SOMMARIO IN PRIMO PIANO Talècuccè!: la tv made ‘n Palermu_6
MUSICA
Giovanni Sollima, il nuovo cd “We were trees”_10 Archi Ensemble, undici siciliani “senza direttore”_12 Luca Aulicino, Il disco d’esordio_14 Mari-X: anni Novanta per sempre_15 Officina Palermo e il Laboratorio Orizzontale_16 Om, l’ultimo singolo è in rete_17
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TEATRO
Teatri delle Vergogne, un organismo “unico e poliedrico”_20 Teatro-Studio, solo otto spettatori alla volta_22 Manfredi Di Liberto e l'arte del trasformismo_24
ARTE
Letizia Battaglia, la “passionaria”_28 Daniela Balsamo: pittura, collage e scultura oggettuale_30 Alfonso Amorelli, arte inedita all'ippodromo_31
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LIBRI
Daniela Gambino, il nuovo romanzo "Abbi cura di te"_32 Roberto Alajmo e "La mossa del matto affogato"_34 "MondelloGiovani" nel cuore della Palermo storica_35 Marcello Benfante e la "Cassata ad orologeria"_36 Eva Di Stefano: "Art Brut e Outsider siciliani"_37
CINEMA
La Scuola Nazionale di Cinema ai Cantieri alla Zisa_38 "I protagonisti" secondo Sigfrido Giammona_40
SOCIETA’
Bispensiero, “l'informazione che nessuno ti ha dato”_42
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42
COSTUME
I "flickeriani" di Palermo_44 Nella giungla dei “MaiSpeiss”_46
CIBO
Hair-style e pasta con le sarde_48
www.balarm.it balarm magazine bimestrale di cultura e società anno II n°6 agosto/settembre 2008 registrazione tribunale di palermo n° 32 del 21.10.2003 editore associazione culturale balarm direttore responsabile fabio ricotta redazione via nicolò gallo 1 - 90139 palermo tel. 091.6113538 fax 091.6114523 redazione@balarm.it pubblicità w5 mediafactory srl tel. 091.6113538 / mob. 328.5351236 pubblicita@balarm.it
comitato di redazione barbara randazzo, letizia mirabile, maria teresa de sanctis, marina giordano, saverio puleo articoli alessandra sciortino, claudia brunetto, barbara giordano, daniele sabatucci, fabio manno, federica sciacca, gigi razete, giorgio aquilino, giulio giallombardo, giulia scalia, manuela pagano, marina sajeva, rossella puccio, sonia papuzza, stefano cabibbo, sveva alagna, tommaso gambino, tony siino, veronica caggia fotografie antonio chinnici, carmine maringola, davide grotta, giacomo giacomazzi, giuseppe sinatra, “flickeriani” di palermo, marco caselli, marina bonomolo, mario d’angelo, maurizio buscarino, nicola allegri, pietro motisi, shobha battaglia, simonetta agnello, soraya gullifa, tommaso gambino
progetto grafico salvo leo progetto web fabio pileri stampa artigiana grafica tiratura e distribuzione numero chiuso in redazione il 25/7/2008, stampato in 15.000 copie e distribuito gratuitamente a palermo, monreale, mondello, sferracavallo, isola delle femmine, capaci e cinisi, bagheria, santa flavia, trabia, termini imerese e cefalù in copertina marcello mordino (ph soraya gullifa)
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EDITORIALE
Dopo la TEMPESTA la quiete
di FABIO RICOTTA
Cari lettori, lo scorso mese di giugno Balarm magazine ha compiuto un anno. Un compleanno passato un po’ in sordina per via di una serie di trasformazioni interne che ci hanno portato a saltare un bimestre (quello di giugno-luglio), un periodo di tempo necessario per una riflessione accurata sul futuro del nostro lavoro. Abbiamo tirato le somme di questi ultimi (quasi) cinque anni di attività che sono stati intensi e nei quali siamo cresciuti sotto tanti aspetti, e proprio nell’ottica di un ulteriore arricchimento abbiamo fatto delle scelte ben precise. Dunque, non tutto il male viene per nuocere. Ma andiamo con ordine. Intanto, abbiamo riportato in vita l’associazione culturale Balarm che da questo numero diventa il nuovo editore, e che nei prossimi mesi si occuperà anche di progetti ed eventi, un po’ come ai vecchi tempi. Tra i cambiamenti decisamente più netti che abbiamo attuato, c’è anche un trasferimento di sede: da quella storica di via Candelai nel cuore del centro storico, ad una decisamente più cool nei pressi di piazza Politeama, in via Nicolò Gallo 1. I nuovi locali sono, in realtà, la sede di W5 mediafactory, una giovane agenzia di comunicazione palermitana che, come noi, strizza l’occhio alla cultura e agli eventi. Con W5 abbiamo instaurato una collaborazione che va al di là del semplice affidamento dell’esclusiva per la raccolta della pubblicità. Una sinergia importante che ci porterà ad investire ancora di più su Balarm, sia per quanto riguarda il magazine che sul web (balarm.it). E adesso non mi resta che augurarvi una buona estate e una buona lettura. balarm magazine 5
IN PRIMO PIANO
in replica ad agosto, tutte le sere a mezzanotte. In primo piano i capisaldi della prolifica Compagnia Televisiva Siciliana di Enzo e Beppe D’Amico; fucine di talenti, fiction caserecce e varietà sui generis. Come “Io vedo CTS”, una striscia quotidiana live, con quiz strampalati, esibizioni di varia umanità e l’evento clou della telefonata a casa. Chi rispondeva cantando il noto ritornello, s’accaparrava più di un milione delle vecchie lire, che allora erano piccioli! In 4 anni lo squillo ha sorpreso liti coniugali, veglie funebri, una seduta spiritica… provocando una caterva di scherzi e male parole. I due Che Guevara catodici consacrarono le gag demenziali, il mettersi in gioco col pubblico, reso complice e protagonista. Scoprendo i diktat del piccolo schermo: la malafiura alza l’audience e “tormentone azzeccato=successo garantito”. «Anticipammo il
toni animati, tutto il quartiere ce li lasciava in studio!». Presidiato da fans e volanti per tutelare l’ordine pubblico. L’irriverente format divenne una vetrina ambita dagli artisti in auge, dal continente giunsero Gianni Togni e Mimmo Cavallo, dai quartieri popolari: l’Al Pacino siculo Luigi Burruano, regista e interprete con Paride Benassai e Giacomo Civiletti dell’acclamata commedia “Palermo oh cara!”. «Rivedendoli penso Talè ca eranu bravi… e sicchi!». Tra gli ospiti più sfiziosi, il recordman Fabrizio Bignardelli (l’attuale politico), che nel ‘81 rimase 150 ore in diretta TV e per sempre nel Guinness dei Primati. Alla faccia del Grande Fratello! Imperdibile la parodia “Giallo in via Matteo Dominici” (l’antica sede di CTS), interpreti: il Commissario Barberoni, l’appuntato Morsicato, l’intero staff e un assassino, che, colpo di scena, non c’era… Oggi in “Talècuccè!” vige la stessa intesa goliardica: il regista nominato Porpopalo, l’operatore Salvuccio “valletto” e testimonial dello slogan sulla sicurezza stradale “Non fare la testa di casco!”. Una battuta che sarebbe piaciuta ai mattatori di “Più meglio della Rai”, altro trionfo rimasto negli annali. Un surreality show ispirato alla gestione casalinga delle tivvù private. «Con la moglie che munnava ‘a fasulina e il marito che lanciava i filmati dal salotto». Mentre l’Italia scopriva “Dallas”, qui si facevano i cianchi con la saga del Cavalier Scannaserpe, al secolo Renzino Barbera, cugino di Ferruccio (buon sangue non mente). Gli autori, Toti Piscopo e Angelo Butera, riunirono nel ph. Soraya Gullifa beffardo contenitore i capostipiti del cabaret cittadino: “Pronto Raffaella” della Carrà e il “cazzeggio” di Arbore Giorgio Li Bassi, Lollo Franco, Gino Carista... «Era avane Boncompagni» conferma il conduttore. Sui set “fai da spettacolo puro, con tanto di velina, Angy, fonte di te” nacquero Cosimo Inutile detto Cosìnutile; gli stra- sciarre con le zite!». Il picco di share si ebbe col dopfalcioni di Katia Roboante; le previsioni “meteopati- piaggio tascio doc dei divi del cinema e la telenovela “Una storia palermitana” che” del Generale Fulmini, sui Romeo e Giulietta che impose il suo «Anticipammo il “Pronto dell’Acquasanta. Dalla soap al “Accuraaa!!” nel gergo quotiRaffaella” della Carrà primo esempio di inchiesta on diano. Nella scaletta naif e il “cazzeggio” di Arbore e the road di “Tutto quello che anche gli spot “regresso” avreste voluto sapere…” come Sprizzi Sprazzi, il Boncompagni» Nella scaletta bagnoschiuma di Ficarazzi e naif anche gli spot “regresso” con i veraci sondaggi del Sindaco Isidoro, alias Raffaele le memorabili sigle, che caucome “Sprizzi Sprazzi”, il Sabato, sui pobblemi della citsarono un boom di vendite bagnoschiuma di Ficarazzi tà (trafficu, travagghiu, mundiscografiche. L’apice della nizza) «Dall’82 unnè canciato fama si ebbe con il pappagallo Giaculè, il cui “becco” impertinente causò la prima nenti! Il palermitano è un dissacratore rassegnato, non censura editoriale. «Fu un fenomeno mediatico che affronta le camurrie, le deride». Come gli inviati “tropscatenò la corsa agli inviti e l’acquisto di televisori po speciali” di “Cunettier – quasi un dossier” e extra per la pace familiare. A Carnevale i nostri perso- “Icowa”, le ultime zingarate video di Barbera & naggi erano un must e i bambini ci preferivano ai car- Mordino. Dopo le loro strade professionali si separaro-
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TALÈCUCCÈ!: la tv made ‘n Palermu Marcello Mordino celebra trent’anni di trasmissioni televisive, tra gag demenziali e quiz strampalati Se facendo zapping tra le TV locali, il motivetto “Io ve, io ve, io vedo CTS...” vi fa sobbalzare il cuore, siete ufficialmente una generazione. Quella dei 40.000 concittadini sintonizzati sullo storico programma di Ferruccio Barbera e Marcello Mordino, la strana coppia dell’etere che, il 10 ottobre 1978, elevò il babbìo a intrattenimento di massa. Trent’anni dopo, il “postino nazional-popolare” ritorna negli studi d’esordio, con “Talècuccè”, un gustoso amarcord per omaggiare le trasmissioni cult nostrane, tra aneddoti, rvm di repertorio e il making of commentati coi telespettatori. «Ricordare è importante. È un modo di incontrarsi» afferma Marcello, col solito tono garbato. Gli aficionados grati, hanno rispolverato i videoregistratori per custodire le rare chicche del Comèramo made ‘n Palermu, 26 puntate andate in onda negli ultimi mesi e
di BARBARA RANDAZZO
IN PRIMO PIANO no. L’addio personale giunse il 26 maggio 2005, data della scomparsa di “Ferro”, celebrato dal compare con il meglio dei loro sketch. «Mi manca la sua leggerezza che smussava gli angoli della vita…». E lasciava tracce indelebili. «La gente mi ringrazia emozionata per questo revival». Per aver ritrovato in quei fotogrammi una parte preziosa di sé. Non poteva mancare il tributo musicale, affidato a clip d’annata e testimonianze sul lifestyle dell’epoca, che vantò l’unica Woodstock europea: il “Palermo Pop ‘70”, con i mitici James Brown e Aretha Franklin. «Da noi il ’68 scoppiò con dieci anni di ritardo, tanto per canciari!». “Limitati network” e “Belli sodi” concludono il viaggio del nostro cicerone che, con Vittorio Cassarà e Sergio Friscia, consolidò negli anni ’90 una tris vincente. Il loro “sivo creativo” generò i sadici cronisti Ugo Cipressi e Salvo Tozzo, Lollo il fuso, il viddano Calogero di Agrigento, l’Educational non sense di Tano Basilicò e Johnny Quark, i maliziosi stilisti Cocco e Banana (a cui le gelaterie dedicarono il gusto omonimo)…I precursori della Gialappa’s ricorsero al paradosso anche in “Civico TV”, sberleffo alla strafottente malasanità, basato sulle sventure del sig. Malato. «La mia “creatura” prediletta. La comicità offre un punto di vista diverso sulla realtà, oggi più che mai delirante». Come direbbe il suo pupillo “Secondo me, il mondo non sta bene!”. I due magazine spopolarono, confermando Marcello e il veterano Beppe D’amico abili talent scout e produttori. Tra i loro successi il rotocalco “A la coque”, in cui debuttò Stefania Petyx come cuoca provetta. L’esclusivo telecomando di “Talècuccè!” riunisce nell’ultima puntata il cast dei tre fortunati programmi in un colorito villaggio indiano, azzizzato sul lago di Piana degli Albanesi. Un happening di doppi sensi, estro e il suggestivo cameo di Ferruccio (nelle foto). Commiato perfetto per il “c’era una volta” targato CTS. Con l’avvento del Berlusca per molti pionieri dell’antenna si spensero le telecamere. Per Mordino s’illuminò la ribalta nazionale. Da “C’è posta per te” della De Filippi a “Nati Stanchi” degli amici Ficarra e Picone, colleghi dell’esiguo gruppo dei cu arrinèsce e resta. «Sono innamoratissimo della mia terra e guai a chi la tocca! Con la Lega le panelle sono in pericolo, rischiano di chiamarsi cotolette di ceci!» ironizza il cagnolo evergreen che, a breve, lascerà la Santuzza per “Maria patrona dell’auditel”. Nell’attesa, si gode una birra da “Robinson” e il suo palinsesto personale: «Far star bene le persone che ho accanto». Magari con un ricordo. Signore e signori, buona visione. balarm magazine 8
ph. Nicola Allegri
MUSICA
GIOVANNI SOLLIMA “We were trees” è il titolo dell’ultima fatica discografica del musicista palermitano: un continuo intrecciarsi di due violoncelli, tra suoni strumentali, parole e voci di GIGI RAZETE balarm magazine 10
Potrebbe essere uno scalpellino che si concede un attimo di pausa dalla fatica di sbozzar pietre: seduto in bilico su un masso, a torso nudo, il gomito puntato sul ginocchio e la mano a sorreggere la fronte. Solo che quella mano, la destra, non impugna mazzuoli o scalpelli ma un esile archetto per strumento a corda, mentre l’altra è aggrappata ad uno strano totem, un groviglio di materiali grezzi recuperati da chissà quale discarica suburbana, magari una di quelle tanto care ai panorami grotteschi ed agghiaccianti raccontati da Ciprì e Maresco. L’uomo col volto coperto è Giovanni Sollima, violoncellista palermitano oggi più che mai in odore di culto per la stupefacente trasversalità dei suoi percorsi artistici ed il prestigio delle sue collaborazioni internazionali. La foto, uno scatto davvero assai espressivo di Francesca Bongiovanni, è quella che campeggia sulla copertina di “We were trees”, ultima fatica discografica, da poco pubblicata dalla major Sony-Bmg. Un’immagine di sicuro emblematica, sia per l’attimo di indecifrabile pensosità – raccoglimento, ispirazione, smarrimento? - che ruba al soggetto, sia per quel curioso relitto – simbolo pagano o croce da espiare? – a cui Sollima sembra chiedere, da naufrago, un’estrema risorsa di energia vitale. «Si tratta solo di un simulacro di violoncello – spiega il musicista con quella disarmante semplicità che, invece, sottende piani di lettura assai complessi – Amo il rapporto fisico con la materia, mi piace far rivivere materiali grezzi, poveri, abbandonati, strapparli all’inesorabile degrado cui erano destinati, restituirli a nuova vita, regalar loro nuova funzione: produrre suono. Li faccio in poche decine di minuti, assemblando i pezzi più improbabili raccolti in discariche o per strada; poi li suono per un po’, ascoltandone la voce e immergendomi nello stupore di sonorità inedite. Infine, li abbandono nuovamente al loro destino. Pare che molte di queste “sculture istantanee” siano ancora là dove le ho costruite: Berlino, Monza, Gibellina e molti altri luoghi sparsi nel mondo». Il protagonista sonoro di “We were trees” (Noi eravamo alberi), tuttavia, è uno splendido violoncello costruito nel 1679 da Francesco Ruggieri, celebre liutaio cremonese allievo dell’ancor più celebre Nicolò Amati (maestro anche di Andrea Guarneri e, pare, di Antonio Stradivari). «Questo disco ha la struttura di un racconto – precisa Sollima – elemento che attualmente mi intriga assai più del contenuto stesso del racconto. È un continuo intrecciarsi di due violoncelli, il mio e quello di Monika Leskovar, e di un gruppo d’archi, il berlinese SolistenEnsemble Kaleidoskop. I suoni strumentali si intersecano a volte con parole e voci, come quelle della marocchina Hayat Nabata e del griot senegalese Gilbert Diop Abdourahmane, e scandiscono storie e riferimenti. L’apertura è affidata a “Violoncelles, vibrez!”, una vecchia
composizione (la più eseguita nel mondo di autore italiano vivente, ndr.) che però non avevo ancora inciso su un album mio. È un brano dalla forma ad “albero”, come altri di questo disco, ramificato ed in continuo crescendo. “L.B. Files”, invece, è una suite di quattro piccoli ritratti dedicati al celebre violoncellista Luigi Boccherini, ma c’è ben poco di classico, in sintonia col personaggio e con la sua straordinaria abilità nel mescolare forme e tecniche diverse. Boccherini era l’unico nel Settecento che andava alla ricerca di nuove musiche, anche se poi lo si ricorda principalmente per il famoso minuetto, forse la cosa che più detestava. “Three Raga Song”, invece, è una piccola storia, con una forma molto libera, dedicata alla vita degli alberi pensando a quella degli uomini. Questo pezzo è nato, infatti, dalla contemplazione delle grandi magnolie che scorgo da casa mia, a piazza Marina. E in una calda estate palermitana sono stati gli stessi alberi ad ispirare anche la suite conclusiva, “When we were trees”.
Tuttavia, il disco non vuole essere affatto un’esplosione di amore naturalistico nel senso tradizionale. Gli alberi mi affascinano per la molteplicità della loro essenza: sono creature del mondo in cui viviamo, hanno un fortissimo legame con l’uomo, sono le matrici da cui otteniamo gli strumenti musicali – anche i violoncelli erano alberi - hanno memoria lunga e suscitano un’idea di eternità poiché il legno muore e rivive. In tal senso faccio mia una bellissima frase della scrittrice americana Willa Cather: “Amo gli alberi perché sembrano i più rassegnati alla maniera in cui devono vivere”». Tra le chicche dell’album c’è anche un brano interpretato da Patti Smith, leggendaria sacerdotessa del rock che con Sollima ha avuto già svariate frequentazioni. «“Yet can I hear” è nato quasi per caso, durante un afoso pomeriggio milanese. Patti ha improvvisato il testo su una mia traccia musicale. La sua voce sembra nascere dalle viscere del violoncello. Patti, in realtà, è un albero che parla, una memoria al di là del tempo». balarm magazine 11
MUSICA
Undici ARCHI “senza direttore” Il disco d’esordio degli Archi Ensemble, giovane organico cameristico composto da undici siciliani La volontà di far musica insieme con la serietà e la maturità di professionisti e al contempo l’entusiasmo e lo stupore di giovani musicisti sono nelle corde degli Archi Ensemble, organico cameristico di undici siciliani che si pregiano di provenire dall’Accademia Walter Stauffer o dall’Accademia Musicale Chigiana. Domenico Marco, Salvatore Tuzzolino, Fabio Catalano, Domenico Pirrone, Vincenzo Cecere, Alberto Franchin (violini), Vincenzo Schembri, Giuseppe Brunetto (viole), Giorgio Gasbarro, Francesco Pusateri (violoncelli), Fabio Quaranta (contrabbasso) sono insieme dal 2003, salvo qualche sostituzione, e suonano democraticamente senza direttore: un ensemble che smentisce l’applicarsi in miniatura della dialettica hegeliana di padrone e servo che Adorno rintraccia tra maestro e orchestra. E sempre traendo spunto dalla sociologia adorniana, figurano come un microcosmo ideale della società, rendendo servizio alla musica senza trascurare lo spirito di gioco che troppo spesso viene esorcizzato e addirittura bandito. Dopo l’esperienza del 2005 presso il Teatro Massimo, dove hanno inciso il “Concerto per 4 violini, archi e cembalo” di Vivaldi, si sono cimentati nella produzione e pubblicazione del nuovo album che porta il loro nome, registrato presso l’Auditorium della Rai a Palermo, dove più volte si sono esibiti inaugurandone peraltro l’apertura al pubblico. L’album, mixato ed edito da Antonio Zarcone e dal Lab Music Recording Studio,
di ALESSANDRA SCIORTINO
è già in distribuzione al costo di 15 euro. Competitivo, oltre al prezzo, è anche il programma che prevede la celebre Ciaccona di Henry Purcell, dalla discografia non particolarmente vasta, la “Sinfonia op. 12 n. 4” (La casa del diavolo) di Boccherini, la “Sinfonia n. 10 per archi” di Mendelssohn e la “Serenata per archi op. 48” di Tchaikovsky, di solito eseguita con un organico più vasto. La cantabilità, il fraseggio e le dinamiche che sembrano maggiormente incidere sulla linea interpretativa dell’ensemble trovano maggiore espressione nelle tracce di Mendelssohn e Tchaikovsky in particolare. Tuttavia merita una citazione il virtuosismo infuocato del primo e terzo movimento della Sinfonia di Boccherini e la tensione che si dispiega per tutto il brano, già condensato nelle battute iniziali del primo tempo e nella ripresa. Ma sembra che un animo romantico nutra gli interpreti che danno probabilmente il meglio di loro nella Sinfonia mendelssohniana sin dal rarefatto e oscuro Adagio. Pieno di suono rotondo e ‘detto’, di ampio respiro e colori è il primo movimento della Serenata in cui sembra quasi di sentire un organico più ampio. Impalpabile come un velo di chiffon d’un abito da sera in sala da ballo, il walzer lascia il posto ad un Larghetto d’intenso lirismo in un’interessante interpretazione, forse meno elegiaca di quanto prescritto, per chiudere sull’acceso tema russo del finale. Sul web www.gliarchiensemble.com balarm magazine 12
ph. Antonio Chinnici
LUCA AULICINO Il disco d’esordio del cantautore palermitano, un concept-album orecchiabile e dai toni lievi di GIULIO GIALLOMBARDO Un viaggio in discesa nei ritmi più profondi che risale in superficie per restituire ciò che è stato scoperto. Queste le tensioni meditative che il cantautore palermitano Luca Aulicino ha voluto raccontare nel suo disco d’esordio, “Supergiù”, presentato a Palermo lo scorso giugno. Pensato come un concept-album, contiene un’ideale trilogia che inizia con il primo brano strumentale, “Ov-Est”, si sviluppa in “Tu Paradiso”, il singolo più noto, e si chiude ciclicamente con “La fuga”, l’ultimo pezzo ancora strumentale. Una trilogia dedicata alla
focalizzazione della tensione interiore, attraverso un percorso di rinascita spirituale che si sviluppa lungo i quattordici brani dell’album. “Ov-Est” rappresenta, secondo Aulicino, «l’assetto delle visioni, una prima fase teorica che aspetta una declinazione», che arriva subito dopo con “Tu Paradiso”, analisi della propria coscienza e del rapporto con la natura che ci circonda. «L’uomo – spiega il cantautore – avverte in questa fase delle note importanti dentro di sé, e comincia a scendere, a meditare, scende sempre più giù fino ad una rinascita naturale e sociale». Così si chiude l’album con “La fuga”, un nuovo ritorno che è allo stesso tempo un’altra partenza, un viaggio preceduto da piccoli viaggi. “Supergiù” è un disco ambizioso, bisogna riconoscerlo, ma, nonostante il contenuto che si propone all’ascolto, alto e complesso, la forma musicale scelta da Aulicino è diretta ed orecchiabile, un pop-rock dai toni lievi e sufficientemente convenzionali. Un progetto che mira a far passare testi strutturati e simbolici, su linee melodiche dirette ed accessibili: un contenuto complesso, quindi, restituito su basi leggere e perciò non di nicchia. Per questo motivo “Supergiù” sottende, tra l’altro, il senso di una possibile rivoluzione: muove i suoi ritmi affinché l’uomo possa riportare le sue alte conquiste nella scienza, nella tecnica e in tutti gli altri ambiti, a ciò che gli appartiene veramente. «Bisogna riportare i nostri frutti alla terra – dice il cantautore – questa è già una rivoluzione. Il mio nuovo romanticismo parte da qui: bisogna fare un passo indietro e riconoscere il mondo che ci circonda, come un mondo che parla. Sospendere il giudizio per raccogliere i volti che ci guardano. Occorre trattare la realtà con rispetto, l’interesse chirurgico resti alla medicina e non alla nostra realtà complessa». Luca Aulicino nasce a Palermo nel 1972, vive a Roma, poi Firenze e Milano. La sua formazione segue percorsi diversi: scrive, compone musica, suona dal vivo, senza trascurare la passione per la posia e la letteratura. In ognuno dei luoghi in cui ha vissuto, coltiva amicizie importanti che, in alcuni casi, si trasformano in collaborazioni artistiche, come quella con il produttore Maurizio Bassi, suo “fratello guerriero”, come ama definirlo il cantautore. Con Bassi, che ha curato la produzione di “Supergiù”, Aulicino ha condiviso la realizzazione dell’album, prodotto dalla Rhea Publishing, e registrato presso il Massive Arts Studio di Milano. Tra le più recenti esibizioni, si ricordano quella con gli Agricantus a Palermo e la sua apparizione all’Olimpico di Roma, in occasione del tour “Da me a te” di Claudio Baglioni. Luca Aulicino è anche sul web, all’indirizzo www.aulicino.fm. balarm magazine 14
MUSICA
ph. Giacomo Giacomazzi
MUSICA
MARI-X: anni Novanta PER SEMPRE Esce “Miraclebitchscuit”, il terzo disco della band palermitana, dai suoni irrimediabilmente retrò Gli anni Novanta non sono mai morti. Ci hanno provato, ad ammazzarli. Il fecondo revival dei tanto vituperati – ingiustamente – anni Ottanta li voleva seppellire tra synth e riverberi. Ma c’è chi si abbarbica con ogni forza a quei ricordi, quando tutti stavano male senza un perché ed era bello stare male perché si stava male, perché si era la generazione senza valori e perché – ed era la cosa più bella di tutte – tanto c’era chi surrogava questo immenso dolore generazionale e collettivo a furia di eroina o tirandosi direttamente un colpo in testa. Rispolveriamo la flanella, facciamoci ricrescere i brufoli. Stordiamoci coi Bigmuff. Riprendiamo in mano quei dischi che abbiamo dovuto nascondere con un po’ di vergogna, come un tempo le riviste porno dall’edicolante, al passaggio di orde di fenomeni come !!! e Interpol. Riascoltiamo le note del più grande gruppo di allora (i Nirvana, ma solo dopo gli Smashing Pumpkins). Idolatriamo, com’è giusto che sia, Jane’s Addiction e Dinosaur Jr. E se per caso vi chiedete com’è che siamo arrivati a mille battute di questo pezzo senza avere capito ancora bene di cosa si parli, ascoltate cosa pensano certi vostri concittadini degli anni Novanta. Ascoltate il nuovo disco dei Mari-X. Andateli a vedere dal vivo, se possibile, perché sono ancora meglio. Assaporate la freschezza di un disco irrimediabilmente retrò, anche se suona strano dirlo, perché quando si parla di anni Novanta
di DANIELE SABATUCCI
e grunge e alternative rock a noi di una certa età pare sempre di parlare del presente. “Miraclebitchscuit” è il terzo album dei Mari-X. Ci sono arrivati tardi, i tre musicisti, al primo disco sotto questa ragione sociale: 2001, ma dopo anni di attività rigorosamente underground sotto altre sigle. Quello fu l’anno di “...New Trippers”, autoprodotto per la GnomeXperience, etichetta indipendente madre di tutto il progetto. L’autoproduzione ha segnato anche le uscite seguenti del gruppo nato per iniziativa di Gianfranco Marino, Fabrizio Vittorietti e Alessandro Guccione. Nel 2002 esce “Due” e nel 2008, presentato prima a Milano poi a Palermo, vede la luce “Miraclebitchscuit”. Un disco in realtà pronto già da quattro anni. Sette brani intrisi di trame tanto dolci quanto stridenti e sferraglianti. Il basso martellante, marchio di fabbrica di Vittorietti (Kali Yuga, Shulevel, Un giorno disperato) cesella anche, come fosse una chitarra aggiunta, propellente di ritmo e melodia. Venticinque minuti che scorrono concedendoci, come ultimo brano, anche il lusso di una soffice tirata psichedelica, ai limiti del prog, episodi che furono cari alle Zucche nei tempi andati. Un disco di musica fuori tempo massimo, fatto da ragazzi fuori tempo massimo in ritardo e nella città sbagliata. Niente futuro: solo presente. Un concentrato puro di anni Novanta. Mari-X su internet: www.mari-x.com balarm magazine 15
OfficinaPalermo
Un Laboratorio Orizzontale di creatività aperto a produttori e fruitori di ogni forma d’arte di BARBARA GIORDANO
In un mondo che ha come logica imperante quella della competizione c’è ancora chi, per fortuna, cerca di mantenere la collaborazione come valore cardine che possa assicurare la crescita umana e culturale. A Palermo, a muoversi in questa direzione è l’OfficinaPalermo (e speriamo non solo loro!), associazione culturale nata quasi tre anni fa da un’idea dei musicisti siciliani Vincenzo Pomar (nella foto) e Maurizio Curcio, con l’intenzione di dare una mossa alla stagnante situazione culturale palermitana. «Per far crescere il livello culturale della nostra città - ci dice
Maurizio Curcio - è necessario partire da una base quanto più ampia possibile di artisti pronti all’interazione e allo scambio». È così che nasce il Laboratorio Orizzontale, uno spazio di creatività aperto a produttori e fruitori di ogni forma d’arte, che possano sperimentare e sperimentarsi in una dimensione “orizzontale”, fatta di condivisione e sostegno reciproco, in assenza di qualsiasi competizione o scontro. «Crediamo nell’incontrarsi - continua Maurizio, - al di là delle gare che oggi vanno tanto di moda: bruciare tutti per valorizzarne uno!». Il 2008 ha visto la seconda edizione del Laboratorio Orizzontale, sette serate (dal 2 aprile al 24 maggio) che hanno visto l’avvicendarsi sul palco del Montevergini di moltissimi artisti fra cantautori, musicisti, attori, fotografi, videomakers. Salvo Piparo, Fabio Rizzo, Othello, Shorty, Oriana Civile, Tony Landolina, Lucina Lanzara, Stefano Piazza, Fabrizio Muscu, Francesco Leineri, Chiara Di Mitri, Andrea Notti, Umberto Porcaro, sono solo alcuni dei nomi che hanno partecipato al Laboratorio in serate ricche di interventi e di energie. «È una maniera per condividere i propri progetti - continua Maurizio Curcio. - La cosa importante non è la performance (infatti ogni artista si esibiva soltanto in un paio di brani), ma il raccontare ciò che si sta facendo, raccogliere nuovi stimoli e far nascere collaborazioni». Ed infatti, dall’edizione 2007 sono nati due spettacoli teatrali che già sono stati portati in scena: «Vincenzo Pomar ha partecipato a molti degli incontri dell’anno scorso. Ogni sera portava un brano nuovo e così, a poco a poco, dallo sperimentarsi in pubblico, è nato uno spettacolo di teatro canzone. Qualcosa di simile è successo a Salvo Piparo che, da frammenti di ciò che nasceva per il Laboratorio 2007 e dalla collaborazione con altri artisti incontrati lì, ha creato “Madre Palermo”. Era questo che volevamo innanzitutto: un luogo di incontro e di scambio». Ma a partire da questo il progetto OfficinaPalermo si estende: «Siamo felici di essere stati da stimolo ad una città che soffre e cercheremo di continuare ad esserlo. Ci rivolgiamo a tutto il mondo della cultura, a tutto ciò che può definirsi arte e cerchiamo di diffondere una cultura di impegno e di scambio. Vorremmo riunire varie professionalità (musicisti, attori, danzatori ma anche tecnici del suono, videomakers, fotografi) per creare una squadra completa, compatta e di livello, che possa cimentarsi nella produzione di progetti di qualità per riuscire ad entrare sul mercato. Forse è ambizioso e utopico, ma intanto siamo partiti». L’associazione OfficinaPalermo è anche sul web all’indirizzo www.officinapalermo.it balarm magazine 16
MUSICA
ph. Giuseppe Sinatra
ph. Davide Grotta e Marina Bonomolo
MUSICA
OM, l’ultimo SINGOLO è in rete “E tutti gli uomini” è il nuovo minidisco della band, tra asprezze sonore e nostalgiche chansons Ci avevano lasciato con un invito a guardare la realtà con lo sguardo spensierato di un bambino, con l’album “BellOMondo” e adesso ritornano. Lo fanno con la creatività di sempre, con l’eloquenza del loro sound e soprattutto con la sicilianità innata che trascinano nei loro componimenti. Sono gli Om, il gruppo sui palchi palermitani già dal 1998, che riaprono la scena con un nuovo lavoro dal titolo “E tutti gli uomini”, un EP (ovvero un extended play, sigla usata per indicare i cd la cui durata è superiore a un singolo, ma inferiore a un album), la cui playlist può essere scaricata gratuitamente in formato mp3 dal sito www.omnaif.org. Ma, per chi volesse, è possibile pure acquistarlo già stampato al prezzo di 3 euro. Un mini disco prodotto per la Malintenti dischi, l’etichetta indipendente palermitana ormai attiva già da due anni, e realizzato in collaborazione con W5 mediafactory, l’impresa di comunicazione e marketing che è anche sponsor ufficiale della loro tournée nazionale. Tre le tracce di “E tutti gli uomini”. Si comincia con “Priapo”, un brano che mette in luce gli eccessi del nostro tempo, una cultura ormai orientata principalmente alla sopraffazione. Si cambia registro, invece, con il secondo pezzo, “Marionetta”, in cui gli Om raccontano un amore “visionario” e travagliato ma profondamente tenero. A chiudere l’EP, infine, “Cinziana”, una dolce ballata dedicata agli
di FEDERICA SCIACCA
ultimi, agli esclusi di questo mondo, a quelli che si dice, forse un giorno saranno i primi. Così Gabriele Ajello (firmonica, tastiere e voce), Giuseppe Schifani (al basso e alla voce), Marcello Barrale (alla chitarra e alla voce), Francesco Prestigiacomo (alla batteria e voce) e Nicola Mogavero (al sassofono e alla voce), ritornano ad appena un anno dall’uscita dell’ultimo LP, con alle spalle un cammino musicale ricco di successi di pubblico, di indimenticabili esibizioni dal vivo, nonché di cambiamenti. Ovvi per chi della mutevolezza, dell’improvvisazione e dell’istintività ne fa la propria bandiera, l’unico fil rouge che lega tutti i lavori. Una versatilità la loro così rimarcata, che per etichettare la loro “indefinibile” musica hanno voluto coniare un genere: la chiamano “naïf”. Naif, nel senso di elaborazioni non etichettate, di un genere che non vuole incasellarsi se non come mutabile. Uno stile che è una miscela di suggestioni e di sperimentalismi, che racchiude i suoni e le influenze più disparate che si contaminano con ironia. C’è il richiamo della chanson francese e del rock, con nostalgici echi anni Settanta. Registrato da Vincenzo Cavalli al Sonoria Studio di Scordia, “E tutti gli uomini” è così il risultato del percorso fatto dal gruppo fino ad oggi, di una costante ricerca del suono, per un lavoro che rende un insolito connubio tra ruvidezza sonora e atmosfere sulfuree. balarm magazine 17
VerduraTeatroMusic, edizione 2008 Un cartellone ricco di nomi di prestigio e con spettacoli per tutti i gusti. È quanto propone la seconda edizione del VerduraTeatroMusic, in scena al teatro di Verdura di Palermo all’interno del parco di Villa Castelnuovo, dal 28 luglio al 14 settembre. La rassegna estiva promossa dal Comune di Palermo in collaborazione con Live Spettacoli ed Agave - Concerti ed Eventi, quest’anno si avvale del sostegno del Banco di Sicilia. La kermesse 2008 comprende ben tredici spettacoli (con inizio alle ore 21.30), sul palco del Verdura grandi nomi della scena musicale nazionale ed internazionale da Peter Cincotti a Patty Pravo, da Dionne Warwick a Renzo Arbore con l’Orchestra Italiana, da Mario Biondi ad
Amedeo Minghi, a Giovanni Allevi (nella foto) accompagnato da I virtuosi Italiani, una formazione di 36 elementi, con cui ha realizzato il suo ultimo lavoro, già disco d’oro 2008. Un cartellone davvero ricco ed interessante, perché accanto alla musica gli organizzatori hanno voluto inserire due appuntamenti con la risata: il cabaret di Checco Zalone e la satira intelligente ed irriverente di Maurizio Crozza. Spazio anche alla danza russa con I Cosacchi del Don, uno spettacolo attesissimo dal pubblico siciliano. Il gruppo avrebbe dovuto esibirsi lo scorso dicembre al teatro Politeama Garibaldi di Palermo ed aveva registrato il tutto esaurito al botteghino, prima di essere rinviato a causa di uno sciopero. E per concludere tre appuntamenti con l’operetta, un
genere quest’ultimo che ritorna a Palermo dopo alcuni anni di assenza. Un autentico sforzo organizzativo quello di Agave - Concerti ed Eventi e di Live Spettacoli, che intendono far diventare il teatro di Verdura un punto di riferimento culturale e musicale per la Sicilia Occidentale, così come lo è il teatro Antico di Taormina per la zona orientale dell’Isola. Le due società, che da diversi anni operano nel mondo dello spettacolo, vengono riconosciute tra le più interessanti realtà imprenditoriali siciliane per quanto riguarda le scelte artistiche e per la serietà professionale. «Quest’anno abbiamo dato vita ad una proposta variegata – afferma Marco Randazzo di Agave – in grado di regalare sorrisi e divertimento a tutti. Un programma costruito su misura per regalare forti emozioni ad ogni singolo spettatore». Un intento confermato anche dalle parole di Giampaolo Grotta di Live Spettacoli: «Ancora una volta la rassegna si conferma come un appuntamento di prestigio internazionale per la città di Palermo. Basti pensare che in cartellone ci sono Peter Cincotti, che ritorna a Palermo dopo il grande successo di pubblico ottenuto nel 2005, e la potente e calda voce di Dionne Warwick. I due artisti americani per il loro tour italiano hanno scelto una sola data siciliana: il Verdura. Ci stiamo impegnando insieme ad Agave – continua Grotta - per elevare la qualità degli spettacoli in Sicilia, e renderli fruibili a tutti. Il nostro obiettivo è quello di far divertire lo spettatore ma nello stesso tempo di adottare una politica dei prezzi dei biglietti che possa essere accessibile alle tasche di tutti». Le due società infatti, pur sostenendo interamente il costo per l’allestimento della rassegna (il Comune ha concesso gratuitamente l’uso del teatro, mentre il Banco di Sicilia coprirà parte dei costi di comunicazione) non hanno la minima intenzione di speculare sui biglietti. «Abbiamo ridotto al minimo il costo dei tagliandi – ripetono all’unisono gli organizzatori – siamo convinti che lo spettacolo è un bene di tutti, chiunque deve avere la possibilità di acquistare il biglietto per seguire uno spettacolo, ai prezzi dei biglietti abbiamo aggiunto solo il costo del servizio di prevendita che è pari a due euro». balarm magazine 18
TEATRO
ph. Marco Caselli
ph. Mario D’Angelo
ph. Maurizio Buscarino
ph. Carmine Maringola
TEATRI DELLE VERGOGNE Da un gruppo di artisti e di compagnie teatrali siciliane, nasce un organismo con l’obiettivo di combattere l’isolamento culturale e di essere più forti davanti alle istituzioni di VERONICA CAGGIA balarm magazine 20
Nasce a Palermo i Teatri delle Vergogne un organi- allievi e fare di questa città un centro culturale». Collovà smo “unico e poliedrico” di cui fanno parte (nella aggiunge: «Questa città per noi si è fatta un po’ straniefoto da sinistra) Giuseppe Cutino, Sabrina Petyx, ra. È vergognoso: ogni città dovrebbe difendere i suoi Vincenzo Pirrotta, Alessandra Luberti, Claudio figli e non reprimerli». In questa prospettiva è nato alloCollovà, Emma Dante, gli artisti della Associazione ra il laboratorio “Parallasse” che si è svolto nello spazio Esperido, della Compagnia Sud Costa Occidentale, di “La Vicaria”, di Emma Dante e della compagnia Sud Costa M’arte movimenti d’arte e di Officine Ouragan. Claudio Occidentale, dal 21 al 31 luglio 2008. “Parallasse” è lo Collovà chiarisce: «Teatri delle Vergogne non vuole esse- spostamento angolare apparente di un oggetto, quando re un’etichetta, non sarà un’associazione ma un’intesa, viene osservato da diversi punti di vista. L’idea di fondo l’unione di artisti che vogliono condividere aspetti del è lavorare su un tema comune, “La mostruosità”, coinloro lavoro soprattutto dal punto di vista artistico ed eti- volgendo ragazzi provenienti appunto da tutta Italia. co». L’idea è dunque quella di spezzare l’isolamento in «Uno di noi – spiega Luberti - comincerà il laboratorio ma cui sinora è stato segregato ogni artista, per mettere saremo tutti presenti e guarderemo e parteciperemo alla insieme le proprie forze nel comune obiettivo di con- conduzione. A fine giornata ci confronteremo e un altro frontarsi, studiarsi e scambiare processi creativi, ascolta- potrà proporsi come conduttore della giornata successire e capire fino in fondo le differenze per poi entrare in va partendo da uno spunto colto durante la giornata per dialogo. Ma anche per tentare di essere più forti davan- continuare l’indomani e così via…». Ci saranno tre tapti alle istituzioni così da far sentire la propria voce. pe: dopo i primi 10 giorni a luglio, alcune persone seleSabrina Petyx parla del gruppo: «Di fondo c’è la comune zionate continueranno per altri 10 giorni ad Alcamo, necessità di curiosare oltre e non accontentarsi, cercare all’interno della manifestazione “Artisti per Alcamo”, diretta da Cutino. A febbraio, di superarsi lavorando insiedopo una terza fase di laboratorio me. L’incontro è un arricchimento, ciascuno ha una priori- «Il nome Teatri delle Vergogne e un’ulteriore selezione, ci sarà ha una connotazione tutta una dimostrazione pubblica al tà, partiamo da approcci diverpalermitana, e si riferisce “Rosso Festival” di Caltanissetta di si: c’è chi lavora più sulla vocaoltre ad un luogo Emma Dante. Sul tema scelto lità, chi più sul corpo, chi più sul testo... ». Artisti diversi che è piazza delle Vergogne, Emma Dante chiarisce: «Ognuno di noi trova la propria indagine sul dunque ma della stessa geneanche alla vergogna razione, appartenenti alla sceche qui è diventata norma» tema comune. L’idea è quella che dà il nome al laboratorio na contemporanea indipen“Parallasse”: individuare un dente, che hanno mostrato in Italia e in Europa la vitalità e la qualità del teatro di ricer- oggetto comune da rendere soggettivo. La mia ca siciliano, ma che nella loro terra faticano a trovare mostruosità è la mia ricerca legata al virus sociale, alla spazio. «Per tutti noi il teatro non è quello classico o bor- degenerazione della famiglia. Questo si collega all’idea di ghese - precisa Pirrotta - il nostro è un teatro che scardi- abbattere le vergogne e lavorare sull’impulso puro. Ogni na la normalità, che vuole scavare fino a mostrare il peg- atto anche impudico, ogni gesto sgraziato e scorretto gio dell’umanità. È un teatro che arriva come un pugno nasconde verità che nella vita comune è sconveniente allo stomaco». Un teatro scomodo, dunque, che ci spiat- mostrare, che è meglio nascondere». La mostruosità per tella in faccia quello che nessuno vuole vedere. «Il nome i vari artisti assume allora connotati diversi: è quella insi“Teatri delle Vergogne” - spiega Cutino - ha una conno- ta in tutti noi, la mostruosità dell’animo e della passione tazione tutta palermitana, come il nostro teatro, e si rife- umana ma è anche l’impossibilità di far sentire la propria risce ad un luogo che è piazza delle Vergogne ma anche voce nel frastuono assordante di oggi (Collovà e Luberti). alla vergogna che qui è diventata norma. Non ci scanda- Sabrina Petyx si rifà alla mostruosità della favola, ai suoi lizziamo più della desertificazione culturale in cui è fossi- personaggi secondari portatori di mostruose paure lizzata Palermo. Ci siamo abituati, guardiamo, assimilia- inconsce. Ma il mostruoso non è necessariamente il brutmo e accettiamo tutto». Fortemente legati al territorio, to: «Credo che anche nella cosa più bella possa trovarsi tutti vivono a Palermo e sentono la necessità di rimaner- la mostruosità. – dice Pirrotta - La mostruosità sta in tutci per fare qui il proprio teatro. Dice Alessandra Luberti: to e se nociva bisogna allontanarla. Nel caso del teatro «Credo sia importante stabilire con altri teatri, compa- però è una grande materia di studio che va sviscerata e gnie e festival delle coproduzioni che portino qui altri che può dare i segnali di un teatro Altro». balarm magazine 21
ph. Pietro Motisi
TEATRO
TEATRO-STUDIO
La compagnia Teatro Terzo Uomo e il teatro fatto in casa per otto spettatori alla volta di CLAUDIA BRUNETTO Si può rivoluzionare lo spazio teatrale quando non si possiede un luogo deputato al teatro. E si può reinventare qualcosa che nel passato ha rappresentato un modo per scavalcare ostacoli logistici e materiali. Così nasce il Teatro-Studio della compagnia Teatro Terzo Uomo, in corso Finocchiaro Aprile a Palermo. Una piccola stanza d’appartamento trasformata in palcoscenico, sala prove, laboratorio e set cinematografico. Con teli neri, specchi, costumi di scena e una piccola regia.
Torna alla memoria la stagione tanto decantata delle cantine degli anni Settanta, quando il sottobosco teatrale uscì allo scoperto sconcertando, attraendo e creando una precisa cifra stilista. Anche la compagnia Teatro Terzo Uomo, fondata nel 2003 da Massimiliano Carollo e Dario Enea, cerca di allontanarsi dalle ghettizzanti etichette, per cercare un baricentro teatrale in cui la necessità coincide con l’etica e l’estetica del lavoro. E anche questo spazio ne è la testimonianza. Lì dove possono entrare soltanto otto spettatori alla volta, costretti alla scomodità, spesso al caldo e alla claustrofobia dell’atmosfera, si consuma un piccolo miracolo. Quello della perseveranza, dell’uscire dai confini preconfezionati del teatro e dell’osare. Mai fine a se stesso. Partendo da questo luogo, la compagnia sta cercando di formare un suo pubblico, ma soprattutto di fare uscire allo scoperto un lavoro rimasto ai margini dei circuiti teatrali per molti anni. A inaugurare il TeatroStudio è stata una dimostrazione-spettacolo dal titolo “Ouverture Alice”, liberamente ispirata ad “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll. Le dodici repliche previste hanno visto la partecipazione di più di cento spettatori. Un buon numero per una nascente realtà sotterranea. Sono tanti i progetti futuri legati al TeatroStudio e a un iter teatrale che vuole interrogarsi su se stesso, maturare e uscire dalla retorica. I lavori pensati per questo luogo rispondono a delle regole precise. «Intendiamo – dicono Carollo ed Enea – rinvenire i principi concettuali delle singole esperienze artistiche allo scopo di contravvenire alle regole linguistiche che le banalizzano riducendole a semplici mestieri. In uno spettacolo si potrà dunque dar parola, secondo i principi costituitivi del fare scultura, o pittura, o musica, o cinema e così via». In autunno partirà una piccola programmazione di incontri sul teatro, di dimostrazioni di lavoro e di letture-spettacolo della compagnia stessa, ma anche di altre realtà palermitane interessate a condividere l’idea. «Una volta che siamo riusciti ad aprire questo spazio – dice Massimiliano Carollo – se pur con tutti i limiti del caso, abbiamo intenzione di continuare il nostro percorso, cercando anche degli interlocutori al di fuori della nostra compagnia, per rendere fertile un dibattito partendo dalle specificità artistiche di ognuno». Fra gli spettacoli già in repertorio che attendono di essere messi in scena, ci sono: “Uomo invisibile”, “I morti corrono veloci. Nosferatu” “Troppo umano… [la sciagura di Frankenstein]”, e “Jekyll, Hyde e… [ombre disappartenute]”. Per aggiornarsi sulle news della compagnia è possibile consultare il sito web all’indirizzo www.teatroterzouomo.com balarm magazine 22
TEATRO
MANFREDI DI LIBERTO L'arte del trasformismo del giovane comico palermitano "figlio" della Carovana Stramba di MARIA TERESA DE SANCTIS Occhi vivaci, sguardo allegro e al tempo stesso penetrante. E d’altronde non potrebbe essere diversamente per un ragazzo che, 21enne all’anagrafe ma a vederlo sembra avere appena raggiunto la maggiore età, ha già l’idee molto chiare circa il proprio futuro. Stiamo parlando del quasi figlio d’arte Manfredi Di Liberto, e spieghiamo subito il perché di questo “quasi” per nulla riduttivo. Ma procediamo per ordine. Manfredi è un comico affermatosi all’interno del labo-
ratorio teatrale della “Carovana Stramba” della Tramp Spettacoli, agenzia palermitana che da alcuni anni è impegnata nella ricerca di nuovi volti locali. Ciò che però lo contraddistingue è il suo profilo artistico davvero singolare, venutosi a creare attraverso un piccolo ma incisivo processo evolutivo che denota una maturità e una consapevolezza notevoli, nonostante la giovane età. Manfredi Di Liberto, infatti, è figlio di Gerardo, autore televisivo (lavora per Rai e Mediaset) nonché autore degli spettacoli del gruppo palermitano dei “Tre e un quarto” e neo direttore artistico del Teatro Pippo Spicuzza per la stagione teatrale 2008-2009. Ci sembra più che legittimo allora che un ragazzo che sin da bambino ha respirato l’aria del palcoscenico, abbia deciso di entrare a far parte del mondo dello spettacolo, ma c’è dell’altro. Innanzitutto il suo debutto avvenuto nella Carovana Stramba lo ha visto quale fine dicitore e autore, di poesie d’amore … a sorpresa! Testi efficaci e di grande effetto dove piccole situazioni, partendo da un inizio passionale e romantico, rivelano, con effetti rovinosamente comici, la loro natura del tutto diversa. Il successo ottenuto con queste singolari performance gli ha fatto meritare l’opportunità di aprire con i suoi numeri gli spettacoli di vari artisti di Zelig che si sono avvicendati sul palco del Ccp Agricantus di Palermo, da Dario Vergassola a Giovanni Cangialosi a Rocco Barbaro, giusto per citarne qualcuno. Ma non finisce qui: dato l’illustre genitore, era inevitabile che nell’aria serpeggiasse l’idea che i testi delle sue esibizioni, peraltro riuscitissime grazie agli ottimi tempi comici risultanti dalla combinazione di brevità ed effetto sorpresa, non fossero farina del suo sacco, e allora Manfredi volendo fugare ogni dubbio, si inventa qualcosa di suo del tutto originale, attingendo all’arte del trasformismo. La passione per questo genere, alimentata dai consigli ricevuti da un disponibilissimo Arturo Brachetti, famoso trasformista, e arricchita dallo studio delle memorie del più grande attore del genere del novecento Leopoldo Fregoli, insieme a tanta voglia di migliorarsi, hanno fatto il resto. Il nostro artista ha deciso di dedicare l’estate al perfezionamento di alcuni numeri in vista di uno spettacolo tutto suo (per inciso è anche un bravo pianista) pronto a debuttare nella prossima stagione al Teatro Orione Spicuzza. E così dopo le irresistibili poesie, il violinista a tre braccia e lo sfortunato cantante in play back vedremo in cos’altro Manfredi si trasformerà. Ed è bello notare come in un’epoca di tecnologia invadente in ogni campo, qui ci sia un giovane che si misura con un’arte antica alla cui base c’è soprattutto tanto allenamento e disciplina. balarm magazine 24
ph. Shobha Battaglia
ARTE
LETIZIA BATTAGLIA Trent'anni di storia palermitana attraverso le immagini della fotografa "passionaria", una fotoreporter animata da un profondo senso di giustizia e di libertà di STEFANO CABIBBO balarm magazine 28
Frammenti di una drammatica realtà, fulminei momenti di raggelante e atroce verità di una Palermo degli anni di piombo; ma anche scene di vita quotidiana, tradizioni, sguardi di bambini colmi di speranza e donne colte in atteggiamenti abituali, che ci restituiscono il sapore di una serenità semplice: immagini di una fotoreporter, animate da un profondo senso di giustizia e di libertà, che assumono i contorni di una evidente protesta sociale e di una coerente integrità morale. In occasione della mostra conclusasi lo scorso 12 luglio a Roma presso i locali della Galleria Cesare Manzo, a cura di Paolo Falcone, sono state selezionate alcune tra le più significative opere della fotografa Letizia Battaglia (Palermo, 1935): esposte opere di grande formato, che ritraggono senza attenuanti il dolore e l’indignazione della lunga stagione (fine anni Settanta, primi anni Ottanta) degli omicidi di mafia, dall’Onorevole Reina, segretario della Democrazia Cristiana, al giudice Cesare Terranova, dai mafiosi uccisi nei vicoli o nelle stanze di un appartamento, alla disperazione dei familiari delle vittime di fronte a quelle scene di “ordinario macello”. Sulle pareti bianche dello spazio espositivo è stato ospitato un trittico, composto da un centinaio di foto, che hanno per soggetto le feste religiose, donne, bambini: scene tratte dalla quotidianità, i volti diversi di una città contraddittoria. Infine, una sezione interamente dedicata alla produzione più recente, che si caratterizza per una sovrapposizione di foto scattate in diversi momenti, attraverso cui sono realizzati veri e propri fotomontaggi di armoniosi corpi femminili. Letizia Battaglia ripercorre, attraverso le proprie immagini, anni di grande disfacimento sociale e morale, di grande tensione e di profondo dolore: le sue fotografie proiettano lo spettatore all’interno del degrado, della miseria e della povertà. In un recente incontro con lei, mi ha parlato di “anni terribili”, di ferocia inaudita, di un “essere armati contro chi voleva un mondo più sereno e più giusto”. Nel periodo che coincide con la collaborazione con lo storico quotidiano palermitano “L’Ora”, Battaglia matura un sentimento di rivolta, una coscienza che si esprime nella necessità di una lotta “per costruire un futuro migliore e non accettare quell’orribile presente”. Ciò la porta, a partire dal 1985, a impegnarsi attivamente sul fronte della politica; il 1987 la vedrà membro della Giunta Orlando
come assessore alla vivibilità urbana: un momento di forte emozione, di grandi “sogni”, come ella stessa dichiara, e di intenso lavoro, e confessa che i dieci anni trascorsi in politica sono stati “i più belli della mia vita, non c’é niente di più bello che potere dare, potere realizzare qualcosa non per sé stesso, ma per la tua gente, per il tuo popolo; senti che la gente apprezza, che la gente vuole cambiare la situazione”. Dopo le grandi stragi del ’92, che avevano provocato la disperazione e l’indignazione della gente, riversatasi nelle strade per gridare contro gli omicidi Falcone e Borsellino, Battaglia si interroga problematicamente sulle motivazioni che hanno condotto le stesse persone, successivamente, a rinchiudersi nella dimensione del privato, a “non scegliere più quella strada”; un interrogativo, ancora adesso, carico di profondo rammarico, di dolore accompagnato dall’amara consapevolezza che “qualcosa di misterioso sia successo” e che tutto sia precipitato nell’oblio. Da qui l’importanza delle sue fotografie come documento prezioso “di quello che é avvenuto in quegli anni”, un modo per non dimenticare “quello che il popolo siciliano ha passato”, le tragedie, i lutti e le prevaricazioni. Ricordando quel periodo di disincanto, accompagnato da un sentimento di sconfitta e di impotenza di fronte ad una realtà nella quale non si riconosceva più, Battaglia mi racconta che nel 2004 lascia Palermo per circa un anno e mezzo: un bisogno di “liberarsi dall’angoscia profonda”, di allontanamento da una città che ai suoi occhi appariva “immobile e polverosa”, come se una cappa di rassegnazione vi fosse calata sopra; solo “un amore irrazionale” nei confronti della “mia terra, della mia città e del suo cielo” la convince a tornare; tale é il suo legame con l’isola, densa di ricordi, di memoria a cui, insieme a tanti altri, ha sentito e sente di appartenere, soprattutto nei momenti di riscatto e di rivolta. Confessa con un sentimento di rabbia misto ad amarezza: “Non ci si può abbandonare solo al silenzio, devi sapere che c’é altro, che puoi costruire, non solo vivere sulle macerie”. Un gran senso di giustizia e di libertà, quello che anima ancora Letizia Battaglia e che trasmette a chi la ascolta, un senso di vitalità, di gioia e di speranza: una donna che vive con forza e coraggio e continua a raccontare, a esprimere le proprie idee con la macchina fotografica, sua indivisibile compagna nel dire ciò che pensa con identica fermezza e passione. balarm magazine 29
ARTE
DANIELA BALSAMO L'artista palermitana che lavora tra pittura, collage e scultura oggettuale di MARINA SAJEVA Costumista per Peter Greenaway e Bob Wilson, docente di Creativity Trends e Fashion Styling, redattrice di riviste nazionali, tecnico scenografo, stilista. Ma soprattutto, e fondamentalmente, artista. Stiamo parlando di Daniela Balsamo (Palermo, 1970) il cui articolato curriculum è noto al grande pubblico soltanto dal 25 maggio all’8 giugno scorso, periodo in cui ha avuto luogo la collettiva “Le Visitatrici”, curata da Santo Campanella e Marina Giordano presso il Monastero
benedettino di San Martino delle Scale. A differenza delle altre artiste presenti in mostra (Mariella Busi De Logu, Esther Burger, Stefania Cucciardi, Anne-Clémence De Grolée, Claire Fontana, Elena Ilardi, Marjolein Wortmann), quella per Daniela era la prima esposizione: un emozionante banco di prova che l’ha vista, alla fine, premiata da un’ampia serie di commenti entusiastici. La sua arte colpisce e affascina perché è immediata e complessa allo stesso tempo: immediata per l’assoluta fedeltà ad una figurazione fotografica (il suo punto di partenza) che rende l’essenza psicologica dei personaggi ritratti, soprattutto grazie alla cura messa nel “costruire” sguardi che catturano letteralmente l’osservatore; complessa per la personale e impeccabile tecnica utilizzata, che non permette di incasellarla in nessuna categoria. I suoi lavori, infatti, sono a metà tra la pittura, il collage e la scultura oggettuale, in particolare se si osserva la serie delle sagome che, staccate dalla parete, potrebbero far pensare a oggetti di scena, gli stessi creati da lei per il teatro. Non per nulla, dopo le tante esperienze fatte in giro per il mondo, il filo rosso che lega le sue poliedriche competenze e le varie anime della sua persona ha riportato la Balsamo al suo punto di partenza, l’arte. Per cui è da quel suo curriculum vitae che bisogna partire per comprenderne la poetica: c’è il mondo delle riviste patinate di moda nei suoi primi lavori in bianco e nero, gli unici in cui i personaggi ritratti non fossero persone da lei conosciute (forse per questo motivo i più freddi); nell’uso della colla e della carta colorata vi ritroviamo “Creativa”, la rivista di decoupage (tecnica con cui, tra l’altro, decora bellissimi oggetti di arredamento) che l’artista ha diretto per tre anni. “La superficie è il luogo del racconto” dice Balsamo, ammettendo, così, che i suoi lavori narrano la sua personale storia, il suo compagno, le amiche o semplicemente se stessa, come nell’autoritratto in cui emblematicamente è nell’atto di spogliarsi. Nuda si consegna attraverso l’assemblaggio di carta tagliata e colorata, in cui ogni brandello è come un pezzo di sé, e dove, anche nella lunghezza di questo lavoro quasi nevrotico, ha modo di ricordare gli eventi della sua vita, di recuperare progetti lasciati nel cassetto. È il caso degli Embrioni, serie che Balsamo ha attualmente in cantiere e che si riferisce al periodo in cui trasferiva in un quaderno (vero e proprio libro d’artista), sotto forma di disegni, i suoi sogni, ennesima conferma della sua, forse inconscia, tendenza all’introspezione. Ci auguriamo di vedere al più presto questi nuovi lavori (magari in una mostra personale) e di sentire ancora il racconto di questa vita un po’ speciale fatta a pezzi… di carta. balarm magazine 30
ARTE
Amorelli, arte inedita all'ippodromo Il restauro dell'affresco di Alfonso Amorelli frutto di una recente scoperta effettuata da Giulia Ingarao Forse è vero che a Palermo c’è ancora qualcosa di nuovo da scoprire. Come una donna che si fa conoscere per gradi e che improvvisamente ci regala un volto inedito, questa città possiede capolavori e luoghi tuttora poco noti. Questo è il caso dell’Ippodromo dove potrete avere una doppia sorpresa: la visione unica di un paesaggio naturale circondato dalle rosate pareti del Monte Pellegrino e la possibilità di fruire di un interessante affresco dipinto nel 1953 da Alfonso Amorelli (Palermo, 1898-San Giuseppe Jato, 1969), allievo di Ettore De Maria Bergler e di Ernesto Basile, che vi accoglierà all’ingresso dell’edificio. La pittura murale, finalmente restituita alla città, è infatti oggetto di una recente scoperta effettuata da Giulia Ingarao durante le ricerche per la sua tesi di Dottorato in Storia dell’arte contemporanea sulla produzione artistica dei coniugi Amorelli, svolta presso il Dipartimento di Studi Storici e Artistici della Facoltà di Lettere di Palermo. L’opera, che versava in uno stato di parziale alterazione, è stata restaurata e protetta da un pannello di vetro su commissione della IRES (Incremento Razze Equine in Sicilia), che gestisce l’Ippodromo, e segnalazione della Cattedra di Storia dell’ arte contemporanea. Il restauro è stato eseguito dall’artista Salvo Palazzolo in collaborazione con Stefania Cucciardi. Oggi possiamo ammirare lo stile leggero ed elegante di una pittura appartenente al
di GIULIA SCALIA
periodo più felice della produzione artistica di Amorelli: cinque cavalli al galoppo su uno sfondo terra di Siena, un perfetto incontro tra astrattismo e figurativo che si risolve in questa tempera su gesso di grandi dimensioni (2 x 4 m). Questo intervento ci fa pensare sia alla ripetizione ritmica della Danza (1909) di Matisse che ai graffiti del Paleolitico ritrovati nelle grotte dell’Addaura, soprattutto per i colori terrosi e caldi tra il marrone e il beige. La produzione di Amorelli, infatti, prende le mosse dai modelli proposti dalla pittura realista del gruppo Novecento e in seguito, alla fine degli anni Quaranta, si orienta verso uno stile più moderno e decorativo. Fondamentale è il ruolo della moglie dell’artista, la pittrice tedesca Herta Schaeffer Amorelli, che collabora spesso con il marito. Proprio a lei dobbiamo la decorazione del bancone bar dell’Ippodromo (1953), oggi purtroppo completamente distrutto, di cui rimangono solo testimonianze fotografiche. Ma i due artisti furono autori di un intero itinerario di decorazione di locali pubblici negli anni Cinquanta: il Dancing e vari padiglioni della Fiera del Mediterraneo, l’Extrabar dei Dagnino, il cinema Rouge et Noir, la Pasticceria Dagnino presso la Galleria Esedra di Roma e il noto locale I Candelai. Ci auguriamo che interventi come questo siano più frequenti, costituendo un momento di valorizzazione sia dell’arte contemporanea che del territorio. balarm magazine 31
ph. Tommaso Gambino
LIBRI
DANIELA GAMBINO Blogger, scrittrice, editor e giornalista: la “Candy Candy” palermitana doc è in libreria con il suo ultimo romanzo “Abbi cura di te” edito da Barbera di TOMMASO GAMBINO balarm magazine 32
La prima cosa che mi cattura è il colore fuxia, per alcuni “rosa chocking” e per altri ancora, abituati alle malizie del personaggio, il rosa parigino. Sono in un ambiente comune a tanti, dove lo spazio viene spietatamente conteso tra la concorrenza e la pattume e in cui bisogna stare attenti a dove “navigare” per non trovarsi la polizia postale fuori e dietro la porta. Agisco da internauta coscienzioso, ma non sono su un sito osé, bensì su quello “ufficiale” d’una palermitana “tra le righe”: Daniela Gambino, scrittrice, editor e giornalista pubblicista, che mi si offre in versione blogger da una calamitante homepage. La seconda a captarmi è il post del 30 aprile: «… Eccola, Candy Candy … in me stessa s’incarna la diretta discendenza del suo pensiero filosofico. Ovvero: prenditi cura del prossimo tuo (se è Terence, alto, moro, attore, è meglio)». Un inusuale biglietto da visita, anche se un blog visualizza l’ultimo post per primo (mentre scrivo, ad esempio, invita alla Feltrinelli di Palermo per la presentazione del suo recente romanzo “Abbi cura di te” - Barbera editore). Elevare a “madre spirituale” l’icona dei fumetti anni ‘80 senza pudore, ma con il candore di chi è incurante del possibile coro di dissenso di una certa scrittura di Palermo, non solo è provocante, ma interessa perché è segno di distanza da un sistema culturale di una ristretta cerchia radicalchic. Quanti si sono formati sulle strisce di un fumetto o su un cartoon? Tantissimi! Goldrake e Topolino a iosa, perché vergognarsene? E poi questa “venerazione” non è campata in aria; «Candy – afferma la Gambino – è un esempio di rettitudine e di aggressiva passività. Eroina morale e post-femminista – e conclude – ognuno ha le madrine che si merita». Inizio a pensare che accanto al gustoso Camilleri stiano sorgendo nuovi iniziati dalla scrittura fresca. Siciliana è vero, ma col linguaggio dei graffiti urbani che si contendono i muri decadenti e lo caratterizzano e colorano comunicando allegria. Siciliana come i messaggi sui lenzuoli dei viadotti della circonvallazione che si leggono dalle auto, perché ciò che è umano e collettivo, anche se personale, è qualcosa che rispecchia l’ordinario di ciascuno: amore, contestazione, rimpianti, esagerazione, scherzi condensati e pronti a svolazzare dai ponti. Eccola Daniela, non scrive storie epiche ma di minimo costume. Piccole verità dove fa capolino il fantastico universo librario: dall’editor, che ti fa le pulci, alla scrittrice, che quelle stesse le produce e coltiva per poi –
sotto forma di animaletti su carta dalle zampette a forma di vocali e dalle codine come consonanti, che si muovono in branchi di racconti – portarli ancora all’editor fino ai lettori. Racchiuso nel blog c’è il continente, Roma capitale, il vocabolario, la scrittura e le radici di una palermitana fino al midollo. Mentre navigo su www.danielagambino.altervista.org giocherello con un pezzo di carta con il cellulare di Daniela e nell’altra mano ho la mia vecchia penna consunta. La blogger posta pensieri incostanti e discontinui, poi completati dalla scrittrice nei romanzi, prima d’essere rivisitati dall’editor. La chiamo; s’attiva la segreteria e lascio un messaggio. Mezz’ora dopo ci rincorriamo al telefono, fino a quando: «Pronto, Daniela?» – «Sì, ciao – risponde – sono col telefonino ad una tacca» – probabilmente corre. Mi dice che è a Roma e che fa spola con Palermo. Iniziamo a parlare e le chiedo se è sempre la solita bad girl, come tutti pensano dai tempi di “Cosa Ti piace di me” e “Macho macho” (entrambi per Castelvecchi), – «Io??? Ma che dici! Non so perché continuano ad appiopparmi quest’immagine da Santacroce di provincia; con il massimo rispetto per la Santacroce, che mi piace ed ha il suo personaggio. Mi ci vedi alle presentazioni di un libro con una maschera? Oramai sono una Daniela più matura, anche il mio scrivere è cambiato. Sono del ’69, già quasi agli anta. Leggera sì, ma non troppo. Ora scrivo della mia generazione che se si prende sul serio, si deprime e se non lo fa non mette al mondo figli, proprio come me, seppure ho un compagno. Anzi, sarà troppo piccante farlo sapere al mondo?». Prosegue come un fiume in piena, si sta impegnando nella sceneggiatura di un film, da girarsi in formato digitale per una produzione indipendente, e da poco ha finito un contratto da screenplayer per la fiction della Rai Educational “Agrodolce”, ripresa a Termini Imerese. Le chiedo di Palermo, dicono che a lei non piace. «Ancora ‘sta storia? E basta! Io adoro Palermo, dove ho le mie origini e la mia identità. L’unica cosa che penso e che bisogna staccarsene, allontanarsi di tanto in quanto e vederla da lontano; magari anche dall’alto spostandosi a Monte Pellegrino. Parlo più in siciliano a Roma che a Palermo». Punti di vista, ci salutiamo e vado a riaprire il suo blog. Al post del 24 aprile leggo: «Ho deciso che cambio. Sarà la primavera. Ho ordinato un’altra me stessa via e-mail, dice che arrivo la proxima settimana». Daniela Gambino è anche sul web all’indirizzo: www.danielagambino.altervista.org balarm magazine 33
LIBRI
LIBRI
La mossa del MATTO affogato
MondelloGiovani
Menzogne ed espedienti più o meno leciti si intrecciano nell'ultimo romanzo di Roberto Alajmo
Il primo Festival dedicato alla letteratura giovane nel cuore della Palermo storica
Si dice che nell’occhio dei morti rimanga impressa l’ultima immagine vista. Il “chiasmo del contrappasso”, è questa la regola di vita che si muove ne “La mossa del matto affogato”, romanzo ultimo del siciliano Roberto Alajmo (Mondadori - euro 17). Attraverso l’intrecciarsi di accadimenti, menzogne, espedienti più o meno leciti si tratteggia la faccia tosta di Giovanni Alagna: funambolico impresario teatrale, marito fedifrago, figlio e padre disattento. Piacente quarantenne dedito alla bella vita e alle bugie quasi ne fosse dipendente, colpa forse di quel motto paterno “Meglio rimorsi che rimpianti. Non mangiare per non cacare” divenuta scelta di vita. Un motto che in Giovanni è molto di più, come il primo ricordo padre-figlio che, nella circolarità della narrazione, dà all’epilogo un senso tristemente ironico collegato agli inizi, “Pedone Nero avanza in E5”: in sella al vespino,
di ROSSELLA PUCCIO
abbracciato alla cintola del padre che poi gli avrebbe mostrato il volto, neppure tanto particolare, della città vista da Monte Gallo. La città è la stessa di sempre, Palermo, questa volta però Alajmo in un’intimità quasi materna si limita a tratteggiarla senza neppure nominarla. Immagini nitide, strette ad un linguaggio immediato a tratti cinematografico. Il tono intimistico delle prime pagine viene abbandonato per svoltare velocemente tra le stanze di Giovanni con tagli chirurgici senza imprecisioni, come deve essere per un giocatore, anzi per un giocatore di scacchi. Sessantaquattro caselle, trentadue bianche e trentadue nere. Otto colonne, otto caselle di colore alternato, otto traverse e diagonali. Numeri e lettere battezzano gli spazi. Trentadue unità da combattimento allineate tra l’ala di donna e l’ala di re divise dalla “terra di nessuno”, lì dove fatta la prima mossa la partita ha inizio. Ogni capitolo è una mossa, parte di una biografia a tratti prevedibile, che riesce però ad incalzare la lettura invitandola a seguire Giovanni, ormai non più china ma carne ed ossa con i suoi pensieri e le vie di fuga. Quante ne sono concesse? Quante volte si può sfuggire al destino, ribaltarlo, convincerlo che la porta a cui bussa non è quella cercata? La mossa dello scrittore è forse un dialogo personale con i grandi sé; il dialogo di un uomo, Giovanni, con i propri sbagli. Non una storia crudele ma una morale che sembra affondare sul quotidiano domandarsi: se solo chi nasce vincente è destinato a morire tale. Al termine il conto viene comunque consegnato e riscosso, così Alajmo si accosta al lettore guidandolo attraverso il personaggio, come se Giovanni fosse un insetto intrappolato dentro una boccia di vetro e lo si potesse osservare. È il senso della familiarità, l’identificazione a cui la seconda persona singolare della narrazione punta. La scrittura diviene una corpulenta voce invisibile, di Dio, del tempo, della morte… dell’altro giocatore. La partita sta per terminare, le mosse sbagliate hanno condotto Giovanni ad una fine ironicamente triste, quella del matto affogato: il re detronizzato dai propri compagni. Il tunnel bianco, l’attraversamento, Alajmo non spiega se l’abitacolo dell’auto sia trasformato nel pensatoio degli ultimi istanti in cui si dice un moribondo riviva la propria esistenza o forse sia in cerca dell’ultima buona mossa: la remissione dei peccati. Sul web: www.robertoalajmo.it balarm magazine 34
Nasce MondelloGiovani, il primo Festival dedicato alla letteratura giovane! Promosso dalla Fondazione Banco di Sicilia e sviluppatosi da una costola del Premio Mondello, il Festival in programma a Palermo il 26 e 27 settembre, vuole coinvolgere tutta la città e le scuole, trovando spazio in luoghi non propriamente istituzionali come caffetterie, librerie, giardini, luoghi memorabili nel cuore della Palermo storica: dal Chiostro del Museo di Sant’Anna, alla Chiesa di Santa Maria dello Spasimo, al Kursaal Kalhesa di fronte al mare. Momenti di incontro con gli autori, reading e tante altre iniziative coinvolgeranno il pubblico e gli ospiti, scrittori italiani di narrativa e poesia, di età compresa tra i venti e i quaranta anni, per disegnare il profilo di una “nuova generazione”. Il tema della Prima volta caratterizzerà gli incontri del mattino: il racconto di come nasce il primo libro, il batticuore alla prima telefonata da parte di un editore, l’emozione della prima recensione ricevuta, del primo premio vinto. Scrittori giovani, ma già di successo, come Caterina Bonvicini, Chiara Gamberale, Nicola Lagioia, Flavio Soriga (nella foto) e Antonio Scurati (questi ultimi due anche vincitori dell’ultima edizione del Premio Mondello) parleranno dei propri esordi, fatiche e gioie comprese. Non mancherà il punto di vista dell’editore. Saranno ospiti Marco Cassini di Minimum Fax e Antonio Sellerio di Sellerio Editore. Alcuni autori saranno chiamati invece a confrontarsi sul Canone della giovinezza, per stilare un canone di dieci libri indimenticabili dal Barone rampante al Giovane Holden, cercando di capire attraverso di esso se, e come, le cose si siano modificate nel tempo: se all’icona del fuggitivo sia subentrata quella del ribelle e se ancora oggi non sia un nuovo modello a imporsi magari più ‘mammone’ (si pensi a quanti libri i giovanissimi dedicano ai propri genitori), insomma se il Giovane Holden sia ormai tramontato, o no. Poi un grande reading dal titolo La poesia con cui ho iniziato a vivere dove, accanto a scrittori e giovani poeti, anche musicisti, artisti e attori leggeranno le loro poesie del cuore, raccontando così il loro rapporto profondo con la poesia, e il ruolo che essa ha avuto nella loro formazione artistica e umana. E per i più giovani ci sarà Pronti per Einaudi, un concorso under 25, al quale potranno partecipare giovani scrittori siciliani, con brevi racconti
inediti. Un’occasione per gli scrittori “in erba”, i germogli di quello che si spera sarà il canone letterario del futuro. Con MondelloGiovani, Palermo diventerà una delle città, assieme a Parigi, Grenoble, Firenze, del passe-livre: un luogo dove si possono lasciare libri e prenderne altri. Passe-Livre è un gioco, guidato dal piacere di leggere e di far leggere. Tutti possono entrare nel “Cerchio Invisibile dei Lettori”, liberare un libro “da leggere”, e naturalmente prenderne un altro, liberato in precedenza da altri lettori, creando così una grande biblioteca per tutti, libera e gratuita, che a Palermo sarà il caffè Kursaal Kalhesa, noto luogo d’incontro e punto di ritrovo che è anche un wine bar e una libreria. Come sapere quali sono i libri a disposizione e come fare per segnalare alla comunità dei lettori qual è il libro da voi lasciato? Facile: sul sito www.passe-livre.com balarm magazine 35
LIBRI
LIBRI
Cassata “nichilista” ad orologeria
Art Brut e Outsider siciliani
La scelta estrema dell’autoesclusione da una società inconcepibile e corrotta nel libro di Marcello Benfante
Otto storie di artisti “irregolari” siciliani nel libro di Eva di Stefano edito dal Gruppo Editoriale Kalòs
Nichilisti compiaciuti, è a voi che si rivolge “Cassata ad orologeria”, l’ultimo libro di Marcello Benfante (Gaffi editore, euro 12), firma delle pagine locali de la Repubblica e dell’eccellente rivista Lo straniero. Quasi tutti i buoni racconti di questa raccolta non mettono al centro della narrazione Palermo, come lascia intendere opportunisticamente l’editore nella seconda di copertina, bensì la scelta estrema dell’autoesclusione causata dallo scontro perdente del “non barbaro” con una società inconcepibile e corrotta. La soluzione proposta è infatti quella dell’arroccamento in un «solipsistico eremitaggio» ed «assaporare il sottile piacere dell’autoesclusione sognatrice». Se non siamo nel territorio del puro piacere nichilista, estraneo a molte forme di sofferenza e amante della sola bellezza, un niente ci manca. L’autore, che ha una scrittura dagli echi antichi, ricca di
di SAVERIO PULEO
citazioni colte ma a tratti ridondante, è bravo a servirsi di toni grotteschi e visionari per descrivere la dissennatezza della vita reale e, per contro, la rivolta che si traduce in fuga verso la bellezza del sogno privato. Egli nega ai suoi personaggi qualsiasi speranza autentica ma al contempo apre loro uno spazio metafisico ed escludente dove ripiegarsi per uccidere l’odiata e brutta realtà. Benfante, nel tratteggiare tale rivelazione, cita fra gli altri Dostoevskij, Kafka, Borges come suoi punti riferimento, ma è con i racconti opprimenti e claustrofobici di Cortázar che ha, a noi sembra, parecchie comunanze (vedi le storie Partire è un po’ morire e Locus solus). Ma dicevamo della bontà narrativa dei racconti: essi hanno una struttura circolare e un incedere affabulatorio che mantiene desta l’attenzione del lettore fino all’ultimo rigo risolvendosi spesso in un finale spiazzante o ironicamente fatalista. Come nel caso di “Pigmalione”, dove l’apparire di due piedi femminili senza il resto del corpo, consente ad un uomo dedito alla sua rassicurante solitudine di “completare”, grazie proprio ad essa, la costruzione della compagna ideale: «La battezzai venerdì perché la sua creazione si concluse in quel giorno e soprattutto perché mi sentivo un Robinson Crusoe felice di essere approdato in un’isola deserta. Non avevo bisogno di nessuno e nessuno aveva bisogno di me. In questa plenitudine del proprio io consiste esattamente la libertà». Dello stesso tenore è, del resto, “Macchie”, in cui un professore di storia dell’arte in pensione, anch’egli recluso in un allucinato microcosmo - casa, riesce a dare un senso alla sua vita di artista fallito modellando con la mente – con le mani è un inetto - una macchia apparsa sul muro delle sembianze di un profilo umano, fino a farla diventare un vero affresco. Ma si può essere solidali con Benfante? Essere d’accordo con la sua rivolta antisociale o semplicistica strategia di sopravvivenza? Si può accettare il mondo così com’è accontentandosi di un palliativo quale può essere una nicchia – ci verrebbe da dire passatempo estetico - privata e deformante? Un gigante del secolo scorso come Simone Weil diceva: “Bisogna preferire l’inferno reale al paradiso immaginario”. D’accordo sulla visione pessimistica delle cose – a ben vedere le miserie del nostro tempo è difficile dare torto all’autore - ma che almeno si sia dannatamente scontenti di questo. balarm magazine 36
Sicilia “terra matta”, culla di riti e di miti, di atavica sapienza e lucida follia. In un territorio popolato nel lontano Quaternario da branchi di elefanti nani i cui resti furono letti come vestigia di antichi giganti, a riprova dell’indole incline al fantastico e al visionario degli abitanti dell’isola – la “corda pazza”, come la chiamava Sciascia –, anche la creazione artistica può nascere lì dove non ce ne sarebbero i presupposti culturali e sociali: in personaggi nati e vissuti in contesti marginali, per i quali dipingere, scolpire, disegnare sono frutto dell’impulso incontrollabile di dar corpo a visioni, sogni, apparizioni e deliri, idoli ancestrali, invisibili compagni di strada, universi personali ed intimi. Sono gli “irregolari” che Eva di Stefano - docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso la Facoltà di Lettere di Palermo e illustre storica dell’arte – ha messo al centro del suo ultimo libro, “Irregolari. Art Brut e Outsider Art in Sicilia”, edito per la nuova collana Piccola Biblioteca d’Arte del Gruppo Editoriale Kalòs ( 200 pp., 117 illustrazioni a colori, euro18). Da sempre appassionata di Art Brut, che l’autrice, seguendo la definizione datane nel 1945 dall’artista francese Jean Dubuffet, circoscrive all’ambito di “creazioni spontanee e non acculturate, ma di grande originalità, prodotte fuori dal sistema ufficiale degli artisti di professione, delle mostre, delle gallerie e dei musei”, ha delineato un vero e proprio percorso alternativo entro l’arte isolana. Lo ha fatto attraverso l’affascinante racconto delle vite e delle opere di otto personaggi, otto talenti posseduti dal demone inesorabile della creatività: “Giovanni Abrignani, Filippo Bentivegna, Salvatore Bonura, Giovanni Cammarata, Francesco Cusumano, Gaetano Gambino, Francesco Giombarresi, Rosario Santamaria furono tutti uomini ispirati da una necessità spontanea di fare arte e costretti per questo a lottare contro le circostanze avverse, perché né la loro nascita né il loro destino poteva consentirlo. Ciascuno di loro ha creato, con maggiore o minore forza, una mitologia individuale, ovvero un proprio linguaggio espressivo, un proprio codice simbolico e un proprio mondo immaginario”. Grazie a un lavoro da detective Eva di Stefano ha ricostruito, non senza difficoltà, le biografie di queste otto figure, figlie spesso di una cultura contadina o comunque popolare, nate e vissute in situazioni di emargina-
di MARINA GIORDANO
zione sociale, povertà, in alcuni casi follia, battendo il territorio isolano da ovest a est e nelle isole alla ricerca di opere e testimoni, di ogni minimo segno che la aiutasse a riportare alla luce qualche tassello di queste esistenze insolite, di cui l’autrice ha rintracciato degli antecedenti nei graffiti delle Carceri dell’Inquisizione allo Steri, nelle scritture e nei dipinti murali dell’Ex Ospedale psichiatrico di Palermo o nei mostri ideati dal Principe Francesco Ferdinando Gravina nella bagherese Villa Palagonia. Solo i fortunosi incontri avvenuti con individui in grado di coglierne la potenza espressiva ha spesso salvato dal totale oblio il ricordo degli Outsider siculi, lasciando almeno una traccia delle loro vite e delle loro creazioni che l’autrice fa rivivere in un affascinante racconto per parole e immagini. balarm magazine 37
CINEMA
Scuola Nazionale di Cinema Si inaugura a novembre ai Cantieri culturali alla Zisa di Palermo, il terzo polo della Scuola Nazionale di Cinematografia presieduta da Francesco Alberoni di FABIO MANNO Scrivere della Scuola Nazionale di Cinematografia a Palermo mi fa rosicare un po’. Ai miei tempi - ne ho soltanto 34 di anni - non avevi scelta se volevi fare cinema. Bisognava fare la valigia e mettersi alle spalle sia Scilla che Cariddi. Esisteva solo un posto dove andare: Roma, Centro Sperimentale di Cinematografia. Perchè? Perché da li sono venuti fuori registi che hanno fatto la storia del cinema come Michelangelo Antonioni, attrici icone del immaginario collettivo come Claudia Cardinale, produttori planetari come Dino De Laurentis e direttori della fotografia da oscar come Vittorio Storaro. E per finire le lezioni - allora come adesso - sono tenute da Giancarlo Giannini e Lina Wertmuller. L’eco di questi nomi mi innesca subito visioni di pura celluloide d’autore dove il bianco e nero di Buster Keaton si dissolve a vantaggio di fotogrammi futuristici genere Matrix. Come se avessi assaporato per un attimo la petite madeleine del piccolo Marcel! Che emozione! Sbaglio o ho nominato il gotha del Cinema italiano e non solo? Forse è arrivato il tempo di smentire l’assioma di mio nonno: “Cu nesci arrinesci”. Si può anche rimanere a Palermo se si vuole fare qualcosa
di buono. Segnatevi le coordinate: Scuola Nazionale di Cinema - Centro Sperimentale di Cinematografia / dipartimento Docufiction, Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo. Il capoluogo siciliano è diventata l’ultima tappa di quel processo di decentramento che ha visto la SNC-CSC aprire precedentemente altre due sedi in Italia. Una a Torino specializzata nel cinema d’animazione e una a Milano per il cinema industriale. Palermo sarà la terza. Per niente facile il percorso che a portato la città di Palermo ad ospitare un’istituzione così prestigiosa. Si comincia nel 2001 quando viene firmato il primo protocollo d’intesa per l’ottenimento di fondi Europei (POR misura 5.01 - creazioni di istituzioni culturali innovative) dai tre attori di questa iniziativa: il comune di Palermo responsabile dei lavori, la Filmoteca Regionale Siciliana responsabile tecnico scientifico per conto della Regione siciliana e la Fondazione SNC-CSC. Il progetto, all’epoca, fu siglato dal sindaco Leoluca Orlando e per fortuna di noi palermitani anche il sopravvenuto sindaco Diego Cammarata, che si insediò pochi mesi dopo l’accordo, lo collocò tra le priorità della sua agenda politica. L’ultimo atto di questo lungo percorso si è consumato il giorno 14 maggio 2008 quando il neogovernatore Lombardo ha firmato il suo primo atto ufficiale insieme al sindaco di Palermo e al presidente della SNC-CFC Francesco Alberoni (nella foto). Si tratta della convenzione che sancisce ufficialmente l’intero progetto e prelude all’articolazione del progetto didattico-formativo esecutivo e alla pubblicazione del bando di concorso per gli allievi. Il finanziamento complessivo è stato di circa 9 milioni di euro. I padiglioni che sono stati recuperati sono tre. Quello principale ospiterà la scuola con aule, gli uffici per i docenti - per i quali c’è ancora il massimo riserbo - una balarm magazine 38
caffetteria, un’aula magna, una sala per le proiezioni didattiche. Un secondo padiglione ospiterà una sala proiezioni da 480 posti che potrà anche essere richiesta da tutti coloro che intendano realizzare una rassegna cinematografica. Prima invece si era costretti ad affittare la sala da un privato e pagarla a tutti i rinari. Adesso non più. La sala è di proprietà del comune. Infine un terzo capannone sarà sede dei laboratori, degli archivi regionali e degli uffici regionali dell’assessorato ai beni culturali diretti da Romeo Palma, uno dei fautori del progetto. Ad agosto uscirà il bando on line www.csc-cinematografia.it. La selezione avverrà in tre fasi. Le domande inoltrate saranno oggetto di una prima scrematura che valuterà i titoli presentati. Poi ci saranno degli esami da sostenere. Infine un gruppo di 24 allievi verrà ammesso alla scuola per un bimestre. Ma non è ancora tutto. Alla fine del bimestre la mannaia dei docenti si abbatterà sugli studenti che non hanno brillato particolarmente. 12
studenti saranno bocciati. Eventualmente potranno ritentare l’anno successivo. I 12 Golden Boys - sopravvissuti - potranno finalmente cominciare i tre anni di corso. Ma perché si è scelto proprio la docufiction per Palermo? Alessandro Rais, dirigente della Filmoteca Regionale Siciliana risponde: «Dopo Vittorio De Seta e la Panaria la Sicilia ha ancora bisogno di essere interpretata e riletta sotto tanti aspetti… la lettura del reale passa necessariamente attraverso il documentario. Anche Gomorra che racconta la Campania, lo fa usando un linguaggio tipicamente documentaristico». Infine ricordandovi che l’inizio dei corsi è previsto per gennaio 2009, vi invito fin da adesso a partecipare a l’inaugurazione che si terrà a novembre. Ma non pensate di trovare schiticchi a gratis! Infatti i soldi accantonati per tale evento sono stati saggiamente spesi per la produzione di tre documentari. Mi sembra che si cominci davvero con il fotogramma giusto. Ciak… motore… azione! balarm magazine 39
ph. Simonetta Agnello
CINEMA
I PROTAGONISTI Le radio libere siciliane negli anni ‘70 nella docufiction del palermitano Sigfrido Giammona di MANUELA PAGANO C’è stato un periodo in cui un paio di cuffie, un giradischi e pochi soldi bastavano per entrare nell’impalpabile mondo dell’FM, mandare nell’etere emozioni, pensieri, sogni e delusioni mischiati alla colonna sonora della propria vita. Erano gli anni ’70, gli anni delle radio libere, gli anni del cambiamento. Nella nostra terra, allora come ora, c’erano giovani che credevano nella libertà di espressione e qualcun altro, solitamente più potente, che credeva invece che certe cose non andassero dette e nemmeno pensate. Eppure allora, quei ragazzi erano più forti dell’“ordine costituto”, e diffondevano il loro pensiero senza pretese, tra una canzone e una
manifestazione di piazza, tra contestazioni politiche e sociali, tra filosofia comunista e dibattiti sulla pace. Per le generazioni di oggi è difficile comprendere l’aria che si respirava, ma se accendendo la radio, per caso, ci si trovasse ad ascoltare le parole di un ragazzo degli anni ‘70, ecco che per un po’ sembrerebbe quasi di respirarla ancora, quell’aria. Turi Migliore, ex speaker di Radio Vittoria Alternativa e rappresentante della storica Federazione Radio Emittenti Democratiche di cui faceva parte anche Peppino Impastato con Radio Aut (interpretato da Daniele Papa (nella foto), è la voce solista della docufiction “I protagonisti”, diretta dal palermitano Sigfrido Giammona, che ha all’attivo una decina di cortometraggi. Il lavoro interamente autoprodotto (e vincitore dell’ottava edizione del Festival Internazionale del Cinema di Frontiera), vanta un cast quasi tutto siciliano e vede la partecipazione dei Waines - il gruppo palermitano vincitore dell’edizione 2007 di Italia Wave Love Festival - le cui musiche sono state scelte come colonna sonora. Originariamente il cortometraggio si chiamava “Peppino e i ragazzi degli anni ‘70” con riferimento più che al Peppino Impastato “personaggio”, al giovane che della libertà d’espressione e del diritto a lottare per i propri ideali ha fatto il suo credo. Per evitare possibili strumentalizzazioni, però, a riprese ultimate si è pensato di cambiare titolo tenendo conto dei suggerimenti offerti dal pubblico in occasione della proiezione del promo. La scelta del titolo “I protagonisti” rispecchia la coralità del cortometraggio, in cui emerge una partecipazione collettiva sotto tutti i punti di vista, in primo luogo sotto il profilo narrativo. Le parole di Turi, grazie ad un montaggio meticoloso che alterna fiction a immagini di repertorio, viaggiano lontano e ci riportano a quelle discussioni tra giovani irrequieti e appassionati, ai cortei, agli incontri mensili tra i rappresentanti delle radio libere siciliane e allo stesso Peppino, di cui emerge soprattutto il lato umano, il piglio deciso e contestatario, la voglia di fare e di andare oltre gli inutili intellettualismi. “I protagonisti” è un lavoro corale anche sotto il profilo della lavorazione poiché, come sottolinea il regista Giammona, «tutti – da Lucio Marcucci, direttore della fotografia, a Massimo Mantia, operatore, fino a Simonetta Agnello e Gabriele Gugliara al montaggio – hanno lavorato gratuitamente e in sinergia investendo anima e corpo in questo progetto che vorremmo far conoscere anche all’estero per mostrare un volto diverso della Sicilia». Un volto che dopo più di trent’anni rispecchia ancora la parte sana e viva di questa terra, quella fatta di giovani che, sulla scia di chi li ha preceduti, non dimenticano di lottare per i propri ideali. balarm magazine 40
SOCIETA’
Tutto in un BISPENSIERO Dalla prima iniziativa sui “Disonorevoli” al recente ricorso al Tar contro le Ztl. Ecco Bispensiero, “l’informazione che nessuno ti ha dato” di SONIA PAPUZZA George Orwell in “1984” lo definì «la capacità di spacciare deliberate menzogne e credervi con purità di cuore». Oggi Bispensiero è diventato un sito internet da duemila contatti al giorno e ha come scopo dichiarato l’esatto contrario: smascherare le manipolazioni della realtà, creare controinformazione. Bispensiero.it è nato nel 2005, pochi mesi dopo la creazione del gruppo palermitano di seguaci di Beppe Grillo, uno dei “meet-up” nati in tutta Italia. Artefice del meet-up come del sito è Massimo Merighi (nella foto), professione musicista jazz prima e paladino dei diritti dei cittadini da un paio d‘anni a questa parte. «Quando ho aperto bispensiero.it - racconta Massimo - l’idea era quella di creare un punto di aggregazione sul web degli amici di Belle Grillo, rilanciare sul piano locale le battaglie che lui affrontava sul piano nazionale. La prima iniziativa è stata la campagna “Disonorevoli”: a poche settimane dalle elezioni, raccontammo chi erano i candidati, quanto guadagnavano, quanto tempo passavano a lavorare e che cosa c’era nella loro fedina penale. Fu un successo che trasformammo anche in iniziativa editoriale cartacea». E questo è solo l’inizio, poi ci sono stati i cantieri di Rita Borsellino e soprattutto, Sex crimes and Vatican… «I cantieri ci hanno fatto conoscere da moltissimi Italiani all’estero - continua Massimo - che poi sono rimasti nostri lettori. Ma il picco di presenze sul sito, fino a 200 mila al giorno, l’abbiamo raggiunto quando
abbiamo messo online e senza censure il documentario sulla pedofilia nel clero, che era stato trasmesso in Inghilterra ma in Italia non era mai andato in onda». Il film è stato tradotto e sottotitolato da Vania Lucia Gaito, collaboratrice del sito fin dalla sua nascita. Il caso di Sex crimes and Vatican ha reso bispensiero.it un punto di riferimento anche all’estero quando si parla di libera informazione: la Bbc ha seguito da vicino il caso, dal momento che su tutti gli altri siti internet il documentario era censurato, e Bispensiero è diventato l’interlocutore a cui chiedere numi sulla libertà di informazione nel Belpaese. Ma non solo. Sempre la Bbc ha voluto l’associazione come partner per un’iniziativa che si tiene a Milano a fine giugno: un evento durante il quale viene presentato il documentario “Why democracy”, con dieci video sull’indipendenza dell’informazione nel mondo. Il video, che è stato acquistato dalle reti più importanti del globo, in Italia non arriverà ma sarà scaricabile dal sito di Bispensiero nella versione integrale. Oltre alle campagne di informazione, bispensiero.it porta avanti anche delle iniziative locali concrete per la tutela dei diritti dei cittadini. La prima è stata il ricorso al giudice di pace contro le multe prese dalla polizia municipale: più di 40 mila moduli di ricorso scaricati dal sito e pronuncia favorevole del giudice. Ma una ciliegia tira l’altra e un successo fa venire voglia di continuare a lottare. Così dopo è venuto il ricorso contro le strisce blu, cui hanno partecipato 20 mila persone, quello contro la Tarsu per l’ingiustificato aumento del costo della tassa dell’anno scorso e per ultimo il ricorso contro la Ztl, su cui il Tar si è espresso favorevolmente balarm magazine 42
ph. Soraya Gullifa
dichiarando illegittima la Ztl in mancanza di un piano traffico della città. Le adesioni alle varie azioni collettive sono state talmente tante che adesso Bispensiero, che nel frattempo è diventata un’associazione, ha anche aperto uno sportello in via Volturno 100 a Palermo. «Il web ha sempre funzionato tantissimo - spiega Massimo - ma non volevamo rimanere uno strumento di nicchia solo per quelli che sanno usare internet. Vogliamo una maggiore aderenza al territorio. Per questo abbiamo creato lo sportello». Che è aperto il martedì e il giovedì dalle 9.30 alle 13 e il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 16 alle 19.30. Lì si possono chiedere informazioni sulle azioni già promosse, e aderirvi, ma non solo. Le ultime iniziative dell’associazione sono la consulenza legale sui diritti dei lavoratori e sulle ipoteche e il diritto di riscossione della Serit. In realtà lo sportello è aperto a tutti quelli che vogliano chiedere una consulenza legale su qualsiasi argomento. Per la varietà degli argo-
menti possibili però è meglio fissare prima un appuntamento al numero 388.7630113, in modo che sia presente un consulente del settore. «Nel tempo - spiega il creatore di Bispensiero - abbiamo creato una rete di consulenti legali che operano in convenzione con l’associazione e offrono assistenza gratuita. Quello che vogliamo fare però, prima di tutto, è consigliare nel modo giusto la gente, che nel 90 percento dei casi si imbarca in cause lunghe e costose senza motivo, perché risultano già perse in partenza». Bispensiero non ha sponsor o finanziamenti di alcun genere, come rivendica orgoglioso Massimo, per evitare ingerenze fastidiose. Per questo l’associazione si è tirata indietro quando, alle ultime elezioni, gli amici di Beppe Grillo hanno creato una lista civica. «Ne ho parlato con Beppe - dice Massimo - ed è stato d’accordo con me che l’associazione deve rimanere un pungolo per i politici, uno strumento di informazione, distaccato e neutro». balarm magazine 43
COSTUME
I "flickeriani" di Palermo La community locale di Flickr, la piattaforma web che ospita fotografie e mette in contatto persone in comunità legate alle foto ma soprattutto a interessi e luoghi di TONY SIINO balarm magazine 44
Nel febbraio del 2004 il filosofo Roberto Casati Tarantino, 27 anni, e che attualmente conta quasi 600 scriveva su Il Sole 24 Ore: «Succede che incastona- iscritti, quasi cinquemila foto e un blog di supporto re una macchina fotografica in un cellulare cambia la (http://palermoitaly.blogspot.com). Nel gruppo si scamnatura della macchina fotografica. Non si esce di casa biano informazioni sulle mostre, si comprano e vendono con la macchina fotografica - nemmeno digitale - in macchine fotografiche anche d’epoca, si commentano i tasca se non quando si va a fare una gita (“Ricordati di portaolio dei membri e nascono i meeting…e anche prendere la macchina”). Di colpo la macchina fotografica qualche amore. Da una costola è nato “Quelli di… diventa onnipresente, tanto quanto il cellulare. E a quel Palermo, Italy” (www.flickr.com/groups/quellidipalerpunto la si usa di continuo, tanto è sempre a portata di moitaly), con più di 300 membri e quasi 7000 foto. mano. Cambia anche la natura delle foto scattate, che Alessandro ci ha raccontato che i gruppi sono serviti divengono piccoli appunti visivi, registrazioni di curiosità come strumento di aggregazione non solo online ma incontrate cammin facendo e quant’altro». È una frase anche offline, che i palermitani su Flickr sono ormai emblematica dei cambiamenti in corso sull’onda della «come una famiglia, sono nate molte amicizie anche tra rivoluzione digitale, in questo caso rivolta al mondo del- persone diverse tra loro unite dall’amore per la fotograla fotografia e, in genere, di ciò che ha a che fare con il fia e dalla condivisione della presenza su Internet… non visuale che ha beneficiato in immediatezza (per alcuni, immagivano». Gli utenti che si sono conosciuti hanno invece, ha perso del romanticismo della camera oscura e organizzato molte passeggiate prima in città (nel centro non soltanto quello). In quello stesso febbraio veniva lan- storico, nei mercati, sulle colline che circondano ciato Flickr (www.flickr.com), una piattaforma che ospi- Mondello ecc.), poi nella provincia e nelle isole e che le ta fotografie (da qualche mese anche dei brevi video) e loro foto sono state selezionate per mostre in giro per il mondo tra cui una a Varsavia. Un mette in contatto persone in altro gruppo particolarmente atticomunità legate alle foto ma Ci sono quasi 108000 foto vo è “La casa dei flickerian soprattutto a interessi e luoghi. relative a Palermo, anche di Palermo e dintorni” L’anno dopo Yahoo! l’ha com(www.flickr.com/groups/lacasaprata ed è disponibile da giuquelle sparse per il mondo, gno 2007 anche in italiano. A tra cui il quartiere di Buenos deiflickerianipalermo), guidato da Flavio Pesce e composto da circa novembre 2007 è stata pubbliAires che ha dato i natali a 550 membri. Due mostre sono cata la foto numero due miliarJorge Luis Borges state organizzate dagli iscritti al di e ogni giorno vengono cariBirmingham Cafè di Palermo: cate tra tre e cinque milioni di nuove immagini. Flickr è forse il più importante sito di Point of view e Melting pot. “Palermo in HDR” fotografia al mondo oggi. Nel momento in cui questo (www.flickr.com/groups/palermo_in_hdr) di Giuseppe articolo è stato scritto c’erano quasi 108000 foto relative Lupo raggruppa foto che utilizzano una tecnica particoa Palermo (eppure alcune riguardano le tante Palermo lare chiamata HDR, acronimo di High Dynamic Range. La sparse per il mondo, tra cui il quartiere di Buenos Aires tecnica permette di ottenere fondendo al computer più che ha dato i natali a Jorge Luis Borges). Molte sono foto esposizioni foto con valori di luminosità e di radianza da cartolina, con i grandi teatri, le chiese barocche, ma diversi da quelli che normalmente vengono osservati c’è anche chi si lascia incuriosire dai dedali di viuzze, chi nelle immagini statiche. Tra i fotoblog degni di nota c’è si inerpica sulle colline che orlano la Conca d’Oro, chi cer- anche quello del palermitanista Lucio Forte ca particolari inediti nel riallestimento del waterfront del (www.flickr.com/photos/lucioforterepubblica), occhio Foro Italico. Flickr ha ormai preso piede anche a Palermo, attento e sensibile che spesso associa alle sue foto racdove già nel 2006 vi erano utenti molto attivi come Ugo conti e pezzi della storia della nostra città, ma anche Pandolfo (prematuramente scomparso) che gestiva uno t a n t i a l t r i c o m e q u e l l o d i K a t y a B e v i l a c q u a dei fotoblog più amati: * HugoPan *’s photostream (www.flickr.com/photos/katyab) che vive a Caccamo e (www.flickr.com/photos/hugopan). Uno dei punti di for- non è ancora maggiorenne. In definitiva la realtà dei za di Flickr sta negli strumenti di community e Palermo è “flickeriani” di Palermo può definirsi particolarmente presente anche tra i gruppi che riuniscono gli appassio- vivace e i palermitani sembrano essere a loro agio con le nati di fotografia. Il gruppo più importante è probabil- immagini, forse anche per la varietà che Palermo offre, mente “Palermo, Italy” (www.flickr.com/groups/paler- rispetto alla scrittura e ad altre forme di rappresentaziomoitaly), fondato a gennaio 2006 da Alessandro ne urbana che si manifestano online. balarm magazine 45
COSTUME
Nella GIUNGLA dei “MaiSpeiss” A Palermo il social networking online conta numerosi artisti e tanta altra gente comune di SVEVA ALAGNA Che le nuove frontiere della comunicazione siano sempre in espansione, si sa. Oggi il fenomeno MySpace (www.myspace.com) fa leva innanzitutto sulla chiara intenzione di farsi conoscere, di esprimersi, di attribuirsi e rendere visibile un talento. Aprire una propria pagina personalizzabile con layout e sfondi di ogni genere, inserire blog, foto, video e musica, cercare di raccogliere il maggior numero possibile di amici è divenuto prerogativa di molti (troppi?) come strumento sociale tanto quanto di marketing. Nato a Los Angeles nel 2004, il
colosso MySpace si è imposto al grande pubblico in breve tempo, tanto che l’anno successivo è stato acquistato dal magnate australiano Rupert Murdoch per la somma di 580 milioni di dollari. Il pubblico di MySpace Italia ha un’età media leggermente più alta rispetto al resto del mondo: il 20% degli iscritti ha più di 30 anni. Ovviamente anche a Palermo si è diffusa la tendenza del social networking online: da artisti di ogni categoria a personaggi non meglio identificati, anche Santa Rosalia ha il suo (www.myspace.com/rosalilium). La città presenta se stessa (per esempio www.myspace.com/palieimmu - palermocity – myspacepalermo) così come anche il Palermo calcio ha il suo MySpace (www.myspace.com/uscittadipalermo87). MySpace si discosta dal cugino Facebook, fenomeno sempre più dilagante anche nella nostra città, perché più che una finestra sugli amici o conoscenti è una vetrina di talenti, produzioni, notizie fornita da djs, videomakers, professionisti, e non, in campo musicale, ma anche da fotografi, PR, registi o solo da parte di chi ha qualcosa da dire o magari ha una ricerca in corso (www.myspace.com/cercasicammarata) o diffonde informazione proprio come Balarm o il blog Rosalio. In linea di massima i siti più cliccati sono quelli in cui poter ascoltare musica e rapidi da caricare: emblema di questi parametri il MySpace del dj e produttore palermitano Rajaz, che vanta più di tremila “amici”. Non vi perdete lo space degli Akkura, un cursore a forma di sole vi guiderà nelle varie sezioni sullo sfondo della copertina del nuovo album o quello di Eleonora Abbagnato, la nostra l’étoile che attraverso il MySpace rende noti i prossimi spettacoli e pubblica le immagini realizzate da noti fotografi. Ideale nella grafica e nell’organizzazione dei contenuti sono i MySpace di note band palermitane, come quello dei gruppi The Second Grace, Steel Ordeal, The Swingers, Matrimia, Jumpin Up o Apple Scruffs. Linee immediate, semplici, incisive. E spesso, ogni componente del gruppo ha il proprio MySpace. Non mancano i comici, da Sasà Salvaggio a Sergio Friscia e MySpace realizzati in funzione della diffusione concertistica come quello del Brass Group o di progetti musicali come FolkaLab e Officina Palermo. Molti personaggi noti all’ambiente cittadino hanno dei MySpace non ufficiali gestiti da fans come per esempio quello di Ficarra e Picone oppure quello di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Se volete una panoramica generale della giungla nostrana meglio procedere di space in space, oppure, per trovare il MySpace desiderato, basta utilizzare il motore di ricerca del sito. Voilà, nulla di più accessibile. balarm magazine 46
CIBO
L’ABBINAMENTO IL VINO di GIORGIO AQUILINO
Hair-style e pasta con le sarde Astinenza da sole, mare e Sicilia? Il rimedio low cost è una ricetta infallibile: quella della mamma In un periodo storico come questo, in cui l’inflazione avanza balzellon balzelloni, la benzina è ai massimi storici, l’unica cosa che permette di concretizzare due delle tre magiche S, soldi e successo (la terza è probabile, come conseguenza), è la partecipazione a trasmissioni televisive con montepremi miliardari. Io voglio propormi come inventrice di un nuovo modo di arricciare i capelli naturalmente, senza sfibrarli o trattarli con metodi aggressivi. Per correttezza devo avvertire che il metodo è sconsigliato alle persone con problemi cardiaci e psiconeurologici, perché sollecita il sistema cardio-vascolare e nervoso. La prima volta che ci si sottopone a questa cura il processo è lungo, poi, liberati i canali energetici, basta un richiamo per avere il medesimo risultato. Ma è d’uopo illustrare le fasi che mi hanno condotto a tale scoperta. Come spesso accade, il caso gioca un ruolo fondamentale. Quando da mesi vi trovate in una ridente e allegra metropoli quale è Milano, cominciano a emergere urgenze impellenti, che vi portano ad assumere strani comportamenti: parlate in siciliano per farvi compagnia, alzate il tono della voce per animare l’ambiente, riempi-
Nell’epoca dei “4 salti in padella” e dei preparati già pronti per l’uso, questo classico primo piatto della cucina siciliana ripropone il tema del “fatto in caso” e della freschezza degli alimenti. Perché solo la qualità delle materie prime assicura la soddisfazione del palato e la pace dei sensi. Certo, la frenetica routine del quotidiano in questo non ci aiuta. Ma c’è ancora un insolito piacere nell’andare al mercato a ricercare gli ingredienti per il pranzo o la cena, sia essa da offrire o da godere in solitaria tranquillità. Ciò è vero anche per il vino, dove la scelta dipende proprio dalla natura degli ingredienti in campo. Nel nostro caso, abbiamo di fronte pochi elementi, ma dotati di grande personalità sensoriale: si va dalla aromatica sensazione del finocchietto e dell’uva passa sino al forte e persistente sapore delle sarde, dalla tendenza dolce dei pinoli alla pungente speziatura delle acciughe. Per questo occorre un vino importante che sia in grado di bilanciare queste caratteristiche gustative. Un vino bianco maturo, giustamente acidulo per armonizzare con il sapore “piccante” delle acciughe salate, piuttosto alcolico da sciogliere la presenza grassa delle sarde, di buona struttura, giustamente aromatico e di sapore persistente. Consiglierei, dunque, un vino a base di Grecanico, vitigno autoctono made in Sicily.
to solo da rumori di rotaie che sfrigolano e ruote che saltano sul pavé, cercate posti dove poter ritrovare un po’ di quella sana confusione accogliente. Vedendovi sconsolati i vostri amici vi consigliano un ristorante siciliano. In effetti entrando siete aggrediti da un “Seeeeee, vabbè!” Perfetto, pensate, sono a casa! Riflessione confermata dall’uscita della cuoca con un bello piatto di spaghetti con le vongole in mano. Ciusieppe, pigghia ‘stu piatto. Tavolo ttredisci. Ci siamo, questi sono suoni familiari! Con le bibite vi portano il cestino del pane. Mizzica, da non crederci. Quando vi chiedono cosa prendete la scelta è obbligata: l’emblema della palermitanità, la paista chi saidde! Siete ben disposti, quand’ecco che arriva il primo. Vi accorgete che gli ziti sono spaghetti. Non ci siamo proprio. Nel frattempo iniziano dei brividi che vi percorrono la schiena, una sorta di scariche elettriche. Che sia la kundalini che si risveglia per l’orrore? Notate che i finocchietti non ci sono. Certo i finocchietti non arrivano a Milano. Cosa ci avranno messo al loro posto? In più la passolina è stata sostituita con la sultanina. Ma che è? La pasta arripizzata? E meno male che sono siciliani! Hanno anche
aggiunto la salsa. Non l’estratto, né, al limite, il con- ga-gioielleria, che tratta specialità regionali. In realtà ce centrato, no la salsa! Tristezza! Uscendo passate davan- ne vorrebbero due bei mazzi, ma ci si accontenta. Due ti uno specchio. Avete una bella capigliatura riccia. Certo cipolle, passolina e pinoli li avete. Servono anche le acciunon sono i boccoli di Riccioli d’oro, ma non potete lamen- ghe sottolio, lo zafferano. Recuperati tutti gli ingredienti, tarvi. Finalmente quei capelli senza corpo si sono ravvi- iniziate l’opera. Mettete una pentola piena d’acqua sul vati. E con una spesa modica! Potenza del trash! Si fuoco e quando avrà raggiunto l’ebollizione immergerete i finocchietti mondati, nel caso potrebbero proiettare i film di in cui li avete. Pulite le Tarantino nelle parruccherie. L’unico modo per soddisfare fortunato sarde a libro: togliete le teste, le Compiaciuti del risultato inaspeti vostri desideri è preparare, lische e le interiora. Soffriggete tato di un pranzo non appagancon le vostre manine, la le cipolle tagliate sottili e quando te, decidete che l’unico modo pasta con le sarde. Chi fa da saranno morbide vi unite il pesce per soddisfare i vostri desideri è preparare, con le vostre manine, sé, fa per tre e magari mangia fresco, lasciate cuocere e la mitica pasta con le sarde. Chi anche meglio. Telefonate alla aggiungete i finocchietti scolati e fa da sé, fa per tre e magari tagliati a pezzettini, passolina e mamma e chiedete pinoli, sale e pepe, la bustina di mangia anche meglio. chiarimenti sulla ricetta. zafferano e le acciughe sciolte in Telefonate alla mamma e chiedeun po’ d’olio. Nel frattempo cuote chiarimenti sulla ricetta. Bisogna comprare le sarde. Fin qui ci siamo. Non troppo cete gli ziti nell’acqua dei finocchietti. Li scolate al dente grandi, possibilmente nostrali, ma voi siete a Milano e le e li condite. Lasciate addimorare un po’, quindi servite. uniche che trovate sono dell’Oceano Atlantico, in vassoi Alcuni insaporiscono con l’estratto, altri uniscono alcune di plastica avvolti dalla pellicola. Tutto asettico. Per 1 kg sarde fritte senza farina, o passano tutto in forno con una di pasta, rigorosamente bucatini o ziti, dovete prendere spolverata di pangrattato tostato. Le varianti sono tante, 1,3 kg di sarde. E il finocchietto? Fate una follia e compra- ma la versione originaria, secondo me, resta la migliore. te una boccetta di concentrato di finocchietti nella botte- Con buona pace di tutti.
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di LETIZIA MIRABILE