. Non sempre infatti, ciò che è sotto gli occhi di tutti è visibile. Una mappa della città accompagnerà il lettore nella ricerca dei cento progetti descritti all'interno delle tavole di riferimento, intervallando ciascuna scheda con pagine speciali sulle principali vicende urbane legate alla storia dei piani urbanistici, dei concorsi, delle demolizioni e delle ricostruzioni, delle speculazioni edilizie e del difficile recupero del centro storico. (A. F.)

Un mondo ormai perduto, un sud lontano dove è la natura a dominare gli animi e le regole che contano sono quelle dell'onore e non del peccato. E' la storia di Giurlà, un adolescente mandriano di capre affascinato dagli odori e i colori della campagna, dal lago, profondo e taciturno, e dalla solitudine. Unica compagnia: le capre. In particolare ce ne è una che non lo lascia mai: è Beba. Durante le sere ascolta le donne cantare strane storie: racconti di dei e metamorfosi, di trasformazioni nel nome dell'amore. E così Giurlà guarda Beba con occhi nuovi. Andrea Camilleri abbandona ancora una volta il commissario Montalbano per cimentarsi in un racconto immaginifico e sognante, ambientato nelle aride e cocenti campagne siciliane. (A. F.)

PEPPINO IMPASTATO, UN GIULLARE CONTRO LA MAFIA / 128 pagg. / € 14 / Becco Giallo

CUBA / 280 pagg. / € 65 / BazanPhotos Publishing

Il giovane Peppino Impastato moriva il 9 maggio del 1978. Con le sue parole ha cercato di combattere la mafia fin tanto che non è stato ucciso. Adesso la sua storia ispira perfino un fumetto, raccontando per immagini i suoi combattivi interventi attraverso la radio e, infine, il suo omicidio. Peppino Impastato, un giullare contro la mafia, è l'ultimo fumetto della casa editrice Beccogiallo. Gli autori sono due ragazzi siciliani Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso. Attraverso le parole di Radio Aut, la radio in cui Peppino e la redazione sbeffeggiavano pubblicamente i mafiosi, viene ripercorsa la storia di questo giovane ragazzo. Un giornalista combattivo, che è andato contro tutto e tutti. Perfino contro la propria famiglia. (A. F.)

Ernesto Bazan è approdato a Cuba quasi per caso, nell'autunno del 1992. E per le strade dell'Avana ha ritrovato la sua infanzia siciliana perduta. Grazie alle foto scattate nel suo incessante deambulare per l'isola, ha vinto alcuni dei più importanti premi internazionali fra cui il W. Eugene Smith Fund considerato l'Oscar della fotografia documentaristica mondiale, il primo premio nella categoria di vita quotidiana al World Press Photo, e una borsa di studio dalla prestigiosa Fondazione Guggenheim. Il libro "Cuba" contiene stralci del suo diario, provini, riflessioni e citazioni di vari autori. La pubblicazione, completamente autoprodotta, racconta la storia del fotografo in maniera personale e intima, senza tralasciare la natura del reportage. (A. F.)

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CAMPUS LINCOLN Inaugura a Palermo il primo grande complesso scolastico stile Usa: un polo d’eccellenza tra istruzione, sport e condivisione dirigenti della Lincoln Srl insieme a Massimo Muscato (nella foto a destra), che possono ormai ritenersi d’arte nel settore; la famiglia Muscato vanta alle spalle una grande tradizione in fatto di scuole paritarie, avendone gestite già dal secondo dopoguerra (tra licei e istituti tecnici). Per definire l’intero progetto, commissionato ad un studio di professionisti, tra cui quattro ingegneri e un architetto (tutti siciliani e under 35), ci vorranno altri cinque anni, ma due blocchi verranno completati a breve, ed è proprio qui che la scuola si trasferirà in primavera. Ma non sarà solo l’utenza scolastica a giovare della struttura. Infatti, anche la collettività e la cittadinanza intera potrà usufruire degli impianti sportivi, delle biblioteche, dell’asilo nido e dell’auditorium. «È stato molto importante e significativo - continua Tumminelli - poterci rendere conto delle professionalità d’eccellenza che esistono nella nostra terra. Ci siamo avvalsi delle competenze specifiche di circa quindici imprese tutte diverse, che, da quando è stato avviato il cantiere, hanno lavorato ininterrottamente, con grande cura per i dettagli». Così la Lincoln Srl, che fa parte di Confindustria, lancia messaggi ottimistici al mondo dell’imprenditoria siciliana: «Bisogna avere fiducia e credere in questa terra – continua Tumminelli - così per noi che crediamo profondamente nel futuro della Sicilia e vogliamo assicurare un futuro migliore ai gioph. Luca Savettiere vani e ai nostri figli, fin da subito abbiamo creduto fortemente in questo progetto. E di attrezzature per la realizzazione e la gestione di una quando un’attività privata interviene sul territorio con scuola superiore, nasce la struttura, grazie all’entusia- delle idee valide anche le banche le supportano. smo di chi ha creduto e portato avanti il progetto, in Adesso, nonostante qualche notte insonne, non vedo via Eleonora Duse, tra la vegetazione che circonda l’ora di raccogliere i primi frutti». Così con il supporto l’area dove di recente il Comune di Palermo ha avviato dell’amministrazione comunale e il sostegno finanziaun piano di riqualificazione. «Per noi, che abbiamo stu- rio di Banca Nuova, la nuova realtà che sta per nascediato all’estero, è normale concepire una scuola che sia re a villaggio Ruffini darà posti di lavoro a circa anche residenziale con campi sportivi, biblioteche e 150/200 docenti. Estrema attenzione è stata rivolta poi ristoranti. In Europa è così, e abbiamo voluto dare all’architettura, infatti lo studio al quale è stata comanche ai giovani palermitani l’opportunità di studiare missionata l’opera ha pensato a particolari tecnici in un vero e proprio campus». Sono le parole di all’avanguardia ed anche eco-compatibili: dalle facciaGiuseppe Tumminelli (nella foto a sinistra), uno dei due te ventilate, al brise-soleil (dei pannelli di lamiera foraDa un sodalizio importante tra pubblico e privato, nasce a Palermo, immerso nel verde di Villaggio Ruffini, un polo d’eccellenza. È il Campus Lincoln, primo grande complesso scolastico stile Usa: un luogo in cui l’istruzione si fonde con lo sport e il tempo libero. Palestre attrezzate, aule a norma, una piscina, un campo da basket, sei campi da tennis, un auditorium, un asilo nido, una biblioteca, una mensa con annessa la caffetteria, ma soprattutto una struttura residenziale con 220 posti letto: sarà tutto questo il Campus Lincoln, pronto ad ospitare quei giovani pieni di voglia di cultura, di crescita, sport e di condivisione. Così, proprio a Palermo, in un’area tra le più povere di servizi e

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ph. Luca Savettiere

ta che hanno la caratteristica di essere leggeri, sia come struttura che come percezione visiva, ma tuttavia solidi e duraturi), con estrema attenzione sia ai criteri antisismici che all’impatto ambientale. Così è possibile trovare nella struttura molte bioarchitetture, pannelli solari per il fabbisogno energetico, ma anche tetti-giardino, senza tralasciare l’idea della dinamicità, del movimento, e soprattutto, del luogo di incontro, è anche prevista la connessione wireless gratuita su tutta la superficie del campus. Inoltre, da una convenzione stipulata con l’Amministrazione comunale di Palermo, sono state anche stanziate delle borse di studio per i studenti più meritevoli, per cui l’Istituto si impegna a darne due per ogni classe dei corsi. L’intera opera, che verrà completata nel 2014, prevede sei costruzioni per una superficie coperta di 4.210 metri quadrati e 16.857 di area verde circostante, dove, oltre al Campus Lincoln verrà ospitata anche l’Università di

Malta (Link Campus), con corsi di studio che apparterranno principalmente a due aree: quella economica e quella giuridica, che alla fine, rilasceranno agli studenti dei titoli riconosciuti, a tutti gli effetti di legge, sia in Italia che all’estero. La storia del Campus Lincoln sembra così calcare quella della Columbia University, una delle università più all’avanguardia d’America, progettata da Renzo Piano e sorta ad Harlem, un quartiere di New York: allora si concepì un nuovo modo di fare architettura orientata alla socialità. Infatti alla Columbia, così come al Campus Lincoln, l’architettura non è un’imposizione verticale sul territorio e i suoi abitanti, ma diventa un movimento che non può prescindere dalla compartecipazione degli abitanti e dall’interazione con il territorio. Il Campus è aperto ai visitatori sin da adesso. Per maggiori informazioni, inoltre, è possibile anche visitare il sito Internet ufficiale all’indirizzo web www.campuslincoln.it. balarm magazine 33


ph. Valentina Glorioso

CINEMA

VINCENZO FERRERA

Faccia pulita, jeans e maglietta, l’ispettore Stefano Martorana del romanzo popolare “Agrodolce”, racconta la sua “riconciliazione” con Palermo e il suo mestiere di attore di SVEVA ALAGNA balarm magazine 34

Un attore diretto e solare, di una semplicità coinvolgente, qualità piuttosto rare, per un artista. Faccia pulita, jeans e maglietta, Vincenzo Ferrera ha 36 anni, è palermitano ed è l’ispettore Stefano Martorana nella soap “Agrodolce”, in onda tutte le sere su Rai 3. In realtà, prima del piccolo e del grande schermo, l’artista si è formato sul palcoscenico: fra il 1994 e il 1996 ha seguito laboratori e seminari su singoli aspetti della recitazione, per poi debuttare con l’Amleto portato in scena da Carlo Cecchi, che lo ha voluto con sé anche per altre pièces. Nel 2003, ha recitato per Toni Servillo in “Sabato, domenica e lunedì” di Edoardo De Filippo e per Glauco Mauri in “Enrico IV” di Pirandello. Una premessa tutta teatrale, dunque. «Il teatro è la mia passione - spiega l’attore. – Esso richiede inevitabilmente il fatto di riuscire a cogliere più sfumature interpretative; questa ricerca, per di più applicata ad un teatro di qualità è assolutamente appagante». Dopo 12 anni a Roma, tra tournée e il debutto cinematografico nel 1999 con “Il Manoscritto del principe” di Roberto Andò (con cui ha collaborato anche nel 2005 in “Viaggio segreto”) Vincenzo si fa notare dal grande pubblico rivestendo i ruoli di Beppe Montana ne “Il capo dei capi” e Vincenzo Li Muli ne “Gli angeli di Borsellino”. Cosa lega tutti i ruoli che ha interpretato? «Cerco di recitare in modo naturale», afferma. Sembra una contraddizione in termini, ma Vincenzo spiega che ha in sé come un “database emozionale”, legato senza dubbio all’esperienza teatrale, da cui attinge per assumere un ruolo. «Nel calarmi nel personaggio uso la spontaneità - continua - e non riesco ad ammiccare troppo alla telecamera». Racconta di imbarazzarsi quando i fan lo riconoscono, sebbene si definisca un egocentrico e un individualista. «Non come Stefano Martorana, che ha completamente dedicato la sua vita agli altri», prosegue. «Il fatto è, che si può essere artisti, senza ostentarlo». Sempre sottovoce e con i piedi per terra racconta: «Nella fiction il rapporto tra il mio personaggio Stefano e il figlio Michele è stato una sorta di tirocinio». Vincenzo Ferrera, infatti, si è ristabilito a Palermo per una congiuntura di cose, in primis è neo papà: «Ero preoccupato inizialmente, pensavo che il mio lavoro potesse non essere ideale per un bambino, ma poi ho capito che non è la quantità di tempo trascorsa insieme ma la qualità a fare la differenza». Una sensazione nuova quella di genitore - educatore, tanto che il suo sogno è aprire una scuola di recitazione a Palermo: «vorrei coinvolgere tutti i talenti locali, oltre i miei amici e colleghi Ernesto Maria Ponte e Orio Scaduto; vorrei tutti gli attori siciliani al mio fianco, da Claudio Gioè, a

Paolo Briguglia, fino a Corrado Fortuna». Come ulteriore motivo di riconciliazione con Palermo, l’attore, è stato coinvolto nel progetto “Agrodolce”. Nel cosiddetto “romanzo popolare” sei famiglie vivono nell’immaginaria città di Lumera, sulla costa siciliana, dove le loro vicende si intrecciano. Onesto e generoso, Stefano è l’ispettore del commissariato di Lumera, un poliziotto concreto che conosce la realtà in cui lavora. Sono passati anni da quando ha perso la moglie Gabriella, ma per Stefano, rimasto con il piccolo Michele, non è semplice ricostruire. Vincenzo racconta di essere anche lui un nostalgico. Ossessionato dal tempo che scorre, convive con quella malinconia speciale legata al momento che non ritorna. Lo prende insomma una memoire involontaire di proustiano retaggio, al rivivere delle sensazioni, anche nel modo e nel momento più inatteso. “Agrodolce”, un progetto in evoluzione, nonostante la non semplice posizione all’interno del palinsesto

ph. Valentina Glorioso

televisivo (la fascia oraria dedicata ai TG), «segue una linea sempre più verosimile. “Agrodolce” ha innegabilmente dato la possibilità a tantissime persone di lavorare e di costruire a Termini un polo di opportunità lavorative», suggerisce l’attore. Come tralasciare, infine, che Vincenzo Ferrera è la voce dei “A noi ci piace vintage” (il gruppo creato da un progetto con il percussionista Dario Sulis)? E in quanti hanno partecipato nel mese di dicembre all’atelier del Teatro Montevergini alla trasposizione locale della kermesse di Sanremo? Idea sua. «È un gioco, con Orio Scaduto ci siamo inventati una cosa carina che non c’era», dice. Insomma Vincenzo Ferrera, ama reinventarsi, con slancio e curiosità. Rifiuta l’idea di molti attori che sostengono “non avrei potuto fare altro”: «sarei potuto diventare medico, come mio padre». La verità è che, spesso, è l’arte, in qualche sua forma, che sceglie te. balarm magazine 35


CINEMA

Un “corto” per Li Vigni & Li Vigni

I fratelli palermitani sono i protagonisti di “Far finta di non essere soli”, che affronta le paure della società di DANIELA GENOVA Alienazione, auto-isolamento, terrore di mischiarsi agli altri? Sono le paure che oggi il progresso ci porta a vivere, ma limitazioni da affrontare e sconfiggere. Da questi temi nasce il cortometraggio “Far Finta di non essere soli”, diretto dal regista Alex Madia Levi (napoletano d’origine ma emigrato per lavoro a Londra) ed interpretato dai fratelli Giuseppe, Marco e Silvia Li Vigni. Un tema attuale e complicato che il regista ha però voluto affrontare con dei personaggi che nella vita fanno i comici e la cui interpretazione, senz’altro spontanea, rende un tema difficile più leggero. Madia Levi lancia così un unico chiaro messaggio: bisogna tirarsi fuori dalla politica del terrore alla quale siamo

si pezzi, “La solitudine” e “Far finta di essere sani”, che formano la colonna sonora. Nessuno come Gaber è infatti riuscito a cogliere le sfumature delle stranezze e le anomalie dell’uomo medio italiano tra gli anni ‘60 e ‘90. La simpatica coppia di comici palermitani Li Vigni & Li Vigni era già stata scelta dallo stesso regista per girare il corto “200” arrivato finalista di un concorso lanciato su Youtube e anche questo ambasciatore di una condizione surreale: il desiderio di un vecchio che a duecento anni vuole ma non riesce a morire. “Far Finta di non essere soli” (su www.youtube.com digitando il titolo del cortometraggio nella barra di ricerca o su www.youtube.com/mewproductions) sarà invece pre-

sottoposti ogni giorno. Ecco che allora vediamo tre fratelli ricreare ogni mattina la stessa situazione, si svegliano, si preparano per uscire e si incontrano per strada fingendo di essere vecchi amici, e, come accade quando la situazione è però reale, passano ore a raccontarsi gli anni trascorsi. Poi il ritorno a casa e alla normalità. Quattro minuti girati con un effetto vicino a quello della camera rotoscopica, che aggiunge al corto un sapore fumettistico e che raggiunge il surreale al punto da fare ridere e pensare: questa è pura follia! Il sorriso diventa improvvisamente amaro se però pensiamo che sono in tanti oggi a sentirsi soli e a non sapere bene interagire con il mondo. Nella scelta del titolo il regista ha voluto rendere un omaggio a Giorgio Gaber mescolando in un unico ibrido i titoli di due suoi famo-

sentato a Cannes 2009 nell’ambito della rassegna “Short Film Corner”. Ancora con i Li Vigni, Madia Levi porterà avanti un terzo progetto che questa volta li vedrà nei panni di due serial killer poco probabili, protagonisti di uno spoof horror. La carriera cinematografica di Levi registra già alcune vittorie iniziate con il cortometraggio “Murderer either way” girato nel 2004, con il quale analizza in modo introspettivo la condizione di un ragazzo di razza mista nella moderna società britannica, arrivato in semifinale al Festival di Los Angeles. Nel 2006 a Cuba, su invito del governo, dirige poi un cortometraggio a sfondo sociale sul tema della prostituzione, vincitore nel 2007 come Miglior Documentario al Festival di Miami e premiato nel 2008 con il Nastro d’Argento al Festival di San Francisco. balarm magazine 36


COSTUME

Matrimoni & Superstizioni

Un piccolo vademecum di regole d’oro per tutte le future sposine, tra riti propiziatori e gesti scaramantici, per un matrimonio antisfiga e a prova di malocchio di FEDERICA SCIACCA balarm magazine 38

È ufficiale. È arrivata la primavera. Il sole è più cal- separata dal marito, che mi ha confessato che non è che do, i fiori sbocciano e le persone si innamorano, e avesse solo un semplice ciondolino di perle il giorno del quelle che invece si sono innamorate primavere fa... si suo matrimonio, ma addirittura tutta la parure complesposano. In effetti, quale se non la primavera potrebbe ta... insomma, non se la poteva scampare! Invece, essere la stagione più adatta per convolare a nozze? meglio mettere l’acquamarina che dicono assicuri fedelOra, care future sposine, sono certa che nell’organizza- tà e un felice matrimonio. Oltre a questo la sposa poi zione del giorno del sì non abbiate dimenticato nulla, dovrebbe indossare quattro cose: una vecchia, una nuopignole come siamo noi donne, in questo genere di va, una cosa prestata da una persona cara e una cosa cose. Ma tra musiche, partecipazioni, organizzazione dei blu. L’oggetto nuovo e quello vecchio simboleggiano il tavoli, scelta del menù, e tutta la lista infinita di cose che passaggio dalla fanciullezza alla nuova condizione, quelvi vede affaccendate da un anno, c’è una cosa che nes- lo in prestito significa far partecipare strettamente alla sun diario di bordo matrimoniale vi ricorderà: tutti gli cerimonia una persona cara, mentre l’oggetto blu è trascongiuri perché questo matrimonio vada bene. E non mandato dalla tradizione ebraica di ornare le spose con mi riferisco al corso prematrimoniale, ma di gran lunga un nastro di questo colore, segno di purezza e fedeltà. E più laicamente, a tutte quelle superstizioni da seguire poi ovviamente il velo, che deve essere immancabilscrupolosamente. Perché, si sa, anche se non ci credia- mente regalato da una sposa felice. Se poi ne conoscemo, in fondo che ci mettiamo a farle? Insomma, perché te una, che otre ad essere felice abbia anche buon proprio tentare la sorte con tutti i guai che dicono ci gusto, meglio per voi. Ancora un’altra cosa ha invece a aspetteranno? E allora prendete appunti e armatevi, che fare con il letto nuziale, vero cuore pulsante del anche se il giorno delle nozze è lontano perché “non si matrimonio: lo si prepara in due e andrebbe fatto la sera sa mai!”. Intanto, la prima, prima del matrimonio da due vecchia quanto il cucco: di ragazze nubili, meglio se verTra musiche, partecipazioni, Venere e di Marte nè si sposa organizzazione dei tavoli e tutta gini, in segno di purezza. Poi, né si parte. Secondo la creil giorno stesso del matrimola lista infinita di cose che vi denza popolare, infatti, il nio la sposa deve uscire di vede affaccendate, c’è una cosa casa con la gamba sinistra martedì appartiene al Dio della guerra, mentre il venerdì che nessun “diario” matrimoniale come buono auspicio per le secondo la cabala è il giorno vi ricorderà: gli scongiuri perché nozze e una volta sposati, in cui furono creati gli spiriti questo matrimonio vada bene impossibile da dimenticare, maligni. E quindi, voglio dire, anche perché sicuramente c’è ce ne sono sette di giorni disponibili, per sì e per no, sce- chi ve lo ricorderà: il lancio del bouquet. Ma mi raccogliete gli altri. Poi: non vedere lo sposo dopo la mezza- mando, mirate sempre la vostra amica o sorella single, notte del giorno del sì e non mostrargli l’abito da sposa. perché se va a finire in mano dell’invitata odiosetta e Ma questa secondo me, andrebbe seguita per un altro sempre piena di uomini, magari non vi porterà sfiga, ma motivo, e cioè: visto il vestito, tolto lo stupore, no? certamente vi farà veleno. E poi non scordatevi il riso Certo, a meno che non vi siete fatte prendere la mano e all’uscita, augurio di ricchezza e gioia, e conservate una scelto un look che forse potrebbe “stupire” un po’ trop- fetta di torta nuziale: vostro marito vi sarà sempre fedepo... (mi raccomando, la semplicità è sempre l’arma vin- le (almeno così si dice, ma non garantisco). Invece, cente, specialmente il giorno delle nozze). Anzi, a segui- lasciate perdere il detto: sposa bagnata e sposa fortunare proprio la tradizione, si dice anche che neanche la ta, solo un modo per indorare la pillola. La festa di addio sposa stessa dovrebbe guardarsi allo specchio con il al nubilato, infine, non c’entra niente con le superstiziovestito, o ad ogni sguardo dovrebbe aggiungere un ni, ma fossi in voi, non me la perderei affatto: per quale indumento nuovo. Questa secondo me è la superstizio- santo rinunciare ad una sana serata in stile “Sex and the ne più crudele: non vedersi col vestito che si è sognato city”? A maggior ragione che potrebbe essere l’ultima da sempre! Magari però, per non tentare proprio la sor- occasione... Perciò non fatevi pregare, state al gioco, e te guardatevi quando ancora vi manca qualcosa, così soprattutto non fatelo insieme al futuro partnter, se no pare che si neutralizzi la sfiga. Altra cosa che si dice è che gusto c’è? Credenze popolari? Tutte scemenze? che le perle sono lacrime e non vanno assolutamente Forse sì, ma se non altro fatele per ridere e allentare un indossate. Questa non la sottovalutate. Anche perché mi po’ la tensione di quei giorni... E poi insomma, tentare è stata recentemente confermata da un’amica, adesso non nuoce! balarm magazine 39


COSTUME

COSTUME

“Troni pubblici”, una guida sul web Una “guida Michelin” utile e divertente che passa in rassegna le toilette pubbliche palermitane e non solo

Siamo TUTTI nella stessa barca “Sbarca” in tv il nuovo talk-show alternativo per rompere gli schemi, tra risate e attualità Tira in ballo una delle allegorie più antiche di tutti i tempi. E lo fa con uno sguardo rivolto all’attualità e alla capacità di far ridere la gente. “Siamo tutti nella stessa barca”, il nuovo talk-show diretto da Ignazio Mannelli in onda su Tgs e Trm da qualche settimana si avvale di una coppia già collaudata: Gianni Nanfa e Marcello Mordino. Trenta minuti a puntata girati sul set del teatro Al Convento di via Castellana Bandiera trasformato in una barca con tanto di vela ammainata e timone. E Nanfa e Mordino come conduttori faranno la parte del nostromo e del mozzo. A condire le interviste ci sarà anche lo sguardo curioso e attento della “topocam” che dal basso, appunto, sbircerà tutto ciò che accade. «La grande novità - dice Ignazio Mannelli, ideatore del format - sta nella teatralità del tutto. E ci saranno delle “boe teatrali” da superare. Come il giuramento dei politici che prendono parte alla trasmissione di non remare mai contro la città. Il mio intento è quello di riuscire a creare a Palermo uno sguardo televisivo attento ai problemi della città, ma anche di tutta l’Isola. Desideravo portare un po’ di potenza di comunicazione nella realtà televisiva della Sicilia occidentale da tempo surclassata dal polo di Catania». Torna così dopo più di dieci anni l’atmosfera della fortunata trasmissione “Non parlare al conducente”, girata sugli autobus di

di VASSILY SORTINO

Anni fa, armato di chitarra, Roberto Benigni li esaltava in “L’inno del corpo sciolto” cantando: «Evviva i cessi / sian benedetti / Evviva i bagni, le toilette e i gabinetti». Oggi, potenza della rete Intenet, li possiamo anche fotografare, mettere online e giudicare. Già, perché non è facile rapportarsi al wc. Soprattutto quando non si usa quello di casa, ma la “tazza” di un locale pubblico: spesso sporco, malsano e che fa un odore irritante. Però, quando – nei ristoranti, in pizzeria o al cinema – ti prende quel bisogno di “incipriarsi il naso” (per le donne) o “lavarsi le mani” (per gli uomini), non resta altro da fare che prendersi di coraggio e affrontare l’orinatoio. Pronti a trovare di tutto, un po’, come degli Indiana Jones, e a

facesse parte del locale». E così, per ogni “trono” c’è una scheda, con tanto di location e foto, indirizzo, descrizione, voto e il consiglio se frequentarlo o tenersi alla larga. Il fenomeno provocato dal sito si è allargato, al punto che gli utenti, hanno cominciato a fornire loro stessi materiale da recensione per “pisciatoi” degni di nota. E così, limitandoci ad alcune voci della pagine palermitane, si legge che nel “trono” del bar del Foro di piazza Vittorio Emanuele Orlando, quello di fronte il tribunale per intenderci, «non vi è la minima attenzione alla sua pulizia, igiene e cura». Se la passa un po’ meglio il “sedile” del Al 59” in piazza Verdi dove «sussiste un odore sgradevole in tutto il blocco servizi, composto da 3 vani

mettere da parte, in nome della minzione, anche le più elementari regole igieniche. Ma quale è effettivamente l’orinatoio più sporco? A chiarirci le idee ci ha pensato allegramente la giornalista Maria Letizia Affronti, supportata da Gabriele Maira, creando www.iltronodeire.com, un sito che, leggendo l’home page, “nasce da un’esigenza concreta che riguarda tutti gli esseri umani: quella di trovare un luogo consono per espletare le improvvise ma necessarie espressioni fisiologiche”. E così i due burloni si sono divertiti a girare (e bollare con tanto di adesivo) alcune toilette pubbliche di Palermo, Enna, Caltanissetta, Ragusa e Trapani, dando un preciso giudizio con tanto di scheda e foto. «In pratica è una guida “Michelin” delle toilette – dice la Affronti – che nasce dalla valutazione del fatto che spesso i proprietari dei ristoranti o gli esercenti cinematografici, trascurano la qualità del gabinetto, quasi come se non

wc. Il wc handicappati non è a norma». Neanche i cinema vengono risparmiati. Così, il “trono” del King di via Ausonia 111 è classificato come «appena sufficiente. Un solo lavabo è veramente poco per un’utenza numerosa, concentrata spesso in un breve lasso di tempo». Pieni voti invece per la toilette di “Luci e calici” di via Sammartino 121: «Uno dei migliori. Non solo perché curato nei minimi dettagli ma anche e soprattutto perché è un vero e proprio luogo dedicato al relax e alla tranquillità. Oltre alla dolce musica all’ingresso si è accolti da un forte odore di incenso». Resta una curiosità. Quale è la toilette cittadina nelle peggiori condizioni? Secondo i visitatori del sito iltronodeire.com e come dice la Affronti ridendo: «Collica in viale Strasburgo, con il “trono” a pochi centimetri dal bancone della rosticceria e dei gelati, un bagno unisex e senza l’area per disabili. Senza carta igienica e addirittura senza tavoletta».

di CLAUDIA BRUNETTO

linea con l’interazione degli stessi passeggeri sui temi di attualità. «È un talk-show alternativo - dice Nanfa - al passo con i tempi. Abbiamo rinunciato alla classica struttura un po’ ingessata con poltrone e interviste per qualcosa di più dinamico. La componente del gioco è molto importante. Una trasmissione impegnativa, ma allo stesso tempo divertente». I conduttori faranno salire a bordo ogni volta ospiti diversi del mondo della politica, dello spettacolo, della cultura, dell’imprenditoria e della Chiesa. «Passeremo dal serio al faceto - dice Mannelli - con la spiccata irriverenza di Mordino e un presentatore graduato come Nanfa». Si navigherà sulle difficili acque della crisi economica, della precarietà del lavoro e del futuro dei giovani. Molto importante sarà anche il supporto del pubblico che sulla barca avrà il ruolo della ciurma. «Con questo format - continua Nanfa - nasce anche un nuovo modo di condurre. Si tratta di un gioco fra il nostromo, gli ospiti e il comico ormeggiatore. Poi si crea un’atmosfera da “siamo tutti marinai” dove le cariche non esistono o comunque non valgono più. Anche questa è una rottura rispetto al solito schema». La trasmissione va in onda martedì alle 20.30, mercoledì alle 22.15, sabato alle 20.30 e domenica alle 21 su Tgs, sabato alle 23.30 su Trm e lunedì, mercoledì e venerdì alle 00.25 su Med 1. balarm magazine 40

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ph. Federico Maria Giammusso

SOCIETA’

Un movimento “Per Palermo”

Nasce a Palermo un movimento di liberi cittadini aperto di SONIA PAPUZZA a tutti, per un cambiamento concreto della città Il nome è netto, “Per Palermo”. Il simbolo è un tasto d’accensione, un’antica runa che segna l’apertura dal buio alla luce. Già dai primi segni, quelli esteriori, il nuovo movimento palermitano offre subito l’idea di quello che si propone di fare: operare concretamente perché la città diventi migliore, un impegno al cambiamento che passi da progetti condivisi con il maggior numero possibile di persone. Il movimento è stato presentato ufficialmente il 14 dicembre e già il 22 marzo, data del secondo incontro cittadino, il pubblico era quasi raddoppiato. Perché il desiderio di cambiare è tanto e le idee per farlo altrettante. E non c’è più la pazienza di aspettare che lo facciano gli amministratori della cosa pubblica. «”Per Palermo” è l’ultima cosa che avremmo voluto fare – spiega Giuseppe Valenti, presidente del movimento – perché significa che qualcosa non funziona. I politici che dovrebbero far funzionare la città, e intendo sia quelli di destra che di sinistra, ci danno invece solo un frutto malato. La nostra città è malata. Il lavoro, la cultura, l’ambiente, la qualità di vita: niente risponde ai criteri minimi». Lo scopo del movimento, formato da una trentina di fondatori e aperto a chiunque voglia farne parte, è quello di studiare i problemi della città e di creare dei gruppi di lavoro che, ognuno nel proprio settore, pro-

pongano delle soluzioni. Gli spunti di lavoro sono tantissimi: individuare criteri e regole per lo sviluppo sportivo, culturale e artistico di Palermo; l’attenzione al turismo; i rifiuti; progettare un organico Piano urbano del traffico; speculazione urbanistica e riqualificazione del centro storico. E molti altri ancora gruppi di lavoro e discussione a cui si può dare il proprio contributo sul sito del movimento: www.perpalermo.it. «Ormai c’è un distacco totale fra i cittadini e chi li amministra – continua Valenti – il cittadino viene offeso continuamente e ci si abitua. Noi invece vogliamo che il movimento cresca con tutte le persone di buona volontà che vogliano rimboccarsi le maniche per la loro città. Noi siamo quello che facciamo, non quello che diciamo di fare». Tra le frecce all’arco di “Per Palermo” per farsi conoscere, oltre agli incontri cittadini (il prossimo sarà il 14 giugno) e il sito internet, c’è anche la trasmissione con Gianni Nanfa (che è uno dei fondatori del movimento) e Marcello Mordino “Siamo tutti nella stessa barca” in onda su Tgs, Trm e Med1. I primi risultati concreti degli studi avviati sulla mobilità e sui rifiuti saranno presentati durante l’incontro cittadino di fine anno. «È l’ultima cosa che ci rimane da fare – conclude Valenti - perché dai politici non possiamo aspettarci altro». balarm magazine 42



CIBO

L’ABBINAMENTO IL VINO

ph. Federico Maria Giammusso

di GIORGIO AQUILINO

“Grattò”: l’orgoglio della zia Patate, uova, formaggio, burro e pan grattato sono la base del “grattò”, tutto il resto è fantasia “Finalmente la primavera, che gioia! Gli uccellini cinguettano, si annusano profumi di magnolia e di mandorlo, i prati rinverdiscono…”. Facevo queste romantiche considerazioni, in compagnia di un’amica, quando il cameriere del bar, in cui eravamo sedute, servendoci una coppa di gelato, con panna e brioscina – se si deve peccare, bisogna farlo con tutti i crismi! - si è intromesso e mi ha detto: «A me la primavera mi piace perché mi smuove la fame!». E mi ha fatto l’occhiolino. Sono rimasta stordita. Che voleva dire? Non sono così gnucca, il parallelismo fra cibo e goduria, fra gola e lussuria lo conosco anche io, ma perché questa intromissione? Voleva una lauta mancia? Gli sembravamo donne disperate in libera uscita e voleva aiutarci a innalzare il livello di autostima? Sguardi interrogativi tra me e la mia amica hanno gelato l’attimo. Lui, imbarazzato, è fuggito via. Noi siamo scoppiate in una risata, che ha rasserenato anche il giovane impiegato. Noi, brave comari, abbiamo cominciato a improvvisare illazioni sui motivi dell’intromissione. “Ti ha strizzato

Non è raro trovarsi a discutere sulla funzione dell’abbinamento e sulla reale importanza di questa materia. Ciò perché si trascura troppo spesso la funzione sociale che il vino ricopre, cioè quella di essere servitore della tavola. Grazie alla naturale capacità di animare il cibo senza essere né invadente né arrendevole, il vino pulisce la bocca fra un boccone e l’altro ravvivando, così, il desiderio del boccone successivo e uscendone, in caso di abbinamento corretto, a sua volta esaltato. Questo è poi il fine ultimo della nostra missione. Trattando del caso concreto, precisiamo innanzitutto che i cibi a base di patate, con la loro tendenza dolce, vanno contrapposti ad una certa durezza del vino, data da elementi di acidità, sapidità o effervescenza. Le altre variabili saranno come sempre valutate degustando il piatto finito: una preparazione a cui è consigliabile abbinare un vino rosato con un bouquet fruttato, morbido, fresco, di media struttura e buona persistenza aromatica intensa. Tuttavia è inevitabile che l’aggiunta di altri ingredienti, quali formaggi e salumi, possa cambiare in qualche modo alcune di queste considerazioni, facendo vacillare la bilancia sensoriale verso altre direzioni. Ad ogni modo, considerando la nota ricetta del “grattò”, la scelta migliore sembra essere il rosato prodotto nella Doc Sambuca di Sicilia.

l’occhio, gli piaci”, “Ma che dici? Avrà avuto una pulce nell’occhio, una piattola nella pupilla, un moscerino nel naso e gli veniva da sternutire”. Quando il ragazzo è tornato, gli ho chiesto, per sfidarlo un po’, cosa volesse dire. A quel punto lui ha cominciato a bofonchiare: «Non ti… non si ricorda? Ci siamo conosciuti da Peppe. Io prima lavoravo lì». Ma certo! Lui lavorava in una trattoria agreste, che frequentavo qualche anno fa. Ricordo una sera, dopo Pasqua, in cui, avevamo parlato di gitarelle, di pranzi, in particolare della scampagnata che avrebbe fatto il 25 aprile. Mi aveva osannato le meraviglie del grattò della zia. “Mizzica, un lusso, attrocchiè! Ne deve fare pe llo meno tre chili, attrimenti non abbasta!”. “Ma perché siete assai?” avevo domandato io. “Macchiè! Anche fossimo tre, sempre tre chili ne deve fare!”. Incuriosita avevo avanzato la richiesta della strepitosa ricetta. “E io che ne so?”, “Si, ho capito, almeno dimmi cosa c’è dentro”. “Miiii, un sacco di cose!”. Il solito atteggiamento omertoso dei siciliani, che devono farsi preziosi. Con un certo

distacco, fondamentale per scucire informazioni, gli ave- schiacciate servono: tre uova sbattute da amalgamare vo detto, facendo leva sul suo senso di cavalleria: “Io ado- alla purea, un po’ di formaggio grattugiato a vostra scelro il grattò, magari mi dai un’idea sul condimento”. Lui, ta, un po’ di burro per ammorbidire il tutto (la quantità con la ritrosia di chi non vuol compiere alto tradimento, dipende anche dal tipo di patata), sale, pepe e alcuni mi aveva risposto: “Na volta cci mette la carne, un’altra aggiungono noce moscata, altri cannella, tutte le spezie bbasciamella e formaggi e prociutto, quello che capita cci dipendono dal proprio gusto. Si mescolano gli ingredienmette”. L’importante è la chiati fino a ottenere un composto rezza delle informazioni! “Uno omogeneo. Si versa dell’olio in Il grattò non è solo buono, è si serve anche delle cose che un’ottima alternativa alla pasta una teglia, si sparge un po’ di ha in casa”. “Noo! Macchiè e grattato e si versa metà col forno. Può essere condito in pan secondo te c’ave cose per tre dell’impasto. Si copre con uno qualsiasi modo: ragù, verdure, strato di condimento e si ricochili di grattò? Le compra freformaggi, alcuni lo farciscono pre con l’altra metà dell’impasche!” Come avevo potuto con uno stufato di interiora dubitare della freschezza degli sto. Infine si spolvera con il ingredienti? Comunque a fine pan grattato, si aggiunge un pasto l’unica cosa che avevo saputo è che il grattò della filo d’olio e si fa cuocere in forno caldo a 200° per mezzia era ottimo. In effetti il grattò non è solo buono, è z’ora circa. L’ideale sarebbe lasciarlo addimurare un un’ottima alternativa alla pasta col forno. Può essere con- poco, ma non mangiarlo troppo freddo, soprattutto se ci dito in qualsiasi modo: ragù, verdure, formaggi, salumi, sono formaggi o carne. Salutando il giovane cameriere mi alcuni poi lo farciscono con uno stufato di interiora, con sono permessa una battuta: “Ah, grazie per quella ricetconseguenze apocalittiche per gli stomaci. La base è ta! Lo prepariamo spessissimo!” Gli ho strizzato l’occhio e sempre la stessa. Per un chilo di patate lessate, spellate e me ne sono andata. Per un crasto, un crasto e mezzo!

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di LETIZIA MIRABILE


CIBO

Casa Pitrè: tra cucina, arte e storia Il ristorante e wine-bar nel cuore di Palermo, dove celebrare e assaporare “consentiti pubblici piaceri”

piatti tradizionali, che oggi, rivisitati secondo il nostro gusto, propongo a volte ai miei ospiti»: parla con la passione negli occhi di chi ama il suo lavoro, Danilo Passalacqua (al centro nella foto), l’ideatore del progetto fin nel suo più piccolo dettaglio. «Qui concepiamo il cibo come un momento di piacere, e per questo primo di tutto, non rinunciamo alla qualità delle materie prime. Il nostro menù, infatti, cambia almeno due volte a settimana a secondo del pescato del giorno e delle primizie di stagione. In cucina siamo un “team di pensatori”: creiamo, sperimentiamo, proviamo, assaggiamo, e quando il piatto ha raggiunto il suo massimo equilibrio allora lo portiamo ai tavoli»: continua Danilo. È una cucina tra innovazione e tradizione, infatti, quella di Casa Pitrè, territoriale sì, ma anche con accostamenti etnici. Ed è così che vengono fuori le zuppe di cozze e todaretti, i bucatini alle arance, i piatti a base di formaggi dei nebrodi, ma anche Lomo Saltado (piatto tipico peruviano), il ribey argentino, le carni scozzesi, le crépes arabes e i libidinosi dessert preparati sempre da quel team di pensatori, che evidentemente, oltre che a pensare, è bravo anche a creare. Il tutto annaffiato da vini di tutto rispetto, tra autoctoni e non, insieme ad una particolarissima carta di birre belghe. «Da aprile a giugno, oltre a concertini live nella parte all’aperto del locale ed a un ciclo di “mostre evento degustazione” aggiunge Danilo- partirà la terza edizione delle cene d’autore: cioè delle cene a tema letterario, il cui menù è tratto dal titolo o dal contenuto di un libro, che tra una portata e l’altra viene letto dal suo stesso autore». Infine una chicca in anteprima: «“La terrazza a mare” di Casa Pitrè, per i nostri “pubblici e privati piaceri”… »: dice sorridendo. Il locale è aperto dal lunedì al sabato dalle 12 alle 15.30 e dalle 19 alle 2. Per informazioni o per prenotare, è possibile telefonare allo 091.6119087 o 340.9882436 oppure visitare il sito www.casapitre.it. ph. Federico Maria Giammusso

“Luogo di sosta per consentiti pubblici piaceri”: recita così il “sottotitolo” del ristorante e wine bar Casa Pitrè “Art in progress”, a Palermo in via principe di Villafranca 1. Una frase che in poche parole riassume perfettamente il senso di questo luogo, in perfetto equilibrio tra storia, arte e buona cucina. Casa Pitrè è infatti innanzitutto un luogo storico visto che il ristorante ha preso il posto della dimora del grande medico, scrittore e filologo, Giuseppe Pitrè. Ma è anche e soprattutto un luogo d’incontro, dove far sentire a “casa” i propri ospiti, un posto dove celebrare senza formalismi “i consentiti pubblici piaceri” e le arti in tut-

di FEDERICA SCIACCA

te le loro forme, a cominciare da quella culinaria. Già entrando dal piccolo giardino, l’atmosfera che si respira ha un chè di rilassante e di esotico al tempo stesso: un angolo con i quotidiani del giorno, musica soft, arredamento sobrio ed elegante, e l’arte “spennellata” lungo tutte le pareti, a cominciare dalla “parete Bottari” con le opere di Lorenzo Maria Bottari in mostra permanente, per finire con le esposizioni che si susseguono di quadri, sculture e fotografie di artisti siciliani e non. «Ho avuto la fortuna di viaggiare tanto in giro per il mondo, dalle Americhe all’Indonesia dall’Europa all’Africa, e da questi luoghi ho “rubato” i

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Kids’ British School, spazio creativo Grafica, pittura, scultura, espressione libera: a Palermo la scuola “creativa” paritaria dell’infanzia punta tutto sui laboratori Bisogna cominciare bene per procedere alla grande, per diventare grandi. Bisogna provare, guardarsi intorno, sperimentarsi, assaggiare, toccare con mano che la vita offre mille opportunità, mille suggestioni da prendere al volo. Ognuna di esse è una promessa, una possibilità di riconoscimento del proprio talento, della propria passione, del proprio personalissimo modo di stare al mondo. Per questo Kids’ British School, la scuola “creativa” paritaria dell’infanzia, punta tutto sui laboratori, in cui, sotto la silenziosa regia di una squadra di insegnanti-artisti, i bambini possono, giocando, sperimentare la propria creatività, mettersi alla prova, imparare ad essere responsabili del proprio compito, realizzando con le proprie manine, facendo da sé. Ecco perché l’offerta formativa della scuola si basa su una programmazione per obiettivi che risulta aperta, flessibile e rispondente alle esigenze dei piccoli allievi. A questa prima fase esplorativa, di scoperta della varietà del mondo, si affianca, quindi, il necessario momento di sintesi: ogni laboratorio (grafico-pittorico-manipolativo, espressivo-musicale, di inglese ed educazione motoria), infatti, offre il proprio contributo alla realizzazione di un progetto teatrale annuale, una vera e propria rappresentazione in cui ogni talento e ogni suggestione potrà comporsi in armonia con quella del proprio compagno, imparando a procedere in gruppo al conseguimento di un obiettivo comune. La scuola, è allora chiaro, diventa un momento di progettazione della socialità, basato sulla cooperazione e l’incontro con

l’altro. Ogni attività, infatti, viene portata avanti, giorno per giorno, con un metodo d’insegnamento bilingue, che vede l’inglese sempre protagonista, con una docente madrelingua costantemente presente, durante tutte le attività. Grazie a questo mix esplosivo di competenze la Kids, come tutti affettuosamente la chiamano, si offre come primo momento di socializzazione, guidando il bambino alla scoperta e alla costruzione della propria identità ma anche occupandosi di ogni necessità della vita quotidiana: a scuola i bambini potranno usufruire di tutti i servizi di cura della persona e effettuare dei pranzetti golosi e genuini. A luglio, inoltre, partirà, il progetto “Estate creativa”, che propone a tutti i bambini, anche a coloro che non fanno parte della scuola, di “saggiare” per un mese la ricchezza di suggestioni della scuola, magari mentre papà e mamma sono a lavoro, prima delle ferie. Durante questo mese di attività i bambini potranno conoscere e sperimentare le basi delle tecniche artistiche più affascinanti, sperimentandosi, con matite e colori, in un vero e proprio laboratorio grafico, cimentandosi nella pittura e nella scultura e infine dando spazio alla propria creatività in un laboratorio “libero”, in cui ogni bimbo potrà sperimentare senza inibizioni. Kids’ British School si trova in Via Umbria 2, si rivolge a bambini in un’età compresa tra 2 anni e 6 mesi e 5 anni e 6 mesi ed è aperta tutti i giorni. Per maggiori informazioni è possibile visitare sul web il sito www.kidsbritishschool.it, sempre aggiornato, oppure telefonare allo 091.514150. balarm magazine 50



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