Balarm Magazine | Idee, personaggi e tendenze che muovono la Sicilia | numero 8

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SOMMARIO PRIMO PIANO

6_Giusy Ferreri, l’energia siciliana di “Gaetana”

MUSICA

10_Olivia Sellerio, il nuovo disco “Violeta” 12_Fitzcarraldo, nuova etichetta indipendente 14_Pan del Diavolo, esordio in chiave country blues 16_Combomastas’: 5 anni di hip hop 18_Francesco Di Fiore e le sue “Visioni” 19_Locanda Almayer, il nuovo disco “La joie d’amour”

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TEATRO

22_La Vicaria, nuova casa del teatro 24_Marco Manera e il teatro popolare 26_Teatri negati, storia da salvare

ARTE

28_Sandro Scalia, l’occhio di Palermo 30_Anne-Clémence De Grolée, la Sicilia con occhi francesi

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LIBRI

34_Attilio Bolzoni, la mafia del silenzio in “Parole d’onore” 36_Giorgio Vasta, adolescenti di un ‘78 palermitano 38_Giovanna Fiume, una storia di passione femminile

CINEMA

40_Francesca Beggio, la Lucia Serio di “Agrodolce” 42_Palermo Shooting, un affresco onirico della città 44_Tony Scott secondo Franco Maresco 46_Marina Paterna, il primo corto “Io Vivo”

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SOCIETA’

50_Sul Web un’altra informazione 52_Perso per perso mettilo in rete

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COSTUME

54_Sconsigli per gli acquisti 56_Tutti i volti di Elisabetta Cinà 58_Angelo Duro e il cabaret salutista

CIBO

60_Un inno al cioccolato, cibo divino 62_Gagini: l’arte ci prende gusto balarm magazine bimestrale di cultura e società anno III n°8 dicembre/gennaio 2009 registrazione tribunale di palermo n° 32 del 21.10.2003 editore associazione culturale balarm direttore responsabile fabio ricotta redazione via nicolò gallo 1 - 90139 palermo tel. 091.6113538 / fax 091.6114523 redazione@balarm.it pubblicità w5 mediafactory srl tel. 091.6113538 / mob. 328.5351236 pubblicita@balarm.it

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articoli adriana falsone, alessandra sciortino, antonio castiglia, claudia brunetto, claudia scuderi, daniela genova, daniele sabatucci, dario prestigiacomo, fabio manno, federica sciacca, gigi razete, giorgia scaduto, giorgio aquilino, giulio giallombardo, giulia scalia, laura nobile, laura maggiore, letizia mirabile, manuela pagano, marina giordano, sonia papuzza, saverio puleo, sveva alagna, tommaso gambino fotografie alessandro gerini, bim distribuzione, federico maria giammusso, gabriele mocera, giovanni romeo, giuseppe arnone, mauro d’agati, roberto fenix, valentina glorioso, vincenzo pennino progetto web fabio pileri

progetto grafico salvo leo stampa artigiana grafica tiratura e distribuzione numero stampato in 15.000 copie e distribuito gratuitamente a palermo, monreale, mondello, bagheria e comprensorio in circa 250 punti di aggregazione culturale e mondana abbonamenti su www.balarm.it/abbonamento.asp oppure recandovi presso la nostra redazione, maggiori informazioni al numero 091.6113538 in copertina giusy ferreri (ph alessandro gerini)

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EDITORIALE

È arrivato il tempo dei regali

di FABIO RICOTTA

Cari lettori, rieccoci al nostro appuntamento bimestrale con questo nuovo numero, il nono partendo dal numero zero (cosa che devo ogni volta specificare vista la “geniale” idea di non partire direttamente dal numero uno…). Per prima cosa ci tengo molto a ringraziare tutti voi per il calore che mi avete dimostrato alla festa per i cinque anni di Balarm. Eravamo davvero in tanti a spegnere queste candeline. Detto questo, con le festività alle porte, come non augurare a tutti i voi di passare dei giorni sereni, anche se si sa, per ora la serenità non è che faccia proprio parte di questo mondo… la crisi minaccia un po’ tutti e ognuno nel proprio piccolo sta facendo dei sacrifici. Eppure, finchè si può, si cerca di non rinunciare alle cose belle che ci sono, come per esempio il momento del Natale, che con la sua atmosfera, volenti o nolenti, ci trascina e ci fa ritrovare. Per cui alla fine, ai regalini ad amici e parenti, non si rinuncia lo stesso. Così (tirando acqua al mio mulino), colgo l’occasione per ricordarvi che l’abbonamento a questo magazine, ad una cifra simbolica di sei euro che è solo il costo delle spese di spedizione, potrebbe essere un regalo carino, certamente non banale e soprattutto di pochi euro, per farvi ricordare da parenti e amici per tutto l’anno. Si potrà regalare o acquistare l’abbonamento online su www.balarm.it/abbonamento.asp, oppure presso la nostra redazione, in via Nicolò Gallo 1 a Palermo (W5 mediafactory) o, ancora, presso i punti di prevendita che potrete scoprire su Balarm.it. Inoltre, nell’augurarvi con l’occasione delle feste, di riuscire a ritagliarvi un po’ di tempo libero da dedicare alle tante attività di cui noi ci facciamo ambasciatori, vi ricordiamo che online Balarm (www.balarm.it) dà spazio quotidiano ad articoli di cultura e spettacolo e ad un calendario aggiornato e sempre più ricco di eventi. Adesso, prima di lasciarvi alla lettura del magazine, pieno anche questa volta di contenuti, iniziative e di personaggi come Giusy Ferreri, Olivia Sellerio o Attilio Bolzoni, vi confesso che questo per me è un numero speciale, soprattutto perchè due delle sue pagine portano una firma prestigiosa, quella di Oliviero Toscani e dei ragazzi dell’Assessorato alla Creatività del Comune di Salemi, che le hanno create apposta per noi. Cosa che ci riempe d’orgoglio. Con questa nota positiva vi auguro di passare un felice Natale e un capodanno “sfrenato”…, perché si sa, chi si diverte a capodanno si diverte tutto l’anno! Buona lettura a tutti. balarm magazine 5


ph. Alessandro Gerini

PRIMO PIANO

po per coltivare la mia passione». Beh, adesso la Ferreri può sentirsi più che rassicurata. Dopo essere arrivata seconda a X-Factor e aver venduto 260 mila copie del disco con le canzoni del programma, ha appena lanciato “Gaetana”, il primo cd d’inediti prodotto da Tiziano Ferro. Dopo lo straordinario successo del singolo estivo “Non ti scordar mai di me”, che ha raggiunto la prima posizione nella classifica digitale e nell’airplay radiofonico, ed essersi aggiudica-

ta il triplo disco di platino, Giusy è la prima artista piano. «Mi piace giocare sui contrasti: un disco di emergente a conquistare un traguardo così impor- qualità con un titolo ironico. “Gaetana” è perfetto tante. «Già da bambina avevo la passione della musi- per il mio timbro vocale, cosi personale, forte e ca e scrivevo canzoni – racconta la Ferreri –. ingombrante … proprio come il nome Gaetana – Durante l’età adolescenziale, forse anche superando racconta la Ferreri – a volte mi sembra un sogno un po’ di timidezza, mi esprimevo mettendo per essere arrivata fino a qui. L’importante è mantenere iscritto le mie sensazioni e le mie emozioni, cercan- ancorati i piedi per terra.. e poi chissà cosa mi riserdo di comunicare attraverso la voce. A 14 anni ho va il destino, ancora una volta». Le dodici tracce del fondato la mia prima band musicale “Anime selvag- cd “Gaetana” sono un melting pot di suoni caldi e ge” dove ci esibivamo più che altro in cover di pezzi raffinati, tutti arrangiati da Michele Canova, che classici. Poi, però, a 19 anni ho iniziato a lavorare e spaziano fra le incalzanti sfumature anni Ottanta al durante i weekend era sempre più difficile andare in blues, fino alle contaminazioni pop-rock, tra l’altro giro per piccoli concerti. A 23 ho fatto il salto, pro- con due canzoni, “La scala” e “Cuore assente” scritponendo il mio primo pezzo “Pensieri”. Ma non è te apposta da Linda Perry, un’artista internazionale andato come speravo. Anzi, è andato piuttosto che, fino ad ora, non aveva mai collaborato con artimale. Ora, ironia della sorte, l’ho inserito in questo sti italiani. «È stato da sempre un mio sogno collabonuovo cd». Giusy è nata a Palermo nel 1979, anche rare con Linda ed è una grande soddisfazione essese «in realtà sono nata il 18 aprile – racconta - ma re la prima artista italiana a esserci riuscita. Ha il all’anagrafe hanno sbapotere di comporre la musica gliato a scrivere la data, modo geniale: in ogni bra«Mi piace giocare sui contrasti: in così ufficialmente risulto no ci sono diverse melodie un disco di qualità con un nata il 17». Adesso Giusy ottenute con il medesimo titolo ironico. “Gaetana” è vive ad Abbiategrasso pergiro di accordi della chitarra perfetto per il mio timbro ché ammette, «mi piace – aggiunge – Io sin da piccovivere nei piccoli paesi di vocale, cosi personale, forte e la ho sempre sognato di provincia perché sono più intraprendere un percorso ingombrante… proprio come a misura d’uomo, hanno musicale, ma non avrei mai il nome Gaetana. A volte mi una dimensione tranquilla pensato questo. La tv ha reso sembra un sogno essere e tutto sembra meno indututto più facile e popolare. E arrivata fino a qui» strializzato. Non sono abipoi è arrivato il successo tuata al caos: mi piace radiofonico. All’inizio, quanvivere la grande metropoli per lo svago, ma la sera do devi sfondare, ti devi fare guidare e giocarti tutpreferisco ritornare nel mio paesino tranquillo». te le opportunità. Ecco perché con X-Factor mi sono Riguardo le sue origini siciliane aggiunge: «Mi porto giocata il tutto per tutto. Mi sono prestata alle loro dentro tratti del carattere che fanno della mia per- esigenze, facendomi guidare. In quel momento gli sonalità quella che sono adesso. Mi sento solare, arrangiamenti che andavano per la maggiore erano vivace e dirompente. Beh come sono i siciliani!». Lei quelli forti inglesi di una Amy Winehouse e Duffy. avrebbe dovuto chiamarsi Giuseppa Gaetana, «due Bisognava seguire questa scia.. e così ho fatto. nomi da maschio», come lei stessa li ha definiti, Adesso, finalmente, ho potuto fare di testa mia». “vestendo” i nomi di entrambe le nonne, ma all’ana- Quando Giusy è entrata nel cast di “X-Factor”, alla grafe è stato commesso un secondo errore: «Ha settima puntata, interpretando “Remedios” di messo una virgola fra i due nomi, separandoli». E Gabriella Ferri ha conquistato immediatamente la così, adesso, Giusy Ferreri ha scelto di rendere stima della critica e del pubblico. Il secondo posto omaggio proprio a quella nonna palermitana, ottenuto nella finale di “X Factor” è stato un trampoGaetana, dando il suo nome al proprio disco d’esor- lino di lancio perché appena il giorno dopo la finale, dio: «La vedo raramente perché vive a Palermo, ma l’originale rilettura di “Remedios” è volata al numesiamo legate da affetto profondo. È una nonna ro uno nel downloading di iTunes, alternandosi modaiola e rock: grande fan di Gianna Nannini e ripetutamente con i vincitori Aram Quartet. Una Francesco Renga». Adesso al fianco di Giusy, c’è soddisfazione dopo l’altra fino alla gioia per la prima anche il fratello più grande, che l’accompagna al posizione nella classifica Fimi Nielsen dei brani più

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GIUSY FERRERI

La cantante palermitana che ha scalato tutte le classifiche presenta “Gaetana”, il suo primo disco Il successo non le ha fatto dimenticare di essere, in fondo, una ragazza normale. Ci ha messo tenacia, forza e tanto coraggio e alla fine è riuscita a sfondare. Lei è la rivelazione Giusy Ferreri, ex commessa part time all’Esselunga di Corbetta e palermitanissima di nascita. «È vero, ora sono una star ma non lascio il lavoro di cassiera. Sono tempi difficili per la discografia. Il part-time non era poi così male. Cassiera per tre giorni a settimana, con tutto il tem-

di ADRIANA FALSONE


ph. Alessandro Gerini

PRIMO PIANO scaricati da Internet. «Ho iniziato a cantare ascoltando voci maschili – racconta Giusy Ferreri – così mi è uscito un vocione grezzo che ho affinato grazie ad un insegnante. Assecondando la mia timbrica, mi ha fatto studiare gli spartiti dei classici del blues: dovevo imparare la parte melodica senza aver mai ascoltato la canzone, per poi cantarla seguendo il mio istinto. Ora mi sento più naturale: ho escogitato da sola una via di fuga che al momento giusto, invece di urlare, mi fa trattenere la voce». Diverse le firme importanti del suo ultimo cd. Tra gli altri anche la partecipazione di Sergio Cammariere, che ha vestito con particolari e ricercate sonorità d’impronta jazz il testo di Ferro per il brano “Il sapore di un altro no”. Il singolo “Novembre” è vigoroso e intraprendente proprio come lei. «L’autore Roberto Casalino è stato bravo a cogliere le mie sensazioni: “Novembre” è un brano molto autobiografico, anche se ispirato a vicende passate, perché ora sto vivendo un periodo sereno sentimentalmente e gratificante professionalmente – spiega -. Mi ci ritrovo perché affronta la conclusione di una relazione amorosa con meno romanticismo rispetto a “Non ti scordar mai di me” e maggiore risolutezza nel riprendere il controllo della propria esistenza. È il mio atteggiamento nell’affrontare situazioni simili nella vita reale». La canzone che apre l’album “Gaetana” è il duetto con Tiziano Ferro “L’amore e basta!”. Un testo quasi recitato alla Fossati-Mannoia. «È una composizione complessa, più recitata che cantata, nella quale entrambi ritroviamo le nostre esperienze di vita umana e artistica – spiega Giusy Ferreri -. Tiziano sa cogliere con grande sensibilità le mie emozioni: conoscendolo meglio, ho capito che abbiamo caratteri molto simili. Ha voluto cantare con me questo brano, perché gli è molto affezionato: sono orgogliosa che l’abbia affidato a me invece di inciderlo nel suo disco. Sono fiera che la mia vocalità l’abbia intrigato e che dopo l’esperienza di “X Factor” con “Non ti scordar mai di me” abbia voluto proseguire la nostra collaborazione come autore e produttore assieme a Canova del mio disco d’esordio». L’opera prima di Giusy Ferreri, anima pop con sonorità variopinte e arrangiamenti internazionali, ha decisamente tutte le carte per conquistare anche il mercato estero: il singolo “Novembre”, infatti, è stato scelto dal canale satellitare FoxLife come sigla della versione italiana della quinta serie del serial tv “Desperate Housewives” e dei nuovi episodi di “Brothers & Sisters”. balarm magazine 8


ph. Mauro D’Agati

MUSICA

OLIVIA SELLERIO

”Violeta”, dedicato a Violeta Parra, l’artista cilena morta nel ‘67, è l’ultimo disco dal fascino sud americano della cantante palermitana, edito dalla prestigiosa etichetta Egea di GIGI RAZETE balarm magazine 10

Quale misterioso legame può mai unire una donna non è certo quella campesina di cui era imbevuta Violeta del nostro tempo, affascinante, appagata, sia arti- ed il mio percorso è ben diverso dal suo – aggiunge sticamente che negli affetti, e di successo come la paler- Olivia - ma la sua e la mia tradizione, apparentemente mitana Olivia Sellerio alla vicenda appassionata e tragica così diverse e distanti, in realtà posseggono la stessa fondi una piccola e tormentata artista cilena come Violeta damentale matrice: quella della verità, la verità di un canParra, scomparsa per propria mano oltre quarant’anni to di lavoro, d’amore o di rabbia». L’ascolto del concerto fa? E cosa mai può avere indotto una voce così visceral- e del disco ha rivelato molte sorprese, a cominciare dalmente avvinghiata alla storia millenaria della sua Isola l’adesione della cantante siciliana alla poetica della Parra mediterranea a votarsi all’emblema stesso della tradizio- realizzata attraverso la via inconsueta di affrontare le ne popolare di quella lunghissima striscia di terra austra- canzoni in modo nuovo, come fossero state scritte solle ai confini del mondo e perennemente squassata da tanto per lei, eludendo ogni ingombrante confronto con sismi devastanti? Comunque sia, il fascino che emana le versioni originali. A ciò si aggiunga l’uso molto sorvedalle canzoni della Parra, struggenti ma spesso anche gliato della vocalità, capace di rivelare una tessitura ricca solari e di deliziosa levità, poco a poco hanno finito per di sfumature inattese e profonde vibrazioni emotive. far breccia nella sensibilità della Sellerio e, dopo una lun- Infine, l’originale e splendido lavoro di rilettura e cesello ga gestazione che nella fase finale la cantante ha condot- operato dal contrabbassista e compositore ligure Piero to in contemporanea a quella del proprio bambino, alla Leveratto, fine timoniere del progetto, il quale, oltre a fine il progetto è divenuto realtà. Presentato in antepri- lavorare per sottrazione evitando enfasi e ridondanze, ha ma a novembre al Politeama avuto il merito di incastonare Garibaldi, per gli Amici della di Olivia in una raffina«Mi è capitato spesso di esser iltacanto Musica, “Violeta” adesso è struttura sonora affidata a conquistata dal fascino per anche un disco pubblicato in musicisti di grande sensibilità alcuni autori e di innamorarmi e costituita da clarinetti, flauti questi giorni dalla prestigiosa etichetta Egea, la stessa che perdutamente di molte canzoni. e ottavino, fisarmonica, vioaveva prodotto il precedente Tuttavia, non ho mai trovato un loncello, percussioni e conalbum di Olivia, “Accabbanna” intero repertorio che fosse così trabbasso. Ma ancor più che del 2005. «Nel mio percorso per questo appassionato trinaturale, così assolutamente artistico – racconta la Sellerio oppure per il delizioso necessario cantare come quello buto mi è capitato spesso di esser cameo “Lu silenziu” (su liriche di Violeta Parra» conquistata dal fascino per di Ignazio Buttita) inserito nel alcuni autori e di innamorarmi recentissimo album “A 19” del perdutamente di molte canzoni. Tuttavia, non ho mai duo jazz formato da Stefano D’Anna e Mauro Schiavone, trovato un intero repertorio che fosse così naturale, così rispettivamente sax e piano, il grande pubblico, che oggi assolutamente necessario cantare come quello di Violeta è quello televisivo, ha scoperto Olivia Sellerio soprattutto Parra». Nata nel 1917 e morta nel 1967, la Parra è stata per le sigle d’apertura e chiusura della popolare soap una delle più appassionate, intelligenti, creative e corag- opera “Agrodolce”. «Ci sono finita dentro per caso – spiegiose creature femminili che il Novecento abbia annove- ga Olivia tra una poppata e l’altra del suo splendido parrato. A lei si deve il merito di avere svolto una preziosa golo di pochi mesi – Per questo nuovo progetto televisiopera di recupero e diffusione della più genuina tradizio- vo di Gianni Minoli all’inizio si erano fatti molti nomi, tra ne popolare della sua terra e di avere innescato il succes- cui Mina e Claudio Baglioni. Poi, non so come, hanno sivo movimento della nueva canción chilena. Cantante, chiamato me. Ho fatto un mucchio di provini ed alla fine musicista, poetessa ma anche raffinata artigiana di pittu- è stato scelto proprio quello più grezzo, meno elaborato re, ceramiche ed arazzi, Violeta Parra, col suo talento e la ma forse più diretto ed efficace. Le musiche sono di capacità di innestare liriche molto innovate su strutture Andrea Guerra, il testo di Davide Camarrone. Devo ricomusicali popolari, ha regalato al mondo canzoni di noscere che è stata un’esperienza molto divertente, ho vibrante poesia, spesso divenute autentici inni genera- conosciuto un mondo totalmente diverso dal mio e, al di zionali, tra cui la celebre “Gracias a la vida”, il suo testa- là della notevole esposizione nazionale di cui ho benefimento spirituale, che cantata in moltissime lingue è sta- ciato, sono stata felice di essere stata la voce di quello ta nel tempo riportata al successo da artisti come Joan che in ogni caso considero un positivo ed efficace spot Baez, Caetano Veloso e Mercedes Sosa. «La mia cultura pubblicitario per la Sicilia e sulla Sicilia». balarm magazine 11


ph. Federico Maria Giammusso

MUSICA

Fitzcarraldo, musiche nuove Nasce a Palermo una nuova etichetta discografica indipendente per la musica di improvvisazione In un momento cruciale per la Sicilia, e per tutto il paese, sembra che la cultura, per quanto si stenti a difenderla, non voglia morire, anzi. Come se venisse fuori una sorta di “spirito di sopravvivenza” per restare a galla. E reinventarsi. Nasce a Palermo la Fitzcarraldo Records, etichetta discografica indipendente, ideata dalla comune voglia di dare una “casa” a tutta la musica d’improvvisazione. Il progetto è stato pensato e messo in atto da Francesco Guaiana e Luca Lo Bianco, l’uno chitarrista, l’altro contrabbassista, insieme all’anima artistica di Fitzcarraldo, Domenico Argento, musicista e designer dell’etichetta, e Lorenzo Quattrocchi, responsabile booking e management, oltre che “padre” del Mikalsa, punto dal quale tutto è cominciato. Il nome dell’etichetta prende spunto dal titolo del leggendario film di Herzog, il cui protagonista, Kinski nel ruolo del barone Fitzcarraldo, ha il sogno di costruire un teatro in Amazzonia. La pellicola tocca l’apice in una massima, simbolica tanto per il regista tedesco, quanto per gli ideatori dell’etichetta: «chi sogna può muovere le montagne». L’intento della Fitzcarraldo è proprio quello di “muovere le montagne” dando forma all’urgenza espressiva di una nuova generazione di improvvisatori, fornendo loro un’effettiva struttura per il follow up di progetti musicali, promozione e booking nazionale ed internazionale, e progetto gra-

di CLAUDIA SCUDERI

fico, dando alla musica locale una nuova immagine da portare in giro per il mondo. In uno scenario in cui si produce tanta musica senza badare alla qualità, Fitzcarraldo punta sulla minuziosità nella selezione dei progetti da produrre. “O.I.D. - Live At Mikalsa vol.I” e “Luca Lo Bianco - Ear Catcher”, sono i primi lavori discografici prodotti dalla nuova etichetta, presentati al Nuovo Montevergini nel novembre 2008. In uscita altri tre album, “Triptique” di Francesco Guaiana, “Out South” del chitarrista Lorenzo Colella e una registrazione live del concerto tenuto dall’Orchestra In-Stabile Dis/Accordo all’Hamburger JazzTage, in co-produzione con il Jazzbüro Hamburg E.V. La Fitzcarraldo porterà in tournée i propri artisti dal 2009, con concerti che partiranno proprio dalla Germania. Il progetto creativo dell’etichetta si concretizza anche nel design. Il packaging dei cd è realizzato in cartoncino ecocompatibile, senza uso di colle, con un sistema ad incastri che riduce al minimo i residui inquinanti, mantenendo una linea grafica originale e riconoscibile. Fitzcarraldo crede nella musica tutta, dunque cura nel dettaglio tutti gli aspetti delle proprie produzioni, lasciando ai musicisti la libertà di essere padroni della loro musica. Un progetto ambizioso che pone la musica e chi la musica la fa, al centro del proprio percorso. Sul web digitate www.fitzcarraldorecords.com. balarm magazine 12


ph. Giovanni Romeoi

MUSICA

Pan del DIAVOLO

Il duo country blues sforna il suo primo singolo prodotto da Malintenti dischi e 800A records di DANIELE SABATUCCI Tornavo da una cena tex-mex fortemente voluta per un’occasione importante. Porzioni sovrabbondanti di chili, quesadillas e nachos, opportunamente annaffiate da una buona litrata di vino tinto, mi causarono un sonno agitato come la faglia di Sant’Andrea. E fu lì che mi apparve in sogno Fabio Rizzo vestito da Montezuma, che con fare imperioso, additandomi, tuonò: «Tu scriverai un pezzo sul Pan del Diavolo o incorrerai nell’ira di Quetzalcoatl!». E io, con inusuale fastidio, risposi seccato:

«Tanto avevo già pensato di farlo». Ed eccomi qui, a descrivere la rivelazione 2007 della musica palermitana, che ha trovato nel 2008 importanti conferme, dall’inserimento nella compilation “Sound Connection” al primo quattro tracce, presentato a marzo, alla vittoria alle selezioni di Italia Wave. E ora il primo ep “ufficiale”, altri quattro brani tra cui due non presenti nella registrazione precedente, “Il Pan del Diavolo” e “Stile Roberto il Maledetto”, che affiancano “Coltiverò l’ortica” e “I fiori”. Ma non fatevi influenzare dallo stupido sogno: non pensate a un clone dei Calexico, né a una banda di mariachi, né a tentazioni Morriconiane da “C’era una volta il West”. La musica del Pan del Diavolo, duo formato da Pietro Alessandro Alosi (chitarra, voce e grancassa - nella foto) e Gianluca Bartolo (chitarra), è uno sporchissimo country&blues, quel blues a cui tutto e sempre dobbiamo e a cui tutto ritorna, in questo caso abbastanza strampalato da non ridursi ai cliché. Polverose melodie da deserto tra serpenti a sonagli e cactus, ma a rendere particolare il tutto, oltre alla stralunata musica dal piglio sfrontato, sono i testi. Una passione confessata per la musica tricolore (in particolare il beat anni Sessanta) ed ecco queste liriche in italiano, colme d’ironia, che partono dal reale per arrivare al surreale, declamate a squarciagola da Alosi. Ma siccome il blues è musica d’anima e carne, anche sentire parlare di piante che spuntano dal ginocchio – con il fusto, le foglie e tutto – diventa credibile, come pensare che il pan del Diavolo sia uno strano cibo (?) perfetto per la merenda dei bambini. Il disco è una produzione nata dalla collaborazione tra due etichette palermitane. Una è la nuova 800A Records. Il che già sarebbe una notizia, non fosse che uno dei titolari, Fabio Rizzo (voce e chitarra di Second Grace e Waines, l’altro è l’attore Davide Enia) non si affrettasse a rimarcare un concetto che dovrebbe essere ovvio: «Un’etichetta nasce per promuovere la band, non se stessa, è il mezzo, non il fine». L’altra label coinvolta è la Malintenti Dischi di Riccardo e Settimo Serradifalco, organizzatasi recentemente in “factory discografica dipendente”, una struttura gestita attraverso la collaborazione di tutti gli artisti, anche con le loro competenze tecniche “extra-musicali” (produzione, organizzazione, booking, grafica). Una contromossa ai problemi della discografia, che soffocano la crescita di nuove realtà musicali. «Questa formula – afferma Sergio – è un impulso concreto alle proposte creative di nuovi musicisti, un luogo in cui si lavora l’un per l’altro, e per questo abbiamo scelto la parola “dipendente”: il lavoro degli artisti del nostro roster è indispensabile e se non ci fosse il loro contributo non esisterebbe nulla». Sul web: www.myspace.com/pandeldiavolo balarm magazine 14


ph. Roberto Fenix

MUSICA

COMBOMASTAS’: 5 anni di hip hop Il gruppo di rapper palermitani capitanati da OthelloMan presenta l’ultimo cd “Musica Classica” Continua la scalata dei Combomastas’ il gruppo di rapper palermitani più attivo del territorio siciliano che, capitanati da OthelloMan, da anni segna la strada all’hip hop palermitano promuovendosi anche nel panorama nazionale. Quest’anno la band compie cinque anni e con l’occasione presenta il suo ultimo album “Musica Classica”. La raccolta contiene testi che si muovono tra storie personali, impegno sociale, provocazioni e critica della società, senza trascurare aspetti sentimentali e momenti di disimpegno. La hit dell’album è la nota canzone dal titolo “’U Tagghiamu ‘Stu Palluni…?!”, che ha portato pochi mesi fa i giovani artisti al successo. Il brano, scaricabile gratuitamente su www.combostudio.it, ha infatti superato in rete i 150.000 download ed è oggi divenuta, grazie al riconoscimento delle istituzioni ed in particolare della Questura di Palermo, il simbolo della consapevolezza e del riscatto dalle difficoltà legate alla mafia. Interamente in diletto palermitano, il brano affronta, infatti, le tematiche del disagio sociale, marcando le difficoltà, che spesso si tende a nascondere, dei ragazzi dei quartieri del nostro capoluogo. Le altre 16 tracce che compongono l’album sono rap-postatomico e attraversano sonorità folli e classiche al contempo; le strofe dei tre rapper del gruppo, OthelloMan, EliaPhoks e Shorty si sviluppano sui beat prodotti dal dj Secco

di DANIELA GENOVA

Jones e dallo stesso OthelloMan con cui nel 2003 nacque l’idea della crew Combomastas’. L’obiettivo era quello di riunire sotto lo stesso nome alcuni fra i massimi esponenti delle discipline hip hop della propria città. Il risultato oggi è un gruppo di persone che interagiscono e creano idee ed operatività, stravolgendo le aspettative di un pubblico palermitano e siciliano, ormai abituato all’assenza di eventi legati al mondo dell’hip hop. Ogni membro dei Combomastas’ svolge comunque un proprio percorso personale e lavora ai propri dischi da solista. Dopo aver pubblicato brani su riviste come Groove, XL di Repubblica, DaBomb, dopo essere stati ospiti a TRL (Mtv – luglio 2007), Scalo 76 e Cargo su Rai due, dopo aver calcato palchi in OpenAct per Biagio Antonacci (dicembre 2007), ed essere stati citati su note riviste e libri di settore come GeneRapZione di Michele Monina, si apprestano oggi a presentare l’album “Musica Classica” prodotto dall’etichetta R.C.M.Ent. L’unica organizzazione che da Palermo negli ultimi anni ha catalizzato e mantenuto alto l’interesse verso l’hip hop e verso la sua originale attitudine costruttiva, facendo inoltre passare dalla città i nomi che oggi sono ritenuti fra i più prestigiosi nel panorama musicale nazionale ed europeo: da Mondo Marcio a Piotta a Bassi Maestro, dalle promozioni dei N.e.r.d. a 50 Cent, alla D12 di Eminem. balarm magazine 16


MUSICA

ph. Valeria Di Matteo

FRANCESCO DI FIORE

L’artista palermitano pubblica “Visioni”, il nuovo disco in cui ripercorre la “storia” dell’uomo di ALESSANDRA SCIORTINO Il naturale percorso dell’uomo, dalla cellula al crepuscolo della vita, è il tema musicale e simbolico del disco “Visioni” del palermitano Francesco Di Fiore (pianoforte ed electronics) prodotto dalla Compagnia del Tratto e disponibile online sul sito www.francescodifiore.com. Le otto tracce da lui composte ed eseguite seguono un iter crescente che da “La cellula” (questo il titolo del primo brano) raggiunge il culmine evolutivo e di pienezza sonora in

“Metropoli” per poi discendere nei sotterranei dell’autodistruzione sino al “Crepuscolo” che sembra si debba intendere nella sua accezione di tramonto, tramonto della vita, il tutto all’insegna della fusione del pianoforte con l’elettronica, peculiare cifra timbrica del cd. S’intravede però una luce che è quella di “odranoeL”, Leonardo da Vinci (il titolo riproduce il suo modo di scrivere da destra verso sinistra), che figura non solo in versione audio ma anche in una bonus track video firmata da Valeria Di Matteo. Il titolo dell’album può riferirsi letteralmente alla presenza del video che viene proiettato anche durante l’esecuzione dal vivo, ma si può leggere metaforicamente come la visione lungimirante dell’artista, del poeta vate che si fa guida illuminata della società. E chi meglio di Leonardo poteva essere profetico in tal senso? Il percorso comincia lentamente come se l’embrione fosse davvero simbolo della più ancestrale forma vitale in cui fa eco l’intero universo. La cellula si evolve, si fa corpo e ha inizio “Il viaggio” di cui sono sempre più delineate le “Geometrie”, cristalline, aeree, pure, incontaminate. È in “Metropoli” che il ritmo si fa più serrato, a tratti ossessivo, frenetico. Improvvisamente il tempo si dilata e l’ascoltatore viene catapultato nel Cinquecento del Da Vinci, non certo perché ve ne sia traccia nello stile compositivo. E nel video della Di Matteo scorrono le immagini dei suoi più noti disegni che rendono l’incipit quasi documentaristico. La musica cambia e l’intento si fa estetico, emerge il Leonardo inventore e futurista. Non si tralascia anche un lato trash-umoristico (il cuore umano che batte dentro l’uomo vitruviano e la famigerata Monnalisa che muove la testa a ritmo di musica mentre ascolta proprio “Visioni” che tiene tra le mani). E anche il video, tra lunghe pause su sfondo nero con flash di immagini, si fa visionario. In questo dichiarato viaggio che racconta la storia dell’evoluzione dell’uomo dalla sua origine fino alla sua ultima e inevitabile autodistruzione, la figura di Leonardo non si colloca allora casualmente. Preziosi e provvidenziali sarebbero ad oggi uomini illuminati come lui per ristabilire sani equilibri e proporzioni, per una politica avveduta che non pensa solo all’immediato futuro. E invece si corre con fretta e frenesia in “Rush”, già verso le “Rovine” dove il ritmo rallenta di nuovo perché la vita comincia a spegnersi. Ciclicamente, come natura ancora comanda, si ritorna al punto di partenza, a quel crepuscolo che forse lascia ancora il dubbio fiducioso che possa essere l’alba di un nuovo giorno. Non sono insomma note pessimiste, ma di cronaca, di denuncia sociale e introspezione. Un chiaro segno di speranza si coglie al termine della traccia video laddove compare ripetuta l’immagine delle ali progettate da Leonardo, emblema del più alto e profondo anelito umano. balarm magazine 18

ph. Nadia Parello

MUSICA

Locanda ALMAYER, rock con amore

Un “inno alle gioie” in versione rock: esce il nuovo di GIULIO GIALLOMBARDO cd “La joie d’amour” della band palermitana Quello dei Locanda Almayer è un rock solido, asciutto, senza troppi fronzoli. Lo si avverte subito, sin dal primo ascolto di “La joie d’amour”, il loro nuovo album, un disco che tira dritto per la sua strada, essenziale ed immediato, fatto di chitarre taglienti e vocalità robuste, ritmica tesa e bassi profondi. La formazione è più classica che mai: voce, chitarra, basso e batteria, ovvero rispettivamente, Roberto Crinò, Alfonso Siino, Giancarlo Marino e Adriano Alecci. È una scelta di stile, per una musica che affonda le sue suggestioni nel rock e nella new wave britannica con sonorità in certi casi più elettriche e spigolose, in altri più melodiche e rassicuranti, come è tradizione del rock italiano. Del resto, i gruppi di riferimento della band palerminata sono, non a caso, U2, Police, Radiohead, Coldplay e i nostri Litfiba, tanto per citarne alcuni. Il brano che dà il titolo all’album è un inno alle gioie d’amore vissuto come sentimento puro, che trascende ogni vincolo razionale, «unico antidoto contro i mali del nostro tempo, contro l’avidità ed il puro calcolo». «Ci siamo formati nel 2002 – spiega Roberto Crinò, la voce del gruppo, nonché autore di quasti tutti i testi dell’album – spinti dalla voglia di fare musica inedita. Crediamo di avere qualcosa da dire e, conoscendoci, abbiamo scoperto di avere molto in comune, pur mettendo ciascuno il proprio gusto musicale». Parlando in

modo più specifico dello stile dei Locanda, il cantante, con umiltà ed onestà intellettuale, prosegue: «Noi facciamo rock, ma, diciamolo, il nostro genere non è poi così originale, forse è anche un po’ datato rispetto alle tendenze attuali, ma a noi non importa. Noi suoniamo quello che ci piace, con semplicità e immediatezza». Ma nel gruppo, c’è chi non vuole mettere etichette sullo stile: «Riguardo al nostro progetto musicale – dice Giancarlo Marino – non riesco a dare etichette. È una musica atipica, che ha una forte personalità, soprattutto nei testi». Come in ogni gruppo che si rispetti, ogni musicista sperimenta ciò che gli è più congeniale, tentando di portare il suo stile e fonderlo con quello degli altri. «Cerco di sviluppare una mia idea musicale – confessa il batterista Adriano Alecci – più legata alle sonorità acustiche, poi questo va combinato con le influenze degli altri. Il sound è sviluppato soprattutto da Alfonso e la sua chitarra, che gioca molto sugli effetti. Quello che ci interessa è essere diretti, vogliamo che il messaggio arrivi subito». Rispetto agli inizi, la musica della rock-band è cambiata: «Prima era più ragionata, adesso è più spontanea, – prosegue Alfonso Siino – sarò sincero, io non aspiro alla notorietà, amo la sperimentazione, trovare qualcosa di nuovo anche con percorsi da solista». Sul web cliccate www.myspace.com/locandaalmayer. balarm magazine 19



TEATRO

LA VICARIA

Alle spalle dei Cantieri culturali alla Zisa è nato un grande laboratorio teatrale capace di richiamare giovani artisti da tutta Europa di DARIO PRESTIGIACOMO A sentire gli annunci roboanti delle amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi lustri, Palermo sarebbe dovuta diventare in questi anni una fucina internazionale del cinema, ma anche uno snodo delle correnti musicali più all’avanguardia. O ancora più oniricamente, un grande laboratorio della cultura in generale. Oggi, a mesta memoria di questi strabilianti programmi, ci sono i luoghi della città in cui le arti avrebbero dovuto svilupparsi, come i capannoni dei Cantieri culturali alla Zisa, dove ancora, al posto degli artisti, trovi gli operai intenti a chissà quali alchimie dell’edilizia. Per tutti questi motivi, sa di paradosso il fatto che, proprio alle spalle dei Cantieri, sia nato un grande laboratorio teatrale che in breve tempo è riuscito a richiamare in città giovani artisti provenienti da mezza Europa. Merito di Emma Dante e dalla sua compagnia, Sud Costa Occidentale, che in barba a burocrazia e ignavia politica, hanno avuto la forza e l’ostinazione di trasformare a proprie spese un ex calzaturificio di via Polito in un grande palcoscenico “aperto”: la Vicaria. Una vera e propria casa del teatro, un centro di sperimentazione in cui, si legge nel sito della regista, «un artista è liberato dal peso di quella “sorveglianza speciale” a cui accenna Carmelo Bene quando in tutta coscienza sente di non meritare comprensione alcuna, di essere trascurato dallo Stato e dalle strutture ad esso subordinate». Alla Vicaria trovi di tutto: dagli operai che di buona lena stanno rimettendo al posto la vecchia struttura, agli attori che provano le scene; dai laboratori per le scenografie alla sartoria; dai fornelli della cucina accesi per preparare pranzi e cene ai bivacchi dei giovani arrivati da fuori la Sicilia. C’è un’immensa pedana in legno, realiz-

zata dagli stessi attori della compagnia. Ci sono panche riciclate, altoparlanti e l’impianto audio, gentilmente forniti dal regista Giuseppe Cutino. C’è persino una piccola palestra, oltre a bagni, spogliatoi e magazzini. Insomma, un piccolo-grande mondo dove far mettere radici all’avanguardia teatrale. «Avevamo bisogno di un luogo in cui dare una continuità al nostro lavoro di ricerca – spiega l’attore Sabino Civilleri – in cui sperimentare liberamente, in cui creare spettacoli e nuove metodologie. Il tutto, ovviamente, legato strettamente all’opera di Emma». Eppure, questo spazio non è nato per la Dante, né per la sua compagnia. «Principalmente – continua Civilleri – la Vicaria è stata aperta per i giovani. Noi, in fin dei conti, dopo 10 anni di lavoro, ci siamo conquistati una tale credibilità che potevamo chiedere spazi altrove, a Milano come a Torino». E proprio grazie a questa credibilità, di giovani, alla Vicaria, ne sono arrivati tanti. «Da marzo, ossia da quando abbiamo aperto - continua - abbiamo avuto una media di 30 ragazzi al mese. Vengono dall’Italia, principalmente, ma anche dalla Spagna e dalla Francia. Non avendo ancora una foresteria, chi arriva da fuori dorme a casa dei membri della compagnia, oppure alla Vicaria». Risolti così i problemi di domicilio, ragazzi e ragazze si gettano a capofitto nei laboratori. «Si lavora su un progetto indicato a grandi linee da Emma - spiega Civilleri -. Spetta poi ai ragazzi, aiutati dalla compagnia, il compito di sviluppare questa idea». Dal progetto, infine, si passa allo spettacolo vero e proprio, come

quello andato in scena il 19 luglio per la commemora- offerta dalla città e soprattutto dal quartiere in cui sorzione del giudice Paolo Borsellino, “Strada senza usci- ge la struttura. Non a caso, sono stati avviati due spetta”. Parlare di laboratori teatrali è comunque riduttivo, tacoli rivolti ai bambini, “Hansel e Gretel” e dal momento che intorno a ogni idea che si forgia fino “Cappuccetto rosso”, presentati in anteprima proprio a diventare spettacolo c’è un lavoro complesso che ai ragazzini delle famiglie del vicinato. «La risposta da passa dalla manualità artiparte della gente del quartiegianale di sarti e scenografi. «Avevamo bisogno di un luogo re è stato positiva - spiega Piuttosto, la Vicaria è un «cirl’attore -. E quando abbiamo in cui dare una continuità al colo delle arti», che cerca di inaugurato ufficialmente la nostro lavoro di ricerca, in essere al contempo elitario e struttura in molti sono venucui sperimentare liberamente, ti a trovarci». Adesso, dopo il aperto a tutti gli strati sociain cui creare spettacoli li. Elitario perché, spiega lancio del progetto, alla e nuove metodologie» sempre Civilleri, «in quanto a Vicaria è in programma un pubblico i grandi numeri non ricco cartellone d’appuntaci interessano. Cerchiamo piuttosto un tipo di platea menti. Solo a dicembre - e solo per citarne alcuni - si “competente”, con cui fermarsi a parlare, magari al susseguiranno “Palermo is cool”, performance grottetermine dello spettacolo, per instaurare uno scambio sca sulla società palermitana e i suoi attori sociali, di idee su contenuti e metodi scenici». D’altro canto, la “Ciatu di lu me cori”, omaggio a Rosa Balistreri, e una Vicaria non disdegna il contatto con la platea naturale performance di Clio Gaudenzi, “Con tre appunti”.

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ph. Federico Maria Giammusso


ph. Francesco Caragnano

TEATRO

Marco MANERA

L’attore palermitano racconta i suoi progetti e i tredici anni di teatro tra il serio e il faceto di CLAUDIA BRUNETTO A soli sette anni ha scelto di seguire la vocazione del palcoscenico. E adesso che di anni ne ha trenta, Marco Manera, continua il suo percorso teatrale fra Palermo e Cefalù con laboratori nelle scuole e spettacoli sotto il nome dell’associazione “La nave dei folli”. Il punto di partenza è sempre il teatro popolare «non soltanto siciliano – dice l’attore – ma tutto quello che va dall’affabulazione medievale alla costruzione del testo scenico. Il teatro popolare rimane sempre anche se gli anni passano. Non è un teatro di serie B, ma la

radice del teatro stesso. Fin da giovanissimo mi divertiva interpretare i ruoli più diversi e soprattutto giocare in equilibrio fra il serio e il faceto. E oggi mi piace lavorare molto con i ragazzi sulle tecniche del teatro popolare e del racconto». La sua formazione teatrale è legata a un grande maestro, Accursio Di Leo, che Manera ha seguito per tanti anni in tutte le produzioni. Fino al 2000 poi si è mosso come attore freelance prendendo parte agli spettacoli delle compagnie di giro: dal teatro comico a quello drammatico, escludendo però il cabaret. E accumulando oltre un migliaio di repliche in tutta la Sicilia. Dal 2001, invece, ha deciso di iniziare a camminare da solo con l’immancabile spalla di musicisti che cambiano di volta in volta per gli spettacoli. «La musica – dice Manera – è una componente essenziale dei miei lavori. Anche perché mi piace molto cantare sulla scena. Per ogni spettacolo scelgo musiche diverse e costruisco un percorso ad hoc fra note e parole. Il mio esempio rimane la produzione brillante italiana. Prediligo sempre l’affabulazione, il racconto senza particolari orpelli. Lasciando il vero e proprio teatro ai “pezzi” teatrali che inserisco nel racconto». E oggi ha cinque spettacoli in repertorio come “Varietà per attore solo”, “Magaria” e “1856 storia di pupi e pupari”. Nei prossimi mesi sarà da solo in scena con “Il quinto dell’inferno e l’ultimo del paradiso” che affronta il tema dell’amore declinato con pezzi teatrali e poetici. L’attore si muoverà fra gli estremi dell’amore carnale e dell’amore supremo, quello di Dio. Anche qui, come negli altri lavori di Manera, convivono la simpatia e la riflessione, la serietà e la cialtroneria. Il palcoscenico per lui è il luogo dove tutto si mescola, e dove soprattutto si incontra un pubblico che cambia ogni sera. «Il mio punto di riferimento – conclude l’attore – è sempre il pubblico. Cerco di entrare in contatto con gli spettatori tramite un linguaggio semplice e immediato. Cerco un’interazione, un territorio comune di intesa». Riprenderà presto anche lo spettacolo “Novecento” e intanto sta buttando giù la seconda parte del tema degli oppressori e degli oppressi, avviata con lo spettacolo “1856 storia di pupi e pupari”. Questa volta, però, la rivoluzione di cui si parla non è quella delle armi, ma quella culturale che determina il cambiamento di un popolo. In programma per il prossimo anno, anche alcune conferenze sul teatro popolare, la semiotica dello spazio scenico e la gestione teatrale. Per maggiori informazioni è possibile consultare sul web il sito internet dell’artista cliccando su www.myspace.com/marcomanera78. balarm magazine 24


ph. Ugo Carlevaro

TEATRO

Teatri NEGATI, storia da salvare

Un libro, un sito e un documentario sui teatri chiusi: di ADRIANA FALSONE perchè per ogni teatro aperto ce n’è uno chiuso A volte sono stati chiusi in seguito a un incendio, altre per un cedimento della struttura. Altre ancora semplicemente per disattenzione. Sono i teatri chiusi su cui è calato il sipario dell’indifferenza. 428 in Italia e ben 59 solo in Sicilia. Adesso, i riflettori sulle sale “dimenticate”, sono stati accesi da progetto “Teatri negati”, il primo censimento completo dei teatri chiusi in Italia, promosso e realizzato dall’Associazione Teatriaperti con il contributo di Arcus s.p.a. Il progetto è nato su iniziativa di due palermitani, Sandro Tranchina e Francesco Giambrone, che lanciarono la proposta nel periodo della riapertura del Massimo. Nel 1907 i teatri italiani erano oltre 3.000. Alla fine degli anni Novanta diventarono 840, mentre adesso sono soltanto 740. In questa speciale classifica, la maglia nera di quelli chiusi spetta alla Sicilia e alla Lombardia. L’indagine, avviata nel settembre 2006 e chiusa al marzo del 2007, ha consentito di rilevare i dati sulle condizioni di degrado e abbandono dei teatri presenti sul territorio nazionale, sulla loro storia, evocata da immagini fotografiche attuali e di archivio. Il tutto illustrato in un libro, un portale web e un documentario, presentati al pubblico presso il Teatro Nuovo Montevergini di Palermo. «Il nostro obiettivo è creare una sorta di comitato di saggi – spiega Tranchina – che studino un modello di gestio-

ne economica del teatro funzionale a garantire la sua riapertura. Per prima cosa, infatti, bisogna accelerare la loro ristrutturazione e conseguente riapertura ma immediatamente dopo bisogna fare in modo che il nuovo assetto sia funzionale per la città, diventando uno spazio polivalente aperto a un pubblico interessato». In questi primi anni di vita l’associazione ha curato la promozione e fornito assistenza per la riapertura di molti teatri “dimenticati”, come il “Garibaldi” di Modica, il “Regina Margherita” di Racalmuto, il “Re Grillo” a Licata, il “Teatro del Baglio” a Villafrati e il Cineteatro “Ideal” di Lercara Friddi. Il problema è che per ogni teatro aperto, ce n’è almeno uno chiuso. Questo è il caso, solo per citare Palermo, del teatro “Santa Cecilia”, nel Vicolo dei Corrieri. Poi in provincia, tra gli altri, c’è il teatro “Vittoria”, a Castronovo di Sicilia, il “Teatro Salvatore Cicero” a Cefalù, il teatro “Paolo Vinci” a Camporeale, il cineteatro delle “Palme” a Villabate. «Il nostro sito interattivo consente di segnalare tutte le strutture che meritano attenzione – aggiunge Tranchina –. Proprio nel momento in cui il Governo taglia il finanziamento allo spettacolo, bisogna agire per arginare i danni. Tutti questi teatri, infatti, si potrebbero ancora salvare, perché non sono stati destinati, almeno per adesso, ad altro». Sul web: www.teatriaperti.it balarm magazine 26


ph. Turiana Ferrara

ARTE

SANDRO SCALIA

L’occhio di Palermo. Un ritratto del fotografo siciliano che da anni indaga la città con sguardo attento, per fermarne nelle immagini mutamenti e amarezze di MARINA GIORDANO balarm magazine 28

Parlare di fotografia a Palermo non può prescin- banalità e mistero, spaziando dai paesaggi, urbani e dere dal fare un nome, dal confrontarsi con l’ope- naturali, ma per lo più antropomorfizzati, al gusto per la ra di un artista che, da quasi vent’anni, ha incessante- scoperta del dettaglio, dall’ampiezza di respiro di un mente indagato con il ‘grande occhio’ della sua macchi- water-front al particolare del fianco di una nave solcato na fotografica l’anima di una città e della sua gente: da lacrime di ruggine. Al centro di tutto soprattutto Sandro Scalia (Ragusa, 1959). Lo abbiamo incontrato Palermo, il luogo dove tornare dopo viaggi e esplorazionegli spazi espositivi di Palazzo Ziino, dove è stata alle- ni in altre città; Palermo con il suo fascino delabré, con stita, dal 10 ottobre all’11 novembre, una sua persona- le sue contraddizioni, i monumenti, l’opulenza barocca e le, curata da Davide Lacagnina, che raccoglieva alcuni la raffinatezza d’antan dei suoi palazzi storici, ma anche cicli di immagini – la serie dei Bagnanti (2005-6), le foto i volti della sua gente, di personaggi noti della cultura dei vacanzieri a Piano Battaglia (2005-6), i Notturni (nella serie Tratti, 1999) e del ‘popolo minuto’. Scalia si palermitani (2007), per concludere con quella malinconi- sofferma anche sulle piazze anonime, sui quartieri di ca e al tempo stesso crudelmente poetica delle Giostre periferia, sulle strade isolate, di cui mette in evidenza le del Foro Italico (2000) – tutte dedicate alla nostra città e geometrie, i tagli, la solida ma al contempo fantasmatiai suoi abitanti, ai loro ‘rituali’ collettivi: la giornata al ca presenza degli edifici, la forza segnica dei cartelli stramare a Mondello, il week end sulla neve delle Madonie, dali, tutti elementi che sfuggono alla superficiale fugacisino all’arrustuta di stigghiole, con il tipico fumo-profu- tà degli sguardi di passanti e abitanti ma che l’artista mo acre e appetitoso che si diffonde inconfondibile per offre allo spettatore in una veste inedita da scenari le strade della città, protagonista di un video girato nel metafisici, in una costante riscoperta, senza abbellimen2007 e intitolato “Fumo di ti estetizzanti ma affidandosi Palermo”. Nonostante l’ormai alla sola forza della luce e del Al centro di tutto Palermo, il decennale esperienza di insesuo occhio. Gli abbiamo chieluogo dove tornare dopo gnamento all’Accademia di sto se, dopo avere osservato Belle Arti - dove ha creato una Palermo con continuità per viaggi in altre città; Palermo vera e propria scuola di gio- con il suo fascino delabré, le sue diversi anni, adesso la trovi vani fotografi, alcuni dei quali contraddizioni, la raffinatezza cambiata, e quale impressiohanno ormai ricevuto un ricosusciti in lui. Con pacatezd’antan dei suoi palazzi e i volti ne noscimento individuale oltre i za, ma senza riuscire a celare della sua gente confini della Sicilia -, la parteun velo di amarezza, ci dice: cipazione a prestigiose rasse«Nonostante i tentativi di rivigne internazionali come la Biennale di Fotografia talizzare alcune zone come il centro storico, forse oggi la Italiana, per cui ha esposto a New York nel 2001, e la X città è un po’ più sterile, risente di una crisi di ideali più Biennale di Architettura di Venezia, Scalia mantiene generale. Mi sembra sempre più abbandonata dai circuiancora quella timidezza, quella riservata ritrosia che lo ti internazionali, se non per eventi e aspetti effimeri, un caratterizza da sempre e che lo portò, sin da piccolo, a po’ più piatta. Riesco a sentirla viva più quando tutto si scegliere di esprimersi attraverso le immagini, con la pri- spegne, il chiasso si abbassa, rimane il silenzio, le piazze ma macchina fotografica regalatagli dal padre al liceo, vuote, mentre la gente si rifugia nelle sue quattro mura «perché sentivo molto da dire, ma non sono mai stato e preferisce guardare più la tv che se stessa o i suoi luobravo con le parole, forse anche perché ho vissuto la ghi». La metafora di questa Palermo è racchiusa in quelmia prima giovinezza sulle Madonie e i montanari sono le giostre del Foro Italico di cui ha fissato nelle sue foto i notoriamente gente silenziosa, più brava a fare che a carrozzoni sbarrati e i giochi ormai in disuso: «Anche la parlare», ci dice. Dopo il diploma in Fotografia presso il città è come se stesse smobilitando, tutto è pronto, Riccardo Bauer ex Umanitaria di Milano e all’Accademia impacchettato per un viaggio che forse non si compirà, di Palermo, ha scelto di tornare a vivere in Sicilia, proprio è preparata a traslocare, attende ma senza costruire a Palermo, nel 1990, e ha condotto la graduale e costan- qualcosa d’altro, di diverso, di nuovo. Anche la gente te maturazione di una tecnica che, partita da uno stre- passa le sue giornate in una continua attesa, senza quelnuo e costante guardarsi attorno e registrare la realtà, si la forza d’urto e quell’energia per dare una bella spallaè evoluta verso un linguaggio sempre più personale e ta e avviare un cambiamento reale». Prossimi progetti? oramai inconfondibile. Nelle sue immagini ha via via rin- «Tanti, tutti in corso. I miei non sono mai punti di arrivo, saldato quel vincolo tra verità e poesia del reale, tra ma di continua partenza». balarm magazine 29


ph. Giulio Azzarello

ARTE

Anne-Clémence De GROLÉE

L’artista francese, palermitana d’adozione, racconta con di GIULIA SCALIA le sue opere la Sicilia: tra mito e abusivismo edilizio La metamorfosi e la lucida riflessione, la ponderata analisi e l’irresistibile istinto creativo si mescolano e si scontrano costantemente nella produzione artistica di Anne-Clémence De Grolée (Parigi, 1963), francese di nascita ma palermitana d’adozione: «Qui in Sicilia è raro che ci sia una contemplazione pura- afferma- c’è qualcosa che interferisce sempre con la necessità di riflettere e disperdere lo sguardo». Nel suo studio nel centro storico di Palermo, dove l’artista vive da circa dieci anni, mi svela la doppia identità della sua arte. Lo sguardo lucido sulla condizione siciliana caratterizzata dal degrado e dall’abusivismo edilizio si coniuga a una visione quasi mitica dell’isola legata ad un’idea che nasce dalla conoscenza della letteratura e dalla suggestione della mediterraneità. La Sicilia per Anne è anche il luogo dell’eterna metamorfosi, delle sirene incantatrici e malinconiche che stregano il viaggiatore. L’installazione Traversée del 2007-2008, presentata per la prima volta lo scorso maggio nella collettiva “Le visitatrici. Otto artiste in Abbazia”, curata da Santo Campanella e Marina Giordano, nasce dalla necessità istintuale di modellare la materia, dal bisogno immediato di realizzare creature metamorfiche che si trasformano in uomini-lumaca, uomini-pesce e sirene. Le piccole sculture in terracotta sono frutto di un’energia inconscia, di un abisso marino

popolato da figure che si rifanno alla mitologia, ai sogni che sgorgano dalle mani dell’artista in modo quasi involontario. Babele, del 2000-2006, esposta di recente nella personale “Quoi de nouveau sous le soleil?” a cura di Anna Guillot presso il CaAcB – Centro azienda Arte contemporanea Bannata, è un’istallazione fotografica che nasce dall’idea di una città in equilibrio incerto in cui tuttavia il cemento dell’abusivismo edilizio non riesce a sopraffare le radici del Ficus Magnolia. La natura ha un ruolo importante nei suoi lavori, come spiega Anne, in cui spesso è evidente il braccio di ferro con l’uomo. Babele fa parte di quella componente ragionata e critica della sua arte che è presente anche in Mobile city del 2005, un plastico con elementi Lego costituito da scheletri di case con cisterne e antenne paraboliche. Elemento in comune tra Babele, Mobile city e Traversée è sempre la frammentazione, il multiplo che si ripete e che dà vita a installazioni che si adattano al luogo in cui vengono esposte. Infine l’opera che forse meglio rappresenta la poetica di Anne è il libro d’artista Lungo mare, un’unica striscia di cartone, un unico orizzonte mediterraneo oppresso da scheletri di case trasparenti. Il libro verrà esposto in Normandia per il progetto di scambio tra l’Accademia di Belle Arti di Catania e di Rouen, curato da Anna Guillot e Dominique De Beir. balarm magazine 30



ph. Federico Maria Giammusso

LIBRI

ATTILIO BOLZONI

“Parole d’onore” è il nuovo libro del giornalista nisseno: un dizionario sulla mafia del silenzio In questa nostra giostra di Palermo gli ingranaggi di un incontro nascono da uno scatto telefonico. Attilio Bolzoni mi saluta con un cinque e mi indica una stanza della redazione palermitana di Repubblica. Ha il pc acceso e in standby su un pezzo da inoltrare prima d’imbarcarsi su un volo. Bolzoni è di passaggio, con un biglietto aperto sul diritto di cronaca. Lui ha da poco pubblicato per Rizzoli “Parole d’onore – pagg. 410, euro 12”. Da qualche anno vive a Roma. Questo è il suo primo

anno, ricevono il premio giornalistico Marrazzo per cio dei morti ammazzati a tre cifre, sui titoli di fine l’informazione antimafia. Poi inviato all’estero, anno. Mi sono ritrovato in quest’incubo ed è stato durante il rapimento Mastrogiacomo. Nassiriya e un caso». Carta, penna, macchina da scrivere e la noie, diritto di cronaca sempre. Conoscere questa casualità di una giostra, penso fra me. Anche adesfirma letta più volte sotto ogni scomodo articolo è so Bolzoni pur avendo lasciato Palermo ha le radici e un’impresa. L’uomo, il giornalista, lo scrittore; dico. gli interessi professionali qui e da buon sudista, parBolzoni mi guarda, scherza: «Sono stanco di primo tendo da Roma, si spinge in Calabria, terra di mattino. Spara le domande e risponderò meglio di ‘Ndrangheta; in Campania, dove c’è camorra, e in un pentito». Poi aggiunge, «No, no eliminiamo subi- tutte le cronache del malaffare nel resto del to scrittore. Scrittore lo si è da Sciascia in su». La Mezzogiorno d’Italia. «Lavoravo a L’Ora – riprende – linea che demarca l’uomo dal giornalista è difficile a un piccolo giornale combattivo di quegli anni, poi trovarsi; ci riprovo. «Non sono palermitano – affer- Repubblica. Per vent’anni ne sono stato il corrisponma – ma di Caltanissetta, dove sono cresciuto. dente da Palermo. La prima redazione del nuovo Vengo a Palermo per caso e mi occupo di tutt’altro, giornale è stata proprio a casa mia e non è un modo prima di trovarmi in questa di dire. Un via vai di collenostra giostra cittadina. «Quando stavo dietro a Gianni ghi. Tanto lavoro e incubi, Posso dirti anche la data del giorno e notte. Quando staLo Monaco ero un ragazzino. mio inizio, il 21 luglio 1979. vo dietro a Gianni Lo Lui aveva armadi pieni di Chi ci poteva essere all’opMonaco ero un ragazzino. archivi, ai quali m’abbeveravo, Lui aveva armadi pieni di posto di me, giovane assunto del L’Ora di Palermo, perché Gianni sapeva veramente archivi, ai quali m’abbevetutto. Io per due anni gli sono ravo, perché Gianni sapeva quella mattina del 21 luglio? Ovviamente il cronista più stato dietro come un cagnolino» veramente tutto. Io per due anziano: Gianni Lo Monaco». anni gli sono stato dietro Faccio un calcolo mentale: Bolzoni, classe ’55, fisico come un cagnolino e ho imparato. La prima grande sportivo e gestualità da direttore d’orchestra, porta cosa, la prudenza. Gianni sosteneva che se sai una bene i suoi anni; nel 2009 spegnerà le trenta cande- cosa che vale cento devi scriverne ottanta, ma devi line di una simbolica torta a forma di giornale. esserne sicuro. Mai sbilanciarsi né avventurarsi in «Ebbene quella mattina del ’79 – prosegue Attilio –, cose che non si conoscono. Una lezione desueta fra nei pressi di via Di Blasi, avevano ucciso Boris le giovani leve». È una rotativa Attilio; parla di tutto, Giuliano, un commissario di polizia serio. L’unico di in questa piccola giostra d’oggi. «Quella Cosa Nostra quei tempi ad essere stato invitato alla scuola d’un tempo – conclude – non c’è più. È in difficoltà dell’F.B.I. americana. Gianni ed io fummo i primi ad dopo le stragi dell’‘89. In America prende mazzate e arrivare sul posto e da quel giorno non ho più smes- in Italia la guerra dello Stato, per la prima volta non so di correre. E poi in quegli anni Palermo era spe- più a corrente alternata, è ad un punto decisivo. Lo ciale e cupa. C’era la guerra dei corleonesi, il grande Stato non ha ancora vinto, il movimento è lento, ma attacco allo Stato, la bestialità della mafia e il bilan- è in grado di vincerla questa guerra».

di TOMMASO GAMBINO PAROLE D'ONORE / 410 pagg. / € 12 / BUR Biblioteca Univ. Rizzoli

libro non in tandem; i restanti sono stati scritti a quattro mani con Giuseppe D’Avanzo – fra cui il più noto è “Il Capo dei Capi”, per l’omonima tele-fiction a cui Bolzoni ha collaborato alla sceneggiatura, così bissando l’esperienza del “Paolo Borsellino” televisivo) – e uno, “C’ era una volta la lotta alla mafia”, con Saverio Lodato col quale ha condiviso – per difendere il diritto di cronaca – otto giorni di carcere per uno scoop su presunti intrecci mafia e politica. Scagionati entrambi dalle accuse, in quello stesso

È un piccolo dizionario sulla mafia del silenzio: quella non scritta e prima delle stragi ’89. Idiomi che concentrano pensieri e ragionamenti in una sola battuta. «Il corleonese Liggio – dice Bolzoni – spesso ripeteva: “Amo Socrate perché come me non ha scritto nulla”. Oggi che invece tutto è pizzini, libri mastro e lettere, quel potere s’è perso». “Parole d’onore” cristallizza un tempo, «per lasciare – aggiunge Bolzoni – intatta la purezza di un pensiero mafioso divenuto altro; non so cosa. Si americanizzerà, forse, ma quella Cosa Nostra, esistente da tre secoli, è stata sotterrata dalle stragi; perché il Capo dei capi, Totò Riina, l’ha portata in un vicolo cieco. Il resto dopo lui: solo gregari».

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LIBRI

Adolescenti di un ’78 palermitano Il romanzo d’esordio di Giorgio Vasta è in libreria: un libro sul linguaggio e sull’adolescenza

È ben interessante, complesso ma anche ostico e a volte stilisticamente eccessivo Il tempo materiale (minimum fax, 2008, pagg. 311, euro 13), romanzo d’esordio di Giorgio Vasta, trentottenne palermitano sconosciuto a molti ma non agli addetti ai lavori, soprattutto nelle vesti di consulente e di curatore editoriale. Il romanzo racconta le gesta di tre undicenni, figli della buona borghesia di una Palermo senza luce, secca e distante e del corso di un anno infame e deforme come il ’78, rimasto indelebilmente nella memoria nazionale per il rapimento e l’assassinio di Moro da parte delle brigate rosse. Giusto i brigatisti sono il punto di riferimento dei tre ragazzi che possiedono un vocabolario da intellettuali e la cecità di cupi ideologi: crudeli replicanti, nel piccolo mondo palermitano, delle tragedie nazionali di cui famelicamente si nutrono. Nimbo, Volo e Raggio – que-

di SAVERIO PULEO

sti sono i nomi di battaglia che si sono dati i tre ragazzi – odiano buona parte dei capisaldi che reggono e regolano la società italiana del tempo: la famiglia, la DC, il cattolicesimo abitudinario e finanche la nuova ironia italiana che brilla su tutti i musi, in tutte le frasi, che ogni giorno lotta contro l’ideologia, le divora la testa, e in pochi anni dell’ideologia non resterà più niente, l’ironia sarà la nostra unica risorsa e la nostra sconfitta... Immersi nella loro diversità di non ragazzini, l’unica cosa che li attrae e li fonda come gruppo è il linguaggio nuovo e farneticante dei comunicati delle brigate rosse, un proliferare di parole divoranti che li seduce fino a farli cadere nell’eversione violenta. Questa raccontata è certamente l’impalcatura del romanzo di Vasta, ma i suoi livelli sono tali e tanti (fin troppi) da indurre il lettore volenteroso a cercare per gioco e per forza, a costo che gli giri la testa, il vero asse centrale dell’opera. Di sicuro l’autore ha scritto un libro storico e insieme politico, ma è altrettanto vero che esso ha un aspetto morale e una cifra autobiografica che schizzano fuori da ogni riga. Quale è, dunque, il vero corpo de Il tempo materiale? A nostro parere Vasta ha concepito un romanzo sul linguaggio e sull’adolescenza e sulla capacità che esso può avere, in potenza, di mettere ordine nel caos. Nimbo – che identifichiamo nell’autore stesso – è un fabbricatore di parole e immagini che si affaccia all’età più caotica esistente a questo mondo, l’adolescenza, e per lui e i suoi due amici dare un nuovo nome e un nuovo senso alla realtà sensibile, rappresenta la via di fuga dal disincantato cinismo dei padri. Arrivati a questa risoluzione l’incipit del romanzo ci pare ancora più chiaro e illuminante: C’è il cielo. C’è l’acqua, ci sono le radici. C’è la religione, c’è la materia, c’è la casa... C’è la città, c’è la temperatura della città che cambia il respiro... Ci sono gli anni, le molecole, c’è il sangue... E c’è la fame. I nomi. Ci sono i nomi. Ci sono io. È dunque la storia di un’ossessione Il tempo materiale, ma anche di una sconfitta, perché la parola può anche diventare una gabbia: il linguaggio è infinito, può avvitarsi su se stesso ed impazzire e cumularsi al caos che vuole regolare. Un romanzo doloroso e senza un vero intreccio narrativo ma denso di virtuosismi che, quando stanno per stancarti, trovano nuova linfa nello spessore morale delle parole. balarm magazine 36


LIBRI

Storia di passione al femminile Giovanna Fiume, storica ed insegnante, esce in libreria con il suo ultimo libro: “Mariti e pidocchi”

Con questo saggio, abilmente ed intelligentemente vestito da romanzo, Giovanna Fiume racconta una storia di passione femminile. Donne che amano con passione e che con altrettanto fuoco odiano e covano rancore e desidero di vendetta, tanto forte da fare ricorso ad una strana forma di divorzio non consensuale, l’avvelenamento del coniuge. Giovanna Bonanno, protagonista della vicenda visse nel XVIII secolo durante il regno del viceré Caracciolo. Probabilmente conduceva una vita di stenti, traendo i suoi miseri guadagni più da elemosine che non dalla stregoneria. La immaginiamo bene mentre un giorno, presa come sempre dalla battaglia quotidiana per la sopravvivenza, scopre un modo per sbarcare il lunario con minore disagio: il rimedio contro i pidocchi di un onesto farmacista aromataro, può esser venduto come pozione magica capace di risolvere situazioni coniugali

di ANTONIO CASTIGLIA

difficili. Come escludere che Giovanna Bonanno fosse realmente persuasa di offrire un servizio socialmente utile? Ridare la serenità a quanti volessero disfarsi del proprio coniuge! E come non intuire il desiderio di migliorare la propria esistenza, da sempre caratterizzata dalla povertà e dall’accattonaggio. In fondo, non era difficile procurarsi il liquido per i pidocchi, né complicato addizionarlo con vino bianco e arsenico. Dopo i primi tentativi non del tutto ben riusciti, Giovanna mette a punto la pozione, il dosaggio, la giusta diluizione e, confortata dalla incapacità dei medici di spiegarsi le ragioni dei primi decessi, intraprende la sua carriera di avvelenatrice. Una carriera purtroppo (o sarebbe forse meglio dire per fortuna) che vede un rapido apice ed un altrettanto rapido declino. Alla Zisa di Palermo, cominciano a verificarsi morti molto misteriose e contemporaneamente la fama di Giovanna assume carattere di inquietante mistero. Non poteva durare a lungo ed infatti Giovanna commette inevitabilmente degli errori, finché un giorno uno di questi non la porta all’arresto, al processo ed alla condanna a morte per impiccagione. Il 30 luglio 1789 l’avvelenatrice pendeva dalla forca ed il 5 settembre seguente già si poteva assistere ad una rappresentazione sulla Vecchia dell’aceto. La storia oggi viene narrata dall’autrice del libro in questione con la dovizia e la completezza di informazioni che compete a chi lavora con la Storia. Giovanna Fiume infatti insegna Storia Moderna alla Università di Palermo ed ha un curriculum di tutto rispetto che le vale a pieno il titolo di Storica. Il saggio-romanzo, oltre alla vicenda personale di Giovanna Bonanno, delle sue vittime e dei suoi complici più o meno consapevoli, è una finestra spalancata sulla Palermo dell’epoca della rivoluzione francese, una città nella quale convivono a forza e con grande stridore, passione isolana, ignoranza sciocca e superstiziosa ed idee illuministe tanto in germe quanto forti nell’influenzare il tribunale che condannerà la Bonanno. Mariti e Pidocchi, edito da XL edizioni, il libreria al costo di 15 euro, è un libro godibile e ben scritto, in una forma che ha il rigore scientifico del saggio e il ritmo gradevole del romanzo e che dunque non mancherà di soddisfare le esigenze e le aspettative degli appassionati dei due generi. Segnaliamo infine ai più curiosi che nel Museo Etnografico Siciliano Giuseppe Pitrè è custodito il busto di Giovanna Bonanno, la vecchia dell’aceto. balarm magazine 38


ph. Valentina Glorioso

CINEMA

FRANCESCA BEGGIO

In “Agrodolce” è Lucia Serio, con cui convive quindici ore al giorno e con cui ha sicuramente una cosa in comune: la franchezza. Un ritratto inedito di una lombarda in Sicilia di FABIO MANNO balarm magazine 40

Chi fa l’attore lo sa bene. Esiste un vademecum a Lucia Serio quasi 15 ore al giorno. Passo più tempo con cui è difficile sottrarsi. Alcuni la chiamano gavetta. lei che con me stessa. Dalla mattina - spesso la convocaTrasferimento a Roma. Residenze temporanee. Almeno zione sul set è all’alba - fino a notte fonda». Francesca 4 traslochi l’anno. Lavori precari: cameriere, segretaria, ama il suo lavoro. Me ne parla molto: «Lavorare per una banconista, lezioni private, centralinista, portiere di not- produzione di lunga serialità è una sensazione strana. Da te, hostess. Agenzie di casting e provini a iosa. una parte è bellissimo perché hai la fortuna di fare il Francesca Beggio - alias Lucia Serio in Agrodolce lo sa mestiere che ami ogni giorno - in questi tempi di precabene. A venti anni lascia la Brianza - lei è nata a Monza - riato generale è un grande privilegio - dall’altra parte è e si trasferisce a Roma. Obiettivo: fare l’attrice. Tra un una sfida continua perché devi dare il meglio di te ogni turno al bistrot dove lavora come capocameriera e un giorno. Devi essere sempre in forma e dare il massimo. laboratorio in teatro comincia a muovere i primi passi al Non puoi sbagliare. Non c’è tempo perché si va sempre cinema - nel 2002 gira qualche scena a fianco di Ennio di fretta». Adesso basta parlare di lavoro. E l’amore? «Sto Fantastichini - in televisione poi è protagonista di punta- vivendo un momento molto felice - mi risponde. - Non ta in Ris, La Squadra, Nati Ieri, etc. Due anni fa cambia ho neanche il tempo di pensare e chiedere se si tratta di tutto. Jorgelina De Petris , casting director, la chiama per un attore o addirittura di un collega che Francesca sfoun provino su parte. Il ruolo è appunto quello di Lucia dera il suo intuito femminile e mi gela: «Non provare a Serio. Il provino va bene ma non è tutto. Bisogna farne chiedere altro. Sono fidanzata e basta. Questo ti dovrebun altro e un altro ancora. Per il provino finale Francesca be bastare…», aggiunge con tono falsamente minacciosi prepara studiando il dialetto siciliano. Quella sera so. Si capisce subito che ama scherzare e che ride molFrancesca è a casa di un amito. Comunque rimango un po’ co quando all’improvviso arrideluso. Lo capisce e per com«La cosa che mi colpisce di più pensare la mia delusione mi va una telefonata dalla Rai, è uno sguardo profondo. Dei soltanto poche ore dopo l’ultisvela qualche dettaglio sugli mo provino. È il direttore uomini che le piacciono. «Mi siciliani amo la grinta. Sono creativo di Agrodolce che parstata alla Vucciria e alla Kalsa. piacciono i mori. I ragazzi scula: «Ciao Francesca, sei il ri, con gli occhi scuri. La cosa Lì ho sentito la vita vera. nostro sole. Sei il sole di che mi colpisce di più è uno Quando vi guardo negli occhi Lumera. Sei la nostra Lucia!». sguardo profondo. Dei siciliani percepisco energia pura» Mentre mi racconta quell’epiamo la grinta. Sono stata alla sodio c’è ancora emozione Vucciria e alla Kalsa. Lì ho sennella sua voce: «In quel momento ho provato una gran- tito la vita vera. Quando vi guardo negli occhi - voi sicide paura, un grande senso di responsabilità. Come è liani - percepisco energia pura». Infine mi racconta di possibile? Una produzione siciliana vuole me - nata e Claudia Fichera, l’attrice che in Agrodolce interpretà cresciuta in Brianza - per interpretare una eroina sicilia- Lena Cutò, la professoressa idealista che con il suo lavona dei nostri tempi. Subito dopo ho sentito una soddisfa- ro aiuta a crescere i giovani di Lumera. «Con Claudia siazione immensa. Non stavo nella pelle». Ormai è quasi un mo diventate subito amiche. Ci siamo incontrate a Roma anno che Francesca lavora quotidianamente per per l’ultimo provino. In lizza per il suo ruolo c’erano altre Agrodolce. Spesso si sveglia alle 5.30. Un bacio al gatto due attrici. Io ho provato la mia scena con tutte e tre. Poi Oscar. Colazione sul set. Poi scena dopo scena arriva a è stata scelta Claudia. Mi piace la sua schiettezza e la sua sera stremata dalla fatica. «Oscar si è fatto adottare da sincerità. Non perde mai la forza di lottare. È una granme non appena sono arrivata in Sicilia. Era un mignoli- de donna». Alla fine vuole togliersi un sassolino dalla no» - ci tiene a parlarmi del gatto. Mi dice pure che per scarpa. Parla di chi l’ha criticata per via del suo accento tanti anni è stata vegetariana. Adesso di carne ne man- non proprio siciliano. «Non voglio far diventare il mio gia poco. Dopo aver esaurito l’argomento animali, personaggio una macchietta siciliana. Lavoro sulla veririprende a parlare del lavoro. Mi parla parecchio del suo tà del mio personaggio. Sto amando la Sicilia giorno personaggio. Secondo me c’è una simbiosi in corso tra dopo giorno. La stimo e la rispetto. Mi piacciono le perloro due. D’altronde basta seguire Agrodolce per render- sone che ci vivono. Quindi mi sento tradita quando mi sene conto. Il personaggio di Lucia Serio ha smussato criticano. Sto cercando di penetrare nel mio personaggio tutti gli spigoli in superficie ed è cresciuto in profondità sempre di più. Preferisco parlare pulito ma essere vera». e complessità. Francesca me lo conferma: «Vivo con Una dichiarazione d’amore. balarm magazine 41


CINEMA

L’anima di Palermo Shooting Il film di Wim Wenders ambientato a Palermo nella sua ultima versione: un affresco onirico della città C’è un asse ideale che collega Dusseldorf a Palermo. È il racconto di “Palermo shooting”, il nuovo film che Wim Wenders (a sinistra) ha girato tra la sua città natale, il capoluogo siciliano e Gangi, un piccolo centro arrampicato sulle Madonie. Presentato in anteprima nazionale a Palermo, la nuova versione del film che i critici di Cannes avevano bocciato senza appello, è un affresco onirico della città, che apre squarci di luce e ombre sul percorso esistenziale del protagonista, Finn, un fotografo di successo interpretato da Campino (a destra), la rockstar del gruppo Die Toten Hosen. «Shooting in inglese significa anche sparo – ha spiegato il regista- ma questo è uno sparo diverso. All’inizio avevo in mente una canzone d’amore. E ora questa è diventata la mia canzone d’amore per Palermo». Prodotto dalla Wenders Images Gmbh, cofinanziato da Regione, Provincia e Aapit con un milione 207 mila euro, la nuova versione del film ha perso quei 18 minuti che appesantivano la storia e porta in calce la dedica a due maestri come Antonioni e Bergman. Sarà nelle sale dal 28 novembre, distribuito dalla Bim in 60 copie: «Sono stato 15 volte a Cannes ed era normale volerci essere anche quest’anno. Così per presentare il film in tempo ho dovuto spingere parecchio. Solo dopo mi sono reso conto che l’opera non era finita, che dovevo tornarci su per dargli la forma che volevo». Così, per strada sono saltate anche le

di LAURA NOBILE

scene girate con Leoluca Orlando, Giovanni Sollima e con Patti Smith, che però saranno visibili nella versione in dvd. E andiamo allora alla storia. Finn è un fotografo di successo che vive una vita frenetica, eccessiva, con la musica sparata nelle orecchie dal suo ipod, senza più riuscire a guardarsi dentro né a dormire. Fin quando una notte sfiora l’incidente mortale, e come Alice nel paese delle meraviglie, attraversa il varco immaginario che gli consentirà di riscoprire se stesso, il suo tempo e il senso della sua vita, intentando un duello ravvicinato con l’arciere della Morte, interpretato da Dennis Hopper. Al di là di quel varco ideale poi c’è Palermo, i suoi vicoli scorticati, la luce del mare, i rumori insistenti, curiosi animali che sbucano all’improvviso e le facce della città, Letizia Battaglia e Rory Quattrocchi, il fascino del teatro Garibaldi, e una scena che sembra ritagliata da un quadro di Magritte. E c’è la forza solare di Flavia, (Giovanna Mezzogiorno) la restauratrice che guarda ancora il mondo con il filtro dell’emotività e conduce il protagonista verso una possibile via d’uscita. «Il film riguarda molto la mia vita -conclude Wenderse affronta il rapporto dell’uomo con l’accidia, l’incapacità di vivere il presente e riappropriarsi della propria esistenza. Questa dimensione potevo ambientarla solo a Palermo, perché non conosco altra città dove il senso della vita e il senso della morte siano così forti». balarm magazine 42


ph. Gabriele Mocera

CINEMA

TONY SCOTT secondo Maresco Il documentario del regista siciliano è dedicato al maestro del jazz di origini trapanesi di MANUELA PAGANO In centinaia si ammassavano lungo la banchina del porto, con le valigie di cartone, silenziose custodi di ricordi e di speranze. Erano i primi anni del ‘900, gli anni del grande esodo degli emigranti siciliani che cercavano fortuna oltreoceano. Alcuni di loro, non pochi per la verità, erano artisti che trovarono fortuna in America, mischiando la loro musica con quella degli afroamericani e dando vita al jazz, genere musicale figlio del multiculturalismo. È

il caso del clarinettista italo americano Anthony J. Sciacca, passato alla storia come Tony Scott, a cui il regista Franco Maresco dedica un documentario nelle sale la prossima primavera, che sancisce la fine del decennale sodalizio cinematografico con Daniele Ciprì. «Da anni avevo l’intenzione di realizzare un film che rimarcasse l’enorme contributo offerto al jazz dalla comunità italoamericana, e una volta conosciuto Tony Scott ho pensato che si dovesse partire da lui per raccontare il periodo degli anni d’oro - spiega Maresco -. Così, durante uno dei suoi soggiorni a Roma, io e Ciprì facemmo una lunga chiacchierata con il maestro del jazz, raccogliendo una quantità di informazioni sorprendenti». Da qui ha preso l’avvio il corposo progetto, prodotto da Cinico Cinema con il contributo della Film Commission, che impegna attualmente Maresco coadiuvato alla sceneggiatura da Claudia Uzzo. Il documentario raccoglie un centinaio di testimonianze sullo stravagante artista dalla lunga barba bianca, figlio di musicisti di origini trapanesi. Immagini di repertorio inedite dello stesso Scott, interviste agli amici e alla sua famiglia racconteranno l’uomo, oltre che l’artista. Con questo film, girato tra gli Stati Uniti, l’Italia e la Sicilia, il regista vuole dare il meritato rilievo a una figura di spicco internazionale, ingiustamente sottovalutata in Italia, dove sembra non essere stata colta in pieno la portata rivoluzionaria della sua musica. Protagonista di virtuose esibizioni con Charlie Parker, rivale di Buddy De Franco, talent scout di virtuosi del calibro di Bill Evans, direttore musicale di Harry Belafonte, Tony Scott fu il primo a introdurre il clarinetto nel bebop, e, precisa Maresco, «rappresenta l’ultimo puro del jazz che pur consapevole della fine di un’epoca d’oro, mai si rassegnò alla morte di un genere». Spinto da una profonda inquietudine, in concomitanza con la morte di Billie Holiday, di cui fu consigliere musicale e intimo amico, Scott si trasferì misteriosamente in Giappone e in Indonesia, dove cominciò le sue fortunate sperimentazioni con la cultura tradizionale locale, che portarono nel 1964 al famoso album “Music for Zen Meditation”. Il 29 marzo del 2007, all’età di 86 anni, Scott se n’è andato scrivendo una memorabile pagina di storia musicale. Pur essendo cittadino del mondo, il musicista rimase così legato alle sue origini da voler essere sepolto a Salemi, dove sono rimaste memorabili le sue estemporanee jam-sessions bandistiche. Fiero delle sue origini sicule, Scott raccontò così una querelle con Charles Mingus che diffidava dei jazzisti bianchi: «Una volta, quando entrambi suonavamo con Duke Ellington, dopo l’ennesima aggressione verbale gli ho detto: ‘Ascolta, io sono siciliano e sono più scuro di te. Ed è vero! Io ho più sangue africano di Charles Mingus». balarm magazine 44


ph. Federico Maria Giammusso

CINEMA

Marina PATERNA al primo corto La giovane regista palermitana esordisce con un cortometraggio pieno di emozioni: “Io Vivo” Una bella ragazza palermitana di 28 anni che ha sempre sognato il cinema ha finalmente realizzato il suo sogno presentando, il 10 novembre, il suo primo cortometraggio “Io Vivo” dedicato a Giuseppe Di Matteo, bambino di 11 anni sequestrato dalla mafia, e dopo 755 giorni di prigionia, strangolato e sciolto nell’acido. “Io Vivo”, di cui firma soggetto, sceneggiatura e regia, non è un documentario, né vuole essere un film di denuncia, ma è un cortometraggio che si distacca dalla realtà per colpire lo spettatore al cuore con le emozioni. Marina Paterna si è «ispirata alla storia del piccolo Di Matteo immaginando le sue emozioni negli oltre due anni di prigionia prima che i boss lo uccidessero». Un film che non cerca di ricostruire i fatti, quindi, ma «inventato da me - confessa la giovane regista -, incentrato sulle sue sensazioni e la mia immaginazione». Marina ha immaginato che nei momenti di difficoltà un bimbo cerca la madre, ma l’unica cosa che il piccolo Giuseppe aveva erano le fredde pareti della sua cella e la fantasia tipica di un bambino di 11 anni». Il suo intento non è parlare di mafia, «ma trasmettere delle emozioni per scatenare una reazione. Ecco perché il mio film s’intitola “Io vivo”». Marina definisce “film” il suo cortometraggio, di circa 6 minuti, perché in realtà, dopo l’anteprima avvenuta a San Giuseppe Jato, è a caccia di un produtto-

di LAURA MAGGIORE

re per trasformarlo nel suo primo lungometraggio, di cui ha già scritto la sceneggiatura. Studentessa di Tecnica Pubblicitaria all’Università di Palermo, ha trasformato i corsi di grafica pubblicitaria in corsi di regia, fotografia, sceneggiatura e ha iniziato così a lavorare come assistente alla regia nei film che giravano in città, come “Il dolce e l’amaro”, “Baaria”, “Il 7 e l’8”. Ma la svolta è arrivata con un corso di regia e sceneggiatura a Roma, dove vive attualmente. E adesso il suo obiettivo è di diventare una sceneggiatrice-regista, come precisa, come Tornatore, il suo idolo. Per questo motivo ha deciso di imparare tutti i mestieri del cinema e sta partecipando alle selezioni dell’Actor Studio italiano di Roma per imparare a dirigere bene i suoi attori. «Noi donne possiamo dimostrare di sapere fare tanto. A 28 anni un produttore ti crede solo una sognatrice, ma io non demordo e riuscirò». La giovane regista, infatti, punta molto sulla sua determinazione che le ha già permesso di realizzare il corto con la collaborazione gratuita di numerosi professionisti che hanno creduto in lei. Ora che il suo sogno comincia a diventare realtà è fiduciosa sul futuro: «Prima o poi qualcuno che creda in me lo troverò - dice -. Ci sono cose che senti talmente da non poterle rinnegare. Io sento che è l’unico lavoro che potrei fare sul serio senza stancarmi mai». balarm magazine 46



SOCIETA’

discutere dei vari argomenti che interessano i cittadini. Nato come meetup palermitano legato al comico genovese c’è anche bispensiero.it, promotore, tra le altre cose, anche di azioni collettive contro le Ztl e le strisce blu. Poi c’è fascioemartello.it, che da più di due anni e dopo un restyling completo, racconta con ironia Palermo e la Sicilia, passando dalla cronaca allo sport, dalle ricette di cucina alle inchieste sulla mobilità. I ragazzi che l’hanno creato, Carmelo Di Gesaro, Francesca e Roberta Scaglione, Teresa Reale, Claudio Colletti e Gerolamo Accardi, l’hanno fatto un po’ per gioco un po’ per la necessità di andare oltre i luoghi comuni di una politica inconcludente e trasformista che non rispecchia più nessuno. Da qui anche il nome, “fascio & martello”, che

perché uno degli scopi per cui è nato il sito è “ripensare le forme e le modalità politiche di approccio alla città e al territorio, verificarne la conoscenza ed alimentarla, ristabilire forme di comunicazione e di partecipazione che non soffochino le iniziative autonome ma che ne valorizzino e stimolino il loro ruolo”. Più recente ma già promotore di molte iniziative www.cittaduepuntozero.it, nato a maggio da un’idea di un gruppo di ragazzi, tra cui Marco Lo Bue e Paolo Piacenti, presidente e vice. L’associazione porta avanti il progetto guidata da “cinque stelle polari”, come si può leggere in una delle pagine: un Parco della Favorita moderno a misura di famiglie e sportivi; un nuovo rapporto tra la città e il mare; un centro storico che diventi il quartiere della cultura; una città servita da parcheggi e mezzi pubblici; un rapporto nuovo tra università e mondo del lavoro. Le iniziative già messe in atto dall’associazione sono diverse: da “Bici2.0“, un’escursione in mountain bike per i sentieri della Favorita, alla distribuzione di 15.000 sacchetti ai commercianti dei mercati storici e dei quartieri popolari per sensibilizzare titolari e clienti ai temi fondanti del sito, alla serata organizzata alla facoltà di giurisprudenza in memoria di Giovanni Falcone. Si occupa invece per lo più di tematiche legate al traffico e a una nuova concezione della vivibilità della città mobilitapalermo.org, comitato cittadino che nasce nel web e poi da virtuale diventa reale, un incontro “tra persone che nutrono un profondo rispetto per la propria città, con un forte senso civico e ph. Federico Maria Giammusso voglia di cambiamento”. Sul sito si trovano tutti i lavori pubblici di mobilità dedicati a Palermo, ognuno con la dimostra la voglia di andare al di là degli schieramenti. sua storia e il suo presente, che viene aggiornato di conUna chicca che già da sola vale la visita del sito: i video tinuo. E soprattutto, per ognuno è segnata la data previdella campagna “Intimidisciti se vuoi diventare qualcu- sta per la consegna dei lavori. Metropolitana, passante no”. Spegnerà invece la prima candelina in questi giorni ferroviario, parcheggi e strade: niente passa inosservato kom-pa.net, “un osservatorio transmediale, uno stru- ai padri del sito, Giulio Di Chiara, Pascal Borrelli, Andrea mento di indagine e riflessione critica sulla trasformazio- Baio, Antonio Passalacqua e Agostino Di Giovanni, che ne della Città“, come si autolasciano ampio spazio anche definisce. In pratica, Kom-pa è ai commenti degli internauti e Sono diventati per molti un webmagazine che viene alla loro opinione: sulla homepalermitani un click obbligato riempito di contenuti riguarpage c‘è anche un sondaggio dopo la posta e le pagine dei danti le tematiche che più sulla politica di mobilità della quotidiani. Il dictat per tutti è città. Ha una sezione dedicata infervorano gli animi cittadini solo uno: fare politica vera e per farlo utilizza diversi ai sondaggi fra le quasi trenta mezzi: sul sito si trovano articategorie di discussione e più coli testuali, video, registrazioni audio. Victor Lo Sgorbio, di un anno di vita anche palermo.blogolandia.it, che Federico Caccia Pietra, Doriano Birocco, Valerio conta tra le attrattive anche una bacheca e una lunghisSalvatreca e Vittorio Sgorbio ne sono i giovani genitori sima lista di tutti i blog palermitani. Sul sito si parla di orgogliosi. Su Kom-pa si trovano interviste, inchieste, politica, cronaca, sport e tanto altro e ogni lettore può recensioni di libri con una pagina apposita di letteratura lasciare il proprio commento sui fatti del giorno. Perché palermitana. C’è poi una sezione dedicata agli appelli: l’importante è anzitutto esserci.

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Sul WEB un’altra informazione

Con grande successo, grandi progetti e grandi risultati, di SONIA PAPUZZA impazzano a Palermo i siti di cittadinanza attiva Sono fatti da chi non ha voglia di stare semplicemente a guardare, per chi vuole dire la propria, per chi cerca una strada alternativa di informazione. Sono i siti di cittadinanza attiva che da qualche tempo sono diventati per molti palermitani un click obbligato dopo la posta e le pagine dei quotidiani online prima di iniziare una giornata di lavoro. Il dictat per tutti è uno solo uno: andare al di là degli schieramenti politici e fare politica vera. Con quasi 500 iscritti a guidare la fila degli internauti “attivi” c’è ilgrillodipalermo.it, il sito che raccoglie gli amici di Beppe Grillo, “grillini impegnati a ripulire, raddrizzare e rieducare la loro città, pronti ad affrontare ogni avversità e ad accogliere tutte le più interessanti novità”. Sul sito tutte le iniziative, i modi per partecipare e i forum per


SOCIETA’

Perso per perso mettilo in rete Un social commerce per opporsi al consumismo: idea di un palermitano pioniere della new economy Nel mio mondo gli uccellin vivrebbero in casette, ben vestiti, in guanti e con scarpette, nel mio mondo ideal. Così cantava Alice, la sognatrice-sovvertitrice per eccellenza. Un mondo ideale, con Bianconigli e Cappellai Matti, pieno di contraddizioni e stranezze. Ma c’è un mondo, o meglio un modo, alternativo a quello quotidiano, fatto da professionisti volontari, che hanno come obiettivo quello di opporsi al consumismo, di ridurre l’inquinamento, di creare un social-commerce, che permetta di acquisire oggetti senza spendere un centesimo. Un nuovo modo di concepire il commercio, senza che diventi un b a r a t t o . L’iniziativa, ideata e partita dalla Sicilia, ha suscitato grande interesse sia da parte dei media, che le hanno dedicato articoli, interviste, specials, sia tra i navigatori di internet, come ci ha confermato l’ideatore Michele Marino. Prove ne siano ph. Federico Maria Giammusso le numerose iscrizioni al portale e gli accessi in continuo aumento. Iniziare è facilissimo: basta collegarsi al sito www.persoperperso.it, scegliere uno username, una password, inserire i propri dati nella tabella e il gioco è fatto. Si riceveranno subito dei bonus valore di benvenuto. Poi occorre selezionare le cose che non ci servono più, che reputiamo superflue, ma che potrebbero far comodo ad altri, bisogna stimare il valore di ciascun oggetto (con l’equivalenza 1 euro = 1 valore) e caricare sul sito le foto e la descrizione di essi. Per ogni cosa idonea all’inserimento, il proprietario riceverà 5 bonus valori, da sommare a quelli relativi alla transazione, qualora l’oggetto fosse scelto da qualcuno. Chi cede l’oggetto quindi verrà pagato in

di LETIZIA MIRABILE

moneta valore, da spendere comprando altre cose, chi compra vedrà diminuire il suo conto di tanti valori quanti è costato l’oggetto selezionato e dovrà pagare, in euro, solo le spese di spedizione con una compagnia di trasporti a propria scelta. Tutto alla luce del sole e in piena libertà. Le sorprese non finiscono, perché l’intenzione è quella di fornire uno spazio gratuito alle aziende, che, in cambio, trasformeranno il costo dei loro articoli (residui di magazzino, merce che vogliono promuovere) da euro in valore, permettendo agli utenti di poter comprare nuovi prodotti attraverso la cessione per esempio delle loro scarpe, di una collana, di un comodino che non entra nella nuova casa. La cosa interessante è che si trovano moltissimi articoli, divisi in categorie. Alcune persone hanno trovato beni di difficile reperimento grazie a PxP. Per ora siamo agli inizi, ma tutto lascia supporre un incremento esponenziale. C’è già chi ci ha messo gli occhi sopra “l’affare” offrendo ingenti finanziamenti. Ma la correttezza e la volontà di non discostarsi dai propri intenti è la caratteristica di questi pionieri della neweconomy, che contro i loro interessi hanno declinato le proposte, cercando di non tradire la fiducia degli utenti. In questi tempi bui, in cui Caritas, Istat, Confconsumatori gridano l’sos-povertà, mettere le basi per un’opposizione concreta e limpida per acquisire ciò di cui abbiamo bisogno è un’idea eccellente. Una rivoluzione pacifica, costruttiva ed ecologica, che innoverà la mentalità dei consumisti-consumatori, sviluppando quella sana coscienza del valore reale della “robba”. balarm magazine 52


ph. Federico Maria Giammusso

COSTUME

SCONSIGLI per gli acquisti

Una “guida” leggera per non far finire nel “cassettone da riciclo” tutti i vostri frettolosi pensierini. Prendete carta e penna: ecco le istruzioni per non sbagliare di FEDERICA SCIACCA balarm magazine 54

Con l’avvicinarsi delle feste, come ogni anno, se sonale. Da vittima, ovviamente). Nella lista mancano poi da un lato negozi, strade, luci e pubblicità non i puttini, tanto leziosi quanto detestabili, i pupazzi a chi fanno che urlare al consumismo, dall’altro c’è chi non fa quindici anni li ha già compiuti, e i portacellulari, sia da che ricordare di non lasciarsi prendere dalla febbre tavolo, sia “da collo”... ma chi li usa? Infine, come non degli acquisti. Qui, invece, bando alla retorica, ci conce- menzionare quegli oggetti assurdi come il tagliauva, di deremo con più realismo, un po’ di frivolezza. Perciò, vi cui ho scoperto solo recentemente l’esistenza, mio malprego, prendete nota. Innanzitutto, prima regola d’oro grado, ma di cui credo si possa far benissimo a meno della nostra guida al “vi-prego-non-regalate-più-osce- nella vita. E poi per quale scopo: “Così quando mangi nità”, che sia per Natale, per il compleanno o per l’an- l’uva senza sporcarti le mani, mi pensi?”. Mah! Oppure niversario: state lontano dalle candele. Sono belle, d’at- delle pinze per acchiappare i pop corn, che è come dire mosfera, sì, ma non se ne può più. Diciamoci la verità: masticare una big babol senza fare palloncini: che alzi la mano chi non ne ha mille nei cassettoni del “rici- gusto c’è? E infine, due suggerimenti per maschietti e clo” (… dicasi “cassettone da riciclo” quel posto in cui signorine. Comincio con i primi, di solito i più bravi a sono destinati tutti quei “graditissimi” regali la cui vita sbagliare in questo genere di cose, con un unico consiconsiste nell’aspettare l’occasione per passare da un glio: per la vostra ragazza lasciate stare il perizoma. Per “cassettone da riciclo” di qualcuno a quello di un altro: tre motivi: primo, cosa fai vedere ai parenti? «Papà la prossima vittima). Ma andiamo avanti, e bandite le guarda che regalino carino che mi ha fatto il mio fidancandele, passiamo a loro: le fantastiche cornici. Tali zato? ». Secondo: è un regalo decisamente egoista; teroggetti, quasi in disuso per altro tra il digitale e tutto il zo: sbagliate sempre misura, e se ci sopravvalutate resto, sono tra quelli che credo che maggiormente comprandoci due misure in meno è un conto, (anche abbiano ispirato i peggior se, certo, si farà fatica ad designer del mondo, per cui, Per la vostra ragazza lasciate indossarle), ma se ci sottovaa parte delle vere rarità, la stare il perizoma. Per tre motivi: lutate, al contrario, compranmaggior parte sono davvero dole giganti... allora sono primo, cosa fai vedere ai oscene, specialmente se parcavoli per voi! E poi passiamo parenti? Secondo: è un regalo alle donne, che al contrario liamo di quelle d’argento, decisamente egoista. Terzo: imbottite ai lati con girigogodei “colleghi” di sopra si danli baroccheggianti come, purnano l’anima per fare i regali: sbagliate sempre misura troppo, se ne vedono ancora. inutile perseverare con l’abSono tra gli oggetti più decadenti del mondo, eppure, bigliamento per loro, specialmente se è uno della vecnon si sa ispirati da che e pensando a cosa, ancora se chia guardia, perché, ve lo giuro, non farà mai i salti di ne regalano, perciò con un grido corale suggerisco: gioia. Ma vi prego, non buttatevi per questo su cravatlasciatele nei negozi, insieme ai fermacarte e alle pen- te, porta documenti o cinture, davvero troppo troppo ne. “Pensierini” tutti che hanno fatto la loro storia, per impersonali e anche un po’, diciamocelo, banali. Detto cui è inutile prolungare questa agonia. Così, a meno che questo, è ovvio che qui si voleva solo far sorridere un il vostro amico o parente non sia proprio un patito di po’, che anche questi oggetti, possono far piacere a penne e fermacarte, non ha senso perseverare. Altro seconda a chi si regala, perché in effetti, l’unica vera cruccio: il set da bagno. Parliamo di quei pacchetti pre- guida, come sempre nella vita, è quella di avere un confezionati di saponi e bagnoschiuma che, per carità, minimo di buon senso, come quello di non regalare una sono molto più utili rispetto agli altri “amici del casset- bottiglia di vodka a chi sta cercando di smettere, la fontone”, anzi, potrebbero addirittura non finirci mai lì doutiera a chi è a dieta perenne, o peggio, delle presidentro, ma purtroppo hanno un difetto: quello di voler ne da cucina ad una diciottenne. E poi rimane pur semdire tra le righe o “non-sapevo-proprio-cosa cavolo- pre verde la sacrosanta legge per cui “a caval donato regalarti-e-mi-seccava-perdere-tempo”, o, decisamen- non si guarda in bocca”, e quindi non si dovrebbe badate peggio, “lavati”. E a seconda del destinatario non è il re a queste cose, un regalo è sempre un regalo, eppumassimo come “pensierino”. Poi, per alcuni sarebbe re è anche vero che se si chiamano “pensierini”, “penscontato sentirselo dire, ma purtoppo non per tutti, sateci” davvero alla persona a cui volete farli, ricordacosì lo dico e basta: i campioncini di profumo sono pale- tevi cosa ama, i suoi vizi e le sue passioni… e magari, semente differenti dai profumi veri e propri, perciò evi- perché no? Anche le sue misure, e orientatevi così. Così tate di spacciarli per regali (lo dico per esperienza per- non si rischia di sbagliare. balarm magazine 55


ph. Vincenzo Pennino

COSTUME

Tutti i volti di Elisabetta Cinà La conduttrice del talk show “L’Italia che parla” si racconta: tra timidezza e determinazione Espressione acqua e sapone, capelli sciolti, jeans e camicia rossa. È così che si presenta Elisabetta Cinà al nostro appuntamento negli studi di Videazione dove, poco dopo, con lo stesso look minimal, conduce una nuova puntata de “L’Italia che parla”, talk show in onda su Video 2 Canale Italia dal lunedì al venerdì dalle 11 alle 12.30. È proprio il piglio deciso e spontaneo il punto di forza della conduttrice palermitana che negli ultimi tre anni ha collezionato successi conducendo programmi come “Tvt ore 12”, “7 in punto”, “Ammare siamo” e “Insemina”. Elisabetta si trova a proprio agio nel suo salotto dove ospita personaggi di volta in volta diversi con cui affronta svariati argomenti, dall’arte alla musica, dalla medicina alla moda. E dire che fare la conduttrice non è mai stato tra i suoi pensieri. «Dopo gli studi in legge, capii che l’avvocatura non sarebbe stata la mia strada e per amore mi trasferii a Como. Lì cominciai a occuparmi di moda ed ebbi modo di frequentare il mondo della televisione ma stando sempre dietro le telecamere. Mi affascinava la parte organizzativa, invece apparire non mi interessava più di tanto». Mentre parla i suoi occhi azzurri sorridono e nasce spontaneo chiedersi come mai oggi si trovi così bene nel ruolo di conduttrice. «Quando mi proposero il programma “Tvt ore 12” ero certa che avrei mollato dopo

di MANUELA PAGANO

una settimana, ma vedendo l’iniziale ostruzionismo dei colleghi che non mi ritenevano del settore, ho deciso che avrei continuato dimostrando quanto valevo. Come dire, quando il gioco si fa duro…». Che sia una dura non c’è alcun dubbio, un vero “animale mediatico”, come sottolineano Aldo Garofalo e Salvo Corrao, che fanno parte del gruppo di lavoro con cui ha instaurato un clima di grande sinergia. Anche se si sente una timida, infatti, Elisabetta Cinà è una persona curiosa e dinamica che ama stare a contatto con la gente, sempre alla ricerca di nuovi stimoli. Questa costante voglia di fare e di mettersi in discussione le ha fatto intraprendere una nuova esperienza in ambito musicale come manager della cantante Serenella. «Era destino che mi occupassi di musica - ironizza - infatti a soli 10 anni ho condotto un programma radiofonico su un’emittente locale». La determinazione non manca a questa donna che dalla sua ha la consapevolezza che ci si può reinventare a qualunque età, a condizione di crederci fino in fondo. La sensazione che si avverte parlando con Elisabetta è quella di aver davanti un treno che una volta partito non vuole più fermarsi. E quando le domando che progetti ha per il futuro mi svela la sua filosofia: «Alcuni vedono le cose come sono e dicono perché. Io sogno cose non ancora esistenti e chiedo perché no?». balarm magazine 56


ph. Giuseppe Arnone

COSTUME

ANGELO DURO

Il ritratto del giovane artista dalla comicità innata con la “laurea in intrattenimento” di SVEVA ALAGNA In apparenza, non ha certo l’aria del comico tradizionale. Ma poi, non fa che giocare con mimica e parole, in primis con il suo nome, e ti spieghi perché Angelo Duro ha scelto proprio il cabaret. «In realtà, al di là della mia immagine, di recente sicuramente imborghesita rispetto al passato, quello che mi è sempre venuto spontaneo, è pensare comico», spiega. Ma cos’è “pensare comico” per Angelo Duro? «È affrontare con humor tutte le situazioni, anche le più drammatiche, in questo caso sfiorando quasi l’imbarazzante. È più forte di me, mi accorgo sem-

pre del lato ironico delle vicende». Ventisei anni, per molti trapiantato a Bagheria, formatosi all’Accademia di Teatro Danza, il giovanissimo artista è stato animatore e capo animatore per cinque anni, lavorando con importanti Tour Operator («ho la laurea in Intrattenimento», ironizza), vince due volte il “Premio europeo Massimo Troisi” con due cortometraggi, va in tour nel Festival del Cabaret con Pippo Franco e Valentina Persia, partecipa al laboratorio di Zelig on the road per poi mettere in scena uno dei suoi personaggi a Zelig Teatro di viale Monza. Dopo le varie esibizioni con lo spettacolo “RiAnimazione” («spettacolo studiato proprio per rianimare gli spettatori»), nell’estate del 2008 è in tour in tutta Italia con “Tieni Duro”: no al fumo, all’alcol e ai vizi, ecco un cabaret con momenti di varietà, monologhi e personaggi, giochi con il pubblico. Impiantato su tematiche “salutiste”, lo spettacolo ha portato il comico a partecipare a manifestazioni importanti come “Saporbio” con Marco Columbro, ad esibirsi nelle scuole medie e superiori (con un fine anche pedagogico e d’informazione) e presso Il Teatro Al Convento di Gianni Nanfa, suo maestro e amico, che da sempre ha creduto in lui e lo ha condotto a coltivare sempre più la sua verve. In TV, oltre alla collaborazione con la trasmissione Cool, Angelo è di recente autore di “Tutt’apposto - The Comedy Show”, in onda ogni giovedì alle 20.40 su CTS, una sorta di dibattito in cui intervengono ospiti e vari artisti, dagli esordienti a coloro che hanno fatto la storia della comicità siciliana. Inoltre, su Radio Time condurrà nei prossimi mesi una trasmissione settimanale, ha una band di musica swing anni ’50 “The Pupi’s Swing” che lo accompagna nei suoi laboratori cominci itineranti. «Il mio fine è stimolare il contesto comico locale alle novità, non esiste solo Zelig spiega - al di là delle imitazioni, è bene lavorare sul gusto e sul coraggio di creare». Il modo curioso di affrontare cataclismi e calamità naturali del palermitano è il tema del nuovo spettacolo in preparazione. Pratica intimamente legata all’emotività, dunque con l’interiorità più atavica ed istintiva dell’uomo, quella dell’humor rintraccia la sua essenza in quello che il filosofo francese Henry Bergson definì “slancio vitale”: «si presume che in gruppo, in un contesto quotidiano, il comico deve sempre uscirne con un battuta simpatica – approfondisce Angelo Duro - ma io trovo che sia bello anche ascoltare e non imporsi necessariamente. Ognuno ha il proprio spirito e non si può far ridere su richiesta. È far ridere stando sul palco, che fa la differenza. Fare il comico è uno di quei mestieri di cui non ci si spoglia mai, rimani te stesso, perché il “lavoro” coincide con il tuo punto di vista». Sul web: www.angeloduro.it balarm magazine 58


CIBO

L’ABBINAMENTO IL VINO di GIORGIO AQUILINO

Un inno al cioccolato, cibo divino Cioccolata calda e ‘mpanatigghie: la ricetta per liberare l’energia e avvicinarsi al paradiso Non vorrei essere considerata come Cicero pro domo sua, ma voglio spezzare una lancia a favore dei golosi del cioccolato. In realtà quelli che molti considerano viziosi, sono alla ricerca di un modo alternativo per sviluppare la propria spiritualità, un modo per entrare in contatto con gli dei. Spiego il complesso meccanismo, illustrando anche la situazione cosmica. Siamo nell’Era dell’Acquario, nella vita quotidiana si sono già viste le conseguenze: il rifiorire delle filosofie naturali, la centralità dei problemi ambientali (e vorrei ben vedere!), la cura dell’uomo per se stesso, l’attenzione per gli alimenti sani, magari divini… E a questo volevo arrivare. Theobroma significa cibo degli dei. Di cosa si parla? Naturalmente del cacao! L’origine geografica non è chiara, molti considerano il Venezuela la patria di questi preziosi semi, utilizzati già dagli Aztechi, anzi dai Maya, che se ne servivano non solo come una bevanda energizzante, ma anche come unità di misura e forma di pagamento. I primi ad importarlo furono gli Spagnoli prima con Colombo e poi con Cortès, mentre in Europa poi venne aromatizzato e dolcificato, per assecondare il

Siamo di fronte ad un dolce sicuramente strutturato e complesso. Tanti gli ingredienti che lo compongono, diverse quindi le sensazioni gustative percepibili al palato. In primis, va detto, in merito alla dolcezza del nostro preparato, come questa venga influenzata dalla presenza del cacao. Quest’ultimo, infatti, con la sua aromaticità e tendenza amarognola, fa percepire meno quelle sensazioni di dolcezza, tipiche degli alimenti composti da zuccheri semplici. Analoga separata considerazione la merita anche la carne, il cuore del nostro piatto. Questo elemento colora il nostro dolce di succulenza e di grassezza, caratteristica quest’ultima amplificata dalla presenza del burro nella pasta frolla. Per tutto questo, considerando anche gli altri elementi in gioco, il vino in abbinamento deve essere un Moscato di Noto, un vino dal sapore dolce, equilibrato, morbido e vellutato. Un prodotto di una delle famiglie di vitigni più grandi e variegate tra tutte quelle conosciute, nonché tra le più antiche al mondo: la coltivavano i Greci col nome di Anathelicon moschaton, mentre i Romani la definivano uva apiana perché prediletta dalle api per via del sua aroma dolcissimo. Il suo nome attuale, a parte alcune leggende, pare invece derivare da muscum, muschio, per il forte aroma caratteristico che i francesi chiamano musquè.

gusto dei nobili. Dalla Spagna alla Francia, all’Italia, Belgio, Olanda e Svizzera, il cacao conquistò tutti i palati. In Italia il primato per la produzione spetta a Torino. Ma anche noi in Sicilia vantiamo prodotti di altissima qualità, in primis l’ormai famoso e osannato cioccolato di Modica. La ricetta è rimasta identica a quella dell’epoca spagnola, tranne che per un particolare: la pasta del cacao viene lavorata a bagnomaria per non perdere le qualità organolettiche, non più sulla pietra lavica, e poi vengono aggiunti aromi e zucchero semolato. Come ogni alimento i suoi usi sono svariati e, a volte, curiosi. Lo si usa nella pasta, addirittura nel pesce, nella cottura del maiale e del coniglio, ma per continuare ad inneggiare la cucina modicana è bene ricordare le ‘mpanatigghie. Parenti delle mpanadas spagnole, le nostre nascono sotto il dominio borbonico. Si narra che fu opera delle manine sante - e ovviamente paffute!delle suore di un monastero di Modica, che impietosite dalla fatica dei padri predicatori, che proclamavano la parola di Cristo senza sosta, durante la Quaresima, nascosero la carne fra le mandorle tritate e i pezzi di

cioccolata, cibi consentiti nel periodo di digiuno. Altri no facilmente, perché si utilizzano spesso nelle nostre sostengono che siano nate per utilizzare gli avanzi di ricette. Il procedimento è molto semplice: si impastano carne di selvaggina, nei periodi di caccia, quando anco- gli ingredienti della pasta, fino a fare un composto, ra era abbondante. Ma la cosa importante è che la morbido e senza grumi. Lo si lascia riposare per due ricetta sia arrivata sino a noi e che non sia difficile da ore. Nel frattempo si prepara la farcia, amalgamando fare. Purtroppo come sempre ci vuole pazienza. Per la carne, mandorle, noci (se le avete messe), zucchero, pasta servono: 500 gr di farina 00 e 100 gr di zucchero; cioccolato, chiodi di garofano e cannella. Si stende la 180 gr di strutto; 1 uovo; due pasta su una balata con un o tre cucchiai di Marsala (o mattarello, si fanno mucPassito). Per il ripieno occor- Parenti delle mpanadas spagnole, chietti di condimento ben allinascono sotto il dominio rono: 200 gr di carne macinaneati e distanziati e con l’altra ta, preferibilmente di vitello; borbonico. Forse fu opera delle parte di pasta si coprono que200 gr di mandorle tritate manine sante delle suore di un sti piccoli montarozzi, finemente; 80 gr di gherigli di monastero di Modica, impietosite tagliandoli con il nappo dennoci tritati, in realtà questo e saldando bene i bordalla fatica dei padri predicatori tellato ingrediente è a discrezione, di. Si dispongono nella teglia molti preferiscono aumentaunta e si fanno cuocere a re la quantità delle mandorle e usare solo quelle; 15 gr 200° C. Una volta cotti e raffreddati si cospargono con di zucchero; 2 chiodi di garofano triturati; una spolve- lo zucchero a velo e si servono anche con un bel tè alla rata di cannella; 100 gr di cioccolato fondente tritato, si cannella o all’arancia, ocon una bella cioccolata calda al può anche grattuggiare, ma secondo me si perde il peperoncino, l’accordo finale per un momento di godusapore del contrasto; burro per ungere la teglia e zuc- ria massima, per l’innalzamento dei sensi, per liberare chero a velo per la decorazione finale. Sembrano tanti l’energia e ricondurci al Nirvana, o avvicinarci al paraingredienti, ma in genere nelle case dei siciliani si trova- diso, a Dio, o a noi stessi. E il cerchio si chiude!

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di LETIZIA MIRABILE


CIBO

Gagini: l’arte ci prende gusto Il primo music restaurant nel cuore antico della città: morbide note e profumi eleganti Impossibile non percepire il fluire delle epoche, inevitabile riconoscere l’atavica vocazione artistica di coloro che un tempo ne animarono gli ambienti. Questo è quanto accade entrando al Gagini, storico locale nel cuore antico della città, da sempre conosciuto come trattoria che oggi, invece, cambia veste per interpretare magistralmente la parte di primo music restaurant di Palermo. Sembra arduo conciliare armonicamente le origini del locale con la sua rinnovata e più che mai attuale identità. Eppure non c’è elemento che stoni, ogni particolare accompagna con eleganza e

discrezione la storia sussurrata dal caldo tufo vivo che, da secoli, ne circoscrive l’atmosfera. Adibito originariamente a bottega artigiana del famoso scultore Domenico Gagini prima, e del figlio Antonello poi, il locale è stato teatro di creazione delle più importanti opere del Rinascimento siciliano ed ha conosciuto, dal 1459 ad oggi, il fermento e l’incostanza delle forme dell’arte e della sua evoluzione. Oggi le stesse pareti assistono alla realizzazione di un’idea semplice ed originale: la combinazione dell’immortale tradizione gastronomica mediterranea con gli elementi creativi e scenografici di un’era visionaria. Materie prime di altissima qualità, abbinamenti inconsueti e sorprendenti di

di GIORGIA SCADUTO

sapori familiari, eleganza minuziosa e vivace di ogni singola portata. Ma non è tutto. Al Gagini anche la scelta del vino diventa un momento di piacevole scoperta. A disposizione una cantina pregiata e ricca di vini locali e non, oltre ai numerosi ed eccellenti distillati, liquori ed alcolici. Ed anche per i meno ferrati in materia, non c’è problema. Sarà infatti grande piacere dello staff tutto, a partire dai tre proprietari sempre presenti fino al personale di sala e, perché no, anche quello delle cucine, composto interamente da giovani professionisti, indirizzarvi nella scelta migliore con competenza impeccabile ed ospitalità garbata e fresca, che metterebbe chiunque a proprio agio senza mai apparire pretenziosa. Del resto l’anima acerba ed entusiasta del locale, rappresentata da Andrea Romito e Giuseppe Miria, trova la sua giusta misura d’espressione nella più navigata e saggia esperienza del terzo socio Salvatore D’Amato. Ed ecco che quando ogni cosa sembra esser stata detta arriva la ciliegina. Ogni giovedì, sabato e domenica il Gagini si anima con coinvolgenti concerti dal vivo, su un delizioso palchetto ad hoc, giovani artisti del panorama musicale cittadino colorano i dopocena dei clienti con un programma variabile, dal jazz al soul, dallo swing al pop. Il locale, inoltre, ospita volentieri eventi artistici e culturali di altro genere, come mostre, installazioni, presentazioni di libri ed enogastronomiche. Aperto anche la domenica a pranzo, il Gagini è dunque stato concepito come luogo versatile, estremamente reattivo alle sollecitazioni mutevoli di un pubblico sempre più rigoroso. Raccolto e raffinato ristorante, intelligentemente “alla moda”, dove prolungare la propria serata dopo un’ottima cena, magari accompagnati dalle note di John Coltrane e dalla bontà quasi sensuale di un flan al cioccolato. Sul web: www.ristorantegagini.com balarm magazine 62



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