Nonno Raccontami...

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Presentazione Il testo presenta il frutto del lavoro di ricerca che gli studenti della classe 3AE del Liceo delle Scienze Umane opzione Economico-sociale hanno condotto durante l’anno scolastico 2014-2015 come attività di stage. La ricerca ha messo in atto le seguenti fasi:  Individuazione delle difficoltà fisiche e psicologiche dell'anziano.  Individuazione delle forme di assistenza.  Scelta dello strumento di indagine appropriato.  Definizione del questionario d’intervista.  Raccolta ed elaborazioni dati. Nota La trascrizione delle interviste è stata fedele alla registrazione vocale. Certamente, in relazione al dialetto parlato, contiene delle imprecisioni nella grafia.

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FRAGILITÀ DELL’ANZIANO FRAGILITÀ: condizione per la quale un anziano è incapace di svolgere, in maniera autonoma, le attività di base della vita quotidiana da solo o con l’aiuto di mezzi o strumenti. Fretwell: 1. La fragilità non coincide con la disabilità; un anziano fragile non è per sua natura disabile, ma rischia di diventarlo, se non adeguatamente curato. 2. La fragilità è così una sindrome clinica che se trattata nel giusto modo può essere anche reversibile, mentre se trascurata, può portare alla perdita completa dell’autonomia. Fried: ➢

Alcuni elementi fisici e psicologici che identificano un anziano come fragili sono cinque: ▪ la perdita di peso ▪ la debolezza ▪ la lentezza ▪ il basso livello di attività ▪ la spossatezza

Alzheimer ➢ è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età presenile ➢ è una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo. CAUSE: Associate alle cellule cerebrali, ma non è nota la causa prima di tale degenerazione Morbo di Parkinson La malattia di Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più comune dopo la malattia di Alzheimer, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell'equilibrio. CAUSE: Le cause non sono ancora note. I fattori principali sono genetici, tossici ed esposizione lavorativa. Demenza senile È una malattia progressiva ed è un disturbo generalizzato delle funzioni intellettive che colpisce principalmente gli anziani.

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FORME DI ASSISTENZA ASSISTENTI SOCIALI Nei vari ordinamenti giuridici statali, sono professionisti che agendo secondo i principi, le competenze ed i metodi specifici della professione, svolgono la propria attività nell'ambito del sistema organizzato delle risorse sociali, i cosiddetti servizi sociali. WELFERE STATE Complesso di politiche pubbliche di uno Stato per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini, modificando la distribuzione dei redditi. Comprende pertanto il complesso di politiche pubbliche dirette a migliorare le condizioni di vita dei cittadini. L’espressione “Stato del benessere” è tradotta in italiano come Stato assistenziale o Stato sociale. ➢

Paesi scandinavi: danno prestazioni di generoso importo nel momento del bisogno lo stato ne è responsabile Paesi anglosassoni: copertura universale per la sanità somme fisse di denaro provenienti dalle tasse l’amministrazione ne è responsabile Europa centrale: copertura selettiva prestazioni sanitarie legate al reddito viene finanziato dai contributi sociali Europa meridionale: eleggibilità del servizio sanitario prestazioni finanziate dai contributi

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Gli studenti del liceo socio-economico adottano come metodo di ricerca un'attività che permette di raccogliere dati per costruire una statistica relativa all'incidenza dei vari fenomeni sulla società.

METODOLOGIA DELLA RICERCA La metodologia è la disciplina che studia l'evoluzione del lavoro di ricerca sulla base del metodo scientifico, e per questo permette a materie come la sociologia, la psicologia, l'antropologia di essere scienze umane. Strumenti per una ricerca sono: l'intervista e il questionario. CHE COS’È UN’INTERVISTA SEMI-STRUTTURATA? Si intende un'intervista con una parte determinata dall'intervistatore e una parte libera da parte dell'intervistato Questa tipologia di intervista fa in modo che l’intervistato interagisca attivamente con l’intervistatore. LA NOSTRA INTERVISTA SEMI-STRUTTURATA DOMANDE FISSE POSTE AGLI INTERVISTATI: 1. Come si chiama? 2. Posso darle del tu? 3. Quanti anni ha? 4. È sposato/a? 5. Ha figli? 6. Vive da solo/a? 7. Che lavoro ha svolto? TEMI PROPOSTI AGLI INTERVISTATI A LIBERA SCELTA 1. Famiglia 2. Lavoro 3. Guerra 4. Avvenimenti accaduti 5. Vita quotidiana Persone intervistate 10 Target d’età: 75 a 95 anni TEMI

NU. PERSONE

PERCENTUALE

GUERRA

1

10.%

FAMIGLIA

4

40.%

VITA QUOTIDIANA

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20.%

LAVORO

3

30.%

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TEMA RACCONTI 4,5 4 3,5 3 2,5 NU. PERSONE 2 1,5 1 0,5 0 GUERRA

FAMIGLIA

VITA QUOTIDIANA

TEMA RACCONTI

GUERRA 10% LAVORO 30%

FAMIGLIA 40%

VITA QUOTIDIANA 20%

GUERRA

FAMIGLIA

VITA QUOTIDIANA

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LAVORO

LAVORO


INTERVISTA N. 1 Nome: MARGHERITA Età: 92 anni “Come si chiama?” “Margherita” “Quanti anni ha?” “Ho 92 anni” “Ha figli?” “Si, ho quattro figli e sono bisnonna di quattro nipoti” “Vuole parlarci di qualche ricordo in particolare?” “Mio fratello è stato portato nel deserto ed è stato prigioniero per tre anni e poi quando è tornato a casa ha preso in gestione un’azienda di bibite insieme a mio marito che ho sposato quando avevo trentuno anni. Inizialmente usavamo un camioncino usato e andavamo in giro per le osterie e dopo aver raggiunto una discreta clientela, trovammo i soldi per aprire un deposito. Siamo venuti ad abitare qua a Portogruaro e piano piano la clientela ha iniziato ad allargarsi e abbiamo assunto alcuni operai. In seguito mio figlio si è sposato e io all’età di 75 anni sono andata in pensione. Essendo nata ad Aviano spesso tornavo lì a trovare i miei genitori e i miei nonni. I miei parenti hanno avuto una vita longeva, mia mamma è morta all’età di 101 anni, mio zio all’età di 103 anni e mia nonna all’età di 90 anni. Sono state delle persone molto umili e lavoravano molto per ottenere il necessario per sopravvivere. Mio papà ha ottenuto con sacrifici molti diplomi per l’agricoltura. Mio fratello ha avuto bambini dopo 19 anni di matrimonio, è andato da Padre Pio e ha detto che desiderava molto avere figli, e gli fu detto di avere fede, tanto che in breve tempo ebbe ben tre figli.” “Lei ha accennato al fatto che suo fratello è stato confinato nel deserto, quando esattamente?” “Durante la seconda guerra mondiale. La guerra era il momento dei partigiani, passavano spesso le squadriglie tedesche. Le persone avevano paura, ma noi eravamo in un posto in campagna molto tranquillo e le persone preferivano stare nel loro. La sede dei partigiani era al Brandolini ad Oderzo. Sono morti molti ragazzi; di notte avevamo tutti molta paura perché c’erano spesso scontri aerei tra tedeschi, partigiani e fascisti. Nel dopo guerra un personaggio importante che ricordo era De Gasperi che era una persona molto onesta, ed era un democristiano. “

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INTERVISTA N.2 Nome: FRANCA Età: 85 anni “Come si chiama?” “Franca” “Quanti anni ha?” “Ho 85 anni” “Ha figli?” “Ho quattro figli e diciotto nipoti” “Di cosa vuole parlare?” “Parlo di mio marito. Mio marito è il terzo di otto fratelli e ha lavorato per 30 anni in una miniera in Belgio a 900 metri di profondità. Era un marinaio e queste sono tutte le benemerenze al cavaliere e qua è tutta la sua storia. Quest’anno ha fatto 91 anni, è nato il giorno di Natale, e abbiamo fatto una grande festa … guardate non sono bugie, queste sono le prove. L’ho conosciuto a 16 anni al cinema e siamo sposati da 70 anni, mio marito è uno dei pochi minatori ancora in vita perché non ha contratto la silicosi grazie al fatto che beveva tanto latte e mangiava bene. Ora è in casa di riposo a San Michele, perché non riesco a stargli dietro per il fatto che non ho abbastanza forze ma non vedo l’ora che lo spostino a Portogruaro.” “E la sua vita?” “Sono partita per il Belgio nel ‘52 però prima è partito mio marito nel gennaio del ’52, e siamo tornati il 5 dicembre dell’83. Avevo già un figlio di un anno ed ero incinta di un altro, è nato e dopo 4 anni ne sono nati altri due ma uno è morto dopo 8 giorni che è partito mio marito. Quando si partiva non era come adesso... bisognava fare la visita medica. Avevamo fatto la visita io e i miei figli e se eri malata non ti accettavano. Sono andata a Milano, accompagnata da mia suocera perché avevo il bambino piccolo e dovevo allattarlo, con il treno di legno ci ho messo due giorni per arrivare in Belgio perché non era diretto. All’arrivo eravamo già catalogati in base alla provenienza. Mio cognato era in Belgio perché aveva sposato una fiamminga e ci ha fatto avere una casa. Sono stata fortunata perché avrei dovuto stare nelle baracche dove alloggiavano gli immigrati per sei o sette anni. Appena arrivata non sapevo parlare il fiammingo perché era una lingua difficile, un misto tra inglese e tedesco. Ho conosciuto tante culture del mondo: vivevo accanto a una donna turca che doveva servire la famiglia del marito, faceva il couscous con la carne di agnello in una grande piastra e la vedevo sempre quando andava a pregare in moschea con in mano il Corano, un libro grosso; gli spagnoli ad esempio non cucinavano tanto, anzi mettevano i fiori sopra il fornello, e

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mangiavano soprattutto panini. In Belgio si mangiavano patate tutti i giorni e pancetta arrotolata o a pezzi e io preparavo a mio marito le tartine per portarle al lavoro. In casa parlavamo il dialetto veneto, ma i miei figli parlavano bene il fiammingo.”

INTERVISTA N. 3 Nome: MARCELLA Età: 86 anni “come si chiama?” “Mi chiamo Marcella” “Quanti anni ha?” “Ho 86 anni” “Ha figli?” Io sono nata in campagna sono una contadina. Sorella di nove fratelli la più vecchia ero io. A cinque anni ero una donna, a dieci una donna, a quindici una donna, le altre sorelle erano sempre le piccole. Hanno cominciato presto, ne nasceva uno all'anno. Io ero qua anche con la guerra. “Ha piacere di parlare della guerra?” No, no, no. Io ho fatto per dirvi potete farmi qualsiasi domanda. A 86 anni ne avrò passate sia di cotte che di crude solo che a una certa età si dimentica, ad ogni modo per quel che posso vi aiuto e vi dico. “Che lavoro faceva da giovane?” Sempre contadina, finché mi sono sposata. Non so se vi interessa a partire sotto di questo, io ve lo dico, poi, allora noi eravamo bambine io sono andata a scuola fino alla “tersa” elementare; il mio nonno portava di tutto alla maestra perché mi “facessi” promossa perché dovevo andare nei campi col nonno perché gli uomini erano in guerra, e avevamo 100 campi di terra e il nonno con tutti “sti” bambini lavorava, questa è stata la mia vita. Sono sposata, ed ho sposato un contadino. mi piace lavorare la terra, tuttora ho un orto e i miei figli l'hanno su con me perché dicono: “Come puoi tenere tutti quei fiori e tutta sta roba!”. Però ho una ragazza qua che mi aiutava a coltivare i fiori, le piace, perché altrimenti come potrei io da sola. Mi piaceva cucinare, anche da bambina e le zie, che erano tre cognate, cucinavano un giorno par omo e prendevano una ragazza come aiuto perché eravamo in venticinque. A me piaceva e tuttora mi piace, ancora con le stampelle con quel che sono se posso far ancora qualcosa di speciale. “Ha una ricetta?”

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Sono andata via con le colonie come cuoca a far da mangiare come volontaria. Se vi interessa una ricetta, ve la posso dare però adesso io ne ho di ricette perché i miei figli cucino ancora, ho cucinato due lepri l'altro giorno perché io ho un figlio carabiniere, e sarebbe come si dice qua a Latisana comandante insomma lì della caserma di Latisana. E hanno sempre cene e robe, però come che cucina, lui va a caccia e porta tutto dalla mamma ma com'è che cucina la sua mamma Marcella non lo sa fare nessuno. “Preferisce cucinare dolci oppure cose salate?” No, mi piace cucinare anche i dolci, io facevo dolci di tutti i tipi. Questa stufa qua, va a legna e ha un fornetto e non passava giorno che non dovevo mettere dentro qualcosa, ma con quella dei dolci ho lasciato un po’ andare perché sono diabetica. Ho appena cucinato una lepre, care mie! Sapete che io a Natale “ce ne ho fin qua” di amiche che devono cucinare il tacchino e la lepre e io dissi loro che glielo avevo già detto ma loro dicono che non se lo ricordano, se voi volete qualcosa che vi sembra importante di qualsiasi tipo da cucinare io ve lo dico: vi do una ricetta di quelle del coniglio, è un segreto mio. Alle mie amiche io l'ho dato, che non è possibile che lo cucinano come che lo cucino io. La mia nuora l'ho fatta venire qua e, come che vi ho detto prima, insieme a mio figlio è invitata a delle cene, però dove che vanno a cena, loro hanno sempre mal di pancia, mal di stomaco, perché non gli va il mangiare; loro non lo buttano, perciò lo portano a casa per mangiarlo il giorno dopo. Allora cosa fanno? portano qua, io li metto sotto il lavandino, perché i miei figli gli ho trattati come hanno trattato me, e li cucino benon con tutte le verdure ecco. Perché i miei figli, va ben, trattarli come trattavano me, e così che va il mondo. Ma vedi, mio marito non accettava la verità, le robe, i giovani. Mio marito con i figli non ndava d'accordo, no non andava d’accordo perché non gli piacevano quelle cose, anche se per me andava bene quello che dicevano loro; più che altro ho sei nipoti, sono tutti in ufficio: li non si fuma, non si drogano, non si beve un goccio di vino, tutti dritti. I miei figli sono da cinquant’anni che fanno lo stesso lavoro però, come mamma, diciamo, li ho lasciati in pace, non mi hanno mai dato dispiaceri. I nipoti la stessa cosa. I nipoti sono già sistemati e fanno un bel lavoro: uno lavora in banca e l'altro lavora con l'estetica. Un giorno gli avevo chiesto se mi avrebbe fatta un po’ bella, dato che dovevo andare a trovar suo nonno in cimitero e lui lo ha fatto, sì voglio dire, quello li ha una bella clientela, quell'altro in banca e l'ultimo ha finito di studiare da ragioniere e dice “Ben, adesso chissà quando che troverò lavoro “. Io quando sono uscita dall’ospedale a luglio dell'anno scorso avevo fatto un'operazione e non avrei potuto più camminare ma la mia grinta mi fa camminare con lui (indica il girello). Speravo mio nipote mi dicesse “Non preoccuparti nonna io ho finito di studiare ti porto a casa” ma ha trovato lavoro subito e si è sistemato con sua mamma. È da sessant’anni che abito qua, come i miei vicini di casa e i miei figli, quando abitavano qui, dicevano a tutte “Buongiorno signora”. Alla signora Palmira ed alla signora

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Antonietta davano del lei ma a me nessuno dava del lei. I ragazzi che avevano confidenza a me e avevano un segretino, una roba, venivano da me e non dalla loro mamma, anche se io li sgridavo quando se lo meritavano. Io ho fatto una vita povera, tranquilla ma felice, finché ho perso mio marito che mi ha lasciata sola e mi adorava. Adesso, nelle mie condizioni, ho avuto ventuno interventi e son stata ventuno volte in sala operazioni perciò ne ho avute abbastanza. Mio marito mi trattava come una bambola “non toccar li non toccar qui” e invece ora mi tocca toccar tutto. Però guarda, anche nel nostro povero, eravamo invidiati: andavamo in spiaggia la domenica, ci mettevamo a cena alla contadina, ma eravamo felici anche senza niente. Adesso invece hanno tutto e non vedo la felicità. Noi siamo sei sorelle, adesso non ci troviamo più, ma una volta ci trovavamo sempre e i nostri figli ridevano quando ci ascoltavano perché dicevano “ma guarda con cosa erano felici”, ecco bambine questa è stata la mia vita. Tre quarti è morta tra male e solitudine e adesso non è più niente però, Dio, qualcosa me lo ricordo ancora. Mi ricordo anche quella dei morosi. ‘Na volta non era come adesso: adesso vedo con il moroso andate dove volete, avete la vostra libertà, vero? Allora si era in campagna, si usciva, la domenica si andava a messa si, si usava andare al cinema, però per andarci, dovevi portare via almeno tre o quattro fratelli che allora quelli spiavano tutto; non uscivi mica di casa sai, se non eri accompagnata da un bambino, non da uno grande perché quelli, dicevano i genitori, sono furbi, si aiutano a vicenda, invece i bambini facevano la spia: eppure noi eravamo felici e contenti perché andava bene così. Quando che io me son messa seriamente avevo 16 anni e lui 19, era un contadino anche lui, lavoravamo insieme nei campi quando c’erano i lavori grandi, gli altri non sapevano che stavamo insieme perché eravamo entrambi li a lavorare e non si doveva fare vedere niente. Il ragazzo doveva venire il mercoledì e la domenica e basta, non era permesso uscire gli altri giorni. Ma noi furbetti, facevamo un chilometro di strada per andare a prendere l'acqua coi secchi, e allora a casa la buttavamo via e la usavamo come scusa per uscire di nuovo. Alla sera eravamo stanchi, non sempre lo si faceva perché avevamo lavorato tutto il giorno, ci si divertiva con le nostre famiglie. Il divertimento nostro sai qual'era? Adesso vi faccio ridere davvero eheh! caspita la televisione non c'era, il computer non c'era, al cinema si andava e si vedeva che ballavano, e ci era venuta voglia anche a noi di ballare quindi facevamo teatro a casa. Aspettavamo che gli uomini andassero a dormire, ci mettevamo un reggipetto, salivamo sul tavolo e mentre ballavamo vedevamo l'ombra con la luce, te vedevi l'ombra dal muro, e si rideva. Una sera era venuto giù mio zio perché aveva sentito tutto sto casino e ci ha chiesto “non siete stanche?” Domani vi metto sotto io, cos'è sto casino! Quando ci ha viste tutte così è sparito perché una volta non ci si faceva vedere davanti ai genitori in mutandine o in reggiseno. Ah che bello che era veder sto muro con le ombre e si faceva il teatro. Quando eravamo stanche andavamo su a dormire.

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“E cantavate anche mentre facevate…?” Se se anche... Perché... ‘Na volta facevano le canzoni, proprio io non so, tante anche inventate. Per esempio, ti ho detto, a casa mia quando avevo 17 anni, ero la più grande ed eravamo tutti misti: bambini, bambine e cugini. Invece a casa di mio marito erano 7 fratelli, con una sorella sola, e dopo gli altri erano non vivaci, ragassi di campagna e inventavano anche le cansoni, voi credete poco belle? Se le inventavano, le sentivamo, da casa nostra, le si imparava. Noi con una nostra canzone, sai che tante volte, quando son qua sola che mi par di vedermi la sul muro, l'ombra, bene abbiamo combinate tante, però tutte robe pulite. Care mie, mi son messa a 16 anni con sto ragasso. “E suo marito è stato l'unico ragazzo?” Elora, ben, alla domenica si andava a messa, da li si andava a Concordia, lì era bastanzetta stradina asfaltata. Però andavamo anche al vespero per pregar, col prete; i ragassi, quelli di Giussago, venivano ad accompagnarci e fasevamo un casin per la strada, e noi tutte felici di quei giorni, per tutta la settimana avevamo da raccontarci queste cose. Si si, mentre gavevo il me ragasso che veniva a casa, e anche dopo, ne avevo tanti volendo per cambiare, ma è andata così e son sta 4 anni insieme allo stesso e da 20 anni che me son sposata e andata dalla sua famiglia, mentre là a casa mia erano tutti bambini, dove che so n'data erano tutti omeni, tutta gente grande, erano pochi i figli. Però mi hanno accettato, loro mi conoscevano, si lavorava insieme, ma loro sapevano che noi eravamo delle ragazze serie, lavoratrici. Loro avevano due ragazze, ma quelle non andavano sui campi come noi, solo gli uomini. Loro mi hanno accolta nella casa, mi hanno voluto tanto tanto bene.. ehhhh… niente care, questa è stata la vita. Siamo stati lì due anni, quando il bambino aveva 3 anni siamo venuti a vivere per conto nostro, dopo ci siamo fatti la casa e poi sono iniziati i problemi, perché debiti, stipendio e quelle bollette.. non c'era gas, frigo, non c'era riscaldamento. Non era niente: ti adattavi così, con una stufetta, un po’ di legna da metter su. Dopo i bambini vanno all'asilo, da mamma prendi le umiliazioni, che una volta non è come adesso, che vengono qua, che trovano tutti i macchinari: lavare sul mastello con la spassola, mastele de legno, per lavare la roba sporca, perché si cambiavano una volta a settimana. Io sono andata in diversi posti, io ho cambiato lavoro perché quando il bambino si ammalava ero costretta a stare a casa, e dopo ti tocca cambiare, ma lavoravo con amore, sapevo farlo e tutti mi hanno voluto bene. E andavi la mattinata in due bar, uno qua e un in piassa: prima si apriva e puliva il bar, dopo andavamo sopra che si cominciava con le camere, e venivano su sti omeni che diseva “vien qua vien a bere il caffè” “No no l’ho già bevuto” e dicevano “Vieni, vieni”, così è una soddisfazione, che andavi a russare (pulire). Poi è cominciata la vita, un po' più dura, tante volte venivi a

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casa e il bambino una volta aveva mal di denti, una volta mal le orecchie. Si, insomma, era già diverso, ma comunque ce la siamo sempre cavata bene. Dopo 7 anni mi è nato il secondo figlio e ho continuato lo stesso, non posso dirvi che vita povera che ho fatto, che dispiaceri, siamo 9 fratelli tutti ancora qua al mondo; il papà e la mamma son morti, ma sarie stati più di 100 anni. Adesso si parla solo di malattia, e noi non abbiamo avuto problemi. “Ha sempre avuto un bel rapporto con i suoi fratelli?” Si anche con la gente di qui, mai spettegolessi. Io soffro tanto la solituddine, sono sola, i miei figli vanno in giro anche la domenica, che è lunga da sola, ma a me non mi frega: io ho la messa, il rosario, due telenovelle. Quando andavamo a messa avevamo sempre il vestitino con le mutandine e quando si andava a messa bisognava indossarlo e quando si tornava, si piegava, e si metteva via sul cassetto. Dopo la guerra, alla mattina ci si alzava sempre presto: si faceva un pentolone di latte, la polenta; si veniva giù (non c'erano le tasse), quindi ognuno si prendeva un piatto, si faceva lì la colasione: non era la brioche o la banana, era niente, dopo si andava dietro il nostro destino, tra i campi a camminar; a pranso a mesogiorno no avemo mai patit la fame: polenta, patate e fagioli, quelli in abbondansa, lì si coltivava su 100 campi di terra però. Non ci mancava neanche la carne, perché noi tenevamo tante bestie: c'era da dargli da mangiare, andar al pascolo. Se gera anca un tacchin o un coniglio da dar da mangiare a tutti noi si mangiava solo un pessetin, a noi non mancava la carne ma era solo un pessettin se lo faceva arrosto, ma in umido con quel bel sughetto e tanta di quella polenta. Quando mi sono sposata eravamo in 26, non si stava in tavola: qua c’erano gli omeni con tutta la tovaia bianca, perché erano più rispettati na volta, un altro pesso di tavola era per la mamma col bambino piccolo che doveva darghe da magnar, e noi seduti intorno dove capitava: per esempio qua c’erano tre scalini, sempre in cucina, e dopo c’era la porta che andava su per le scale e altrimenti c'erano le panche. Ma che forchetta?! con le mani, se puliva il tocetto con la man, ‘na volta, perché anche io ho cambiato quelle abitudini lì, ora non lo faccio più. Dopo essermi sposata, nella famiglia di mio marito, mi trattavano tutti bene, io ero la sposa, seduta vicino l'uomo e mi interrogavano. Mi ero fatta tanti amici e mi pagavano le ombrette; a quel tempo le donne portavano uno scialle nero sulle spalle e gli uomini una grande mantella nera. Mio suocero era un ceco di guerra e ogni mese andava a ritirare la pensione, quando si metteva a tavola iniziava a contar del contadino a un selmo e ai suoi figli dava fastidio, perché glie lo raccontava da anni; per me era una roba nuova e mi divertivo perché tanti co son bevuti son cattivi e lu era così dolce e me diseva “Vien qua! D******* se solo la D****** che me scolta!” e mi divertivo lì in parte.

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“Ma se in una famiglia c'erano pochi soldi, e una mamma aveva anche 9 figli, come poteva fare ad andare avanti?” In campagna c'era di tutto, alla domenica c'era anche un po di carne di manzo per il brodo che era di tradizione la domenica, mentre durante la settimana fagioli e patate. Poi c'era la tradizione del tacchino a natale, non veniva la quaresima senza fare tutti i venerdì pesce, non veniva Pasqua se non avevi il tuo agnello, non veniva il carnevale senza svegliarsi alle 6 di mattina e fare tutte quelle frittelle. Noi eravamo sotto M*******, una volta all'anno facevano i conti e il padrone portava a casa i soldi, i grandi andavano a fare la spesa in cui si compravano i vestiti, si andava in un negozio di stoffe senza spendere molto, quel vestito doveva bastare fino un altr'anno, era uno all'anno perciò noi, prima che le mamme andassero a scegliere, si faceva un giretto e si diceva alla signora “Questo mi piace, questo è bello!” e in negozio uno era fratello di una me zia anca e ci diceva scegliete che dopo quando arrivano vi dico. Le donne tenevano i tacchini e i conigli, e se li portavano al mercato per venderli, andavo anche io: là c'erano animali di tutti i tipi, e ognuno comprava quello che aveva bisogno. Per andare a vendere si facevano 4 km a piedi con sti tacchini sotto al braccio, poi si andava al bar a prendere un po’ di vermut è un po’ de biscotti e noi se andava più per il vermut che per vender. Ben ben, d’estate eravamo già bruciate del sole, il caldo non si sentiva, poi eravamo così stanche ma d’inverno era più difficile perché il riscaldamento non c’era, niente non c’era, ma i freddi erano sempre più grandi perché veniva tanta più neve ogni anno e ci scaldavamo mettendo una pietra sul fuoco, la munega, ma solo se uno stava male; noi non avevamo freddo, eravamo li impaccate come sardine. Alla sera voi andate in discoteca, noi andavamo fra i campi, alla sera alle cinque faceva già buio e la cena era già pronta, si cenava e poi si andava nella stalla, con quella puzza di mucca, ma noi non la sentivamo, per noi era normale, ma non andavamo sulla stalla a giocare, andavamo a filare, avevamo le macchinette. La nostra famiglia aveva gli agnelli, gli uomini tagliavano la lana, e le donne la pulivano, la preparavano, e la filavano, lo imparavamo a fare dalla mamma. Prima si filava, poi ci facevamo i calzini, in autunno ci compravano i vestiti, uscivamo dalla stalla tutte belle caldine, e non è che avevamo la scala per andare a dormire, si doveva passare per il cortile, ci si ghiacciava per bene, questa era la nostra vita. Poi avevamo i morosetti che ci venivano a suonare, allora usciva la nonna e loro le dicevano chi cercavano “Aspetta te la chiamo subito” diceva la nonna, però come premio gli chiedeva se avevano una caramella in cambio, la nonna combinava con tutti i morosetti. Allora veniva el sabo, ci dovevamo fare il bagno e una volta a settimana ci cambiavamo la biancheria. Come ci si lavava? Con el mastel pien de acqua calda, si cominciava dal più piccolo e così via, l’ultimo visto che si erano lavati tutti prima di lui trovava l’acqua

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sporca, allora si metteva da parte una bacinella con cui lui si lavava, e i sugamani c’erano, ma eravamo in tanti, allora si prendevano i vestiti che ci eravamo tolti e ci si asciugava con quelli, ci si pettinava una col l’altra, era il nostro divertimento. Alla sera c’era qualche torta ma ci voleva anche un po’ di vino, allora con la gavetta che portavano a casa gli uomini dalla guerra lo si comprava, e quello che restava per ridere si tirava sul culo alle mucche. Gli uomini volevano essere rispettati, anche se le donne facevano di più e i bambini guai a rispondere ai genitori! Non era ammesso. Un giorno mentre ero con la mia mamma, ero stanca, lei mi diede un ordine ma io non avevo voglia di farlo e gli risposi “Ma senti mamma, adesso che anche le altre sono grandi, non possono fare loro? “mia mamma rispose “Si ma tu capisci...” e io gridai “Capiso na merda!” la mamma non ci ha fatto caso, mentre mio papà mi ha sentita, mi ha preso, mi ha portata in cortile e mi ha ficcato in bocca una cacca di gallina e urlò “Ricordati che quella è tua mamma”. Una donna quando partoriva veniva rispettata, stava quaranta giorni servita e doveva mangiare un giorno si e un giorno no una gallina, con sto brodo, e le cognate con le bambine la aiutavano. Una volta si viveva così, insomma, adesso farebbe ridere alla gioventù ma noi vivevamo tranquilli, non ci mancava niente, eravamo felici così, più di quello non c'era. La sera dopo aver filato avevamo sonno, ti capirai, tutto il giorno la sui campi e poi la sera nella stalla a continuar el lavoro! allora c'era il mucchio di fieno, quello che davamo da mangiare alle mucche, allora andavamo a buttarci lì, si prendeva sonno, la mamma ci vedeva e cantava una strofa che l'aveva insegnatu sua mamma: luni si carga la roccia(roccia era quella che mettevi a filare), marti non s'intocia , mercuri non s'infila, zioba santa fila (perché il giovedì si filava), venere sten t'in bon, sabo petenela e domenega angringhinela. Noi avevamo pur inventato il sapone, il rossetto, i capriccetti li avevamo anche noi! Per prenderlo rubavamo le uova alla nonna, perché ne aveva tante le nascondavamo e ce le portavamo via, le vendavamo e ci compravamo il rossetto. Avevamo un negosio vicino casa che vendea roba di maiale, alora lui ci dava il cotechino; na volta ghe iera quei che veniva giù dalla montagna, che stavano una settimana o 15 giorni e andavano a vendere per le case le casette di legno, a quelli li non interessavano i soldi, a loro interessava solo portar su la roba da magnar per l'inverno, ricordo anche una signora che nel tempo di guerra veniva da san Michele in bicicletta, anche lei per prendere la roba da mangiare. Finita la guerra abbiamo comprato i cappotti dei militari, li abbiamo disfati e colorati, inoltre la nostra sarta ci ha fatto dei vestiti che tutti ci invidiavano. Finita la guerra le robe sono cambiate, perché marsotto ha messo su le fabbriche e anche noi donne abbiamo cominciato ad andare a lavorare e a guadagnare i nostri soldi, io però non sono mai andata in fabbrica, perché ero la più grande e stavo bene a casa. Con i nostri soldi ci comperavamo le nostre robette e la sera che tornavamo a

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casa in bicicletta, facevamo la strada cantando, stanche ma felici, non c'erano le macchine che facevano coda, ci divertivamo così, con niente. Quanti ricordi! Il cotone nasceva da una pianta d'erba, quando era pronto le donne lo tagliavano e veniva battuto, dopo lo filavamo con sta macchinetta e si facevano i rotoli di filo, infine c'era una donna che faceva le lenzuola. Ma il cotone filato così beccava anca il culo. ricordo che un giorno un omo c'ha chiesto “Voi che lavorate in bonifica con la zappa e con la pala, dove mettete sti attrezzi?” io gli ho risposto “Sulla borsa!” e lui “Ma come sulla borsa? E il manico?” io allora gli ho detto “Il manico ce lo mettiamo su per il culo!” Noi per andare a lavorare sui campi mettevamo delle canottiere (ce le facevamo noi) avevano stoffe grezze, non tenevano il caldo e le usavamo anche la domenica quando gli uomini stavano riposando. Finita la guerra ho cominciato ad andare al mercato per prendere le maglie e vedere il mondo, da allora le canottiere sono rimaste nel cassetto, in seguito con quest’ultime ci ho fatto delle federe e dei grembiuli. I vestiti da festa li faceva la sarta, mentre noi facevamo giusto qualche robetta, tipo gonne e canottiere per andare sui campi. Una volta si usava fare i pantaloncini con i ferri, e quando è stato il compleanno del mio primo nipotino glieli ho fatti uguali a quelli che voleva!

INTERVISTA N. 4 Nome: CARLO Età: 84 anni “Come si chiama?” “Mi chiamo Carlo” “Quanti anni ha?” “Ho 84 anni” “Ha figli?” “Ho due figlie” “Che ricordi ha della sua gioventù?” Brutti ricordi “Perché ha brutti ricordi della sua gioventù?” Perché è meglio la vostra, perché in tempi di guerra vuol dire anche patire la fame e avevo 13 anni. Poi ho avuto la disgrazia che è morta mia mamma, e sono rimasto con il papà e il fratello più giovane, che è stato fortunato perché ha avuto la “pedatina” che l’ha mandato a fare il dirigente nelle industrie. Logicamente, pensate voi, che pensione ha adesso e che retribuzione aveva.

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“Che lavoro faceva?” Ho avuto la fortuna che il direttore del mio reparto, era il mio professore di matematica e chimica, e… Premessa; con la morte della mia mamma, la mia famiglia è andata in rovina perché si era nell’età che si aveva bisogno di aiuto e compagnia, e dopo a 14 anni ho dovuto lasciare la scuola. Studiavo computista commerciale e avrei dovuto completare gli studi a Oderzo o a Udine, ma era lontano e c’erano difficoltà economiche e andare a lavorare era l’unica soluzione… La mia fortuna è stata quella che il mio professore di matematica e chimica in quel periodo era andato a dirigere il laboratorio chimico dello zuccherificio, e vedendomi che facevo il calzolaio nella bottega del nonno il mio ex professore mi disse che aveva bisogno di un ragazzo come me. Avevo 17/18 anni e ho lavorato la per 13 anni. Prima che lo zuccherificio fosse venduto ho avuto la fortuna di conoscere il capo del personale di tutte le industrie, e ricordatevi che eravamo 350 persone che lavoravamo li. Dopo lo zuccherificio ho lavorato in tintoria per fare le tinte dei fili delle matasse e dopo i maglifici lo trasformavano in tessuto e compagnia… “Quand’è che ha conosciuto sua moglie?” L’ho conosciuta a lavoro perché lavorava di fronte allo stabilimento in cui lavoravo io e perché negli intervalli uscendo fuori ero sempre alla finestra che guardavo quando usciva lei. “Cosa faceva nel tempo libero?” Giocavo a calcio. Ho giocato a calcio fino a vent’anni poi ho avuto un incidente al ginocchio, comunque ero forte ma correvo poco. Giocavo regista con il numero 10, giocavo anche bene ma ero poco atletico. Ho giocato anche con il Portogruaro in serie D, e con il San Donà era una battaglia piuttosto atroce. “Durante la guerra la zona di Portogruaro era relativamente tranquilla?” Ricordatevi che la liberazione è di tutti, ed è da ricordare perché chi combatte per un ideale è sempre una persona da rispettare… e voi che siete a scuola avete visto il monumento a Lovisa? Nel parchetto vicino alle scuole!? Ecco, quel ragazzo lì, quando lo hanno ammazzato lo ricorderò sempre; lo uccisero due fascisti perché portava da mangiare ai partigiani, e noi quando lo uccisero, di pomeriggio verso le 15.00-15.30, stavamo nuotando nel bacino e dai campi venne fuori una signora vecchia che ci disse:” ah putei putei vegne qua”. E noi ci siamo precipitati, per primo sono arrivato io e ho visto questo ragazzo di 17-18 anni disteso in terra che non dava segni di vita. E cosa ho fatto io? Prima roba; ho visto che aveva un involucro in tasca e aveva i panini per i partigiani e compagnia; poi ho visto che gli avevano sparato in testa e che prima gli avevano dato le botte perché aveva un ematoma. Sempre durante la guerra mentre

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passeggiavo con mio nonno davanti al municipio, la vicino c’era la caserma delle camicie nere e da là uscirono due fascisti che ci hanno spinto a terra e a mio nonno è volato il cappello… e sapete perché? Perché in quei giorni erano morti due fascisti, nella sala del comune c’era la camera ardente e noi non gli avevamo fatto gli omaggi, quindi ci hanno portati dentro a portare rispetto ai due fascisti morti. “Gli aspetti della vita quotidiana sono cambiati?” No, ma da dopo la guerra c’era più pace e tranquillità. “Ma cosa mangiavate durante il periodo della guerra?” Mangiavamo quello che trovavamo, ma io ero fortunato perché mio nonno che faceva il calzolaio, i cittadini pagavano in denaro mentre gli altri con cose da mangiare, tipo quando macellavano il maiale oppure quando avevano appena raccolto il seminato.

INTERVISTA N. 5 Nome: CATERINA Età: 86 anni “come si chiama?” “Mi chiamo Caterina” “Quanti anni ha?” “Ho 86 anni” “E' sposata?” “Si da cinquantasei anni” “Ha figli?” “Si, ho 3 figli, due femmine e un maschio” “Cosa faceva da giovane?” “Eravamo una famiglia numerosa di 10 figli, abitavamo in campagna, io mi occupavo di sartoria a differenza dei miei fratelli che passavano le giornate a lavorare nei campi. Alcune volte però, capitava che anch’io venissi chiamata ad aiutare, d’altronde essendo in tempo di guerra i bisogni primari erano più essenziali del solito. Avevamo la campagna, a me non piaceva tanto, ci andavo solo per aiutare la famiglia, sai, eravamo 9 figli. Mi sono dedicata al cucito per tutti, perché dopo la guerra si aveva bisogno di nuovi vestiti. Dopo la guerra, mio padre lasciò la cementeria per andare a lavorare in campagna e obbligò i miei fratelli ad andare ad aiutarlo, ma appena diventarono grandi presero tutti strade differenti, invece noi ragazze eravamo

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costrette a stare in casa. Ricordo un giorno quando mi nascosi nel carro trainato dal cavallo, mi misi nel bordo dove c’era posto finché arrivai in periferia dove passava quotidianamente il treno e quando il carro rallentò mi buttai e scappai per una scorciatoia, non volevo andare nei campi!” “C’è qualche ricordo che le piacerebbe raccontarci?” “L’adolescenza l’ho passata nel periodo di guerra, imparando a cucire e facendo la sarta, stando sempre tra casa e lavoro che non mancava mai, anche se questo non è un bel ricordo. Poi però mi sono sposata, mio marito era di San Nicandro un paese in provincia di Bari, avevamo circa 30 anni, poi abbiamo avuto 3 figli e c’è stata molta felicità con la seconda figlia perché è nata dopo 11 anni dalla prima. Lui abitava in un altro paese ed è venuto insieme ad una signora dicendo: “io voglio conoscere questa ragazza” e dopo sei mesi ci siamo sposati, ed ora siamo a cinquantasei anni di matrimonio. Abbiamo fatto la festa di matrimonio al cinema/teatro perché le nostre famiglie non erano tanto benestanti da poter permettersi altro. Abbiamo fatto un buffet di dolci, quindi non un pranzo di nozze ma tanti dolci e specialità fatte in casa e portate dai parenti; l’amico di mio marito che aveva il bar ha preparato la sala e il cugino la musica per il ballo. Siamo arrivati alla cerimonia con una macchina d’epoca trovando tutti i parenti contenti di vederci.” “Cosa le ricorda Bari?” “Il mercato del pesce, l’aria e il mare a Bari Palese. Era tutto più tranquillo, si andava al supermercato solo per l’indispensabile, il resto si faceva tutto in casa: la pasta, i biscotti, i dolci, le focacce, inoltre avevamo una capretta da cui si ricavava latte e formaggi. Il bucato veniva lavato con la cenere, ottimo sbiancante e disinfettante.

INTERVISTA N. 6 Nome: PASQUALE Età: 89 anni “come si chiama?” “Mi chiamo Pasquale” “Quanti anni ha?” “Ho 89 anni” “Ha figli?” “Ho 3 figli.” “Ha fratelli o sorelle?”

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“Ora sono rimasto da solo ma avevo un fratello falegname che ha partecipato alla seconda guerra mondiale poi, quando è tornato, è andato a vivere in Australia perché qui non c’era lavoro e parecchi di San Nicandro si sono trasferiti li. “Ha qualche ricordo in particolare della gioventù?” “Avevo sedici anni, era tempo di guerra, a San Nicandro ci furono dei bombardamenti nei quali morirono 87 persone e io rimasi scosso, non andai più a scuola. Dopo la guerra incominciai a cercare lavoro come fabbro, mi misi in proprio e aprii una mia officina; facevo cancelli, porte, portoni, tutte cose artigianali ma il lavoro era poco. Lavorai anche come maniscalco e mi piaceva molto come lavoro e negli ultimi sedici anni prima di andare in pensione, lavorai in uno stabilimento della Fiat a Bari.” “Cosa faceva nel tempo libero?” “Si andava a ballare con gli amici nelle case di famiglia, ci si divertiva molto a ballare canzoni non solo paesane ma si ballava anche il valzer e il tango. Questo è uno degli aspetti che più mi manca, qui a Portogruaro non ho nessuna amicizia perché ognuno sta in casa propria, mentre a San Nicandro la gente è fuori fino a tardi.” “Ha qualche ricordo del matrimonio?” “Avevo una parente che un bel giorno mi disse “Pasquale dobbiamo andare a Modugno che prendo l’olio” allora il pomeriggio presi il motore e andammo a Modugno. Mi disse “dobbiamo andare alla cantina di un’amica mia” e allora andammo a casa di Caterina. Quando la scorsi mi ricordo ancora che mi misi a guardala a lungo… Un giorno ne parlai con mio padre, e portai tutti i miei parenti a conoscerla, anche se lei non era ancora convinta di sposarmi e mentre lei pensava che per via della sua indecisione non sarei più tornato io puntuale c'ero sempre, e dopo 5 mesi la sposai, era necessario perché avevo i genitori vecchi. A quel tempo ci si sposava anche per i genitori, ora non si pensa più ai vecchi.” “ha ricordi della guerra?” “I ricordi vengono, c’erano sempre queste sirene, non si stava tranquilli si sentiva sempre la contraerea, e si viveva con una costante paura, molte volte siamo andati a nasconderci in campagna, avevamo i bambini piccoli. Si macinava il grano perché non c’era farina e la dovevi fare da te. Allora compravi il grano e la si macinava per fare la pasta in casa. Mi ricordo quando i camion di Altamura hanno iniziato a portare i sacchi di farina di nascosto e la sera tardi quando non c’era nessuno ne prendevamo sempre uno. Un giorno mio fratello è andato a prenderne uno con il treno e glielo hanno tolto e l’hanno fatto scendere a Bari ed è dovuto tornare a casa a piedi perché non c’erano macchine come adesso. Poco a poco, è arrivato il progresso, all’inizio non c’erano neanche medicinali, tutti avevano paura di ammalarsi ma dopo la guerra hanno

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costruito un policlinico. Ad esempio quando mi feci male al ginocchio durante la guerra dovetti andare all’università per farmi curare.”

INTERVISTA N. 7 Nome: MARIA Età: 95 anni “Possiamo darle del “tu”? “Si, certamente, perché sono cittadina del mondo!!” “Come ti chiami?” “Mi chiamo Maria” “Quanti anni hai?” “Ho 95 anni” “Sei sposata?” “Si” “Hai figli?” “Ho quattro figli” “Quale lavoro ha svolto in gioventù?” “Ho iniziato a lavorare fin da quando ero piccola, andando in bicicletta con mio padre fino a Caorle per prendere il pesce, per poi venderlo a Casarsa.” “Dove vendeva il pesce più precisamente?” “Mi mettevo in un angolino nella piazza della chiesa, da me venivano sempre tutti, sia quelli più poveri sia quelli che avevano i soldi. Io ero un po’falsa perché dovevo sempre essere felice e con il sorriso, anche con chi mi era antipatico… Ma d’altronde noi donne siamo false, non è così?” “Fino a che età ha lavorato?” “Ho sempre continuato a lavorare, senza mai fermarmi, fino a 2 anni fa. Andavo a Caorle, con il mio furgoncino a prendere il pesce fresco dai pescatori e poi ritornavo a Concordia a venderlo in pescheria. Mi manca molto non lavorare più perché a Caorle mi sentivo sempre a casa e sempre ben voluta da tutti, e farme le mangnade de pesse con tutti i pescadori.” “Cambiando discorso, per caso è sposata?”

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“Si mi sono sposata a19 anni, però non ho avuto figli per 6 anni, fino a quando sono rimasta incinta della mia prima figlia, dopo di lei ne ho avuti altri 3, che i me vol tant ben. Lori i vol che a me tegni cont na tosa tant bona che a me da na man a far tut.” “Ci può raccontare qualcosa della sua infanzia?” “Certamente, ho dovuto tirar su 12 fratelli perché i miei genitori erano sempre a lavorare, me mare la s’era trai campi, me pare l’era a vender pesse; a casa mia non ghe s’era tanti schei e noi mangiavamo pesce o minestrone. Anche se se magnava io ci tenevo alla mia linea. “ “Ha frequentato la scuola?” “No, perchè dovevo tirar su i miei fratelli, infatti sono cresciuta molto in fretta , ed è come se fossi stata madre 2 volte, perché ho dovuto aiutare i miei genitori a crescere i miei fratelli, e molti anni dopo ho cresciuto i miei figli da sola, perché mio marito l’era morto e i miei figli li ho sempre portai a lavorare con me.” “Ha fatto qualcos’altro di interessante nella sua vita?” “Mi son sempre stada disponibile con gli altri, perché go aiutà i poaretti regaandoghe un fiantin de pesse, infatti un fià de ani fa, i me ga regaà un tocco de carta n’do che i diseva che soi stada massa bona con chei altri. È venuto il sindaco con degli assessori a portarmi questo ringraziamento.” “Si ricorda qualche piatto assaggiato o si ricorda qualche ricetta??” “Si mi ricordo di quel pesce mangiato anni fa a Caorle, lo avevamo fatto alla griglia con tutti i pescatori della zona, io con quelli li mi divertivo sempre, mi mancano molto quelle tavolate, con tutti lori, si rideva, si mangiava e si beveva. Io mi ricordo di quelle seppie di Caorle che fate alla griglia erano buonissime, a casa mia le mangiavo solo io.” “Cosa le manca di più del passato?” “Ma, a me manca un po’ tutto del passato, i miei genitori e mio padre, che el me ciamava “braccio destro”, e che mi portava sempre a prendere il pesce; mi mancano i miei fratelli, che poaretti li se morti. Per fortuna che ci sono i miei nipoti che mi tengono compagnia. Io sono fortunata perché i miei nipoti non frequentano brutte compagnie.” “Allora era lei la signora che girava fino a un paio di anni fa per Concordia con il fiorino viola a portare il pesce in giro?” “Si si ero io! Mi con quel fiorino li sono andata in giro a cior pesse fin do tre anni fa, el ghe fa circa un milioni di chilometri.

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Mi ricordo quella volta che ho avuto un incidente nello stradone per andare a sindacale, ho disfatto la macchina e ho buttato via tutto il pesce perché era caduto nel fosso. Quando è arrivata l’ambulanza mi hanno caricata nel furgone e mi hanno portata a San Donà e mi hanno messa sopra a una tavola e mi hanno tagliato tutti i vestiti, anche le mutande! Quando ho capito cosa era successo mi sono arrabbiata con i dottori perché non si fanno certe cose a una donna! Pensavano che fossi morta, ma quando ho aperto gli occhi sono rimasti sbalorditi. Mi hanno ricoverata per tre giorni e il quarto mi hanno mandata a casa perché pensavano che stessi bene.”

INTERVISTA N. 8 Nome: LUIGIA Età: 75 anni “come si chiama?” “Mi chiamo Luigia” “Quanti anni ha?” “Ho 75 anni” “Ha figli?” “Ho 2 figli.” “Per la nostra intervista abbiamo diversi tipi di ricordi tra cui può scegliere: ricordi di famiglia, ricordi di guerra, ricordi di gioventù, ricordi di storia passata, ricordi di vita quotidiana e ricordi di lavoro fatto. Da quale ricordo preferisce iniziare?” “Io ho fatto tante cose nella vita. Ero la più vecchia di sei fratelli e dovevo fargli da mamma. Abitavo in campagna con quindici persone. A quindici anni ho iniziato a lavorare come dama di compagnia da una contessa. Mio marito era del mio paese e mi sono sposata a vent’anni nella chiesa di Lugugnana. Dopo ho lavorato all’estero, a Venezia all’albergo Gritti e a St. Moritz. Ho lavorato poi come governante in un albergo.” “Ha studiato quando era giovane?” “No, quella volta nel mio paese la scuola era solo fino alla quinta elementare, bisognava fare 12 km in bici per andare alle medie di Portogruaro. Io le ho cominciate ma poi ho deciso di non frequentarle più. Da adulta ho frequentato diversi corsi all’ università della terza età. Mi sono sempre tenuta in allenamento con lo studio.” “Ha ricordi della vita quotidiana di quando era giovane? “

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“Alla mattina prima di andare a scuola dovevo fare 3 km per portare il latte e facevo il burro e siccome ero la più vecchia dovevo anche portare i miei fratelli a scuola e dovevo essere alle 8.00 a lezione. Al pomeriggio oltre a fare i compiti dovevo portare gli animali al pascolo, dare l’erba ai conigli. Bisognava fare la polenta nella pentola di rame. Alla sera facevo i calzini con l’uncinetto fino a mezzanotte perché non c’era la televisione. In primavera raccoglievo il gelso dagli alberi per darlo ai bachi e una volta formati i bozzoli li filavamo. Si faceva la vendemmia e dopo si doveva pestava l’uva. Si portavano i sacchi di grano e frumento al silos di famiglia e alla sera si andava al rosario. Alla mattina c’era il gallo che cantava e faceva da sveglia. Avevamo tante oche e bisognava togliere le piume per i piumini delle coperte, e per il materasso del letto si usavano le “scarabocchie” delle pannocchie e si cambiava ogni anno. Il riscaldamento era una bottiglia dell’acqua calda oppure si andava nella stalla. Lavoravo con il telaio per fare le sciarpe e facevo anche vestiti e cappotti. Raccoglievo la camomilla, la facevo essiccare e poi la bevevo la sera. Facevo i cestini all’uncinetto che poi bisognava ricoprire di acqua e zucchero e mettere al sole per farli indurire. “ “Ha ricordi di una pietanza particolare? Che magari adesso non c’è più? “ “Due volte alla settimana mangiavamo il baccalà con la polenta, quando si uccideva il maiale mangiavamo anche il salame inoltre mi piaceva molto mangiare fichi e more.” “Ha dei ricordi relativi alla sua famiglia?” “La mia famiglia era molto credente e il prete veniva ogni domenica a mangiare da noi e si sedeva capotavola. Con mio papà andavo a portare il cibo ai poveri. Mio nonno mi portava i confetti che erano molto piccoli e tutti colorati. Averne uno grande era un lusso. Io ho dovuto accudire mia mamma in quanto è malata di Alzheimer per 10 anni circa fino a quando mi è venuto il diabete e mi hanno dovuto tagliare la gamba e mia mamma si è trasferita da mia sorella a Montecatini. Non ho più visto mia mamma dopo perché senza gamba non potevo muovermi” “Ha dei ricordi della guerra?” “Non mi ricordo molto però si andava nei rifugi per proteggersi, andavamo nelle stalle e ci proteggevamo sotto le mangiatoie. Latisana era stata bombardata e venivano molti sfollati a dormire da noi nel granaio.” “Ha delle esperienze che vuole raccontarci?” “Ho fatto molto volontariato; nel mio palazzo ero come l’ambulanza perché ero sempre disponibile a portare tutti alle visite. Mi ricordo quando in Brussa un uomo che pescava è affogato, e io portavo cibo e vestiti alla famiglia. Mio cugino è missionario in Angola, raccoglieva soldi per poi far arrivare l’acqua in paese.”

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“Ha ricordi di lavoro da raccontare?” “A quarant’anni ho incominciato a ristudiare prendendo molti diplomi. Ero appassionata di medicina ed in ospedale grazie ai medici sono riuscita a scoprire che avevo un calore nelle mani che serviva per la pranoterapia. Aiutavo molte persone e collaboravo con i medici e sento molto caldo alle mani quando percepisco il dolore delle persone, anche a distanza. Non è risolutiva però ci provo ad aiutare le persone e non mi sono mai posta come medico. Ho aiutato a partorire una donna attraverso la pranoterapia e un giorno in treno sentivo calore alle mani e il braccio informicolato perché c’era un ragazzo nell’altro vagone con il braccio rotto. Il ragazzo mi si è avvicinato e in treno gli ho fatto un po’ di terapia. Non sono molte le persone che hanno questo dono, forse molti non sanno neanche di avercelo. Mi piace praticare anche il reiki che è un insieme di massaggi che servono a togliere lo stress. Ho studiato anche i punti di pressione, che servono a togliere l’infiammazione muscolare, le tensioni.” “Si viveva meglio prima o adesso?” “Beh meglio adesso con tutte queste comodità!”

INTERVISTA N. 9 Nome: ANGELA Età: 79 anni “come si chiama?” “Mi chiamo Angela” “Quanti anni ha?” “Ho 79 anni” “Ha figli?” “Ho 2 figli.” “Di cosa vuole parlarci?” “Vi parlo della famiglia. La mia famiglia era molto numerosa, nella stessa casa eravamo in 24, i miei nonni avevano 4 figli maschi tutti sposati e mio papà ha fatto 3 figli quindi io ho 1 fratello e 1 sorella, un mio zio aveva altri 3 figli, un altro 5 e l’ultimo ne aveva 3 con la prima moglie e 2 con la seconda. Eravamo mezzadri e lavoravamo i campi per un padrone che possedeva terra e un’azienda. La gioia più grande è stata quando mia figlia si è diplomata maestra di scuola elementare perché era anche il mio sogno nel cassetto.

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Per mangiare si aveva uova, fagioli, patate, polenta. Il primo pane l’ho mangiato nel 45’, quando abbiamo battezzato mia sorella. Vi racconto questa, il giorno del battesimo, erano andati a prendere un sacco di pane e noi bambini che non eravamo morti di fame, anche perché si aveva molta terra e si mangiava anche il pollo “ma i polli, i ne gà magnà tutti i tedeschi” e allora appena visto il sacco di pane due, tre panini a testa e su per le camere a nasconderli nelle scatole delle scarpe. Arriva il mattino del battesimo e di pane gli era rimasti sol che tre, quattro panetti… e il pane? e allora le donne se gà subito immaginà “ fioi, fora il pan”, mi sempre la più buona, gò dito “si, il pan lo gavemo ciolto noi” e poi me le hanno anche moà per gaver ditto del pan. Dopo una me amiga a me ha dita e far a patente e co ghe pensavo me veniea fin un tufo al cuor ma mi son detta “go da farla, go da farla” e son ndata e la ho fatta eh. Avevo 35 anni, sono andata dalla signora in segreteria e le ho chiesto se ero troppo vecchia per farla “dove signora ghi ne de pi veci de ea” ma non ci credevo tanto, beh sono andata e c’erano ragazzi di 18-20 anni e io ero tra le più vecchie e c’era una signora analfabeta e a doveva farse anca ea a patente allora ci hanno detto che il giorno dopo si faceva l’esame di teoria. (…) Tutti pronti quando mi chiamano indietro “Angela, Angela”, a tu per tu con la signora mi dicono “tu dovresti fare anche il test della signora” e sono andata e prima ho fatto il suo perché ero intelligente e le ho detto di far finta di scrivere, prendo il mio e c’erano ancora persone che dovevano finire. Le ho detto di andar fuori lei per prima, è andata e tutto giusto “e sarie bea che vese fatto el suo giusto el mio no”, vado fuori io e tutto giusto. Mamma mia quanta emozione, fatto la patente così potevo andare a lavoro da sola e portavo via anche altre 3 persone, erano le mie amiche che andavano in corriera che venivano con me e mi davano qualcosa. Ricordo che avevo la 500 e andavo dappertutto ed ero la taxista di famiglia. Quella volta si partoriva in casa, io e i miei fratelli siamo nati in casa e veniva la dottoressa ad aiutare, anche le mie figlie le ho fatte nascere a casa. In famiglia c’erano alti e bassi perché non c’era tutto un amore e d’accordo e baci e abbracci. Ho avuto anche grandi gioie perché io sono cristiana praticante credente e la gioia grande e immensa è stata quando ho fatto la prima comunione, era un giorno in cui non vedevo l’ora di arrivare in chiesa, tiravo mia mamma e lei mi diceva “va pian, va pian”, ho fatto la comunione e la cresima il 5 novembre del 45 e c’era il vescovo d’Alessi. Era una gioia grande andare dalle suore a giocare e ci veniva pagato tutti gli anni un viaggio a chi aveva più presenze all’oratorio, ero sempre dalle suore e mia mamma quando tornavo a casa alla sera mi diceva “sistu qua, sistu rivada,te podeva farte dar anca a cena dae suore”. Ero sempre lì perché si facevano recite e avevamo la suora regista e si facevano anche drammi ma molto belli. Io facevo sempre la parte della protagonista “da picoa fee a protagonista, da pi granda fee a protagonista e co me son sposada ho fatto a protagonista per tutta la vita”. Ma il giorno più bello in assoluto è stato quando ho avuto la mia prima figlia, sono diventata mamma, una cosa indescrivibile, l’ho avuta alle 3 del pomeriggio e la notte

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non ho dormito perché me l’hanno messa nel mezzo del letto e quando è arrivato mio marito gli ho detto “guarda che bella creatura che abbiamo fatto” e lui niente perché voleva un maschio, dopo è venuto a letto e si è messo a dormire e io sempre con gli occhi addosso alla mia creatura perché mi pareva impossibile che avessi fatto io una creatura così. Altra gioia quando le mie figlie hanno fatta la comunione perché non ero una che diceva che si faceva la comunione perché bisognava farla ma la prendevo veramente a cuore e pensavo che oro provassero la stessa gioia che avevo provato io.” “Vuole parlarci della guerra?” “Quando è iniziata la guerra ero piccola, avevo 3 anni però ho dei vaghi ricordi non belli. Noi abitavamo a Villanova ed eravamo invasi dai tedeschi; le scuole, gli asili e tutti gli edifici pubblici erano occupati dai tedeschi. Io ho fatto la prima elementare e la seconda solo per un mese poi sono dovuta rimanere a casa. I tedeschi venivano a casa nostra con il fucile puntato e dicevano a mia nonna “Mamma pollo, pollo” perché noi avevamo un cortile grande. Vicino a casa mia c’erano delle camionette di tedeschi e io dovevo tenere a casa mia sorella più piccola, mia mamma lavorava nei campi e veniva a casa solo per allattarla. Un giorno ero andata a portare a letto mia sorella, mi sedevo sulla sedia a dondolo finché si addormentava, poi ero uscita dalla stanza e c’era la porta aperta ed è passato un aereo da bombardamento e l’ala dell’aereo mi ha sfiorata di poco dalla finestra. Dovevamo mitragliare le camionette dei tedeschi che erano vicino a casa mia; e allora WROOM TATATATA” mamma mia che paura, avevo otto anni. Pensavo di correre giù per le scale o fuori di casa, ma fuori non c’era nessuno, erano tutti nei campi. Mio papà era sotto al noce, un noce grande e allora io l’ho chiamato “papà, papà” e lui “resta lì, non muoverti, ferma lì” e hanno continuato a mitragliare per diverse ore. Poi una notte sono cadute delle bombe nelle vicinanze, perché sapevano che in paese c’erano i tedeschi nascosti nelle scuole ma per fortuna le bombe sono cadute più in là sennò rimanevamo senza scuole. Una notte ancora è caduto un paracadutista proprio vicino a casa mia, poi le sirene hanno suonato e gli uomini di un’altra famiglia sono corsi a casa mia “venite, venite, venite” perché il paracadutista non era morto, hanno fatto in tempo a toglierlo dalle corde; era americano, e questa famiglia lo ha preso e tenuto nascosto per molto tempo nel fienile insieme ad altri due. Una notte hanno fatto uno zaino di roba da mangiare e sono andati verso Caorle per cercare di tornare a casa. Di loro non abbiamo più avuto notizie. Nella sala del cinema c’erano come prigionieri degli africani, fatti prigionieri da italiani. Erano tenuti come bestie, paglia per terra e solo due ore di aria al giorno. Noi bambini che eravamo all’ asilo li guardavamo curiosi; erano degli uomini grandi e alti e non

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erano proprio neri, neri ma non mi ricordo di ch zona fossero, so soltanto che gli italiani li detenevano. I miei zii e mio papà avevano fatto un rifugio di paglia, con le palle rettangolari, costruendo un muro di palle nel fossato e comprendono con una struttura di pali e paglia. Quelli che lavoravano nei campi, in caso di pericolo si gettavano a terra o si buttavano nei fossi, noi bambini a casa, invece, entravamo nel rifugio di paglia e dovevamo restare lì fino a quando avevano finito di passare i bombardieri. A noi non ci era successo niente, a parte qualche tedesco che andava da mia nonna e gridava << kaput, kaput >> se non gli dava da mangiare. Non ho avuto dispiaceri di guerra, solo tanta paura, siamo stati molto a casa da scuola. “ “Che lavoro faceva?” “Fino a diciassette anni lavoravo nei campi o portavo a pascolare i tacchini, dovevamo stare attenti che non mangiassero l’uva del nostro padrone. Se un tacchino si accorgeva dell’uva era fatta perché il padrone si sarebbe accorto e avrebbe detto robe a mio padre, che poi ci avrebbe sgridato. Più grandicella raccoglievo gli ortaggi nei campi e zappavo il terreno. Poi a diciassette anni sono entrata in fabbrica, ho lavorato in saponificio, ma dove lavoravo io c’erano tante fabbriche: la cantina, la latteria, il cotonificio e la tessitura, la vetreria e lo zuccherificio. Perciò c’era molta gente che lavorava lì. Mi per fortuna ho fatto 35 anni di lavoro. Prima in saponificio e poi in cotonificio. Per un periodo il saponificio aveva chiuso e allora mi avevano spostato in cotonificio; ma riapri il saponificio e quindi ritorna in saponificio. Lì ero addetta al dosaggio sapone, ho lavorato lì ancora per qualche anno e poi l’hanno chiuso per sempre. Per fortuna che ero arrivata alle 1220 marchette, volte per andare in pensione. Sono entrata di lunedì santo e sono uscita per sempre il 31 dicembre 1990. Andavo al lavoro in corriera e poi mi sono fatta la patente. Le strade non erano quelle di adesso, erano bianche con del ghiaino e le luci non c’erano. Una volta ero andata via in motorino, e alla sera quando stavo rientrando, pioggia e nebbia, faccio per venire dritta e la strada era tutta uguale e mi accorgo che non era la mia strada e non era casa mia. Quindi spaventata, gira tutto e piansi per la paura, torna indrio e dovaria esser questa la strada giusta.”

INTERVISTA N. 10 Nome: ANGELO Età: 76 anni “come si chiama?” “Mi chiamo Angelo”

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“Quanti anni ha?” “Ho 76 anni” “Ha figli?” “Si ho 2 figli.” “Vuole parlarci di qualcosa in particolare?” Della famiglia. In famiglia eravamo in 24, divisi in quattro famiglie, in un’unica casa in campagna. Da piccolo non giocavo con nessuno, perché ero un bambino molto timido, stavo con mia sorella o con la mia mamma, con lei mi confidavo e potevo ragionare e confrontarmi. I soldi non erano molti, ed erano gestiti dal nonno che era il capo della famiglia, fino i quattordici anni ho utilizzato i sandali, sia d’inverno con la neve che d’estate. Quando si andava al mercato si compravano gli zoccoli che dovevano durare per tutto l’anno, infatti si compravano di una o due taglie in più. Quando ero più grande, comprammo una bicicletta che usava tutta la famiglia, utilizzata per andare a lavorare o andare al mercato. In casa gli adulti mangiavano prima di noi e non volevano che i bambini ascoltassero i loro discorsi. Noi mangiavamo prima, gli scarti o comunque poco, stavamo per conto nostro. Mangiavamo fuori dai pasti. Gli adulti mangiavano nei gusti orari e una volta finito dovevamo sparire. Solo alla domenica mangiavamo la carne, anzi a volte neanche quella. Le uniche volte in cui mangiavamo tutti insieme era il giorno della cresima e allora si faceva festa tutti insieme. Ovviamente non esistevano i frigoriferi e quindi quello che compravamo lo mangiavamo subito. Eri come uno “schiavetto”, i miei figli e i miei nipoti sono sempre stati i primari, una volta non era così. Ho fatto fino la quinta elementare, quando ci si rivolgeva all’insegnante si utilizzava il saluto romano “riverisco” che però cambiò con le elezioni della Repubblica. I ragazzi che non volevano imparare si sedevano in fondo all’aula, io dovevo stare davanti anche perché ero uno dei più piccoli. I ragazzi in classe con me erano già sviluppati, con la barba perché avevano ripetuto la classe più volte. Erano i fratelli più grandi ad occuparsi dei più piccoli. Quando andavo alle elementari mi ricordo che erano i fratelli maggiori ad accompagnare lungo la strada i fratelli minori. Ci facevano attraversare la strada. Io fortunatamente abitavo vicino alla scuola. Guardando i compiti dei miei nipoti noto che quello che i maestri insegnano alle elementari e medie, è poco rispetto a quello che insegnavano a noi. Io in cinque anni di elementari ho imparato quello che mia nipote più grande alle medie sta imparando. A scuola ci insegnavano la geografia, era molto importante a quel tempo e ancora oggi mi ricordo delle capitali e dei paesi dell’Italia e dell’Europa. Adesso non è così, i giovani non sanno tutto questo perché alcune materie non sono ritenute importanti. Io sono sempre stato bravo a disegnare ed infatti i miei nipoti mi chiedono di fare conigli,

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cavalli e altri animali. A volte mi chiedono cosa ho disegnato perché unisco animali insieme. “Ha qualche ricordo della guerra?” Io ero molto piccolo quindi ho pochi ricordi però ho impressa l’immagine delle macchine dei tedeschi che passavano davanti casa. Sentivo i rumori degli aerei e delle bombe. Una notte stavo dormendo e sono stato svegliato da un boato, ero piccolo quindi non avevo molta paura. Mi ricordo che mentre tornavo da una passeggiata ho visto ribaltata nel fosso una macchina militare e dentro c’era qualcuno. Io non ho visto morti però mi è rimasta impressa questa scena. A quel tempo c’era anche il coprifuoco e chi tornava dopo il coprifuoco veniva severamente sgridato. C’era chi frequentava la scuola fascista ed era vestito con una divisa. Io non volevo diventare militare e non volevo far parte dell’esercito. Fortunatamente c’era una sorta di clausola che dava la libertà di scelta di prendere la leva, questo si poteva fare solamente se avevi moglie e figli. “Qual è il suo ricordo più bello?” Il mio ricordo più bello è stata la nascita del secondo figlio. Ero in fabbrica e stavo lavorando, erano le 9.20/9.30 del mattino e avevo il turno dalle 6.00 alle 14.00. Sono stato chiamato in ufficio e mi hanno mandato in ospedale. Il mio primo figlio, sì è stata una cosa bella però il primo è nato con una malformazione e per me e mia moglie è stato un piccolo shock perché entrambi eravamo giovani, lei 19 anni e io 21 e mezzo. È nato a casa perché a quel tempo erano le ostetriche che venivano per le case a far partorire le donne. Non potevamo festeggiare la sua nascita anche perché ha subito due interventi, uno a nove mesi e uno a nove anni. Adesso è normale non ha niente che non va. Il secondo è arrivato dopo nove anni e li si è stata una vera gioia. La nascita di un figlio l’ho trovata la cosa più esaltante, niente a che fare con il matrimonio e nessuna altra cosa. Quando è arrivato il secondo ero più preparato, più maturo. È stato un sollievo quando mi hanno chiamato dicendomi che era tutto apposto e stava bene. È stata una cosa inspiegabile, il momento più bello e felice della mia vita ed infatti un figlio è una cosa grande. Dopo sono nati i nipoti, è una cosa bella comunque però è diversa. Il mio primo figlio non poteva avere figli quindi quando sono nati i miei nipoti, i figli del mio secondo figlio, è stata una cosa bella, una gioia. Io ho sempre desiderato avere figli maschi, sinceramente avevo simpatia per i maschietti. Quando è nato il secondo ero molto contento, ma se fosse stata una femminuccia sarei stato moto meno felice. Da sempre ho avuto questa fissazione, però quando è nata la mia nipotina ero felicissimo che era femmina, dopo è nato il secondo nipote ero contento che fosse maschio, ma se era femmina non mi cambiava nulla. I genitori scaricano tutte le loro aspettative sui figli, io sicuramente non sarò stato il massimo che mio padre desiderava, non lo so, non me l’ha mai detto. Io sono sempre

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stato fissato con lo sport, qualsiasi sport, infatti immaginavo mio figlio come un atleta, mentre le femmine a quei tempi non praticavano lo sport, solamente alcune. Avevo l’ambizione dello sport però non so da dove poteva venir fuori l’atleta dato che io ero piccoletto.

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Indice Presentazione ...................................................................................................................................................... 3 FRAGILITÀ DELL’ANZIANO .................................................................................................................................. 4 FORME DI ASSISTENZA ....................................................................................................................................... 5 METODOLOGIA DELLA RICERCA ......................................................................................................................... 6 INTERVISTA N. 1 .................................................................................................................................................. 8 INTERVISTA N.2 ................................................................................................................................................... 9 INTERVISTA N. 3 ................................................................................................................................................ 10 INTERVISTA N. 4 ................................................................................................................................................ 17 INTERVISTA N. 5 ................................................................................................................................................ 19 INTERVISTA N. 6 ................................................................................................................................................ 20 INTERVISTA N. 7 ................................................................................................................................................ 22 INTERVISTA N. 8 ................................................................................................................................................ 24 INTERVISTA N. 9 ................................................................................................................................................ 26 INTERVISTA N. 10 .............................................................................................................................................. 29

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Gli studenti autori in una foto scattata ad Empoli – Viaggio d’istruzione/Stage a.s. 2015-2016

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