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Emotional eating Quando il cibo serve per non sentire le emozioni
emotivi, emotional eating (fame emotiva). Ne abbiamo parlato con la dottoressa Pamela Tassetti, psicologa e psicoterapeuta.
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Dottoressa Tassetti, che cos’è la fame emotiva? Si tratta di un disagio alimentare molto diffuso, ma che solo poche persone sono consapevoli di manifestare. La fame emotiva viene spesso confusa con l’essere golosi o con l’avere un grande appetito, perché porta a mangiare oltre il proprio senso di sazietà. Questo desiderio di mangiare non parte però dallo stomaco, ma è connesso a particolari emozioni che la persona fatica a gestire. Al posto che indagare le cause di queste emozioni e cercare di capirle, è più facile trovare un modo alterativo per metterle a tacere. La fame nervosa è proprio questa via alternativa perché il cibo diventa un mezzo veloce e facilmente disponibile per placarle, anche se solo per un sollievo apparente e temporaneo.
Quali emozioni in particolare la provocano?
Solitamente gli stati emotivi da cui scaturisce la fame nervosa sono quelli che consideriamo ingombranti, spiacevoli e che la nostra società etichetta come negativi. I principali sono tristezza, paura, ansia, rabbia, solitudine e stanchezza. Ci sono persone che hanno più difficoltà di altre a riconoscere e accettare questi stati d’animo. Per loro il cibo può diventare un mezzo per arginare ciò che provano, per non sentire.
Quali sono i cibi “preferiti” da chi soffre di fame emotiva?
La fame emotiva è improvvisa e pretende di essere subito soddisfatta. Per questo motivo si riversa su cibi specifici, pronti da consumare come un pacchetto di patatine, una confezione di biscotti, una se - rie di snack o di merendine. A volte potrebbe direzionarsi anche su un mix di dolce e salato, come una tavoletta di cioccolato consumata insieme a del pane o della frutta secca. Caratteristiche della fame emotiva sono la voracità e l’assenza di controllo nel consumo del cibo. Così facendo la persona tende a mangiare in eccesso, sentendosi poi male sia fisicamente (nausea, gonfiore, pesantezza…) sia mentalmente (senso di colpa, fallimento, frustrazione, tristezza…).
Come si può contrastare o limitare il problema?
Se questo comportamento alimentare si ripercuote negativamente sulla vita quotidiana (compromette la salute fisica, il tono dell’umore, porta a chiudersi in se stessi e a evitare la socialità) il punto di partenza per affrontarlo è quello di ammettere di avere una difficoltà e contattare uno psicologo esperto in ambito alimentare. Non bastano la famiglia o gli amici, il cui supporto è sicuramente benefico, ma si ha bisogno di un professionista che possa aiutare a trovare le giuste risorse mentali e comportamentali per affrontare e gestire queste emozioni.
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