Impaginazione shalom marzo 2013

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L’ACCOGLIENZA RIDISEGNA LA COMUNITÀ LUIGI VALENTINI

La ricorrenza trentennale di Betania mi porta ancora ad alcune conside-

razioni che nascono dalla lettura del tempo passato per comprendere e per guardare con più sapienza al futuro. Ma il tempo in sé non è altro che una successione di fatti, di parole, di persone e di coincidenze che hanno accompagnato il nostro esistere procurando emozioni diverse: soddisfazioni, perplessità, preoccupazioni e talvolta anche ansie, stanchezze e paure. Volendo ripercorrere il passato cercando un filo conduttore viene alla mente una parola chiave, che ci ha sempre accompagnato con tutti i suoi risvolti: accoglienza. Anche nella definizione dei contenuti e dei valori fondamentali di Betania abbiamo deciso e scritto fin dall’inizio: “L’accoglienza ridisegna la comunità”.

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Con gli occhi dell’esperienza ora possiamo entrare più dentro al concetto di accoglienza. Accogliere chi, accogliere perché, e chi accoglie in quale posizione si pone? Anzitutto per Betania ha voluto dire aprire le proprie porte, fare spazio a chi arriva, essere disposti a modificare il proprio ritmo di vita. Accoglie chi ha consapevolezza di non essere completo ed è disposto al cambiamento. Accoglie chi non si preoccupa di modificare alcune abitudini e di giocare qualcosa delle proprie sicurezze. Accoglie chi è curioso, chi sa incontrare nell’altro un compagno di strada, senza perdere la propria identità e la propria certezza di essere colui che accoglie e non colui che è accolto. La sua fede nella vita, la motivazione profonda che lo porta a prendersi cura lo rassicura anche davanti alle eventuali incertezze e imprevisti. E chi è accolto è sempre uno straniero. Uno che ha lasciato, anche solo temporaneamente, la propria terra, la propria casa, le proprie abitudini di vita. È spesso uno scoraggiato o uno sconfitto che porta tracce confuse di una identità compromessa e ferite dolorose di esperienze devastanti, con tanti abbandoni e tanta solitudine. L’ACCOGLIENZA PORTA AL CAMBIAMENTO L’essere accolto non basta a garantire un maggior benessere: ci vuole tempo ed esperienze che nascono dal conoscersi per investire in un cambiamento che sia certezza di miglioramento. L’accoglienza dunque non è un gesto generoso e occasionale; è qualcosa che modifica inevitabilmente la vita degli uni e degli altri. Ci può essere un pericolo, quello presente in alcune istituzioni totali come il carcere dove vige la forza indiscussa della norma, della legge. Questa definisce ruoli, compiti e responsabilità. Tuè qualcosa che modifica tela anche con la repressione, ma certamente non consente inevitabilmente la vita una opportunità reale di camdegli uni e degli altri biamento, perché il rapporto tra chi accoglie e chi è accolto è mediato e garantito dalla norma. Anche in casa nostra, in qualche circostanza in cui sembrava che le persone accolte compromettessero l’equilibrio della vita quotidiana e mettessero a rischio la stessa identità della comunità è emerso il desiderio di trovare tutela e sicurezza in norme più precise. La legge è strumento utile e necessario nelle convivenze collettive nella misura in cui viene continuamente condivisa, aggiornata e assunta come reciproca responsabilità e utilità.

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UNO SGUARDO AL CONTESTO L’avventura di Betania è una storia lunga trent’anni che si rispecchia inevitabilmente nel contesto in cui è nata e cresciuta. La Chiesa di Parma, negli anni '80, era guidata dal giovane e amato Vescovo Benito Cocchi, che ha dato una forte spinta perché il contesto ecclesiale locale assumesse forme evidenti di carità. Anche nel territorio nazionale si sono avviate in quegli anni da varie parti iniziative nuove di carattere sociale indirizzate a perso-

ne in situazione di marginalità e di pericolo, le cosiddette nuove povertà. Il mondo del volontariato, come quello della cooperazione sociale e del terzo settore, si è attrezzato, diventando un soggetto politico più compatto con il desiderio, pur con forme diverse, di offrire un intervento strutturato a favore dei più deboli e con l’obiettivo di generare una nuova cultura di attenzione e di solidarietà.

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In quegli anni a cavallo tra il 1970 e il 1980 sono così nati coordinamenti, consorzi e collaborazioni tra i servizi operanti e cresciuti in quegli anni; hanno cominciato a prendere consistenza anche diversi tavoli a livello locale, poi regionale fino ad avere tavoli a livello di governo nazionale tra istituzioni ed enti del privato sociale. In tutti questi anni, a periodi alterni a seconda delle ideologie dei politici che si sono succeduti, questi tavoli sono diventati spazi di progettazione e di confronto. Probabilmente il logorio del tempo, il succedersi delle persone, il modificarsi delle disponibilità economiche e probabilmente una innata arroganza di chi detiene comunque il potere, non ha portato a maturazione quella forma di integrazione e di corresponsabilità che sembrava la forza nuova trainante in periodi passati. Il rapporto è rimasto pertanto parziale, in buona parte di sudditanza verso le istituzioni che spesso scelgono, modificano e determinano modalità di intervento non sempre e non completamente condivise. La crisi economica diffusa è diventata spesso l’unica spiegazione alla riduzione degli interventi a scapito di chi ha veramente bisogno. UN PROGETTO AMBIZIOSO Nel contesto locale, le nostre realtà di comunità e di privato sociale ritengono di avere competenze ed esperienza per dare un contributo significativo. Il sevizio maturato da lungo tempo, la precarietà dei mezzi avuti a disposizione anche in tempi più fortunati di questi ci hanno abituati ad uno stile di vita e ad una modalità orgad’intervento sobria e La pronta risposta alle nizzativa molto mirata. La pronta rispopersone in difficoltà è ri- sta alle persone in difficoltà è rimasta sempre la priorità masta sempre la priorità di ogni scelta e decisione. di ogni scelta e decisione Guardando al futuro nell’ottica della situazione attuale, convinti che i mezzi disponibili vadano meglio impiegati per non fare pagare il prezzo della povertà a chi è già gravemente svantaggiato è sicuramente un dovere che Betania si assume. Con questa certezza che ci viene dalla storia di trent’anni rimaniamo al nostro posto disponibili a collaborare con tutte le realtà che si occupano del disagio e della sofferenza delle persone più deboli, convinti che solo un sapiente lavoro di rete, fatto a più mani, dove le diverse responsabilità sappiano riconoscersi, può produrre progetti importanti anche in tempi difficili e di crisi.

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LA PRESENZA DEI NONNI BEPPE SIVELLI

Sappiamo che ogni volta che nasce un bambino nascono due genitori e

quasi sempre quattro nonni. Quel bambino diventa figlio e nipotino. Il ruolo dei nonni esiste solo nella nostra specie umana. La scienza umana, la medicina, non sono ancora riuscite a scoprire se sono i nonni che servono ai nipotini per crescere o se sono i nipotini che servono ai nonni per invecchiare felici. Forse queste due età poste agli estremi dell’esistenza integrano armoniosamente il mistero della vita, quella che è appena incominciata e quella che si sta concludendo. Così nonni, genitori, figli, nipotini, tutti insieme rendono tangibile il nostro ciclo di vita. Perché a volte è difficile armonizzare questi due ruoli genitori e nonni? Qualcuno affermava che si possono vivere tante vite, quanti sono i linguaggi conosciuti e parlati. Occorre andare sempre dall’altra parte per capire cosa c’è dall’altra parte, occorre imparare il linguaggio dell’altro per intendersi e scoprirne la sua ricchezza. Nel mondo attuale e nella famiglia è facile trovarsi di fronte alla solitudine delle persone anziane, a causa di Il ruolo dei nonni esiste vari pregiudizi fatti di non puoi solo nella nostra specie che ne impediscono un aperto confronto e una reciproca umana accettazione. Esaminiamo alcuni di questi non puoi: ❙ sta attento a quello che mangi, non è detto che un anziano debba alimentarsi in modo particolare, salvo che abbia certe patologie; un'alimentazione regolata è buona norma per qualunque età; ❙ va a letto presto, per quale motivo un anziano dovrebbe andare a riposare a determinate ore; ❙ non fare il matto, non essere ridicolo, perché un anziano non può avere un’amicizia, chi può decidere il termine cronologico entro cui devono nascere, crescere, declinare e scomparire le emozioni, gli affetti, i sentimenti? L’amicizia, la solidarietà, la colleganza, i rapporti interpersonali possono e devono durare tutta la vita; ❙ non guidare la macchina, questo è valido se uno avesse dei grossi pro-

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blemi di vista e mancanza di riflessi. Altrimenti vale quello che vale anche per gli altri la prudenza e il rispetto delle regole stradali; ❙ è meglio non dirglielo, non dirgli niente, è meglio lasciarlo a casa, perché non farlo partecipe di quello che succede nella vita? Perché non vogliamo fargli del male! Per non preoccuparlo. Ma così la sua vita diventa meno umana.

Ci può essere per i nonni la difficoltà di accettare modi di vita, abitudini diverse dalla coppia genitoriale, difficoltà che si aggrava per la scarsità di tempo disponibile per la conversazione con i figli. E così la mancanza di confronto crea isolamento tra le generazioni. È bello che i nonni raccontino i tempi in cui erano loro a fare i genitori ma senza pretendere di essere imitati dai loro figli, perché loro hanno il diritto di creare le proprie modalità genitoriali. Ogni bambino non dovrebbe confondere i due ruoli. Sbaglierà e si comporterà come un figlio solo se i nonni sbaglieranno e si comporteranno con lui come genitori. Per finire un consiglio alle persone anziane: siate gentili con i vostri figli saranno loro che sceglieranno il vostro ospizio.

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IL RINCALZO GENERAZIONALE ANDREA BRANCHINI

Ma chi sono questi giovani tanto nominati, sulla bocca di tanti che li dipin-

gono come la risorsa fondamentale per il futuro della società? E a parte chi sono, da quale porta devono passare per poter davvero riuscire ad avere parola e senso nei giorni a venire? Un luogo comune e ormai altrettanto retorico ha imperversato per anni attraverso quell’imperativo “largo ai giovani!” forse più indicato per momenti ludici o di un'importanza minore rispetto ai ruoli di gestione e responsabilità. E poi forse bisognerebbe decidere qual è la fascia di età che definisce la categoria giovani; sì perché quando si è maggiorenni i giovani sono gli adolescenti, quando si è adulti i giovani sono i ventenni e quando si è nella cosiddetta terza età i giovani sono i quarantenni. È un po’ come quando si parla del sud del mondo; c’è sempre qualcuno che è più a sud del mondo in cui vivi e quasi sempre ciò non è solo un'indicazione geografica ma anche sociale. Per definizione e forse per abitudine il sud del mondo è visto come più povero, meno alfabetizzato, le creatività, le nuove meno sviluppato e meno sano del nostro. L’Italia ha il suo espressioni o i linguaggi meridione e la stessa Italia è innovativi spaventano il meridione dell’Europa, però l’Europa ha sotto di sé il suo anche solo perché nuovi bel continente nero che ne salva la reputazione! Non sarà forse che il mondo dei quarantenni di cui parlavo prima sono un po’ il sud del mondo della generazione successiva e di quella dopo ancora? Si parla di ricambio generazionale, di ricambio nella classe dirigente ma non c’è mai un vero investimento; le creatività, le nuove espressioni o i linguaggi innovativi spaventano anche solo perché nuovi. Si vive di ricordi, ci si siede sul passato, sulle auto-commemorazioni e si è portati a pensare più a ciò che si è fatto dando pochissimo valore e tempo alla progettualità futura. Ma se si parla di ricambio viene da sé che alcune persone devono lasciare

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ed altre devono prendere. È comprensibile uno spazio in cui ci si accompagna, si passa un testimone, si danno indicazioni ma poi bisogna dare libertà e respiro. La cronaca politica di questi giorni ci ha dato una visibile prova, ammesso ce ne fosse ancora bisogno, di questo mondo così impantanato su se stesso. Queste poltrone tenute strette coi denti, i costi che non si vogliono abbassare, le idee ormai vecchie e rinsecchite che devono prevalere sempre e comunque. E appena si intravede un po’ di novità, di futuro diverso, di qualcuno che emerge e che se non altro non potrà fare peggio di chi lo ha preceduto, si alzano le palizzate e le trincee. Giriamo intorno, sempre gli stessi discorsi ormai obsoleti e completamente avulsi dalla realtà pur di fermare nomi e facce nuove. Troppo facile portare le persone, le famiglie, i deboli e i fragili (almeno socialmente) allo stremo e poi meravigliarsi della ribellione, della protesta e in alcuni casi della follia. Troppo comodo pensare che il problema è sempre degli altri e che chi invece ha quel maledetto potere di decidere e di fare sempre e comunque come vuole non abbia responsabilità. Stavolta lo spettacolo dato dal parlamento, dal dopo elezioni, da quella settimana vergognosa vista nei palazzi romani dove nessuno era in grado di decidere qualcosa di vero e concreto per il paese ma ci si rincorreva nei cortili, zizagando tra i giornalisti eccitati dal braccare questo o quel parlamentare per strappargli un’opinione probabilmente inutile, stavolta era proprio difficile difendere l’indifendibile. Giorni e giorni in cui, senza un senso logico se non quello di salvaguardare le proprie personali posizioni e non certamente quello di ripensare ad un paese nuovo, sembrava di giocare coi nomi. Dai votiamo quello... non va bene, proviamo con quell’altro... niente neppure questo, allora tentiamo questo... e il vincitore è... nessuno! Ultimamente la frase che si utilizza più spesso quando non si vuole cambiare

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le cose seriamente è “e ma sai, non ci sono i soldi”. Non è vero. Per riorganizzare alcuni sistemi di gestione, per dare a tanti la possibilità di crescere e fare esperienza, per regalare una ventata di novità e rinnovamento non ci vogliono i soldi; ci vuole la volontà, ci vuole fiducia, bisogna credere nelle persone e nelle loro azioni. Cito Luca Goldoni da “Se torno a nascere” del 1983! […] Il cancro della vita politica italiana non è la sete di potere, ma il nulla che segue la conquista del potere: chi ce l’ha se ne serve quasi esclusivamente per difendersi da chi vi aspira. E da Roma questo stile è arrivato in periferia: non c’è ospedale di paese, non c’è aziendina di soggiorno, non c’è consiglietto comunale in cui un minidonatcattin, un minisignorile, un minipietrolongo non Non si può pensare di rincompia le sue mosse per occupare un posto, o piazzarci novare senza cambiare, i suoi “bracci destri” facendo non è possibile modificare la forca agli avversari esterni o interni. Anche in questo caso lasciando tutto uguale non c’è un disegno di potere, ma il disegno è il potere. Per un po’ ho sperato nel ricambio dei giovani. Ma appena entrati nel sistema imparano la lezione. Non sono un ricambio sono un rincalzo. Questo nuovo governo almeno sulla carta ci ridà qualche speranza; nomi nuovi, donne, persone competenti, per la prima volta un ministro per l’integrazione di colore, un abbassamento dell’età anagrafica (media 53 anni) a cominciare dal premier e finalmente la sparizione delle solite facce trite e ritrite. Ma quanto tempo per scrollarsi di dosso qualcuno, quanta fatica per fidarsi di altri, quanti compromessi al ribasso. E non pensiamo che questa nuova squadra abbia vita facile, non tanto per l’enormità dei problemi da affrontare quanto più per le continue pressioni a cui dovrà essere sottoposta dai vecchi marpioni della politica. Sì perché nella vita politica come nel mondo del lavoro, della sanità, della scuola e della cultura ci sono persone che sono degli highlander, degli immortali; tu pensi di averli sepolti per sempre, di essertene finalmente liberato ma non è così. Forse non aveva tutti i torti Califano a far scrivere sulla sua tomba “Non escludo ritorno”, per quanto fosse un pensiero sorridente è un po’ schizofrenico lasciato ad amici e parenti. Non si può pensare di rinnovare senza cambiare, non è possibile modificare lasciando tutto uguale, sembra un banale controsenso ma forse qualcuno vorrebbe davvero riuscire a non toccare nulla e sperare che solo il tempo

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faccia il lavoro. Ogni novità ha un prezzo però ha anche un miglioramento, si pensa spesso che i cambiamenti portino con sé solo dolore e sofferenza, fatica e rigidità ma non si pensa mai ai risultati, in alcuni casi anche al risparmio economico. Manca la lungimiranza, la visione nel lungo periodo perché si ha paura anche solo di non riuscire a controllare un solo giorno. Una volta tanto la mossa sbalorditiva l’ha fatta la Chiesa; così tanto contestata (giustamente per molti aspetti), lontana dai fedeli e dai laici, preoccupata di apparire solo come una grande mano giustizialista e moralista fatta anche di sacerdoti scomodi e dai dubbi comportamenti, ha avuto il coraggio di dare una sterzata brusca. Il vecchio capo si è fatto da parte e francamente non è importante sapere se i motivi sono più personali o “aziendali” ed è stato eletto un nuovo capo davvero nuovo, con linguaggi e gesti nuovi, che ha ridato subito senso alle parole e alla lista delle priorità. Ci saluta col buongiorno e ci augura buon appetito, ci dice che sogna una Chiesa povera per i poveri e ammette perfino che la banca vaticana non deve esistere per forza. Capisco che chi lo ha votato poteva pescare un nome proveniente da ogni parte del mondo e che quindi la lista dei candidati era ampia, ma possibile che in Italia non esistano persone capaci di ridare slancio nello stesso modo alla politica, all’economia, all’istruzione con la stessa chiarezza e sobrietà? Oppure possibile che queste persone esistano ma non abbiano la possibilità di emergere e di mettere liberamente a disposizione le loro qualità sia a livello individuale che come nuova cosiddetta classe dirigente? Stiamo attenti... stiamo attendi davvero.

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L’EDUCATORE DI COMUNITÀ TRA CUORE E TITOLO DI STUDIO CATERINA POZZI

La comunità è soprattutto un sistema di relazioni. Un contesto capace

di dare ai bambini, ai ragazzi, agli adulti accolti una relazione attenta, specifica, calda in cui riconoscersi e nel quale riconoscere adulti capaci e disponibili a mettersi in discussione, a mettersi e rimettersi in gioco nel quotidiano vivere con l’ospite in comunità. Lo specifico della comunità è dunque la ricerca appassionata e continuamente rinnovata della dimensione relazionale intensa che comprende chi accoglie e chi è accolto ma anche chi accoglie e il contesto sociale, le Istituzioni. Una dimensione relazionale che sostiene ed esprime il sistema di corresponsabilità dei soggetti in gioco. La prima competenza dell’educatore deve essere quindi quella della relazione. Saper essere, dunque sapere chi si è, saperci essere. Questo lavoro richiede di essere consapevoli di se stessi, di non proiettarsi e confondersi con l’altro. Richiede di essere capaci di assumere e mantenere nel tempo, con disponibilità e responsabilità, compiti La prima competenza di cura e di promozione attraverso la relazione nella dell’educatore deve essere quotidianità. quindi quella della relaIl fatto è che serve una sensibilità da monaco, un equizione librio da cabarettista e un cinismo da paramedico, per fare l’educatore (…). La dolce E a pranzo, ha detto che non siamo dei demiurghi, credo abbia usato queste parole. Secondo lei quelli che reputano l’educazione un mestiere impossibile sono schiacciati dal proprio desiderio

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di potenza. Vorrebbero modellare i ragazzi a loro immagine e somiglianza, ma non ci riescono. (Fabio Geda, L’esatta sequenza dei gesti). In quanto intensa esperienza relazionale, il lavoro dell’educatore e il lavoro sociale più in generale, si connota principalmente come presenza, prima ancora che attività. Nel lavoro di comunità le aspettative tra le persone si dilatano, passano dal “cosa fai tu per me?” al “chi sei tu per me?” e all’educatore è richiesto un coinvolgimento che non può esaurirsi con la sola competenza tecnica nell’erogare prestazioni. L’assunzione di responsabilità nei confronti di chi accogliamo è forse una delle modalità più autentiche che abbiamo per definire la nostra identità e per orientarci nel nostro percorso esistenziale. Chi sono io educatore? Sono una persona che si è assunta responsabilità verso altre persone, altri contesti. Sono uno che fa la promessa di esserci. In questa prospettiva, ciascuno percepisce se stesso come un altro tra gli altri (equipe, gruppo degli ospiti) in un continuo processo di scambio nel quale il prendersi cura è un requisito fondante il proprio stesso esserci. La professionalità dell’educatore di comunità si esprime nella capacità di sapere integrare, quali elementi stessi della professionalità, la motivazione e la competenza nella strutturazione e gestione della relazione educativa,

Un gruppo di ragazzi della Comunità La Rupe

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tra cuore e titolo di studio, nella consapevolezza che la sintesi virtuosa del “lavoro educativo” sta proprio nella capacità di assumere le tecniche e le metodologie quali riferimenti fondamentali, flessibili attraverso cui proporre, riproporre e ri-significare la relazione educativa in ogni singolo progetto, in ogni singola storia. In comunità è la quotidianità, è la vita di tutti i giorni che caratterizza l’agire educativo. Ed è nel dare senso alla quotidianità e al contesto di vita, che si esprime la competenza professionale specifica dell’educatore e della relazione educativa, quale elemento cardine della professione stessa. Una professionalità, dunque, non certificata da tecnicismi un po’ rigidi e decontestualizzati, aprioristicamente definiti, ma che esprime soprattutto competenza relazionale e capacità di accogliere – di lavorare con – diversi contesti di criticità e problematicità sul piano individuale del singolo progetto educativo, ma anche sociale, normativo, istituzionale. Nel lavoro di comunità è fondamentale attribuire valore alla corresponsabilità sostenuta attraverso il lavoro di equipe; occorre infatti porre attenzione a come viene garantita agli educatori la possibilità di crescere all’interno della comunità, a come viene facilitato il lavoIn comunità è la quotiro di gruppo e individuale quale opportunità di crescita dianità, è la vita di tutti professionale. È quindi imi giorni che caratterizza portante porre attenzione a percorsi di formazione perl’agire educativo manente e di supervisione strutturata, al fine di curare e sviluppare percorsi di consapevolezza e di appartenenza, di sostegno alla motivazione, percorsi capaci soprattutto di aumentare le competenze personali e professionali per affrontare i cambiamenti e le nuove richieste che accogliamo ma anche limitare il turnover, dando stabilità nel tempo alle relazioni e ai legami interni ed esterni alla comunità. Oggi è arrivato L. un nuovo collega, che dovrebbe essere il quinto dell’equipe se non scappa in settimana inseguito dai nostri bracconieri. Speriamo, speriamo, speriamo. Siamo stremati da questo infinito turnover. Ma qual è il problema? Il problema è che l’educazione non è una scienza esatta. I troppi dati mutevoli pretendono continuità. Perché quando le cooperative sociali potevano assumere chi ritenevano più adatto, indipendentemente dal titolo di studio, la gente stava di più? (Fabio Geda, L’esatta sequenza dei gesti).

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È importante riprendere con coerenza e continuità il confronto dialettico con gli ambiti accademici della formazione universitaria, affinché vengano ripensati i contenuti e l’iter previsti per la stessa formazione accademica in riferimento alle professioni sociali ed educative, così da colmare la distanza, ad oggi presente in alcuni casi, tra il luogo della formazione universitaria e l’ambito di espressione professionale. Ci sembra che a volte, la ricerca e le riflessioni proposte dall’elaborazione dell’esperienza abbiano espresso definizioni di ruolo e contenuti professionali ancora poco e faticosamente raccolti e riproposti in sede universitaria. Il rischio è che venga mantenuta una pericolosa discrepanza tra un “sapere teorico” ed una “complessa e diversificata qualità del sapere elaborativo-esperienziale”, con la conseguenza di contribuire a determinare una sorta di fragilità e debolezza della stessa professione educativa, percepita come distante dal compito cui è chiamata. È necessario riflettere a fondo sul senso del nostro lavoro e su cosa significhi fare progetti e programmi per le persone. Sappiamo di non avere a che fare con un oggetto inerte che possiamo formare, cambiare, condurre. L’altro è colui che si sottrae alle nostre previsioni e incontrarlo autenticamente può significare aprirsi alla vertigine della differenza, mettendoci ogni volta di fronte ai nostri limiti e ricercando continuamente nuove modalità di comunicazione e di scambio. Le persone possono cambiare ma noi non possiamo cambiare i modi e i tempi del cam- le persone. Possiamo lavorare per rendere possibile una biamento personale non trasformazione dei problee della sofferenza delle sono mai prevedibili e mi persone. Possiamo lavorare tanto meno appaiano sulle condizioni ambientali e su noi stessi. Tuttavia determinati direttamente molto non è affatto detto che il dalle nostre azioni inten- cambiamento delle persone avvenga. La realtà quotidiazionali na è che i modi e i tempi del cambiamento personale non sono mai prevedibili e tanto meno appaiano determinati direttamente dalle nostre azioni intenzionali. Noi possiamo esserci, stare con loro … il lavoro dell’educatore richiede quindi anche la capacità di aver fiducia, una fiducia gratuita, in gran parte non giustificabile razionalmente. Richiede un rispetto incondizionato per la libertà dell’altro.

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dossier FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI 15


dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI»

RICONOSCERE SITUAZONI A RISCHIO Perchè gli adolescenti hanno comportamenti diversi dagli adulti MARIA ANTONIONI

Già Socrate scriveva: “I nostri adolescenti sembrano amare il lusso. Tengono

un cattivo contegno e disprezzano l’autorità. Mostrano mancanza di rispetto per gli adulti e passano il tempo bighellonando qua e là e spettegolano tra loro. Sono pronti a contraddire i genitori, a monopolizzare la conversazione, a mangiare avidamente, a tiranneggiare i loro insegnati.”. Spesso i discorsi dei genitori di oggi ricalcano le parole di Socrate. La modificazione della società da elettrica a tecnologica ha inoltre cambiato molto il nostro mondo, ma, per ora, la biologia rimane immodificata: i passaggi evolutivi dall’infanzia alla pubertà, all’adolescenza, fino alla vita adulta e alla senescenza sono rimasti quelli ancestrali. Qualcosa rimane inalterato negli adolescenti di ieri come in quelli di oggi: i cambiamenti ormonali legati al passaggio dalla fase dell’infanzia a quella della vita adulta. Si è sempre pensache la tempesta ormonale La densità della materia to che si scatena durante la pugrigia nelle femmine è bertà fosse la responsabile dei incontrollati massima a undici anni comportamenti degli adolescenti. Oggi, grazie e nei maschi a dodici e alle tecniche di neuroimaging (risonanza magnetica ad alto mezzo potenziale, fRMI, PET ecc) si è potuto constatare che gli ormoni sono fondamentali nello sviluppo dei giovani, ma il rimodellamento del cervello, che termina oltre i venti anni, condiziona fortemente i loro comportamenti. Cosa succede al nostro cervello nel corso della vita? Nasciamo con un corredo di neuroni altissimo, ma questi hanno iniziato a diminuire già nell’utero materno. La massima densità cerebrale viene raggiunta tra il terzo e il sesto mese di gestazione e prima della nascita il cervello subisce una drammati-

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» ca riduzione di cellule neuronali non necessarie. Il cervello cresce poco nel corso dell’infanzia ( il cervello di un bambino di sei anni ha le dimensioni del 90-95% di quelle di un adulto). Tra i sei e i dodici anni il cervello subisce una nuova crescita ed in questo periodo aumentano le connessioni tra neuroni e si creano nuove vie per gli impulsi nervosi e per i neuromediatrori. La densità della materia grigia nelle femmine è massima a undici anni e nei maschi a dodici e mezzo. Da questo momento inizierà una “potatura” delle vie nervose. Allo stesso tempo la sostanza bianca (mielina) si infittisce sempre più. La mielina avvolge quella parte del neurone utile alla trasmissione degli impulsi nervosi e rende la comunicazione tra le cellule più veloce. Quindi nel cervello durante la crescita il numero delle connessioni interneurali è minore ma sono molto più veloci ed efficaci, questo potrebbe essere a discapito del processo dell’apprendimento e della sua capacità di recupero dai traumi. Lo sviluppo cerebrale procede gradualmente a stadi: si parte dalle zone posteriori (area occipitale) e si arriva alle zone anteriori (area frontale). Le regioni posteriori del cervello mediano il contatto diretto con l’ambiente controllando le funzioni sensoriali come la vista, l'udito, il tatto e i processi spaziali. L’ultima parte a raggiungere la maturazione è la corteccia prefrontale sede delle funzioni esecutive, di pianificazione, di individuazione delle priorità, organizzazione del pensiero, controllo degli impulsi, valutazione delle conseguenze delle proprie azioni. Si può quindi affermare che l’ultima parte del cervello a crescere e a raggiungere la maturazione è quella deputata ai processi decisionali. La tempesta ormonale e la maturazione cerebrale non sono sincrone. Gli ormoni sessuali, ad esempio, agiscono in una particolare zona del cervello: il sistema limbico. Il sistema limbico rappresenta il centro del controllo emozionale e attraverso varie connessioni recettoriali esercita un’influenza diretta su numerosi neuromediatori (es.: la serotonina) che regolano il tono dell’umore e l’eccitabilità. Questo permette alle sensazioni e alle emozioni di raggiungere più facilmente l’acme e gli adolescenti cercano tenacemente situazioni in cui dar libero sfogo alle proprie passioni e alle proprie emozioni. I neuroscienziati spiegano come le relazioni tra ormoni sessuali che agiscono sul sistema limbico e la maturazione cerebrale spingano molti adolescenti alla

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» ricerca del brivido e di emozioni forti. Nella scala evolutiva la ricerca di sensazioni nuove potrebbe aver avuto un ruolo importante: per promuovere l’esplorazione del territorio, il desiderio di lasciare il nido, la ricerca del partner… ma in un mondo dove velocità, droghe, alcol, bande, relazioni virtuali o pericolose sono sempre più fruibili fanno sì che i giovani siano esposti a rischi fino a pochi decenni fa inimmaginabili. Lo psicologo L. Steinberg afferma che: “[…]in adolescenza esiste una sfasatura tra il momento in cui le strutture cerebrali spingono i ragazzi ad affrontare i rischi ed il momento in cui sono attive le strutture che permettono di pensare prima di agire. È come avviare un'automobile senza un autista in grado di guidare.”. Sono stati condotti studi ed esperimenti sulle capacità di riconoscere situazioni a rischio. In un gioco di simulazione di guida sono stati confrontati i comportamenti di adolescenti e di adulti di fronte alla decisione di passare un incrocio con il semaforo acceso sul giallo. Si è visto che entrambi i gruppi compiono scelte sagge quando “il gioco” è condotto singolarmente. Nel gioco i teenager affrontano più rischi se in presenza degli amici, mentre soggetti con più di 20 anni non cambiano comportamento anche in presenza di altri. Si è così dimostrato come condizioni emotivamente stressanti o a forte impatto sociale possano creare un discontrollo negli adolescenti tanto che questi potrebbero commettere atti criminosi di gruppo o iniziare ad assumere droghe senza la minima consapevolezza del rischio anzi ricercandolo. In America questi studi stanno facendo riflettere anche sulle implicazioni legali ed educative. Alla luce delle conoscenze sulla maturazione del cervello sembra arbitrario che la società americana abbia deciso che un giovane possa guidare l’auto a 16 anni o arruolarsi nell’esercito a 18 anni. I neuroscienziati affermano che il cervello è veramente maturo a 25 anni e pertanto molte associazioni statunitensi hanno invitato i legislatori di tutti gli Stati ad abolire la pena di morte per i minorenni in quanto per “ragioni sociali e biologiche gli adolescenti hanno crescenti difficoltà a prendere decisioni mature e a capire le conseguenze delle loro azioni”. Genitori ed educatori riescono a comprendere istintivamente che il comportamento dei giovani non è solo una questione di capriccio o di autodeterminazione di sé ma solo attraverso la presa di coscienza delle proprie prove e dei propri errori gli adolescenti possono crescere bene. Aiutare i giovani a costruire ciò di cui il loro cervello è ancora carente significa riconoscere i loro talenti e le loro risorse per aprirli ad un’ampia prospettiva di vita, sostenendoli nella pianificazione di strade percorribili al fine di raggiungere obiettivi personali utili a sé e alla società.

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI»

I NUOVI MEDIA TRA PERICOLI E OPPORTUNITÀ GABRIELLA GIANI ROTELLI

Un tempo le tradizionali agenzie di socializzazione erano la famiglia e la

scuola. Oggi importanza sempre maggiore acquistano i mezzi di comunicazioni di massa, televisione, internet, computer e telefoni cellulari. È importante quindi che i genitori/adulti si interroghino sulle conseguenze che i media possono avere sui soggetti in età evolutiva. Quanto sia presente nella vita dei bambini la televisione lo mostrano gli indici d’ascolto che descrivono i bambini di fronte al piccolo schermo non solo nelle fasce orarie pomeridiane, tutelate dal Codice di autoregolamentazione, ma sovente anche in quelle serali. E la quotidianità dell’esposizione ai suoi messaggi insieme alla facilità nell’uso determinano una sicura influenza della tv sui comportamenti, sul linguaggio, sui consumi, sui giochi dei bambini. Fino ai 10/11 anni la capacità del bambino di valutare correttamente programmi di informazione e di fiction aumenta di pari passo con lo sviluppo intellettivo. Raggiunti i 10/11 anni i bambini riescono a distinguere tra realtà e finzione, anche se il confine tra le due cose non è però così netto, perché la dimensione emotiva e il coinvolgimento hanno un forte peso. E sono i soggetti più dipendenti dal piccolo schermo e con minor esperienza della vita reale che tendono a discriminare di meno. Inoltre sono necessari anni perché

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» i bambini sviluppino propri modelli di comportamento e quindi inizialmente essi imitano i modelli che trovano. Il bambino impara molto di più da ciò che i genitori e gli adulti fanno piuttosto che ascoltando ciò che essi cercano di insegnargli a parole. Ma per gli stessi meccanismi di identificazione anche i personaggi televisivi possono diventare “maestri di vita” e la televisione, come la definì Karl Popper, una “cattiva maestra”. L’immagine infatti ha un potere seduttivo più forte delle parole. Ma l’effetto della televisione sul bambino non dipende solo dall’esposizione e dai contenuti, è condizionato dall’ambiente in cui il Fondamentale è quindi anche bambino vive e dalle relazioni che la fruizione della TV che stabilisce con i familiari, la e i coetanei. sia al massimo condivisa scuola Fondamentale è quindi che la con un adulto che si pon- fruizione della TV sia al massimo condivisa con un adulto ga come mediatore del che si ponga come mediatore del messaggio televisivo e che messaggio televisivo sfrutti anche questi momenti per sviluppare nel bambino consapevolezza e senso critico. Indipendentemente da ciò che vedono, comunque, i bambini che guardano molta televisione tendono a leggere meno, a giocare meno e ad essere obesi. Detto ciò penso però che solo demonizzare la televisione sia sbagliato. Se un eccesso di televisione può essere controproducente, un consumo moderato di programmi di buon livello può allargare la sfera delle conoscenze. Se poi si prende in considerazione il target dei pre-adolescenti alle ore trascorse davanti alla TV si aggiungono quelle davanti al computer e di navigazione in rete. Secondo un’indagine realizzata nel 2008 da Save the Children insieme al CREMIT risulta che l’86% dei pre-adolescenti usa la rete e il 95% ha un telefonino. Per quanto riguarda l’utilizzo del telefonino, che sovente è uno smartphone con accesso a internet, i ragazzi innanzitutto inviano SMS, poi si scambiano immagini, filmati e foto o navigano. Il tutto nella quasi totale assenza di controllo da parte dei genitori. Ma anche quando il collegamento ad internet avviene dal computer di casa i ragazzi navigano prevalentemente da soli e preferibilmente la sera. E quando navigano cosa fanno? Usano motori di ricerca, scaricano video e

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musica, inviano e-mail, chattano, alcuni possiedono già un profilo personale in un social network. Di internet ciò che affascina particolarmente i giovani è la possibilità di acquisire sempre più informazioni e notizie relative a un qualunque proprio interesse e di chattare cioè di interagire e comunicare con altri (anche senza sapere con chi). Protetti dall’anonimato (finché lo si desidera) e rassicurati dal non essere “fisicamente esposti” la chat facilita la confidenza e dà l’opportunità di parlare di sé con molta più libertà di quanto non avvenga nei rapporti interpersonali. E fra i pre-adolescenti prevale l’idea che questi media siano utili, facilmente gestibili e non particolarmente pericolosi. Ma è proprio così? Nell’indagine realizzata da Save the Children alla domanda su comportamenti trasgressivi e pericolosi tenuti in rete i giovani intervistati ritengono che molti loro coetanei fingano di essere qualcun altro, raccontano cose non vere, pubblicano foto senza autorizzazione, ricevono inviti da parte di estranei e in numero minore che cercano materiali pornografici e chattano con persone adulte. Alla domanda poi se loro stessi si siano trovati in una di queste situazioni, dice di sì il 25% del campione. Che dichiara anche di non averne parlato con nessuno, o al massimo con i propri amici. Soprattutto

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» per i più giovani è concreto il rischio di rimanere vittime non più dei modelli di comportamento o di consumo proposti dalla tv, ma di adulti (nel caso della pedo-pornografia on line) o di altri minori (come nel cyber-bullismo). Ma i pericoli non vengono solo dagli incontri in rete. Internet occupa uno spazio considerevole nella quotidianità della maggior parte degli adolescenti, avvicinandosi, secondo alcune indagini, a quel punto in cui da opportunità positiva potrebbe trasformarsi in fonte di dipendenza. È ormai universalmente riconosciuto che internet al pari di fumo, droga, gioco d’azzardo può determinare dei veri e propri fenomeni di dipendenza: dall'esigenza di assumerne “dosi” sempre maggiori per raggiungere uno stato di soddisfacimento, fino allo stadio in cui il “consumo” non è più vissuto come un momento di piacere ma è l’astinenza a creare disagio. La diffusione tra i giovani dei media digitali esige una nuova Non basta più educare mediazione educativa da parte uno spettatore che sia dei genitori differente da quella con la televisione. Non attento e critico, occorre utilizzata basta più educare uno spettatore che sia attento e critico, educare un soggetto che occorre educare un soggetto sia responsabile e critico che sia responsabile e critico, sia quando riceve contenuti che quando ne produce di propri. Comporta lo sviluppo di un atteggiamento nuovo nel quale anche i genitori si formano; un atteggiamento che implica la conoscenza dei media e dei propri figli, facendone un uso comune. Ma forse i cambiamenti prodotti nei media sono tanto grandi e costanti che oggi molti genitori si sentono poco preparati per offrire un orientamento ai propri figli. Fondamentale è comunque che i genitori osservino il comportamento complessivo dei loro ragazzi per verificare che non vi siano segnali premonitori (stanchezza, difficoltà ad alzarsi la mattina, calo del rendimento scolastico, allontanamento degli amici, abbandono di altre forme di intrattenimento, etc.) che possano far pensare ad un inizio di “dipendenza” da internet o per cogliere un turbamento prodotto da situazioni o immagini o contatti incontrati durante la navigazione. Nelle nuove tecnologie, come nella televisione, i ragazzi possono trovare pericoli, è in dubbio, ma anche possono sviluppare nuove capacità, stimolare la creatività, acquisire conoscenze, aumentare la comunicazione, trovare opportunità di crescita senza precedenti.

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PREVENIRE I COMPORTAMENTI A RISCHIO TRA I GIOVANI ROBERTO BERSELLI

Se il Centro l’Orizzonte inizia la sua attività nel 1986 è già nel ’92 che si

struttura al suo interno il Centro Studi, con una specifica equipe rivolta alla prevenzione. Fin dall’inizio abbiamo rifiutato di approcciare la prevenzione identificandola con l’informazione, basandoci sull’assunto che l’informazione centrata sulle conseguenze negative del consumo potesse essere sufficiente per rendere le persone consce dei rischi e convincerle, quindi, ad evitare il contatto con le sostanze. Al contrario, la condivisione di storie di sofferenza e di disagio, ripercorse, rilette e tradotte in stimolo di riflessione e crescita per altri, ha orientato e dato senso ai nostri interventi psico-pedagogici, a tutti i livelli, ponendo sempre al centro la persona, con il suo potenziale di risorse, e non il al fine di produrre cambiasintomo o il problema. menti nel comportamenLa cultura della prevenzione è infatti ormai uscita dal confine to e negli atteggiamenti riduttivo di “prevenzione del disagio giovanile”, per colriguardo al consumo, è locarsi nel più ampio e reale necessario produrre mospazio della promozione del ben-essere. dificazioni negli aspetti Per ben-essere intendiamo: emotivi ed affettivi ◗ sviluppare le potenzialità della persona ◗ saper dare un significato alle esperienze, anche dolorose o fallimentari che una persona vive nel corso della sua esistenza ◗ saper trasformare le sofferenze e gli errori in risorse per sé e per gli altri. Rileggere le proprie esperienze, comprenderle, accettarle e tradurle in risorsa comporta un coinvolgimento della persona a tutti i livelli: emotivo, razionale e comportamentale. La costruzione del proprio benessere investe infatti la

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» persona nella sua dimensione relazionale (io con me stesso, con gli altri, col mio ambiente) e nella sua dimensione spirituale (io con le mie domande, le mie ricerche, le mie possibili risposte…). L’apprendimento di questo complesso processo di crescita interiore avviene principalmente attraverso un accompagnamento, che offra alla persona prospettive diverse dalla propria. Questa dimensione è tanto più vera se pensata in riferimento a bambini e ragazzi: la prevenzione infatti non può che essere il risultato di rapporti educativi autentici. Come nell’esperienza della Comunità terapeutica così anche nella prevenzione ci siamo resi conto che al fine di produrre cambiamenti nel comportamento e negli atteggiamenti riguardo al consumo, è necessario produrre modificazioni negli aspetti emotivi ed affettivi, aspetti che negli adolescenti in particolare giocano un ruolo rilevante anche nell’avvicinarsi all’uso di sostanze psicoattive. Fare prevenzione dunque significa lavorare sulla persona in un’ottica globale, lavorare sui comportamenti e non, o comunque non solo, sulle sostanze sia che queste siano illegali o legali come l’alcool, ma soprattutto lavorare per supportare i giovani, questo è il nostro target prioritario, ad essere capaci di scelte libere e consapevoli per rifiutare la cultura del rischio. La teoria dell’apprendimento sociale basandosi sull’interrelazione esistente fra persona, ambiente e comportamento, attribuendo particolare importanza alla capacità dell’individuo di elaborare dei modelli cognitivi interni di esperienza utilizzabili come guide per prendere delle decisioni e per agire è stata la nostra guida in questi anni anche nella prevenzione. L’individuo, infatti, modella i suoi comportamenti osservando ed apprendendo quelli delle persone con cui entra in relazione; in tal senso, concetti fondamentali di questa teoria sono quelli di capacità

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» di apprendere dai propri modelli e di auto motivazione. Quest’ultima gioca poi un ruolo cruciale nella protezione dal rischio psico-sociale; avere la consapevolezza di sapere resistere alle pressioni dei pari e di saper gestire in modo adeguato emozioni positive o negative, funge da meccanismo di auto protezione interno, diminuendo possibili esiti di disagio. Soprattutto per quelle sostanze, alcool, tabacco e cannabis in primis, che sono “apri-pista” per dipendenze più complesse l’intervento preventivo universale nella scuola riveste per noi un’importanza decisiva. Ma anche in questo caso ciò che conta è lavorare sui comportamenti e sulle scelte individuali e collettive. Da molti anni è ampiamente documentato l’aumento della cultura del rischio e la sottovalutazione spesso consapevole dei rischi derivanti da certe scelte e comportamenti. Nel mondo della notte e del divertimento in particolare possiamo trovare riuniti molti comportamenti rischiosi che tra loro si potenziano: alcol e droghe, velocità e guida pericolosa, risse e violenza, rapporti sessuali non protetti o indesiderati, gioco d’azzardo, sport al limite, tutte situazioni che ritroviamo leggendo le normali cronache dei nostri quotidiani o ascoltando la Tv. Il comportamento a rischio si può certamente definire come un’azione volontaria dagli esiti incerti che implica la possibilità di conseguenze gli adolescenti che metnegative per il soggetto. Una tono in atto comportadelle sue componenti è l’ottimismo irrealistico: le persone menti rischiosi ritengono tendono a credere di essere “invulnerabili” supponendo di essere immuni dai peche gli altri siano più esposti ricoli derivanti da quel alle conseguenze indesiderate dell’esperienza: “tanto a me comportamento non tocca”, “non succederà a me”, “smetto quando voglio”, ecc. L’esperienza maturata in tanti anni di lavoro sul campo ci insegna che gli adolescenti che mettono in atto comportamenti rischiosi ritengono di essere immuni dai pericoli derivanti da quel comportamento, rispetto ai coetanei che si trovano nella stessa situazione. L’illusione di poter sempre controllare la situazione, il fatto di non aver fino a quel momento subito conseguenze gravi da quegli stessi comportamenti, la falsa informazione, la necessità di mantenere o accrescere la propria autostima e la considerazione nel gruppo dei pari sono elementi che sostengono l’ottimismo irrealistico, purtroppo

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» spesso suffragato anche da atteggiamenti e affermazioni contraddittorie del mondo adulto e da ambigue sollecitazioni mass-mediatiche in cui i giovani dell’era digitale sono “avvolti” … Per questo continuiamo a credere che interventi orientati alla famiglia ed al contesto educativo in genere possano essere l’elemento portante per controbilanciare opinioni, atteggiamenti e abitudini intorno allo stile di vita e ai comportamenti rischiosi che si formano nei contesti di socializzazione degli adolescenti, ivi comprese le situazioni ricreative. Lo sviluppo di comportamenti a rischio o devianti è naturalmente conseguente alla combinazione di più fattori e strettamente legata alla storia personale e alle esperienze significative di un bambino o di un ragazzo. È evidente però che famiglia e scuola rimangono a tutt’oggi i cardini affettivi ed educativi più importanti nella vita di un bambino e di un ragazzo e soprattutto crediamo fermamente che affetto, norme e valori che consentono di dare un orientamento positivo alla propria esistenza, passino necessariamente attraverso relazioni significative. Siamo convinti che la scuola, ente primario di formazione delle persone, possa diventare un potente fattore protettivo quando riesce ad essere luogo di relazione, di incontro con le famiglie, di accoglienza, contenimento e appartenenza per i ragazzi. Fare prevenzione dunque per noi significa, sul piano operativo, offrire sostegno, supporto, affiancamento competente alle persone che fanno la scuola. A fronte infatti di un sempre maggiore calo della percezione dei rischi connessi all’uso delle sostanze che caratterizza le giovani generazioni, ribadiamo il convincimento che le principali agenzie educative, famiglia e scuola, debbano saper offrire informazioni corrette e posizioni chiare su un tema come questo. Spostare l’attenzione della prevenzione dalle dipendenze ai comportamenti a rischio non significa promuovere interventi generici rivolti al disagio o alla promozione dell’agio, bensì lavorare in un’ottica che promuova scelte consapevoli al fine di evitare comportamenti a rischio. Anche perché il mutare dei comportamenti giovanili nella società odierna e il continuo modificarsi delle sostanze rendono più agevole lavorare sul concetto di rischio e di comportamento a rischio. D’altronde pur se in controtendenza, continuiamo a credere che se in realtà esistono le nuove forme di consumo il significato di quel consumo forse resta sempre quello di sostenere il divertimento, provare eccitazione, abbattere la noia, aumentare le prestazioni sociali, trovare delle scorciatoie per diventare adulti.

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LA PREVENZIONE DELLE RICADUTE ESTER MANERA

La prevenzione delle ricadute è un capitolo importante nel trattamento del

consumo-dipendenza da sostanze psicoattive. Si tratta di lavorare approfonditamente con la persona ragionando su temi attentamente definiti a partire da una collaborazione terapeutica. La persona porta tutta la sua storia, ricca di episodi e avvenimenti, che in genere si sono ripetuti dolorosamente nel corso degli anni. Terapeuta e paziente lavorano per costruire una nuova narrazione a partire dai significati e dalle funzioni svolte dalla sostanza, dai bisogni e dall’ambiente in cui la vita sino ad ora si è svolta. Si tratta di sviluppare un’approfondita analisi di come il consumo si è manifestato, della sua fenomenologia. È chiaro che in un lavoro di questo tipo è di fondamentale importanza creare un clima di La persona porta tutta la accettazione, empatia e non giudizio, che sta alla base sua storia, ricca di epidel compito che andremo a sodi e avvenimenti, che svolgere e caratterizzerà tutti gli incontri: solo in un clima in genere si sono ripetuti di questo tipo risulta posdolorosamente nel corso sibile attivare nuove risorse e connessioni tra gli eventi, degli anni emozioni e sensazioni che fino a poco prima non erano per gran parte accessibili alla coscienza. Questo tipo di approccio permette di sviluppare una chiara consapevolezza di sé rispetto al comportamento in esame e al funzionamento di alcuni meccanismi consolidati. Un altro elemento di fondamentale importanza è l’assoluta centralità del paziente: la persona porta le situazioni su cui si vuole confrontare ed è l’esperto dei propri ricordi ed eventi. È la persona che deve giovarsi del

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» lavoro che stiamo facendo insieme. Noi mettiamo a disposizione la nostra conoscenza, gli strumenti di lavoro, la nostra cassetta degli attrezzi, ma solo il protagonista, con cui si sta facendo questo lavoro può decidere quali sono i contenuti e le connessioni che risultano più adatte, di momento in momento per specificare la propria storia. In questo lavoro non c’è interpretazione, c’è l’opera minuziosa dello sperimentatore, o meglio di due sperimentatori, che costruiscono ipotesi e le falsificano o le validano. Un primo strumento è quindi l’analisi delle funzioni cui la sostanza risponde, per cominciare a costruire una base su cui tutti gli altri strumenti si andranno ad aggiungere. I livelli di intervento, solo in teoria distinti, sono due: utilizziamo strategie puntuali per entrare nel dettaglio delle situazioni, dei consumi, dell’ambiente, della parte emotiva. Contemporaneamente impieghiamo strategie globali che non si occupano strettamente delle sostanze e dei comportamenti ad esse legati, ma piuttosto hanno a che fare più in gene-

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» rale con il benessere della persona, lo stile di vita, i livelli di stress. In questa parte di interessamento più generale troviamo le abilità che in prevenzione primaria vengono utilizzate per potenziare le risorse delle persone: le life skills. Potenziare le abilità di base di vita permette di accrescere il potenziale della persona. La definizione delle life skills suona così: “Competenze relazionali e sociali che permettono di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana rapportandosi con fiducia a se stessi e agli altri”. È interessante notare come le sostanze e l’alcol in molte situazioni si trovano impiegate proprio in alternativa a queste competenze: in molte situazioni di consumo in molte situazioni di giovanile c’è la difficoltà di afconsumo giovanile c’è la frontare un momento sociale, il gruppo di pari al bar o in difficoltà di affrontare un discoteca, una festa, la cena momento sociale, il grupdopo una partita, momenti in cui il divertimento e la capapo di pari cità di stare insieme sembra possibile solo se è presente la mediazione dell’alcol che disinibisce e abbassa la percezione dell’ansia sociale o della cocaina che migliora la percezione di sé e delle proprie prestazioni. Utilizzate in questo modo le sostanze permettono così di rapportarsi con fiducia a se stessi, agli altri, alla comunità, stiamo quindi parlando del medesimo ambito delle life skills. In modo analogo succede per quanto riguarda le competenze relazionali: approcciarsi con persone di sesso opposto, ma anche stare con gli amici risulta sempre più semplice con l’alterazione più o meno marcata data dalla chimica delle sostanze. È assolutamente prioritario in questo caso lavorare sul tempo libero, il divertimento, l’incontro con gli altri e quindi migliorare le capacità comunicative: saper ascoltare, saper esprimere la propria opinione in modo da sentirsi compresi in quel che si voleva dire. Scoprirsi in grado di avere proprie opinioni (sviluppo del pensiero critico) e di portarle avanti (assertività) nella propria vita, nel gruppo di riferimento, negli ambienti in cui ci si trova. Quest’ultima capacità entra anche fortemente in gioco nel momento in cui la propria scelta contrasta con quella del gruppo: la pressione sociale è una situazione di fortissimo rischio di ricaduta e non va mai sottovalutata né minimizzata, ma piuttosto resa manifesta così da poter sviluppare strategie di fronteggiamento più adatte ad ogni ambito. Un paragrafo a sé merita il lavoro sulle emozioni. Non c’è scuola che ce la

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» insegni eppure questa è una competenza di base richiesta in ogni scambio umano e non solo. Il saper riconoscere le proprie emozioni, saperle ascoltare quando ci inondano, dare un nome preciso e puntuale a quello che si prova permette di uscire dalla nebbia indistinta del “sto bene / sto male” in cui le parole per identificare cosa si sta provando si riducono a due. Quindi ascoltare, saper riconoscere, nominare e per ultimo saper esprimere quali sono le emozioni percepite, permette una comprensione e una possibilità di maggior incisività nella propria vita e nelle relazioni con gli altri. Nella prevenzione delle ricadute infine uno spazio importante va dato all’apprendimento di nuovi comportamenti. A partire dall’analisi di un comportamento disfunzionale o su cui si decide di sviluppare un approfondimento si cercano alternative, dalle più fantasiose alle più Nella prevenzione del- creative, comuni e condivise, sino a le ricadute infine uno costruire una serie di possibilità tra cui la persona può spazio importante va scegliere dove indirizzare la dato all’apprendimento propria sperimentazione di cambiamento. A quel pundi nuovi comportamenti to si torna dallo studio, dal laboratorio di idee, alla vita reale e quotidiana, e si prova a vivere, a mettere in campo quei comportamenti ipotizzati come alternative possibili. Negli incontri successivi si potrà ragionare insieme su come sono andate le cose, se hanno funzionato come si era detto e quali sono gli elementi di novità introdotti dalla riflessione sul tema. Questo a partire dal presupposto che i comportamenti sono appresi in decine di repliche, e proprio per questo modificabili e sostituibili con altri, nel momento che il loro utilizzo non si riveli più utile alla persona e che le sue conseguenze siano riconosciute come ampiamente dannose. Le nuove modalità avranno comunque bisogno di tempo per essere integrate nel sistema della persona. Tutto questo significa che il lavoro di prevenzione delle ricadute necessità di impegno e pazienza, per portare a dei risultati, che a volte sembrano minimi. È un processo con uno svolgimento non lineare e diverso per ciascuno e non prevedibile se non in linea generale. Durante le fasi conclusive del lavoro le persone faranno commenti come “ho capito cosa mi succede, so quando devo stare più attento, mi conosco di più e so meglio di prima quello che voglio, ho capito in che direzione andare per stare meglio”, e questo permette a noi di comprendere che è il momento di lasciare a loro le chiavi del loro laboratorio.

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PROVARE IL SOGNO Giovani, disagio, prevenzione e rivoluzione nel cuore dell'Africa FILIPPO IVARDI GANAPINI*

Per le strade di N’Djamena, capitale del Ciad, non si contano più i sacchetti di whisky buttati a terra. È l’ultima moda che l’Occidente senza scrupoli esporta fino alle estremità del mondo pur di far cassa. Mentre a Moissala, a sud, incontro nell’ospedale diversi giovani che si sono schiantati in moto dopo essersi imbottiti di stupefacenti. Ovvio, quelli dei poveri. Non cocaina ed eroina che sono un lusso qui, ma erbe, pastiglie, colle sniffate e soprattutto alcool. Qui nel cuore dell’Africa molti giovani sono allo sbando senza lavoro e prospettive. La scuola non offre sbocchi e non resta che il Non cocaina ed eroina piccolo commercio informale di sigarette, miglio, arachidi o che sono un lusso qui, ma piccoli oggetti. Per poi ritroerbe, pastiglie, colle sniffavarsi la sera a trasgredire davanti al pentolone di “bili bili” la te e soprattutto alcool. bevanda alcolica tradizionale a base di miglio fermentato. Alcuni li incontri per strada che non stanno in piedi. Altri finiscono in qualche stanza o dietro gli alberi della periferia per un'avventura sessuale che spesso li conduce dritti al nemico Aids, ancora un tabù nella società rurale. Le famiglie allo sbando non reggono all’urto della postmodernità e dei giovani *Filippo Ivardi Ganapini Missionario Comboniano in Ciad padrefilo@gmail.com, www.sullastradacon.blogspot.it, www.alfbetoafrica.com

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» che sentono il richiamo ad una libertà che li supera e che diventa presto una nuova forma di schiavitù. Da alcool, stupefacenti, ricerca affannosa di soldi senza fatica, sesso facile. La tradizione, con le sue leggi di controllo sociale, non ha più il peso di prima, soprattutto in città. E le nuove mode che vengono da televisione e Internet spesso i giovani a Le famiglie allo sbando non portano perdersi dietro nuove ed reggono all’urto della post- effimere tendenze. in Ciad? Fa modernità e dei giovani che Prevenzione rima con Rivoluzione! Nonsentono il richiamo ad una violenta, quotidiana, silenziosa. Di mentalità, comlibertà che li supera portamenti e relazioni che mettono in conto un futuro, una prospettiva e un progetto di vita. Quello che qui è assolutamente urgente! Ci siamo lontani, ma ci lavoriamo e ci proviamo nonostante tutto. Nonostante qui il presente sempre ti schiaccia e il futuro è un lusso! Ci proviamo con i centri culturali e le biblioteche nelle comunità cristiane. Unici

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dossier «FARE PREVENZIONE TRA I GIOVANI» luoghi dove i giovani possono trovare libri e silenzio per leggere e studiare. La Tenda di Abramo a N’Djamena ospita giovani cristiani e musulmani che si incontrano attorno ad un progetto culturale comune. Non è certo scontato qui incontrarsi tra diversi, parlarsi e sognare assieme. Discutere dei problemi veri dei giovani, organizzare conferenze e ragionare sulle soluzioni. Ci proviamo con le scuole e i centri di formazione per i leaders delle comunità cristiane. Formazione e prevenzione si prendono per mano. Corsi di conoscenza e prevenzione all’Aids sono organizzati dappertutto. Luoghi dove dentro un presente sempre da inventare si prepara il futuro Non è certo scontato qui immediato. Al massimo ci è concesso il breve termine. Il incontrarsi tra diversi, parmedio e il lungo hanno da larsi e sognare assieme attendere. Ci proviamo nelle prigioni di Moissala, N’Djamena, Doba dove incontriamo tantissimi giovani spesso vittime di storie che li superano. Cerchiamo avvocati per accompagnarli, proviamo ad organizzare biblioteche e incontri e feste dentro le mura. Ci proviamo con i gruppi dei giovani nelle comunità cristiane. Spesso fragili e frastagliati i giovani sanno sempre stupire: a Moundou, seconda città del paese, in dicembre 2012, 1500 giovani da tutto il paese si sono riuniti per partecipare al Forum Nazionale dei Giovani. In cinque giorni abbiamo riflettuto sui temi della giustizia e della pace nel paese, abbiamo cantato e danzato insieme la vita, mangiato e dormito assieme sulle stuoie, condiviso nell’ascolto profondo storie e sogni, celebrato il Dio della vita. Il titolo dell’incontro è un vero programma di vita: Radicati e fondati in Gesù Cristo, giovani, siamo artigiani di pace, giustizia e riconciliazione. Il paese, dopo trent’anni di guerre e ribellioni intestine, ha fame e sete di armonia e unità. E i giovani, se ci credono davvero, possono prendere in mano il loro avvenire e quello della loro nazione. Ci proviamo con i giovani musulmani del quartiere Am Riguebe di N’Djamena dove parliamo per ore in arabo sulla stuoia, bevendo il the, ridendo e scherzando. Anche e soprattutto così, con relazioni di amicizia che crescono nella semplicità, proviamo giorno dopo giorno a costruire la rivoluzione. Ci proviamo, ci crediamo e anche sogniamo. Perché se anche uno solo (che magari sono io!) cambia rotta vale già il biglietto e la pena dell’impegno e della speranza. C’è lavoro, speranza, sogni e c’è rivoluzione, nonostante tutto, sulle strade del Ciad crocifisso che prova a risorgere.

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SERVIZIO CIVILE DOVE ERAVAMO RIMASTI MARIANNA FONTANA*

Il 2012 è stato un anno molto difficile per il Servizio Civile Nazionale.

La sospensione dell’avvio dei progetti finanziati nel bando 2011, quindi il loro avvio scaglionato, ha creato non pochi disagi per i giovani selezionati e per gli enti titolari dei progetti. Inoltre durante il 2012 non è stato pubblicato alcun bando per avviare ulteriori ragazzi all’esperienza del servizio civile e questa mancanza di disponibilità ha contribuito a deludere le aspettative di quanti erano pronti a dare il proprio apporto per sostenere progetti di solidarietà e cittadinanza attiva. Durante lo scorso anno sono state numerose le manifestazioni e i richiami a difesa dell’istituto del servizio civile promossi dagli enti del terzo settore e dai rappresentati della società civile. Ultimo in ordine di tempo l’appello “Un’alleanza per il futuro del Servizio Civile” organizzato dal Cnesc, Movimento Nonviolento, Forum del Terzo Settore, Forum Nazionale Servizio Civile, Forum Nazionale dei Giovani, Sbilanciamoci, Tavola della Pace e Mir. Obiettivo del documento, promosso al termine del Convegno sul 40° anniversario della legge sull’obiezione di coscienza, è stato quello di interpellare partiti politici e candidati alle ultime consultazioni elettorali, affinché prendessero im* Coordinamento Provinciale Enti Servizio Civile di Parma

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pegni precisi in merito al futuro del Servizio Civile Nazionale. L’appello è stato sottoscritto da numerosi enti, tra cui il Coordinamento Provinciale Enti Servizio Civile di Parma, e ha registrato l’adesione di molti candidati che hanno deciso di impegnarsi a favore del concreto sostegno al Servizio Civile. Il Coordinamento di Parma si è inoltre attivato per cercare di portare all’attenzione della cittadinanza la situazione di difficoltà del Servizio Civile, coinvolgendo in azioni di promozione e divulgazione delle informazioni gli stessi giovani protagonisti dei progetti. È stata richiamata l’attenzione della stampa attraverso la convocazione di un’apposita conferenza, e sono stati creati dei pannelli esplicativi sulla storia del Servizio Civile, esposti durante la Festa Multiculturale al Parco Nevicati di Collecchio. QUALE FUTURO PER IL SERVIZIO CIVILE Anzitutto l’impegno economico. La Legge di Stabilità ha previsto uno stanziamento pari a 71 milioni di euro per il 2013 e 76 milioni di euro per il 2014 ai quali si dovrebbero aggiungere 50 milioni di euro che Andrea Riccardi, ministro uscente alla Cooperazione internazionale con delega al Servizio Civile, ha confermato a favore del Fondo Nazionale. Le risorse economiche rimangono comunque nettamente inferiori a quelle degli anni precedenti, basti pensare che solo nel 2008 il Fondo era pari a 299 milioni di euro. Saranno infatti appena sufficienti ad avviare al Servizio Civile circa 18.000 volontari. Alcuni deputati neo eletti, tra cui Giulia Narduolo e Francesca Bonomo del PD e Gianni Melilla del SEL, hanno recentemente presentato alcune interrogazioni parlamentari al ministro Riccardi chiedendo che venga comunicato al più presto il contingente di volontari da avviare sul bando 2013. LE PROPOSTE DI RIFORMA DELLA NORMATIVA Numerose sono le richieste di avviare un confronto sulla riforma legislativa del Servizio Civile Nazionale. Molti soggetti coinvolti in questo sistema chiedono di rivedere la legge n.64 del 2001 che ha istituito il Servizio Civile Nazionale proponendo una riforma che garantisca un assetto stabile del Servizio Civile attraverso l’individuazione di un contingente annuo, la definizione dello status giuridico dei volontari e la rivisitazione dei criteri di accreditamento degli enti. Si ritiene inoltre necessario introdurre, anzitutto a beneficio dei giovani, una maggiore flessibilità in termini di durata e un monte ore complessivo nei progetti. Il settimanale “Vita” ha promosso il Manifesto per il Servizio Civile

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Universale chiedendo un impegno alle istituzioni per salvaguardare il patrimonio e restituire dignità al Servizio Civile Nazionale investendo in un Servizio aperto a tutti i giovani del territorio. IL SERVIZIO CIVILE E LA CITTADINANZA Lo scorso 22 marzo 2013 sono state pubblicate le motivazioni della sentenza della Corte di Appello di Milano del 20 dicembre scorso, che ha respinto il ricorso dell’Ufficio Nazionale del Servizio Civile contro l’apertura del bando nazionale ai giovani stranieri. Alla luce dei contenuti della sentenza il prossimo bando potrebbe vedere la partecipazione anche dei ragazzi stranieri, regolarmente residenti sul nostro territorio dando ragione a quanti ritengono il possesso della cittadinanza un requisito discriminatorio per poter accedere ad attività di promozione della solidarietà e della cooperazione a livello nazionale ed internazionale. La vicenda risale al 9 gennaio 2012 quando il giudice del lavoro del Tribunale di Milano aveva dato ragione ad uno studente di origini pachistane che, sup-

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portato dall’ASGI e da Avvocati per Niente (APN) e in assenza di cittadinanza italiana, chiedeva di partecipare al bando di Servizio Civile Nazionale. IL SERVIZIO CIVILE IN EMILIA-ROMAGNA Nei primi giorni di aprile 2013 sono partite le attività dei giovani selezionati nei bandi “Per Daniele: Straordinario come voi” e “Ri-partire dalla cultura e dal patrimonio artistico”. I bandi sono stati indetti per sostenere le attività di assistenza e recupero delle zone colpite dal terremoto del maggio 2012. A fronte dei 500 giovani selezionati circa 2847 hanno presentato domanda e, come ha sottolineato l’Assessore Regionale alle Politiche Sociali Teresa Marzocchi, «Il dato dimostra come i giovani siano solidali, sensibili e pronti a mettersi in gioco per sostenere le comunità in difficoltà». Attualmente a Parma e provincia sono circa 70 i giovani coinvolti in progetti di Servizio Civile sul territorio. Molti di loro termineranno le attività entro il prossimo mese di luglio. I giovani sono impegnati in attività di assistenza a persone disabili o in situazioni di disagio, si dedicano alla cura di minori o promuovo attività educative e ricreative rivolte ad adolescenti; altri si occupano di progetti a carattere culturale e promozionale. I volontari sono inseriti in cooperative sociali, associazioni di volontariato, enti del terzo settore e pubblici. Lo scorso gennaio è terminato il progetto “Nuovi Cittadini Crescono 2011” realizzato da 11 giovani volontari stranieri che hanno collaborato per dar vita ad attività interculturali presso associazioni, centri di aggregazione e gruppi appartamento presenti in diversi luoghi della città. Il Coordinamento Provinciale degli Enti di Servizio Civile di Parma coordina sul territorio i soggetti coinvolti nel Servizio Civile, promuove progettualità, organizza attività formative rivolte ai giovani, e offre consulenza agli enti soci. Il Coordinamento è composto da 34 soggetti pubblici e del privato sociale, è

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presieduto dal Consorzio di Solidarietà Sociale ed è ospitato presso la sede della Provincia di Parma. In previsione dei prossimi bandi gli enti di Parma e provincia hanno espresso la richiesta di 82 posti di Servizio Civile: 67 rivolti a giovani di cittadinanza italiana e 15 rivolti a giovani stranieri (in risposta alle possibilità di finanziamento da parte del Fondo Nazionale e della Regione Emilia-Romagna). Se i progetti presentati fossero approvati, i bandi previsti in uscita per il mese di settembre renderanno disponibili circa 80 posti. IL SERVIZIO CIVILE DI DANIELE Daniele Ghillani è un giovane di Parma, deceduto il 16 di ottobre 2012 in Brasile all’età di soli 22 anni folgorato dopo aver appoggiato una scala metallica al filo di una prolunga elettrica che si era spezzata. Daniele aveva scelto di svolgere il Servizio Civile all’Estero per il progetto “A gente quer viver” promosso da Caritas di Mondovì in collaborazione con Caritas diocesana di Parma. Svolgeva attività educative rivolte ai minori. Era partito per il Brasile nel febbraio 2012 diretto alla Parrocchia di ‘Nossa Senhora Esparecida’ -missione della diocesi di Parma- nella città di Goiania, località di oltre un milione di abitanti nel centro del Brasile. Diplomato come geometra, Daniele stava realizzando un progetto di costruzione e sostegno del centro giovanile della missione, unico luogo in grado di offrire nel quartiere “Jardim das Oliveiras” una formazione scolastica e religiosa anche attraverso attività manuali, espressive e sportive. Il ragazzo collaborava in qualità di educatore dedicandosi con grande impegno alle attività della Parrocchia di don Corrado Vitali. Il padre Federico scrive: “Ricordatelo felice di portare la sua bontà verso tutti senza limiti o, come titola il libro che partendo mi ha lasciato da leggere, da apprendista a samaritano”. La Regione Emilia-Romagna ha deciso di dedicare a Daniele il bando straordinario per le zone del terremoto indetto a gennaio 2013.

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FREI BETTO A BETANIA CARLO DEVOTI

Il 18 marzo scorso si è tenuto nel salone della Comunità l’incontro con Frei

Betto, che come ha ricordato don Valentini introducendo gli ospiti, è il primo degli eventi in programma per festeggiare i 30 anni di Betania, Il padre domenicano teologo del movimento Teologia della Liberazione è stato tanto osteggiato dalla Chiesa Romana e non solo. Il moderatore della serata è stato il giornalista Maurizio Chierici che ha trascorso parte della sua vita come inviato proprio in Sud America. Lo ha presentato come il consulente dell’ex presidente del Brasile elogiandolo per essere riuscito a sfamare, grazie al suo impegno, circa 20 milioni di brasiliani che vivono nelle favelas. Udire dalla sua voce le esperienze da lui vissute in Sud America e nel contempo leggere dei problemi che affliggono oggi i nostri governanti tutti impegnati a darci un nuovo governo, viene a dir poco da sorridere. Oltre al sorriso, però, viene da riflettere confrontando il livello delle missioni a cui le due parti aspirano soddisfare. Da noi si tratta di “togliere il superfluo” e cioè tutto ciò che non serve e dall’altra parte adoperarsi per fare sì che tutti possano disporre del minimo indispensabile per sopravvivere. Ma ciò che stupisce è che la parte più povera materialmente è in realtà quella più ricca perché dispone delle maggiori ricchezze del pianeta. Padre Betto ha dato risposta a questa domanda che aleggiava nell'attenta sala dicendo che il freno alla distribuzione e al godimento di questa enorme ricchezza è stato, sino ad alcuni anni fa, l’ingordigia delle Multinazionali e non solo dell’America del Nord (ne ha citate anche alcune che hanno i loro quartieri generali in Italia) che, per poter disporre a loro piacimento di tutte quelle ricchezze, hanno da sempre favorito l’insediamento di feroci dittature militari di cui spesso anche la Chiesa è stata complice. Parlando del nuovo Papa Francesco e del suo passato che lo vedrebbe sfiorato da dubbi circa la sua indifferenza se non ostilità al movimento della Teologia della Liberazione, Padre Betto ha affermato che i cinque preti che, a suo tempo, lui allontanò dalle favelas erano accusati di fomentare il popolo affinché si armasse per contrastare le angherie del potere. Il governo infiltrava di spie le comunità delle favelas e i cinque preti (di cui tre sono morti) erano

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da tempo nel mirino dei militari. La sua azione fu quella di allontanarli proprio per evitare loro una fine peggiore. Toccante, infine, l’intervento di uno studente congolese che ha interrogato il Domenicano sul perché nessuno parla del genocidio in atto in Congo dove sono già morte 10 milioni di persone causa i dissidi provocati dalle Multinazionali per lo sfruttamento delle enormi risorse minerarie di cui dispone il paese. La risposta è stata che la stampa esiste in funzione del potere economico e dunque nel Congo, come per l’America del Sud, la risposta sta nell’impegno dei Congolesi a ribellarsi allo sfruttamento del loro territorio. Il pubblico, formato da attenti sguardi e cuori aperti, ha siglato con un fragoroso ed unanime applauso la testimonianza di Padre Betto che ha poi continuato a conversare con coloro che erano interessati a fare domande mentre, con un gentile sorriso, firmava le copie dei suoi tanti libri bestseller tradotti in 27 lingue e diffusi in tutto il mondo.

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PER IL 30º ANNIVERSARIO DI BETANIA Sono un ragazzo della Campania, di una bellissima città da cartolina.

Sono passati due anni e attualmente ho ancora dei vincoli giudiziari per reati legati all’uso della sostanza, come un po’ tutti i ragazzi che ho conosciuto a Betania. Già conoscevo la Comunità, vi ero stato molti anni fa, ma nel precedente periodo di permanenza non riuscivo a capire il senso del cambiamento. Nel bagaglio che portavo vi era un misto di tutto: difficoltà, paura del cambiamento, presunzione che mi divorava, poca accettazione, non ci credevo e spesso dicevo alla mia coscienza io non ce la farò mai. Intanto vedevo i ragazzi che si comportavano e la pensavano diversamente da me, e questo mi portava ad avere poca sicurezza nelle mie possibilità e in quelle offerte da Betania. L’impatto con Betania eh, che dire… All’inizio non è stato facile aprire quel bagaglio, parlarne, dire la verità. Ne parlavo spesso con don Luigi, grande uomo, pieno di carisma. Lui, mi dava consigli, e messaggi mi arrivavano da tutti, ospiti e operatori. Nel mio programma terapeutico ho avuto qualche ricaduta. La vera fatica è quando uno inizia a modificare alcuni suoi comportamenti e atteggiamenti, e vengono fuori i sensi di colpa. Ma questo sempre dopo. Anche questa mia ultima esperienza di Betania è una crescita che mi aiuta oggi a riflettere sugli sbagli del passato, che avrei potuto evitare al primo ingresso. Betania è come una palestra in cui ci si allena per uno stile di vita diverso dal passato. Adesso non porto l’aureola in testa, però posso dire di aver “imparato la lezione” ovvero di aver capito che se un ragazzo vuole smettere si deve affidare alle persone che gli vogliono bene. È importante condividere con altri opinioni, scambi di parole, socializzare e lavorare con costanza e impegno su quello che la comunità giorno per giorno ti propone e sulla propria persona. La fragilità spesso mi ha fregato, ma spero di non farmi fregare ancora!! Questa battaglia voglio portarla a termine riuscendo a realizzare i progetti e gli obiettivi che mi sono prefissato. Ringrazio tutti quelli che mi leggeranno e auguro al nostro fondatore don Luigi in questo 30º anniversario che possa continuare ad aiutare ragazzi con problemi.

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LA PAGINA DEGLI “AMICI DI BETANIA” SILVANA MUTTI DOMIANO

In occasione del carnevale gli Amici di Betania hanno organizzato una serata

musicale con Stefano Spocci, la sua voce e i suoi strumenti. Ci è sembrato divertente suggerire delle idee per movimentare l’incontro e con Stefano abbiamo pensato ad un tema per la serata: un vecchio film della fine degli anni 50 che penso molti ricorderanno: Marinai, donne e guai. Questo è stato lo spunto per scegliere maschere semplici e simpatiche. Anche le scelte musicali sono state guidate dal tema prescelto. A sorpresa è stato proposto un piccolo gioco che abbiamo chiamato “Premio Letterario”. Sono state sorteggiate fra i presenti 20 persone, divise in quattro gruppi, che nel tempo di 20 minuti hanno dovuto comporre una poesia ispirata al tema della serata. Le quattro composizioni sono state sottoposte al voto dei presenti che hanno decretato la vittoria del gruppo formato da Dante, Ivana, Mariangela, Paola e Pinuccia. Questa è la loro poesia: Marinai Uomini che sognano il vagar per le onde in cerca di approdare su felici sponde ove un cuore di donna li accolga trepidante per un breve istante, per rendere l’amore trionfante. Ma i loro son sogni e in un momento tutto si dissolve via col vento…. Un grazie di cuore a Stefano, ad Anna e a Gabriele per la simpatia, la disponibilità e l’intelligenza nella organizzazione e nell’animazione della serata.

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IL SILENZIO E LA PAROLA SIMONA DEL BONO

Un incontro del laboratorio di teatroterapia di quest’anno è stato dedicato

all’opposizione silenzio-parola. Dopo un’ora di lavoro svolto in gruppo e in relazione a un compagno in assoluto silenzio, affidandosi solo alla delicatezza ed espressività dei propri gesti, ogni partecipante ha poi cercato sui libri poetici sparsi sul pavimento. E tra le tante pagine sfogliate con cura, tra i tanti versi poetici letti sottovoce, ognuno ha trovato le proprie parole, quelle che più di tutte e meglio di altre davano voce al proprio sentire, intimo e silenzioso. A voce alta, liberamente, ciascuno ha letto i versi scelti, che qui sotto riportiamo. Perché i ragazzi desideravano che anche altri ascoltassero. Riportiamo queste parole poetiche senza il bisogno di precisare chi le ha scelte perché ora fanno parte di un discorso comune costruito con pazienza, profondità e divertimento nelle ore di laboratorio condivise assieme. Vi invitiamo e leggerle come un’unica grande poesia. È caduta la parola di pietra sul mio petto ancora vivo. Non importa, me l’aspettavo: in qualche modo ne verrò a capo. Anna Achmàtova È caduta la parola di pietra Fatica, fatica superiore a qualsiasi forza. E tu la compiesti, giorno dopo giorno, trascinandoti, strappando fili della tua bella trama per rifarne un’altra. Rainer Maria Rilke Requiem Se ciò bastasse, bastasse a calmare, Sentir rimpianto quando è consumato Ciò che mi rendeva felice nel sole, Quanto finché durava era felice, Se bastassero le ambiguità e fossero anche troppe le dolci menzogne, Ogni sofferenza sopporterebbero le vuote parole Guarendomi d’ogni male Dylan Thomas Dai sospiri

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Io sono certo che più nulla soffocherà la mia rima, il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola come una trappola da sacrificio, è quindi venuto il momento di cantare una esequie al passato. Alda Merini Fiore di poesia Una briciola di musica, una briciola di amore, una briciola di sapienza, una briciola di amicizia, una briciola di rispetto... Una briciola di pane me l’ha messa mio figlio, c’è anche una pallina di carta. Qualche illusione c’è ancora. Devo ricucire le tasche bucate per le prossime briciole. Libere parole, almeno quelle Spazio spazio io voglio, tanto spazio per dolcissima muovermi ferita; voglio spazio per cantare crescere errare e saltare il fosso della divina sapienza. Spazio datemi spazio ch’io lanci un urlo inumano, quell’urlo di silenzio negli anni che ho toccato con mano. Alda Merini Vuoto d’amore Anima, perduta anima, cara, io non so come chiederti perdono, perché la mente è muta e tanto chiara e vede tanto chiaro cosa sono, che non sa più parole, anima cara, la mente che non merita perdono, e sto muto sull’orlo della vita per darla a te, per mantenerti in vita. Patrizia Valduga Requiem

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Non ballare con i tuoi piedi viscidi sul terreno sdrucciolevole di chi ha molto sofferto. Non trascinarmi nel valzer della menzogna. Non voler guardare nel fuoco dei desideri, potresti bruciarti gli occhi. E soprattutto non pensare mai che gli altri abbiano i tuoi stessi pensieri, non cercare con il tuo amo poco tranquillo di pescare i semi dell’ignoranza. Ignorante è colui che dopo aver baciato una donna canta un’assenza ingiustificata. Alda Merini Le madri non cercano il paradiso Era – piccola – la barca che vacillava giù nella baia. Era così – cortese – il mare che l’invitava ad uscire! Era così – ingorda – l’onda che la succhiò dalla costa. Non l’avrebbero mai immaginato, le vele maestose, che la mia piccola imbarcazione s’era persa. Emily Dickinson Silenzi Dicono alcuni che amore è un bambino, e alcuni che è un uccello, alcuni che manda avanti il mondo, e alcuni che è un'assurdità... ...noi i nostri amori li dobbiamo perdere, volgendo uno sguardo invidioso a ogni animale e uccello che si muove. Ciò che è vivo può amare: perché ancora piegarsi alla sconfitta con le braccia incrociate? Attacca, e vincerai. Ma tutti gli orologi di città si misero a vibrare e rintoccare. “Oh, non lasciarti illudere dal Tempo, non puoi vincere il Tempo.” W.H.Auden La verità, vi prego, sull’amore

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COME PUOI AIUTARE BETANIA LE OFFERTE A FAVORE DELLA COMUNITÀ BETANIA (ONLUS)

POSSONO ESSERE EFFET TUATE Tramite assegni circolari o bancari presso la segreteria della Comunità Betania in Marore di Parma Presso la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza Ag. 8/Parma, c/c n. 92918667 intestato “Comunità Betania”, IBAN IT 45C06230 12708 000092918667 Attraverso il Conto Corrente Postale n. 13462437 intestato “Comunità di Servizio e Accoglienza Betania”, IBAN IT 85C0760112700000013462437 Attraverso donazioni a favore della Comunità Betania sotto forma di eredità

RICORDIAMO INOLTRE che le erogazioni liberali ad associazioni Onlus come Betania, prevedono: • dal gennaio 1998 per le PERSONE FISICHE una detrazione dall’imposta lorda (Irpef) pari al 19%, su un importo massimo di € 2.065,83 (pari a €393); per le SOCIETÀ una deduzione dal reddito d’impresa per un importo non superiore a € 2.065,83 (pari a € 393) o al 2% del reddito d’impresa dichiarato • dal marzo 2005 una deduzione dal reddito complessivo del soggetto erogatore (PERSONE FISICHE e SOCIETÀ) nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato, e comunque nella misura massima di € 70.000 annui.

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