Ron Silliman, Il quaderno cinese, Benway Serie 13

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Edizione originale: Ron Silliman, The Chinese Notebook, in The Age of Huts, Roof Books, New York, 1986. Benway Series, 13 Progetto grafico e impaginazione: Michele Zaffarano Traduzione: Massimiliano Manganelli ISBN 978-88-98222-43-8 Stampa digitale: Tipografia La Colornese S.a.s. Pubblicato da: Tielleci Editrice via San Rocco, 98 Colorno (PR) www.benwayseries.wordpress.com benwayseries@gmail.com


Ron Silliman

IL QUADERNO CINESE Traduzione di

Massimiliano Manganelli

Benway Series



IL QUADERNO CINESE



1. Perseveranti, pesiamo le parole. I sostantivi ricompensano gli oggetti per il significato. Il sedile in cielo è coperto di pelo. Nessun luogo è in contatto con il pianeta. 2. Ogni volta che passo davanti al garage di una certa casa gialla, mi salutano dei latrati. La prima volta che successe, sembrò percorrermi una paura istintiva. Non sono mai stato aggredito. Eppure credo fermamente che se aprissi la porta del garage dovrei affrontare un cane. 3. Chesterfield, sofà, divano, ottomana; queste voci si riferiscono allo stesso oggetto? Se è così, sono condizioni distinte di una stessa parola? 4. Da bambina mia madre chiamava “boppo” la presina, termine di cui si è appropriata l’intera famiglia, i miei cugini lo hanno tramandato ai loro figli. È una parola? Se alla fine si estenderà fino all’uso generalizzato, in quale momento lo diventerà? 5.

Il linguaggio è prima di tutto una questione politica.

6. Ho scritto questa frase con una penna a sfera. Se ne avessi usata un’altra, la frase sarebbe stata diversa? 7


7. Questa non è filosofia, è poesia. E se lo dico io, allora diventa pittura, musica o scultura, e va giudicata come tale. Se ci sono variabili da considerare, sono almeno in parte di natura economica, per esempio, la questione della distribuzione, ecc. E anche tradizioni critiche diverse. Potrebbe essere buona poesia ma cattiva musica? In realtà, credo proprio che non la proporrei come danza o pianificazione urbana, se non per scherzo. 8.

Questo non è linguaggio parlato. Infatti, l’ho scritto.

9. Un’altra storia, simile alla 2: fino ai vent’anni l’odore dei sigari mi disgustava. Inevitabilmente il forte aroma mi richiamava alla mente l’immagine della merda calda, umida. È un’associazione che, nemmeno con il senno di poi, sono riuscito a spiegare razionalmente. Poi ho lavorato come consulente legislativo al parlamento statale e il fumo dei sigari ce l’avevo intorno costantemente. Alla fine l’odore è parso dissolversi. Non l’ho più notato. Poi ho ricominciato a notarlo di nuovo, solo che stavolta lo associavo alla pelle scamosciata o al cuoio. Ecco come sono arrivato a fumare sigari. 10. Che dire di una poesia che manca di sorpresa? Che manca di forma, di tema, di sviluppo? Il cui linguaggio rifiuta l’interesse? Che si esamina senza curiosità? Sopravvivrà? 11.

Il rosa e il porpora potremmo chiamarli rosso.

12. Definizioni giuridiche. In alcune giurisdizioni, per esempio, nonostante il riconoscimento della colpevolezza, non 8


c’è condanna senza l’imposizione di una sentenza. Perciò una sospensione della sentenza con la libertà vigilata non sarebbe una condanna. Questo ha un effetto sostanziale sui titoli degli insegnanti, o sul diritto a esercitare la medicina o l’avvocatura. 13. Che questa forma abbia una tradizione diversa da quella che propongo, Wittgenstein, ecc., ho deciso di non contestarlo. Ma qual è il suo effetto sulla tradizione proposta? 14.

Il contributo di Wittgenstein è strettamente formale?

15. Possibilità di una poesia analoga ai dipinti di Rosenquist: il preciso dettaglio figurativo combinato in sistemi non oggettivi, formalistici. 16. Se questa fosse teoria, e non pratica, come farei a saperlo? 17. Qui tutto rifiuta una decisione estetica, il che, di per sé, è una decisione. 18. Ho scelto un quaderno cinese, con le pagine sottili da non ritagliare, ho voltato di 90° le sei colonne di righe rosse chiuse da linee curve sia in alto che in basso, per vedere come si può alterare la scrittura. È più piatta, più ariosa? Mentre le scrivo, le parole sono più grandi, coprono una superficie maggiore di questo piano a due dimensioni. Dovrei dunque tendere verso termini più brevi – effetto della pagina sul vocabolario? 9


19. Siccome scrivo in stampatello, procedo lentamente. Immaginati strati di aria sopra il pianeta. Quello più vicino al centro di gravità si muove più rapidamente, mentre quello sopra tende a trascinarsi. Lo strato inferiore è il pensiero e il pianeta, l’oggetto del pensiero. Dallo spazio però si vede quello che filtra attraverso l’aria esterna, più lenta, della rappresentazione. 20. Forse la poesia è un’attività e nient’affatto una forma. Questa definizione potrebbe accontentare Duncan? 21. Una poesia su un quaderno, su un manoscritto, su una rivista, su un libro, ripubblicata in un’antologia. Scritture e contesto sono diversi. Come può essere la stessa poesia? 22. La pagina destinata a registrare il parlato. Sembra proprio elaborata, come finzione! 23. Da ragazzo, andando in giro con i nonni per Oakland o in campagna, declamavo i segni che mi passavano davanti, indicazioni stradali, nomi di cittadine e tavole calde, cartelloni pubblicitari. Oggi mi sembra una forma elementare di attività verbale. 24. Se la penna non funziona, le parole non si formano. I significati non si manifestano. 25. Come faccio a dimostrare che le intenzioni dell’opera che sto scrivendo qui e la poesia sono identiche? 10


26. Anacoluto, paratassi: non c’è grammatica o logica grazie alla quale si possa ricostruire a parole e in maniera precisa la stanza in cui sono seduto. In effetti, se dovessi cercare di comunicarla a uno straniero, penso che gli farei vedere delle foto o che gli disegnerei una pianta dell’appartamento. 27. La tua esistenza non è una condizione di quest’opera che sto scrivendo qui. Tuttavia, diamolo come presupposto per un istante. Mentre leggi, ci sono altre cose che ti succedono. Senti il rubinetto che gocciola, o magari c’è un po’ di musica in sottofondo, o magari ancora chi ti sta accanto sta facendo uno di quei sospiri che denotano una notte in bianco. Mentre leggi, in testa ti scorrono lentamente vecchie conversazioni, senti le natiche e la spina dorsale a contatto con la sedia. Tutte queste cose devono certamente rientrare a far parte del significato di quest’opera. 28. Quando eravamo ragazzini e ragazzine di dieci anni e andavamo a scuola, scrivevamo temi e racconti e, se l’insegnante lo riteneva opportuno, li leggevamo alla classe. Lo spazio vuoto della pagina bianca sembrava proporre dimensioni infinite. Una volta fissato il primo termine, appariva subito l’intera forma. Più che crearla, sembrava che la scrittura la si dovesse trovare. Un giorno un alunno – si chiamava Jon Arnold – lesse un tema in cui descriveva le nostre reazioni all’ascolto della sua lettura. Fu allora che capii cosa significava scrivere. 29. Germano reale, anatra: se le parole cambiano, l’uccello resta lo stesso? 11


30. Com’è possibile che io immagini di poter tradurre in linguaggio quella sedia? Se ne sta lì, muta. Non sa niente di sintassi. Come posso tradurla in una cosa che intrinsecamente non possiede? 31. «Porre fine senza scrupoli di sorta». Significava uccidere. Oppure «abbiamo dovuto distruggere il villaggio per salvarlo». Condizioni speciali creano linguaggi speciali. Se ci teniamo a distanza, la loro irrazionalità appare evidente, ma sarebbe lo stesso se ci avvicinassimo? 32. La famiglia Manson, l’Esercito di Liberazione Simbionese. E se un gruppo cominciasse a definire il mondo percepito secondo un linguaggio complesso, internamente coerente e preciso (e tuttavia inesatto)? La sintassi stessa non potrebbe spingere la realtà di quel gruppo fino al punto in cui i suoi appartenenti non possano tornare alla nostra? Non è quello che è successo a Hitler? 33. Un’amica registra quello che sente, per esempio un pazzo in attesa del suo buono viveri, che dice a quelli che stanno in coda con lui «non riesco a capirlo, se siete brava gente o no». Come se atti linguistici del genere fossero indizi della verità del linguaggio stesso. 34. È gente confusa, quella che si dovesse appropriare di Dylan o Wittgenstein – sono mai esistiti due uomini più simili? – spacciandoli per poeti?

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35. E adesso? Novità? Tutte queste parole che si avvolgono l’una sull’altra come gli strati concentrici di una cipolla. 36.

Che cosa significa «riteneva opportuno»?

37.

La poesia è una forma particolare di comportamento.

38. Esaminala però in rapporto con altre forme. Assomiglia più a un’ubriacatura o più a un voto per corrispondenza? Serve a qualcosa conoscere la risposta a questa domanda? 39. L’inverno risveglia il pensiero, come l’estate stimola il ricordo. La poesia dev’essere una condizione delle stagioni? 40. Quello che alla fine ognuno di noi cerca: arrivare a una qualche forma di “cattiva” scrittura (per esempio, 31-34?) che sia una forma di “buona” poesia. Soltanto quando ce la faremo, saremo in grado di definire cosa sia. 41.

Il parlato ti dice soltanto chi parla.

42. Le analogie tra la poesia e la pittura finiscono sempre per equiparare la pagina alla tela. Serve a qualcosa questa finzione? 43. Oppure prendiamo la cosiddetta lingua normale e cambiamo ogni termine in maniera sottile. È un linguaggio che si rinnova o è pura decorazione?

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44.

Poeti del sintagmema, poeti del paradigma.

45.

La parola nel mondo.

46. Percezione formale: che questa sezione, a causa della brevità delle due precedenti, debba essere ampia, piena di commenti e di questioni, in grado di generare non aforismi ma sottili distinzioni, magari la frase di un progetto modulare, con i verbi sistemati dentro le varie proposizioni come tante casette disegnate sul fianco delle montagne in certi grandiosi paesaggi cinesi, in grado cioè di permettere alla mente che scorre i meccanismi e i cardini del progetto di rilevare come i termini siano stati scelti all’interno del paradigma “ampio, enorme, vasto, grande, grandioso”, per rima e in anticipo su “paesaggio”, con il tempo stesso segnalato dalla ripetizione. 47.

Ci siamo davvero allontanati tanto da Sterne o Pope?

48. Il linguaggio come mezzo mi attrae perché lo metto sullo stesso piano degli elementi che, nella coscienza, considero intrinsecamente umani. Per esempio, la pittura e la musica possono anche coinvolgere direttamente i sensi, ma soltanto se mettono in ordine delle situazioni esterne allo scopo di provocare reazioni specifiche (o generiche). Magari, della pagina, mi faccio un’idea come di una forma per non considerarla semplicemente come l’ennesima manifestazione di questo dato “oggettivo”. Ho conosciuto scrittori che si credevano capaci di far scomparire la pagina.

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49. Tutto quello che ti senti in testa, nel cuore e in tutto il corpo quando leggi queste cose, è esattamente quello che sono queste cose. 50. Bruttezza contro banalità. In definitiva sono entrambe affascinanti. 51. Il tempo è un asse singolo. Spesso mi piacerebbe prolungarlo, farlo sentire, una cosa talmente lenta che anche lievi alterazioni (sillabe corte contro sillabe lunghe, ecc., gruppi di allitterazioni…) possono farla apparire più grande, non un verso (o un respiro) ma la pulsazione, il sangue nei muscoli. 52. L’etimologia in poesia: fino a che punto è nascosta (cioè presente e sentita, ma non percepita consciamente) e fino a che punto perduta (cioè non percepita né sentita, nemmeno consciamente)? Qui la tradizione joyciana si basa su un falso presupposto analitico. 53. La possibilità di pubblicare quest’opera fa automaticamente parte della scrittura? Altera le decisioni nell’opera? Avrei potuto scriverla se non fosse così? 54. Scopro sempre più che l’arte degli oggetti non ha niente di nuovo da insegnarmi. Vale anche per certi tipi di poesia. Il mio interesse per la teoria del verso ha i suoi limiti. 55. Il presupposto è il seguente: posso scrivere così e “passarla liscia”. 15


56. Quando le condizioni economiche peggiorano, la stampa diventa proibitiva. Gli scrittori pongono meno enfasi sulla pagina o sul libro. 57. «È proprio soddisfatto che gli altri scrittori lo considerino un poeta». Che vuol dire? 58.

E se non ci fossero altri scrittori? Come scriverei?

59.

Immagina un significato smussato, mai preciso.

60. È il linguaggio a creare categorie? Come se ogni mela fosse la definizione proposta di un certo termine. 61. La poesia come stato emotivo o intellettuale. Chi è che ci può credere? Cos’è che può indurre a crederci? E anche, cos’è che può indurre ad abbandonare questo punto di vista? 62. L’idea stessa dei margini. Una convenzione utile per fissare le forme, magari il primo elemento visivo dell’ordinamento, quello che addirittura precede la normalizzazione della grafia. A che serve ormai, se non a facilitare soltanto il lavoro dei tipografi? I margini non sembrano inerenti al discorso, ma potrebbe anche darsi che non sia così. 63. Perché il concetto di margine destro è così debole nella poesia della civiltà occidentale?

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64. Supponiamo che cercassi di spiegare una teoria del margine a chi parla mandarino o shasta: come la potrei giustificare? Probabilmente, essendo una specie di decisione, la potrei mettere a confronto con la rima. Oppure potrei accennare alla possibilità di rendere maiuscole le lettere lungo il margine. Se volessi, qui potrei lavorare “a ritroso”, mostrando come a margine si potrebbero collocare verticalmente degli acrostici muti e giustificarne l’esistenza partendo dalla loro sola posizione? E se nella sua lingua madre la persona a cui lo sto spiegando non avesse né un alfabeto, né una scrittura? 65. Saroyan e, in maniera più completa, Grenier hanno dimostrato che non esiste alcuna distinzione utile tra linguaggio e poesia. 66. In determinate condizioni ogni evento linguistico può essere poesia. La questione riguarda dunque quali siano queste condizioni. 67. Con il semplice atto di nominare – Il quaderno cinese –, ci si ritrova allo stesso tempo all’interno di un processo e all’interno di un contratto. Nonostante questo, ogni sezione, come questa, deve essere inventata, non procede automaticamente da determinati enunciati precedenti. In realtà, potrebbe anche essere così. 68. Non ho mai visto una teoria della poesia che comprendesse adeguatamente una subteoria della scelta.

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69. Poi c’è la questione dei ritmi e delle abitudini di lavoro. Da ragazzo, dopo cena piazzavo sempre la macchina da scrivere di casa – era antica e pesante – sul tavolo della cucina, battevo o scrivevo furiosamente – era quasi una scrittura automatica – finché non era il momento di andare a letto. Una volta sposato, ho continuato a scrivere di sera, come se non fossi capace di cominciare finché ogni informazione della giornata non avesse raggiunto una certa soglia, una soglia che potevo misurare con la stanchezza. In tutti quegli anni, non sono riuscito a lavorare su una determinata cosa per più di una singola seduta – condizione che attribuivo alla mia capacità di attenzione –, anche se, in alcune particolari occasioni, “una singola seduta” poteva protrarsi per quarantotto ore. Da allora c’è stato un cambiamento. Di recente, ho preso a scrivere su dei quaderni, per periodi prolungati (in un caso, addirittura cinque mesi), e di mattina, spesso prima di colazione, a volte anche prima dell’alba. Al posto della stanchezza dei dati sensoriali digeriti, la condizione mentale in cui lavoro è la lucidità da cervello svuotato che segue il sonno. 70.

Quest’opera manca di astuzia.

71. Un ramo della teoria proiettivista sosteneva l’idea che la forma di una poesia potesse corrispondere all’io fisico del poeta. Un uomo magro avrebbe usato versi brevi e uno enorme avrebbe scritto estesamente. Kelly, ecc. 72. Secondo la teoria di Antin, nella storia recente delle forme progressive (lui stesso, Schwerner, Rothenberg, MacLow, 18


Higgins, gli scrittori della casa editrice Something Else e altri) è diventato chiaro che soltanto determinati ambiti producono opere “di successo”. Non ha però indicato quali sono questi ambiti, né ha definito in maniera sufficiente il successo. 73. Una definizione sociale di poeta di successo potrebbe essere quella di qualcuno la cui opera è, in sostanziosa parte, disponibile alla vendita, in modo tale che un lettore interessato possa cogliere la portata dell’insieme, anche solo a grandi linee e senza conoscere lo scrittore. 74.

Se ti annoia, lascia perdere.

75. Quello che è successo alla narrativa è stato un mutamento della sensibilità pubblica. Il lettore generico non è più portato a identificarsi con il personaggio di una storia, ma con il suo autore. Di conseguenza, il vero elemento narrativo diventa lo sviluppo della forma. Il vero dramma delle Armate della notte di Norman Mailer, tanto per citare un libro, sta nella domanda: questo libro funzionerà? Nel cinema, mezzo più naturalmente narrativo della prosa, questa condizione è immediatamente evidente. 76. Se sono nel giusto credendo che questa sia poesia, dove sta la sua somiglianza di famiglia con Il preludio, per dire? Nell’attraversare le Alpi. 77. La poesia come codice o come moda. Il primo lo devi “rompere”, mentre l’altra richiede la decisione di seguirla o no. 19


78. Anche non scrivere (e qui non intendo scartare o rivedere) fa parte del processo? 79. Mi stupisce sempre il fatto che molti scrittori scrivono le poesie che avrebbe scritto la persona che loro vorrebbero essere. 80. E se la scrittura servisse a rappresentare tutte le possibilità del pensiero, e nonostante questo qualcuno potesse o volesse scrivere soltanto in particolari condizioni, in particolari stati mentali? 81. Ho visto poesie considerate o percepite come dense e difficili da portare a termine, diventare ariose e “leggere” una volta riposizionate sulla pagina, su un piano bidimensionale. Quest’operazione, quanto altera il contenuto? 82. Certe forme di “cattiva” poesia sono interessanti perché la scrittura, quando è inetta, blocca la referenzialità e rivolta le parole e le frasi contro sé stesse, un’autonomia del linguaggio, questa, che caratterizza la scrittura “migliore”. Ci sono particolarmente portate alcune forme di surrealismo sciatto o di scrittura automatica pseudo-beat. 83.

La proposizione artistica designata.

84. Si può usare l’intrinseca referenzialità delle proposizioni come certi artisti “pop” (penso qui a Rauschenberg, a Johns, a Rosenquist, ecc.) usavano le immagini, sfruttandole come elementi per una cosiddetta composizione astratta. 20


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