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Rubrica Quadrante a cura di Mara Licia Frigo

/Franchising DA SMART WORKING A SMART DRESSING

Rubrica Quadrante a cura di Mara Licia Frigo

Vi ricordate i primi meme usciti durante il lockdown sulle video call? Gente vestita dalla vita in su, telecamere spente, gatti che propongo le terga ai partecipanti, bambini che corrono alle spalle e cani che abbaiano.

Insomma, un bel circo a tre piste. E lo dico come proprietaria di due felini che sono diventati le mascotte dell’azienda. Prima mi chiedono dove sono i gatti, poi mi salutano.

E con tanti studi e monitoraggi sul modo in cui si è modificato il nostro comportamento, le nostre aspettative, il nostro modo di gestire il tempo e l’ordine di priorità, ci siamo forse dimenticati di un ambito che prima la faceva da padrone: il dress code.

In questi due anni abbiamo ribaltato il nostro modo di vestire. Se prima la tuta e il comfort erano le classiche soluzioni domenicali, oggi le occasioni per uscire e sfoggiare l’ultimo acquisto si sono ridotte. Non perché le occasioni siano diminuite. Ormai siamo liberi di andare al bar, al ristorante, muoverci nei centri commerciali… insomma, non ci sono restrizioni esterne.

Ci sono però le nostre personalissime visioni. Che sono cambiate. Ieri, appena uscita dal parrucchiere, orario pausa pranzo, mi sono guardata intorno. In realtà ho alzato lo sguardo perché la mia visione periferica mi aveva allertato di una macchia bianca che si muoveva in mezzo a macchie scure. Potrei deliziarvi con la descrizione di quanto i miei coni e bastoncelli hanno registrato (ce l’ho ancora stampata sulla retina). Basti dire che non era esattamente una visione angelica o celestiale.

E per dissonanza ho cominciato a vedere le altre persone. Occhio e croce, nel tragitto, erano circa un centinaio. Chi camminava, chi seduto ai tavoli. E non ho visto 1 giacca. Nemmeno mezza, un panciotto, qualcosa di assimilabile. Anche le camice sembravano fiori nel deserto. Ne ho contate una decina. Per le cravatte mi sono rivolta a “chi l’ha visto?”. Il resto magliette, pantaloni comodi… e tutti con scarpe da ginnastica (o assimilabili).

Questo per la fauna maschile.

Quella femminile non era da meno. I pantaloni erano larghi e comodi, top e camicette dalle linee ariose. Gonne, tante e lunghe. Sandali o scarpe comode. Non ho visto ballerine, magari qualcuna mi è sfuggita.

Grandi assenti i gioielli. E non era nemmeno venerdì.

Eppure nella stessa zona, pre-covid, si potevano distinguere mandrie di giacche e cravatte, sia maschili che femminili, cura del dettaglio, scarpe aperte ma sempre con il tacco, una specie di uniformità che ti permetteva persino di attribuire ad ognuno di loro l’azienda di appartenenza. E il ruolo ricoperto.

Personalmente non ho mai avuto un dress code specifico. Sono sempre stata refrattaria perché, per me, l’abbigliamento non è indice di alcunché. Certo, premio il buongusto. E il sentirsi a proprio agio con ciò che si ha indosso.

In questo due anni la mia predilezione, in casa, è andata per il kimono (quello maschile, di cotone, comodissimo), seguito da magliette lunghe, pantaloni o pantaloncini della tuta a seconda della stagione. E lo sanno bene i ragazzi in azienda. Ormai il mio personale dress code per le call di allineamento avviene, d’inverno, con un fantastico maglione rosso, regalato – io non lo avrei mai comprato, odio il rosso - con su scritto merry xmas e con l’immancabile kimono d’estate.

Prima del covid, ad ogni cambio di stagione, compravo sempre qualcosa. Sono due anni che non compro più nulla.

No, aspetta, una cosa l’ho comprata: una maglietta. Non perché ne avessi bisogno ma perché mi rappresentava in modo esemplare.

E, se la sottoscritta, rappresentante medio del genere umano, non ha provato più quell’impulso, irrazionale e godereccio, di acquistare vestiti nuovi, forse anche altri si sono trovati, senza rendersene conto, senza fare una scelta consapevole, nella mia stessa situazione. Io sono in smart working definitivo, mi trovo bene e male allo stesso tempo, ma passo più tempo con i miei affetti (a due e 4 zampe).

Di vestiti ne ho. Ho circa due metri lineari di roba appesa e 4 cassetti di roba piegata. Roba… anche il linguaggio è inconsapevolmente cambiato. Tutti noi, di vestiti, ne abbiamo. Li usiamo in modo diverso.

Indipendentemente dal genere, sto vedendo una comodità di abbagliamento, che rispecchia una ricerca di stare bene con sé stessi. Non importa la situazione.

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