Elisa, Eleonora ed Annamaria della classe 5AS,
commentano...
Addio cultura umanista per i ragazzi non ha senso di MARCO LODOLI
Sto leggendo il giornale, sì, quello di carta, anche se non di rado mi ritrovo a “sfogliare” lo schermo del tablet, e leggo dello sfogo di una docente che dice: “Io non esisto più, sono diventata invisibile". Già, penso, capita anche fra i colleghi della mia scuola di scambiare simili considerazioni. Mi sento chiamata in causa, leggo velocemente il resto dell’articolo di Marco Lodoli e, un po’ incuriosita, decido di sottoporlo all’attenzione dei miei studenti; sono interessata a conoscere le loro riflessioni. Alcune di esse le trovate di seguito. Prof.ssa Maria Rita Bellomo
La Repubblica, 31/10/2012 Addio cultura umanista per i ragazzi non ha senso Noi insegnanti parliamo di autori e temi che ai giovani sembrano polverosi e malinconici. È come se l'oceano di passato che ha tenuto insieme generazioni non riuscisse ad arrivare al presente. Non è detto però che il disinteresse per la tradizione sia una pura sciagura. di MARCO LODOLI "IO NON ESISTO più, sono diventata invisibile", mi dice una professoressa con la voce spezzata e gli occhi umidi. "Entro in classe, comincio a spiegare e subito mi accorgo che nessuno mi ascolta. Nessuno, capisci? E così per giorni, mesi, forse per tutto l'anno. La mia voce non gli arriva, parlo e vedo le parole che si dissolvono nell'aria, e dopo un poco mi sembra che anch'io mi dissolvo, resta solo un senso di impotenza, di fallimento". Quante volte negli ultimi anni ho raccolto dai miei colleghi sfoghi di questo genere: professori di lettere, storia, filosofia, arte che si sono ben preparati per la loro lezione e che finiscono a parlare nel vuoto, come radioline lasciate accese in un angolo, e a poco a poco si scaricano, si spengono malinconicamente. Perché accade questo, perché sembrano saltati i ponti e le rive si allontanano sempre di più? A riguardo mi sono fatto un'idea. Finita, esaurita, muta, forse non proprio morta e sepolta ma di sicuro messa in cantina tra le cose che non servono più: la cultura umanista sembra aver concluso il suo ciclo, ai ragazzi non arriva più niente di tutto quel mondo che ha ospitato e educato generazioni e generazioni, che ha prodotto una visione del mondo complessa eppure sempre animata dalla speranza di poter spiegare tutto nel modo più chiaro, adeguato alla mente dell'uomo, alle sue domande, ai suoi timori. Finito, possiamo mettere una pietra sopra alla filosofia greca, alla potenza
e
all'atto,
alla
maieutica
e
all'iperuranio,
alla
letteratura latina, alla poesia italiana da Petrarca a Luzi, al pensiero cristiano e a quello rinascimentale, con le loro differenze e le loro vicinanze, ai poemi cavallereschi e agli PAGINA 3
angeli barocchi, all'idealismo tedesco e al simbolismo francese, a Chaplin e Bergman, Visconti e Fellini: è tutto precipitato giù per le scale buie della cantina, tutto scaraventato alla rinfusa nel deposito degli oggetti perduti. È chiaro che da qualche parte, in un eccellente liceo classico, esiste e resiste un ragazzo che legge Platone, scrive sonetti, suona il violino e studia la pittura di Raffaello, la vita per fortuna si diversifica per avanzare. Ma per la stragrande maggioranza dei ragazzi di oggi tutto il patrimonio culturale del nostro paese non significa più niente. È un universo in bianco e nero, malinconico, pensante e dunque pesante, polveroso come una parrucca. E non serve che gli adulti lo lucidino per farlo apparire più vivo: se brilla lo fa come una bara. È così, c'è poco da fare, l'oceano del passato non arriva più a lambire la spiaggia del presente. Anche Huckleberry Finn rifiuta la storia di Mosè e della manna nel deserto quando scopre che Mosè è morto da secoli, della gente morta un ragazzo non sa che farsene, dice Huck e forse ha ragione. Ma per la mia generazione, e quella di mio padre, e quella di mio nonno
-
e più indietro non vado
-
il passato non era un
tempo che svaniva insieme ai foglietti del calendario. Certi morti non erano mai morti. Fossero gli eroi greci o quelli del Risorgimento o Che Guevara, fosse Mozart o John Coltrane o Luigi Tenco, i grandi continuavano a vivere nell'immaginazione e nella riconoscenza dei ragazzi. Una catena d'acciaio o una ghirlanda di fiori univa il meglio al meglio, la bellezza alla speranza, la forza alla fiducia. Leggevo Dostoevskij e Tolstoj come se fossero dei fratelli maggiori, non li collocavo nel regno cupo dei morti, le loro parole erano vive, non sussurrate da un tempo lontanissimo fino a perdersi nell'incomprensibilità. E i quadri di Bellini e quelli di Morandi entravano a far parte dello stesso museo interiore, ogni giorno una nuova opera si sistemava su una parete vuota: e le pareti erano infinite, come le meraviglie del passato. Oggi i ragazzi non si voltano più indietro, gli prende subito la tristezza perché alle spalle avvertono solo un cimitero degli elefanti. La vita è adesso, qui e ora, e poi di nuovo qui e ora, e quello che è stato è stato, e tutte le chiacchiere dei vecchi PAGINA 4
sono fumo nel vento. Il presente si nutre di se stesso, digerisce se stesso e va avanti. L'arte, il pensiero, la letteratura dei secoli andati è lenta, è puro impedimento vitale, ruminamento in epoca di fast food. Naturalmente anche la politica esce con le ossa rotte dalla fabbrica delle nuove produzioni mentali e sentimentali: anche la politica è fumo nel vento. Questa è la stagione del desiderio, dell'onnipotenza tecnologica, dei corpi che vanno più veloci del pensiero, è la stagione del disprezzo verso ogni forma di misura, di armonia, di compostezza classica, di ragionamento lento e articolato. Sillogismi, rime, consonanze, prospettive, equilibri, riflessioni sulla miseria e la grandezza dell'uomo: via, giù tra le macchine da cucire e il cinema muto, tra i libri dei poeti e i fiori secchi. La cesura è netta, un taglio secco, del passato non si recupera quasi nulla, la cultura umanista finirà tutta quanta in una bella mostra a Roma o a Firenze, e ci sarà la fila per ammirare il cadavere mummificato: ma i ragazzi stanno tutti altrove, davanti a qualche schermo acceso, su qualche aereo che vola sul mondo, in un futuro che allegramente, superbamente, se ne frega di ciò che è stato e che non sarà mai più. Non è detto che questo dichiarato disinteresse per la tradizione sia una pura sciagura. Il mondo cambia di continuo, a volte lentamente, per passaggi quasi impercettibili, a volte in modo brusco, in una sola stagione, in un minuto. I nostri ragazzi leggono altri libri, ascoltano altra musica, amano e odiano in un altro modo, ragionano seguendo strade invisibili, e noi adulti non dobbiamo solo rimproverarli perché non conoscono Cechov o Debussy, Pasolini o Bob Dylan. Dobbiamo invece assolutamente capire dove stanno andando, perché ci salutano senza nemmeno voltarsi, perché non si fidano più della nostra cultura. Oggi loro sentono che la vita è altrove e la memoria non basta a reggere l'urto con le onde fragorose del mondo che sarà, che è già qui: serve energia, e quella non la trovi più nei cataloghi e nei musei.
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Risposta all’articolo: “Addio cultura umanistica-
per
i
ragazzi
non
ha
senso” “Il rifiuto per la letteratura”
lisa E a r o Dalla N
In un articolo del 31/10/2012, Marco Lodoli, noto professore e scrittore romano, nel
quotidiano
“La
Repubblica”,
ha
presentato la cultura umanistica con un “addio”. Il patrimonio letterario italiano sta a poco a poco svanendo dagli interessi dei giovani d’oggi, ma ciò non sempre è visto in modo negativo, così come sostiene Lodoli stesso. È vero, la gioventù sta mutando e continuerà a farlo. Si aprono dinnanzi ad essa nuove visioni riguardanti la vita, con i propri stili e le proprie aspirazioni. Non si ricercano più quei valori considerati preziosi dalle generazioni precedenti. Non si ha più un profondo interesse per la filosofia, per la letteratura classica o per la poesia, un tempo oggetto di grande passione e strumento ideale per comunicare a ogni persona i propri sentimenti o sventure che siano. Inoltre, non si coglie più quello spirito che l’autore tentava di trasmettere e non si viene più rapiti dalle peculiarità, forse anche bizzarre, legate al mondo classico. Tutto viene accantonato, quasi soffocato, da quella che oggi chiamiamo modernità. Nuova mentalità, nuove abitudini e nuovi interessi. C’è chi ancora cerca di recuperare e far emergere le antiche virtù, sperando in qualche modo di far riaffiorare il ricordo dei suoni melodiosi, ma allo stesso tempo cupi, delle espressioni di cui la letteratura va a comporsi, generando così una sorta di nostalgia per coloro che hanno già affrontato queste letture e una “clamorosa” scoperta per coloro che, invece, ne sono del tutto estranei. Sin da piccoli veniamo introdotti nel cosiddetto “mondo delle favole”, quello ricco di misteri, di personaggi fantastici e di missioni impossibili. Poi, man mano che cresciamo, veniamo accompagnati, passo dopo passo, verso un mondo più ampio e reale, sino ad arrivare ai classici di Pascoli, di Dante, di Zola e via dicendo. A questo punto, però, la vera e propria missione impossibile non viene più vista come, per esempio, la sconfitta di una leggendaria creatura, bensì come la capacità di affrontare questi grandi autori. I giovani non manifestano alcun PAGINA 6
interesse nei confronti di essi. È tutto troppo “antico” e noioso. Di fatto, si sente dire spesso: “Perché devo studiare la vita di persone che non ci sono più, pur sapendo che dopo un certo periodo non ricorderò nemmeno e che, tra l’altro, non mi servirà in futuro?”. Io stessa mi pongo questo quesito. Rifletto sul mio possibile avvenire e mi chiedo in quali occasioni potrò mai parlare di ciò che un noto autore ha fatto nel corso della sua vita o delle opere che ha realizzato. Non trovandovi la cosiddetta “utilità”, si passa direttamente alla monotonia. Ciò che prevale sono appunto la noia e il senso di inutilità, così come la grande diversità con cui vengono narrati i fatti. Quel linguaggio, con termini classici, appare talmente differente dal comune modo di parlare che quasi non rende possibile la comprensione di quanto si sta leggendo, perciò veniamo presi da un rifiuto in senso generale. Occorre
tener
presente,
però,
che
tale
rifiuto
non
riguarda
necessariamente tutti. Si sta facendo riferimento alla maggior parte dei giovani, ma non a tutti i giovani. Non dobbiamo lasciarci annichilire dalla affermazione perentoria di Marco Lodoli: “Per la maggioranza dei ragazzi di oggi tutto il patrimonio culturale del nostro paese non significa più niente”. La cultura umanista, soprattutto quella classica, è semplicemente trascurata, incompresa e rimpiazzata da altri generi, più inclini alle giovani personalità dei ragazzi di questi tempi. D’altra parte una cosa è certa, evidenziata pure dal giornalista Lodoli. Si guarda più al presente e al futuro, piuttosto che al passato. Quest’ultimo è sinonimo di antichità, di qualcosa che si è superato e concluso. Che senso ha, quindi, per i giovani, ripescare certe nozioni e tendenze che non hanno nulla a che vedere con loro stessi? Pare quasi come una fuga dal mondo antiquato visto con noia e una continua corsa verso il progresso, come se esso potesse dissolvere le rovine del passato. Tutto sta cambiando e non solo la mentalità. Concordo col fatto che ogni giorno ci sono nuovi generi musicali, nuovi libri, nuovi atteggiamenti e nuove direzioni verso determinati stili di vita. In linea generale il termine “giovani” oggi è inteso come evoluzione/ miglioramento. Ora come ora, la più parte del mondo giovanile è legata alla tecnologia piuttosto che al sapere classico, mentre un tempo la vera “tecnologia” era data proprio da un libro di letteratura. PAGINA 7
Commento l’ articolo
“Addio cultura
umanista, per i ragazzi non ha senso” Rileggendo l’articolo scritto da Marco Lodoli, pubblicato sul quotidiano “La Repubblica” il
Pasqual
ra i Eleono
31 ottobre 2012, l’immagine che viene tracciata dei giovani studenti italiani non è delle più rosee. La tesi sostenuta da Lodoli è che ai giorni nostri i giovani abbiano perso l’interesse nel conoscere ciò che appartiene al passato, ciò che fa di noi quello che siamo, in sostanza le radici della nostra cultura.
Da ragazza, e ancora di più da studentessa, mi trovo in parte in accordo con quello che afferma il professore e scrittore Lodoli. In effetti, anche frequentando miei coetanei, questo disinteresse verso lo studio e l’apprendimento del passato è abbastanza percepibile. Tranne qualche rara eccezione, la maggior parte delle persone che conosco non legge, per puro piacere personale, grandi classici come “La Coscienza di Zeno”, l’ “Iliade” o i “Malavoglia” e, anzi, vede queste storie come dei “mattoni” che l’insegnante di italiano o di altre materie obbliga a leggere. A parer mio, questa distanza che i ragazzi sentono con tutto ciò che riguarda il passato, e con la cultura umanista in particolare, è data da una serie di fattori diversi. Prima di tutto, la nuova generazione che mi vede coinvolta è figlia del progresso, dello sviluppo e delle innovazioni tecnologiche, e sono proprio queste ultime, forse, che tendono a mostrarci il passato come antiquato, superato e non più “utile”. In una società in cui l’ultimo modello di telefono uscito nel mercato diventa vecchio, tecnologicamente parlando, dopo tre mesi, in seguito all’uscita di un nuovo oggetto high-tech, pensare che i giovani possano entusiasmarsi e immedesimarsi nel protagonista di un romanzo classico diventa abbastanza difficile da immaginare. Le parole stampate su un libro, bisogna essere sinceri, non potranno mai competere con la strabiliante tecnologia degli ultimi anni. Va detto anche, però, che per quanto strabiliante un computer possa essere, non PAGINA 8
trasmetterà mai le emozioni che un bel libro può suscitare. I ragazzi di oggi hanno altri cantanti che li appassionano, altri poeti, altri libri che li emozionano e persino un altro modo di comunicare. Social network, internet praticamente sempre alla propria portata e telefoni ad alta tecnologia sono una lama a doppio taglio: se usati nel modo giusto possono essere strumenti utilissimi per la formazione, ma se vengono usati nel modo sbagliato non fanno altro che allontanare i ragazzi dalla realtà. Mi rendo conto che la cultura classica e umanista in genere siano importanti per noi, in quanto fondamenta di ciò che siamo, ma in un’epoca di incertezza e di crisi economica e di valori, è comprensibile come i giovani siano poco interessati a conoscere le opere letterarie del passato, o a studiare i quadri degli artisti del ‘500 e a guardare film muti e in bianco e nero, perché il loro pensiero costante è: “A cosa mi serve sapere certe cose per trovare lavoro? Conoscere la vita di Dante non mi farà portare a casa lo stipendio!”. È un momento storico che fa vivere alla giornata, che lascia noi giovani nel costante pensiero che il nostro futuro è un enorme punto di domanda su uno sfondo scuro, e poco importa che alcuni letterati ne abbiano già parlato in passato: sono persone vissute secoli fa e che non hanno più nulla da dirci. Bisogna quindi, a livello didattico, far capire ai ragazzi che dietro a queste opere ci sono in realtà diversi spunti di riflessione, e che, forse, sono anche più attuali che mai. L’animo umano è sempre invaso da inquietudini e turbamenti che possono essere la paura dell’ignoto o il domandarsi che cosa ne sarà del futuro; esattamente le stesse paure che oggi la fanno da padrone. Forse bisogna cambiare qualcosa nel modo in cui certe cose vengono spiegate: non solo soffermarsi sull’aspetto didattico, ma avvicinare i ragazzi alla comprensione della riflessione che sta dietro un’opera, con esempi della vita quotidiana e sentimenti in cui anch’essi possono ritrovarsi. Bisogna cercare di invogliare i ragazzi alla lettura, mostrandola non come un obbligo, perché alla fine si finisce per fargliela odiare. Oppure bisogna accettare che i giovani si stanno allontanando da ciò che gli adulti vogliono trasmettere loro, e cercare di comprendere il loro nuovo modo di vedere la vita, che, forse, riuscirà a trovare un punto
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d’incontro
con
la
cultura
umanista
tanto
snobbata
dalle
nuove
generazioni. Mi auguro solamente che la letteratura, con i suoi grandi esponenti, non si limiti a diventare uno strumento con il quale le persone mostrano la loro
“intelligenza”
copiando
citazioni
sul
proprio
profilo
facebook,
altrimenti sì che potremo dire di aver davvero ucciso la cultura!
PREGIUDIZI: IO PROPRIO NON CI STO! Articolo di risposta a "Addio cultura umanista, per i ragazzi non ha senso" di Marco Lodoli
aria m a n n A Varsori
Leggendo l'articolo
del professor Lodoli,
apparso il 31 ottobre 2012 nel quotidiano “La Repubblica”, in cui la gioventù moderna è descritta come una massa uniforme di giovani freddi ad ogni forma di cultura, mi sono sentita presa in giro. Lodoli riporta la testimonianza
di
alcuni
colleghi
che
si
lamentano del disinteresse dei propri alunni verso le materie umanistiche, ma - mi chiedo – qualcuno ha interpellato gli alunni? Ammesso e non concesso che la maggior parte dei giovani davvero non si interessi più dell'arte nei musei, nelle cattedrali e nelle teche, e pensi solo al divertimento e alla modernità, trovo ingiusto generalizzare. A mio parere, bisogna educare alla cultura sin da piccoli. Io posso portare la mia esperienza personale, e di certo, se io queste “cose da museo” le amo moltissimo è grazie alla mia famiglia. Fin dalla più tenera età sono cresciuta circondata dai libri che sfogliavo instancabile e bramosa di imparare a leggere. Ho iniziato ad amare l'arte guardando mia madre dipingere, ho ammirato la grazia di mia sorella al pianoforte quando mi suonava “Sangue Viennese” di Strauss. Ma il mio è un caso particolare. Ricordo vividamente quando, ai tempi delle scuole elementari, la maestra chiedeva quanti libri avevamo in casa, e c'era chi rispondeva cinque o sei.
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È dunque davvero colpa della nostra generazione se la cultura umanista viene abbandonata? O l'amore per la cultura era già andato perso tempo fa? Perché oltre ad acculturare i giovani non proviamo a farlo anche con i “vecchi”? Perché attraverso i nuovi mezzi di comunicazione non facciamo capire alle persone che andare a teatro è mille volte più emozionante che andare al cinema? Che un libro è il regalo più bello? Perché non facciamo innamorare i bambini dei musei creandone di interattivi? I bambini hanno fame di cultura e sono portatori di un’immensa curiosità. Ciò che bisogna domandarsi è perché questa curiosità si spegne davanti ad una televisione (90% spazzatura). Non dico che il professor Lodoli si sbagli, perché raramente trovo un amico disposto ad accompagnarmi ad una mostra, eppure qualcuno l’ho convinto e ho fatto risvegliare in lui la sua curiosità primordiale. Conosco tantissime persone che piuttosto di andare in discoteca verrebbero con me ad un concerto, persone con le quali mi confronto entusiasta dopo le ore di filosofia, persone con le quali scambio libri, cd, disegni, poesie e pensieri. Bisogna andare più in fondo della semplice evidenza, perché ho il sospetto che questa teoria del disinteresse giovanile sia solo un pregiudizio. Quando una persona ama la cultura si vede e, volente o nolente, è un amore contagioso. APPELLO
A
TUTTI
GLI
INSEGNANTI
RESSEGNATI:
mettete passione in ciò che date, perché noi studenti la percepiamo e si accende una fiammella nell'animo che può solamente crescere mano a mano che la alimentiamo. Dylan una volta ha detto che l'arte è semplice come respirare. Ma forse Dylan non dovrei conoscerlo, giusto?
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Istituto “Marco Belli� di Portogruaro (VE) Anno scolastico 2012-2013