Obiezione di coscienza

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Obiezione di coscienza e Servizio civile un percorso di crescita

a cura di Gabriella Giani Rotelli

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Introduzione Gabriella Giani Rotelli

“Sette amici, sette ragazzi qualunque che decidono di intraprendere un cammino diverso, un cammino apparentemente comodo, scegliere di servire gli altri per un periodo che normalmente veniva dedicato al servizio militare” e “un prete giovane che riesce ad animare con grande entusiasmo le attività varie”. Siamo agli inizi degli anni '80 e in questa piccola comunità di giovani, guidata e sostenuta da don Luigi e don Paolo, affonda le sue origine Betania. Dall’1983 al 2005 -anno dell’entrata in vigore della legge 226/2004 che sospese la leva obbligatoria- moltissimi sono stati gli obiettori che hanno scelto di svolgere il loro servizio nella nostra comunità e alcuni hanno anche affidato alle pagine di Shalom la loro testimonianza. Oggi, in occasione dei 30 anni di Betania, abbiamo deciso di raccoglierle tutte in questo quaderno insieme ad alcuni articoli su obiezione di coscienza e servizio civile pubblicati in quegli stessi anni dalla nostra rivista. Il rifiuto della violenza e il rispetto per la vita qualunque vita, la decisione e la coerenza nelle scelte che contano, l’obiezione di coscienza come scelta di vita, il servizio alle persone in difficoltà e emarginate come testimonianza di

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pace, l’impegno in prima persona per una società migliore, una pratica quotidiana di socialità e altruismo sono le scelte affermate con convinzione e forza da questi giovani nei loro scritti. E sullo sfondo Betania “comunità di giovani per i giovani” dove l’esperienza fatta lascia a tutti una “traccia, che in un certo modo cambia chi la vive, e alla fine della quale è difficile tornare alla propria vita come se niente fosse successo”. Betania di cui colpisce “la quotidianità con cui si svolge la vita: giorno dopo giorno, operatori insieme a ragazzi che prendono parte attivamente, come in una orchestra in cui ogni strumento emette il proprio suono (anche se a volte un po’ stonato), alla vita comunitaria fatta di lavoro, di incontri, di sport e di momenti conviviali”. Betania di cui affascina “il grande cuore: chiunque si trovi nel bisogno, di qualsiasi razza, di qualsiasi religione, può trovare in Betania un punto di riferimento per un piatto caldo, una doccia o più semplicemente un consiglio”. Leggendo questi articoli si è portati a pensare che le motivazioni alla base della scelta del servizio civile differiscano da quelle degli obiettori degli anni ‘70 -anni della riforma sanitaria e della Legge Basaglia- profondamente convinti dei valori antimilitaristi e nonviolenti. Gli obiettori di Betania scelgono il servizio civile piuttosto per la sua dimensione sociale, per una cultura di gratuità, o perché lo giudicano socialmente più utile del servizio militare, difficilmente per il mero problema dell’uso delle armi. Certo è comunque che per questi giovani Betania è stata una formidabile palestra di educazione per la vita, dove confrontarsi sui temi della pace e della solidarietà, dove fare una pratica quotidiana di socialità e altruismo.

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Venti mesi di comunità come obiettore di coscienza Alberto Dazzi

Sono un obiettore di coscienza al servizio militare e ho scelto di svolgere il servizio civile in comunità. Ho creduto e credo ancora nella passibilità di dare un mio contributo alla costruzione della pace scegliendo un servizio che non sia quello armato, ma che mi mette in gioco in prima persona in quelle situazioni ed esperienze dove l'uomo soffre e lotta. Pace non e solamente e semplicemente assenza di guerra, è “Shalom” cioè pace in noi stessi, nelle relazioni con le altre persone, nella nostra vita di tutti i giorni, in famiglia, al lavoro; “Shalom” è vita piena e realizzante, è scegliere di condividere la nostra vita. E non mi basta una scelta che impegni 20 mesi solamente della mia vita, perché la pace è una realtà che mi interpella continuamente, una realtà che chiede di essere vissuta concretamente nella società, tra la gente. Ho scelto di vivere in comunità con altri giovani soprattutto perché pensavo che sarebbe stata una scelta importante per la mia crescita. Nella quotidianità ho potuto confrontarmi con me stesso, con le mie scelte, con la mia fede in Dio e con altri valori in cui credo, e questo grazie alla condivisione di esperienze, dl problemi e sofferenze con altri ragazzi come me. Ho avuto molto da questa esperienza perché mi ha dato la possibilità di scoprire i miei limiti reali e di ridimensionare ciò che credevo di essere e di poter fare. Condividere la vita in comunità significa vivere gomito a gomito una ricerca comune: la ricerca di un senso nuovo e più profondo che non sia fuga dalla vita ma che la realizzi pienamente.

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Questo mi ha dato la possibilità di mettermi in discussione, di confrontarmi realmente e di non vivere più solo di belle idee. Facilmente sono caduto nell’errore di credere che la realtà sia come la penso io e che rispecchi le mie idee. Quando mi metto in atteggiamento di ascolto e mi confronto, scopro che spesso sono solamente mie costruzioni; è l'errore molte volte inconscio, di dare alle parole il potere di costruire la realtà. Ma è un potere che non hanno. Ora che ho terminato i 20 mesi di servizio civile in comunità sento il pericolo di fossilizzarmi all’interno delle mie false sicurezze, nel mio tranquillo tran-tran che non lascia spazio al confronto ed alla condivisione. Può essere come percorrere una strada a senso unico: non hai automobili che ti vengono incontro e con cui hai la possibilità di misurarti. Inoltre ho la sensazione che col passare del tempo scoprirò ancora tante cose che questa esperienza mi ha lasciato: ricordi, stimoli, certezze, dubbi e altro ancora. E in ogni casa ho la certezza che questa esperienza vissuta in comunità mi abbia data una maggiore coscienza di me stesso e una maggiore forza di affrontare le prossime esperienze. SHALOM 1, 1987 p 9

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Essere obiettore a Betania Cesare

Sembrerà forse un po’ esagerato, ma nessuno, tra gli obiettori di coscienza che svolgono il proprio servizio civile a Betania, ha mai rimpianto di non aver potuto impiegare questi 20 mesi presso qualche altro ente o in qualsiasi altra maniera. Forse non tutti lo riconoscono apertamente, forse è una convinzione che i più si portano dentro e su cui non sono abituati a riflettere, ma poco ci vuole a capire, ad esempio quando ci confrontiamo con obiettori destinati ad altri servizi, che il nostro presentarci come membri di Betania cela soddisfazione e una punta di orgoglio. All’origine di ciò vi é sicuramente l’attaccamento che noi tutti proviamo nei confronti della Comunità, ben consapevoli che sta arricchendo di un’esperienza originale e irripetibile le nostre vite. Difficilmente, infatti, potrà capitare ancora una volta congedati, la possibilità di dividere una giornata con così tanti ragazzi della nostra età e quindi l’opportunità di poter sempre scherzare e divertirsi quando si è sereni e quella di sfogarsi parlando con qualcuno nel momento in cui un problema viene a galla. Scegliendo il servizio civile in alternativa a quello militare abbiamo voluto dare il nostro personale contributo alla formazione di quella mentalità universale di pace che stenta tuttora ad affermarsi; scegliendo il servizio civile a Betania ci siamo augurati di poter essere di aiuto a ragazzi che, a un certo punto della loro esistenza, questo aiuto la hanno richiesto. Basta però trascorrere qualche giorno in Comunità che subito sorgono, uno dietro l’altro, interrogativi a cui è difficile dare una risposta.

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Innanzitutto, ci è possibile agevolare un ragazzo nel percorrere il cammino che ha deciso di intraprendere rivolgendosi a Don Valentini? Se sì in che maniera? Ma questo aiuto, inoltre, a noi personalmente, verrà davvero richiesto o ci appropriamo (in buona fede) di un qualcosa che probabilmente non è neppure alla nostra portata? Dal momento in cui, spesso, le motivazioni e le voglie di essere determinanti conducono ad essere un po' ciechi e presuntuosi, l’atteggiamento giusto da adottarsi quando si entra a Betania è quello che ogni persona dovrebbe far suo in tutte le situazioni offerte della vita, ossia porsi in condizioni di ascolto e di disponibilità. Solo in questa maniera potrà presentarsi l’occasione di conoscere e di farsi conoscere, di dare inizio ed amicizie e a quegli scambi di opinione e valori positivi connaturali alle amicizie stesse. Chi non è della Comunità è di solito propenso a ritenere che noi obiettori, qui dentro, abbiamo dei compiti particolarmente specifici; è probabile che la stesse cosa fosse pensata de molti di noi prima di iniziare il servizio. Ebbene, non ci potrebbe essere niente di più sciocco che ritenere di essere a Betania per insegnare qualcosa. Abbiamo imparato, piuttosto. Betania e le sue persone ci hanno aiutato ad apprendere tutte quelle cose che fino a poco tempo fa ci erano nascoste dai pregiudizi e dall’ignoranze, ci hanno reso evidenti i luoghi comuni e le falsità che circolano su chi ha avuto problemi di tossicodipendenze, ci ha fatto capire e convincere di come a torto si sentenzia e si condanna un mondo fatto di persone con problemi come i nostri e molto spesso più gravi dei nostri, di persane sensibili, a volte insicure, che è stata davvero molto bello conoscere. SHALOM 2, 1988 pp 5-6

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Gandhi l’intelligenza della non-violenza Luca Borgarani

Nasce il 2/10/1869 a Porhandar, città di un India divisa in più di 500 regni e principati e governata dagli Inglesi tramite la Compagnia delle Indie. Alla divisione politica favorita dagli Inglesi si affianca pure una divisione religiosa tra Induismo, Islam e Cristianesimo. Gandhi appartiene alla «Comunità dei credenti» che fonde induismo ed illuminismo europeo. Il padre è ministro di uno staterello ed appartiene alla casta dei mercanti, la madre gli infonde il senso religioso. Nel 1883 sposa Kasturhai che gli sarà sempre a fianco anche nei momenti difficili. Avranno 4 figli. Nel 1888 parte per studiare legge a Londra, conosce la cultura europea, soprattutto Tolstoj ed il cristianesimo. Alla base della sua esperienza religiosa pone il Bhaga Vadgita (libro sacro indiano) ed il discorso della Montagna di Gesù. Il 12/6/1891 torna in India laureato. Il 4/4/1893 parte per lavoro alla volta del Sudafrica. A Duban è cacciato dal treno che è per soli bianchi e rifiutato in albergo a Johanneshurg. L’avv. Gandhi ha successo e diventa il portavoce dei 150.000 immigrati indiani. Guida la lotta per il voto e, tornato in patria nel 1896, continua ad occuparsi degli immigrati indiani. Nel 1897 ritorna can la famiglia in Sudafrica, ma suscita violente proteste dei bianchi che vogliono linciarlo. Guardando alle ingiustizie patite dagli Zulù elabora il suo concetto chiave: il Satyagrahi (ricerca della verità e resistenza non-violenta). Nel 1906 fa il tradizionale voto indù di castità. Comincia la

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pressione alla coscienza tramite lo strumento del digiuno. Nel 1907 applica per la prima volta il Satyagrahi di massa quando il Governo decide la schedatura in massa degli Asiatici. Saturate le prigioni, il Governo arriva ad un compromesso in seguito non riapplicato. Intrattiene dal 1909 un carteggio con Tolstoj cui dedica una sua comunità. Altre lotte non-violente ed altre conquiste. Il 9/1/1915 torna in India dove il poeta lo saluta come Mahatma (grande anima). La Gran Bretagna, visti i contributi dati dagli Indiani nella Prima Guerra Mondiale, propone di fare dell’India un «dominio» come Australia e Canada e non più una colonia. Gira l’India villaggio per villaggio. La Gran Bretagna, finita la guerra e cambiato il Governo, gira la vite e Gandhi indice un Hartal (digiuno). Per un disguido la data della manifestazione è spostata, ma la notizia non arriva a Delhi dove la polizia spara sui dimostranti non autorizzati. Gandhi arriva a Delhi ma viene arrestato. Si degenera in violenze con grande amarezza del Mahatma contrario. Gandhi diventa editore di giornali. Gli Inglesi se la prendono con i musulmani e Gandhi propone il boicottaggio dei prodotti inglesi, pone un ultimatum agli Inglesi (1920) sulla autonomia indiana, ma la ritira allorquando la falla brucia vivi 22 poliziotti inglesi. Il 10/3/1922 viene arrestato e condannato per istigazione e ribellione a 6 anni di cui ne sconta 2. Il congresso indiano (partito di maggioranza) si spacca tra gandhiani e filoinglesi. Diventa suo malgrado presidente del congresso all’insegna dell’unità. Ha forti problemi con la sinistra che vuole subito l’indipendenza e che prevale. Il contrasto é così violento che deve rifiutare anche propo-

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ste inglesi molto favorevoli. Nel 1929 Gandhi guida la lotta contra l’aumento della tassa sul sale dimostrando sulla costa di Bamhay che il sale lo si può ricavare dal mare gratuitamente. Oltre al boicottaggio dei prodotti inglesi ci si rifiutò di vendere prodotti di prima necessità ai colonizzatori. Gandhi è di nuovo in carcere con altre 60.000 persone. La moglie prende il suo posto. Alle elezioni del 1937 prevalgono gli Indù ed è la scissione con i musulmani. Gandhi si fa tutore dei diritti degli intoccabili e delle donne. Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e la partecipazione indiana a fianco dei coloni è offerta in cambio dell’indipendenza. Gandhi è contrario ad ogni ricatto. Churchill propone l’indipendenza a fine guerra, dopo la grande avanzata nazista. Neppure l’India cede a Churchill. L’8/8/1942 Gandhi e sua moglie sono in carcere per due anni: qui muore la moglie. Finita la guerra, i laburisti salgono al governo in Inghilterra. Il 15/8/1947 sorgono l’Unione Indiana e il Pakistan (musulmano). L’India sognata da Gandhi sfuma. Avviene una emigrazione delle minoranze religiose dai rispettivi paesi dell’ordine di 6 milioni di persane di cui 1 milione muore. Gandhi spende gli ultimi giorni a predicare pace tra Indù e i musulmani. Dopo il ventesimo digiuno è assassinato a Delhi il 30/1/1948 da un indù estremista che Gandhi fa in tempo a perdonare. A 78 anni di cui quasi 7 trascorsi nelle carceri indiane e sudafricane finisce la sua parabola terrena, ma la sua filosofia e i suoi comportamenti continuano a provocarci. Leggiamo un brano di grande spessore: Il combattente per la non-violenza (...) Il satyagrahi richiede da parte di chi intende praticarlo l’autodisciplina, l’autocontrollo, l’autopurificazione e uno stato sociale riconosciuto. Un satyagrahi non deve mai dimenticare la distinzione tra il male e colui che commet-

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te il male. Egli non deve nutrire malanimo o rancore nei confronti di quest’ultimo. Egli non deve neppure usare senza necessità un linguaggio offensivo nei confronti di chi commette il male, per quanto terribile questo possa essere. Per ogni satyagrahi infatti deve essere un articolo di fede il fatto che al mondo non esiste nessuna persona tanto traviata da non poter essere convertita con l’amore. Un satyagrahi deve sempre tentare di sconfiggere il male con il bene, l’ira con l’amore, la falsità con la verità, l’himsa con l’ahimsa. Non vi é altro modo per liberare il mondo dal male. Dunque una persona che afferma di essere uno satyagrahi deve tentare costantemente, attraverso una attenta e devota ricerca interiore e autoanalisi di comprendere se è o meno completamente libero dall’ira, dal malanimo e dalle altre simili debolezze umane, se è o meno capace egli stesso di quegli stessi peccati contro i quali ha bandito una crociata. Dall’autopurificazione e dalla penitenza dipende metà del successo del satyagrahi. Un satyagrahi ha fede che l’azione silenziosa e non appariscente della verità e dell’amore produce risultati di gran lunga più duraturi di quelli ottenuti con i grandi discorsi o con altri metodi appariscenti. Ma sebbene il satyagrahi possa compiere la sua azione senza vistose manifestazioni, esso richiede da parte del satyagrahi una certa iniziativa. Un satyagrahi ad esempio deve innanzitutto sensibilizzare l’opinione pubblica contro il male che egli intende sradicare attraverso un’ampia e intensa agitazione. Quando l’opinione pubblica ha preso sufficientemente coscienza di un’ingiustizia sociale, anche i più potenti non possono più arrischiarsi a praticarla o ad appoggiarla apertamente. Un'opinione pubblica cosciente e intelligente è la più potente arma del satyagrahi. Quando una persona sostiene un’ingiustizia sociale mostrando

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un totale disprezzo per l’unanime atteggiamento dell’opinione pubblica, fornisce una chiara giustificazione per il proprio ostracismo sociale. Ma lo scopo dell’ostracismo sociale non deve mai essere quello di arrecare offesa alla persona contro cui viene applicato. Ostracismo sociale significa completa non-collaborazione da parte della società nei confronti di chi le arreca danno; il principio è né più né meno che una persona che deliberatamente si fa beffe della società non ha diritto ad essere servita dalla società stessa. L’applicazione di tale principio è sufficiente per il raggiungimento di ogni scopo pratico. Naturalmente in casi specifici possono essere necessarie iniziative particolari, e nella pratica l’azione può richiedere delle variazioni per adeguarsi alle caratteristiche di ogni singola situazione. (8 agosto 1929) (tratto da M.K. «Gandhi Teoria e pratica della non violenza» Einaudi Ed., Torino, 1973)

SHALOM 2, 1988 pp 23-26

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Il primo caso di obiezione di coscienza I primi obiettori di coscienza al servizio militare li troviamo tra i cristiani dei primi secoli. Questi soldati erano ispirati da tre motivi. Il più sovente rifiutavano di servire nell’esercito romano perché il cerimoniale militare richiedeva sacrifici idolatri agli dei e agli imperatori divinizzati. Altri, sapendo che esisteva l’eventualità di combattere contro altri cristiani, rifiutavano di battersi contro i loro fratelli. Altri, infine, si rifacevano al quinto comandamento e alla non-violenza evangelica e proibivano ai catecumeni e ai battezzati il mestiere delle armi. Quest’ultimo caso si avvicina alla scelta dei moderni obiettori; con ogni probabilità dobbiamo fare rientrare Massimiliano in questo gruppo. Massimiliano era figlio di un veterano e, secondo le leggi vigenti, doveva seguire il mestiere del padre. Arrivato il suo turno rifiuta di farsi arruolare nell’esercito romano nonostante le minacce del proconsole Dione che cercò con tutti i mezzi di farlo recedere dal suo proposito. Fu perciò condannato a morte e decapitato il 12 marzo 295. Dal verbale del processo appare chiaramente che Massimiliano rifiuta la coscrizione perché incompatibile con il suo stato di cristiano: «Non mi è lecito -risponde al proconsole- servire nella milizia, perché sono cristiano. Non posso entrare a far parte della milizia; non posso commettere atti di violenza. Io sono cristiano». Benché il racconto del suo martirio sia molto antico ed attendibile, il suo culto non ha avuto larga diffusione nella chiesa. Uno storico moderno spiega questo fatto in un modo per lo meno discutibile: “Il suo culto non è stato mai molto vivo, forse perché le circostanze ed il motivo della sua morte non sono stati mai pienamente accettati e convalidati dalla chiesa; egli, infatti, che può essere conside-

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rato il primo «obiettore di coscienza» (situazione psicologica già nota e diffusa in ambienti montanisti e africani, per un’errata interpretazione del vangelo), si rifiutò di prestare l’ordinario servizio militare” (Amore). Un breve studio sull’atteggiamento della chiesa primitiva circa il nostro tema dimostrerà che le stesse autorità ecclesiastiche sostennero e comandarono simili gesti ai battezzati. Oggi nessuno contesta il fatto che dei cristiani, specialmente nei primi secoli, abbiano rifiutato le armi e che dei teologi li abbiano approvati ed incoraggiati in questa via. Tuttavia molti studiosi, allo scopo di difendere la teologia morale tradizionale riguardo al servizio verso lo stato, tendono a sminuire il fatto. Essi sostengono che l’obiezione di coscienza e la non-violenza erano portate avanti da una minoranza di intellettuali avulsi dalla vita della comunità cristiana; inoltre il motivo principale era il rifiuto dell’idolatria. Uno studioso protestante, M. Hornus, ha dimostrato l’infondatezza di tali obiezioni. È vero che l’opinione di certi pensatori cristiani (Tertulliano, Origene, Lattanzio) è stata spesso smentita dalla condotta concreta dei fedeli; tuttavia questo non è l’unico caso in cui sono sorte tensioni tra l’esigenza assoluta del vangelo e i compromessi dovuti alle debolezze e alla mancanza di fede dei cristiani. Accanto al motivo del rifiuto dell’idolatria i cristiani dei primi secoli hanno posto il motivo del rispetto della vita. Chi sottolinea il primo e dimentica il secondo distorce la verità storica. L’insegnamento di larghi settori della chiesa primitiva (e non solo la fantasia di alcuni esaltati) attesta una rigorosa opposizione al servizio militare. Tale presa di posizione non rispecchiava una situazione particolare (culto dell’imperatore), ma una opzione fondamentale: il rifiuto della violenza ed il rispetto della vita. I cristiani hanno orrore della guerra perché essa è omicida.

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Lattanzio, scrittore del secolo III, afferma che la guerra è la negazione di ogni virtù perché l’uomo è il valore supremo che non si distrugge senza incorrere nella condanna formale di Dio: “È proibito sempre mettere a morte un uomo perchè Dio ha voluto che sia un animale sacro” (Istituzioni divine). La legge disciplinare fondamentale della chiesa primitiva, in vigore dai primi anni dal secolo III fino al V, a Roma, come in Sira ed in Egitto, è inoltre chiara al riguardo: “Il soldato subalterno non uccida nessuno. Se riceve un ordine del genere, non lo eseguisca e non presti giuramento. Se non accetta tali condizioni, sia rimandato. Il catecumeno o il fedele che vogliono dedicarsi alla vita militare siano mandati via perché hanno disprezzato Dio” (Tradizione apostolica). Tertulliano in un primo momento sostiene che non c’è incompatibilità assoluta tra il servizio militare e professione di cristiano; più tardi diventerà più radicale: non è possibile un accordo tra il giuramento divino e quello umano, tra lo stendardo di Cristo e quello del diavolo. Origene, così diverso da Tertulliano per mentalità, cultura e origine, sostiene la stessa opinione. Dopo la pace costantiniana non si tratta più di atti idolatrici imposti ai soldati. Molti studiosi ritengono che sotto imperatori cristiani la chiesa ha mutato parere nei confronti del servizio militare. Una prova inconfutabile sarebbe quel «Canone III» del sinodo di Arles (314) che scomunica i soldati che rifiutano il servizio militare in tempo di pace o si rivoltano contro i loro capi. Il termine «in pace» significherebbe qui «in tempo di pace tra la chiesa e l'impero», essendo terminato il periodo delle persecuzioni. In questo modo il canone consacrerebbe la liceità del servizio militare. Una tale interpretazione non si sostiene. Il termine «in pace» deve essere preso nel senso ovvio e significa «in tempo di pace» per opposizione a «in tempo di guer-

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ra». Arles rappresenta un’ulteriore concessione rispetto alla tradizione apostolica. Fino ad allora si tollerava che il cristiano «militi»; ora si condanna coloro che non rispettano le regole del gioco. In tempo di pace, quando si è nell’esercito bisogna restarci. Resta la proibizione di versare il sangue; principio sul quale il cristianesimo dei primi quattro secoli non transige (almeno a livello ideale). D’altra parte, come una specie di richiamo all’antica dottrina, per lungo tempo ancora severe penitenze saranno imposte a coloro che avranno ucciso un uomo in guerra. Tracce di questo principio della non-violenza si trovano nelle «tregue di Dio», imposte dal papato nel Medio Evo, o nella proibizione fatta ai preti di portare le armi. Fuori della chiesa cattolica, la non-violenza assoluta è stata ripristinata da sette dissidenti o da chiese protestanti: valdesi, mennoniti, quacqueri. Il p. Daniélou faceva rilevare che «da un punto di vista cristiano, l’obiezione di coscienza si può giustificare solo come vocazione alla santità». La chiesa è passata dalla proibizione del servizio militare per tutti alla sola esenzione dei chierici. Col pretesto di inquadrare le masse e di battezzare il potere, la chiesa ne è stata conquistata. Il conflitto tra la chiesa e lo stato è consistito fin dall'inizio nel problema del non conformismo civico dei cristiani. Cedendo su questo punto la chiesa ha guadagnato molto sul piano temporale, ma ha compromesso la sua fedeltà al vangelo: «Aumentando la sua influenza temporale -scrive S. Girolamo- la chiesa ha perduto il suo valore cristiano». (tratto da «Missione Oggi» del 1986)

SHALOM 2, 1988 pp 27-30

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E noi abbiamo scelto la pace Luca e Stefano

Il mondo occidentale ha raggiunto frontiere veramente impensabili in ogni campo; scienza, medicina, tecnologia, industria, agricoltura, etc. Questa serie di progressi ha alzato notevolmente il tenore medio di vita dell’uomo odierno, conferendogli nuove possibilità per condurre una vita agiata e piena di soddisfazioni esteriori. Potere, successo, denaro e look diventano così il parametro di realizzazione di un uomo, ed è in base a queste cose che le persone di oggi si rapportano. Un essere umano vale per ciò che ha e non per ciò che è in questa «civiltà di cose». È da questa situazione che nasce il più profondo dei mali della società attuale: chi non ha non conta, non decide, è infelice. Questa netta divisione porta all'emarginazione, alla devianza, al dolore e di conseguenza ad odii, conflitti, rivalità. La pace e la giustizia sono realtà perdute. La nostra Comunità si propone come piccola società alternativa, come luogo in cui la pace non è un'utopia ma base della vita quotidiana, ideale su cui si imperniano le dinamiche esistenziali (sia il lavoro che gli impegni che il tempo libero e gli svaghi). Betania è un luogo in cui si è ciò che si è, non ciò che si ha. La sua scelta di pace perciò chiaramente è il punto fermo su cui ruota tutto il resto. La figura degli odc è dunque inscindibile dalla Comunità e vitale per essa, tanto più che Betania è nata come «Comunità di obiettori per il servizio e l’accoglienza» (i giovani per i giovani). L'odc a Betania non si esaurisce solo col non addestramento militare e il non uso di armi, ma si allarga al concetto di vivere e credere secondo la propria coscienza, secondo quindi ciò che si è. Coloro che espletano il servizio civile in Comunità sono allora, o per lo meno vogliono

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esse, una piccola luce, un punto di riferimento a tutti per desiderare e vivere la pace. Non è un ruolo di potere quello dell’odc a Betania, ma di condivisione, che deve trarre origine da un ascolto, dalla conoscenza e dall'amicizia, che prende corpo nella vita quotidiana mettendosi sullo stesso piano, facendo progetti e realizzazioni comuni, e che deve sfociare in uno stile di vita in cui l'uomo è posto al di sopra di ogni condizionamento che lo può schiavizzare. Questo tentativo di costruzione di pace non è certamente facile soprattutto perchè in Comunità affluiscono persone con idee ed esperienze di vita differenti. Questo scoglio, che a volte si pone anche nei rapporti interpersonali, viene superato grazie alla nostra coscienza che ci fa accogliere ogni persona per ciò che è e quindi per ciò che pensa. Obiettori e Comunità sono dunque una cosa sola, un'unica entità che compie tutti i giorni una scelta importante e fondamentale: la pace. SHALOM 3, 1988 p10

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Capodanno, un giorno per la pace Alessio Concari

Per iniziativa di Papa Paolo VI, il primo Gennaio di ogni anno è dedicato al tema della pace, una parola grossa, tanto grossa che difficile è racchiudere il suo significato nelle 24 ore di un giorno o nelle righe di un articolo. Credo che a volte, troppo comodamente, ne diamo un significato troppo astratto e semplicistico, ma pace non è armistizio momentaneo nelle tante guerre che ancora oggi si combattono, è SHALOM: è accorgersi che il proprio vicino di casa sta male, è accostarsi alle persone sorridendo, è aiutare chi ha bisogno con semplicità e umiltà, e essere decisi e coerenti nelle scelte che contano anche se queste comportano sacrifici. SHALOM è oggi la necessità più sentita in tutta la terra. Il nostro mondo, infatti, è ormai un piccolo paese: o decidiamo di volerci bene o ci distruggeremo lentamente come stiamo facendo. Non incolpiamo le superpotenze se ancora oggi vi è guerra e odio, ma cominciamo a vivere come Gesù ci ha indicato: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. Anch’io, a vent’anni, ho dovuto scegliere se servire lo stato in una caserma come soldato o a Betania come obiettore di coscienza. Ho scelto la comunità, perchè la mia esperienza comunicasse tutti i miei ideali e i miei sogni. La mia pace è la pace di Cristo: non è un concetto astratto, ma mi chiama ad un impegno che coinvolge tutto me stesso e mi pone di fronte alla vita chiamandomi a fare SHALOM con la mia esuberanza di giovane, con la mia voglia di conoscere, con i miei sbagli e le mie incertezze. Se accetto tutto questo non posso non accorgermi di quante persone cominceranno l’anno nuovo nel dolore e

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nella solitudine: può essere in pace il ragazzo che si buca o l’anziano che muore solo? Ecco perchè NOI dobbiamo FARE PACE: che bello sarebbe se tutto il mondo il primo Gennaio perdonasse i torti, aiutasse chi oramai è disperato, gridasse “NO!” agli eserciti e alla guerra. Il mio sogno per il primo giorno del 1989 è questo. SHALOM 4, 1988 p 11

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Vocazione cristiana e servizio militare Un binomio certo non facile da coniugare Stefano Pesci

L’11 marzo scorso si è tenuta un’assemblea nella Sala Convegni di Betania alla quale hanno partecipato i responsabili dei centri operativi nei quali svolgono servizio gli obiettori di coscienza Caritas e i giovani stessi. L’incontro che ha avuto lo scopo di analizzare la situazione attuale e di ribadire le motivazioni profonde che spingono un giovane alla difficile scelta dell’obiezione, ha suscitato alcune problematiche riguardanti i vari servizi e alcune riflessioni sulle tematiche della non-violenza e della pace. L’assemblea svoltasi in un clima di vera gioia, di cordialità e di fraternità, si è conclusa con una Messa, celebrata dal nostro vescovo Mons. Benito Cocchi, per ricordare S. Massimiliano, «patrono» degli obiettori. San Massimiliano obiettore di coscienza Figlio di un veterano dell’esercito, Massimiliano doveva, secondo le leggi allora vigenti, seguire il mestiere del padre. Arrivato il momento si rifiutò di farsi arruolare nonostante le minacce del proconsole Dione che tentò con ogni mezzo di farlo recedere dal suo proposito. Per questo suo rifiuto fu condannato a morte e decapitato il 12 marzo 295. Dal verbale del processo appare chiaramente che Massimiliano rifiuta l’obbligo militare perché incompatibile con il suo stato di cristiano. «Non mi è lecito -risponde al proconsole- servire nella milizia, perchè sono cristiano. Non posso commettere atti di violenza; io sono cristiano. Non servirò negli eserciti del mondo, io sono un soldato di Dio.» Prima di Massimiliano vi erano stati altri obiettori di co-

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scienza, i quali si rifiutavano di servire l’esercito perché le cerimonie militari richiedevano sacrifici idolatri agli dei e agli imperatori divinizzati oppure perché sapevano che probabilmente avrebbero dovuto combattere contro altri cristiani. Massimiliano invece si rifaceva al quinto comandamento e alla non-violenza evangelica. Alla scelta di Massimiliano si avvicina quella degli obiettori di coscienza di oggi; il rifiuto della violenza ed il rispetto per la vita è una scelta fondamentale. Ma ogni cristiano dovrebbe avere orrore della guerra perchè essa è omicida e fratricida. Vocazione cristiana e servizio militare Vocazione cristiana e servizio militare: un binomio certo non facile da coniugare. È un dibattersi tra l’esigenza assoluta del Vangelo e i compromessi dovuti alle debolezze e alla mancanza di fede dei cristiani. Giovanni Paolo II, domenica 2 aprile, alla caserma della Cecchignola alle porte di Roma, ha valorizzato il servizio militare. «Se si considera -ha detto il Papa- la sua natura in senso positivo, il servizio militare in se stesso è una cosa molto degna, molto bella. Il nucleo stesso della vocazione militare non è altro che la difesa del bene, della verità e soprattutto di quelli che sono aggrediti ingiustamente.» E qui troviamo il principio che spiega in quale situazione la guerra può, secondo l’opinione del Papa, essere giustificata: «se è una difesa della Patria aggredita, una difesa di quelli che sono perseguitati, innocenti; una difesa anche con il rischio della propria vita. Una difesa che può portare con sé la morte o il danno dell’aggressore, ma egli è colpevole in questo caso.» Io stimo molto Papa Giovanni Paolo II, innanzitutto perché è il primo maestro della Chiesa, il successore di Pietro e

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poi perchè è un uomo intelligente, di una bontà incredibile e con tantissime idee valide. Purtroppo però devo dissentire da questa sua presa di posizione. Dio ci ha dato la vita, Dio è in ognuno di noi, che diritto ho io di decidere della vita di un altro, di un mio fratello, anche se sta compiendo delle ingiustizie? Se credo in Dio non accetto di commettere violenze, anche se è molto difficile e mi costa sacrificio; se credo in Gesù Cristo amo il mio prossimo come me stesso, anche se costui è nel male e aggredisce gli altri. Per superare la logica dell’equilibrio La novità evangelica propone il superamento della logica dell’equilibrio che trovavamo nella Bibbia («occhio per occhio, dente per dente»). «Ma io vi dico: non di non opporvi al malvagio anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Mt. 5,38-39). Non è la proposta di una strategia o di una tecnica di non-violenza; e la proposta della nuova immagine di Dio, perché il motivo sarà questo: «amate i vostri nemici, come Dio che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt. 5,44-45). Se è vero tutto questo, quello che propone il Vangelo non è una tecnica: offrire l’altra guancia, fare due miglia... Questi sono semplicemente gesti paradossali, non applicati neppure da Gesù; tant’è vero che nel processo, quando Gesù è insultato a manrovesci, non offre per nulla l’altra guancia. Gesù però rivela qual è il significato dell’amore di Dio, domandando ragione: «Perchè mi percuoti?» (Gv. 18,23). Il problema non è una tecnica, né una strategia, ma l’immagine di Dio che consente di creare rapporti nuovi tra le persone, che sono qualificati dall’amore. Solo a questo

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punto si può parlare dell’amore. Non basta l’amore qualsiasi, occorre quell’amore gratuito che consente di amare anche il nemico, dando il diritto di vivere all’altro, non perché sono il più forte, o perché debole e non posso difendermi, ma perché posso attingere l’energia direttamente dal «Dio della vita». Quando Pietro estrae la spada, Gesù rifiuta di farsi difendere e richiama il principio dell’amore vissuto anche in una situazione di aggressione ingiusta. E il Vangelo ci dice anche: «Beati i promotori della pace, perché saranno chiamati figli di Dio». No, non sono disposto ad accettar compromessi, anche se le parole del Papa sono estremamente vere: è giusto difendere il bene e la verità, però non usando violenza. E il servizio militare è addestramento alla guerra, e la guerra è violenza. Io rispetto coloro che svolgono il servizio militare, però non condivido le loro idee. Sicuramente il compito degli obiettori è quello di «educare alla pace», attraverso la testimonianza. Gli obiettori non vogliono la polemica, anzi sono disposti a confrontarsi. Testimoni di pace Ci sono state tante persone che hanno testimoniato in modo profondo e vero questa loro scelta di non-violenza. Martin L. King è stato un uomo il cui fuoco interiore non si è mai estinto e ha combattuto con umiltà per far progredire l’amore e la fratellanza. Io lo ammiro perché per la sua causa non ha mai ucciso, ma è stato grande a tal punto da morire innocente per essa. Non si combatte la violenza con la violenza. E allora ricordo Gandhi, che ha dato a tutti un grande esempio di come si può attuare la cosiddetta «difesa non-violenta». Questo concetto di «non-violenza» è richiamato anche

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dal Concilio Vaticano II, che loda coloro che rinunciano alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrendo invece ad altri mezzi. Come ultima ipotesi è ammessa anche una difesa armata del bene, tenendo presente però se il male che si fa per ottenerlo è rapportato all’obiettivo. Penso che oggi la PACE (nel senso più ampio della parola, intesa come SHALOM) sia la necessità più sentita su tutta la terra. Siamo arrivati ad un punto in cui dobbiamo fare una scelta ben precisa: o decidiamo di volerci bene o ci distruggiamo lentamente come stiamo facendo. La mia pace è l’amore di Cristo: non è un concetto astratto, ma mi chiama ad un impegno quotidiano che coinvolge tutto me stesso, che mi impone di confrontarmi con la realtà e mi pone di fronte alla vita chiamandomi a far SHALOM con la mia esuberanza di giovane, con la mia voglia di conoscere, con i miei sbagli e le mie incertezze. Il servizio civile degli obiettori di coscienza ha senso solo se è rivolto ad aiutare e a condividere esperienze con i più poveri, i più emarginati perché come dice M. Teresa di Calcutta «il frutto della fede è l’amore; il frutto dell’amore è il servizio; il frutto del servizio è la pace». E questo concetto è ribadito anche nella «Gaudium et Spes» dove si afferma che non c’è giustizia senza amore; l’importante è amare, poi la pace, la giustizia, la serenità delle persone vengono di conseguenza. SHALOM 2, 1989 pp 8-13

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Gli obiettori di coscienza Caritas nel tessuto cittadino Stefano Romei

Obiezione di Coscienza e Servizio Civile sono due locuzioni che spesso sono tra loro confuse e si riferiscono invece a due concetti ben distinti tra loro e indipendenti. Si dà obiezione di coscienza tutte le volte che la Coscienza individuale si impone e si contrappone ad una legge dello stato, ad una legge economica o ad una abitudine sociale. Esempi ne sono l’obiezione di coscienza al servizio militare, ma anche l’obiezione di coscienza alla pratica dell’aborto, alle spese militari, ecc. L’obiezione di coscienza, quindi si presenta come un fenomeno popolare (dal basso) di protesta, di opposizione ad un trend generale di stallo e di appiattimento sulle linee disegnate dall’alto. Forse, più che obiettori di coscienza, sarebbe meglio chiamarci «affermatori di coscienza», per meglio evidenziare la valenza positiva della scelta: affermatori di una coscienza evangelica che ci porta a gridare il nostro dissenso e ad impegnarci in prima persona, di fronte alla violenza e alla prevaricazione, per un mondo migliore. A fianco dell’obiezione di coscienza sta il concetto del Servizio Civile: un anno di servizio, richiesto dallo stato in sostituzione del servizio militare. La Caritas intende questo anno come un anno di servizio «agli ultimi», per l’assistenza e la promozione umana. Gli ultimi sono i poveri, gli emarginati: gli ingranaggi non funzionanti, sostituiti e dimenticati di quella grande macchina che è la società moderna. Il servizio agli ultimi è profezia di pace e di speranza, è un

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segno tangibile della presenza dello Spirito in ogni persona. Tale servizio si pone nell’ottica del segno: mostrare al mondo che nessuna persona è mai definitivamente persa, che vale la pena condividere con essa i suoi problemi, e che in ogni caso occorre superare il concetto di «normalità» (perchè è da qui che nasce poi la diversità) per aprirci ad una umanità multiforme ma che come denominatore comune ha un unico padre. L’anno di servizio civile alla Caritas unisce in sé queste due valenze del servizio agli ultimi e dell’obiezione di coscienza che si completano e si compenetrano tra loro come testimonianza di pace. Il nostro obiettivo è quello di mostrare a tutti i giovani come sia possibile dare una svolta in positivo alla propria vita: è possibile anche cambiare il mondo, basta volerlo, basta prendere coscienza che la storia passa attraverso le mie azioni (in positivo e in negativo). Il nostro sogno è il Regno di Dio, ma non tra mille anni, oggi e nella nostra città: con M. L. King anche noi crediamo che se il mondo va male non è perché ci sono troppi sognatori, ma perché ce ne sono troppo pochi. Dobbiamo trovare il coraggio di sognare, di sognare in grande, e la realizzazione di questo sogno, che per noi è il Vangelo, passa attraverso la fedeltà al quotidiano, attraverso l’attenzione a vivere bene il qui e ora, attraverso la nostra scelta di essere a fianco dell’umanità sofferente, attraverso la nostra testimonianza ad altri giovani: affinché l’amore possa estendersi a tutto il mondo. Così gli obiettori della Caritas prestano il loro servizio in centri di volontariato strutturati che operano per l’assistenza e la promozione umana. A partire dalle cooperative di lavoro per l’inserimento delle persone portatrici di handicap, dove la condivisione supera le differenze.

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Tra parentesi, tanti O.D.C. Caritas che hanno prestato servizio in queste cooperative ora figurano ancora in servizio volontario o lavorano come operatori all’interno delle medesime. Per continuare col nostro impegno nei confronti del problema minorile, impegno per noi nuovo ed incarnato nella realtà del territorio, alcuni obiettori presteranno infatti servizio negli ambiti dell’affido minorile e del recupero scolastico e sociale di minori in difficoltà. Su questa linea è ancora l’impiego degli obiettori nei centri di accoglienza di recupero per i tossicodipendenti. Qui la vita comunitaria diventa, oltre che testimonianza e profezia di pace, anche occasione di condivisione. Rimane altrettanto stabile l’impegno al fianco dei terzomondiali (ormai più di 4.000 nella nostra città), per dimostrare come sia possibile, con lo sforzo di comprendersi e di conoscersi, avviarsi ad una società multietnica dove vi sia spazio per tutti, pur nella diversità. Da ricordare anche l’attenzione al «problema anziani»: gli obiettori che prestano servizio nelle case di riposo animano il tempo libero e sono una presenza insostituibile di vitalità e di gratuità. Lo studio e la Promozione Umana sul territorio sono assicurati dal Centro Sociale «S.ta Maria del Cammino», per le problematiche sociali di Parma centro, e dalle esperienze di O.D.C nelle Parrocchie. A questo proposito è necessario precisare che l’impegno in parrocchia prevede: • la conoscenza dei problemi di emarginazione e di bisogno; • l’animazione del territorio; • la condivisione coi fratelli in difficoltà residenti su quel territorio. L’obiettivo sarebbe quello di avere in ogni Comunità Par-

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rocchiale una Comunità di O.D.C. che sia di riferimento per i problemi socio-assistenziali dei «disagiati» della zona; sappiamo che ciò è, per ora, irrealizzabile, ma crediamo sia una linea da seguire per il futuro. Come gruppo obiettori ci proponiamo di approfondire le problematiche legate all’emarginazione e a motivare sempre di più la nostra scelta. Il fine è quello di studiare i problemi, sensibilizzare la nostra città e la Chiesa sulle cifre, sui volti, sui problemi e le difficoltà dei poveri. Il tutto con la speranza di far capire che cambiare lo stile di vita da consumistico ad austero, da indifferente a solidale, da delegatore a condividente, da chiuso ad aperto, può cominciare a risolvere i nostri problemi qui e ora. SHALOM 1, 1990 pp 15-16

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Un'esperienza coinvolgente Paolo Ghisotti

Sono passati ormai alcuni mesi da quando ho terminato il servizio civile nella comunità Betania. Da allora, in molte occasioni, mi è stato chiesto di descrivere la mia esperienza. Ogni volta che lo faccio mi sembra di dare una descrizione scarna e insufficiente. Ritengo che la parola che meglio sintetizza il periodo passato in comunità sia "coinvolgente": è una esperienza che lascia traccia, che in un certo modo cambia chi la vive, e alla fine della quale è difficile tornare alla propria vita come se niente fosse successo. Spiegare come e perché questo avvenga è la parte più difficile del racconto. Quando sono entrato in comunità avevo del problema della tossicodipendenza solo l’idea confusa che viene fornita da stampa e televisione, che, per la maggior parte, non fanno altro che da ripetitore alle idee ancora più confuse che i politici hanno in materia. In comunità, dopo il primo periodo di "disorientamento", si arriva invece ad un contatto molto più diretto con il problema, che assume quindi una dimensione ed una complessità prima ignorata. Ad esempio ci si rende conto che la dipendenza fisica dalla sostanza è un aspetto di secondo piano ("ma cosa fate quando sono in crisi di astinenza?" è la domanda che più di frequente mi è stata rivolta da parte di amici e conoscenti preoccupati) perché passa in qualche giorno, mentre ciò che conta è una schiavitù mentale che può durare per anni. Parlando con qualcuno che era in comunità già da qualche tempo, ho avvertito a volte, dal modo in cui parlava della sua esperienza, una enorme difficoltà a considerare la droga come una esperienza totalmente negativa. Questa difficoltà non è secondo me riconducibile alla riluttanza, tutto sommato legit-

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tima, a rinnegare completamente il proprio passato, quanto piuttosto al limitarsi a considerare la sostanza solo per le sensazioni immediate che derivano dal suo uso. Non si considera tutto quello che ne segue: la scoppiatura, l’emarginazione, la perdita del lavoro, la disperazione dei famigliari, ecc... Certamente nessuno possiede la soluzione per un problema così complesso, tantomeno chi come me lo ha accostato per un periodo così breve. Tuttavia credo che almeno per inquadrarlo da un corretto punto di vista, possa essere utile considerarlo come l’effetto della mancanza di certi limiti. Non è e non vuole assolutamente essere una regola, una condizione necessaria e sufficiente, ma in molti casi mi sembra di poter affermare che alla radice vi sia il principio del "tutto e subito". Di fronte alla ovvia impossibilità pratica di realizzare una tale illusione, la reazione è quindi purtroppo la fuga nella droga. Svolgere il servizio civile in comunità non mi ha solo aiutato a conoscere meglio il problema della tossicodipendenza, ma credo anche mi abbia dato l’occasione per riflettere a fondo sulla scelta dell’obiezione di coscienza. Come per molti anche nel mio caso, la motivazione che mi ha spinto all’obiezione di coscienza è stata inizialmente una considerazione sull’utilità dell’anno che avrei dovuto trascorrere. Ritenevo di poter semplicemente impiegare un anno in maniera più utile alla società tramite il servizio civile in comunità piuttosto che in una caserma. Ovviamente non era assente il rifiuto delle armi, della struttura militare, ma erano principi che restavano ancora a livello teorico, frutto più di considerazioni morali "a tavolino", che di effettiva esperienza. A contatto con la realtà del servizio, le scelte subiscono la verifica dell’esperienza, che, almeno per quanto mi riguarda, le ha pienamente confermate e anzi rafforzate. Nel periodo della crisi del Golfo, ho avvertito lo stridente contrasto fra l’ipocrisia di chi riteneva sacrosanta "l’operazione di polizia internazionale" che avrebbe portato alla guerra

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contro l’Iraq, e l’impegno di quanti operano quotidianamente nel volontariato, a contatto con problemi di emarginazione e povertà, impegnati nel tentativo di alleviarli. Questi ultimi molto spesso trascurati, tranne che a parole, da governo e ministeri. Il non senso della guerra (aliena alla ragione secondo papa Giovanni XXIII), l’assurdità dei massacri che essa provoca, nonostante si cerchi di contrabbandarla per "chirurgica", sono lampanti dopo aver avuto anche solo una occasione superficiale per accostarsi a problemi che ci sono più vicini. Una politica di difesa nazionale non basata sulle "operazioni di polizia internazionale" per proteggere i propri interessi economici, ma sulla solidarietà dentro e fuori i propri confini nazionali, sarebbe senz’altro a lungo termine migliore sotto tutti gli aspetti, compresi quelli economici, dello spreco di risorse destinate agli armamenti. Non credo che si possa affermare in buona fede di condurre una politica di difesa nazionale oculata senza preoccuparsi di cercare di risolvere i problemi di ingiustizia sociale anche a livello mondiale. Sicuramente in questo modo si corre il rischio di banalizzare, ma basta un breve esempio a questo proposito per rendere lampante la situazione: continuando ad alimentare la disparità economica fra nord e sud del mondo (problema esterno, reazione comune: colpa loro, se lo meritano) sarà sempre più difficile affrontare "l’invasione" del nostro paese da parte degli extracomunitari (problema interno, reazione comune: cosa vogliono da noi?), con tutto ciò che questo comporta. In questa ottica la lotta all’ingiustizia sociale, dentro e fuori dai propri sempre più privi di significato confini nazionali, si rivela come la miglior difesa di una nazione. Il servizio civile degli obiettori di coscienza è un tentativo, certamente ancora imperfetto, di realizzare questo nuovo sistema. SHALOM 3, 1991 pp 7-8

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La pace difficile Riflessioni sui fatti di guerra dei nostri giorni tra pessimismo e speranza Luca Borgarani

Immagino che sia capitato anche a voi, lettori di Shalom, di vivere i recenti fatti tragici di Palermo, dell’ex Iugoslavia e della Somalia con un misto di rabbia, impotenza e speranza. Sono eventi, questi, in cui chi ama e cerca di lavorare con buona volontà e fiducia nelle risorse dell'umanità per costruire un mondo di fratelli, vede minacciate quelle che considera conquiste irreversibili. Lo sconforto è aumentato dal corteo di Soloni che con troppi "ve l’avevo detto" conforta le proprie posizioni di comodo ma non affronta nessuno dei problemi veri. Tante sono le riflessioni che si potrebbero fare, di carattere teologico, antropologico, geopolitico, culturale, ma preferisco ragionare da uomo-obiettore di coscienza per cercare non tanto soluzioni comode quanto motivi per sperare. Ho sentito fratelli e sorelle, i morti per fame in Somalia ed in tante altre porzioni di pianeta; i morti militari e civili nella terribile guerra civile che si sta consumando nella vicina ex Iugoslavia; i coraggiosi uomini della scorta ed i giudici siciliani morti nell’adempimento di un servizio a favore del bene comune e non dei propri interessi. In questi momenti mi è venuto da gridare: “E Dio dov’è” e ho sentito tutto il peso e la fatica della libertà che Lui ha voluto affidarci, fidandosi di noi. Nonostante tutto Dio ha fiducia nelle sue creature. Ne abbiamo altrettanta in Lui? O forse non abbiamo ridotto la pace ad un genere di consumo da ottenere subito e tutta, specie se soddisfacente per il singolo e non per la collettività intera? Personalmente, non mi considero contento che sia finito o stia finendo il "pacifismo delle etichette". Mi spiego.

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Tanti gruppi, tante sigle, sono nate nel giardino di un concetto di pace un po’ per tutti i gusti, stiracchiato alle esigenze ed alle lacune ideologiche o psicologiche di tanta gente. Ecopacifismo, psicopacifismo, antimilitarismo, Gandhianesimo, hanno coperto anche tanti vuoti di idee e tanta incapacità a vedere i problemi con gli occhi di tutti. Una vecchia massima della mia giovinezza recitava: “Pensa in grande ed opera nel piccolo”; la considero ancora significativa. Considero iscritti al pacifismo reale tante persone ammalate che vivono con senso e non banalmente la propria sofferenza; tanti genitori con figli gravemente colpiti dalla malattia; tanti carcerati che nella difficile reclusione danno un senso con l’altruismo alle loro giornate; tante persone giovani ed anziane che convivono con sorella solitudine, compagna talora troppo esigente; tanti sacerdoti e religiosi autentici compagni di strada per tante persone e caldi testimoni del DIOAMORE; tanti insegnanti, sposi, operatori sociali, obiettori di coscienza che, nella rete dei rapporti quotidiani, inseriscono il filo con cui si tesse la speranza ed il senso del nostro essere vivi; tanti militari come i quattro avieri caduti in Bosnia mentre portavano aiuti umanitari. L’elenco però è più lungo. Tanti di quelli invece legati più all’etichetta di pacifista che alla pace, ai propri interessi piuttosto che alla collaborazione, a rafforzare le proprie convinzioni invece che saper ascoltare e ridiscutersi li perdo volentieri senza rimpianti. Arriviamo al dunque: “Dov’è il vostro Dio, dove sono i pacifisti in questi momenti tragici?” Se il pacifismo fosse un partito, una squadra di calcio, un cantante, questa piazza vuota sarebbe il segno di una disfatta. Se invece la pace è dono di Dio, anzi è Dio stesso, allora essere costruttori, invocatori, attori di pace significa seguire Cristo sulle strade del mondo, compresa quella del calvario. Significa talvolta, incomprensione, altre, pedagogia e radicalismo, preghiera e distacco

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dalle cose, sempre dono di sé. Le iniziative pubbliche, i cortei, le marce, i concerti, anche certe messe occasionali, possono essere segno della vitalità di tante persone. Mai devono essere rituali liberatori, deleghe in bianco, occasioni “usa e getta” o modi per sollevare la propria coscienza ed i propri comportamenti dalla fatica di seguire Gesù -unico e vero pacifista- dal convertirsi e cambiare vita in vista del Regno. Non sarà un pacifismo chiassoso ma saprà incontrare le persone nella quotidiana e non facile testimonianza del Vangelo di Pace e di Amore. “Dov’è il vostro Dio?” È negli innocenti morti per fame o trucidati dall’odio o soppressi dalla mafia. E il numeroso popolo dei pacifisti di coscienza, senza etichette è lì ai piedi di queste croci a piangere il venerdì per tornare a sperare all’alba della domenica. Gli obiettori di coscienza che, nel concreto servizio alla persona in difficoltà, veicolano il valore della pace nelle case del mondo sono, in questa folla non chiassosa, forse una operativa e serena testimonianza. A Betania, abbiamo imparate e viste le virtù dell’Accoglienza e della speranza quotidiana. Ben vengano maggiori poteri all’ONU; ben vengano i sistemi militari per scortare aiuti e farmaci a chi sta morendo, ben vengano le marce o i campi pacifici nelle terre insanguinate a pochi chilometri da casa nostra. Ma se le nostre giornate, le gerarchie dei valori, le scelte di vita di tutti noi non sapranno essere coraggiose e fedeli, come potremo al cospetto del Buon Dio sostenere le ragioni del nostro pacifismo? SHALOM 3, 1992 pp 13-14

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Viaggio tra gli obiettori di coscienza di Betania Giuseppe Capella

Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra. (ISAIA 2,4)

Il testimone che gli obiettori di coscienza si stanno passando nello scorrere della storia degli uomini nasce, forse, da questa visione messianica di un antico profeta che descrive con queste parole il compiersi della storia nell’incontro con Dio. Questo credo che arriva da lontano è stato trasmesso da uomini, capaci di sperare in un mondo migliore, tesi alla ricerca del positivo, attenti alle piccole verità e non agli accecanti sogni del progresso, faticosamente più vicini alle loro debolezze che alle loro vittorie e soprattutto legati al bastone del pellegrino simbolo della continua e faticosa ricerca della strada che porta alla verità. Questo testimone è presente a Betania sin dall’inizio e Betania è l’espressione evidente di questo segno condiviso da tutti ma testimoniato con forza nella sua storia dall’avvicendarsi degli obiettori che anche oggi hanno scelto di svolgere il loro servizio tra noi. Un viaggio questo tra nomi e storie di giovani, simili fra loro ma uniche nel valore delle scelte. Oggi nella comunità svolgono servizio cinque obiettori di coscienza che ci raccontano la loro storia, il perché della loro scelta, che cosa oggi stanno vivendo.

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Francesco Ho venti anni, sono diplomato. La mia scelta di svolgere servizio civile è nata dal frequentare il gruppo dei giovani della mia parrocchia, è in quel luogo che ho sentito parlare per la prima volta di obiezione di coscienza e di servizio civile. Luca I motivi per cui ho scelto l’obiezione sono molteplici e soprattutto in continua evoluzione, man mano che la mia esperienza matura. Posso sicuramente dire che oggi le mie motivazioni, che mi aiutano nel mio operato sono completamente diverse da quelle che mi hanno indotto a fare questa scelta. A Betania ho scoperto molte situazioni che sino ad oggi mi erano estranee esse hanno fatto nascere nel mio interno un cambiamento profondo e un nuovo modo di guardare alla vita. Paolo Credo che sia difficile individuare esattamente il motivo che porta una persona a compiere una scelta "essenziale" come questa, è in qualche modo un agire che è parte della vita. Ogni persona ha una coscienza che si forma e cresce nel tempo e che gli consente di distinguere il bene dal male e il giusto da ciò che è sbagliato, ed è questa capacità che porta ad impostare la propria vita secondo certi criteri. L’obiezione di coscienza può e deve essere una scelta di vita, un modo di essere coerenti con la fede che abbiamo liberamente scelto, un modo per affermare con forza che crediamo nell’uomo e che vogliamo lavorare per costruire. Renato Ho 25 anni e vengo da Arcole, un paese di campagna in provincia di Verona. In ogni esperienza di vita ad un certo punto emerge l’esigenza di dare risposte a se stessi più che agli altri. Ti chiedi a che punto sei. Che senso ha quello che stai vivendo. I motivi forti dell’obiezione, credo, nascano da questo ricercare. Il desiderio di una società sana, la voglia di vivere

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accanto agli altri senza meccanismi di difesa, il voler cercare l’armonia attorno a sé come dentro di sé, imparare a credere nell’amore come movente della storia. Ma tutto questo ha un prezzo che si deve cominciare a capire e a pagare di persona per sentire ciò che si sceglie veramente proprio. Fabio Ho 19 anni, prima di scegliere l’obiezione lavoravo, la mia scelta è nata dal rifiuto del servizio militare che considero un anno di vita sprecato. Ho scelto Betania consigliato da un mio amico anche lui obiettore. Vivendo in Comunità cerco di essere me stesso, cerco di vivere i rapporti con le altre persone con sincerità per vivere quest’esperienza in aiuto agli altri. "Avete il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è più una virtù!” È in queste parole di don Milani e in quelle degli obiettori di Betania che possiamo leggere il valore e la fatica di testimoniare non una disubbidienza ma un'ubbidienza alla propria coscienza, l’accettazione della responsabilità sulle proprie scelte presenti e future. Voglio concludere questo viaggio facendo onore a questi cittadini della nostra patria che con le loro azioni ci ricordano in questi tempi oscuri che dietro alle nuvole c’è il sole, che dopo la pioggia ritorna il sereno e che mai dobbiamo smettere di sperare nel cuore dell’uomo. SHALOM 4, 1992 pp 9-11

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Obiezione di coscienza La legge scritta e quella del cuore Matteo Pelloni

Mi sento sicuramente in imbarazzo a dover parlare di una legge che, dopo tanti anni di incomprensioni, di fatiche, riconoscerebbe l’obiezione di coscienza come una scelta libera, come diritto di ogni cittadino, perché tocca da vicino gli obiettori e chi crede nella cultura della non violenza. La legge in vigore, che compie ormai 22 anni, evidenzia, anche ad una superficiale lettura, tutte le sue lacune, le sue incoerenze e la sostanziale inadeguatezza alla questione. In primo luogo il "far obiezione", cioè disubbidire alla legge militare per valorizzare la dignità dell’uomo, il suo diritto alla pace e quindi alla vita, agli affetti, al benessere, è posto in termini indegni: lo stato, vagliando richieste e motivazioni, permette (gentile concessione) al cittadino di essere coerente coi suoi valori, di credere in un mondo solidale, in un futuro dove la parola "guerra” sarà solo un triste ricordo di inutili carneficine. Inoltre se i ritardi in Italia sono ormai consueti, per quanto riguarda l’Obiezione di coscienza, hanno raggiunto livelli inaccettabili: i tempi di attesa alla risposta sono lievitati fino ad oggi ai 14-15 mesi in media, per un servizio che ne dura 12. Se la legge del 15 dicembre 1972 era stata approvata con una obiezione di coscienza che toccava alcune centinaia di giovani, nel 1993, si parla di ventimila giovani interessati: il fenomeno non può più essere considerato marginale e la legge, ad un passo dall’approvazione negli ultimi due governi, non può più essere affossata da chi ha interesse nel mantenere il sempre più dispendioso "baraccone" militare. A tutto questo va aggiunto che l’obiezione di coscienza è

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già stata riconosciuta da molti stati europei e il Parlamento europeo lo ha decretato qualche tempo fa. Ma che novità porta la nuova legge? Il diritto in nome della propria coscienza di poter prestare un servizio civile alternativo a quello militare. Poi, limiti di tempo decenti per le risposte alle richieste di obiezione: entro sei mesi accoglimento della domanda (automatica l’accettazione se sorpassa il limite previsto); entro i tre mesi successivi l’assegnazione all’ente. Severità nella gestione degli obiettori e nella scelta degli enti. Possibilità di andare all’estero, di svolgere il servizio civile in missioni umanitarie, tra i popoli colpiti dalla guerra. Il richiamo in servizio in caso di calamità naturale o guerra (in compiti adeguati). A tutto questo va aggiunto un periodo di tre mesi destinato alla formazione dell’obiettore da aggiungere ai dodici mesi di servizio per un totale di quindici mesi. Tutto ciò richiederà più spirito di sacrificio per l’obiettore, che sarà ancora ingiustamente penalizzato rispetto al militare, ma i lati positivi di questa legge sono tanti che i tre mesi in più non acquistano un peso rilevante: rimane sempre la certezza che il servizio come obiettore di coscienza costituisce un passo verso la cultura della pace, dell’aiuto, della solidarietà, mentre l’addestramento all’uso di armi non porterà certamente alla cultura dell’amore. SHALOM 1, 1994 pp 13-14

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Imboscati o profeti di pace ? Stefano Bernardi

Chiariamo subito una cosa: io non voglio parlare di tutti gli obiettori, so benissimo che alcuni di noi hanno scelto l’obiezione di coscienza non per una effettiva convinzione ma per comodità, o per imboscarsi, o solo per rimanere vicino a casa. Tuttavia, quanti soldati hanno scelto il servizio militare non perché lo ritenevano giusto ma solo perché andava fatto? Cercando di infilarsi in servizi poco onerosi, facendo il meno possibile, magari vantandosene! Sia i primi che i secondi sono persone che hanno semplicemente cercato di far trascorrere dodici mesi per poi tornarsene alle proprie faccende; perciò non possono essere considerati in una discussione sui motivi alla base di una scelta. "Ma, insomma, cosa vogliono questi obiettori?" Solamente salvaguardare i più deboli e disagiati, coloro dei quali lo Stato spesso si "dimentica"; ricercare le vere cause dei conflitti attuandone la risoluzione senza il ricorso sistematico alla violenza; cambiare una mentalità che vede come ineluttabile la guerra. "Sono belle parole. Ma non vi rendete conto che si tratta di utopie, chimere, sogni?" Forse. Forse è un sogno sperare che lo Stato, in una società così tesa allo sviluppo, all’affermazione di chi è più forte, più competitivo, più concorrenziale, si occupi di coloro che, per debolezza, età, malattia o altro, non sono competitivi, economicamente produttivi e perciò "inutili". Forse è un sogno sperare che finalmente emergano alla luce del sole i veri motivi alla base dei conflitti, motivi

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meramente, spudoratamente, squallidamente economici (quante guerre combattute per impadronirsi di un territorio più fertile, o di un pozzo di petrolio più ricco, o di materie prime più abbondanti...). Forse è un sogno sperare che cadano tutti quei falsi pretesti creati solo per dividere: pretesti religiosi, razziali, etnici, classisti, sessuali... Forse è un sogno sperare che le persone tornino ad accorgersi dei vicini di casa, di coloro che abitano dietro la porta accanto (ma vi siete accorti che ormai più nessuno pensa di rivolgersi al vicino di pianerottolo per i piccoli contrattempi quotidiani? Ormai si prende la macchina e si va al supermercato anche solo per un poco di zucchero). Questi sogni sono lo spirito di un obiettore di coscienza che ha operato con convinzione la sua scelta: la riscoperta degli altri, del contatto, di una comunicazione non superficiale; bisogno di sentire se stessi e le altre persone come individui e non come una massa da calcolare, percentualizzare, manipolare, ingannare. Se più persone condivideranno questo spirito forse un giorno il sogno diverrà realtà. Forse. SHALOM 1, 1995 pp 13-14

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È in pista di arrivo la nuova legge sull'obiezione di coscienza Stefano Sforza

Nel 1971 entrò in vigore la legge sull’obiezione di coscienza ed il servizio civile. Negli ultimi anni sempre più forte si è fatta l’esigenza di una nuova normativa che regolamenti questo tema, dato che l’attuale si è mostrata carente sotto molti aspetti. Dopo mille difficoltà e rinvii, il 22 marzo scorso il Senato ha approvato il testo di una nuova legge, che deve ora passare all’esame della Camera. Come noto, dal 15/7/1994 la Comunità Betania ha stipulato una convenzione diretta col Ministero della Difesa per l’assegnazione degli obiettori di coscienza in servizio civile. Sintetizziamo gli aspetti salienti del testo approvato dal Senato (da “L’Unità” del 23/3/95), con 138 voti a favore, 36 contrari, 16 astenuti. Hanno votato a favore Progressisti, Popolari, Verdi, Rete e Rifondazione. Contrari CCD e AN; Forza Italia ha lasciato libertà di voto. Principi Non ci sarà più alcuna valutazione discrezionale; ciascuno potrà scegliere liberamente. L’obiezione diventa, perciò, diritto soggettivo ed intangibile, tranne in alcuni casi ostativi come il possesso del porto d’armi, di licenze per la fabbricazione di armi, una condanna per atti di violenza o per aver partecipato ad associazioni eversive. Gestione Viene trasferita dal Ministero della Difesa al Dipartimento degli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio, Ufficio per il Servizio Civile, che avrà anche poteri di controllo su come il servizio viene svolto. La “serietà” degli obiettori sarà valutata non sulle loro

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dichiarazioni di obiezione, ma sul modo in cui svolgono il servizio. Equiparazione al servizio militare Si tratta di una vera e propria smilitarizzazione. Viene sancita un’effettiva equiparazione tra il servizio civile e quello militare, per il valore rispetto alla difesa della patria e per la durata (12 mesi, di cui 3 destinati alla formazione). L’equiparazione riguarda anche la paga, la parità per le normative previdenziali, per la partecipazione ai pubblici concorsi, per la conservazione del posto di lavoro. Missioni Gli obiettori possono chiedere di essere destinati a missioni umanitarie all’estero, anche in appoggio ad organismi internazionali come l’ONU. In tal caso il servizio può essere prorogato di sei mesi. Il servizio civile può essere prestato anche nei paesi aderenti all’UE. Esuberi Aveva destato notevole scalpore un emendamento, approvato dalla Lega, che prevedeva di destinare al servizio civile tutti i cosiddetti “esuberi”. Niente congedo. La norma e stata corretta. Gli “esuberi” possono essere destinati agli enti per il servizio civile solo con il consenso degli enti stessi. In tutti gli altri casi vengono assegnati alla Protezione Civile ed ai Vigili del Fuoco. SHALOM 1, 1995 pp 15-16

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Pena di morte e obiezione di coscienza Luigi Cantarelli

Negli Stati Uniti è stata condannata e giustiziata una persona per aver commesso un delitto a cui nemmeno aveva assistito. Si può pensare: "niente di nuovo, uno dei soliti sbagli a cui è stato impossibile porre rimedio per tempo", ma non è così perché, dopo la condanna definitiva dell’imputato, la sorella si è spontaneamente presentata dai giudici, con tanto di testimoni, asserendo che la responsabile del delitto era lei e che suo fratello si era addossato colpe non sue solamente per proteggerla. A nulla sono valsi gli sforzi degli investigatori, degli avvocati e persino del pubblico ministero e dopo mesi di battaglie legali anche la Corte suprema degli Stati Uniti, massimo organo d’importanza in quel campo, se ne è lavata le mani. La giustificazione di questo delitto di stato dove tutti sapevano, prove alla mano, dell'innocenza del soggetto in questione è stata che l’iter processuale era concluso, che niente e nessuno potevano più cambiare il verdetto definitivo emesso dai giudici e, comunque, un po’ di feccia in meno a carico della società non faceva male a nessuno. Questo lungo riassunto testimonia da solo il bisogno che la società ha, in generale, di persone che credano valori diversi dalla vecchia legge ebraica "occhio per occhio, dente per dente". Si pensa sempre che la non violenza sia un’utopia, una cosa non raggiungibile, che l’uomo è malvagio, non si ferma davanti a nulla, denaro e potere sono i suoi DEI. Lasciatemi dire che non è vero, che noi non siamo istintivamente cattivi. È sempre una scelta; c’è sempre la scelta di essere più o meno buoni o malvagi.

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Così si può sempre cambiare, si ha sempre la possibilità di perdonare invece che di condannare, non per fare una buona azione o chissà che, ma per sentirci meglio dentro e fuori noi stessi; per non perpetuare l’odio all’infinito nascosto dietro un nome come giustizia (mentre spesso e volentieri dietro quel nome è nascosta la vendetta). Così si può cominciare dalle piccole cose che ci accadono tutti i giorni, ad operare una scelta fatta in modo consapevole, su come si vuole agire o reagire: c’è un modo “vecchio e consueto", che ci pone gli uni contro gli altri sempre e comunque, oppure c’è un mode diverse fatto di voglia di capire e comprendere chi ci sta di fronte. Ci si può non credere, ma è anche così che si cambia la società dove ci si trova a vivere, ed è in questo modo che si può arrivare ad eliminare anche una legge di pena di morte. È bene ricordarci che la società rispecchia sempre chi ci vive dentro. È per questo motivo che pur non facendo delle cose mirabolanti, pur non essendo Nelson Mandela, io posso essere un reale obiettore di coscienza che crede e agisce per la pace, ovunque, senza dover essere un sognatore di utopie mai applicate. SHALOM 3, 1995 pp 17-18

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In nome dell’obiettore Cristian Sani

Dichiaro… di essere contrario, in ogni circostanza, all’uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza. II sottoscritto dichiara inoltre di essere intimamente contrario e rifiutare ogni forma di violenza specie se organizzata ed armata. Il sottoscritto ritiene infatti che ogni disputa che può sorgere tra comunità, popoli, nazioni, possa più opportunamente ed efficacemente essere risolta attraverso metodi pacifici e non con l’uso delle armi. Per tutto questo… chiedo di prestare il Servizio Civile in sostituzione di quello Militare". Questo è un passaggio obbligato che si ripete in tutte le migliaia di domande di obiezione di coscienza, passaggio che col tempo è diventato sempre più avaro di significato, sempre così meccanicamente uguale. Questo è il passaggio preteso da uno Stato che si dichiara moderno perché un individuo possa "usufruire" di quello che la maggior parte delle persone considera ancora una scorciatoia, un modo per evitare lo sfinimento fisico di marce e campi invernali e quello psicologico di qualche tenente mitomane. Quando dissi a mia madre che avrei fatto il servizio civile lei sperò in un posto in municipio o in biblioteca proprio come le madri dei militari sperano per i propri figli una collocazione in ufficio o un incarico d’autista. In uno Stato che si crede moderno bisognerebbe poter fare una cosa giusta solo perché la si ritiene più giusta di un’altra senza dover autocertificarsi un’esistenza ghandiana o l’appartenenza ad una religione antimilitarista. Mentre scrivevo la domanda di obiezione non pensavo alla riluttanza a maneggiare un fucile, bensì cercavo di imma-

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ginare se avessi avuto un carattere capace di poter condividere parte della giornata con ragazzi aventi problemi di tossicodipendenza. Dopo ventitre mesi dell’obiettore non rimane che l’appellativo, "obiettore!", con cui a volte (purtroppo) i ragazzi mi chiamano. Resta poco anche della persona che ha scelto il servizio sostitutivo civile convinto che "donarsi è anche un poco ricevere". Rimane una cosa molto più grande che penso possa riassumersi con la parola "appartenenza". Appartenenza ad un gruppo, lenta presa di coscienza di problemi a lungo coltivati col sentito dire, ma anche stanchezza del tempo che non passa e a volte si fatica ad instaurare rapporti, a conquistare la propria presenza. "Un giorno, se ricordo bene, la mia vita era un festino in cui tutti i cuori si aprivano, tutti i vini scorrevano. Un giorno ho fatto sedere la bellezza sulle mie ginocchia, e l’ho trovata... amara! " Con queste parole, più di un secolo fa, narrava la propria esistenza il poeta francese Arthur Rimbaud. Sono parole a cui penso spesso. Probabilmente anche a Betania ci sono persone che un giorno, quella che si presentava come bellezza, l’hanno trovata amara. Probabilmente quella che sembrava una bellezza ha segnato il carattere in un modo tale che a volte rende difficile relazionare con un "obiettore". Dovremmo ricominciare a chiamarci per nome, che è una delle poche cose che accomuna tutti e ci rende uguali. SHALOM 3, 1996 pp 28-29

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L’obiezione di coscienza Aspettando la nuova legge... Gabriella Giani Rotelli

In Italia la tematica dell’obiezione di coscienza al servizio militare si sviluppa nel secondo dopoguerra. Ma è solo negli anni sessanta, con i processi ai primi obiettori e le ferme prese di posizione di personaggi di spicco come Giorgio La Pira, Padre Ernesto Balducci, Don Lorenzo Milani, Aldo Capitini, che esplode il problema dell’obiezione. Dei vari progetti di legge presentati fu solo varata la legge 8 novembre 1966, n. 1033, nota col nome di legge Pedini che, pur non risolvendo il problema dell’obiezione, prevedeva per un numero molto esiguo di giovani la possibilità di compiere, invece del servizio militare, un periodo di volontariato civile nei Paesi in via di sviluppo. All’inizio degli anni settanta, incalzato da un numero sempre crescente di obiettori al servizio militare e da una certa presa di coscienza di questo problema da parte dell’opinione pubblica, il Parlamento fece proprio il progetto Marcora e lo trasformò nella legge 15 dicembre 1972, n. 772, che consentì all’obiettore il passaggio dalla illegalità alla legalità, ma rivelò presto anche difficoltà e interveniva però solo sugli articoli 2 e 8, lasciando invariati l’impianto generale. La legge 772 restò comunque lettera morta per cinque anni, fino a quando, alla fine del 1977, fu emanato il decreto di attuazione. Negli anni successivi diverse sentenze della Corte costituzionale ed una del Consiglio di Stato in adunanza plenaria sono intervenute, affermando principi di grande importanza. Con la sentenza 24 maggio 1985, n. 164 la Corte costituzionale chiarì che la difesa della Patria, sancita dall’art.

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52 della Costituzione, può attuarsi attraverso una difesa armata o non armata, che il servizio civile consiste nella prestazione di "adeguati comportamenti di impegno sociale non armato" e che questa alternativa al servizio militare è legata a problemi di coscienza e subordinata ad una domanda in cui si faccia riferimento a questi problemi. Con la sentenza 24 aprile 1986, n. 113 la Corte Costituzionale affermò che il servizio civile non è un modo particolare di esplicazione del servizio di leva e quindi non assoggettabile alla giurisdizione militare. Con la sentenza 24 maggio 1985, n. 16, il Consiglio di Stato in adunanza plenaria stabilì che compito della commissione incaricata del parere sulle domande degli obiettori non è quello di valutare la profondità dei convincimenti e dei motivi addotti dagli obiettori, ma solo di verificare che non sussista una evidente infondatezza ai fini dell’accoglimento della domanda. Con la sentenza 6 luglio 1989, n. 409 la Corte costituzionale dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 8, 2° comma legge 772 (che prevedeva una pena da due a quattro anni di reclusione) e stabilì, per chi non si fosse presentato alle armi invocando motivi di coscienza senza essere stato ammesso al servizio alternativo, la pena detentiva da sei mesi a due anni, la stessa, cioè, prevista dall’art. 151 del codice penale militare di pace. Con la sentenza 19 luglio 1989, n. 470 la Corte costituzionale dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 5 della legge 772, che fissava la durata del servizio dell’obiettore (servizio militare non armato o servizio sostitutivo civile) superiore di otto mesi rispetto alla durata del servizio militare. Infine la Corte costituzionale intervenne tre volte sull’art. 8, 3° comma ("l’espiazione della pena esonera dalla prestazione del servizio militare di leva") con le sentenze n. 467/91, n. 343/93 e n. 422/93 e una ulteriore volta

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sull’art. 8, 2° comma con la sentenza n.358/93. Dal 1974, anno di emanazione della 695, al 1990 sono stati presentati diversi progetti per una nuova legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare, senza però giungere ad alcuna riforma. Il 30 luglio 1991 la Camera approvò, dopo una discussione che si protrasse per varie sedute, il testo unico (testo Caccia) proposto dalla Commissione Difesa, che il 16 gennaio 1992, a grande maggioranza, passò anche al Senato. Il testo, benché votato dal Parlamento, non divenne però legge, poiché il 1° febbraio 1992 l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo rinviò alle Camere per una nuova deliberazione e proprio in quel mentre si verificò lo scioglimento delle Camere stesse. Mentre in Italia l’approvazione della legge viveva una fase di stallo, a livello internazionale il Consiglio d’Europa adottava, nel gennaio 1994, una risoluzione nella quale si chiedeva agli Stati membri di riconoscere l’obiezione di coscienza come un diritto del cittadino. Il 22 gennaio 1997 il Consiglio dei Ministri ha approvato il progetto di legge sul servizio civile nazionale, secondo un’idea già contenuta nei programmi elettorali dell’Ulivo e del governo Prodi. Il testo, frutto di un compromesso tra militari, pacifisti e cattolici e dal quale sono state cancellate le norme sull’obiezione di coscienza, prevede che i giovani possano optare tra servizio militare e servizio civile e che a quest’ultimo siano ammessi non soltanto gli obiettori di coscienza, ma anche quanti abbiano scelto di non andare in caserma, i cittadini abili ma in esubero rispetto alle esigenze di organico delle Forze armate e, a titolo volontario, le donne comprese tra i 18 e i 26 anni, gli uomini riformati alla leva per motivi di salute, purché non invalidi, sordomuti o non vedenti e i cittadini non italiani, comunitari o extracomunitari residenti nel nostro paese da almeno tre

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anni. Istituisce inoltre una Agenzia Nazionale per il servizio civile presso la presidenza del Consiglio. Il 29 gennaio 1997 l’Aula di Palazzo Madama ha approvato con larga maggioranza o meglio ha riapprovato per la quarta volta in sei anni, la nuova legge sull’obiezione di coscienza che fa suoi i punti qualificanti già contenuti nel testo che aveva ottenuto il placet del Parlamento nel 1992 (riconoscimento dell’obiezione di coscienza come diritto soggettivo, equiparazione, anche nella durata, del servizio civile con quello militare, possibilità di svolgere servizio all’estero, previsione di un periodo di formazione e addestramento, riduzione dei tempi burocratici, ecc.). Con sentenza la 10/20 febbraio 1997, n. 43 la Corte costituzionale è intervenuta nuovamente sull’art. 8, 2° e 3° comma legge 772, che prevedeva che il congedo, cioè la dispensa dagli obblighi di leva, fosse concessa solo dopo l’espiazione della condanna inflitta per il rifiuto a prestare il servizio militare o il servizio civile, in caso di obiezione totale per motivi ideologici. Nel mese di giugno, poi, il referendum su due articoli della 772 (che comunque non ha raggiunto il quorum) ha di fatto bloccato per alcune settimane la relativa discussione parlamentare. Alla fine di luglio l’approvazione della legge ha subito l’ennesimo rinvio, in seguito alla chiusura della Camera per le ferie estive, tanto che al 15 dicembre 1997, venticinquesimo anniversario della 772, il disegno di legge sull’obiezione di coscienza giaceva ancora fermo a Montecitorio. Il 24 marzo 1998, la Camera ha finalmente ripreso il dibattito sul testo; ma dopo pochi giorni lo ha rinviato al Senato per la ratifica dei numerosi emendamenti, dove tuttora giace bloccato. In oltre venticinque anni molte cose sono cambiate a cominciare dai giovani e dalle motivazioni alla base delle

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loro scelte. Negli anni 70, anni di contestazione e di aggregazione, anni della riforma sanitaria e della Legge Basaglia, gli obiettori erano giovani profondamente convinti dei valori antimilitaristi e nonviolenti. Oggi, in questo scorcio di fine millennio, i giovani scelgono il servizio civile per la sua dimensione sociale, per una cultura di gratuità, o perché lo giudicano socialmente più utile del servizio militare, difficilmente per il mero problema dell’uso delle armi. In questi anni, inoltre, si sono moltiplicati gli enti che accolgono gli obiettori, passando da poche decine, quali erano negli anni sessanta ad oltre 5000, e le fasce d’intervento, con l’aggiunta, al tradizionale settore socio-assistenziale, di quello culturale e ambientale. Le domande di obiezione presentate sono passate da 200 nel 1973 a quasi 55mila nel ‘97, con un incremento del 15% rispetto al 1996. È chiaro dunque che la 772/72, nata venticinque anni fa per gestire un fenomeno che coinvolgeva poche centinaia di giovani, non è più la risposta adeguata al folto “esercito di pace” di cui dispone oggi il Paese. Obiezione di coscienza e servizio civile Le esperienze all’estero Francia Con la legge approvata dal Consiglio dei ministri il 27 novembre 1996 il servizio militare non esiste più come naia. Resta solo obbligatorio l’appuntamento fisico-psicoattitudinale di cinque giorni, con esami medici, scolastici e socio-professionali, corsi sui valori civici della Repubblica, sui temi della difesa e sul ruolo delle istituzioni. Dal 2003 l’obbligo per questo appuntamento del cittadino varrà anche per le donne. Nel frattempo sotto forma di volontariato il servizio militare è aperto ad ambo i sessi. Dal momento che il servizio militare diventa volontario, anche il servizio civile, aperto a uomini e donne, sarà volontario. Per la tra-

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sformazione delle forze armate in senso professionale, a tutti i volontari, militari e civili, sarà proposto un periodo di ferma remunerato e variabile tra i 9 e i 24 mesi. Tre sono i tipi di volontariato previsti: "difesa, sicurezza, prevenzione" (di ispirazione militare), "coesione sociale e solidarietà" (attività di aiuto sociale ad anziani, malati), "cooperazione internazionale e aiuto umanitario" (per acquisire una formazione specifica nel settore). Gran Bretagna Il servizio militare è volontario e le Forze armate sono costituite solo da professionisti. Tutte le armi sono aperte alle donne. Le donne possono prendere parte ad ogni attività, azioni belliche comprese, con l’unica eccezione del combattimento in prima linea o delle truppe d’assalto aeree e aerotrasportate. Germania Il servizio militare è obbligatorio per tutti gli uomini, dopo i 18 anni e dura dieci mesi. Le donne possono svolgere attività militare solo su base volontaria e solo per servizi limitati alla sanità e alle unità militari musicali. Durante la leva i giovani possono anche decidere di prolungare la ferma per un periodo compreso tra i 2 e i 15 mesi, il servizio civile dura 13 mesi ed è previsto solo per gli uomini e solo per quelli che adducono ragioni di coscienza contro la guerra; per essere riconosciuti abili al servizio civile devono sottoporsi però all’esame di una commissione. Svizzera Le forze armate elvetiche hanno carattere di milizia. Il servizio militare è obbligatorio per tutti i giovani e facoltativo per le donne. Il servizio militare ha una durata, nella sua globalità, di 300 giorni. È previsto un servizio civile sostitutivo di 450 giorni, ma solo per ragioni morali, etiche o religiose. Il servizio militare è diviso in più periodi: 15 settimane all’età di 20 anni, seguite da corsi di ripetizione di tre settimane, ogni due anni e fino all’età di 42 anni.

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Ogni cittadino-soldato conserva divisa e fucile a casa. Gli uomini non atti al servizio militare sono integrati nella protezione civile. Per le donne il servizio militare è facoltativo, di durata uguale a quella prevista per gli uomini e prevede attività che non implicano l’uso delle armi. Danimarca Le forze armate danesi sono formate per il 30% da militari di leva e per il 70% da volontari. Se un anno aumenta il numero dei volontari automaticamente diminuisce quello dei coscritti e viceversa. Tutti percepiscono lo stesso stipendio base. È consentita l’obiezione di coscienza ed esiste la possibilità di un servizio civile, con stipendio inferiore ed una ferma di 13 mesi anziché 9. Le donne sono ammesse nelle forze armate, ma solo su base volontaria. Norvegia Il servizio militare è obbligatorio per tutti gli uomini: prima fanno un servizio di leva che dura da 6 a 12 mesi secondo le armi o le specializzazioni, poi fino a 44 anni partecipano di tanto in tanto a esercitazioni. È possibile l’obiezione di coscienza. Ogni caso è vagliato singolarmente e può essere consentito un servizio civile di 16 mesi. Alle donne è consentito il volontariato, con ruoli di non combattimento. Usa Il servizio militare è svolto da volontari, uomini e donne. Tuttavia l’iscrizione alle liste di leva è obbligatoria per tutti i giovani di sesso maschile residenti negli Usa, anche se non cittadini americani. In caso di necessità possono essere chiamati sotto le armi i giovani di leva. Tra i militari di professione le donne sono presenti in tutti i ruoli, compreso il combattimento. [tratto da “Azione nonviolenta” marzo 1997, pp. 4-5]

SHALOM 1, 1998 pp 13-19

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La mia esperienza Mauro Palumbo

Ho scelto l’obiezione di coscienza al servizio militare perché non credo che la violenza risolverà mai qualcosa, perché sono convinto che è la ricerca della pace il segreto dell’armonia del mondo. Forse un’utopia, considerando anche gli ultimi avvenimenti che coinvolgono Saddam Hussein, o forse una finestra sul futuro, considerando l’incremento esponenziale delle domande di obiezione. Le motivazioni che mi hanno spinto a questa scelta non sempre sono state così autentiche: inizialmente la mia scelta era animata dallo spirito di carità, dalla voglia di dedicare un anno all’aiuto di persone bisognose. Poi, grazie anche al confronto con altre persone che avevano già terminato il servizio civile, mi sono reso conto che le mie motivazioni non erano autentiche: io sceglievo l’obiezione animato dalla carità, mentre all’inizio, le persone che l’avevano conquistata, desideravano una educazione alla non violenza. Cominciai allora a riflettere se era giusto che obiettassi, e giunsi alla conclusione che la carità e il desiderio di pace, è vero, non sono la stessa cosa, ma, allora come adesso, sono più che mai convinto che la carità testimonia una umiltà di fondo che è componente fondamentale e qualificante degli operatori di pace. Carità significa saper donare gratuitamente e la pace può nascere solo dall’amore che è dono gratuito. Con queste idee sono giunto a Betania quasi un anno fa, anche se forse solo ora comincio a rendermi conto di cosa sia veramente Betania. Ho cominciato questa esperienza con qualche dubbio e numerose paure che nel corso di questi dieci mesi si sono

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dissolte e hanno lasciato il posto ad altrettante certezze. Sono riuscito a superare tanti pregiudizi legati a persone che soffrono del problema delle dipendenze e sono riuscito ad allargare un po’ i miei orizzonti riconoscendo la dignità della persona sopra ogni condizione. Ma Betania per me e stato anche altro. Una cosa che non può fare a meno di colpire a Betania è la quotidianità con cui si svolge la vita: giorno dopo giorno, operatori insieme a ragazzi che hanno in comune poco più del problema delle dipendenze, prendono parte attivamente, come in una orchestra in cui ogni strumento emette il proprio suono (anche se a volte un po’ stonato), alla vita comunitaria fatta di lavoro, di incontri, di sport e di momenti conviviali. Forse la normalità per molte famiglie, ma per Betania questo è il modo di offrire a tanti ragazzi una nuova chance e di ridare loro fiducia in una vita finora vissuta a spezzoni. Ma la cosa che più mi ha affascinato e stato il grande cuore di Betania: chiunque si trovi nel bisogno, di qualsiasi razza, di qualsiasi religione, può trovare in Betania un punto di riferimento per un piatto caldo, una doccia o più semplicemente un consiglio. Ed è proprio in questi mesi in cui sono stato a Betania che mi sono ritornate alla mente le parole di Mons. Antonio Bello: “ .... Se è così ti offro un’ultima suggestione: aprirsi alla mondialità significa educarsi alla convivialità delle differenze. Non solo accogliendo in casa tua il marocchino, l’emarginato, il diverso. Ma, soprattutto, facendolo sedere a mensa con te. Ti accorgerai che, anche nella sua povertà, potrà cavare dalla sua bisaccia di pellegrino un pane, forse un po’ troppo duro per i tuoi denti, ma capace finalmente di placare la tua fame di umanità.

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E quando avrai sperimentato che il povero introdotto a tavola con te ti ha restituito alla gioia di vivere, allora il cielo entrerà davvero nella tua stanza." Queste parole, penso, dovrebbero animare tutte quelle persone che fanno della pace non una semplice bandiera, ma una scelta di vita verso una "mondialita" multietnica e multirazziale; e l’ideale del "cielo in una stanza", l’abolizione di ogni muro e di ogni "piccolo" che non può contenere un sentimento così grande come il bisogno di pace e di fratellanza deve diventare incontenibile e contagioso. Ebbene Betania, per quel che ho potuto vedere in questi mesi, mi è sembrata una struttura d’accoglienza che ha fatto del "cielo in una stanza" il suo motto ormai da quindici anni. Io ho incrociato il suo cammino per soli dieci mesi, ma sono stati sufficienti per accorgermi della levatura non indifferente di Betania; ora mi trovo ad un soffio dalla fine del mio servizio; rimarrò obiettore tutta la vita, ma tra poco sarò obiettore in congedo; un grazie di cuore a Betania e a tutti i suoi operatori che mi hanno aiutato in modo splendido a vivere questa mia esperienza; un “in gamba ragazzi" a tutti i ragazzi di Betania. Vorrei concludere con una frase di una persona che ha fatto della pace l’emblema della propria vita, Madre Teresa di Calcutta: “ Nel mondo c’e troppo odio, troppa lotta. Non riusciremo a respingerli coi fucili, né con le bombe, né con nessun’arma che ferisca: ci riusciremo esclusivamente con gesti d’amore, di gioia, di pace". SHALOM 1, 1998 pp.19-21

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Le risorse della pace Alberto Aldeghi

Ancora una volta il vento gelido della guerra soffia nel cuore dell’Europa, sui Balcani, area da sempre considerata strategica perché vista come un ponte verso l’Oriente e per questo definita la polveriera. Ogni guerra costituisce un evento profondamente drammatico, ma questa che si consuma a pochi chilometri dalle nostre coste, presenta alcuni aspetti inquietanti su cui riflettere. Infatti è stata decisa dalla N.A.T.O., organizzazione che per statuto ha carattere difensivo, scavalcando ed esautorando il Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U., unico organismo realmente preposto a costruire mediazioni diplomatiche per evitare lo scatenarsi dei conflitti tra le nazioni. È la prima volta dal dopoguerra che viene attaccato uno stato sovrano senza che questo abbia invaso nessuna altra nazione. L’inizio dei bombardamenti non ha fermato gli orrendi episodi di pulizia etnica, ma ha ostacolato il percorso non violento che per dieci anni la maggioranza dei kosovari, guidati da Rugova, aveva praticato. Si è invece riacceso l'U.C.K., l’esercito nazionalista kosovaro. Nemmeno i numerosi appelli del Papa sono riusciti a fermare la pulizia etnica, né i bombardamenti. Ancora una volta sembra che alla fine gli uomini facciano prevalere la forza sui buoni propositi. In tale contesto appare ancora più importante ragionare sulla costruzione di una cultura della pace. La pace è infatti un dono prezioso, un valore universale, patrimonio di ogni singolo individuo.

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Un passo importante in questo senso è rappresentato dall’obiezione di coscienza al servizio militare. Si definisce tale l’atto che porta un individuo al rifiuto di sottostare a degli obblighi di legge da lui ritenuti contrastanti con i propri convincimenti etici, religiosi, politici o morali. Nei primi anni settanta furono parecchi i giovani che si dichiararono obiettori di coscienza e che sopportarono anni di carcere per le loro convinzioni. Fu grazie all’articolo 11 della nostra Costituzione che recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e per risolvere le controversie internazionali" e al fatto che la legge può punire gli atti e i comportamenti di una persona, ma non i suoi pensieri, che nel 1972 venne varata la legge sull’obiezione di coscienza. L’obiettore è contrario in linea di principio e per imprescindibili motivi di coscienza all’uso personale delle armi in ogni circostanza, ma ancor più al loro uso organizzato, istituzionalizzato, collettivo e legale in qualsiasi conflitto civile o internazionale e con qualsiasi pretesto, che si chiami Impero o Repubblica, difesa o conquista. La violenza delle istituzioni inoltre appare più grave di quella del singolo, che pure va condannata. È proprio grazie a questo fondamentale strumento che sono approdato qui a Betania dove impegno il mio tempo e le mie energie, che avrei dovuto destinare all’utilizzo di strumenti di morte, in una esperienza di rara umanità. In comunità ciascuno compie un suo percorso interiore, mettendo in gioco la propria individualità, confrontandosi nelle differenze, per vincere la battaglia più importante che tutti dobbiamo combattere: quella per il futuro. SHALOM 2, 1999 pp 29-30

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Obiettare, ma a che cosa? Nuove prospettive per l’obiezione di coscienza Francesco Carletti Agli inizi di quest’autunno, più precisamente il 3 settembre, è stato approvato il disegno di legge che porterà progressivamente all’abolizione del servizio di leva. Questo fatto rappresenta un successo per tutti gli antimilitaristi, non solo per chi deve fare ancora la naia, perché finalmente si afferma che i giovani che verranno chiamati ad adempiere come dice l’articolo 52 della Costituzione, al "sacro dovere di difesa della patria", non saranno obbligati ad imparare l’uso delle armi e ad assimilare un modello fondato sulla forza, a meno che non scelgano volontariamente di intraprendere la professione militare. In altri termini il governo ha da un lato affermato l’inconsistenza del progetto educativo proposto dalle autorità militari e dall’altro ha offerto la possibilità ai ragazzi che verranno chiamati al servizio obbligatorio di sperimentare i valori della non violenza, della solidarietà e dell’amicizia attraverso il servizio civile. Ma è accaduto che l’abolizione graduale dell’obbligo di leva abbia inevitabilmente messo in crisi il servizio civile stesso, che per anni è stato considerato un surrogato del servizio militare, un ripiego che veniva concesso a chi voleva "imboscarsi", o come lo ha definito lo stesso ministro On. Scognamiglio, “una vergognosa ipocrisia” perché alimentato da chi non vuole fare il militare. In realtà per parlare di quali sono le prospettive del servizio civile, bisogna prima fare chiarezza su alcuni punti su cui i mezzi di comunicazione hanno fatto confusione, o quanto meno hanno riportato molte informazioni imprecise. Innanzitutto non è vero che l’abolizione della leva milita-

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re abolisce anche il concetto di obiezione di coscienza, attorno al quale si è aggregato il servizio civile in base a una legge di cui hanno fruito istituzioni pubbliche, privati ed enti vari. L’obiezione di coscienza al servizio militare, rappresenta solo una delle varie forme di obiezione di coscienza, probabilmente la più famosa, tuttavia non è l’unica; esistono tante obiezioni di coscienza. Per esempio ci si può rifiutare di versare la quota di contributo che lo Stato impiega per le spese militari, oppure ci si può rifiutare di comprare beni di consumo prodotti da aziende che hanno sfruttato il lavoro minorile. In generale esistono tantissime obiezioni di coscienza, perché esistono tantissime questioni (dai diritti umani, al consumo etico, allo sviluppo sostenibile, all’aborto, alla biodiversità, …) dinanzi alle quali la nostra coscienza può esprimere un rifiuto a compiere un’azione piuttosto che un’altra, perché questa entra in contrasto con i propri principi morali, filosofici, religiosi. La scelta dell’obiettore di fare un’esperienza di servizio sociale, assistenziale, sanitario, culturale, ambientale è un modo di servire la patria, di essere coinvolto nei temi dei diritti, dell’emarginazione, della povertà, ma non va confuso col volontariato, che è un’altra cosa, pur operando nello stesso campo. In alcuni casi, per fortuna in una minoranza dei casi, il servizio civile è stato gestito male, perché qualche dirigente ha pensato che gli obiettori di coscienza rappresentassero il materiale umano, la stampella per quegli enti pubblici o privati convenzionati, che si trovano in difficoltà economiche. L’articolo 52 della Costituzione dice chiaramente che in un modo o nell’altro la difesa della patria è obbligatoria, ma ora che la leva militare non ci sarà più, facendo un’analisi un po’ grossolana mi domando se verrà cancellato l’articolo 52 o verrà reso obbligatorio il servizio civile. Senza entrare nei particolari, perché non ne ho la compe-

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tenza, posso limitarmi ad osservare che, se si dovesse verificare quest’ultima ipotesi, verrebbe sacrificata la libertà di scegliere il servizio civile come naturale conseguenza della scelta di essere obiettore di coscienza, ma allo stesso tempo verrebbe salvato il valore educativo che assume il fatto di dare un segno di solidarietà alla società in cui viviamo; noi cittadini, infatti, abbiamo sì tanti diritti, ma non possiamo sottrarci agli obblighi verso la società che ci circonda, dobbiamo rispondere dei doveri legati alla nostra appartenenza a questa società. Ci sono tante esigenze nel nostro Paese a cui gli obiettori chiamati a fare il servizio civile possono rispondere, e a cui i militari professionisti non possono rispondere; mi riferisco al servizio agli anziani, alla conservazione dei beni culturali e ambientali, a quelle persone che vivono ai margini della nostra società. Mi sembrerebbe giusto dare l’opportunità di allargare lo sguardo sui problemi della nostra società anche alle ragazze, che al pari dei loro coetanei maschi possono effettuare una scelta di obiezione di coscienza, e che rappresentano pertanto una grande risorsa della nostra comunità. La proposta di abolire il servizio civile (Il Ministero della Difesa prevede di lasciare a casa 30.000 obiettori e di licenziare quelli eventualmente ancora in servizio) perché mancano i fondi sembra una scelta opportunistica e strumentale se si pensa che un obiettore viene pagato circa L. 1000 all’ora, ma se davvero si dovesse verificare, si dimostrerebbe inoltre una scelta politica miope perché è in continuo aumento la richiesta da parte dei giovani di fare il servizio civile, in quanto sta aumentando in loro il bisogno di partecipazione e di solidarietà. Perché soffocare quest’iniziativa quando ogni giorno si sente dire che il mondo giovanile soffre di una grande povertà di valori?

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Qualcuno per difendere questo servizio civile ha anche fatto clamorose proteste tra le quali mi sembrano degni di nota i digiuni a staffetta e a tempo indeterminato che si sono tenuti tra il 2 ed il 27 settembre 1999. Esiste inoltre un Ufficio Nazionale del Servizio Civile che a un anno dalla sua nascita ancora non funziona, per cui sembra che manchi la volontĂ politica di mantenere il servizio civile per il futuro. Al momento si sta discutendo della riforma dello Stato Sociale, ed è questa l’occasione per discutere del futuro del servizio civile, speriamo che non venga rinviato ulteriormente il dibattito. SHALOM 4, 1999 pp 32-34

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DOSSIER IL SERVIZIO CIVILE DEL 2000

In difesa del servizio civile Il documento che qui presentiamo è frutto di una consultazione tra vari soggetti del mondo ecclesiale e associazioni di ispirazione cristiana: Caritas Italiana, Azione Cattolica, C.N.C.A., Agesci, Pax Christi, Cnos-Ispettorie Salesiane, Luigi Bobba (Acli), Franco Marzocchi (Federsolidarietà), Volontari nel mondoFOCSIV. È stato presentato il 15 settembre 1999 come contributo al dibattito in corso, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni in vista di una "battaglia" civile ancora tutta da combattere. C’era una volta il servizio civile... fino a quando il Governo D’Alema con un Disegno di legge sull’abolizione della leva obbligatoria lo espose a incerto destino. La decisione del Consiglio dei Ministri pone non pochi ed inquietanti interrogativi di ordine politico, legislativo ed etico. Ma in questo nostro intervento vorremmo soprattutto soffermarci sulle ricadute di tipo educativo e culturale delle scelte del Governo; lo facciamo non già a difesa di un "beneficio" per organizzazioni ed enti, ma a partire dall’attenzione pedagogica verso il mondo giovanile che si caratterizza e che determina -per una parte dei soggetti firmatari di questo documento- l’accoglienza e la valorizzazione degli obiettori di coscienza in servizio civile. Difendere la patria, scegliere la pace In questi anni la possibilità di “servire la Patria” -e soprattutto il territorio e la gente che lo abita- è diventato patrimonio culturale diffuso. Sono fiorite molteplici esperienze

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di servizio sociale, assistenziale, sanitario, educativo, ambientale; in organismi di vario orientamento ideale, presso enti pubblici o del terzo settore, sul proprio territorio o in altre parti del paese e, ultimamente, anche all’estero. E questo a partire da una scelta di pace (l’obiezione all’uso delle armi) che ha favorito un più forte coinvolgimento di molti giovani sui temi della giustizia, dei diritti, della lotta alle povertà, della responsabilità civile. In definitiva della democrazia. Abbiamo fatto educazione civica Non sono molte le occasioni offerte oggi ai giovani per interrogarsi sulla responsabilità e la cittadinanza, per allargare lo sguardo sui problemi del mondo e praticare concretamente l’incontro col prossimo (che vuole dire anche il povero, l’immigrato, l’emarginato...) in termini di condivisione. Si fatica a proporre l’uscita da un cerchio spesso angusto di affetti ed interessi, l’idea di "pensare in grande" il proprio futuro. Per il diretto e quotidiano contatto con molti giovani, possiamo attestare come un servizio civile qualificato sia stato in Italia una formidabile esperienza di educazione civica sui temi della pace e della solidarietà, una pratica quotidiana di socialità e altruismo ed anche una palestra di ulteriori responsabilità una volta in congedo: dall’impegno come amministratori locali al lavoro in cooperative sociali, dall’animazione del territorio alla diffusione di stili di vita solidali nelle famiglie. Come pure molte scelte professionali che richiedono capacità relazionali sono state connotate positivamente dall’aver svolto un servizio nel sociale, soprattutto se rivolto a soggetti deboli. Doveri per tutti o privatizzazione delle scelte? Questa opportunità, che ha contribuito ad aprire la mente ed il cuore di molti giovani, è stata fino al presente resa possibile dall’adempimento di un dovere di solidarietà, in

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fedeltà alla Costituzione: lo Stato proponeva ai giovani il servizio militare oppure civile come apporto personale al benessere della comunità da cui ciascuno riceve. Adesso la proposta cambia radicalmente; per coloro che vorranno è aperta la professione del militare per un periodo prolungato. Da uno Stato "casa di tutti", che chiede di contribuire al bene comune, allo Stato “datore di lavoro". È un cambiamento di prospettiva da valutare con attenzione; inciderà negativamente sugli ideali di pace, solidarietà e partecipazione che sono patrimonio della nostra Carta costituzionale? Non possiamo che chiederci... … se siamo pronti al cambiamento, quali significati l’abolizione della leva assuma per i giovani e per tutto il paese. Quali giovani sceglieranno il mestiere del soldato? In base a quali motivazioni? Crescerà la distanza tra società civile e apparato militare? Chi saranno i responsabili ed in definitiva gli educatori dei futuri militari di professione? Chi e che cosa serve perché l’esercito del futuro sia una vera forza di polizia internazionale? Il passaggio verso forme di ingerenza umanitaria è delegabile a professionisti o richiede ancor più il contributo di una società civile già capace di significativi impegni di solidarietà internazionale? Non si vive di solo consenso Sono interrogativi che al momento non trovano risposta dalla annunciata abolizione della leva e che a noi sembrano decisivi. C’è bisogno di allargare contestualmente il dibattito sul significato del servizio militare -dall’impatto che provoca sui giovani di leva alla sua funzione nei nuovi scenari internazionali- e sul futuro di un servizio civile impegnativo e responsabilizzante.

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Abolire la leva obbligatoria per tranquillizzare i genitori preoccupati del nonnismo, per alzare il basso livello di gradimento che le istituzioni hanno presso i giovani, ci sembrano idee di corto respiro. Secondo noi la strada passa da tutt’altra parte, chiede l’impegno e la fantasia di voler fare una scommessa sui giovani, progettare con loro rinnovati percorsi di cittadinanza attiva. Aprire il confronto In forza di queste attenzioni e preoccupazioni, riteniamo importante ed urgente che si apra nel paese, nella società civile, nelle associazioni, nelle scuole, nelle parrocchie un grande dibattito sulle prospettive della riforma delle forze armate che contestualmente affronti l’ipotesi di un servizio civile per tutti i giovani, maschi e femmine, come opportunità di diffusione dei valori della pace, della solidarietà, della partecipazione. Inoltre chiediamo: • al Presidente della Repubblica di farsi garante del rispetto del dettato costituzionale, in particolare per ciò che attiene l’esercizio dei diritti/doveri di solidarietà e l’adempimento dell’obbligo della difesa della Patria (artt. 2 e 52) • al Governo, al Parlamento ed alle forze politiche di legiferare contestualmente sul servizio militare e quello civile in maniera attenta alla valorizzazione delle energie giovanili • alla comunità ecclesiale di proseguire ed intensificare quell’azione di educazione delle giovani generazioni alla solidarietà e alla pace che in questi 18 anni ha avuto tra i luoghi privilegiati la scelta dell’obiezione di coscienza e l’impegno del servizio civile. (tratto da C.N.C.A. informazioni 1999, N.9 - settembre)

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Servizio civile: per forza o per piacere? Se il futuro dell’esercito italiano appare ormai definitivo (con il passaggio entro sette anni a un corpo professionale di centonovantamila elementi) non altrettanto si può dire per il futuro del servizio civile. Dopo le lotte quasi trentennali per giungere ad una normativa culturalmente avanzata, l’esultanza per l'approvazione della legge del giugno 1998 si è ormai trasformata in ansia per migliaia di associazioni italiane. Quanto e come si potrà ancora contare sull'apporto di giovani in servizio civile (la dizione "obiettori di coscienza” decadendo la leva, cadrà in disuso)? E soprattutto, al di là di questa domanda in parte utilitaristica, come incentivare i giovani italiani alla scelta di dedicare una piccola parte della propria vita alla solidarietà, all’aiuto agli altri? Il C.N.C.A. ha firmato il documento "In difesa del Servizio Civile", proposto dalla Caritas; concetto di fondo di questo documento era l’individuazione di una via legislativa -quindi obbligatoria- per il servizio civile, inteso come uno dei modi per assolvere al dovere, previsto dalla Costituzione italiana, di “difendere la patria”. La firma sul documento non aveva comunque spento il dibattito all’interno della federazione dove continuano a coesistere idee e proposte diverse sul "servizio civile di domani", in particolare di chi sostiene che questo non possa essere imposto per legge. Il Consiglio nazionale aveva quindi incaricato Guido Tallone, del Gruppo Abele di Torino, e Giacomo Panizza, della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme, di mettere per iscritto in forma epistolare le rispettive posizioni. Queste dopo essere state discusse dall’assemblea di Rimini saranno presto alla base di un seminario nazionale

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su questo tema che verrà organizzato nei prossimi mesi. Pubblichiamo di seguito i due contributi. No alla solidarietà obbligatoria Caro Giacomo, il dibattito sulla proposta, da più parti avanzata, di rendere obbligatorio il servizio civile, tanto per gli uomini quanto per le donne, ci invita ad andare un po’ a fondo sulle ragioni di una tale eventualità, per coglierne meglio l’orizzonte di riferimento e la portata. La discussione in atto prende avvio dall’ipotesi, assai probabile, di liberare i giovani dall’obbligo del servizio militare, qual è stato fino ad oggi prescritto dall’art. 52 della Costituzione, che concepisce la difesa della patria come "sacro dovere del cittadino" e prevede il servizio militare come "obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla Legge". Venendo meno l’obbligatorietà del "servizio di leva" da più parti viene proposta l’idea di sostituirlo, con l’ipotesi dell’obbligatorietà del servizio civile, teso a cittadini maschi e femmine. La motivazione che viene sostenuta a favore dell’obbligo parte anche dalla considerazione del suo valore educativo come percorso di formazione alla solidarietà, in quanto momento importante di maturazione umana e civile del cittadino. Le motivazioni che stanno alla base dell’ipotesi avanzata sono dunque due: • sganciare il servizio civile dalla stretta connessione con il servizio militare • il valore pedagogico, ai fini della cittadinanza solidale, di un servizio definito di utilità sociale. Un’arma a doppio taglio? Fermiamoci un attimo a riflette su tali motivazioni, per coglierne in pieno l’orizzonte di riferimento e per chiederci se davvero l’obbligatorietà del servizio civile possa rappresentare per i giovani una pro-

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posta educativa credibile o se non rischi di essere un’arma a doppio taglio, capace tanto di promozione educativa quanto di allontanare ancora di più i giovani dall’assunzione di una cittadinanza responsabile, ampliandone la sfiducia nelle istituzioni e nelle proposte che dallo Stato provengono. La prima motivazione ha dunque le sue radici nell’art. 52, che prevede il servizio militare come dovere di cittadinanza. Storicamente infatti del nostro Paese è stata prevista la possibilità di sottrarsi a tale "dovere civico" solo per motivi di obiezione individuale di coscienza all’uso delle armi: nell’immagine pubblica che del servizio civile ci siamo per abitudine costruiti tale servizio è quindi rappresentato come unica possibile alternativa alla "leva" militare (resta da chiedersi perché soltanto ora ci si ponga il problema di sganciare il servizio civile dalla costrizione del servizio militare e in tanti anni di pratica di servizio civile non ci si sia attrezzati in questo senso!). È infatti soltanto in questi ultimi anni che per fortuna parecchi ambiti di volontariato stanno cercando di sottrarre lo sviluppo e la promozione del servizio civile da tale scenario di costrizione, appellandosi ad un diverso fondamento per questa prestazione. Ed è nell’adempimento di questi "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" (art. 2 della Costituzione) che è stata individuata una profonda giustificazione per il servizio civile. Il percorso è dunque il seguente: la logica che deve stare alla base di forme di "volontariato-servizio civile" non può essere rintracciata nell’art. 52 della Costituzione, ma in quei vincoli di solidarietà che lega i cittadini fra di loro, definite addirittura al secondo posto tra i principi fondamentali della Costituzione. La socialità sostanziale della persona Ci può essere utile non dimenticare l’iter che articolo 2 seguì per essere approvato, quando volutamente l’Assemblea Costituente

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scelse di dargli un significato più filosofico e storico piuttosto che giuridico, per toglierne il carattere di ordine e prescrizione. È significativo, a questo riguardo, ricordare la sintesi che della discussione generale riportò l’onorevole Dossetti il quale, escludendo un’interpretazione della dichiarazione dei diritti dell’uomo che si ispirasse “...a una visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità fondamentali...”, fa appello al riconoscimento della “...precedenza sostanziale della persona umana rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella...” ed al riconoscimento della “...necessaria socialità di tutte le persone, anzitutto in varie comunità intermedie, …e quindi per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino nello Stato”. Un vincolo di solidarietà lega dunque i cittadini, e tale vincolo è precedente ad ogni riconoscimento ed imposizione proveniente dallo Stato. A questa socialità sostanziale della persona fa appello l’art. 2 della Costituzione e solo in questo orizzonte, in cui necessità e libertà coincidono, si iscrive ogni forma di autentico "volontariato sociale". In una prospettiva di questo tipo perde di significato dunque parlare di "servizio civile obbligatorio". E questo non con l’obiettivo di sciogliere i cittadini da ogni "costrizione alla socialità" promuovendo un’individualità esasperata, ma nella prospettiva di farsi portatori di una tensione educativa sostanziale capace di dare impulso e di sostenere lo sviluppo di forme di solidarietà e di cittadinanza responsabile. I giovani chiedono rispetto In un tale orizzonte "educativo" perde di significato anche il secondo motivo da più parti portato per avallare l’obbligatorietà del servizio civile: sappiamo tutti infatti quanto ogni sforzo educativo non possa far altro che far appello alla libera adesione dei singoli. Adesione che è sì da promuovere, incentivare e so-

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stenere nelle più varie forme (con crediti formativi, riconoscimenti, etc.), ma il cui carattere di libertà non può essere eluso, pena il rischio di un sostanziale decadimento di ogni proposta nell’orizzonte diseducativo della costrizione. Anche la motivazione di una proposta formativa credibile verrebbe dunque meno nel momento in cui perdesse il suo carattere di proposta. Il valore stesso della solidarietà d’altra parte esclude che possa darsene un’interpretazione coattiva e questo è chiaro nello stesso art. 2 della Costituzione, laddove è previsto che la Repubblica "...richieda l'adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale...", e non che lo imponga. I giovani oggi ci chiedono partecipazione, spazi di espressione, maturazione e solidarietà, e ce lo dimostra la loro disponibilità verso varie forme di volontariato, ma ci chiedono anche una testimonianza di rispetto verso la loro capacità di scelta e l’apertura ad un confronto libero da ogni forma di autoritarismo e coercizione. Per questo motivo riteniamo necessario che nel C.N.C.A. si apra un dibattito su questi temi e si arrivi ad una presa di posizione ufficiale su questioni come le seguenti: • servizio civile e leva militare come orizzonti e itinerari distinti e sganciati • servizio civile proposto a tutti i cittadini e non imposto (la proposta non esclude modalità incentivanti e valorizzazione sociale di questo servizio) • contrarietà ad un esercito di professionisti (inutile e nocivo) • contrarietà alla presunta modalità emancipativa che offre anche alle donne l’ingresso nell’esercito e nell’uso delle armi. Con affetto, Guido Tallone

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Ma resta il dovere di difendere la patria Caro Guido, reagisco alla tesi sperando di riuscire alla fine a concordare un testo sul "servizio civile” da proporre alla discussione dei gruppi del C.N.C.A. Anch’io come te non credo alle balle che ci si educhi facendo il militare o facendo il servizi civile e l’obiettore di coscienza, specialmente quando questa educazione avviene in regime di obbligatorietà. Questo può anche avvenire così come avviene anche il suo contrario: ma non è il punto base della discussione. Per ora suggerisco di mantenere "tra parentesi" i nodi dell’educatività e della libertà nello svolgimento del servizio civile, considerando miratamente e distintamente il versante "patto costituzionale". Il "dato" Nei fatti ci troviamo davanti ad una decisione espressa dalla maggioranza dei partiti, che ha stabilito di dotare l’Italia di un esercito di professionisti, chiudendo con l’esperienza del cosiddetto esercito popolare. Ci sono ancora cinque o sei anni di tempo per andare a regime. Questo discorso viene portato avanti come se fossimo di fronte all’ipotesi che nel prossimo futuro sarà volontario fare il servizio militare così come sarà volontario fare il servizio civile. Ma non e cosi. In altri tempi (ti ricordi?) la parola "volontario" non riuscivamo a riferirla così facilmente alla volontà reale di chi imbracciava il fucile; e nemmeno la ritenevamo valida per chi in alternativa svolgeva obbligatoriamente il servizio civile. E adesso? Di fronte alla proposta di dotarsi di un esercito professionale e non più popolare, i nostri gruppi non possono sottrarsi dal riflettere sulle motivazioni, sull’efficacia, sull’organizzazione, sui risvolti etici riguardanti i diritti e i doveri

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e quant’alto essa comporterà per i cittadini. A mio avviso dovremmo partecipare al dibattito con una logica attenta non solo agli aspetti militari-tecnici (come si vorrebbe far credere), ma anche agli aspetti valoriali che questa decisione complessivamente comporta, i quali vanno oltre il servizio militare e il servizio civile intesi in alternativa fra loro. Non dovremmo entrare nel dibattito limitandoci a reagire a quanto il governo ha deciso sul servizio militare. Infatti ciò di cui si tratta non è soltanto il servizio militare e l’alternativa ad esso, ma il dovere di solidarietà. Il “patriottismo istituzionale" Il servizio civile non va inteso o fatto discendere dal modello di difesa della nostra nazione. Infatti il tutto è partito dall’effetto-annuncio, condotto in maniera abbastanza disinvolta, di far discendere il servizio civile dal servizio militare. Il servizio civile non discende dal servizio militare, ma dal dovere di difesa della patria. Va considerato indipendentemente dal fatto che storicamente il servizio civile in Italia sia sorto come conseguenza del discorso sulla leva, per "aggiustare" il problema dell’obiezione di coscienza all’uso delle armi e per favorire l’impiego degli obiettori a vantaggio di una seppur utilità collettiva. Non si tratta di salvare il servizio civile esistente, ma piuttosto si tratta di mettere "questo servizio civile esistente" all’interno di ciò che esso dovrebbe essere in base alla Costituzione: un servizio di tutti i cittadini. L’articolo 52 della Costituzione parla di difesa della patria come obbligo di tutti i cittadini, in generale e non solo quando c’è la guerra. E non discrimina tra uomo e donna. Questo "dovere" va dunque concepito (vedi le sentenza della Corte Costituzionale che equiparano il servizio militare e civile) non solo nella limitata dimensione militare per le guerre di difesa, ma anche della sua appropriata dimensione civile, nella logica cioè del "patriottismo costituzionale", per cui la parola "patria" congloba i concetti di pace,

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solidarietà e giustizia, che sono posti a fondamento (non sono optional) della stessa Costituzione come principi basilari del patto costituzionale. Essi pertanto non possono venire cambiati da nessuna legge né da nessuna maggioranza, ma soltanto da un altro patto costituzionale: cioè da una seconda Repubblica, che spero valorizzi i principi di solidarietà previsti per la prima. Che fare? Siamo di fronte a tre ipotesi. Prima. Accettare ciò che sta avvenendo, per cui vi è una simmetria di servizi volontari (militari e civili), e porsi criticamente nella linea pedagogica ed esistenziale che tu, Guido, descrivi nella tua lettera. Seconda. Reagire alla proposta di "maggioranza trasversale" dei partiti politici, giocando la carta del mantenimento dell’esercito di leva inteso come esercito popolare, nel senso di dovere di tutti i cittadini di difendere la patria (artt. 2 e 52 ), ma suggerendone l’attuazione con modalità anche nuove per l’Italia e differenziate (esempio: modello svizzero o organizzazione di Difesa Popolare Nonviolenta, etc.). Terza. Accettare che l’abolizione della leva obbligatoria continui il suo corso nei sette anni che abbiamo davanti finché non andrà a regime (pur criticandola negli aspetti di rischio che si tirerà dietro, quali ad esempio: selettività di chi farà il militare per lavoro, per idealità, ecc.; e selettività di chi farà il servizio civile, per maggiori opportunità, etc.), ma aggiungere a ciò anche il mantenimento del dovere di solidarietà come proposta valoriale. Questa opzione non rinuncia al dovere della difesa della patria (che nella Costituzione rimane, indipendentemente dalle modalità di funzionamento dell’esercito e della coscrizione); e comporta la proposizione di modalità di servizio civile per tutti. In questa ipotesi si potrebbe ricentrare il tema educativo dei giovani in genere e non di alcuni in par-

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ticolari: e salvare il valore del servizio alla collettività dalla quale comunque si riceve, seppure variegandone la forma che per tempi, modi e luoghi eccetera, può divenire flessibile. In tutto questo a mio avviso, occorrerebbe continuare a mantenere svincolato il servizio civile da qualsiasi aspetto premiante o penalizzante sia per coloro che potrebbero decidere di svolgerlo per volontà (la tua proposta) o per esonero (la mia), sia per coloro che altrettanto volontariamente potrebbero decidere di non svolgerlo. Carissimo Guido ti invito a non ritenere questa mia un’invenzione del 2000 o un masso erratico che sorge dal nulla. Da tempo diverse proposte di revisione del servizio civile trattano sia gli aspetti proposti da te che quelli che ho qui descritto io. Addirittura alcune elaborazioni sono arrivate in Parlamento e al Senato. Ti ricordo quella lanciata dalla Caritas Italiana nel 1992. Un Ddl del governo Prodi aveva recepito qualcosa del genere, ma poi si è fermato al palo. Per i nostri gruppi e comunità si tratterà di soffermarci a discutere sui valori condivisibili della solidarietà e della cittadinanza, senza fretta, evitando di entrare nell’imbuto della discussione sul servizio civile alternativo al servizio militare, poiché qui si tratta di un servizio reciproco dall’orizzonte molto più ampio. Con affetto, Giacomo Panizza (tratto da C.N.C.A. informazioni 2000 N. l/2- gennaio/febbraio)

SHALOM 3, 2000 pp 16-25

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Un campione e un giovane Intervista a Buffon di Gariella Giani Rotelli Vuoi spiegarci le ragioni della tua scelta di fare il servizio civile? All’inizio forse il motivo della scelta di venire qui in comunità è stato per dei vantaggi dal punto di vista lavorativo, voglio dire, il non allontanarmi troppo da Parma e dal campo di calcio; però a un certo punto anche questo va accantonato, non è il motivo più importante perché avevo anche la possibilità di saltare il servizio civile e il servizio militare per dedicarmi completamente al calcio. Per cui la motivazione vera che mi ha fatto venire a Betania non è stata tanto per poter continuare a svolgere il mio lavoro di calciatore, quanto per un accrescimento mio personale e perché mi richiama alle mie responsabilità di cittadino. Credo che questa mia sia una scelta giusta e costruttiva … poi l’essere criticati, il non andare mai a genio alla gente fa un po’ parte del mio lavoro. Qualcuno ti ha detto: “ma chi te lo fa fare!” Nessuno me lo ha detto; anche perché quando decido di intraprendere una strada, la prendo comunque. In questo caso ho chiesto di venire a Betania, perché mi piaceva l’idea ed ero entusiasta di poter svolgere questo servizio. Per cui non ci ho pensato molto; è stata una scelta fatta un po’ d’istinto e penso non me ne pentirò. Quando agisco in questo modo, sia nel mio lavoro che nella vita normale di tutti i giorni, nelle scelte non sbaglio quasi mai, per cui anche questa volta sono convinto di aver fatto una scelta giusta, di cui non mi pentirò. Negli ultimi anni la maggior parte degli obiettori arrivavano a Betania “precettati”. Tu invece hai proprio scelta la nostra comunità.

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Io ho scelto di venire a Betania prima di tutto perché conoscevo don Luigi, secondariamente quando vivi in un mondo come il mio, un mondo un po’ di privilegiati, che un po’ esula dal mondo comune, senti l’esigenza di potervi rientrare anche solo in parte, anche solo per tre o quattro ore al giorno. Per cui anche da parte mia ho sentito quest’esigenza di poter stare con persone “normali”, con persone che magari hanno dei problemi, anche se credo che problemi li abbiamo tutti e che questi ragazzi sono persone uguali agli altri. Parli della tua esperienza con i compagni di squadra, con gli amici? Ogni tanto, magari, se si entra in argomento cerco di spiegare qualche cosa di Betania e delle mie scelte. Però è piuttosto difficile, perchè poi quando entri in uno spogliatoio, quando ti trovi in compagnia di persone famose, che hanno tante agevolazioni, certi tasti non sai neanche se riescono a capirli. Non sai se certi discorsi saranno compresi, per cui me li tengo per me, quando posso. Con questo non voglio dire che nel mio ambiente sono tutti così; anche altri calciatori che io conosco stanno facendo cose positive in altre comunità o nel sociale. Il servizio a Betania cosa ha cambiato nell’organizzazione della tua giornata? Sicuramente mi ha fatto sezionare meglio le mie giornate: ora ho un impegno, anche se sempre subordinato al mio lavoro. La mattina ad una certa ora c’è la sveglia, per cui, siccome ti devi svegliare a una certa ora, la sera vai a letto prima del solito. E poi anche dal punto di vista psicologico sapere di avere un impegno che non puoi rimandare, ti mette davanti ad una tua crescita. Mi spiego: prima magari cercarvi ogni scappatoia per poter saltare qualche cosa, adesso prendi di petto quello che hai scelto e cerchi di seguirlo fino alla fine.

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Come la maggior parte degli obiettori che passano da Betania, anche tu pensi che il servizio qui svolto è un arricchimento e ne serberai un caro ricordo? Sicuramente sì. Perché lo star a Betania mi ricorda un po’ i tempi in cui stavo in collegio: lì per lì magari non è che mi piacesse molto e non vedevo l’ora di uscire. Poi una volta uscito, mi è dispiaciuto perchè stando insieme ad altre persone coltivi delle amicizie, crei dei rapporti che col tempo capisci che sono importanti e che non ce ne saranno altri simili. Per cui, proprio per questo vivere a stretto contatto con gli altri, per questo confronto quotidiano, che nella vita reale, nella vita normale non esiste, per tutto questo penso che sia un’esperienza importante e che solo dopo averla fatta si possa capire quanto ti ha arricchito. SHALOM 2, 2001 pp 34-35

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Una porzione importante della mia giornata di Cristiano Bussoni

L’esperienza di vita a Betania è sicuramente diversa da quella che si può immaginare una persona che non ha mai vissuto in una comunità terapeutica per tossicodipendenti. Ognuno di noi possiede una certa sensibilità, grazie alla quale riesce a sviluppare e mantenere i rapporti con altre persone e proprio per questo vivere a Betania è un’esperienza praticamente indescrivibile. Betania è fatta di persone. Sono le persone il nucleo, il fulcro intorno a cui ruota tutto il resto. Chi è così sicuro di poter giudicare tutti senza sbagliare? Penso nessuno. Per chiunque venga messo a contatto con questa realtà senza nessun preavviso, come è capitato a me, l’inizio è sicuramente impegnativo. Riuscire a rapportarsi con così tante persone, con così tanti e differenti problemi è complicato, molto complicato. I miei primi giorni di obiezione sono trascorsi sotto una cappa di preoccupazione e di curiosità: la prima per la chiusura dell’ambiente e la seconda per l’evolversi dei rapporti con chi si è più a contatto. Sono sensazioni talmente diverse e contrastanti da non lasciarti nessuna certezza. Quando mi sono reso conto di non poter avere nessuna certezza, tutto ha iniziato ad avere un senso. Le sfumature adesso hanno la loro importanza, i meccanismi della comunità non sono più così oscuri. Chi vive a Betania da più tempo di me, pensa che un anno sia il periodo minimo di adattamento. Riconosciuta l’importanza del tempo e delle persone, la comunità acquista nuove sfaccettature positive. A qualche mese dall’inizio del mio servizio civile dentro la comunità, il mio rapporto con chi vive al suo interno si è completamente invertito. Prima ero un estraneo, una persona non

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pronta ad affrontare certe situazioni, mentre ora mi sento parte integrante della struttura stessa. Finalmente sono io ad accogliere i nuovi arrivati come membro della comunità e non viceversa. Con alcuni ragazzi si è creata una sorta di complicità, un legame che può definirsi amicizia; la comunità non è più solo un momento di lavoro, ma una porzione importante della mia giornata. Grazie a questa evoluzione nei rapporti interpersonali, ho vissuto anche le prime soddisfazioni riguardo i progressi di persone a me molto vicine. Il fatto che alcuni di questi ragazzi si sentano più inseriti nel mondo reale, siano mossi da nuove motivazioni, da nuove speranze di vita normale, è quanto di più bello si possa vedere all’interno di una comunità. Non credo, dall’alto della mia poca esperienza, di riuscire ad esprimere o formulare teorie o concetti oggettivamente validi, ma forse alcune situazioni non nascondono ormai alcuna sorpresa. Penso che alcuni ragazzi abbiano la voglia e la forza per saltare fuori da questa transizione (la comunità), mentre per altri si tratta solamente di una pausa dallo sballo precedente. Occorre molta pazienza e molta perseveranza, virtù oramai estinte in una società sempre più in movimento e sempre massificante. A Betania si cerca di dare rilievo alla personalità, al carattere; si cerca di far divenire adulti coloro che non sono riusciti a divenirlo prima. In un contesto talmente complesso e variegato non è facile riuscire a gestire tutte le risorse umane a disposizione, a maggior ragione quando ci si trova di fronte a persone che possono sfuggire ai meccanismi di una comunità. Mi sto riferendo al mio compagno di obiezione Gian Luigi Buffon. Penso sia necessario esprimere un paio di considerazioni su un fatto che ha suscitato molto clamore. È una persona nota e perennemente sotto l’occhio dei riflettori, che ha compiuto una scelta non facile. Ha deciso di portare il suo apporto alla comunità Betania, e già questa penso sia una scelta

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non da tutti. È altrettanto chiaro che non possa svolgere le mansioni mie e dei colleghi, ma un contributo può essere dato in maniere diverse. Quando si riesce a dare un’ora di gioia, attimi di distrazione a chi ne ha più bisogno, penso si sia già fatto molto. Senza entrare nei dettagli, credo che Gian Luigi riesca a fare tutto ciò col sorriso sulle labbra. Da obiettore non vedo nulla di strano in questa situazione e non capisco tutte le polemiche nate su un evento così poco significativo per una comunità. Ci sono state molte interviste, molte televisioni, molto interesse, ma la realtà Betania esiste e continua nonostante tutto questo clamore. Con queste mie poche parole non so quante immagini di Betania sia riuscito a trasmettere, ma l’impresa non è sicuramente facile. Quando le persone sono sempre in primo piano, ogni descrizione diventa impegnativa, poiché degli uomini non si impara mai abbastanza. Finché esisterà Betania chiunque potrà trovare un proprio spazio. SHALOM 2, 2001 pp 36-38

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DOSSIER SERVIZIO CIVILE

La scelta dell'obiezione di coscienza Gianna Montagna

Ci sono voluti 26 anni dal 1972 par avere una Legge cha finalmente esprimesse valore e dignità all’Obiezione di Coscienza a quindi al Servizio Civile, quale alternativa al Servizio Militare. Con questa Legge si riconosce il diritto dei cittadini che, par obbedienza alla coscienza, nell’esercizio del diritto di libertà di pensiero -riconosciuta dalla Dichiarazione dai diritti dall’uomo e dalla Convenziona internazionale sui diritti civili e politici- opponendosi all’uso dalla armi, non accettano l'arruolamento nella Forza Armata e nei corpi armati dello Stato e possono adempiere gli obblighi di lava prestando un servizio civile diverso par natura e autonomo dal servizio militare, ma rispondente al dovere costituzionale di difesa dalla Patria (tra i principi fondamentali dalla Costituzione). Va sottolineato come la scelta di prestare Servizio Civile esprima una opzione di valore positivo e costruttivo, dando la possibilità di servire la Patria attraverso la tutela dell’ambienta, la salvaguardia dai beni culturali ed impegnandosi in servizi socio-assistenziali rivolti a tutti coloro che vivono in condizioni di disagio e di emarginazione. L’approvazione dalla Legga n. 230 del 1998 è stata una grande e faticosa conquista par tutti coloro, giovani, cittadini, Enti di Servizio Civile, Associazioni pacifiste, parlamentari, cha per decenni vi hanno creduto, lottato. Ma le scelte politiche dei vari Governi dal 1999 ad oggi -finanziamenti inadeguati, sospensione dalla lava obbligatoria, Decreti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri cha hanno lasciato "a casa", con dispense al servizio per motivazioni spasso discutibili, decine di migliaia di giovani- hanno provocato in

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molti preoccupazione, amarezza, disorientamento. Soprattutto in questi ultimi tempi nella nostra società si tende ad esaltare sempre più il servizio militare di professionisti come unica forma altamente qualificata par difendere la pace: e di tutti quei giovani che hanno scelto l’Obiezione, il Servizio Civile come la via più concreta par costruire un percorso di solidarietà, di coscienza civile, nell’impegno quotidiano all’interno di organizzazioni no profit, in cooperative sociali, in centri anziani, nelle comunità terapeutiche, in progetti di tutela dell’ambiente, che spesso si trasforma anche in un successivo inserimento lavorativo per tanti di loro, o quanto meno di continuità nel volontariato, le forze politiche, il Parlamento cosa ne pensano? Solo il Presidente della Repubblica, proprio in questi giorni, ha denunciato il pericolo di perdere questo grande patrimonio che I’Obiezione di Coscienza e il Servizio Civile hanno saputo costruire negli anni ed ha rimarcato l’importanza di quanto questa esperienza possa contribuire a far crescere nelle nuove generazioni il senso di una cittadinanza più responsabile e attiva. Cercando di analizzare il cambiamento rispetto agli anni settanta, quando scegliere l’obiezione esigeva motivazioni molto forti, perché la situazione obiettiva poneva il giovane di fronte a prospettive che richiedevano coraggio e molta coerenza, oggi fare obiezione significa scegliere una strada le cui tappe sono previste e regolate da una legge che, pur nelle difficoltà e imperfezioni, valorizza l‘Obiezione di Coscienza. Il diffondersi in questi anni delle domande di obiezione, credo, abbia diverse spiegazioni: la più vasta scolarizzazione, la molteplicità di informazioni, la ricchezza di canali culturali che favoriscono la maturazione dei giovani, anche se si riscontra nel contempo una motivazione più debole rispetto alla carica ideale, pacifista, nonviolenta del passato. Sono

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convinta, comunque, che questa scelta contenga una componente umanitaria positiva: il desiderio di spendere dieci mesi della propria vita in modo utile agli altri. L'mpatto con il servizio civile, la partecipazione a corsi di formazione, il contatto con la sofferenza, l’emarginazione, i problemi reali della società, fanno maturare una progressiva coscientizzazione, l’interscambio stimola il giovane, gli propone tutta una problematica, che prima gli era estranea, e la sua scelta obiettrice diventa gradualmente più consapevole. È un fenomeno positivo e interessantissimo, un cammino che molti giovani percorrono. In un recente sondaggio curato da Datamedia per la Presidenza del Consiglio, l’80% dei giovani intervistati dichiara di conoscere le nuove norme in materia di obiezione di coscienza. Alla domanda: quali sono le motivazioni di chi rifiuta il Servizio Militare per svolgere il Servizio Civile, il 55% pensa ad "uno che ha deciso di rendersi utile alla società", il 21% ad "uno che vuole difendere il paese senza le armi", mentre solo il 9% pensa che si sottrae a questo dovere ed il 7% che sia un opportunista. Di fronte all’obbligo del servizio alla Patria ben il 66,5% sceglierebbe il servizio civile, il restante 33,5% il servizio militare. Non so se nel redigere la nuova finanziaria il Governo e il Parlamento ne hanno tenuto conto, per permettere al Servizio Civile di avere riconosciuta la giusta dignità: nel 2001 per il servizio civile sono stati destinati 235 miliardi a fronte di un bilancio della Difesa di 34.234 miliardi. Un aspetto importante, prima della sospensione dell’obbligo di leva nel 2004, sarà quello di garantire agli ultimi obiettori lo svolgimento di un Servizio Civile serio e qualificato. Con la Legge N. 64 del 2001 è stato istituito il Servizio Civile Nazionale finalizzato: 1) a concorrere in alternativa al servizio

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militare alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari; 2) favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale; 3) promuovere la solidarietà e la cooperazione a livello nazionale ed internazionale con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla personale ed alla educazione alla pace fra i popoli; 4) partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della Nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, artistico e culturale; 5) contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani. Per la prima volta al Servizio Civile Volontario potranno fare richieste anche le ragazze dai 18 ai 26 anni. Alcuni Enti di Parma hanno presentato progetti sia alla Regione Emilia Romagna (prima fra tutti l'Amministrazione Provinciale) oppure direttamente all’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile (fra questi il Consorzio Solidarietà Sociale, la CARITAS e alcuni Comuni). La sfida che abbiamo davanti è impegnativa, occorre rispondere con urgenza ad alcune domande: Come aiutare i giovani, ragazzi e ragazze, a scegliere il servizio civile volontario, una volta terminato l’obbligo della leva? Come indirizzare i giovani ai valori della pace, una volta sorpassata la scelta etica dell’obiezione di coscienza? Come mantenere nel servizio civile una carica di dedizione ideale non monetizzabile? I prossimi mesi saranno fondamentali per questo dibattito, ma una cosa emerge su tutte: la necessità di porre l’attenzione a trovare motivazioni alte da proporre ai giovani. Proprio per questo, sarà fondamentale rendere i giovani partecipi della costruzione e della crescita della solidarietà, dei diritti e della qualità della vita nel territorio di appartenenza, con uno sguardo particolare alle zone critiche del nostro paese e del mondo. SHALOM 4, 2002 pp 26-29

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Non ci sono più gli obiettori di una volta…. Gabriella Giani Rotelli

Alessandro, Antonio, Domenico, Andrea, Carlo, Marco, Michele, Giuliano, Franco, Giuseppe sono i primi dieci obiettori che nell’autunno del 1983 vennero a vivere “in trincea” con don Luigi nella parrocchia di Marore. Ragazzi che scelsero di servire la pace, di costruire la pace con l’attenzione alle situazioni di emarginazione. Abbiamo chiesto ad Alessando Ferraguti di parlarci di quegli inizi della comunità. Ho prestato servizio civile a Betania dal 1983 al 1985, cioè alla nascita della comunità. Per questo nei primi mesi, insieme agli altri obiettori, ho dato anch’io una mano nella ristrutturazione della canonica. Chi osserva oggi la comunità nel suo complesso difficilmente riesce a comprendere le difficoltà iniziali che hanno caratterizzato tale progetto. Ricordo ancora le prime visite alla canonica in stato di semi abbandono e l'incredulità di fronte al progetto "profetico" che don Luigi, con limitatissime disponibilità finanziarie, ma con inesauribile fede nella provvidenza, aveva immaginato. Diversamente dalla sua forma attuale la comunità nacque fondamentalmente come una comunità di obiettori di coscienza, aperta alla condivisione a persone bisognose di accoglienza. All'epoca infatti la città di Parma non offriva strutture analoghe e in questo l'idea di don Luigi fu veramente "profetica". La sua certezza era che una struttura comunitaria, fondata esclusivamente sull'apporto di obiettori e volontari, avrebbe potuto offrire risposte di cui molti avevano bisogno, ma che nessuno concretamente forniva. L'evoluzione della comunità, in questi quasi venti anni, è dovuta fondamentalmente alla consapevolezza di bisogni che si sono manifestati in tutta la loro cruda realtà.

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Di fronte all'esigenza di fornire accoglienza a giovani che devono trovare un punto di riferimento per intraprendere un nuovo cammino, la comunità ha dato a loro la priorità e ciò ha comportato la trasformazione da comunità di obiettori a comunità di accoglienza. Dal 1983 ad oggi sono centocinque gli obiettori che a Betania hanno prestato il loro tempo ed operato per la pace. Là dove pace “non è solamente e semplicemente l’assenza di guerra, è “Shalom”, cioè pace in noi stessi, nelle relazioni con le altre persone, nella nostra vita di tutti i giorni, in famiglia, al lavoro; “Shalom” è vita piena e realizzata, è scegliere di condividere la nostra vita. E non mi basta una scelta che impegni venti mesi solamente della mia vita, perché la pace è una realtà che mi interpella continuamente, che chiede di essere vissuta concretamente nella società, tra la gente”. Parole scritte, per il primo numero di “Shalom”, da Alberto Dazzi, un obiettore che nella primavera 1987 terminava i suoi venti mesi di servizio a Betania. Già perché allora e fino al 1989 -quando la Corte Costituzionale dichiarò la incostituzionalità dell’art. 5 della legge 772 che fissava per gli obiettori la durata del servizio superiore alla ferma di leva- i giovani che si rifiutavano di imbracciare il fucile venivano “puniti” con otto mesi in più di servizio. Questa discriminazione non scoraggiò però i più motivati, quelli che guardavano a questa esperienza come una buona occasione per interrogarsi sulla responsabilità, per allargare lo sguardo sui problemi del mondo, per praticare concretamente l’incontro e la solidarietà. Anzi, in questa “fase storica” dell’obiezione di coscienza, ci fu anche chi, concluso il servizio, chiese a don Luigi di continuare la vita comunitaria e diventare operatore a Betania. Tra questi Alessandro Romani, che nel 1986, dopo aver ufficializzato il suo rifiuto categorico delle armi e ad ogni forma di violenza, ha prestato servizio a Betania seguendo alcune

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persone in situazioni di disagio ed emarginazione nei loro contesti familiari. A lui abbiamo chiesto se, con la fine dell’obbligo della leva, già legislativamente sancita, e la conseguente scomparsa della figura dell’obiettore, abbia senso parlare ancora di obiezione di coscienza. Penso che oggi nella società globale in cui viviamo, sia importante fare scelte di pace e solidarietà con chi vive emarginato, e ancor più non lasciare che i potenti della terra decidano per tutti, trascurando i veri bisogni di ognuno. Si tratta allora di imparare a vivere in un modo nuovo, fuori da un contesto consumistico ed egoistico, aperto all’integrazione delle persone più deboli e quindi emarginate, aperto alla equa distribuzione dei beni del mondo, aperto alle diverse culture come fonte di arricchimento comune e non di disgregazione. La pace non è un'utopia ma uno stile di vita. L’obiezione di coscienza non deve essere legata solo alla non violenza, ma penso che ci debba essere un’apertura a tutte le cose ingiuste del nostro sistema: penso quindi ad un obiezione fiscale là dove il denaro pubblico finanzia guerre o armamenti, penso ai medici che a volte devono fare scelte contro la loro etica morale, ed ancora alla libertà di boicottare prodotti frutto di multinazionali senza scrupoli che sfruttano mano d’opera a bassi costi o peggio ancora bambini. Abbiamo quindi il dovere di riflettere su ogni scelta che facciamo con la libertà di rifiutare tutto ciò che è ingiusto. Stefano Sforza, ha fatto il servizio civile a Betania tra il ‘94 ed il ’95: da lui vogliamo innanzitutto sapere cosa lo ha spinto a chiedere di venire proprio nella nostra Comunità. “L’idea di fare il servizio civile a Betania mi è venuta quasi per caso, diciamo che hanno contato la “fama” di Betania a Parma ed il mio desiderio di conoscere una realtà che

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in quel momento sentivo vicina (per questioni di età e di amicizie), ma anche molto lontana, non capendo e non conoscendo (ma volendo capire e conoscere) motivazioni, stili di vita, esperienze di chi faceva uso di sostanze stupefacenti. Il periodo passato a Betania è stato sicuramente molto “sconvolgente” (in senso positivo) e “coinvolgente”. “Sconvolgente” perchè mi ha costretto a confrontarmi con situazioni per me assolutamente sconosciute, costringendomi a pormi problemi e a farmi domande che non mi ero mai fatto o a cui avevo risposto in maniera molto superficiale. Mi ha costretto a prendere atto di una cosa molto semplice, ma molto facile da dimenticare, cioè che prima di tutto i “tossici” sono persone normali, che amano, soffrono, gioiscono, piangono come tutti. Dopo un po’ di tempo a Betania la distinzione che all’inizio mi veniva naturale fare nella mia testa, cioè tra “tossici” e non, era venuta a cadere, mi veniva da considerarli solamente persone, e come tali non pensavo più a loro come ”tossici”, ma come persone simpatiche o antipatiche o egoiste o altruiste o divertenti o “pese”, insomma “normali”. Questo è stato per me un po’ sconvolgente, perchè mi ero costruito nella mia testa un’idea del “tossico” come di una persona un po’ particolare, che si cerca e costruisce la sua storia. Invece mi sono ritrovato con ragazzi proprio come me, la cui unica differenza era riconducibile solo a un po’ più di fortuna nella mia vita ed un po’ meno nella loro: decisamente una differenza piccolissima! Per la prima volta nella mia vita ho pensato una cosa che avevo ritenuto fino ad allora impossibile: con un po’ più di sfortuna o per un caso leggermente diverso, io avrei potuto essere al loro posto. Devo dire che questo pensiero mi ha segnato profondamente. Oltre ad averti dunque “sconvolto” in che modo l’esperienza vissuta a Betania è stata per te, come prima hai detto, anche molto “coinvolgente”?

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Il “coinvolgente” a questo punto è venuto naturale. Come si fa a non apprezzare e a voler bene a persone che cercano di ricostruire a fatica la loro vita dopo aver passato l’esperienza della tossicodipendenza? Se c'è una qualità comune a tutti i ragazzi che sono passati da Betania, la parola più indicativa, secondo me, è coraggio. Ce ne vuole veramente molto per prendere in mano la propria vita ed imporsi la disciplina e la fatica necessaria per ricostruirsela. Un’altra cosa che dopo un po’ di tempo a Betania mi è sempre venuta da pensare è che io al loro posto avrei mollato tutto e mandato tutto a quel paese, me incluso. Ho sempre ammirato molto i ragazzi di Betania da questo punto di vista, oltre ad aver vissuto esperienze emotivamente enormi con alcune persone, che mi hanno coinvolto molto, facendomi gioire molto e soffrire molto, ma questo forse è anche ovvio e banale per tutti quelli che conoscono Betania. Purtroppo il “coinvolgente” di Betania, almeno dal mio punto di vista, ha implicato anche che quando il servizio civile è finito, a parte i normali rapporti con le persone che avevo conosciuto, non è stato più possibile sentirmi parte della comunità come mi sentivo prima. Betania è un posto troppo “forte” per passarci ogni tanto, bisogna starci dentro tutti i giorni, altrimenti, almeno così è stato per me, è impossibile sentirsene veramente parte. Ed anche oggi che ho la mia vita, la mia famiglia ed il mio lavoro, a volte sento un po’ di nostalgia per quell’esperienza comunitaria così forte che ho vissuto e so di essere una persona un po’ diversa grazie ad essa. Dal gennaio 2007 la leva non sarà più obbligatoria, ma resterà la possibilità di svolgere il servizio civile, come scelta individuale. Cosa ne pensino lo abbiamo chiesto sia ad Alessandro Ferraguti che a Stefano Sforza Alessandro: La scomparsa della leva obbligatoria, provo-

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cherà sicuramente problemi di natura organizzativa agli enti che utilizzano obiettori di coscienza. E indubbiamente si assisterà ad una drastica riduzione del numero dei giovani che si accosteranno al servizio civile, divenuto volontario. Chi si orienterà per tale scelta sarà evidentemente spinto da forti motivazioni interiori e non semplicemente da norma giuridica. Sempre che non si profili all'orizzonte l'opportunità di rendere il servizio civile da volontario ad obbligatorio. Recentemente infatti il ministro Giovanardi ha reso noto che tale ipotesi non può essere esclusa a priori, con tutte le implicazioni che, se giustificabili dal punto di vista concreto, nascono sotto il profilo etico. Stefano: Togliendo l’obbligatorietà del servizio civile si toglie molto ai giovani di questo paese, prima ancora che alle associazioni che del servizio di questi giovani usufruiscono. Sono d’accordo nell’istituire un esercito fatto solo di volontari, ma penso che un governo coraggioso (qualità rara nei politici di tutti i colori) avrebbe potuto e dovuto istituire un servizio civile nazionale “obbligatorio e gratuito”, eccetto vitto e alloggio, per tutti i giovani (anche ragazze, ovviamente). Non per un periodo lungo, magari solo 6 mesi, ma penso che sarebbe stato utilissimo, e non solo per le associazioni, badate bene, ma soprattutto proprio per i giovani che lo avrebbero fatto. Nel mio caso, se non fosse stato obbligatorio certo io non lo avrei fatto e penso tuttavia che a rimetterci sarei stato io, non Betania. Betania è una comunità forte, con grandi risorse umane, e penso che, pur con qualche disagio, riuscirà a cavarsela molto bene anche senza obiettori di coscienza, ma così molti ragazzi verranno privati della possibilità di fare un’esperienza veramente indimenticabile. Il servizio civile in questi trenta anni -risale infatti al 1972 la legge che riconosce l’obiezione di coscienza al servizio

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militare obbligatorio e istituisce il servizio civile sostitutivoè stato certamente un importante istituto della vita sociale del nostro Paese. Negli ultimi anni però la scelta di questa esperienza sembra aver perso non poco della sua carica ideologica e ideale anche per colpa, a mio giudizio, della disattenzione culturale e politica che ha accompagnato il dibattito sull’obiezione di coscienza. Pacifismo e nonviolenza non sono certo valori dimenticati dalle nuove generazioni, ma forse solo poco approfonditi. Così molti ragazzi scelgono di “servire” la Patria attraverso il territorio e la gente che lo abita soprattutto per non sentire “sprecato” un anno, in un passaggio importante della loro vita, dal mondo dello studio a quello del lavoro. Inoltre, benché il desiderio di aiutare persone in difficoltà resti sicuramente tra le motivazioni della scelta del servizio civile, abbiamo dovuto con rammarico prendere atto che negli anni è andato diminuendo il numero di giovani che hanno chiesto di spendere il proprio impegno presso la nostra comunità. Mimmo D’Onghia è stato tra gli ultimi obiettori distaccati a Betania, anzi “precettati”. Sì la destinazione alla Comunità Betania di Marore non corrispondeva a una mia precisa scelta, dato che inizialmente ero orientato a svolgere il servizio civile presso enti meno impegnativi e più coerenti con il mio percorso formativo, quali enti culturali o ambientali. Chiamato alla Comunità Betania ero un po’ perplesso in quanto non sapevo di che cosa avrei dovuto occuparmi, un po’ entusiasta perché sentivo che sarebbe stato qualcosa di positivo e formativo. La mia esperienza, iniziata il 25 settembre 2001 e durata dieci mesi, mi ha avvicinato a un problema di cui avevo una conoscenza indiretta, solo attraverso i giornali e la TV. Eravamo un gruppo di quattro obiettori e la mole di lavoro da svolgere non è stata certo pesante. La flessibilità

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concessaci in termini di orari e impegni ha sottolineato la maggiore importanza della qualità dell’impegno piuttosto che la sua quantità. È stato facile entrare a fare parte della Comunità? All’inizio, aiutato dalla curiosità dei ragazzi e dal coinvolgimento degli operatori, non ho incontrato problemi a socializzare. Così, pieno di buona volontà e abitudini di vita consolidate, ma con la mente già oltre il servizio civile, ritenevo fosse facile adeguarsi alla nuova realtà. Solo nel tempo ho compreso che l’ingresso in una comunità chiedeva uno sforzo, un cambiamento, un nuovo modo di pensare. Dovevo imparare a vivere meno isolato nelle mie convinzioni, a sentire meglio il concetto di comunità come gruppo di persone che manifestano, comprendono e condividono idee perseguendo il medesimo obiettivo. Nel tempo aumentava la consapevolezza dell’importanza del mio comportamento nei confronti dei ragazzi. Sentivo che il mio ruolo non poteva essere solo quello di un collaboratore della comunità, ma doveva svolgersi all’interno di un ruolo più attivo e partecipe alla vita della comunità, per poi essere più vicino a quella di ogni ragazzo. Difatti puntavo a diventare una figura amica per i ragazzi della comunità, una persona in cui ci si poteva confidare e a cui poter chiedere consigli. Volevo mostrare come non ci fosse bisogno di ricorrere alla droga per affrontare le quotidiane difficoltà che la vita ci riserva. Sicuramente non è stata una prova facile, tanto più per una persona che non aveva alcuna idea di quale fosse in maniera chiara il contesto, l’ambiente della tossicodipendenza e i problemi che ne possono scaturire. L’obiettivo citato era ambizioso tanto più se si pensa al tempo necessario a stabilire con i ragazzi una relazione di estrema fiducia, che a volte può richiedere anche più di dieci mesi. Il tempo trascorso a Betania lo definiresti una periodo

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importante nella tua vita, che ti ha in qualche misura cambiato, umanamente arricchito? Sì, ma non è facile dire in cosa e come possa avermi trasformato l’esperienza di obiettore di coscienza nella comunità di Betania. Certamente ha rafforzato in me una grande fiducia nei valori dell’amicizia, della solidarietà e del lavoro. Ho conosciuto uomini di grande valore, sia tra gli operatori che tra i ragazzi, e ho legato alcune grandi amicizie che hanno reso i mesi passati in comunità ancora più importanti. Ho vissuto situazioni difficili e cambiato più volte le mie convinzioni. Data la estrema difficoltà e inutilità di emettere giudizi, sempre meno ho cercato di capire chi fosse dalla parte del torto e chi da quella della ragione. Ritenevo che l’obiettivo fosse diverso e che fosse quello di accompagnare i ragazzi in un delicato periodo di cambiamento della loro vita, oltre a quello di trasmettere loro perseveranza, forza d’animo e una maggiore stima in se stessi. Sono questi gli stessi valori che ho cercato di acquisire durante il servizio civile a Betania e quelli che credo siano fondamentali per diventare veri uomini. E la stessa domanda, di definire la sua esperienza a Betania, l’abbiamo posta anche ad Alessandro Ferraguti, che ha prestato il suo servizio vent’anni fa. Una tappa fondamentale della mia vita: sono certo di aver ricevuto molto più di quel poco che sono riuscito a dare e che tale esperienza ha lasciato una traccia indelebile nella mia esistenza. La vita di un giovane si riempie con il passare degli anni di una molteplicità di impegni di carattere familiare e lavorativo che ben poco tempo lasciano alla condivisone dei bisogni altrui. L'uomo viene visto prevalentemente quale unità produttiva totalmente avulsa dalla sua propria reale umanità. Diventa sempre più difficile trovare spazi per la gratuità. In questo il tempo dedicato al servizio civile diventa forse

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l'unico momento in cui si riesce veramente a comprendere che può esistere un modo diverso di vivere e di rapportarsi con i bisogni altrui. E di fronte al dilagare di utilitarismo ed egoismo è sicuramente un'esperienza che può far comprendere come il mettere le esigenze del prossimo avanti alle proprie fa diventare Uomini e non macchine finalizzate a produrre ricchezza. Se potessimo fotografare tutti insieme gli obiettori di Betania - e chissà mai che per il ventennale non lo faremo! – costituirebbero un gruppo grande e molto eterogeneo per età, sensibilità, formazione, esperienze professionali, capacità, convinzioni…. Ma tutti -e questo mi sento di affermarlo senza tema di essere smentita- a Betania hanno trovato non solo un luogo dove svolgere un servizio, ma una comunità nella cui vita sono stati coinvolti, che ha chiesto loro di mettersi in gioco, ma ha dato anche l’opportunità di un percorso di crescita. SHALOM 4, 2002 pp 30-38

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C’era una volta... adesso c’è Renato Conte

Siamo agli inizi degli anni ‘80, una parrocchia di periferia, molto “popolata”, un gruppo di amici che si conoscono da sempre, un prete giovane che riesce ad “animare” con grande entusiasmo le attività varie e un parroco un po’ scettico sulle innovazioni, ma che non mancherà di appoggiare una scelta “diversa”, coraggiosa ma soprattutto, grande. Sono trascorsi tanti anni, ma non riesco e non voglio togliermi di dosso quelle sensazioni, quei momenti che mi hanno arricchito, trasformato e soprattutto fatto crescere. Ogni volta che c’è l’occasione, racconto, descrivo e trasmetto ad altri quella “favola” di cui mi sono reso protagonista. 7 amici, 7 ragazzi qualunque, 7 persone che decidono d’intraprendere un cammino diverso, un cammino apparentemente “comodo”, scegliere di servire gli altri per un periodo che normalmente veniva dedicato al servizio militare. Una scelta difficile, da far capire agli altri, ai nostri genitori, al mondo intero, una scelta molto semplice per noi, forse, solo per noi, una scelta forse coraggiosa, ma soprattutto una scelta “forte”. Non avremmo mai potuto fare un passo così grande se accanto non avessimo avuto due angeli, don Paolo e don Luigi, due splendide guide prima, durante e dopo, il nostro servizio civile. 18 mesi dedicati agli altri, a coloro che hanno bisogno, piccoli, grandi, anziani, malati, handicappati, soli, o soltanto sfortunati, 18 mesi vissuti quotidianamente, intensamente, a 360 gradi senza pensare ai commenti dei più, senza pen-

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sare se il nostro operato avrebbe cambiato il mondo. Penso che il Signore si sia servito di noi, si sia diventati strumento per operare con grande disponibilità nei confronti di coloro che ne avevano bisogno. Penso non sia stato facile vivere insieme, mettersi a confronto, programmare ogni iniziativa, ogni intervento, affrontare le difficoltà che quotidianamente incontravamo; ma eravamo un gruppo, eravamo una comunità ed ogni situazione la vivevi con uno spirito diverso, ti sentivi forte, sapevi di poter contare sui compagni di avventura, sapevi di poter avere il supporto di Gigi, di Don Paolo, della parrocchia tutta. Alzarsi e pregare insieme, mangiare insieme, la porta sempre aperta a tutti, un pezzo di pane o solo una parola di conforto per chiunque ne avesse bisogno, è stato veramente arricchente. È stato bello, bellissimo, immenso e ha lasciato il segno nel cuore di noi tutti. Certo è stato un momento, un periodo, una parentesi nella vita di ognuno di noi, ma a tutti, sono certo, ha lasciato un segno indelebile, un segno che mai ci abbandonerà. Sono passati 25 anni, oggi questi 7 hanno intrapreso strade diverse, ognuna bella e importante. Io oggi ho una splendida famiglia, faccio l’insegnante e ai bambini continuo a insegnare il piacere di stare assieme, di crescere insieme, il piacere di rispettarsi, il piacere di condividere il cammino che si fa insieme, certo è diverso da allora, ma lo spirito è lo stesso, dare agli altri quel qualcosa che il Signore ha regalato a te. C’era una volta... una piccola comunità di obiettori di coscienza, oggi c’è una grande comunità al servizio dei meno fortunati, oggi c’è Betania. Abbiamo “aperto” una strada, ne siamo felici, siamo orgogliosi d’aver “mosso” le acque.

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Quel gruppo oggi vive ancora, è cresciuto, è maturato, ha una sua precisa identità, si chiama Betania ed è un fiore all’occhiello della nostra città. Ogni volta che passo da Marore, mi sento a casa, torno indietro nel tempo, mi luccicano un pochino gli occhi, ma soprattutto avverto quelle splendide sensazioni che hanno segnato la mia vita. Rivedo Don Paolo e Don Luigi, più “vecchietti” ma sempre con lo stesso entusiasmo di allora, ci sono tanti ragazzi, tante persone che operano, che aiutano, che sostengono; solo chi ha provato a vivere in comunità, può forse cogliere quanto siano importanti tutte queste figure, quanto ti aiutino a proseguire nel lungo cammino che si deve affrontare. Betania oggi è una comunità con grandi potenzialità, grandi sofferenze, grandi responsabilità, forse non è neanche giusto associarla a quell’esperienza di allora, ma sono certo, lo spirito che la sostiene è lo stesso. Tutte le volte che riesco ad essere a Messa a Marore è per me un momento speciale, ho bisogno di respirare quell’aria, ho bisogno di ascoltare magari poche parole dell’omelia di Gigi, ho bisogno di un saluto affettuoso, di una stretta di mano, torno a casa contento, torno a casa ancora più convinto d’aver avuto una grande fortuna 25 anni fa. Mi auguro che il Signore aiuti tutti coloro che si avvicinano per qualsiasi motivo a Betania, a cogliere lo splendore del luogo, l’atmosfera che sprigiona e a lasciarsi contagiare dal piacere di dedicarsi agli altri. SHALOM 4, 2008 pp 35-39

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Temevo di perdere un anno… mi hanno arricchito Nicola Pozza

4 Agosto 1998… il mio arrivo a Betania… Sinceramente non conoscevo questo micromondo… l’ingresso il lunedì mattina fu in punta di piedi e con molta diffidenza… Subito fui distaccato… con l’intento di starci il meno possibile… anche perché rileggendo quella scritta sulla cartolina verde… Comunità Betania Marore… un mondo lontano anni luce dalla mia quotidianità… le informazioni recuperate mi fecero cadere nello sconforto… comunità recupero tossicodipendenti… Da lì una domanda scontata…. e io cosa c’entro… E pensare che al momento della domanda per il servizio civile, i miei pensieri volavano a biblioteche o luoghi di imbosco… per poter studiare e recuperare l’anno che altrimenti sarebbe andato perso… Invece… BETANIA… un mondo di prima linea dove nascondersi era impossibile… tutti si lavora tutti si condivide perchè uniti e coesi si arriva al traguardo… come nelle scalate… alla vetta ci si arriva se tutti portano il loro apporto. L’inizio non fu dei più facili… soprattutto per colpa del mio carattere e del rigetto della situazione… Ci trovammo al centro della piazza… 4 o 5 ragazzi… l’unico di Parma…il resto milanesi e un ragazzo di Reggio Emilia… Altri come me non accettavano la situazione… il luogo… Capii subito che quello che mi aspettava non era facile anzi, arduo e difficile… sia per la situazione, le persone che vivevano in quella realtà, anni luce lontano dalla mia ma soprattutto la rinuncia allo studio… l’incubo di perdere

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un anno… Prospettiva un anno buttato… pensai inizialmente… Quest’idea mi logorava giorno dopo giorno e, causa il mio carattere e cattivi pensieri, iniziarono gli scontri con Andrea che con il passare del tempo erano sempre più frequenti… scontri e confronti a volte duri e decisi… ma onesti e diretti… dai quali è nata una grande amicizia… Come si può capire l’inizio non fu dei migliori… Il rapporto con la comunità e i ragazzi non fu semplice… molta diffidenza, rapporti freddi e distaccati… Regola non dare confidenza… distanza… che grande sbaglio…ma dagli errori si impara e si migliora… Comunque la prima prova non fu delle migliori… ma tra le varie cose c’era l’inesperienza e la paura di deludere… Inesperienza nei confronti di chi invece aveva sempre raggirato il mondo e a raggirare un inesperto come me non ci voleva molto… Comunque da quel momento… un piccolo altopiano... iniziò la salita verso la vetta… Con il passare del tempo, la presa di coscienza del fatto che quello era e quindi ci si doveva rimboccare le maniche e procedere per fare bene, aiutare chi effettivamente aveva bisogno… comunque vinte le prime diffidenze e capiti i meccanismi la scalata iniziò a diventare una camminata dura ardua ricca di imprevisti… ma gli sforzi si concentrarono per raggiungere un obbiettivo comune… migliorare, arricchirsi… Con il tempo iniziai ad entrare in questo mondo, duro difficile strano diverso dal mio… Il tempo passava e cominciai a capire ragazzi persone uomini appartenenti ad una realtà difficile lontana dalla mia… lontani dal mio mondo… ma viventi nel contemporaneo… gente che aveva vissuto due vite rispetto alla mia… gente che lottava e che ha sempre lottato per vivere sopravvive-

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re… contro tutto e tutti… molti contro le ingiustizie il rifiuto e l’abbandono… gente che si ritrovava in quel micromondo per tornare a vivere… tornare alla realtà… iniziare un nuovo percorso o riprendere un cammino abbandonato... per una sosta medio lunga… cercare di recuperare dagli sbagli fatti… Rotte le prime diffidenze… ho capito che quel percorso di vita poteva servire anche a me per crescere… dentro e fuori… per diventare uomo. Effettivamente la comunità è servita anche a me… per capire le persone la realtà della vita… crescere… capire… Mi è servita come esperienza lavorativa... il rispetto degli orari delle scadenze… la programmazione… l’organizzazione… Comunque la vicinanza della chiesa, del prete… dei preti… la richiesta non detta di aiuto fa sì che ti scatti dentro quel qualcosa che ti permette di dare e ricevere... più dare verso chi ha bisogno di una parola di un confronto di un dialogo… anche la sola possibilità di condividere un’amicizia che sia al di fuori del loro mondo un confronto tra realtà e mondi differenti… Ti viene voglia di dare perché ricevi…o almeno ci speri… ci credi… speri che i legami che si creano portino i loro frutti… a volte rimani deluso… Spesso rimani deluso, ti senti raggirato preso in giro… ma continui speri… sei deciso a non mollare perchè le cadute servono a rafforzare il corpo e l’anima… In comunità ti riavvicini alle persone a Dio… un capitolo che si è chiuso ma riaperto… perchè entri in quella chiesa e lo senti… Dio capisce che il suo calore serve a scaldare gli animi… i cuori… Dio abita anche lì a Marore... perchè lì c’è bisogno… Comunque Betania mi è servita… a crescere a conoscere la vita… a vedere la realtà con altri occhi…

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Betania serve ad aprire gli occhi a chi li ha chiusi…ti dà la forza per migliorare... capisci che il dare ti fa vivere meglio… Il 4 giugno 1999 ho salutato amici… con un arrivederci… lasciare mi ha messo tristezza… ma sapevo che non lontano da me c’era un mondo… persone che pur avendo bisogno hanno la forza per farti stare meglio… un mondo in cui il baratto degli affetti abbatte l’euro… tu vai per dare… ma ricevi… la rabbia iniziale è stata scacciata da amore, affetto… amicizia… rispetto e comprensione. SHALOM 4, 2008 pp 35-39

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INDICE Introduzione Gabriella Giani Rotelli ........................... p. 3 Venti mesi di comunità come obiettore di coscienza Alberto Dazzi (Shalom 1, 1987 p 9) ........................... p. 5 Essere obiettore a Betania Cesare (Shalom 2, 1988 pp 5-6)................................ p. 7 Gandhi l’intelligenza della non-violenza Luca Borgarani (Shalom 2, 1988 pp 23-26) .............. p. 9 Il primo caso di obiezione di coscienza (Shalom 2, 1988 pp 27-30) ........................................ p. 14 E noi abbiamo scelto la pace Luca e Stefano (Shalom 3, 1988 p10) ....................... p. 18 Capodanno, un giorno per la pace Alessio Concari (Shalom 4, 1988 p 11) ............................................... p. 20 Vocazione cristiana e servizio militare Un binomio certo non facile da coniugare Stefano Pesci (Shalom 2, 1989 pp 8-13) ................... p. 22 Gli obiettori di coscienza Caritas nel tessuto cittadino Stefano Romei (Shalom 1, 1990 pp 15-16) ............... p. 27 Un'esperienza coinvolgente Paolo Ghisotti (Shalom 3, 1991 pp 7-8) ............................................ p. 31 La pace difficile Riflessioni sui fatti di guerra

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dei nostri giorni tra pessimismo e speranza Luca Borgarani (Shalom 3, 1992, pp 13-14) ............. p. 34 Viaggio tra gli obiettori di coscienza di Betania Giuseppe Capella (Shalom 4,1992 pp 9-11) ............. p. 37 Obiezione di coscienza La legge scritta e quella del cuore Matteo Pelloni (Shalom 1, 1994 pp 13-14) ................ p. 40 Imboscati o profeti di pace? Stefano Bernardi (Shalom 1, 1995 pp 13-14) ............ p. 42 È in pista di arrivo la nuova legge sulla obiezione di coscienza Stefano Sforza (Shalom 1, 1995 pp 15-16) ..p. 44 Pena di morte e obiezione di coscienza Luigi Cantarelli (Shalom 3,1995 pp17-18) ................. p. 46 In nome dell’obiettore Cristian Sani (Shalom 3, 1996 pp 28-29) ........................................ p. 48 L’obiezione di coscienza Aspettando la nuova legge... Gabriella Giani Rotelli (Shalom 1, 1998 pp 13-19)..... p. 50 La mia esperienza Mauro Palumbo Shalom 1, 1998 pp 19-21) ......................................... p. 57 Le risorse della pace Alberto Aldeghi (Shalom 2, 1999 pp 29-30) ........................................ p. 60 Obiettare, ma a che cosa? Nuove prospettive per l’obiezione di coscienza Francesco Carletti (Shalom 4, 1999 pp 32-34).......... p. 62

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DOSSIER IL SERVIZIO CIVILE DEL 2000 In difesa del servizio civile ......................................... p. 66 Servizio civile: per forza o per piacere? (Shalom 3, 2000 pp 16-25) ........................................ p. 70 Un campione e un giovane Intervista a Buffon di Gariella Giani Rotelli (Shalom 2, 2001 pp 34-35) ....................................... p. 79 Una porzione importante della mia giornata Cristiano Bussoni (Shalom 2, 2001 pp 36-38) ........... p. 82 DOSSIER SERVIZIO CIVILE La scelta dell’obiezione di coscienza Gianna Montagna (Shalom 4, 2002 pp 26-29) .......... p. 85 Non ci sono più gli obiettori di una volta… Gabriella Giani Rotelli (Shalom 4, 2002 pp 30-38)..... p. 89 C’era una volta... adesso c’è Renato Conte (Shalom 4, 2008 pp 35-37) ........................................ p. 99 Temevo di perdere un anno… mi hanno arricchito Nicola Pozza (Shalom 4, 2008 pp 38-39) .......................p.102

Finito di stampare nel mese di Dicembre 2013 da Graphital Parma

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