UNO
Morte di un cuoco
«Devi essere contenta che la gatta sia in un posto migliore. Se fossimo nel Guangdong, adesso si troverebbe nella pancia di un contadino.» «Come sei razzista.» «Non posso essere razzista verso la mia stessa razza. Mamma ha detto che è impossibile.» «Non ricordo che mamma abbia mai detto una cosa simile.» «E invece sì.» Non sono certa che mio fratello Lai Ker abbia ragione, comunque mamma non è più qui. È in cielo con papà e con la mia vecchia gatta Miao Miao. La nonna mi ha obbligato a portarla alla Lega per la protezione degli animali: ha vent’anni e so che cosa succede agli animali anziani. Nonna ha detto che doveva andare perché era «sporca», «puzzolente» e un «ricettacolo di milioni e milioni di germi». Ha anche detto che non potevo tenere la mia sveglia di Bart Simpson con l’ammaccatura in fronte. Lai Ker ha il permesso di portare la sua Xbox, ma solo dopo averla pulita con le salviettine igienizzanti. Però non può portare le piante dalle foglie giganti che coltiva in camera sua e che vende agli amici, perché i due giardinieri della nonna hanno già molto da fare. Non abbiamo sempre abitato con la nonna. Per dodici 7
anni ho vissuto in un confortevole trio: mamma, io e Lai Ker. Eravamo i Kwan di Kilburn Road, al 187C, la famiglia sino-britannica che ascoltava musica pop a tutto volume e parlava con accento sino-cockney. Lai Ker era il più cockney, mamma la più cinese e io stavo nel mezzo. Incontravamo la nonna, zia Mei e lo strano zio Ho una volta all’anno, perché mamma diceva che la nonna era una donna super impegnata e non aveva tempo per noi. Tutte le volte che ci vedevamo, la nonna non rivolgeva la parola a mamma se non per lamentarsi di qualcosa. «Perché non metti più salsa di soia sul pesce? Sa di ascella.» «Tua cucina così sporca, topi ballano qui tutti i giorni.» «Tuo appartamento è troppo piccolo. Va bene solo per nanetti.» Mamma si limitava a ignorarla e a comportarsi come se lei non ci fosse. Chiesi a mamma perché non ribattesse mai, e lei mi rispose che quando le persone litigano significa che ci tengono l’una all’altra. Mamma ha sempre cercato di insegnarmi ciò che è giusto o sbagliato. Mi ha spiegato un sacco di cose, tipo che non devo mai lasciare del riso nel piatto, che se lo facessi, mi spunterebbero sulle guance dei grossi brufoli per ogni chicco avanzato. Inoltre, che non bisogna mai togliere la protezione di plastica dallo schermo del televisore e dei cellulari e anche dal divano perché così durano più a lungo. Adesso però non saprò più ciò che mamma pensa, perché lei non c’è più. Se n’è andata per sempre e io non posso farci niente. Mamma è morta il giorno del mio dodicesimo compleanno. Pioveva molto, ma non era la solita pioggerella londinese esitante che non sa decidersi se cadere a dirotto oppure no. 8
A Londra di solito la pioggia ti infastidisce a sufficienza da farti usare l’ombrello, ma non è così fitta da poterci sguazzare dentro e divertirti, e di certo non ci si può giocare a «non farti beccare da un fulmine». Il giorno del mio compleanno c’era quel tipo di pioggia che ti dà l’impressione che il tetto possa crollare. Era divertente, rumorosa e faceva un po’ paura. Seduta vicino a una stufa a cherosene, avevo cominciato ad aprire i pacchetti avvolti in una splendida carta regalo con i disegni di Rudolph la renna dal naso rosso. Da mamma ricevetti un videogioco e una stecca di Toblerone già morsicata da Lai Ker. Ero al settimo cielo quando, d’un tratto, mamma tirò fuori una piccola torta al cioccolato. Compravamo deliziosi e costosi dolci al cioccolato solo per il compleanno. Mamma lanciò un’occhiata all’orologio e borbottò come la giornata fosse passata in fretta. La nonna, zia Mei e lo strano zio Ho sarebbe arrivati di lì a poco. Fu presa dal panico perché non avevamo delle candele. Mamma voleva sempre che fosse tutto super perfetto quando venivano loro. E quando si lasciava prendere dal panico, si metteva a correre per la casa bofonchiando e agitando le braccia come quei pazzi cantanti dell’opera cinese. Lai Ker l’aveva soprannominata «Melodramamma». Mamma afferrò velocemente il suo vecchio ombrello fiorato e corse fuori nella pioggia. Erano le quattro e ventitré del pomeriggio. Ricordo l’ora perché continuava a ripetere che la nonna sarebbe arrivata di lì a sette minuti e che non era mai in ritardo. «Accidenti! Sono le quattro e ventitré. La nonna sta per arrivare. Sono già le quattro e ventitré! Mi servono delle candele.» 9
Mamma uscì nel temporale per andare a cercare quelle dannate candele. Sulla strada verso l’edicola, passò davanti al ristorante cinese di Xiong Mao. Mamma spesso s’intrufolava nelle cucine del ristorante per scroccare del cibo gratis ad Andy Cheung, il suo amico cuoco. Lai Ker dava ripetizioni di matematica al figlio di dieci anni di Andy e il cibo gratis era il suo modo per restituire il favore. I cinesi lo chiamano Guanxi, che praticamente significa: «Tu mi gratti la schiena e io ti gratto la tua». Mamma avrebbe seguito il suo solito rituale con Andy Cheung, che sarebbe iniziato con il suo consueto grande imbarazzo per le ENORMI porzioni regalatele da Andy. Dato che era il mio compleanno, sono sicura che sarebbero state ancora più abbondanti del normale. Quell’uomo era davvero di una cortesia straordinaria. Come sempre, mamma gli avrebbe chiesto di fare delle porzioni più piccole, ma Andy avrebbe spinto verso di lei le vaschette e mamma le avrebbe rispinte indietro, sostenendo che le porzioni erano troppo grandi. Avanti, indietro, avanti, indietro. Il rituale sarebbe continuato per circa tre minuti finché Andy avrebbe aperto la borsa di mamma infilandoci dentro a forza il cibo, per poi spingerla gentilmente verso l’uscita. Andava sempre così con Andy Cheung. Non so quanto fosse durata quell’ultima volta, ma non fu per quello che mamma morì. Lai Ker dice di sì, ma io so la verità, mamma non è morta per quello stupido rituale. Mamma è morta perché era il mio compleanno. Se non fosse stato il mio compleanno, mamma non sarebbe uscita a cercare le candele. Non sarebbe passata davanti al ristorante di Andy Cheung e non si sarebbe fermata a prendere qualcosa di buono per me. Non avrebbe dovuto 10
ripetere quello sciocco cerimoniale con Andy Cheung proprio accanto al forno da quattro soldi che i proprietari del ristorante si rifiutavano di far riparare. E così sarebbe stata lontana dalla cucina di Andy Cheung quando il forno esplose. E la sua foto non sarebbe apparsa sulla prima pagina della cronaca locale. E io non avrei trascorso il mio dodicesimo compleanno all’obitorio. Mamma è morta per colpa del mio compleanno. Mamma è morta per colpa mia.
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DUE
Quattro Wu e un funerale
Mamma morì di venerdì e il funerale fu celebrato il lunedì successivo. Lai Ker disse che di lunedì i funerali costano il 20% in meno che di sabato. Nonna scelse una bella chiesa bianca con grandi vetrate a mosaico. Sembrava la più costosa fra quelle degli altri edifici religiosi disponibili. La chiesa era addobbata con rose gialle, le preferite di mamma. Zia Mei ingaggiò un’amica organizzatrice di matrimoni VIP per sistemare i fiori che, secondo me, con quei fiocchi imbrillantinati rendevano la chiesa troppo allegra. Lai Ker disse che «tutto quel luccichio» gli stava facendo venire il mal di testa. Prima della funzione, avevo trovato in camera sua cinque bottiglie vuote di birra nascoste sotto una pila disordinata di cartoni del takeaway. La bara era chiusa. Zia Mei aveva stabilito che il corpo carbonizzato di mamma sarebbe stata una visione troppo sconvolgente per i tantissimi amici venuti a dirle addio. So che cosa intendeva dire. L’immagine del suo corpo incenerito mi si era insinuata in un angolino della mente, e si divertiva a saltare fuori non appena chiudevo gli occhi per dormire. Di quelli che una volta erano i luminosi occhi di mamma ora non restavano che due buchi cavernosi e la sua pelle abbronzata era diventata color catrame. Non era più mamma. Era solo un orribile guscio nero. La chiesa, che poteva contenere duecento persone sedute, 12
era stracolma di vecchi compagni di scuola e vicini di casa, e c’era persino il postino della mia infanzia. Nonna aveva fatto pubblicare un necrologio sul «Times» nel quale invitava a partecipare alla funzione chiunque avesse conosciuto mamma. Era strano vedere al funerale il venditore di fish & chips e lo spazzino. Nonna rimase seduta per tutto il tempo con il volto inespressivo. Non un pianto, non un singhiozzo, nemmeno una lacrima. La vidi lanciare due volte un’occhiata all’orologio. La prima mentre la signora Alsanea, una cara amica di mamma, leggeva una poesia, e la seconda quando Maggie Chin, una sua compagna delle elementari, raccontava l’aneddoto di quando mamma le aveva permesso di dormire sul nostro divano durante il divorzio. Quando beccai la nonna guardare l’orologio, la odiai tantissimo. Zia Mei si morsicò il labbro un paio di volte, stringendo spasmodicamente la borsa per tutta la durata del servizio funebre. Nemmeno lei si commosse. Ma, fuori dalla chiesa, la sorpresi a piangere a dirotto nel parcheggio, dietro ai cassonetti. Tutto quello che riuscivo a vedere erano le sue mani dalle unghie laccate di rosso muoversi su e giù sul viso. Zia Mei cercava sempre di essere gentile con me e Lai Ker, ma le riusciva difficile scambiare due chiacchiere. Lai Ker diceva che zia Mei era una di quelle persone che non sanno come comportarsi con i ragazzi perché aveva sempre avuto a che fare solo con gli adulti. Quando giunse il momento di dire addio a mamma, un sacco di gente piangeva. Vidi la signora pakistana dell’edicola asciugarsi un paio di lacrime. Era davvero bizzarro vedere la donna da cui compravo i Mars piangere per mamma. Non sembrava reale. Per niente. Nonna e zia Mei andarono insieme a dirle addio. Entrambe 13
pallide, sembravano due fantasmi che si muovevano al rallentatore. Nonna non guardò la bara, né la toccò. Sembrava stordita e si limitò a passarci davanti. Zia Mei la seguì prima di tornare da zio Ho, che si rifiutò di andare fino al feretro. Zia Mei cercò di convincerlo, ma era come se il suo enorme sedere fosse incollato alla panca con il velcro. Lo tirò per un braccio, lui si sollevò un po’ e si risedette, poi si sollevò di nuovo e si sedette ancora. «Sto bene. Vai.» «Ho, sei sicuro?» «Sto bene. Vai.» «Devi dire addio a tua sorella. Coraggio…» «Sto bene. Vai.» «Questa è l’ultima volta che la vedrai. Ti prego, vieni con me a dirle addio.» «Sto bene. Vai.» Dopo, quando la bara di mamma fu calata nella fossa, zio Ho chiuse gli occhi stretti stretti e si portò una mano alla fronte. Vidi le lacrime rigargli le guance non rasate. Aveva il viso accartocciato come se qualcuno lo avesse costretto a mandar giù una pillola amara insieme alle altre medicine. Rimase così per una decina di minuti. Zio Ho fu l’unico a non salire sull’altare per l’ultimo saluto. Anch’io avrei preferito evitarlo, ma volevo essere coraggiosa per mamma. Dissi a Lai Ker di andare per primo, e lui si appoggiò a me per alzarsi. Emise un lamento, dichiarando che stava male e strofinandosi le tempie. Lo osservai raggiungere la bara camminando a zigzag. Quasi travolse il pastore, ma non si fermò a chiedergli scusa. Diede velocemente qualche colpetto alla bara, chinandosi su una corona che crollò a terra, facendo sussultare la folla. Nonna lo riportò a sedere, e Lai Ker mi mise la testa sulla spalla. Il suo alito puzzava di alcol. Avrei voluto sgridarlo per 14
avere fatto la figura dello stupido al funerale di mamma e di darsi una regolata. Avrei voluto dirgli che avevo bisogno che lui fosse forte. Avrei voluto dirgli che lui era tutto ciò che mi era rimasto. Ma il dolore si era mangiato tutte le mie parole. Mi costrinsi ad andare fino al feretro. Con un doloroso nodo allo stomaco e le gambe molli – al punto che credetti di svenire – cercai di concentrarmi su ogni passo, contando e ricontando da uno a dieci. Uno Due Tre Quattro Cinque Sei Sette Otto Nove Dieci Il cuore mi martellava nel petto, mentre intorno a me c’era un silenzio di tomba. Mamma era solita dirmi: «Ti vorrò bene per sempre… e anche per una settimana in più», in questo modo sapevo che mi avrebbe voluto bene per tutta la settimana, e non solo per un giorno. Ricordo di aver pensato: «Mamma non è qui, né oggi, né domani, né dopodomani. Se n’è andata per sempre». Quando posai la mano sulla bara, la vista mi si annebbiò e sentii il sapore delle lacrime sulle labbra. Diedi un colpetto alla cassa per l’ultima volta e le sussurrai addio. «Addio, mamma. Ti vorrò bene per sempre… e anche per una settimana in più.»
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