I fantasmi del Louvre a F.
PREFAZIONE
È come se al Louvre si respirassero fantasmi. In ogni angolo della galleria, in ogni dettaglio, ovunque si posi lo sguardo, dappertutto, dentro e sopra il pavimento, nelle rientranze dei muri, nell’aria che stagna sul soffitto... Uscendo dal museo, dal lato Rivoli o lungo la Senna, il visitatore si ritroverà a sputarne fuori i frammenti immagazzinati nei polmoni durante la visita, frammenti che poi ritornano al loro posto, come aspirati dal loro destino, testimoni immutabili incatenati al loro tempo. In questo libro ci sono ventidue fantasmi. Perché ventidue e non uno di più, o di meno? E, soprattutto, perché questi e non altri, tra i tanti altri possibili? Non so rispondere... Forse è perché questi ventidue si sono fatti notare, hanno voluto più degli altri, hanno sgomitato, si sono imposti diventando tutt’uno con la propria opera, il proprio spazio. L’ambizione esiste anche tra i fantasmi, si direbbe. Ho realizzato quasi quattrocento fotografie nei momenti in cui il museo era deserto, un privilegio raro. Quattrocento foto sono poche. C’è stata quindi già una selezione, inconsapevole, forse influenzata da “loro”. Alcune grandi opere fondamentali sono state scartate. Chissà, forse i loro fantasmi erano poco interessanti? O forse è colpa mia... In effetti qualche rimorso ce l’ho. E ogni volta che rimetterò piede in questo magnifico vivaio, in qualche modo seguirò le tracce di quelli che mancano qui.
Le foto scelte, leggermente desaturate, sono state stampate su tela. I fantasmi sono stati svelati ad acrilico ed enfatizzati a pastello. Le loro biografie, necessariamente tragiche, si innestano sulla verità storica, ma possono a volte allontanarsene, poiché la condizione di fantasma è per sua natura ingannevole.
Enki Bilal
ALOYISIAS ALEVRATOS
La Nike di Samotracia
ALOYISIAS ALEVRATOS Aloyisias Alevratos nasce a Pergamo, nella città bassa, in una bella giornata e in condizioni igieniche ideali per l’epoca, vale a dire nell’anno 241 avanti Cristo in persona. Il neonato muove continuamente le manine, cosa che preannuncia una vita votata alla manualità.
LA nike DI SAMOTRACIA Isola di Samotracia (isola dell’Egeo settentrionale), circa 190 a.C. Marmo grigio di Lartos per la nave, marmo di Paro per la statua, H. 3,28 m Missioni Ch. Champoiseau, 1863, 1879 Dipartimento delle Antichità greche, etrusche e romane, Ma 2369
Sotto il regno di Attalo I Sotere, il re “salvatore”, il piccolo Aloyisias cresce agitando continuamente le minuscole dita. La sua iperattività digitale non accenna ad arrestarsi. Aloyisias accumula in particolare piccole teste di animali, poi di umani, che realizza in argilla con sempre maggiore maestria.
Bravo a scuola, poco loquace, la sua passione si conferma. A sedici anni resta orfano di padre. È triste, ma continua a fabbricare le sue piccole teste, aggiungendo man mano busti, spalle, a volte braccia, una volta persino ali d’uccello (!). Finisce ovviamente in una delle numerose botteghe di scultura della città. All’inizio trasporta le pietre su carretti, provando così sulla pelle il duro apprendistato dell’arte scultoria. A ventidue anni entra a far parte del gruppo incaricato dell’ampliamento della biblioteca di Pergamo. Un lavoro colossale. Alla morte della madre, in una giornata di cielo sereno (all’epoca ha due anni in più), Aloyisias accetta di seguire colui che l’aveva formato nei grandi cantieri, un uomo chiamato Nicomaco. Le isole! Scopre per prima l’isola di Imbro, dove lavora blocchi di pietra sempre più grandi e dove conosce anche l’amore grazie a una romana dai capelli scuri, Aelia Paetina. La vita trascorre in famiglia (tre figli, i primi due nati perfettamente sani, l’ultimo meno...). Ma, anche con questo figlio malforme, la sua è in fondo una vita tranquilla. Il nuovo secolo, siamo nell’anno 200 (sempre prima di Cristo, ovviamente...), inizia in spensieratezza, pace, amore e fiori. La famiglia affronta la traversata fino a Samotracia, dove il lavoro abbonda. Nicomaco ottiene contratti per il suo pupillo. Il virtuosismo di Aloyisias Alevratos fa parlare di sé così come la sua prolificità (quattro nuovi figli, di cui tre sono femmine). La madre, sfinita, muore durante l’ultimo parto, lasciando prostrato l’infelice scultore...
Alla fine di quello stesso anno (190 a.C.) viene affidato alle botteghe di Samotracia un gigantesco progetto. Un monumento dedicato alla vittoria dei Grandi Dei dell’isola. Un abbozzo iniziale, raffigurante una donna alata (un omaggio di Aloyisias alla sua amata scomparsa), circola nel laboratorio principale. L’idea conquista tutti e viene mantenuta. L’idea della donna Vittoria viene adottata e adattata all’unanimità e Aloyisias viene incaricato di scolpire il corpo della creatura. Sarà realizzata in marmo bianco di Paro. Durante quei lunghi mesi, lo scultore vive una seconda storia con colei che ha amato, resuscitandola per l’eternità... È giorno di mercato, quella mattina d’autunno del 189 a.C. La temperatura è di 11 gradi, l’aria è mite. Aloyisias ha fretta. Viaggia a 46 km/h sul suo carretto a due cavalli, quando decide di tagliare per la foresta, considerata poco sicura. Viaggia veloce, dunque. Si accorge con il ritardo di una frazione di secondo della corda sottile tesa tra due alberi. Istintivamente si protegge il viso con la mano. Mano destra e testa vengono tranciate sul colpo. Resta ancora un venti per cento di lavoro da fare sul marmo per ottenere la Vittoria. Nicomaco, anche se ormai in là con gli anni, se ne occuperà, fedele all’allievo che l’aveva superato.
ANTONIO Di AQUILA
Ritratto di Lisa Gherardini moglie di Francesco Del Giocondo, detta Monna Lisa, la Gioconda Leonardo da Vinci
ANTONIO Di AQUILA Antonio di Aquila nasce nel 1475, nel cuore della notte di un mese che comincia per “L” e finisce per “O”, in una città il cui nome comincia con una “V” maiuscola e finisce con una “A”. Tutto si svolge normalmente, le misure del neonato sono nella norma.
LEONARDO DA VINCI Vinci, 1452 – Amboise 1519 Ritratto di Lisa Gherardini, moglie di Francesco Del Giocondo, detta Monna Lisa, la Gioconda Legno (pioppo), 77 x 53 cm Dipinto a Firenze tra il 1503 e il 1506 Acquisito da Francesco I nel 1518 Dipartimento di Pittura, INV. 779
Bambino irrequieto, adulato dai genitori, ricchi proprietari terrieri della zona di Vicenza (V...a), Antonio di Aquila sfoggia la sua boria fino al giorno in cui gli viene fatta notare la sua predisposizione per il disegno. All’epoca ha dieci anni. Nei cinque anni successivi, il giovane sembra trovare un equilibrio tra la passione per l’arte e la pratica del calcio fiorentino, una specie di antenato del calcio dalle divise fastose, che furoreggia nelle regioni del nord Italia (così come il suo corpo, al contatto con quello degli altri ragazzi). La sua sessualità trova qui la propria strada. All’inizio del 1490, una terribile disgrazia lo priva dei genitori, assassinati da alcuni briganti. Accolto da un amico di famiglia, il mercante di seta fiorentino Francesco Del Giocondo, Antonio si dedica anima e corpo allo studio del disegno e della pittura. Entra nella bottega di un rappresentante della scuola fiorentina che riscontra in lui un talento promettente. Nel 1501 Del Giocondo commissiona al giovane pittore il ritratto di sua moglie Lisa Maria. Sfida accettata, ma sconfitta cocente. Antonio sparisce per diversi mesi. Due anni dopo, il ricco mercante di seta incontra Leonardo da Vinci e gli affida ufficialmente l’incarico di realizzare il famoso ritratto della moglie. Leonardo si mette al lavoro, accompagnato dal giovane assistente, Salaì, ventitré anni, bello come un dio. Antonio, tornato indebolito, viene incaricato di organizzare le sedute di posa e lo studio. Salaì si innamora immediatamente. È un colpo di fulmine reciproco... Ma, soprattutto, un colpo di fulmine a tre. Leonardo da Vinci all’epoca ha cinquantuno anni. Antonio va per i ventinove, la giovinezza è ormai passata ma il suo viso spigoloso e il corpo atletico attirano gli sguardi del maestro, appassionato com’è noto di disegno e, ancor di più, di studi anatomici. Antonio di Aquila diventa così un po’ assistente (di Salaì), e molto modello (per Leonardo)... Il ritratto di Lisa Del Giocondo procede. Bisogna disegnarle ciglia e sopracciglia? La questione divide. Antonio vive sempre peggio la propria situazione. Ce l’ha con Leonardo.
È geloso del suo dominio su Salaì, delle notti che passano insieme, ma anche della sua arte inaccessibile. Sprofonda nell’alcool. Una mattina soleggiata della primavera del 1506, Leonardo e Salaì scoprono il corpo esanime di Antonio, immerso nel sangue, ai piedi della Gioconda ancora incompiuta. In quel momento non si accorgono che sono state aggiunte le fini sopracciglia che incorniciano lo sguardo, già quasi completo, di Monna Lisa. Antonio non muore. Viene curato all’ospedale Santa Maria degli Innocenti e poi spedito in un qualche manicomio. Alla fine dello stesso anno, Leonardo da Vinci prende come assistente (e nuovo compagno) il giovanissimo Francesco Melzi, di quindici anni. Salaì approva. Viaggiano a Parigi, poi in altri luoghi, portandosi sempre dietro la Gioconda ancora incompiuta. Nel corso di quegli anni Leonardo da Vinci ricomincia a frequentare le camere mortuarie e i retrobottega degli ospedali per perfezionare, grazie alla dissezione dei cadaveri, le proprie conoscenze anatomiche, e per ricavarne delle immagini utili a comprendere l’interno del corpo. Di ritorno a Firenze, il 13 aprile 1511, alle 23 e 58 esatte, Leonardo si china su un cadavere. Con un gesto sicuro incide il petto. Il sangue cola denso. Leonardo si ferma, colto da un dubbio. Solleva il telo che copre il viso del morto. Antonio di Aquila.