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L’Opera presentata da Vittorio Sgarbi

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“LA PACE” DI KIEV A FIRENZE

A cura di Carla Cavicchini

“Cara, tu dici che ami i fiori e gli tagli il gambo, cara tu dici che ami i pesci e te li mangi, cara quando dici che mi ami ho paura!” Il piacevole intermezzo lirico recitato da Vittorio Sgarbi - tenuto ben impresso in quanto di buon impatto ironico - lo ricorda proprio Sgarbi quando lo lesse nell’abitazione di Tonino Guerra a Sant’Arcangelo di Romagna, legandosi magnificamente al messaggio che vuole dare il noto critico d’arte a Firenze, nella Sala Leone X, mentre presenta “La pace di Kiev”.

Racconta il professore che l’iconografia della ‘Pace’ richiama ‘Nemesi’, la dea greca della ‘distribuzione della giustizia’, mentre il serpente sottostante ricorda le medaglie romane quale simbolo della guerra.

“Quanto alle scritte commemorative in latino, esse rappresentano il risultato di trattative tra il Canova e l’ambasciatore di Vienna. L’ipotesi iniziale di scrivere in lingua russa fu accantonata a favore dell’allor lingua franca, simbolo dell’unione tra le nazioni europee, rafforzando di conseguenza la comunicazione pacifica”.

Prosegue Sgarbi osservando che: “nel Museo Gypsotheca Antonio Canova di Possagno, è custodito il gesso della ‘Pace’ di cui la versione marmorea custodita a Kiev è attualmente nascosta, per evitare che venga danneggiata dai bombardamenti. Abbiamo voluto tuttavia far arrivare l’eccezionale esposizione in gesso nella città dantesca - sino al 18 settembre 2022 - al fine di permettere ai numerosi pellegrini d’osservare quello che non possono ammirare a Kiev a causa del conflitto bellico. L’opera fu concepita dal Canova nel 1811-1812, e realizzata nel 1815 per un committente russo, ma la malasorte lo fece spirare prima di vederla realizzata. La persona in merito è Nikolaj Petrovic Rumjancev (1754-1826), politico e diplomatico russo, menzionato anche da Lev Tolstoj in “Guerra e Pace.” Nikolaj nonostante la carriera militare alle spalle è pacifista, filofrancese, ammiratore di Napoleone, amante dell’Europa, nella quale viaggia dal 1774 al 1776, Italia compresa, studiando ed incontrando personalità illuminanti del calibro di Voltaire. Nel 1811 commissiona ad Antonio Canova un marmo bianco da collocare nel salone del suo palazzo di San Pietroburgo. Una scultura pensata per rendere omaggio ai trattati di pace che avevano posto fine a tre guerre e che la famiglia Rumjancev aveva contribuito a siglare. Dal 1808 al 1814 Nikolaj è ministro degli affari esteri sostenendo rapporti amichevoli col celeberrimo generale corso nonostante questi minacci la Russia e, una volta invasa, il politico russo viene colto da un ictus che gli compromette l’udito. Ammirazione di conseguenza pagata a caro prezzo. Venendo all’oggi, come Napoleone attaccò il territorio russo, Putin in questi momenti ha attaccato l’Ucraina, ed ecco pertanto l’attualità di tale opera, capace di racchiudere tutta una serie di intrighi formidabili, volti al passato nonché al presente. Tornando al Canova, egli scrive a “Quatremère de Quincy” nel 1812: “La statua della Pace si farà, vengane la guerra, essa non potrà impedirla. Ma io temo che alla pace generale non si farà statua per ora. Così si potesse farla, come io l’alzerei a mie spese”. Orbene, proprio quando il condottiero d’oltralpe incominciava a subire delle perdite, nel settembre del 1812, Canova lavorava alla scultura della ‘Pace’ concludendo nel 1816, l’opera. Alla morte di Rumjancev, la propria collezione viene donata allo Stato, costituendo nel 1831, il primo Museo pubblico russo, inizialmente a San Pietroburgo per essere poi trasferito

nel 1861 a Mosca. Ed ecco entrare in ballo Krusciov, di origini ucraine, Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica che, nel 1953, decide di trasferire l’opera canoviana a Kiev, precisamente al Museo nazionale Khanenko. Un’opera purtroppo quasi dimenticata, anche se l’Ucraina ne riscopre il grande valore poco meno di vent’anni fa, quando Irina Artemieva, conservatrice dell’arte veneta al Museo dell’Ermitage, ritrova un carteggio tra Antonio Canova e l’ambasciatore di Vienna, che aveva fatto da intermediario per la suddetta commissione. Conseguentemente, tale riscoperta ha consentito di ricostruire la storia nonché vicende varie legate alla realizzazione della scultura.” Quando vediamo opere umiliate e martoriate dai bombardamenti del ’17 tra cui i gessi del Canova - prosegue Sgarbi - restaurate grazie anche a mirati interventi tecnologici decisamente avanzati - scansioni digitali - indubbiamente tale visione suscita una malinconia infinita. Per cui è decisamente triste pensare a quanto sta accadendo, qualcosa contro le opere d’arte, oltre che contro le persone. La ‘Pace’ di Kiev è ora esposta a Firenze e qui temporaneamente attende tempi di pace. Canova, l’ultimo grande artista che ha chiuso l’arte dell’Occidente, ha unito tutto senza dividere. Parliamo di un grande conciliatore di ogni conflitto, di ogni differenza e, in nome della sua ‘Pace’, chiedo a voi d’invocarla tutti insieme affinché il mondo si salvi. Alla frase di Dostoevskij: “la bellezza salverà il mondo” non ho mai creduto fino in fondo. Non possiamo dire che la bellezza salvi il mondo se il mondo non salva la bellezza per amore dell’umanità e civiltà che l’arte testimonia.”

Mille ed ancor mille le domande poi poste al noto critico d’arte, durante le consuete interviste corali.

“Logico osservare che se vince Putin avrà tutta l’Ucraina distrutta… e che ci fai? Dal momento che devi rimetterla in piedi! E morirai inoltre mentre ricostruiscono! Ecco, diciamo allora che sarà un gran vantaggio per l’industria della ricostruzione! La distruzione è una insensatezza, inoltre questa diplomazia che è stata poco tentata - soprattutto da Biden - crea, effettivamente, una contrapposizione da cui sarà difficile uscirne. Questo l’ho fatto presente pure a Draghi, ed è significativo che il Papa con le sue posizioni così nette e precise in sintonia tra l’altro col pensiero di Macron, osservino tale orrore, operando oculatamente. Per ipotesi, se un missile ucraino abbate l’opera che vediamo, oppure un missile russo fa altrettanto… qual è il risultato? Che l’abbiamo distrutta, con conseguenze di perdita per l’umanità. Un concetto che vale anche per una persona: colui, colei, che muore, può morire da patriota ma muore! E nella morte non c’è mai vantaggio e nemmeno vittoria, solo sconfitta! In questo caso l’arte vince sulla guerra; è quello che abbiamo inteso per dire che l’arte ha in sé qualcosa che potrebbe allontanarci dal pensiero bellico. Quanto alla faccenda - come dicono - che Putin ama l’Italia… ma allora perché distrugge le opere artistiche? Non è che puoi amare una cosa e distruggerla, c’è qualcosa di feroce in questo! Quest’opera pervenuta da Possagno è qui per vederla, ammirarla, far discutere… viceversa, la guerra impedisce che l’arte si possa muovere. Pertanto occorre vincere la pace! E la ‘Pace di Kiev’ - in questa città - è un monito per i grandi del mondo, affinché non si consenta a nessuno di distruggere la bellezza e la vita. Bellezza e vita coincidono. Distruggere l’arte vuol dire distruggere la vita, e distruggere la vita significa togliere ad una nazione la sua identità materiale. Perdere la bellezza per la guerra è un orrore, l’arte deve uscirne vincente e questo è il senso della presenza qui della “Pace di Kiev”.

Parole pronunciate con grande enfasi, rimarcando che l’Unione Sovietica era Federazione di tutte le nazioni, Ucraina compresa; al seguito di Kruscev, Presidente ucraino, l’opera fu poi volontariamente spostata a Kiev significandone la scultura più importante della città, oggi protetta al fine d’evitarne la distruzione.

“Distruzione tra l’altro avvenuta anche da noi nel 1917, la stessa sorte subì il Museo di Possagno con molte opere abbattute. Ho pensato quindi che la ‘Pace’ di Kiev - giunta da San Pietroburgo a Kiev - sia quel ponte indicante che nelle catastrofi non ci stanno né vincitori né vinti, bensì solo sconfitte.”

Vittorio Sgarbi più tardi risponde alle nostre domande per Beesness quale il motivo della scelta fiorentina nel collocare tale gesso.

“Indubbiamente nella simbologia russa compare il Patrono di Bari, San Nicola, mentre Roma pur essendo la città del Canova è una capitale in cui spesso e volentieri tutto si annulla. Firenze, rappresenta l’arte a tutto tondo e quindi inevitabile ammirarla in tale contesto.”

A proposito di presenze russe, è giusto continuare impedire ai russi di venire nel nostro paese? Parliamo logicamente di artisti, intellettuali, sportivi vari ed altro ancora.

“Beh… ma cosa c’entrano loro! L’arte è individuale come le capacità sportive sono individuali! Lo sportivo vince col suo corpo, di conseguenza, la persona non può essere identificata con il governo del paese a cui appartiene. Ripeto, non farli venire in Italia è pura follia!

Fine dell’intervista, La zampata del leone ha colpito ancora. Nonostante astrologicamente appartenga alla costellazione del toro. Ma questa è un’altra storia.

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