INTRODUZIONE
Questo libro è dedicato alla politica. Nel corso dei secoli le definizioni date di questa realtà umana sono state numerose e spesso incomplete. Limitate risultano essere anche quelle pronunciate nel nostro tempo. È difficile trovarne una che racchiuda in maniera pregnante la carica di significato che il termine stesso evoca. In sintesi, si può dire che la parola «politica» rinvia sostanzialmente a due aspetti. Da una parte, all’esercizio di un’attività pubblica, cioè che raggruppa tutte quelle azioni compiute dall’uomo per il bene comune e che possono anche prendere le mosse dallo Stato. Dall’altra parte, rinvia a un’attività teoretica, di cui dunque diviene oggetto di studio. Uno studio che può essere di natura scientifica, filosofica e teologica. Il volume ne offre alcune definizioni, che però non ne costituiscono lo scopo precipuo. Un antico proverbio palestinese afferma che anche i luoghi hanno un’anima: resta da capire se le persone che incontriamo in questi stessi luoghi e che, in una certa misura, ci influenzano, facciano parte di quell’anima oppure ne costituiscano un’altra. Sul finire del semestre estivo dell’anno 2014, a Parigi, seguivo le lezioni del corso intensivo di storia del pensiero alla Sorbona, dedicato alla filosofia dell’Illuminismo europeo, dove si analizzavano, tra l’altro,
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le idee politiche scaturite da quel grande movimento. In quello stesso periodo, nel lontano Iraq, un uomo rivendicava dal pulpito di una moschea l’autorità califfale, ormai da tempo estinta, beffandosi delle conquiste illuministiche. Alla fine di ogni lezione, con il mio amico Ibrahim Nouali e altri nostri colleghi dibattevamo per ore, discutendo di politica, di filosofia e di teologia politica, di laicità nonché del ruolo delle religioni nelle società contemporanee. Valutavamo le varie proposte di diversi intellettuali. Il clima di rispetto che si era creato permetteva confronti entusiasmanti. Ancora più entusiasmante era che a condividere tutto ciò fosse un gruppo di studenti internazionale e interconfessionale perché, anche se i nostri orizzonti culturali e formativi erano diversi, tutti concordavamo su un punto: occorreva ritornare a interrogarsi sui fondamenti della «scienza del Sommo Bene» e sul rapporto che le religioni intrattenevano con essa; che occorreva farlo con semplicità, avendo dei punti di riferimento particolarmente in personalità del mondo della cultura. Ritornai a Ginevra, mia vecchia dimora, per più di un mese, e lasciai Ibrahim con la promessa di ritrovarci dopo qualche settimana per continuare a discuterne. Nell’attesa, avevamo stabilito una lista di letture da approfondire. Da settembre avrei cominciato a collaborare con il Cortile dei Gentili, organo del Pontificio Consiglio della Cultura dedicato al dialogo tra due mondi, quello dei credenti e quello dei non credenti, e che si presenta come un luogo ideale per uno scambio profondo sia dal punto di vista intellettuale che spirituale. Avrei dovuto preparare delle interviste ma non sapevo con precisione su cosa concentrarmi. In agosto ci ritrovammo entrambi nella città di Jean Calvin. Eravamo soliti darci appunta-
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mento nella verde Promenade des Treilles, a pochi passi dalla cattedrale, di fronte al parco dell’Università, e fare lunghe passeggiate. Al centro dei nostri scambi intellettuali c’erano sempre la politica e il suo rapporto con le religioni. Con un sorriso ricordai al mio amico che, durante i suoi anni a Ginevra, Jean-Jacques Rousseau trascorreva diversi momenti della giornata proprio in quel luogo, e che era solito affermare che la sua filosofia era stata elaborata più camminando che non sedendosi alla scrivania. Sorridendo anche lui, Ibrahim mi ricordò un passaggio de La Nouvelle Héloïse, celebre romanzo epistolare, in cui il filosofo ginevrino affermava che è molto più difficile porre delle domande che trovare delle risposte. Delle «buone» domande, s’intende. Ebbi una sorta d’illuminazione: avevo capito che le interviste del Cortile dei Gentili sarebbero state dedicate alla politica, a determinarne per quanto possibile l’essenza, il suo legame con il mondo e con le tradizioni religiose dell’umanità. L’attualità raccontava dei terrificanti episodi di violenza che accadevano in Medio Oriente, così decisi di concentrarmi sulle religioni abramitiche o monoteistiche. Per poter porre buone domande, fedele al principio di Rousseau, sentii il bisogno di un’adeguata preparazione; moltiplicai letture e approfondimenti, continuai a studiare, ad annotare domande e a preparare i primi testi delle interviste. Molte domande furono semplificate e altre, più complesse, messe da parte, magari in vista di un secondo ciclo di incontri sullo stesso tema. Per la scelta dei miei interlocutori decisi di prendere contatto con quelle anime che avevano nutrito il mio pensiero e accompagnato la mia crescita intellettuale. Infatti, se i luoghi hanno un’anima, così come le persone, allora dovevo rintracciare gli intellettuali che mi avevano formato con le loro
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opere. Anzi, le loro opere stesse erano (e sono) presenti nella mia biblioteca domestica, sorta di «estensione» materiale della loro anima nel mio luogo di vita quotidiana. Realizzando le interviste prima e, in un secondo momento, scrivendo questo libro, non ho avuto alcuna pretesa di esaustività. Al contrario, ho voluto condividere un cammino di riflessione che si è sviluppato in seno al Cortile dei Gentili. Qui ero sicuro della fiducia datami, forte dei consigli ricevuti da parte del direttore esecutivo Dott. Laurent Mazas, al quale va la mia più sincera gratitudine. Anche per lui, tra i soggetti preferiti di cui poter discutere c’era la politica. Non ci interessava soffermarci sulle dinamiche dei partiti, piuttosto ci premeva un ritorno ai suoi fondamenti, un’attenzione particolare alle sue componenti strutturali. Non per ultimo, avvertivamo l’esigenza di capire quale fosse la sua vocazione originaria in un clima di sfiducia e di malcontento diffuso nei confronti delle istituzioni politiche. Questo è il motivo per cui, oltre a darne definizione, ho cercato di proporne una chiave di lettura generale. Ho inquadrato la politica secondo varie prospettive, cercando un equilibrio tra semplicità divulgativa e serietà delle analisi. Ma, come ricordavo in apertura, una tematica come questa non è tale che si possa trattare con facilità e in poche pagine; ho quindi tentato di superare la difficoltà seguendo il filo rosso dell’utilità della politica per la nostra vita. Il risultato vuole essere un piccolo e modesto aiuto per chi cerca di comprendere sia la politica che gli ambiti nei quali essa opera, cercando di favorire un piccolo percorso di orientamento, suddiviso in tre parti. A una prima parte di domande «fondamentali», ne segue una seconda che introduce brevemente i legami che l’Ebraismo, il Cristianesimo e
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l’Islam intrattengono con essa. Si tratta di un’analisi generale, che offre comunque un’ampia panoramica e cerca di fare chiarezza su alcuni fenomeni di recente attualità. L’ultima è dedicata a alcune declinazioni della politica nel mondo. Per coloro che volessero approfondire la lettura di questo libro potranno essere di grande aiuto gli scritti dei miei interlocutori, ciascuno dei quali è specialista affermato nel settore di ricerca di cui, sia pure brevemente, si occupano le interviste. Queste ultime, nella loro diversità e varietà, presentano dunque la politica come un prisma con diverse facce illuminate da una sola luce. La speranza è che si possa cogliere l’unità dell’insieme e lasciare che questa luce si irradi. Il contesto nel quale ciò può compiersi è quello del dialogo, di cui avvertiamo tutti un bisogno radicale per uscire dalla conflittualità incontenibile che deriva dal non saper vivere la differenza, dal non sapere o dal non saper orientarsi. Vienna, 6 gennaio 2016
L’ARTE POLITICA. UNA BREVE STORIA
conversazione con Carlo Galli
All’«arte» e alla scienza politica ha consacrato numerosi lavori. Cos’è per lei la politica? Come ho avuto modo di scrivere nella voce «Politica» della mia Enciclopedia del pensiero politico*, la politica in generale è l’insieme delle relazioni fra gli esseri umani, quando queste relazioni sono interpretate dal punto di vista del potere. Fra gli esseri umani vi sono relazioni di vario genere, di natura affettiva, giuridica, sentimentale, scientifica, e quando queste sono interpretate dal punto di vista del potere – cioè della differenza di potere che si instaura tra gli uomini – allora questa è la politica. Tutto ciò significa che non esiste una relazione che non sia politica: le relazioni che s’instaurano fra gli esseri umani, in particolare quelle complesse, implicano sempre potere e dislivelli di potere. Quando questi dislivelli di potere sono affrontati in modo esplicito, cioè quando sono strutturati in modo tale da formare un ordine, allora si è davanti a ciò che si definisce «politica». In sostanza, si può dire che essa è uno dei modi attraverso i quali è possibile considerare la totalità delle relazioni umane. * Carlo Galli, Enciclopedia del pensiero politico. Autori, concetti, dottrine, Laterza, Bari 2005.
Carlo Galli
Nel suo pensiero esiste – riprendendo una nozione del sociologo tedesco Max Weber – un «idealtipo» politico? Per «idealtipo» s’intende una struttura mentale che governa la ricerca scientifica e che funge da guida nella nostra esplorazione della realtà. Se si vuole, nel mio pensiero politico esiste un’idea normativa di politica che è quella secondo la quale le relazioni di potere di cui la politica si sostanzia devono essere sempre rese esplicite attraverso la critica. Il grande peccato contro la conoscenza e la dignità dell’essere uomo è di ignorare, o di fingere di ignorare, le relazioni di potere che s’instaurano tra gli uomini. Dopo che si sono riconosciute le relazioni di potere tra gli esseri umani, si può tentare di raddrizzare quelle relazioni di potere, di organizzarle in modo tale che siano rispettate sia la libertà sia la dignità individuali. Sono cosciente del fatto che questo modo di pensare alla politica non può essere rinvenuto in età, epoche e situazioni diverse da quelle moderne, nelle quali la politica si organizzava in modo differente. La filosofia politica s’interessa alla nozione di techne politike, di «arte politica», una nozione che si ritrova nel corso della storia delle idee politiche. Come caratterizzerebbe l’«arte politica»? L’«arte politica» è stata caratterizzata in modi molto diversi, attraverso analogie e paragoni, ad esempio attraverso l’arte della tessitura, l’arte della pesca e quella della caccia. Particolarmente rilevante è stata l’analogia tra l’«arte politica» e l’arte di chi guida la nave, cioè il κυβερνήτης. Da questa parola greca – che deriva dal verbo κυβερνάω, appunto «governare la nave» – è derivata tutta la famiglia linguistica che ha a che fare con il governo. Governare è possedere un’arte simile a quella di colui che pilota la nave. Si
L’arte politica. Una breve storia
tratta di un’arte che ha a che fare sia con il sapere – per governare una nave occorrono conoscenze specifiche – sia con la capacità di organizzare il lavoro di coloro che sono sulla nave, in modo tale che le rotte della navigazione siano sicure. Questo è il modo con cui Platone interveniva nel discorso occidentale sulla politica, utilizzando un’immagine di straordinaria efficacia. Rispetto a quanto ho detto prima, è evidente che esiste uno scarto, poiché per Platone l’«arte politica» era quella che consisteva nel portare alla luce i conflitti di potere che si trovano nella città o, rimanendo fedeli alla metafora, sulla nave, con il fine di neutralizzarli gerarchicamente. Platone immaginava la soluzione delle questioni di potere dentro la città attraverso la continua opera educativa e di governo dei filosofi. All’idea del governo, ovvero all’idea che l’arte della politica sia quella di guidare con conoscenza e consenso una città così come si governa una nave, aggiungerei che l’arte di governo consiste nel portare alla luce, conoscere, far emergere e lasciare che si sviluppino i conflitti di potere. Questo è un aspetto fondamentale, poiché lasciandoli sviluppare permette di conservarne l’energia e al contempo di neutralizzarne la carica distruttiva. Volendo analizzare questa nozione partendo da una prospettiva storica, quando nasce l’interesse dell’uomo per la politica? Se si vuole adottare l’espressione aristotelica, la politica fa parte della natura umana – l’espressione di Aristotele ζω˜˛ ον πολιτικόν, animale politico, vuol dire proprio questo. Invece, se si vuole usare un linguaggio moderno, ho già sottolineato che non esiste un rapporto sociale, un rapporto tra esseri umani, che non conosca il potere. Si tratta di vedere se la coscienza del potere sia autonoma o
Carlo Galli
se, invece, il potere venga assorbito all’interno di differenti forme espressive e organizzative. La forma più immediata del potere è quella religiosa. La tribù primitiva trovava un momento unificante nella figura del totem. Dunque, i rapporti di potere, vale a dire di comando e di obbedienza, variamente atteggiati, trovavano una loro prima formulazione all’interno di linguaggi religiosi. Si può affermare che la storia dell’Occidente è quella del progressivo, lento e difficile differenziarsi – non privo di contraddizioni al suo interno (la grande tematica della secolarizzazione e della teologia politica) – della tematica della politica rispetto ad altre come, appunto, quella religiosa. Certamente, tanto in un caso quanto nell’altro, si parla sempre di rapporti di potere, ma il potere religioso, dopo esserne stata l’unica forma, è stato affiancato e superato dal potere politico. Nel nostro tempo, si è in una condizione in cui la vera minaccia per l’autonomia della politica non viene tanto, almeno per quanto riguarda l’Occidente, dal potere religioso bensì dal potere economico e tecnico. È in questi ambiti che si nasconde una notevole quantità di politica che non vuole essere definita tale. Come qualificherebbe l’«arte» e la riflessione politica degli antichi? Le riflessioni politiche degli antichi ruotavano attorno al concetto di città – se per «antichi» intendiamo il mondo greco-romano. La caratteristica fondamentale del mondo greco è che qui si è avuta per la prima volta la differenziazione della politica dagli altri ambiti, e l’affermazione che la politica ha a che fare certamente con il potere, ma con un potere tutto umano, gestito dagli uomini, modificabile. In sostanza, non si tratta di un potere fondato su una sanzione divina che lo legittima e lo consacra. Ad Atene, la città organizzava
L’arte politica. Una breve storia
se stessa secondo modalità che non erano immediatamente sacre, diversamente da quanto accadeva, per esempio, nel regno d’Egitto. In ciò consisteva la prima grande differenza: la città come soggetto della politica. Certo, l’elemento religioso permane, poiché la città diviene oggetto di culto da parte di se stessa: il Partenone era l’altare che Atene elevava a se stessa ma, per così dire, la conoscenza e l’esercizio dei rapporti di potere politici apparivano ugualmente nella loro relativa purezza, senza mascherarsi dietro la facciata del sacro. Roma adottava lo stesso modus operandi, cioè conosceva una politica che era tutta incentrata sull’auto-divinizzazione della città e del suo destino. Anche qui il sistema politico non poteva vivere senza il sistema religioso, e il potere politico era compenetrato di religiosità. Nello stesso tempo, però, è evidente che Roma aveva un sistema politico differenziato rispetto al sistema religioso e il primato andava indubbiamente al potere politico, anche se questo non poteva pensarsi come separato dalla religione. Insomma, la politica degli antichi era una realtà molto diversa dalla nostra quanto a struttura e ad architettura intellettuale. Tuttavia, essa ha a che fare con l’uomo moderno perché è presentata per la prima volta come qualcosa che inerisce alla natura umana, che è intrisa di religiosità civile, ma che è anche modificabile dall’azione dell’uomo, pienamente comprensibile dall’intelletto e che, quindi, non cela in sé qualche mistero sacro. Abbiamo visto che Platone e Aristotele si sono interrogati ed hanno scritto sull’«arte politica». Quale pensatore ritiene abbia lasciato un segno particolarmente significativo? All’interno e in conseguenza di quanto ho detto, la politica antica
Carlo Galli
presentava l’idea che esista una misura dell’uomo e del potere. Tale misura può essere colta e conosciuta, oltre che praticata, dall’uomo. Le grandi linee della tradizione del pensiero politico derivano da Platone e Aristotele, nel senso che è stato detto che tutta la storia della filosofia è un insieme di glosse ai due principali filosofi greci. Si può dire che sia Platone sia Aristotele univano e sviluppavano alcune delle direttrici fondamentali del pensiero occidentale. I presupposti del pensiero occidentale sono la disponibilità dell’uomo a se stesso e la disponibilità delle relazioni umane per l’uomo: cioè le relazioni umane non sono esterne all’uomo e indisponibili, ma sono qualcosa d’inscritto nella natura umana e modificabili. La poderosa tradizione platonica sosteneva che la politica coincide sostanzialmente col sapere, cioè la politica è l’insieme dei rapporti di potere quando sono esplicitamente conosciuti e governati in vista del Bene. In questa prospettiva, l’elemento del governo è decisivo poiché la politica consiste nel conoscere e nel governare la prassi. Invece, la poderosa tradizione aristotelica concepiva la politica come l’insieme delle varietà dei modi attraverso cui si organizza la vita sociale degli uomini. In questa seconda prospettiva, l’elemento della conoscenza e del governo, seppur importante, passa in secondo piano rispetto all’elemento della pluralità. Mentre per Platone la politica consisteva nel realizzare una verità, per Aristotele si trattava del proliferare della pluralità delle esperienze. Si percepiscono queste due diverse linee, inevitabilmente scritte all’interno della macro-idea occidentale che vede la politica come l’insieme delle relazioni di potere rese consapevoli a se stesse e disponibili per l’uomo. All’interno di questa grande idea, si può dire che poiché il potere e le sue relazioni sono conoscibili e disponibili, allora questi due elementi devono essere
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trasparenti a se stessi, unificati in una sintesi di potere e di sapere, in una sintesi che è quella filosofico-governamentale – e questo era il pensiero di Platone. Ma si può anche dire con Aristotele che, proprio perché queste relazioni di potere sono disponibili, devono essere lasciate e garantite nella loro pluralità. Lei ha posto l’accento sul legame della politica con la conoscenza. È interessante notare che in Platone, così come in Aristotele, l’«arte politica» sia legata all’educazione che ha per scopo il raggiungimento di un più alto grado di giustizia… Se la politica è disponibile per l’uomo, cioè se le relazioni di potere possono essere conosciute, modificate e orientate verso il Bene o verso ciò che si ritiene giusto, allora è chiaro che essa ha a che fare con dinamiche quali l’analisi, la conoscenza, l’educazione – cioè con l’utilizzo della ragione per argomentare e convincere. Questo è un elemento che deriva dalla macro-idea occidentale – cioè che la politica è disponibile per l’uomo – e che l’uomo contemporaneo sta dimenticando. L’età moderna, da un lato, ha insistito sul fatto che la politica è fatta dall’uomo – e questo è assolutamente in linea con la tradizione dell’Occidente. Dall’altro lato, invece, si è affidata a idee di carattere tecnico-meccanico secondo le quali in realtà la politica non è fatta dall’uomo, ma è semplicemente agita dall’uomo. Cioè la politica sarebbe un insieme di strutture tecniche che possono essere conosciute da un sapere di carattere tecnicoscientifico, ma questo sapere non ha a che fare con il consenso, l’educazione, il logos e il dibattito. Così, la politica si riduce a un modo di osservare il mondo simile all’osservazione propria della fisica: come il mondo naturale ha le sue leggi – e chi vuole agire su
Carlo Galli
di esso deve sottostare a quelle leggi – così anche la politica possiede le sue leggi ed è possibile agire su di essa soltanto soggiacendo a quelle leggi. Non sono il convincimento, l’educazione, il logos e la dialettica (dunque anche il conflitto, in un certo senso), a gestire la politica bensì la tecnica. Tutto ciò rappresenta il grande scacco dell’età moderna, uno scacco che è contrastabile nella misura in cui l’uomo si rifà alla grande intuizione che è all’origine della storia dell’Occidente: se la politica ha a che fare con la natura umana ed è governabile dall’uomo, allora questo governo deve avvenire dall’uomo per l’uomo. L’affermazione «dall’uomo per l’uomo» significa che il logos possiede la capacità di modificare, se non la natura umana, almeno la politica. Una tale capacità del logos di modificare la politica consiste in diversi aspetti. Nello specifico, in Platone è l’educazione che i filosofi impartiscono ai non filosofi, mentre nella cultura politica moderna è il Parlamento. Quest’ultimo non è altro che uno spazio nel quale i rappresentanti del popolo sovrano parlano, per convincersi gli uni con gli altri, di una verità che diventa legge. Dunque, la politica governa le cose umane ed è una creazione umana, è fatta dal discorso umano, di ragione dialogica. Credo che questo sia il cuore del discorso politico dell’Occidente. Come si concepisce la techne politike nella Modernità? Come la concepivano gli illuministi nel XVIII secolo e quanto rimane, oggi, di quella percezione tipica del secolo dei Lumi? Il Razionalismo politico moderno cominciò con Thomas Hobbes. Infatti, Niccolò Machiavelli aveva un’altra qualificazione. Il filosofo fiorentino era il pensatore della politica autonoma rispetto alla religione, ma era anche il pensatore di una politica che più
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che all’ordine mirava al conflitto. Si trattava, cioè, di una politica che aveva come fine non tanto la «giuridificazione» dei rapporti umani quanto la produzione di un’energia dentro la politica stessa – un’energia che è in mano o al principe o al popolo repubblicano. In quest’energia consisteva quella che lui chiamava «virtù» e, in sostanza, l’«arte politica». Quest’ultima si caratterizzava come l’arte di suscitare energia politica allo scopo di compiere grandi imprese, per incrementare – con una condotta accorta, sagace e spregiudicata – il potere del principe oppure quello della città. Nel pensiero razionalistico moderno, invece, la politica è autonoma tanto quanto lo è in Machiavelli, ma ha un obiettivo completamente diverso. Infatti, lo scopo non è di suscitare energia ma quello di produrre un ordine giuridico. Ovvero? La politica è l’atto di ragione – un atto di ragione collettivo – che passa attraverso la figura del contratto. In quest’atto di ragione gli uomini stabiliscono una situazione di uguaglianza, con l’obiettivo di generare un ordine razionale e rappresentativo, vale a dire un ordine giuridico-politico come lo si conosce oggi: un sistema giuridico politicamente fondato e sancito. Mentre l’«arte politica» di Machiavelli consisteva nel suscitare energie e nell’agire nella contingenza, l’«arte politica» di uno Stato moderno – di uno Stato congegnato sulla scorta del Razionalismo politico moderno – consiste nel produrre ordine attraverso la ragione. A questo punto, possiamo dire che l’Illuminismo è stata una derivata del Razionalismo politico moderno. Il movimento aveva come idea fondamentale quanto esprimeva Immanuel Kant con la sua celebre affermazione: «Abbi il coraggio di
Carlo Galli
sapere», in latino sapere aude. L’Illuminismo aveva come imperativo quello di uscire da una situazione di colpevole minorità: gli uomini devono prendere in mano la loro esistenza politica comportandosi come maggiorenni e non più come minorenni. Ciò significa che devono smettere di considerare se stessi come pecore guidate da un pastore, ma devono pensarsi come dei soggetti capaci di autogoverno. Tutto questo rappresenta il fondamento stesso dell’Europa moderna. Dopo che la Rivoluzione francese ha vinto sull’Ancien Régime che era non completamente interno a questa logica – non si trattava di un regime irrazionale ma solo parzialmente razionale – dopo che la Rivoluzione francese è stata tradotta in ordinamenti giuridici moderni dagli Stati nazionali borghesi ottocenteschi, dopo che questi Stati nazionali borghesi ottocenteschi sono stati, a loro volta, democratizzati dalle forze politico-sociali che il capitalismo ha fatto nascere al loro interno, gli uomini del nostro tempo affermano che l’«arte politica» è quell’insieme di regole e di comportamenti che hanno come obiettivo quello di creare l’ordine a partire dalla ragione umana, assumendo che gli uomini sono tutti uguali, tutti dotati di un’eguale dignità, ma anche che all’interno della città, dello Stato, esisteranno sempre rapporti di potere e conflitti politici. Tuttavia, questi rapporti di potere diseguali e questi conflitti politici anche aspri possono essere organizzati all’interno di un ordinamento giuridico, il quale è a sua volta posto e governato da un organo sovrano, il Parlamento. Quest’ultimo è il prodotto della volontà razionale dei cittadini ed esercita un’azione legislativa, cioè produce le leggi attraverso il dialogo e la ragione. Oggi la grande sfida del pensiero politico consiste nel capire perché, rispetto a questo insieme di assiomi, la politica si presenti in realtà tanto
L’arte politica. Una breve storia
diversa. In ogni caso, poiché si parla delle fondamenta legittimanti della politica moderna dal Razionalismo all’Illuminismo, si può dire che il discorso politico moderno fa della politica quel punto di vista a partire dal quale la coesistenza umana è una realtà fondata sui dislivelli di potere, ricondotti all’interno di un ordinamento giuridico-razionale, posto da un sovrano nazionale che rappresenta tutti i cittadini. Passando all’età contemporanea, com’è intesa la techne politike e quali crede siano le fonti alle quali deve ispirarsi? Finora si è parlato della politica nella sua specificità e autonomia. Ciò è assolutamente corretto perché costituisce l’oggetto del nostro dialogo. Tuttavia, si deve sapere che, particolarmente in età moderna, la politica si manifesta attraverso l’economia. Mentre nel Medioevo si manifestava attraverso la religione, oggi la politica si presenta con e nell’economia. Ciò vuol dire che lo spazio e la dimensione dentro le quali nascono i rapporti di potere che devono trovare una sistemazione politica, è costituito dalle forme di produzione economica. L’economia rappresenta, al contempo, sia la fonte dei problemi sia, in parte, la fonte della loro soluzione (non esiste un ordine politico che non debba legittimarsi mostrando di essere capace di garantire benessere). È la politica che deve saper riconoscere i problemi politici posti dall’economia e offrire loro una soluzione, perché quest’ultima pone problemi politici, ma non li definisce «politici» bensì «economici». Tutto ciò è molto difficile, perché l’economia ha cambiato forme, adottando infine quelle del sistema produttivo capitalistico, le quali non hanno ancora trovato una politica in grado di controllarle ordinandole. La filosofia po-
Carlo Galli
litica contemporanea riflette sulle modalità che rendano possibile questo progetto e sul come sia possibile dare una dimensione umana alla politica «insidiata» dall’economia. Ci si chiede come sia possibile che i grandi presupposti della Modernità – cioè l’Umanesimo moderno, l’uguale dignità degli uomini, il fatto che la politica sia razionale, cioè sotto il controllo umano – possano trovare una qualche modesta o approssimativa realizzazione in determinate forme politiche e in un contesto, qual è quello contemporaneo, in cui la forma politica che ha dominato l’età moderna, cioè lo Stato, sembra far fatica a rapportarsi con l’economia. Dunque, l’economia pone dei problemi politici che l’organo politico per eccellenza, lo Stato, fa fatica a trattare. Questo perché l’economia pone problemi politici su scala non statale ma globale, almeno regionale, mentre lo Stato non è né globale né regionale ma è ancora uno Stato nazionale. Cosa vuol dire tutto ciò? Vuol dire che è difficilissimo far uscire la politica dal suo guscio statale mantenendola ordinata. In sostanza, è questo il grande problema contemporaneo. La politica è ancora dentro lo Stato oppure è fuori controllo o, ancora, si trova in soggetti esterni allo Stato? Esiste ancora uno spazio della politica (partiti, istituzioni, sovranità) o la politica ha occupato tutto lo spazio? Il conflitto, che è un elemento fondamentale dell’esperienza storica dell’uomo, è politicamente controllabile o la politica non è diventata altro che il lasciare che il conflitto esploda? Mi sembra che queste domande siano più che mai attuali. In generale, la Modernità ha ancora una spinta propulsiva, che si tratta di recuperare anche con l’aiuto della tradizione cristiana da cui essa è nata, benché polemicamen-
L’arte politica. Una breve storia
te? Oppure l’ha esaurita e allora la politica deve essere pensata e organizzata su principi e concetti diversi, che al momento sono di difficile definizione? Queste sono le domande alle quali la filosofia politica contemporanea cerca di dare risposta.
Carlo Galli, nato nel 1950, è un filosofo e politologo italiano. Ha studiato filosofia all’Università di Bologna ed è attualmente professore ordinario di Storia delle dottrine politiche presso l’ateneo bolognese. Specialista di storia del pensiero politico moderno e contemporaneo, ha dedicato diversi studi alla Scuola di Francoforte e a pensatori quali Machiavelli, Hobbes, Weber, Arendt, Strauss, Voegelin, Löwith, Jünger, Schmitt e Vitoria. Membro dell’Accademia delle Scienze di Bologna, è vicepresidente del Centro Interuniversitario per la Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico Europeo; ha fondato e dirige la rivista «Filosofia politica» ed è stato, inoltre, presidente del Consiglio Editoriale della casa editrice il Mulino. Attualmente presiede la Fondazione Gramsci EmiliaRomagna ed è deputato.