Viviane Alleton
La scrittura cinese
Il lettore che si avvicina alla scrittura cinese troverà di fonte a sé qualcosa di completamente diverso dal sistema di scrittura che conosce e a un rapporto tra lingua scritta q lingua parlata che non ha niente a che fare con quello delle scritture alfabetiche. Al di là del fascino esotico che dal punto di vista grafico hanno sempre esercitato sugli occidentali, infatti, gli ideogrammi (in cinese 字 ) corrispondono allo stesso zì tempo a un suono e a un concetto. In cinese la conoscenza dei caratteri va dunque di pari passo a quella delle parole, e l’occidentale prima di poter scrivere in cinese dovrà apprendere migliaia di caratteri. Accanto alla Grammatica del cinese, pubblicata trent’anni fa e recentemente ristampata e aggiornata, questo volumetto della stessa autrice esamina la scrittura cinese nella sue triplice dimensione storica, linguistica e grafica e costituisce, in un’epoca in cui il confronto con la cultura cinese è semre più imprescindibile, uno strumento complementare per uno sguardo introduttivo alla sua lingua.
Viviane Alleton La scrittura cinese Traduzione di Bettina Mottura
Viviane Alleton, La scrittura cinese Il titolo originale dell'opera è L'écriture chinoise, traduzione di Bettina Mottura © 1970, 2002, Presses Universitaires de France, Paris © 2006, Casa Editrice Astrolabio — Ubaldini Editore, Roma © 2021, Mondadori Libri S.p.A., Milano ISBN 978 – 88 – 046060777 – 9
Progetto grafico di Elisabetta Vignali Scuola del Design della Comunicazione, Politecnico di Milano, a. a. 2020/2021 I caratteri tipografici utilizzati per la composizione sono: Commercial Type, Lyon Text per il testo corrente; Adobe Originals, Source Han Serif per i caratteri cinesi. Gli interni di questa edizione sono stampati su carta Modigliani Candido 95 g/m 2 e Modigliani Bianco 95 g/m 2, delle cartiere di Cordenons, Italia. La copertina è stampata su cartoncino Modigliani Candido da 320 g/m 2, delle cartiere di Cordenons, Italia. Il poster impiegato come fascetta è stampato su carta Sixties 60 g/m 2, della cartiera Reflex, Germania. Questo volume è stato stampato in cinque esemplari presso Editoria Grafica Colombo, Valmadrera. Finito di stampare nel mese di gennaio 2021.
Indice
Introduzione La scrittura cinese vista dagli autori europei
I — Scrittura e parola II — Scrittura e disegno III — Il carattere IV — Apprendimento della lingua cinese
1 Scrittura e lingua
I — Un carattere corrisponde a una ‘sillaba’ e a un’unità semantica minima: è un segno minimo II — Il carattere non è una ‘parola’, come non lo è la sillaba
2 I caratteri
I — Costruzione dei caratteri II — Caratteri semplici e caratteri complessi
3 Difformità tra lingua parlata e scrittura
I II III IV
— — — —
Caratteri Frasi Impaginazione Rilevanza di questi fatti per la teoria della scrittura
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4 Evoluzione degli stili di scrittura
5 Arte e tecniche della scrittura
6 Differenze tra le lingue trascritte e la scrittura cinese
I — Le origini mitiche II — Prime tracce: ossa e carapaci III — La scrittura sotto la dinastia Zhou e i regni combattenti (1027 - 256 a.C.) IV — La scrittura sotto la dinastia Qin V — Uso attuale dei diversi stili VI — La riforma effettuata nella Repubblica popolare cinese
I — La tecnica della scrittura con il pennello II — Calligrafia III — Riproduzione della scrittura IV — Uso di tecniche diverse V — La scrittura su computer
I — Dialetti cinesi II — Lingue non cinesi III — Scritture derivate
7 I — Trascrizioni II — alfabetiche III — del cinese IV —
Prima dell’Era moderna Trascrizioni destinate agli europei Trascrizioni cinesi Situazione del 拼音 in relazione alla scrittura in caratteri
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Nota sulla trascrizione dei caratteri cinesi
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Bibliografia
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Introduzione La scrittura cinese vista dagli autori europei
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L'idea che un europeo può farsi a priori della scrittura cinese è frutto di circostanze storiche che è opportuno ricordare. L'attenzione dei primi viaggiatori occidentali in Estremo Oriente non sembra essersi soffermata su questa scrittura. Nel XIII secolo l'impero mongolo assicurava comunicazioni relativamente sicure dall'Europa al Pacifico e sono giunti fino a noi racconti di viaggiatori come Guglielmo di Rubruck, inviato da Luigi IX alla corte mongola: la sua testimonianza dedica alla scrittura cinese solo tre righe. Marco Polo, invece, non ne dice nulla. Pretendere di stabilire una data precisa per l’arrivo in Europa dei primi testi in caratteri cinesi sarebbe pura speculazione: basti pensare alle confezioni che avvolgevano la seta cinese che Roma importava e che certo riportavano qualche scritta. Gli archivi nazionali francesi conservano due lettere, marcate da grandi sigilli rossi in caratteri cinesi, spedite da un principe mongolo a Filippo il Bello. Tuttavia sembra che veri e propri libri cinesi siano arrivati nelle nostre biblioteche solo nel XVI secolo. Ad esempio, sappiamo che papa Leone X (1513-1521) ricevette in regalo un libro in cinese dal re di Portogallo. In quel periodo gli europei cominciano a interessarsi delle scritture esotiche. Nel 1591 a Lisbona padre Giuseppe d’Acosta pubblica un’opera che sarà tradotta in francese con il titolo: Histoire naturelle et morale des Indes, tant orientales qu’occidentales, che contiene descrizioni delle scritture messicane come dei caratteri cinesi. In seguito la natura della scrittura cinese ha dato luogo a molteplici controversie; l'oggetto del contendere erano in particolare i rapporti di questa scrittura con la parola da una arte e con il disegno dall'altra. Senza addentrarci nei particolari delle teorie e delle
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polemiche, cercheremo di illustrare i principali punti di vista e i termini utilizzati per descrivere la scrittura cinese. I — Scrittura e parola La condivisione dell'uso dei caratteri in tutte le province della Cina, il cui parlato non è omogeneo, e il fatto che numerosi altri popoli dell’Asia impiegassero di norma la scrittura cinese, nonostante comunicassero in lingue del tutto diverse, come il coreano, il giapponese e il vietnamita, non mancarono di colpire l'immaginazione degli eruditi nell’epoca in cui in Occidente il latino perdeva il suo valore di lingua comune. Si poteva erroneamente immaginare che i caratteri cinesi, impiegati in diverse lingue tra le quali non è possibile una comunicazione orale diretta, consentissero ai parlanti di ognuna di queste lingue un accesso immediato a testi scritti in un’altra lingua. Questa scrittura avrebbe quindi avuto la funzione di uno strumento di comunicazione universale, il che non è esatto. Tuttavia, uomini come Leibniz, che cercavano di inventare una ‘lingua universale’, un codice astratto, concepito razionalmente e indipendente da tutte le lingue in uso, credettero di vedere nella scrittura cinese una prova dell’esattezza dei fondamenti della loro ipotesi, secondo cui una scrittura può essere impiegata anche senza riferimenti all’espressione orale. Secondo questi filosofi del XVII secolo, i caratteri cinesi “non esprimono lettere né parole, ma cose e nozioni”. Presentarono addirittura la scrittura cinese come un codice creato in maniera artificiale da una società molto evoluta per scopi puramente intellettuali. Oggi si direbbe che interpretavano il sistema grafico cinese come una logica formale. Al tempo
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gli europei conoscevano la scrittura cinese soltanto attraverso le lettere dei missionari gesuiti ‘alla Cina’, come si diceva allora per dire ‘in Cina’. I missionari studiavano soprattutto i testi classici, riportando quindi una immagine della lingua fondata su quel linguaggio conciso, estraneo al cinese dell’epoca. Tuttavia, il riferimento allo stile classico non spiega come si sia venuta accreditando in Europa l’idea di una scrittura senza alcun legame con la lingua parlata: il cinese era considerato lingua viva, oggetto di studio sia nella forma orale sia in quella scritta. In base alla convinzione che i caratteri cinesi non avessero alcun rapporto fonetico con alcuna lingua parlata e rappresentassero direttamente delle idee, essi furono chiamati ideogrammi. Attualmente,① le teorie che tendono a considerare scritture antiche o esotiche come sistemi di segni indipendenti da qualsiasi lingua parlata non hanno più seguito. Nel 1836 Peter S. Du Ponceau, settimo successore di Benjamin Franklin alla presidenza della Società americana di filosofia, scrive a Filadelfia A Dissertation on the Nature and Character of the Chinese System of Writing. L’analisi contesta vivamente il concetto di ideogramma, dimostrando che la scrittura in caratteri rappresenta la lingua cinese e non un sistema di idee. Sottolinea inoltre che una eventuale comunicazione tra popoli diversi per mezzo della scrittura cinese presuppone un minimo di apprendimento, giacché il significato dei caratteri non è evidente: non è sufficiente guardarli per capire. II — Scrittura e disegno Nel XVII secolo, l’astrazione delle forme grafiche era considerata una delle peculiarità della scrittura cinese. Soltanto alcuni gesuiti dissidenti, i ‘figuristi’, in① All’inizio del XIX secolo, Champollion dimostrò che i testi geroglifici dell’antico Egitto sono legati a una lingua reale. Si veda David, M.-V., Le débat sur les écritures et l’hiéroglyphe aux XVII et XVIII siècles, Parigi, 1965 (Biblioteca generale della Ecole pratique des hautes études, VI sezione).
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dividuavano nei caratteri delle figure, delle immagini simboliche legate in maniera oscura alla Rivelazione cristiana. Tuttavia, sotto l'influenza degli eruditi, si diffuse progressivamente l’idea che i caratteri cinesi rappresentassero gli oggetti che designavano, o per lo meno li avessero rappresentati in origine. A partire dalla fine del XVII secolo si formulò l’ipotesi di un'origine pittografica della scrittura cinese e questo punto di vista prevalse nell’articolo “Scrittura” dell’Éncyclopédie. Tuttavia, considerata la scarsità di documenti epigrafici antichi, questa posizione era all’epoca suffragata soltanto dalla tradizione erudita cinese. Alla fine del XIX secolo, la scoperta archeologica di una quantità considerevole di iscrizioni arcaiche su ossa e carapaci di tartaruga permise l’accesso a forme grafiche delle quali, in precedenza, non erano state rinvenute testimonianze. A partire da quei resti, alcuni studiosi cinesi sono riusciti a stabilire delle serie continue nell'evoluzione dei caratteri da queste forme molto antiche fino ai tracciati contemporanei. Queste iscrizioni non chiariscono tuttavia direttamente le origini della scrittura cinese. Numerosi caratteri rinvenuti rappresentavano schematicamente l'oggetto designato dalla parola corrispondente, e ciò rafforzò in alcuni la convinzione che la scrittura cinese fosse pittografica. Ma se da una parte è normale che, agli inizi, una scrittura ricerchi le proprie forme nel repertorio delle immagini familiari alla civiltà in questione, tuttavia questi testi arcaici cinesi non sono affatto un susseguirsi di immagini, ma veri e propri testi. Una tale relazione, reale o supposta, con le immagini può senza dubbio essere sfruttata per facilitare la memorizzazione dei caratteri, ma di fatto non ha alcuna utilità per la lettura del cinese.
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III — Il carattere La scrittura cinese è composta dal succedersi di elementi separati gli uni dagli altri da spazi uguali. Fino alla metà del XX secolo questi elementi venivano ordinati in colonne verticali tracciate dall’alto in basso, iniziando dal lato destro della pagina. Attualmente la disposizione in righe orizzontali scritte da sinistra a destra è prevalente nella Repubblica Popolare Cinese e diffusa nel resto del mondo cinese a fianco di usi più antichi. Tali elementi sono designati in cinese dalla parola zi, che traduciamo come ‘carattere’; un termine usato in passato in alternativa a ‘lettera’ o ‘parola’. Matteo Ricci, uno dei primi missionari che imparò il cinese verso il 1585, utilizzava indistintamente i termini ‘carattere’ e ‘lettera’: “Quanto ai caratteri, è una cosa alla quale non si può credere se non la si è vista e sperimentata come ho fatto io. Esistono tante ‘lettere’ quante sono le parole o le cose esistenti, di modo tale che superano le sessantamila…”. Nel corso del XIX secolo, invece, il termine ‘parola’ è stato utilizzato con regolarità dalla corrente dei sinizzanti, che reputava il cinese ‘lingua isolante’, composto esclusivamente da parole monosillabiche. Ai giorni nostri, il termine impiegato più comunemente per designare i caratteri cinesi è ‘ideogramma’. Ora, tale denominazione non può che generare confusioni: sembra significare che le grafie cinesi evochino direttamente delle idee. In realtà, nessuna scrittura conosciuta di una lingua naturale ammette fatti linguistici di questo tipo. Come si è visto, questa ipotesi infondata sulla lingua cinese si era radicata nel XVI secolo, quando ci si accorse che genti parlanti lingue diverse potevano comunicare attraverso questa scrittura. In realtà, in
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Cina, sebbene localmente si parlino diverse varietà di cinese, l'insegnamento della letteratura si fonda ovunque su registri comuni, come l’uso scritto dei funzionari, chiamato ‘mandarino’. Invece, all’esterno della Cina, le uniche lingue che abbiano adottato i caratteri cinesi sono quelle largamente influenzate dal cinese anche in termini di vocabolario (si veda il sesto capitolo). Nonostante sia difficile smettere di utilizzare una parola entrata nell'uso comune, sarebbe preferibile evitare, per quanto possibile, l’uso del termine ‘ideogramma’ per indicare il caratteri cinesi. Diversi linguisti, in funzione delle loro rispettive analisi della lingua, hanno proposto soluzioni alternative. Bloomfield, ritenendo che il segmento parlato al quale corrisponde il carattere sia una parola, sceglieva word-writing oppure logographic-writing.② Benveniste preferiva scrittura morfematica.③ Un termine corrispondente a quello di scrittura monosillabica, talvolta impiegato in riferimento alla lingua cinese. A fianco di carattere cinese, soluzione che intendiamo adottare poiché ci sembra la più ragionevole, si trova poi in alcune opere recenti sinogramma, termine aulico per indicare lo stesso concetto. IV — L'apprendimento della lingua cinese I primi europei che si recarono in Cina furono unanimi nello stupore di fronte all’estrema difficoltà della scrittura. A confronto delle ventuno lettere dell’alfabeto necessarie per trascrivere l’italiano, le migliaia di caratteri che si devono imparare per scrivere il cinese sembravano un ostacolo quasi insormontabile. Per di più si tendeva a confondere la totalità delle parole della lingua riportate nei dizionari con l’effettivo vocabolario in uso, generando ulteriori preoccupa②
Bloomfield, L., Language, Henri Holt, New York 1933, p. 285. [Trad. it. Il linguaggio, Il Saggiatore, Milano 1974]. ③ Un morfema può essere definito come il più piccolo segmento di enunciato dotato di significato.
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zioni visto che questo implicava cifre considerevoli di parole: cinquantamila, centomila. Inoltre, si dimenticava di chiarire che la memorizzazione dei caratteri cinesi non avviene unità per unità, ma che il sistema si basa su un articolato meccanismo combinatorio: a partire da una certa soglia si incontrano quasi solo elementi ricorrenti. Soprattutto, non si considerava il fatto che la conoscenza dei caratteri è indissolubilmente legata a quella delle parole che questi trascrivono: in cinese, apprendimento della scrittura e arricchimento del vocabolario vanno di pari passo. Questi argomenti non bastano forse ad allontanare l’impressione di una scrittura straordinariamente difficile, a meno di ricordare che ai nostri giorni centinaia di milioni di persone la usano quotidianamente. A parte alcuni filologi che consacrano la vita allo studio delle forme antiche, la maggior parte dei cinesi frequenta la scuola per un numero di anni equivalente a quelli richiesti ai giovani europei e non incontra particolari difficoltà a leggere o scrivere. La proporzione di coloro che sono in difficoltà è la stessa e se, per i principianti, gli eventuali fattori di blocco sono diversi nel cinese e nelle scritture alfabetiche, in seguito eventuali ostacoli non sono generalmente connessi al sistema grafico.
1 Scrittura e lingua 羊肉
能不走
誓 释
安
东西 西医
呢 事 东
拭
羊 马 市西
试
識 势
是
安
东西
氏
世 逝 士 事 嗜 视大家 侍 恃 大 市 家核 试 適 大方 大 我 好 来 室 方 书 河 代 的 文言 介 词 有 现 东
西 东亚
朣 月
肉 他叫我走我怎
怕
车
天
文言
火车的车 车 火车 胧 朔 望 车 火 介词 有 服 现代 许多 朋 变来 语 现代 某些 性质 动词 安
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I caratteri sono forme grafiche indipendenti, materialmente isolate le une dalle altre da uno spazio,① e invariabili nella misura in cui il loro tracciato non varia quali che siano le forme circostanti. Ed è proprio in relazione a questo oggetto specifico, il ‘carattere’, che dobbiamo interrogarci sui rapporti tra la scrittura cinese e l’espressione orale. I — Un carattere corrisponde a una ‘sillaba’ e a un’unità semantica minima: è un segno minimo 1. Carattere e sillaba — In cinese, sul piano fonologico, l’unità minima è la sillaba. In una determinata epoca, la struttura della sillaba è definita: per ogni varietà di cinese è possibile fare un inventario esaustivo delle sillabe. Perciò il cinese appartiene alle lingue chiamate sillabiche. È senza dubbio possibile suddividere le parole cinesi, come quelle di ogni altra lingua, in fonemi, ma nel descrivere questa lingua la struttura della sillaba resta un elemento essenziale. I vari sistemi di trascrizione alfabetica del cinese, elaborati a uso degli stranieri e in seguito dai cinesi stessi, illustrano chiaramente questo fatto. Ovviamente, questi implicano un’analisi basata sul concetto di fonema, unità rappresentata in teoria da una lettera; tuttavia non esiste paese al mondo in cui si insegni un sistema di trascrizione alfabetica del cinese accontentandosi di fornire una lista di lettere (a, b, c...), o un elenco di consonanti (b, c, d...) e di vocali (a, e...): generalmente le lettere vengono suddivise in liste in base alla loro posizione nella sillaba. A differenza di una lingua come l’italiano, dove i fonemi si combinano abbastanza liberamente tra loro, in cinese questi elementi sono ordinati secondo una sequenza rigida all’interno della sillaba, che — per di ①
In alcuni stili di calligrafia si tende a una continuità nel tracciato dei caratteri e a una ridistribuzione dello spazio all’interno e intorno ai caratteri, che perdono in parte la propria specificità. Ma questi stili esistono solo in riferimento allo stile regolare (si veda il quarto capitolo, § IV.3).
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tiān pà
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più — è dotata di un tono. A torto o a ragione, si potrebbe pretendere di aver essenzialmente descritto la fonologia dell’italiano una volta fornita la lista dei suoi fonemi e qualche regola di incompatibilità formulata in termini di consonanti e vocali. Per il cinese associare ai fonemi elencati lo strumento analitico della sillaba è indispensabile, giacché a ogni posizione all’interno di una sillaba corrisponde uno e un solo specifico inventario di fonemi, quindi le regole per la distribuzione dei fonemi sono rigide. Nella varietà del cinese parlata a Pechino, possiamo dire che ci sono: 1. una iniziale che non ammette suddivisioni, che può essere /b/, /p/, /m/, /f/, eccetera (ventuno possibilità), o non essere rappresentata; 2. una finale costituita da tre elementi: a) una prevocale, che può essere /i/, /u/, /ü/, o non essere rappresentata; b) una vocale che può essere /a/ o /e/; c) una postvocale, che può essere /i/, /u/, /n/, /ng/ o non essere rappresentata; 3. un tono. Nel pechinese esistono quattro toni melodici distintivi e un tono neutro. Ad esempio, 天 ‘il cielo’, si scompone in una iniziale /t/, una finale /i/-/a/-/n/ e un tono ‘piatto’ o primo tono; 怕 ‘temere’, si scompone in una iniziale /p/, una finale costituita dalla sola vocale /a/ e un tono ‘discendente’, o quarto tono. La coesione di questo sistema sillabico è attestata in tutti i dialetti contemporanei (naturalmente con alcune differenze nell’inventario e nella realizzazione) e, per quanto è possibile ricostruire, in tutte le epoche fin dall’inizio dell’Impero cinese. Nei periodi antichi lo schema appare più complesso.② La suddivisione in sillabe non corrisponde ovviamente alla segmentazione del discorso generata dalle pause: queste si collocano sempre tra due sillabe, ma non necessariamente dopo ogni sillaba. Quando ② La tradizione degli studi fonologici risale in Cina al Qiè Yùn (Dizionario delle Rime), compilato nel 601. Le prime ricostruzioni del cinese antico e del cinese arcaico sono state a opera di B. Karlgren (dal 1923).
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si trascrive una qualsiasi frase, ogni sillaba sarà rappresentata da un carattere. Esempio: 他叫我走我怎 ③ 能不走呢 : “mi dice di andarmene, come posso non farlo?”. Questa frase di dieci sillabe si scrive con dieci caratteri. 2. Carattere e unità di significato — Se si sente una sillaba fuori da ogni contesto, non è possibile scegliere il carattere con cui trascriverla. Di fatto, il carattere corrisponde contemporaneamente a un segmento sonoro, la sillaba, e a un’unità di significato. Ad esempio la sillaba 核, quando significa ‘nocciolo’ si scrive in un certo modo, quando indica ‘corso d’acqua’, si scrive 河, in tutt’altro modo. Ciò mostra che tra la scrittura cinese e le scritture alfabetiche vi è ben altro che una semplice differenza di grado, come quella che distingue le scritture alfabetiche, dove le lettere trascrivono più o meno bene dei fonemi dalle scritture sillabiche (Antico Oriente, Cipro), in cui i caratteri rappresentano delle sillabe, essendo ogni sillaba sempre scritta con la stessa forma. Entrambe le scritture, alfabetiche e sillabiche, suddividono l’aspetto fonico in segmenti che differiscono solo per la loro lunghezza: così come non esistono, in linea di principio, più lettere che fonemi, non sarebbe esistito in cipriota antico un numero di grafie superiore a quello delle sillabe. In questi sistemi è possibile, per lo meno in teoria, scrivere sotto dettatura un testo di cui non si comprende il significato. In cinese, il segno grafico rappresenta il segno linguistico nella sua completezza, vale a dire comprende contemporaneamente sia l’aspetto fonico sia quello semantico. Sebbene nel cinese comune esistano all’incirca milleduecentocinquanta sillabe diverse, un dizio③
Si veda a fine volume la nota sulla trascrizione.
ta jiào wo zou, wo zen néng bù zou ne?
hé hé
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nario generico contiene tra i tremilacinquecento e i novemila caratteri, e alcuni grandi dizionari arrivano a contare fino a quarantacinquemila forme grafiche diverse. In sintesi si può dire che la scrittura cinese è una scrittura del segno. 3. La grafia cinese è una ‘scrittura’ — Ciò che caratterizza la scrittura rispetto a tutti gli altri sistemi di segni, è la corrispondenza uno a uno dei termini con le parole dell’espressione orale in una lingua data. Da questo punto di vista le scritture alfabetiche, nelle quali ogni lettera corrisponde (in maniera più o meno precisa) a un fonema, e il cinese, nel quale ogni carattere corrisponde a una sillaba dotata di significato, sono fondamentalmente simili. I segni grafici sono collocati su una pagina, una stele o qualsiasi altro supporto, in una successione lineare di tracce distinte, lettere o caratteri, il cui ordine corrisponde rigorosamente all’ordine, nell’enunciato orale, dei fonemi (scritture alfabetiche) o delle sillabe dotate di significato (scrittura cinese). Ciò è fondamentalmente diverso da un sistema di segnali o da un dipinto simbolico a cui è possibile attribuire un significato preciso ma che non permettono la lettura secondo una forma orale definita. Le diverse pronunce di un carattere cinese in base ai dialetti non impediscono che ci sia sempre, per uno scrittore o un lettore dato, una forma orale corrispondente al testo scritto. 4. Specificità della scrittura cinese — La differenza tra le scritture alfabetiche e la scrittura cinese è ben illustrata dal processo di apprendimento delle une e dell’altra: tralasciando le difficoltà ortografiche, un bambino italiano deve distinguere e associare ai
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suoni corrispondenti solo ventuno forme grafiche; ma non potrà leggere prima di aver assimilato questo meccanismo relativamente astratto e prima di conoscere tutte, o quasi, le lettere. Sono rari i bambini in grado di leggere prima dei quattro anni; mentre a partire dal momento in cui il bambino ha acquisito questa tecnica, sarà capace di pronunciare tutte le parole scritte in italiano che incontrerà. Avrà così ‘accesso’ a tutto il vocabolario della sua lingua parlata in un sol colpo e, in seguito, sarà poco rilevante che apprenda parole nuove nel corso di conversazioni o per mezzo del testo scritto. Questo nostro ragionamento non tiene in considerazione le tecniche di apprendimento chiamate ‘lettura globale’, perché queste hanno giustappunto l’obiettivo di evitare al bambino lo sforzo di astrazione legato al sistema alfabetico. In Cina, non appena un bambino è in grado di parlare può riconoscere un carattere, metterlo in relazione con una forma orale, sapere cosa significa. In condizioni favorevoli, un piccolo cinese può veramente leggere alcuni caratteri fin dall’età di due anni. Ma non gli servirebbe a molto saper leggere un carattere per ogni sillaba che sa pronunciare, giacché una stessa sillaba può riferirsi a significati diversi e per ciascuno di questi verrà scritta in maniera diversa! Il bambino dovrà imparare più di mille caratteri per leggere testi semplici e, in seguito, anche conoscendone più di diecimila, se incontrerà un carattere sconosciuto ④ non sarà in grado di dedurne dall’aspetto né la pronuncia, né il significato. Potrà al massimo, per analogia con caratteri noti, fare alcune ipotesi su una lettura plausibile e sul tipo di cose a cui si riferisce. Se si tratta di una parola che appartiene al suo parlato, potrà riconoscerla esaminando il contesto. ④
Evento che i letterati cinesi descrivono con una immagine: “incontrare la tigre sul sentiero”.
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1
Le grafie di shí
chē
huŏchē de chē / chē / huŏchē huŏ / chē
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5. Eterogeneità dell’espressione orale e dell’espressione scritta — La sillaba, semplice significante, e il carattere, segno completo, non si collocano sullo stesso piano. Ciò implica alcune conseguenze per quanto riguarda il rapporto tra l’espressione scritta e quella orale. Ad esempio, la sillaba shì al quarto tono può essere la forma orale di almeno diciannove segni diversi: 拭 ‘asciugare’, 識 ‘sapere’, 氏 (suffisso di nome proprio), 是 ‘essere’, 势 ‘potenza’, 世 ‘mondo’, 誓 ‘giuramento’, 逝 ‘lasciare’, 士 ‘letterato’, 事 ‘affare’, 嗜 ‘amar fare’, 视 ‘vedere’, 侍 ‘vegliare su’, 恃 ‘contare su’, 市 ‘mercato’, 试 ‘provare’, 適 ‘andare a’, 释 ‘spiegare’, 室 ‘casa’. 1 Nella pratica di questa lingua è possibile comunicare un messaggio per mezzo di un unico carattere, mentre una sillaba isolata è raramente comprensibile. Perciò i cinesi che sanno scrivere sono sempre pronti, quando quello che dicono non è chiaro, a tracciarsi sul palmo della mano i caratteri corrispondenti. Riproducono il tracciato con un movimento rapido ed è necessaria una grande dimestichezza per vedere i caratteri in questione. A distanza o al telefono, invece, si compiterà ogni sillaba grazie all’espressione: “è la x di xy”. Se chi parla usa la sillaba 车 ‘veicolo’, e chi ascolta esprime la propria esitazione nella scelta tra diversi omonimi chiedendo: “quale chē?”, la prima persona risponderà: 火车的车 , “il 车 di 火车” ‘treno’ (parola composta da 火 ‘fuoco’ e 车 ‘veicolo’). Un caso del genere, che coinvolge una sola sillaba, è raro nell’uso comune. Quando si parla, l’accento (che nel cinese orale ha un ruolo grammaticale importante), le indicazioni fornite dalla situazione e l’intonazione contribuiscono alla comprensione del messaggio, e di solito permettono di dissipare le ambiguità, nonostante l’esistenza di un gran numero di omonimi.
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Inoltre, dei diciannove segni citati in precedenza, soltanto quattro sono suscettibili d’essere impiegati nella lingua parlata come unità sintattiche libere: 是 ‘essere’, 事 ‘affare’, 市 ‘mercato’ e 试 ‘provare’; tutti gli altri vengono usati solamente nei composti. Torneremo su questo punto a proposito del ‘monosillabismo’ del cinese. Diciamo subito che in cinese, come in altre lingue, gli omonimi sono una ricca miniera per i racconti comici; ma nel parlato comune si incontrano raramente ambiguità rilevanti. Il fatto che nella lingua scritta il problema degli omonimi non si ponga, proprio perché sono rappresentati da caratteri diversi, può senza dubbio giustificare la straordinaria concisione dello stile detto ‘classico’ o 文言. Oggi, tuttavia, non è possibile valutare il grado di comprensibilità dei testi antichi. Il cinese antico comprendeva senza dubbio un numero molto maggiore di sillabe diverse rispetto al cinese moderno: gli omonimi erano quindi molto meno frequenti. Nonostante differenze stilistiche consistenti con la lingua orale, la lingua scritta contemporanea non sfrutta appieno la possibilità (apparentemente offerta dal sistema grafico) di annotare soltanto i morfemi essenziali: nessuno stile dell’espressione scritta (letteraria, politica, scientifica) risulta particolarmente conciso. 6. Segno minimo: l'arbitrarietà delle grafie — Dire che una unità è un segno minimo equivale a dire che non è possibile suddividerla in segmenti più piccoli. Certo, ogni carattere può essere scomposto in un certo numero di tratti e si possono distinguere, nella maggior parte dei caratteri, elementi grafici ricorrenti in tutta una serie di altri caratteri. Ad esempio, la raffigurazione schematica di un cavallo,
shí shí / shí / shí
wényán
28 mă
yuè / tóng / lóng shuò / wàng yŏu / fú péng
ān
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così come appare nel carattere 马 ‘cavallo’, si ritrova in almeno ⑤ altri sessantanove caratteri più complessi. D’altra parte, il significato di un carattere non è necessariamente una nozione tanto semplice da non poter essere scomposta in tratti semantici più piccoli. Quando parliamo di ‘segno minimo’ a proposito di un carattere, non si tratta dunque né del significante (la grafia), né del significato (il senso), ma del rapporto dell’uno con l’altro e della relazione dell’insieme composto da entrambi con una sillaba specifica. Il significato di un carattere è indipendente dagli elementi grafici che lo compongono: non può essere dedotto dalla sua forma materiale. È vero che esistono alcuni elementi comuni che si ritrovano ognuno in un certo numero di caratteri e che tradizionalmente a una parte di questi elementi si attribuisce un valore semantico e il nome di ‘chiavi’ o ‘radicali’. Torneremo sull’origine e la funzione delle chiavi nel secondo capitolo, dedicato alla struttura grafica dei caratteri. Diciamo subito, però, che si tratta di strumenti per la classificazione, che facilitano la ricerca dei caratteri nei dizionari. I caratteri che hanno la stessa ‘chiave’ hanno talvolta significati in qualche modo connessi, ma molto alla lontana, e spesso invece non sono direttamente riconducibili ad alcun ambito comune. Ad esempio, tra i caratteri che contengono la chiave 月 ‘luna’, possiamo citare 朣 ‘luna appena sorta’, 胧 ‘luna che sorge’, 朔 ‘luna nuova’, 望 ‘luna piena’, eccetera, ma anche forme come 有 ‘c’è, avere’, 服 ‘vestito’ o 朋 ‘amico’. Da sempre la spiegazione dei caratteri sotto forma di rebus etimologico è entusiasmante per gli studenti. Numerosi manuali riproducono l’esempio di 安 ‘pace, serenità’, i cui elementi grafici significano ‘un tetto’ per quanto riguarda la parte superiore ⑤
Prendiamo in considerazione solamente i caratteri citati dal piccolo dizionario d’uso Xīnhuá zìdiăn, Pechino, edizione riveduta 1998.
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e ‘una donna’ per quella inferiore, il che permette di concludere: “una donna sotto un tetto indica la serenità”. Questo sistema è efficace per la mnemotecnica, ma non è un’analisi linguistica. Il segno 安 è totalmente arbitrario: se la lingua cinese non attribuisse a tale combinazione di tratti il significato di ‘pace, serenità’, si potrebbe interpretare in altri dieci modi la combinazione dei tratti ‘una donna’ e ‘un tetto”: tra le numerose ipotesi verosimili che si potrebbero formulare troviamo ‘sedentario’, ‘monogamia’, ‘schiavitù delle donne’, ‘vedovanza’. Per capire il senso di un carattere non è sufficiente guardarlo, è necessario sapere a priori quale sia il suo significato; sapere ad esempio che la grafia ‘donna sotto un tetto’ si legge 安 e significa ‘pace, serenità’. Inoltre, per quanto riguarda la lingua attuale, il rapporto della grafia con il suono è altrettanto arbitrario. Ciò non toglie che un cinese, quando incontra un carattere che non conosce, cerchi di indovinare, di immaginare di che parola si tratti, e spesso ci riesca. II — Il carattere non è una ‘parola’, come non lo è la sillaba Spesso si dice: “il cinese è una lingua monosillabica”. Questa espressione è ambigua: ogni sillaba cinese è senza dubbio dotata di significato; ma ‘monosillabismo’, in base all’accezione attribuita a questo termine nel XIX secolo e diffusa ancora oggi in molti articoli divulgativi, significa che ogni parola cinese è composta da una sola sillaba, il che non risponde a verità. Non esistono definizioni rigorose del termine ‘parola’, a pane i criterio formale fornito dalle scritture alfabetiche: “ciò che è delimitato da due spazi vuoti”. Questa lacuna è irrilevante nelle nostre lingue, poiché si riconosce alla parola un valore di istituzione. I
ān
ān
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wŏ / lái / hăo shū
wényán
La scrittura cinese
primi europei che hanno imparato il cinese vi hanno naturalmente cercato un equivalente del concetto di ‘parola’; nella grafia cinese “ciò che è delimitato da due spazi vuoti” è il carattere. Inoltre, identificare il carattere con la parola sembrava tanto più plausibile ai sinologi in quanto il carattere effettivamente ha, nella lingua cinese, lo stesso valore d’istituzione che ha la parola nelle lingue europee. D’altra parte, poiché ogni carattere corrispondeva a una sillaba, si è giunti per deduzione a ritenere monosillabiche le parole cinesi. Di fatto, le parole monosillabiche che si scrivono con un solo carattere, come 我 ‘io’, 来 ‘venire’, 好 ‘buono’, 书 ‘libro’, eccetera, costituiscono una minima parte del lessico, sono parole d’uso frequente.⑥ La proporzione relativa di parole di uno o due caratteri varia considerevolmente a seconda dello stile dei testi. Nelle opere teatrali, così come nel discorso familiare, le parole monosillabiche possono superare il 50 per cento del totale complessivo. Nei testi descrittivi contemporanei, che siano letterari o scientifici, la maggior parte delle parole è disillabica. Al contrario, lo stile letterario antico o classico (文言 ), che era di estrema concisione, è un caso limite: nei testi redatti in quello stile, nella maggior parte dei casi ogni carattere corrisponde a una parola. I sinizzanti del secolo scorso sono probabilmente giunti alla conclusione che tutti i caratteri fossero parole a causa di una generalizzazione affrettata fondata su questo stile elaborato. Tale stile ‘nobile’ non è più in uso in Cina se non nel caso di espressioni codificate, slogan o citazioni. Talvolta, il significato delle parole composte da due caratteri risulta da quello dei caratteri considerati separatamente e dalla loro relazione. Ad esempio ⑥
Cfr. ad esempio Lu Zhiwei, Bĕijīnghuà dānyīncí cíhuì (Dizionario delle parole monosillabiche del pechinese), Pechino 1955.
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羊肉, scritto con i caratteri 羊 ‘montone’ e 肉 ‘carne’, significa ‘carne di montone’. Ma questo meccanismo non si applica regolarmente: ad esempio, con i due caratteri 东 ‘Est’ e 西 ‘Ovest’ si scrive la parola 东西 ‘cosa’. La maggior parte delle parole cinesi composte da due sillabe si può collocare in un punto intermedio tra i due estremi citati: sono scritte con caratteri il cui significato ha qualche relazione con quello della parola composta, senza tuttavia che l’analisi dei singoli caratteri dia conto in maniera esaustiva e univoca del significato. Ad esempio, 大家 ‘tutti’ si scrive con i caratteri 大 ‘grande’ e 家 ‘casa, famiglia’; 大方 ‘generoso’ si scrive con i caratteri 大 ‘grande’ e 方 ‘quadrato’. In generale, un determinato carattere può sia costituire una parola monosillabica, sia far parte di parole disillabiche. Se un carattere perde il suo valore semantico in alcuni composti, ciò non impedisce che continui a venire utilizzato con il suo senso pieno altrove. Ad esempio, 东 ‘Est’ e 西 ‘Ovest’, già citati in 东西 ‘cosa’, si trovano anche in 东亚 ‘Asia orientale’ e 西医 ‘medico che pratica la medicina occidentale’. Se si guarda ai caratteri (unità elementare invariabile) come all’equivalente cinese della parola nelle lingue europee (segmento di complessità e forma variabile) si è necessariamente portati a considerare la grammatica cinese molto povera, poiché può giocare soltanto sulla posizione di elementi compatti e non gerarchizzati. Per molto tempo, i migliori sinologi sostennero questa tesi, contribuendo a rafforzare l’immagine approssimativa del cinese ancora oggi condivisa da molte persone. Tutto ciò è falso sia nel caso della forma scritta sia in quello della forma orale. Le sillabe non costituiscono tutte elementi sintattici autonomi e di identico valore funzionale. L’analisi per ‘parti del discorso’ fa
yángròu / yáng / ròu
dōng / xī / dōngxī
dàjiā dà / jiā / dàfāng dà / fāng
dōng / xī dōngxī / dōngyà xīyī
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La scrittura cinese
emergere con la medesima frequenza gruppi disillabici e monosillabici. Ciò risulta evidente dall’analisi di una frase cinese. Ad esempio si veda la frase che segue, tratta da un testo di grammatica scritto in cinese moderno e composta da trentasette caratteri:
xiàn / dài / de jiè / cí / yŏu
jiècí / xiàndài / xŭduō biànlái / yŭ xiàndài / mŏuxiē xìngzhì / dòngcí
Ognuno dei trentasette caratteri ha un significato; supponiamo che li si esamini a uno a uno, ne risulta: 现 ‘attuale’, 代 ‘generazione’, 的 (particella di segmentazione), 介 ‘presentare’, 词 ‘parola’, 有 ‘avere’, eccetera. Cercare di capire una frase atomizzata in questo modo è un gioco assurdo. Di fatto questa frase si organizza in insiemi e sottoinsiemi gerarchizzati, e il livello che corrisponde approssimativamente a ciò che chiamiamo ‘parola’ comprende spesso due caratteri. Se le trascrizioni dei singoli caratteri vengono raggruppate in modo da segmentare il testo in unità grammaticali minime si ottiene per la stessa frase: xiàndài de jiècí yŏu xŭduō shí cóng dòngcí biànlái de, erqiĕ jiùshì zài xiàndài yŭ li, yĕ réngjiù băocún-zhe dòngcí de mŏuxiē xìngzhì. Traduzione: per quanto riguarda le preposizioni (介词) moderne (现代), ve ne sono molte (许多) che sono derivate (变来) da verbi e anche nella lingua (语) moderna (现代) conservano alcune (某些) caratteristiche (性质) dei verbi (动词).
2 I caratteri 嗓 领 口气 岭 江 说文解字 咬 车 首和明工 山 月 武常 放 日 架 江 来 水 止 戈 草 管 病 桑 六书 木辨 阅 问 楷书 也 金 地 池 他 贤 以 人 拖 施 鸟 来 贤 一 理 二龙 衣 耳 里 休 三 木 人 聋 上 康熙 王理 主 字典 拼音 下目 日册 桑
围
土
土
已
刀
羊
福
士 也
翎 满
千 漢字
零 金
羽
囹
拼音
士
六
王
鸰 雨 羚
市
令
金 铃
鸟
I caratteri
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Nel corso della loro lunga storia, i caratteri cinesi hanno conservato sostanzialmente una struttura identica, benché le forme abbiano subito alcune variazioni. La nostra descrizione riguarda i caratteri nella loro forma contemporanea, la più comune, in uso a partire dalla dinastia Han.① In questa forma canonica detta 楷书, ‘stile regolare’, fin dall’inizio della nostra era sono stati redatti i documenti ufficiali, intagliate la maggior parte delle tavole da stampa, poi fusi i caratteri mobili. Questa omogeneità grafica dei testi tramandati per quasi duemila anni assicura loro una perfetta leggibilità. Chiunque sia in grado di leggere potrà decifrare senza fatica una stele del III secolo, e le più belle edizioni letterarie pubblicate a Pechino in questi ultimi anni sono riproduzioni di stampe xilografiche risalenti all’epoca Song.② Nel quarto capitolo tratteremo delle grafie antecedenti all’epoca Han e degli altri stili di calligrafia. I — Costruzione dei caratteri La scrittura cinese è retta da un insieme di norme imperative. Nella costruzione dei caratteri non c’è spazio per varianti individuali. Questa costruzione è fatta di tratti, catalogati in una varietà limitata di tipologie. Un carattere è composto da un numero determinato di tratti (da uno a più di trenta) che devono essere tracciati in un ordine preciso. Il singolo carattere in generale non costituisce una composizione originale di tratti, totalmente diversa da tutte le altre; se così fosse, l'apprendimento della scrittura cinese richiederebbe uno sforzo mnemonico sovrumano — il che non è affatto vero. La maggior parte dei caratteri si scompone in sottoinsiemi (altri caratteri o elementi non autonomi) che ① ②
206 a. C. - 220 d. C. 960 - 1278 d. C.
kăishū
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La scrittura cinese
chiamiamo elementi di carattere e contano qualche centinaio di unità.
1 I tratti fondamentali
1. I tratti — La forma dei tratti deriva in gran parte dall’uso del pennello, unico strumento per la scrittura manuale dagli ultimi secoli prima della nostra era fino al XX secolo. I tratti costitutivi della scrittura cinese sono essenzialmente segmenti di retta, più o meno lunghi e orientati in diversi modi. La lista delle tipologie dei tratti può variare in maniera consistente a seconda che si facciano distinzioni raffinate o si raggruppino diverse varianti sotto la stessa categoria. Ad esempio, si annoverano tradizionalmente otto tratti fondamentali; ma alcuni autori ne hanno contati fino a sessantaquattro. Una suddivisione rigorosa dovrebbe procedere per opposizioni significative: una differenza di forma tra due tratti è rilevante quando permette di distinguere due tracciati altrimenti identici. Facendo alcune distinzioni minime, si possono riconoscere: 1 — il tratto orizzontale; — il tratto verticale; — il ‘punto’ (un segmento molto corto); — l’uncino; — gli obliqui — tratto crescente (che sale, da sinistra a destra); — tratto decrescente (che scende, da destra a sinistra); — tratto decrescente breve (che scende, da destra a sinistra, breve); — tratto calcato (che scende, da sinistra a destra). Tra un tratto crescente e uno decrescente c'è solamente una differenza di direzione. Questa differen-
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za, evidente nella scrittura con il pennello a causa dell’assottigliarsi del tratto, è ben visibile anche quando si scrive con la penna: il movimento della mano che corrisponde alla sequenza dei tratti non è lo stesso nei due casi. I diversi tipi di tratti sono stati descritti dai calligrafi in relazione all’uso del pennello. Tuttavia i principi che essi hanno stabilito per quel che concerne la direzione dei tratti vengono tuttora rispettati, qualunque sta lo strumento con cui si scrive. Sono gli elementi invariabili che costituiscono la base del sistema grafico. Ad esempio, un tratto orizzontale è sempre tracciato da sinistra a destra, un tratto verticale dall’alto in basso. Alcuni caratteri sono composti da un solo tratto, altri ne hanno venticinque e più, la maggior parte ne ha meno di quindici. Il numero dei tratti di un dato carattere è facile da individuare e viene utilizzato nella maggioranza delle classificazioni: molti dizionari, liste, indici, eccetera, dispongono i caratteri in base al numero di tratti, in ordine crescente. Ad esempio, quando si vuole compilare una lista di persone senza ordine di priorità, le si dispone in base al numero di tratti del loro cognome. Tale sistema ovviamente non basta a classificare tutti i caratteri cinesi, poiché in tal modo si distingue solo un numero limitato di gruppi: ci sono altri principi che concorrono alla classificazione dei caratteri. 2. Ordine dei tratti, ordine degli elementi — L'aspetto di un carattere deriva dalla sequenza dei tratti, tracciati in un determinato ordine. Non si tratta di estetica (benché la perfezione funzionale dei caratteri contribuisca alla loro bellezza) ma di leggibilità, di chiarezza: un carattere scritto correttamente
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2 Ordine dei tratti
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è riconoscibile al primo colpo d’occhio e non si confonde con nessun altro. L’ordine nel quale devono essere tracciati i tratti è del tutto rigido, un errore nell’ordine viene considerato un ‘errore di ortografia’ e renderà inevitabilmente difettoso il carattere nella sua forma compiuta. Per ogni carattere si deve quindi imparare l'ordine dei tratti. Esistono tuttavia alcuni principi generali: 1. si comincia dalla parte sinistra del carattere e si procede verso destra; 2. si tracciano i tratti orizzontali prima di quelli verticali — salvo nel caso in cui ciò obbligherebbe a violare la norma seguente; 3. quando l'estremità di un tratto termina su un altro, sl traccia sempre Innanzitutto il primo e poi il secondo; 4. quando ] Intero carattere o una sua parte sono racchiusi in uno spazio delimitato, questo non deve essere chiuso prima che tutti i tratti al suo interno siano stati tracciati. È necessario sottolineare che per quanto riguarda i caratteri composti da più elementi si tracciano innanzitutto i tratti del primo elemento e poi si comincia a tracciare il secondo, poiché l’ordine degli elementi obbedisce alle medesime regole dell’ordine dei tratti all’interno degli elementi: si scrive l’elemento superiore prima di quello inferiore, l’elemento a sinistra prima di quello a destra, eccetera. Questi principi generali di ortografia non sono sempre sufficienti a stabilire l'ordine dei tratti di un carattere. Per ogni carattere esiste un ordine convenzionale, 2 che di base corrisponde ai principi che abbiamo enunciato, tuttavia non sempre: i principi citati non sono regole rigide ed esistono numerose eccezioni. Ad esempio, un ‘punto’ situato nella parte superiore del carattere si traccia spesso per ultimo, nonostante la sua posizione. Non si può pretendere
I caratteri
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di conoscere un carattere finché non si è in grado di scriverlo. Affinché i principianti non commettano errori, i modelli loro destinati hanno i tratti numerati. L’abitudine dei cinesi che sanno scrivere di chiarire il proprio discorso ‘mimando’ il tracciato dei caratteri con l’indice della mano destra sul palmo aperto della sinistra spesso stupisce gli stranieri: ci si chiede come possa l’interlocutore, vedendo questo rapido movimento, capire di quale carattere si tratti. Questa situazione illustra chiaramente i meccanismi fondamentali della scrittura cinese: i caratteri sono composti da tratti semplici e separati, che si susseguono in base a un ordine rigoroso. In stile ‘regolare’ non si può aggiungere o eliminare alcun tratto, per nessuna ragione. Esistono caratteri che si distinguono solo per un tratto e la minima licenza in materia creerebbe confusioni insanabili. Ad esempio, se si aggiunge un punto sul carattere 王 ‘re’, si ottiene il carattere 主 ‘principale’; l'aggiunta di un tratto a 日 ‘sole’ dà 目 ‘occhio’. Anche le proporzioni dei tratti tra di loro sono distintive: i caratteri 土 ‘terra’ e 士 ‘letterato’ si scrivono entrambi con tre tratti: uno orizzontale, che incrocia un verticale, poggiato a sua volta su un altro orizzontale: in 土 l’orizzontale superiore è più corto di quello inferiore, in 士 è il contrario. 3 Questo rigore è una delle cause della longevità e dell’ampia diffusione della scrittura cinese: i caratteri sono come la buona moneta, su di essi si può far conto. II — Caratteri semplici e caratteri complessi Tutti i caratteri, qualunque sia il loro grado di complessità, devono occupare uno spazio uguale, un quadrato immaginario. Alcuni caratteri non sono altro
wáng / zhŭ rì / mù tŭ / shí
tŭ shí
3
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lóng / ĕr lóng 4
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che una mescolanza di tratti nella quale non è riconoscibile alcun sottoinsieme dotato di individualità. Altri caratteri, detti complessi, sono composti da due o più gruppi di tratti che sono o il tracciato di caratteri semplici (possono essere utilizzati separatamente con un significato proprio) oppure combinazioni di tratti che non godono di una esistenza autonoma ma sono utilizzati solo come parti di caratteri complessi. Considerato che un carattere semplice e uno complesso occupano un identico spazio, è evidente che il carattere semplice subisce una sensibile riduzione di grandezza quando diventa ‘elemento di un carattere complesso’. Ad esempio, lóng ‘sordo’ è composto da due elementi grafici sovrapposti che, separatamente, sono i caratteri 龙 ‘drago’ e 耳 ‘orecchio’: ciascuno di questi tracciati come componente di 聋 ‘sordo’ è grande la metà rispetto a quando viene utilizzato isolatamente. 4 Si possono suddividere i caratteri in tre classi a seconda che siano: 1. forme semplici; 2. forme complesse che non contengono elementi dotati di valore fonico; 3. forme complesse che contengono un elemento dotato di valore fonico. 1. Forme semplici — Si ritiene che le forme semplici possano rappresentare un oggetto, oppure avere valore di simbolo. Le grafie attuali dei caratteri non evocano spontaneamente nulla di concreto. Al massimo vi si può leggere la traccia di un profilo o di qualche caratteristica specifica dell’oggetto. Tuttavia, per chi utilizza la scrittura e sa a che parola corrisponde un carattere, le linee tracciate hanno un potere evocativo e concreto. Nelle scuole, l'insegnamento di questi caratteri di base è accompagnato dalla descrizione delle forme arcaiche (spesso molto
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I caratteri
più legate alla realtà dell’oggetto) cui si associa una spiegazione tradizionale. Ad esempio, il carattere 车 ‘veicolo’ viene interpretato come la rappresentazione di un carro visto dall’alto. Nella forma attuale comprende un rettangolo orizzontale tagliato a metà da un tratto, che evoca il veicolo, due tratti orizzontali sopra e sotto che ricordano le ruote e un lungo tratto verticale che passa per il centro e indica l’asse.③ Alcune di queste ‘immagini’ sono essenziali, come 人 ‘uomo’, composto da due soli tratti, altre sono più elaborate, come 鸟 ‘uccello’, che si scrive con undici tratti. I caratteri ‘simbolici’ che evocano nozioni astratte sono pochi. Si può citare la serie 一 ‘uno’, composto da un tratto orizzontale, 二 ‘due’ composto da due tratti orizzontali, 三 ‘tre’, composto da tre tratti orizzontali. 上 ‘alto, salire’, composto da tre tratti: uno verticale e uno piccolo e obliquo collocati sopra un orizzontale, si contrappone a 下 ‘basso, scendere’, formato anche questo da tre tratti: un verticale e uno piccolo e obliquo al di sotto di un orizzontale. Numerosi caratteri semplici d’uso comune non solo nella grafia attuale non evocano immagini o simboli, ma derivano da forme arcaiche sconosciute o indecifrabili. Citiamo 六 ‘sei’, 王 ‘re’, 市 ‘mercato’, 已 ‘già’, 也 ‘anche’, 千 ‘mille’. Il numero dei caratteri semplici è limitato a qualche centinaio e non ne vengono creati di nuovi. D'altronde è un fatto comune che a differenza di messaggi disegnati e altre ‘pittografie’, la scrittura generi un numero finito di forme elementari. In cinese i nuovi caratteri si creano componendo delle forme complesse affiancate a queste forme semplici, al fine di non creare nuove forme, siano esse complesse o semplici. ③
Si veda a pag. 55,
7.
chē
rén niăo
yī èr sān shàn xià
liù / wáng / shí yĭ / yĕ / qiān
44
míng rì / yuè / wŭ zhĭ / gē
xiū rén / mù
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2. Forme complesse che non contengono elementi fonici — Alcuni caratteri complessi sono formati da componenti che sembrano concorrere a definirne il significato. Ad esempio 明 ‘luce’ è formato da 日 ‘sole’ e 月 ‘luna’; 武 ‘militare' è composto da 止 ‘fermare’ e da 戈 ‘alabarda’. La pronuncia delle componenti viene trascurata, mentre il loro significato contribuisce in qualche misura a definire il significato del carattere complesso, senza comunque che sia possibile dedurre quest’ultimo da un’‘analisi’ delle sue componenti. Il significato di un carattere complesso deriva dall’uso che ne fa la comunità linguistica ed evolve con la lingua; la sua composizione, per quanto motivata possa apparire, può solo suggerire un’interpretazione etimologica, non fornisce un significato preciso. Si può citare l’esempio di 休 ‘riposarsi’, in cui si combinano il tracciato di 人 ‘uomo’ e il tracciato di 木 ‘albero’. In base alla spiegazione tradizionale, ‘l’uomo all’ombra di un albero’ evoca l’idea del riposo, ma è evidente che si tratta di una convenzione: potrebbe indicare altrettanto bene sepoltura, dissodamento, religione o canicola. Si valuta che il numero dei caratteri complessi privi di elemento fonetico rappresenti meno del 5 per cento del totale effettivo dei caratteri cinesi in uso. 3. Forme complesse che contengono un elemento fonetico — Queste forme, chiamate anche ‘fonogrammi’ (Karlgren), costituiscono senza dubbio più del 90 per cento del totale dei caratteri cinesi. P. Pelliot li descrive così: (sono) “formati da un elemento utilizzato per il suo valore fonetico e da un altro elemento che indica in generale l’ordine di idee al quale la parola si riferisce”.④ Il primo elemento è l’‘in④
Pelliot, P., Notices sur les caractères étrangers modernes, Parigi 1927.
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dice fonico’, il secondo la ‘chiave’. Così 嗓 ‘gola’ è formato da 桑 ‘gelso’, utilizzato per il suo valore fonetico, con l’aggiunta della chiave 口 ‘bocca’. Il carattere utilizzato per il suo valore fonetico può essere d’altra parte un carattere complesso, a sua volta composto da un indice fonico e da una chiave; di fatto, 桑 ‘gelso’ è un carattere complesso cui appartiene la chiave 木 ‘legno’, ‘albero’. 5 Secondo Marcel Granet “i caratteri di questo tipo, detti fonetici complessi, evocano una parola facendo innanzitutto pensare (con il loro radicale)⑤ a una categoria di oggetti, poi indicando (grazie alla fonetica) l'oggetto specifico: è all’interno della categoria indicata quello (o uno di quelli) che corrisponde (all'incirca) a quella pronuncia”.⑥ L'autore cita l'esempio 理 ‘fodera’, che si scrive con l'elemento 衣 ‘vestito’ e l'elemento 里 ‘villaggio’: il primo è la ‘chiave’, il secondo l’indice fonico. In altre parole, se si conosce la parola 理 ‘fodera’, si ha la possibilità di indovinare che questo carattere le corrisponde. a) Gli indici fonici — L'indice fonico è la parte essenziale di un carattere complesso. Esistono serie di caratteri complessi che contengono un elemento simile e si pronunciano, in molti casi, approssimativamente allo stesso modo: da ora in poi chiameremo questo elemento ‘indice fonico’. Ad esempio, il tracciato del carattere 令 ‘ordine’, ‘comando’, si ritrova come elemento fonetico in una trentina di altri caratteri, tra i quali i più frequenti sono: 翎 ‘piuma’, ‘ala’ (che ha come chiave il tracciato del carattere 羽 ‘piuma’), 鸰 ‘allodola’ (chiave: 鸟 ‘uccello’), 零 ‘zero’ (chiave: 雨 ‘pioggia’), 铃 ‘campana’ (chiave: 金 ‘oro’, ‘metallo’), 羚 ‘camoscio’ (chiave: 羊 ‘montone’), 囹 ‘prigione’ (chiave: tracciato arcaico ⑤
Radicale (Granet) = chiave (Pelliot). Utilizzeremo qui il termine chiave, perché nelle lingue indoeuropee il radicale designa qualcosa di totalmente differente e questo rischia di creare confusione. ⑥ Granet, M., La pensée chinoise, Albin Michel, Parigi 1950.
săng sāng kŏu
sāng mù 5
lĭ / yī lĭ lĭ
líng
líng yŭ / líng / niăo líng / yŭ / líng jīn / líng yāng / líng
46 wéi / lĭng shŏu / lĭng shăn shŏu
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del carattere 围 ‘circondare’, ‘accerchiare’), 领 ‘condurre’, ‘guidare’ (chiave: 首 ‘testa’, ‘capo’), 岭 ‘catena di montagne’, ‘cima’ (chiave: 山 ‘montagna’; questo carattere comporta anche il tracciato di 首 ‘testa’, ‘capo’, che — in questo caso — non è né ‘indice fonico’ né chiave). Vedendo questa lista di caratteri, un lettore potrà supporre che si leggano approssimativamente nello stesso modo, ma se non conosce il valore fonetico di ling per almeno uno di questi caratteri, non sarà in grado di indovinarlo. Nel cinese moderno per una stessa sillaba possono esistere gruppi diversi. L'esistenza degli indici fonici facilita l’apprendimento dei caratteri, soprattutto di quelli che corrispondono a un vocabolario parlato già acquisito, ma non si tratta di un sistema di notazione dei fonemi o delle sillabe. Malgrado il nome loro attribuito, gli indici fonici non contengono alcuna indicazione di pronuncia dei caratteri. Implicano solamente che esisteva una certa identità di pronuncia tra i caratteri che essi costituivano o di cui facevano parte quando quei caratteri sono stati introdotti nell’uso: non danno indicazioni ‘fonetiche’ se non in riferimento a uno o più omofoni conosciuti, e oltretutto, come dimostra il fatto che molti caratteri non si pronunciano oggi come il loro indice fonico, la ‘funzionalità’ del sistema non è sempre perfetta a causa dell’evoluzione della lingua. Questa indipendenza implica che gli indici fonici non cambiano anche quando i suoni della lingua evolvono. Ne consegue che, in cinese moderno, un elemento ‘fonetico’ dato non conferisce necessariamente una pronuncia identica a tutti i caratteri in cui è inserito. Difatti, da quando i caratteri esistono, la lingua si è modificata.
I caratteri
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Per quanto ci sia dato sapere, in molti casi le serie originali erano soltanto approssimativamente omogenee. Inoltre, nel corso dei secoli, sono apparse molte differenze. Ad esempio, il tracciato del carattere 工 ‘lavoro’ costituisce l'elemento fonetico di 江 ‘fiume’. È probabile che nel cinese arcaico entrambi i caratteri si pronunciassero allo stesso modo. Un altro esempio: il tracciato del carattere 也 ‘anche’ svolge la funzione di indice fonico in caratteri che si pronunciano 地 ‘terra, suolo’; 池 ‘stagno’; 他 ‘egli’; 以 ‘adiacente’; 施 ‘distribuire, estendere’; 拖 ‘trascinare, tirare”. Molti di questi fatti possono essere spiegati alla luce di una storia fonologica complessa, della quale si ricostruisce progressivamente lo sviluppo. Ma se si considera la situazione attuale è sicuro che gli indici fonici facilitano la lettura solo in parte. Si stima che la pronuncia dei caratteri attuali sia per il 25 per cento dei caratteri identica a quella dei loro indici fonici, che un ulteriore 17 per cento subisca soltanto una variazione di tono e che il 24 per cento non riporti che l'elemento finale della sillaba, senza utilizzare il resto.⑦ Quindi la coerenza del sistema si è alterata nel corso della sua lunga vita. Su tutt'altro piano, una situazione analoga esiste per l’ortografia — ad esempio — del francese, che conserva traccia di multiple pronunce successive. Vi è uno scarto tra lo stato della lingua riflesso nella scrittura e l’uso vivo. Un'ulteriore difficoltà nello studio della scrittura cinese deriva dall’assenza di specializzazione degli elementi: un carattere semplice può servire sia come indice fonico, sia i chiave. Ad esempio, il tracciato di 刀 ‘coltello’ funge da chiave in più di ottanta caratteri e da indice fonico in una buona decina; lo si ritrova in caratteri in cui non ricopre alcuno dei due ruoli. ⑦
Cfr. DeFrancis, The Chinese Language, Facts and Fantasy, University Hawaii Press, 1984.
gōng jiāng yĕ dì / chí / tā / yĭ shī / tuō
dāo
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jiāng / yăo hé fàng / cháng / jià căo / guăn / bìng yuè / wèn / biàn
6 Posizioni rispettive dell'indice fonico (pieni) e della chiave (vuoti).
La scrittura cinese
D'altra parte, le posizioni dell'indice fonico e della chiave non sono definite. 6 È possibile trovare l’indice fonico a destra (1. 江 ‘fiume’, 咬 ‘mordere’; si tratta della situazione più frequente), a sinistra (2. 和 ‘con’, 放 ‘appoggiare’), sopra (3.常 ‘spesso’, 架 ‘aggiogare’), sotto (4.草 ‘erba’, 管 ‘tubo’), all'interno (5. 病 ‘malato’, 阅 ‘leggere’), o all’esterno (6. 问 ‘interrogare’, 辨 ‘discernere’) della chiave. Insomma, nessuna collocazione può essere esclusa. b) Le chiavi — Le combinazioni di tratti che chiamiamo chiavi “non sono assolutamente caratteri che simboleggiano nozioni fondamentali. Sarà sufficiente un esempio: uno di questi cosiddetti radicali indica i denti canini e un altro gli incisivi, ma non ne esiste alcuno che rimandi alla categoria generale dei denti. In verità, questi radicali corrispondono a categorie destinate a facilitare non una classificazione con pretesa di oggettività, ma una ricerca pratica nei lessici e, senza dubbio, un apprendimento maggiormente agevole della scrittura”.⑧ Di fatto, una delle funzioni delle chiavi è permettere la classificazione nei dizionari: tutti i caratteri devono poter essere ordinati sotto una chiave. Si tratta di un’assegnazione arbitraria, ma è interessante distinguere due diverse modalità, a seconda che si tratti di parole scritte in epoche arcaiche o di creazioni più recenti in cui sono stati applicati sistematicamente alcuni criteri di classificazione. Queste ultime costituiscono una parte rilevante del vocabolario creato nel corso dei secoli, dalla dinastia Zhou ⑨ all’epoca attuale, in cui il vocabolario risulta ancora in pieno sviluppo (terminologia scientifica e tecnica). In linea di principio, ogni carattere fu scritto con un indice fonico corrispondente alla ⑧
Granet, M., op. cit. (pp. 46-47). Granet si oppone qui a coloro che volevano vedere nella scrittura cinese un sistema logico. ⑨ Primo millennio avanti Cristo.
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pronuncia del carattere stesso al momento della sua creazione e con una ‘chiave’ relativa alla categoria di appartenenza: il legno per gli alberi e gli oggetti di legno, l’erba per le piante, la pietra per i minerali, eccetera. La scelta della chiave interviene in questo caso al momento della creazione del carattere. Per quanto riguarda le grafie precedenti ai Zhou (verbi, nomi di oggetti comuni, particelle, eccetera), la composizione dei caratteri sembra essere stata meno consapevole e sistematica: la loro classificazione per chiavi fu stabilita a posteriori, in occasione delle standardizzazioni periodiche della lingua che hanno scandito la storia della lessicografia cinese, e senza garantire sempre un legame tra la chiave e il significato dei caratteri nei quali compare. Citiamo l’esempio della chiave 13, mai impiegata come carattere indipendente, che esiste unicamente nei dizionari, dove le viene attribuito il significato di ‘confini, regioni di confine’. Il carattere 册 — che ha attualmente il significato di ‘documento’ e deriva da una forma arcaica che rappresentava delle lamelle di bambù legate insieme (i primi libri cinesi) — è collocato sotto la chiave 13, benché non abbia alcun rapporto di significato né alcun legame etimologico con i ‘confini’. Era necessario attribuire al carattere una collocazione e la forma di alcuni suoi elementi è sufficientemente simile a quella della chiave 13 perché un lettore possa eventualmente pensare di cercarlo sotto quella categoria. a) Prestiti-rebus e formazione di caratteri nuovi — Quando sorge la necessità di scrivere una parola utilizzata fino a quel momento solo nella forma orale o una parola nuova, non si inventa una nuova combinazione di tratti: si utilizza un carattere esistente, ca-
cè
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lag
lái
fú fú
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ratterizzato dalla medesima pronuncia, associandolo o meno a un elemento discriminante (chiave). Ad esempio, in epoca arcaica esisteva un carattere che designava un certo cereale dal nome 来 , secondo la ricostruzione di B. Karlgren; non esisteva invece un carattere per il verbo ‘venire’ che si pronunciava allo stesso modo. Quindi il verbo è stato scritto con il carattere del cereale, supponendo che la differenza tra i contesti potesse evitare le confusioni. Nell’epoca attuale questo carattere, non più utilizzato per designare il cereale, serve esclusivamente a scrivere ‘venire’, che ora si pronuncia 来. Nel caso fosse necessario, il fatto che questi prestiti siano basati sulla fonetica prova che in cinese è sempre esistita una relazione diretta, per quanto indietro si possa risalire nel tempo, tra le forme scritte e quelle orali. Questi prestiti non hanno invece favorito il passaggio a un sistema di tipo alfabetico perché sono sempre stati limitati a un uso lessicale e l'associazione di un suono a un carattere non è mai diventata sistematica. Ad esempio, il carattere 蝠 ‘pipistrello’ serve a scrivere 福 ‘felicità’, ma non può essere utilizzato per alcuna altra parola o morfema che pure si pronuncia fú. Raramente l’uso di uno stesso carattere per due omonimi si protrae a lungo. Nella maggior parte dei casi viene introdotto un elemento nuovo per distinguerli: la chiave. Ad esempio, esistevano due parole con la medesima pronuncia, una significava ‘alto’ e l’altra ‘rinsecchito, infeltrito’. La prima veniva scritta con un carattere che rappresentava una torre. Questo tracciato è stato mutuato per scrivere la seconda, ma è stata aggiunta la chiave del legno per evitare ogni confusione. Questo esempio mostra chiaramente che le chiavi non implicano una classificazione razionale;
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anzi spesso la loro scelta è giustificata da una semplice associazione di idee. Questo sistema, applicato fin dall’inizio del primo millennio a. C., fu reso sistematico al momento delle grandi standardizzazioni della scrittura,⑩ e, in particolare, sotto l’imperatore Qin shi Huang di nel 221 a. C. In quella occasione molti prestiti-rebus furono sostituiti da caratteri complessi: il carattere omonimo preso in prestito costituiva l’indice fonico, e il tracciato discriminante aggiunto la chiave. Nella maggior parte dei casi, scrivere una parola nuova implica realizzare simultaneamente le due operazioni: si prende in prestito un carattere con la medesima pronuncia della parola o del morfema che si desidera scrivere e vi si aggiunge una chiave. Questo sistema permette di moltiplicare all’infinito i caratteri e in alcune epoche si è arrivati all'eccesso producendo effetti come la sovrapposizione di chiavi, la creazione di caratteri non utilizzati, eccetera. Tuttavia i caratteri superflui cadono velocemente in disuso e vengono eliminati quando avvengono le grandi standardizzazioni della lingua. Ai giorni nostri, si evita generalmente di creare caratteri nuovi. Nel campo della fisica, ad esempio, si traducono nuove nozioni con parole di due o più sillabe, scritte con caratteri esistenti. In altri campi, come la chimica, si è tuttavia costretti a creare caratteri nuovi. La tavola degli elementi offre un esempio interessante della coerenza del sistema e dei suoi limiti. Ogni elemento è designato da un carattere. A eccezione di 金 ‘oro’, che è un carattere semplice, tutti gli altri caratteri della lista appartengono alla classe dei caratteri composti che comprendono un elemento fonetico. Gli elementi gassosi a temperatura normale, hanno come chia⑩
Si veda il quarto capitolo.
jīn
52 qì
shuĭ
jīn
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ve il tracciato del carattere 气 ‘aria, gas’ (idrogeno, elio, azoto, ossigeno, fluoro, neon, cloro, argo, cripto, xeno, radon); quelli liquidi (bromo e mercurio) hanno come chiave il tracciato del carattere 水 ‘acqua’ (o una forma derivata, comune nelle composizioni); i solidi si suddividono, a seconda che siano metalli o metalloidi, tra la chiave del ‘metallo’ (tracciato del carattere 金 ‘oro, metallo’) e la chiave della ‘pietra’. È evidente che la classificazione è più mnemonica che scientifica: le nozioni di stato gassoso o liquido non appartengono allo stesso piano logico dell’opposizione tra metalli e metalloidi. Sottolineiamo che questi caratteri risalgono a epoche diverse; una dozzina di elementi conosciuti anticamente, come il ferro e l'argento, hanno conservato la loro designazione volgare, mentre gli altri sono per la maggior parte di recente creazione. b) Chiavi e ricerca nei dizionari — Per quanto riguarda il vocabolario, la nozione di ‘chiave’ ha unicamente il valore di una classificazione lessicografica. Quando un lettore cerca su un dizionario cinese un carattere che ha davanti agli occhi, non sa a priori come si pronunci. Questo spiega perché le classificazioni dei caratteri in ordine alfabetico siano apparse unicamente nel corso del XX secolo, sotto l’influenza dell'Occidente e in concomitanza con i movimenti a favore della trascrizione alfabetica del cinese. In precedenza, a parte i dizionari letterari, classificati per rime e usati per i grandi concorsi del mandarinato, tutti i dizionari cinesi erano organizzati esclusivamente secondo un sistema di ordine unicamente grafico, per chiavi.⑪ Il primo elenco di chiavi fu redatto alla fine del I secolo da Xu Shen, autore del primo grande dizio⑪ Bottéro, F., Sémantisme et classification dans l'écriture chinoise; Les systèmes de classement des caractères par clés du “Shuowen jiezi” au “Kangxi zidian”, Collège de France/Institut des hautes études chinoises, Parigi 1996.
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nario etimologico, il 说文解字. In questa opera, che descrive quasi diecimila caratteri, Xu Shen si sforza di isolare per ogni carattere gli elementi che lo compongono. Egli si ispira a un’analisi ormai millenaria, chiamata dei 六书, “le sei scritture”, che suddivide i caratteri a seconda che siano: (I) immagini, (II) simboli, (III) composti semantici, (IV) composti che comportano una indicazione di suono e una di senso, (V) costruiti per simmetria o spostamento a partire da un carattere esistente, (VI) prestiti-rebus. Questo schema analitico deriva dalla teoria tradizionale in base alla quale i caratteri primitivi erano disegni, ‘immagini’, e secondo cui tutte le altre classi di caratteri si sono sviluppate per derivazione o composizione a partire da quelli.⑫ Xu Shen identificò, tra gli elementi ‘significanti’, cinquecentoquaranta segni grafici, o ‘chiavi’, che gli servirono da rubriche per classificare l’insieme dei caratteri esaminati. Sotto ogni chiave, i caratteri sono ordinati metodicamente; ad esempio sotto la chiave del legno si trovano prima i nomi di albero, poi le denominazioni di parti dell’albero, infine i nomi di oggetti in legno. La lista delle chiavi fu ridotta nel XVIII secolo. L'imperatore Kangxi fece allora compilare un ampio dizionario (completato nel 1716), che annovera quasi cinquantamila caratteri, ordinati sotto duecentoquattordici chiavi. Le chiavi sono classificate per numero di tratti, in ordine crescente; per uno stesso numero di tratti, l’ordine è arbitrario. Continua a essere necessario conoscere tale lista per servirsi dei grandi dizionari e delle enciclopedie cinesi. I caratteri inventariati sotto la stessa chiave sono elencati in base al numero dei loro tratti, in ordine crescente: i caratteri che contano un solo tratto in più oltre alla chiave sono collocati in cima alla lista, poi vengono ⑫
Abbiamo chiamato I e II caratteri semplici, III caratteri complessi che non comportano elementi fonetici. La definizione della classe V riguarda la relazione dei caratteri tra loro. La definizione della classe VI si fonda su un processo che coinvolge tanto i caratteri semplici che quelli complessi.
shuō wén jiě zì
liù shū
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Kāngxī zìdiăn
măn
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quelli che ne hanno due, poi quelli che ne hanno tre. Il numero dei caratteri raggruppati sotto ogni chiave varia in maniera considerevole: può raggiungere i cinquecento, come ad esempio per le chiavi contrassegnate con i numeri 9 (‘uomo'), 30 (‘bocca’), 85 (‘acqua’), 140 (‘erba’); altre chiavi raggruppano meno di cinque caratteri, come i numeri 45 (‘germoglio vegetale’), 65 (‘ramo’), 83 (‘famiglia’), eccetera. Si possono addirittura citare le chiavi 183 (‘volare’) e 213 (‘tartaruga’), che sembrano essere state incluse nella lista soltanto perché i lessicografi non sapevano che fare dei due caratteri: nei dizionari d’uso non è indicato alcun carattere alla composizione del quale contribuirebbero. Stiamo facendo riferimento al sistema delle chiavi numerate da 1 a 214 nel 康熙字典. Nei dizionari più recenti cinesi, nonostante i tentativi di razionalizzazione, si osservano ancora grandi disparità di distribuzione, anche se le chiavi (che comunque non sono più il parametro principale per la classificazione) sono state ridotte di numero. Quando si cerca un carattere nel dizionario, si verifica innanzitutto quali degli elementi che lo compongono sono reperibili nella lista delle chiavi. Se se ne trova uno solo, non resta che contare il numero dei tratti per trovare la sezione del dizionario dove il carattere cercato è descritto. Tuttavia, è necessario aver identificato correttamente la chiave. Ad esempio, 满 ‘completo’ contiene a destra il tracciato della chiave 85 (‘acqua’) e in alto il tracciato della chiave 140 (‘erbe’). Se si è consapevoli che esiste un indice fonico comune a diversi caratteri che si leggono măn, e che corrisponde a tutta la parte destra del carattere, compreso il tracciato delle ‘erbe’, il problema è risolto: si cerca il carattere sotto la chiave 85 (acqua), tra quelli che contano undici tratti oltre la chiave.
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Qualora invece all’interno di un solo carattere vi siano diversi elementi grafici che appartengono alla lista delle chiavi, l’unica soluzione è procedere per tentativi successivi. Ad esempio, 贤 ‘saggio’, ‘virtuoso’ è composto da tre elementi che si trovano tutti nell'elenco delle duecentoquattordici chiavi: 29 (ancora), 131 (suddito di un principe) e 154 (conchiglia). Tradizionalmente 贤 ‘saggio’ è elencato sotto questa ultima chiave. Dall’instaurazione della Repubblica popolare, i lessicografi hanno introdotto importanti cambiamenti. La maggior parte dei dizionari comuni è redatta in ordine alfabetico in base alla trascrizione ufficiale 拼音. Rimangono in ogni caso anche gli indici per chiave, indispensabili ai numerosi cinesi che non hanno dimestichezza con il 拼音, ovverosia plausibilmente la maggioranza della popolazione. Questi indici sono stati semplificati, ad esempio abolendo le chiavi che raggruppavano solo un numero irrilevante di caratteri, quando questi potevano essere riclassificati altrove.7 c) Numero dei caratteri — Il numero degli elementi grafici è limitato, ma quello delle loro combinazioni possibili è talmente elevato che lo si può definire praticamente illimitato. Poiché il numero di ‘unità minime di significato’ è a sua volta indefinito, per una data epoca non è possibile stabilire il numero totale dei caratteri cinesi in uso. È possibile soltanto ipotizzare delle valutazioni approssimative. Naturalmente, se esaminiamo i caratteri attestati da quando esiste la scrittura cinese (comprese le rarità, i ‘mostri senza utilizzo’ e le varianti episodiche) si raggiungono all'incirca ottantamila unità. Ma questa cifra non ha alcun significato; in nessuna epoca è mai stata utilizzata una tale ‘accozzaglia’ di caratteri.
xián
xián
pīnyīn pīnyīn
7 Alcune chiavi d'uso comune (con le varianti per la composizione ed esempi di grafie arcaiche)
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Attualmente i dizionari d’uso contano poco più di 9000 caratteri; il numero di caratteri che un individuo conosce è proporzionale all’ampiezza del suo vocabolario. Si stima che 2000 caratteri siano sufficienti per capire la maggior parte delle opere di divulgazione; con 4000 o 5000 caratteri è ragionevole ipotizzare che si possa leggere tutto ciò che viene pubblicato. Si tratta di un insieme aperto, che ognuno completa a mano a mano con le proprie letture. Il numero di parole di un testo è maggiore del numero dei caratteri utilizzati. Difatti, una buona metà delle parole cinesi è scritta con due caratteri. Non vi è un rapporto preciso tra il numero di caratteri e il numero di parole a disposizione di un individuo, anche se egli conosce i caratteri necessari a scrivere tutte le parole del suo vocabolario. Con tremila caratteri si possono teoricamente formare quattro milioni e mezzo di gruppi di due elementi. Ma un gruppo qualsiasi di due caratteri non costituisce necessariamente una parola. A prescindere dalle terminologie specializzate, si può stimare che il vocabolario comune conti circa cinquantamila parole. d) Tentativi di analisi formale — Se si decide di lasciare da parte il suono e il significato dei caratteri è possibile analizzarli come grafismi puri. Dal momento che il numero dei tratti di un dato carattere è definito e che le varietà di tipi di tratto e la quantità di posizioni reciproche che questi possono assumere sono limitate, teoricamente l'insieme possibile dei caratteri cinesi non è infinito; tuttavia, come è stato detto in precedenza, è un insieme molto vasto, non paragonabile con il numero dei caratteri cinesi effettivamente registrati. Inoltre, se si applicano combinazioni sistematiche dei tipi di tratti in tutte le posizioni possibili,
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si producono composizioni che non sono considerate caratteri da chi legge il cinese. Ci sarebbe dunque un valido motivo per chiarire i limiti del sistema, le leggi implicite che governano l’organizzazione dei tratti. A un secondo livello, quello del raggruppamento dei caratteri semplici e degli elementi del carattere, si pone un problema identico. Questi non si possono combinare liberamente per formare caratteri complessi. Il numero delle combinazioni conosciute è inferiore rispetto a quello che scaturirebbe dalla combinazione dei cinquecento elementi di base. Sappiamo che un dato elemento non può trovarsi che a sinistra di un carattere complesso, un altro nella parte inferiore, ma non basta a identificare le regole. A partire dagli anni ottanta, le ricerche si sono ampliate. Si trattava non solo di rispondere alla sfida dell’analisi formale di un sistema grafico complesso, ma anche di proporre modalità per la codificazione informatica dei caratteri cinesi — o dei 漢字 giapponesi, vale a dire quei caratteri utilizzati nella scrittura giapponese. Le ricerche, sviluppate negli Stati Uniti, in Giappone, a Taiwan e in Cina, hanno prodotto l'elaborazione di programmi informatici che contengono codici per cui si riesce a scrivere i caratteri utilizzando una tastiera alfabetica standard. Tali programmi, che prevedono tra i codici di immissione dei caratteri cinesi anche la loro trascrizione alfabetica, si sono diffusi in Cina e nel resto del mondo.
kànjì
3 Difformità tra lingua parlata e scrittura
逻辑
火车 李
自
我
都
火
车 绿油油 行 绿
我 维他命 我
知道
沙发
我性李木子李 自行车 子 车木 油 我都知道
香波
酒
行 咿呀 啤 啾啾 长 出泵
此
行 长
喳喳 柴 木 他
啤酒 长久 增长 哈哈 山 它
巴力门
巴 阿斯匹灵 门 巴黎 逻辑 国会 对联 会 国 红 红彤彤 香喷喷 彤 红彤彤 儿 玩儿 马达 喷 香喷喷 时候儿 发动机
她
力
香 会 葡萄 花儿 今儿
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Un carattere cinese corrisponde in genere a una sillaba dotata di significato. Tuttavia, vi è un certo numero di elementi della parola che non trovano equivalente nella grafia e alcuni elementi della scrittura senza corrispettivo nella forma orale. In tutti i sistemi esistono difformità di tal sorta, talvolta di lieve entità, che variano a seconda delle scritture e a seconda delle lingue. In italiano alcune marche grammaticali vengono scritte e non si pronunciano. Tutte le scritture alfabetiche, ad esempio, usano le maiuscole, marche grafiche senza equivalente nell’orale. Per il cinese, l’inventario di queste differenze coinvolge diversi aspetti della lingua. Si rilevano casi marginali in cui un carattere non equivale a una sillaba significante. In cinese e in molte altre lingue, a livello della frase così come dell’enunciato, tali difformità sono riscontrabili da un lato alla segmentazione e all’accentazione della forma orale, di cui la scrittura non tiene conto, dall’altro agli effetti dell’impaginazione. I — Caratteri 1. Distinzioni inesistenti nella forma orale — Il pronome personale della terza persona singolare si pronuncia tā, qualunque sia la parola che sostituisce: tā può designare un uomo (他), una donna (她), un animale, un’idea o un oggetto (它 ). La grammatica cinese non prevede né maschile, né femminile, né neutro. Tuttavia, fin dai primi decenni del XX secolo, i linguisti cinesi hanno giudicato utile la distinzione di genere che si osserva nelle lingue europee per i pronomi alla terza persona singolare (lui/lei, he/she/ it, eccetera). Nella forma orale, il contesto generalmente permette di sapere di chi o di cosa si stia parlando; nei messaggi scritti invece, è utile marcare in
tā / tā tā
62
1
Grafie di tā, lui, lei
xíng / háng cháng / chángjiŭ zhăng / zēngzhăng
huì
La scrittura cinese
maniera esplicita la distinzione tra uomo e donna, oppure tra umano e non umano. Comunque sia, i grammatici difficilmente riescono a influenzare l’uso orale, mentre la forma scritta è più rigidamente sottoposta alle norme. Attualmente, per il pronome tā, 1 ci si raccomanda di usare tre grafie distinte: una (con la chiave ‘uomo’) per gli uomini e in tutti i casi misti o indeterminati; la seconda (con la chiave ‘donna’), in teoria, solamente per le donne; la terza, che serve per gli animali, le cose e le idee, ha un uso più limitato, perché in quei casi spesso si evita la forma pronominale. Così si tende a creare, nella forma scritta dei pronomi, distinzioni di genere che non esistono nella forma orale e nonostante l’artificialità delle sue origini questo uso è largamente accettato. 2. Distinzioni che non esistono nella forma scritta — Alcuni caratteri hanno una doppia (o tripla) lettura che corrisponde a significati diversi. Ad esempio, esiste una grafia che, a seconda del contesto, si legge 行 ‘(va) bene’, o 行 ‘banca’. Un altro carattere si trascrive talvolta 长 ‘lungo’, come in 长久 ‘a lungo’, talvolta 长 ‘crescere’, come in 增长 ‘aumentare’. Si tratta di casi piuttosto rari. Queste differenze possono essere paragonate a ciò che succede in italiano con ‘pesca’ (il frutto) e ‘pesca’ (dei pesci): non vi è confusione nella forma orale tra queste parole dal significato diverso, ma la grafia è la stessa. Può anche succedere che distinzioni evidenti di significato non siano marcate né nella forma orale né in quella scritta. Ad esempio, la sillaba 会 si scrive con lo stesso carattere, sia che significhi ‘riunione’ sia che significhi ‘sapere’: abbiamo a che fare con parole che sono contemporaneamente omofone e omografe. Anche questo caso è piuttosto raro: gli omofoni sono
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numerosi in cinese, ma un carattere, per quanto ricco di significati derivati e connotazioni possa essere, ha in generale soltanto un significato fondamentale. La completa omonimia (parlata e scritta) non è una caratteristica propria del cinese: si possono citare numerose parole italiane in questa condizione: timbro (della voce/postale), bolla (di sapone/di accompagnamento), calcare (deposito di carbonato di calcio/ premere con i piedi). 3. Sillabe senza significato — Il sillabismo del cinese (“ogni sillaba ha un significato”) ha solo poche eccezioni e, nell’insieme, questi casi possono essere considerati forme marginali dal punto di vista linguistico: parole straniere, onomatopee, eccetera. Ci si potrebbe aspettare che i caratteri che trascrivono tali sillabe non abbiano un significato proprio: ciò è vero per le esclamazioni, ma non sempre per le onomatopee o le trascrizioni di parole straniere. a) Onomatopee — Le onomatopee bisillabiche come 咿呀 (il rumore delle parole di un bambino o dei remi), 啾啾 (il verso dei cuccioli), 哈哈 (il rumore di una gran risata) o 喳喳 (il suono di un mormorio) non sono facilmente analizzabili: si tratta solamente di trascrizioni di un segmento di suono, quindi non si può sostenere in questo caso che esistano tanti significati quanti sono i caratteri. Spesso, dopo alcuni aggettivi o verbi di qualità si aggiunge una sillaba raddoppiata che ne precisa il valore, ad esempio 红 ‘rosso’, 红彤彤 ‘rosso vivo’, 香 ‘profumare’, 香喷喷 ‘profumare deliziosamente’. Il carattere 彤 di 红彤彤 significa ‘pervenire, raggiungere’; il carattere 喷 di 香喷喷 significa ‘sputacchiare, irrigare a spruzzo’. In questo caso sembra quindi che
yīyā jiūjiū / hāhā chāchā
hóng / hóngtōngtōng / xiāng xiāngpènpèn tōng / hóngtōngtōng pèn / xiāngpènpèn
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lüyōuōu lü / yōu
pútao
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i caratteri acquistino un valore puramente fonetico, ma il fenomeno non è tra i più frequenti. A proposito del ‘monosillabismo’ abbiamo visto che in numerose parole composte i caratteri perdono il loro significato originale, con il quale la parola composta non conserva rapporti etimologici o di derivazione, ma viene conservata sempre almeno tutta una rete di connotazioni. Quando si ‘trascrive’ la fonetica di una serie di sillabe con caratteri cinesi, ci si sforza di scegliere caratteri il cui significato sia coerente con quello delle parole trascritte. 绿油油, che significa ‘verde lucente’ si scrive con i caratteri 绿 ‘verde’ e 油 ‘olio’. b) Parole d’origine straniera — I rapporti del cinese con altre lingue del ceppo sino-tibetano in epoche arcaiche sono poco conosciuti, inoltre, essendo tali lingue di struttura sillabica, eventuali prestiti si comporterebbero come parole autoctone per quanto riguarda i rapporti lingua-scrittura. Il meccanismo è diverso per quanto riguarda i contatti con le lingue indoeuropee, turche o semitiche. Non abbiamo modo in queste pagine di tracciare la storia dei rapporti della Cina con il mondo esterno: lo scambio di tecniche con il Vicino Oriente nel neolitico, il commercio con il mondo arabo, o l’avvicendamento di rifiuto, integrazione e penetrazione delle popolazioni turche del nord-ovest hanno senza dubbio avuto un'influenza sulla lingua, ma questa è difficile da ricostruire ed è molto estesa nel tempo. Alcuni nomi di piante① e animali sono tuttavia stati identificati come prestiti. Si può citare tra i rari morfemi bisillabici del cinese moderno 葡萄 ‘uva’, termine importato dal mondo iranico all’inizio della nostra era. È importante invece sottolineare l'irruzione di numerose parole straniere nel lessico cinese in ①
Laufer, B., Sino-Iranica, Chicago 1919. Ripubblicato a Taipei, 1967.
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tre occasioni: vocabolario indoeuropeo (soprattutto sanscrito) con l’introduzione del buddhismo in Cina all’inizio della nostra era, vocabolario turco-mongolo sotto la dinastia Yuan (1279-1368), e nuovamente indoeuropeo (soprattutto inglese e russo) con l'influenza dell'Occidente e delle tecniche europee a partire dalla seconda metà del XIX secolo. L'adozione di numerose parole giapponesi ha avuto luogo in circostanze analoghe. a) Trascrizioni buddhiste — La preoccupazione della conservazione di una pronuncia originale esatta dei termini di contenuto religioso ha obbligato i traduttori a trascriverli con tanti caratteri quante erano le sillabe nella parola sanscrita, sforzandosi di trovare caratteri la cui pronuncia si avvicinasse il più possibile a quella delle sillabe sanscrite. Gli interpreti buddhisti non hanno svolto il lavoro una volta per tutte scegliendo per ogni suono della lingua sanscrita un carattere cinese rappresentativo; al contrario, si trova una grande varietà di forme omofone. “In assenza di una norma comune, ciascuno può impiegare a propria discrezione segni diversi per raffigurare lo stesso suono indiano”,② scriveva Stanislas Julien, che aveva registrato “più di 1200 caratteri diversi per rendere le 42 lettere dell’alfabeto indiano”. Naturalmente, nel corso dei secoli, l'evoluzione fonetica del cinese è stata considerevole. Non solo i caratteri non ne conservano traccia, ma per questa stessa ragione la scrittura, non veicolando direttamente testimonianze della pronuncia di una data epoca, non è mai stata influenzata dai cambiamenti di pronuncia delle epoche seguenti. Se leggiamo una parola sanscrita trascritta in cinese nell’VIII secolo d. C. con la pronuncia attuale ② Julien, S., Méthode pour déchiffrer et transcrire les mots sanscrits qui se rencontrent dans les livres chinois, Paris 1861.
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del dialetto di Pechino, non abbiamo alcuna possibilità di identificare la parola. Per riuscirci è necessario disporre di testi bilingui o riprodurre la pronuncia di tali caratteri in cinese antico. Le parole sanscrite polisillabiche sono quindi state riprodotte con sequenze di caratteri cinesi, il cui significato non era necessariamente in relazione con quello della parola sanscrita: sono gruppi di caratteri con un valore prettamente fonetico e non possono essere analizzati in base al loro significato. Tuttavia, non necessariamente l’esistenza di forme multiple per uno stesso suono sanscrito è frutto del caso; talvolta invece corrisponde al desiderio dei traduttori di far intervenire nella scelta dei caratteri criteri diversi dalla semplice equazione fonetica. Nella lingua attuale non resta molto di queste trascrizioni perché si trattava per lo più di nomi propri del pantheon buddhista; inoltre, i cinesi elaboravano rapidamente, ogni qualvolta fosse possibile, una ‘traduzione’ senza relazione fonetica con la parola sanscrita ma più comprensibile per coloro che la usavano.
luóji
b) Parole d'origine straniera introdotte nei secoli XIX e XX — È possibile presentare schematicamente la maniera in cui le parole straniere sono state rese in questo periodo a partire da due soluzioni estreme: — la parola straniera viene scomposta in sillabe prive di significato e trascritta su base fonetica. Ad esempio ‘logica’ si scrive con due caratteri che si leggono 逻辑 e che non hanno alcun legame con il concetto di logica. — la parola straniera è analizzata su base semantica e trascritta con caratteri che esprimono il suo significato: in tal caso i caratteri scelti non hanno
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necessariamente la stessa pronuncia della parola straniera ed è possibile che nulla dell'aspetto fonetico della parola cinese ricordi la parola straniera. Mentre le parole ottenute con il processo della trasposizione fonetica, come 逻辑 ‘logica’ e 沙发 ‘sofà’, continuano spesso a essere percepite come parole di importazione, le trascrizioni semantiche vengono naturalizzate più facilmente. Parole come 火车 ‘treno’ (火 ‘fuoco’, 车 ‘veicolo )o 自行车 ‘bicicletta’ (自 ‘se stesso’, 行 ‘andare’, 车 ‘veicolo’) si sono integrate nel sistema cinese: la parola costituisce un insieme funzionale, nel quale tuttavia ogni carattere conserva le notazioni. Le parole composte o quelle la cui etimologia è trasparente nella lingua d’origine costituiscono un caso particolare nel quale la trasposizione risulta facile. Quale che sia il processo, questi neologismi non si fissano mai immediatamente ed è accaduto che un termine cambiasse aspetto cinque o sei volte prima di essere inserito regolarmente nell’uso. Il meccanismo fonetico è stato impiegato soprattutto nei casi di alcune parole difficili da interpretare (‘logica’), per le designazioni d’uso quotidiano di oggetti concreti o di strumenti stranieri (‘pompa’, con un carattere che si legge 泵 , approssimazione dall’inglese ‘pump’), e per i nomi propri (‘aspirina’ con quattro caratteri che si leggono 阿斯匹灵; ‘Parigi’, con due caratteri che si leggono 巴黎 ). Nei grandi porti del Sud all’epoca delle concessioni straniere e di nuovo dopo l’apertura della Cina negli anni ottanta, il comportamento degli individui confrontati a un oggetto sconosciuto si è ripetuto spesso: essi riproducono al meglio la designazione impiegata dalle persone che hanno introdotto l'oggetto. Una volta introdotti tali ‘calchi fonetici’
luóji / shāfā
huŏchē huŏ / chē / zìxíngchē zì / xíng / chē
bèng āsīpĭlíng Bālí
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bālìmén
bā / lì mén guóhuì guó / huì
mădá fādònjī
La scrittura cinese
nell’uso orale, il giorno che diventa necessario indicare per iscritto gli oggetti in questione si ricorre alla trascrizione della forma orale con caratteri qualsiasi; per un certo periodo numerose varianti grafiche possono coesistere finché uno degli usi si stabilizza. Il secondo processo corrisponde invece a un contatto libresco: il traduttore di un libro inglese, russo, francese o italiano, a confronto con un nome di oggetto o una nozione che non hanno equivalente in cinese, non ha particolare interesse a renderli attraverso caratteri dalla pronuncia simile, che non corrisponderebbero ad alcuna forma orale della lingua. Deve, invece, evocare l’oggetto o il concetto straniero per mezzo dei caratteri scelti. Esisteranno quindi numerose varianti, differenti sia per lettura sia per aspetto grafico; ogni traduttore può trovare mezzi più astuti dei suoi predecessori per rendere il significato della parola straniera finché il nuovo termine non si sia inserito nell’uso cinese. In generale, le preferenze si concentrano su questo secondo meccanismo, nella misura in cui preserva il valore significante dei caratteri. Ad esempio, una volta la parola ‘parlamento’ veniva trascritta in cinese con tre caratteri, che si leggevano 巴力门 (approssimazione fonetica dall’inglese parliament) e che non avevano alcuna relazione di significato con l'oggetto considerato (巴 è l’antico regno del Sichuan, 力 ‘forza’, 门 ‘porta’). Questa trascrizione è caduta in disuso da molto tempo e ora si scrive 国会, con i caratteri 国 ‘Stato’ e 会 ‘assemblea’. La parola è stata inserita nell’uso orale sotto questa forma. Succede anche che le due forme coesistano; ad esempio, ‘motore’ si dice generalmente 马达 (trascrizione fonetica), ma i testi tecnici preferiscono l’uso di 发动机 (parola per parola: apparecchio che mette in movimento). In tali testi
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si trova anche mădá, ma con il valore più specifico di ‘piccolo motore elettrico’. Nella pratica, si rilevano molte soluzioni miste. Quando esiste una ragione per conservare un’analogia con la forma straniera, perché è già entrata nell’uso orale cinese o perché si tratta di un nome proprio, coloro che per primi hanno occasione di trascriverla si sforzano di scegliere caratteri adeguati, non solo nel significato ma anche nel suono. Per questa ragione esistono relativamente pochi esempi ‘puri’ di un processo o dell’altro. Di fatto, le trasposizioni accettabili su entrambi i piani sono molto apprezzate. Citiamone qualcuna: — ‘vitamina’ si scrive con tre caratteri, che si pronunciano 维他命 e significano ‘proteggere la propria vita’; — ‘shampoo’ si scrive con due caratteri, che si pronunciano 香波 (dalla forma inglese) e significano ‘profumo-onda’. Esistono anche soluzioni ibride. Ad esempio ‘birra’ si scrive con due caratteri che si leggono 啤酒: il primo, 啤 , è una trascrizione pura dell’iniziale di ‘birra’ (da ‘beer’ o pivo') che non possiede altro significato o uso oltre a quello di questa parola; il secondo, 酒, è un carattere di uso frequente che significa ‘alcol’. In conclusione, si può affermare che i cinesi sono restii all’uso di caratteri spogliati del loro significato. 4. Segmento più piccolo di una sillaba: -r — Un certo numero di parole (monosillabi o gruppi bisillabici) possono, nel cinese del Nord e in particolare nel dialetto di Pechino, essere seguiti dalla finale retroflessa -r (pronuncia 儿). Ad esempio: 花儿 ‘fiore’, 玩儿 ‘divertirsi’, 时候儿 ‘momento’, 今儿 ‘oggi’. Questa -r non è mai accentata: è estranea al sistema
luóji / shāfā
wéitāmìng
xiāngbō
píjiŭ pí jiŭ
eul / huā-r / wān-r shíhou-r / jīn-r
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dei toni melodici. D'altra parte, le distinzioni tra alcuni tipi di finale spariscono nella sillaba che precede la -r. Ad esempio, le sillabe lai, lan e la non si distinguono più le une dalle altre quando sono seguite da -r; la pronuncia è la medesima in tutti e tre i casi: lar. Sembra di conseguenza che si debba considerare -r parte di una sillaba piuttosto che come sillaba indipendente. Questa -r è a volte obbligatoria a volte facoltativa. Talvolta, nei casi in cui può essere omessa, è dotata di significato (diminutivo, eccetera), e a volte no. La quantità di -r ‘prive di significato’ contenute in un discorso è una questione di stile, giacché questo suono attribuisce un colore ‘pechinese’ al discorso: si ironizza spesso sulle persone del Sud, che quando imparano la lingua della capitale introducono sistematicamente la -r alla fine di ogni parola. Risulta evidente che questo elemento, che sia portatore di significato o no, non costituisce una ‘sillaba dotata di significato’. È un fonema a margine del sistema del cinese orale. Ora, nella grafia questa -r può essere rappresentata con un carattere (lo stesso che denota ‘figlio’, bambino’). L’uso di questo carattere per la -r finale non accentata è in larga misura facoltativo. Molti autori non lo utilizzano, dal momento che il lettore resta libero di leggere le parole con o senza -r. Sul piano della scrittura si ha quindi la scelta tra due soluzioni, più o meno aberranti: rappresentare la -r con un carattere che non corrisponde a una sillaba e spesso neppure a un significato, o non trascriverla affatto, che equivale a trattare un segmento del discorso come un semplice elemento prosodico. In teoria esiste anche una soluzione intermedia, che consiste nello scrivere la -r solamente quando è dotata di significato. In sostanza la scelta dipende dalla valuta-
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zione individuale: di fatto, nell'uso attuale è possibile sia scrivere che non scrivere la -r. II — Frasi 1. La curva melodica — L'assenza di trascrizione grafica della curva melodica della frase non è una peculiarità della lingua cinese. Ma questa caratteristica banale ha conseguenze più rilevanti in cinese che in altre lingue, in cui di solito si tratta soltanto di una questione d’intonazione, a parte il caso delle marche d’interrogazione e dell’imperativo. In cinese, la collocazione del segmento più accentato è spesso una marca grammaticale. Ad esempio: 我都知道 (我 ‘io’, 都 ‘tutto’, ‘perfino’, 知道 ‘sapere’) significa ‘io so tutto’ se 我 non è l’apice della curva melodica; al contrario, se 我 è accentuato in maniera particolare, la frase significa ‘perfino io lo so’. La forma scritta, priva di questo elemento distintivo, rischia di essere ambigua. In realtà, nella lingua scritta contemporanea questo elemento viene compensato da alcune ridondanze sconosciute alla lingua orale; vi si trovano ad esempio più congiunzioni di subordinazione rispetto al discorso orale. 2. Punteggiatura — I testi antichi non contenevano segni d’interpunzione.③ Ogni straniero che abbia studiato la lingua antica ricorda; primi scoraggiamenti di fronte a testi senza punteggiatura, in cui il confine tra le frasi non è marcato. Si impara a individuare l’inizio e la fine delle frasi. Un letterato cinese prenderà gusto ad annotare personalmente i punti forti o le pause del testo tracciando con cura con inchiostro rosso piccoli cerchi a margine dei suoi libri. Per i testi classici, in relazione ai quali il ruolo dell’insegnamento orale era importante, l’acquisizio③
I segni di interpunzione non erano sconosciuti, come attestano alcuni testi rinvenuti a Dunhuang. Cfr. Drege; J.-P., “La materialité du texte. À propos de la mise en page et de la mise en texte du livre chinois”, in Alleton, V., Paroles è dire, paroles a écrire; Inde, Chine, Edizioni EHESS, Parigi 1997.
wŏ dōu zhīdao wŏ / dōu / zhīdao wŏ wŏ
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ne del ritmo era semplice; formule stereotipate permettevano invece di orientarsi in testi amministrativi, giuridici, tecnici. La punteggiatura è, in Cina, d’uso recente. Nel novembre 1919 alcuni professori presentarono una petizione al ministro dell'Educazione per chiedere l’adozione di un sistema di interpunzione ricalcato sull’inglese. Ancora oggi riviste di pedagogia e opuscoli divulgativi consacrano uno spazio rilevante agli articoli che trattano l’uso corretto dei segni di interpunzione. 3. Valorizzazione — La scrittura cinese non ha alcun equivalente delle nostre maiuscole o del nostro corsivo: all’interno di un testo tutti i caratteri hanno pari dimensioni. Tuttavia all’interno di opere arricchite di commenti o note questi sono generalmente in caratteri di misura ridotta rispetto al testo propriamente detto. In alcuni manuali scolastici i nomi propri vengono sottolineati, ma si tratta di un uso poco diffuso; ciò non avviene mai nei romanzi o nei giornali. III — Impaginazione Si ricorda che tradizionalmente i caratteri venivano ordinati in colonne verticali dall'alto in basso. Una disposizione ereditata dai primi libri cinesi, costituiti, dal V secolo a. C. fino al III, dalla giustapposizione di tavolette di bambù legate insieme, oppure — in parallelo — da opere scritte su seta. La lettura di un testo scritto in verticale comincia dall’angolo superiore destro del supporto, sia esso una pagina o una stele. Nonostante ciò, la disposizione in righe orizzontali è apparsa piuttosto presto. Così, in alcune opere antiche si trovano righe orizzontali, ma sempre
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scritte da destra a sinistra: soltanto una delle regole di impaginazione è stata modificata. Questa disposizione è apparsa anticamente sull’architrave di alcuni templi, le cui iscrizioni erano generalmente tracciate da destra a sinistra. Una delle prime grammatiche del cinese, scritta da P. Prémare, si legge a zigzag: da sinistra a destra il testo latino, da destra a sinistra gli esempi cinesi. Attualmente, seguendo l’uso europeo, la disposizione orizzontale letta da sinistra a destra, cominciando dall’angolo superiore sinistro del supporto, è d’uso corrente nella Repubblica popolare cinese; ④ tuttavia i giornali si riservano la possibilità di impaginare combinando il sistema antico con quello nuovo. Perfino una pubblicazione austera come il Quotidiano del popolo approfitta di questa libertà. Dal 1967 tutte le opere vengono scritte in orizzontale nella Cina popolare. Ormai la disposizione verticale si ritrova nelle riedizioni di opere classiche, che riproducono tirature fatte a partire da antiche tavole, o edizioni precedenti particolarmente riuscite. A Hong Kong la disposizione verticale resta la più frequente. A Taiwan si usa uno o l’altro sistema in base a criteri precisi. Si scrive o stampa in verticale ciò che è formale (leggi e decreti, cartoncini di invito), ciò che viene considerato un fondamento della cultura (i corsi di lingua cinese a scuola), quanto è destinato a un ampio pubblico (giornali e romanzi) e ciò che deve risultare particolarmente leggibile, come i libri per bambini. Si scrivono invece in orizzontale la corrispondenza comune, gli appunti presi a lezione o durante le conferenze, le ricevute di banca, i materiali didattici di argomento non linguistico, le opere scientifiche che comportano cifre. Nel Sud-est asiatico le insegne di negozi cinesi ④
1 gennaio 1955, il quotidiano Guangming ribao (Chiarezze) ha adottato la disposizione orizzontale; il 70% delle riviste ha aderito al cambiamento. Un anno dopo, l'1 gennaio 1956, il Renmin ribao (Quotidiano del popolo) e tutti i giornali del paese hanno a loro volta cambiato direzione ai loro testi.
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Shījīng
duìlián
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sono alternativamente verticali o orizzontali. In questo secondo caso, si leggono sia da sinistra a destra (alla maniera europea), sia da destra a sinistra. Fino a epoche recenti, in cinese le poesie non venivano distinte dai testi in prosa. Fin dalle origini la metrica cinese era fondata su un sistema di rime attestato a partire dallo 诗经, il “Libro delle odi”, che risale al I millennio a.C. Nella forma classica la metrica comportava anche contrasti di tono. In seguito a qualche secolo di evoluzione della lingua, questi elementi risultano gravemente alterati. Nella poesia Tang (VIII e IX secolo d. C.), che ci è stata tramandata in forma scritta, ad esempio, le coppie di caratteri che in origine rimavano non necessariamente rimano ancora. Quanto al sistema dei toni, è stato modificato profondamente soprattutto nel dialetto di Pechino, che è la base della lingua cinese standard. Una poesia di epoca Tang letta in cinese moderno perde necessariamente parte di ciò su cui si fondava la sua armonia sonora. Ora, la poesia antica è ancora largamente apprezzata in Cina; quindi si può supporre che le corrispondenze grafiche, visive, suppliscano alla parte delle corrispondenze tonali che è perduta. L'elemento di base della poesia cinese è il distico. In molti casi i due versi che lo compongono sono paralleli, quindi i suoni, le immagini evocate, le grafie corrispondono o si contrappongono. Tuttavia, due versi paralleli scritti fianco a fianco si trovano soltanto sui 对联, ‘pannelli simmetrici’ ornati di calligrafie affissi ai muri delle stanze o ai lati di una porta. Nei libri, come a margine dei dipinti, le poesie sono scritte in maniera continua: essendo i versi composti da cinque o sette sillabe, non esiste una convenzione analoga a quella del nostro andare a capo all’inizio di
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ogni verso. L’inizio di un verso non coincide necessariamente con il punto più alto di una colonna. Di conseguenza in genere due versi paralleli non sono esattamente alla medesima altezza. Eppure, nonostante la lettura lineare, una qualche percezione del verso parallelo è possibile. 1. Giochi grafici — I caratteri costituiscono un materiale di prima scelta per giochi grafici e giochi di parole di ogni sorta, palindromi, rebus, indovinelli. Una frase palindroma è un gruppo di parole che può essere letto indifferentemente da sinistra a destra o da destra a sinistra, pur conservando lo stesso significato. In italiano, laddove l’inversione avviene lettera per lettera, ciò generalmente è possibile solo sacrificando le spaziature tra le parole in una delle due direzioni. Il Vocabolario della lingua italiana Treccani riporta un esempio tipico: “è presa la serpe”; per leggere questa frase da destra a sinistra si devono spostare le interruzioni tra le parole, altrimenti avremmo: “epres al aserp è”. In cinese, invece, non si tratta di invertire le lettere di ogni sillaba (cosa che nella maggior parte dei casi sarebbe impossibile dal punto di vista fonologico) ma di giocare con i caratteri (quindi con sillabe dotate di significato) come elementi distinti e autonomi. Ovviamente, non ci si contenta di approfittare delle due direzioni nell’orizzontale: sono stati inventati testi dalla lettura pluridimensionale (‘poesie-blocco’), o che si potevano leggere secondo ‘percorsi’ determinati dal valore simbolico (‘poesie-labirinto’). Inoltre è possibile inventare ‘astuzie’ di ogni genere mescolando i piani (caratteri, parti di carattere, lettura e significato) e i cinesi non si tirano indietro. Un esempio comune è quello dei nomi. Esiste
76 2 Glossa del cognome Li
wŏ xìng Lĭ, mù, zĭ Lĭ Lĭ / mù / zĭ
chái cĭ / mù chū / shān 3
Giochi grafici
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in Cina un centinaio di cognomi comuni, la maggior parte dei quali è monosillabica. Quando si pronuncia il proprio nome possono sorgere incomprensioni, quindi si è deciso di attribuire a ogni cognome una descrizione convenzionale, enumerando gli elementi grafici del carattere corrispondente. Ad esempio, una persona che si chiama ⑤ Li si presenterà in questo modo: 我性李木子李 “mi chiamo Li, Li (che si scrive) legno, figlio”. Il carattere 李 si scrive infatti con il tracciato di 木 ‘legno’ e di 子 ‘figlio’. 2 A livello di giochi grafici, ad esempio, si possono creare enunciati nei quali caratteri semplici giustapposti sono seguiti da un carattere complesso composto dai primi due. Si può citare lo schema seguente: A B X AB C D CD E F x ef g h gh Un boscaiolo incontra un viaggiatore e gli dice: “Questo legno è combustibile; tutte le montagne ne producono”. Il quarto carattere, 柴 ‘combustibile’ è composto dai primi due, 此 ‘questo’ e 木 ‘legno’; l’ultimo carattere, 出 ‘produrre’, è composto da 山 ‘montagna’ raddoppiato (caratteri 5 e 6). Il viaggiatore risponde secondo uno schema analogo: “Giacché il fuoco produce fumo, ve ne è molto ogni sera”. Il 4° carattere è prodotto con il 1° + il 2°; l’ultimo con il 5° + il 6°. 3 Il carattere supplementare X permette di formare versi di sette sillabe e nasconde la chiave del gioco di parole in modo che non sia immediatamente percepibile. IV — Rilevanza di questi fatti per la teoria della scrittura Si concorda nel definire la scrittura come un codice grafico, che gode di un rapporto univoco con un siste⑤ Esistono altri sedici cognomi che si pronunciano Li ma si scrivono con caratteri diversi (secondo la Rubrica dei cognomi, edizione delle Poste e telecomunicazioni cinesi, 1984). Cfr. Alleton, V., Les Chinois et la passion des noms, Aubier, Parigi 1993.
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ma linguistico, essendo tale rapporto stabilito a un livello variabile. In cinese al carattere, segno completo, corrisponde una sillaba dotata di significato. I linguisti (come anche alcuni filosofi) hanno invece opi-nioni divergenti sulla natura del rapporto tra lingua orale e scrittura. Secondo gli uni la parola viene prima e la scrittura non è altro che la ‘fotografia’ della lingua parlata,“le forme scritte sono simboli secondari dei simboli parlati, simboli di simboli”, ⑥ “il linguista fa [...] per principio astrazione dei fatti di grafia”, il cui studio, di per sé, non sarebbe altro che una appendice della linguistica. Nell'insieme questa è la posizione degli strutturalisti classici. Al contrario, per i linguisti che si dichiarano appartenenti alla scuola ‘glossematica’ (Hjelmslev, scuola di Copenaghen), la lingua è un sistema astratto che prende forma in una ‘sostanza’, la quale può essere ‘flusso di inchiostro’ quanto ‘flusso d’aria’.⑦ La scrittura cinese fornisce argomenti a favore dei sostenitori di una specificità della scrittura rispetto alla parola e taluni hanno creduto di trovarvi la prova del carattere radicale di questa specificità. Gli psicolinguisti hanno tuttavia dimostrato che in cinese, nel processo di lettura, l’elemento fonico non riveste un ruolo di minore importanza rispetto a quello che ricopre nelle scritture alfabetiche. Nonostante si sia a lungo creduto che in cinese le percezioni visive fossero dominanti, ci si è poi resi conto che quando i soggetti esaminati sono monolingue le differenze rispetto alla lettura alfabetica non sono più così significative. Di fatto, poiché la forma scritta è condivisa ed è l’unica a essere insegnata in tutta la Cina, un bilingue che disponga di due usi orali, ad esempio la lingua comune e il cantonese, reagirà in modo relativamente più lento a uno stimolo orale rispetto a ⑥
Sapir, E., Le langage, Payot, Paris 1967, p. 26. [Trad. it. Il linguaggio, Einaudi, Torino 1969]. ⑦ Uldall, H. J., Speech and Writing (II, 1966). Si veda anche Anis, J. et al., L’écriture, théorie et descriptions, De Boeck, Bruxelles 1988.
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uno stimolo scritto. A partire dal momento in cui si esaminano soggetti cinesi monolingue (ad esempio originari del Nord-Est), questo effetto scompare e i risultati degli esami non privilegiano la percezione visiva più di quanto non avvenga, ad esempio, in soggetti anglofoni. Nell’insieme, gli studi di psicologia sperimentale dimostrano che, per quanto riguarda la lettura, le peculiarità indiscutibili della scrittura cinese non creano differenze particolarmente marcate rispetto alle scritture alfabetiche. Infine, è importante tenere separati l’uso propriamente linguistico della scrittura, che compone testi e viene letta, dalla contemplazione delle forme grafiche. Il ‘fermo immagine’ è il supporto, in cinese, di un'infinità di costruzioni d’ordine poetico. Queste due modalità di esistenza della scrittura, linguistica e poetica, sono generalmente disgiunte; si articolano nei giochi di parole, nel discorso sui nomi propri e in tutta una serie di pratiche più rilevanti in Cina che nelle società europee attuali.
4 Evoluzione degli stili di scrittura
行书
行书 小篆 行书
八卦
羊
楷书
草书
草书 篆书 大篆
通用字
说文解字 才 篆书
才 楷书 小篆
隶书 隶书 隶书 大字报 篆书 书
大篆 小篆
草书
草书
隶书
八卦
草书 纔
纔 大篆 金文 隶书 小篆 楷书 古文 体 篆书
草书
东
小篆 行书
大篆 异体字
鱼 马
隶书
隶书 楷书 草书 门 楷书
行书
小篆
草书
隶书
隶书
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Il tracciato dei caratteri si è modificato nel corso del tempo. È un’evoluzione che può essere suddivisa in un certo numero di tappe. Ciononostante, dalle prime testimonianze così come ci sono pervenute a oggi, la scrittura cinese è rimasta identica nei principi e nella struttura. Ciò che è mutato sono le tecniche di esecuzione, i tipi di tratti, lo stile. I primi saggi ben conservati di scrittura cinese sono relativamente recenti: iscrizioni su ossa e carapaci di tartaruga che possono essere datati intorno alla metà del XIII secolo a.C., epoca in cui il sistema di scrittura aveva raggiunto essenzialmente il suo pieno sviluppo. I reperti del neolitico che potrebbero illuminarci su tali inizi sono ancora oggetto di discussione. Si dispone a tutt’oggi solo di segni sparsi: in assenza di sequenze leggibili, non è possibile parlare di scrittura. La datazione a epoche relativamente recenti dei primi testi in scrittura cinese (oltre diciannove secoli dopo i sumeri) può suggerire una sollecitazione giunta dal Vicino Oriente — certo non prestiti diretti, ma forse lo stimolo di un interesse per una tecnica utile. Tuttavia, il considerevole adeguamento della scrittura cinese alla natura sillabica della lingua testimonia a favore di una sua origine autoctona. Come abbiamo indicato nell’Introduzione (paragrafo 2), una parte delle prime grafie è stata creata (dagli inventori di quel processo tecnico specifico che è la scrittura) a partire da un repertorio di forme che rappresentavano oggetti: 鱼 ‘pesce’ raffigurava un pesce con testa, coda, pinne e il corpo ricoperto di scaglie; tutti elementi che perdurano nel carattere attuale, ma talmente schematizzati da essere irriconoscibili; 马 ‘cavallo’ comporterebbe, secondo un’interpretazione generalmente condivisa, i tratti caratteristici di un cavallo: la criniera e quattro zampe; 门 ‘porta’ è lo schema di due battenti spalancati, eccetera. A partire dal momento in cui la scrittura è stata utilizzata, queste forme hanno fatto riferimento a parole e non più a immagini. Ci sembra utile, prima di affrontare la storia dei diversi stili, presentare le teorie tradizionali cinesi relative alle origini.
yú
mă mén
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I — Le origini mitiche La tradizione cinese tramanda una gran quantità di leggende. Tre imperatori, Fu Xi, Shen Nong e Huang di, ritenuti i fondatori della civiltà cinese, sarebbero intervenuti nell’elaborazione della scrittura: il primo avrebbe creato i trigrammi divinatori, il secondo le cordicelle annodate e il terzo avrebbe presieduto alla trascrizione dei segni della natura. bāguà
bāguà
1. I trigrammi — I trigrammi (八卦) consistono in una serie di otto simboli formati da segmenti di retta, di pari lunghezza, interrotti o meno, ordinati su tre livelli. In questi segni è stata vista una delle origini della scrittura. Materialmente ciò è poco verosimile: si tratta unicamente di linee rette, mentre i caratteri più antichi conosciuti sono composti da linee curve e queste combinazioni astratte non possono in alcun modo rendere conto dei numerosi caratteri primitivi dai tracciati complessi. Coloro che hanno inaugurato questa tradizione erano in grado di vedere quanto noi le differenze materiali tra le forme: il legame che stabilivano tra il 八卦 e la scrittura era verosimilmente ideologico più che tecnico. 2. Le cordicelle annodate — L'imperatore Shen Nong avrebbe insegnato alle genti ad annodare cordicelle per registrare gli eventi e fare di conto. Le descrizioni degli autori cinesi che riportano questa leggenda rievocano piuttosto fedelmente i quipus degli Inca. Non pare inverosimile che tale sistema di censimento e contabilità sia stato in uso in un’epoca in cui la scrittura era poco sviluppata. Tuttavia, anche qui è difficile ammettere una derivazione diretta delle forme grafiche da questo modo di espressione. L’accento sembra dover essere messo in questo caso sulla funzione assegnata a questi codici così come viene descritta nei testi antichi: registrare gli eventi e santificare i contratti. Le cordicelle annodate non costituivano una scrittura nel senso in cui l'abbiamo definita nel primo capitolo, perché esse non comportavano necessariamente, per quanto ne sappiamo, una ‘lettura’. Tuttavia, esse prefiguravano alcune funzioni sociali della
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scrittura: conservare il ricordo del passato storico e assicurare la perennità dei legami contrattuali tra i membri della società. 3. Segni della natura — È sotto il regno del terzo imperatore semi-mitico, Huang di, che sarebbe vissuto nel XXVI secolo a. C., che un ministro di nome Cang Jie avrebbe inventato la scrittura cinese così come la conosciamo oggi, “dopo aver studiato i corpi celesti e le loro formazioni e gli oggetti naturali attorno a sé, in particolare le impronte lasciate da uccelli e animali”. In queste parole emerge un tema importante che sarà spesso ripreso in seguito: il rapporto della scrittura con la natura, che riguarda l’atto di scrivere sotto diversi aspetti: — il ruolo del discorso scritto, contemporaneamente ‘emblema’ (Granet) e principio organizzatore del mondo; — la forma dei caratteri, molti dei quali rappresentano (senza che esista un legame necessario con il significato del carattere) tale o talaltra realtà naturale: acqua, fuoco, erbe, legno, cavallo, eccetera; — il tracciato di ogni carattere che deve, almeno per il letterato calligrafo, essere ispirato dalla contemplazione dei movimenti nella natura: acqua che scorre in una cascata, volo degli uccelli, canne al vento, eccetera. II — Prime tracce: ossa e carapaci 1. Scoperta — Nel corso dell'inverno 1898-1899, in un villaggio vicino ad Anyang (città dello Henan situata a nord del Fiume Giallo) in seguito alla piena di un fiume che trascinò via alcune zolle di terra, emersero “frammenti di carapaci di tartaruga e di scapole di cervo con delle iscrizioni”. Circa tremila di questi frammenti, inizialmente ritenuti “ossa di drago” dagli abitanti e ridotti in polvere per essere venduti come medicine, arrivarono tra le mani del letterato Liu E (o Lieou Ngo), dopo diverse peripezie in una Cina sconvolta dalla rivolta dei Boxer e dal successivo intervento straniero. Nel 1903 egli pubblicò un’opera in cinese sull'argomento, con ottocento riproduzioni a stampa delle iscrizioni.
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Nel 1904 apparsero le prime interpretazioni. La scoperta fu pubblicizzata all’estero da Frank H. Chalfant, in uno studio sulla scrittura cinese arcaica: Early Chinese Writing, pubblicato in un volume del 1906 delle Memoirs of the Carnegie Museum. Studi sistematici seguirono piuttosto velocemente, e in parallelo scavi archeologici fornirono una considerevole quantità di materiale. 2. Descrizione — Su uno dei lati delle ossa e delle scapole si vedono degli alveoli incisi a distanze regolari, nei quali venivano inseriti punteruoli arroventati sul fuoco. Così, sull’altro lato, apparivano delle crepe che venivano interpretate a scopi divinatori. Una piccola parte di questi oggetti rituali riporta alcune iscrizioni sulla parte crepata. Mentre le crepe servivano a comunicare con gli antenati o gli dèi, le iscrizioni avevano la funzione di archiviare a posteriori alcune delle domande sottoposte a divinazione, quindi non avevano, come invece si pretende, una diretta funzione oracolare.① Infine, l’identificazione di parole grammaticali e la possibilità di descrivere la grammatica di questi testi dimostrano che si tratta effettivamente della scrittura di una lingua reale e non di una semplice annotazione mnemonica. I caratteri incisi sono tracciati su colonne verticali, dall’alto in basso. Le colonne sono ordinate da sinistra a destra o viceversa da destra a sinistra. La grandezza dei caratteri è irregolare, come anche la lunghezza delle righe. Uno stesso carattere non è sempre orientato secondo la direzione che assume regolarmente nelle epoche successive: si può dire che talvolta è dritto, talaltra sdraiato su un lato. Tutto ciò può essere imputato all’irregolarità del supporto. Inoltre, si trovano spesso caratteri sparsi in gruppi di due o tre, separati dall'iscrizione principale o a margine. Sono stati identificati tre tipi di iscrizioni a margine: cifre che indicano un ordine per le diverse parti dell’osso o del carapace, senza dubbio per indicare una sequenza nell’esame delle crepe; caratteri isolati o in coppia, ordinati in colonna, che interpretano le crepe come buon augurio o meno; gruppi di tre caratteri in fila che descrivono l’aspetto fisico, materiale, del supporto precedentemente ① Cfr. Djamouri, R., Écriture et divination suous le Shang, Extrême Orient - Occident, 21, 1999, pp. 11-35.
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surriscaldato. Queste annotazioni aggiuntive dimostrano che (in questi esempi) la scrittura non è soltanto parte di un rito, ma anche elemento messo a disposizione per l’individuazione, la classificazione e la registrazione di dati. Un altro aspetto rilevante è che i gruppi di due caratteri in colonna sono stati interpretati dai filologi cinesi come termini composti e chiamati hewen, ‘caratteri congiunti’: ne deduciamo che in cinese la tendenza a utilizzare parole di due sillabe non è una novità. 3. La scrittura — Fin dai primi ritrovamenti, sono stati rinvenuti all’incirca tremila frammenti che presentavano più di seicento segni diversi. Quindi la decifrazione era frammentaria. Dopo un secolo di scavi e di studi sono state portate alla luce del giorno e analizzate all’incirca centomila iscrizioni. Non tutte sono state decifrate e molte formule sono identiche. Si è comunque riusciti ad archiviare fino a cinquemila caratteri diversi, a metà dei quali è stato associato con certezza un significato: questi caratteri, nel principio e nella struttura, sono di fatto gli stessi caratteri in uso oggi. La difficoltà nel decifrarli è conseguenza del fatto che la realizzazione dei tracciati si è considerevolmente evoluta nel corso delle epoche, in particolare con il cambiamento dei supporti e degli strumenti di scrittura. Per un dato carattere si rilevano spesso numerose variabili: sono stati contati quarantacinque tracciati diversi per il carattere 羊 ‘montone’; queste realizzazioni piuttosto diversificate condividono comunque alcune caratteristiche costanti nella struttura di ogni carattere. D'altronde, vi sono molteplici esempi di uno stesso carattere riprodotto in maniera identica in testi diversi: ciò dimostra che tale scrittura era l’uso di un'intera comunità e non il passatempo di pochi eletti. Per quanto riguarda i tracciati, i caratteri sono composti prevalentemente di tratti dritti dalle terminazioni brusche; presentano anche alcuni tipi di curve, tra cui il cerchio. Erano incisi con dei punteruoli; tuttavia, alcuni portano tracce che fanno supporre l’uso, fin da queste epoche, di una specie di pennello.
yáng
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III — La scrittura sotto la dinastia Zhou e i regni combattenti (1027 - 256 a. C.) Secondo la tradizione la scrittura era stata oggetto di un primo tentativo di codificazione all’epoca dei Zhou occidentali ② verso l’800 a. C. Per regolare gli usi regionali o individuali sarebbe stato fatto il censimento di circa un migliaio di caratteri. I caratteri, tracciati su lamelle di bambù, avrebbero costituito un elenco in quindici sezioni e sarebbero stati adottati ufficialmente a corte come modelli per l’insegnamento. Questa raccolta non è giunta fino a noi, ma alcune recenti scoperte archeologiche attestano che le riforme della scrittura effettuate sotto il primo imperatore Qin shi Huang di (si vedano le pagine seguenti) non furono, come suggerisce la storia ufficiale, effetto di un brusco cambiamento, ma risultato di un lungo processo. Esistono tuttavia dei limiti a questa ‘tendenza all’ordine’. Su numerosi oggetti del periodo i caratteri sono ancora di misure variabili, mal allineati, hanno un tracciato spesso contorto; il modo di scrivere tale o talaltro carattere non appare completamente codificato. 1. Le vestigia — I bronzi hanno fornito gran parte dei saggi pervenuti fino a noi. Raramente incise, le iscrizioni erano nella maggior parte dei casi colate nel metallo e molto belle. Nel corso di recenti scavi di sepolture in questi ultimi decenni sono state rinvenute numerose lamelle di bambù con iscrizioni. Queste vere e proprie biblioteche contengono versioni dei classici considerevolmente precedenti a quelle già conosciute. Poiché le cordicelle che legavano tra loro gli elementi sono sparite, sono emerse difficoltà (talvolta di difficile soluzione) nello stabilire l’ordine delle lamelle. Il loro formato allungato è all'origine dell’impaginazione verticale dei libri in epoche successive, che si limitarono a riprodurre la giustapposizione delle tavolette. È infine opportuno menzionare l’esistenza di iscrizioni su seta. 2. Situazione alla fine dei Zhou — Il potere centrale sotto i Zhou posteriori era molto debole, le regole non venivano più ri②
Per la dinastia Zhou si distinguono due periodi: quello dei Zhou occidentali, o anteriori, insediati nel nord-ovest della Cina, e quello dei Zhou orientali, o posteriori, che furono obbligati a trasferire la capitale a est in seguito ai barbari. I primi furono potenti, i secondi persero ogni potere sugli stati feudali che contendevano l’egemonia (Regni combattenti).
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spettate. La scrittura era impiegata in tutti i principati feudali che si spartivano il potere effettivo, ma spesso si parlavano dialetti diversi. Ed è precisamente questa l’epoca in cui si svilupparono i movimenti filosofici. La scrittura ufficiale (大篆) sarebbe stata conservata nella regione dove era stata fondata la prima capitale Zhou, a ovest della Cina. Il principato Qin, che occupava le province al confine occidentale dell’impero Zhou, pretendeva di aver conservato molte delle antiche tradizioni e, in particolare, di usare una scrittura molto simile al 大篆 (o ‘gran sigillo’). 1 Ciò spiegherebbe la ragione dell’uso indistinto dei termini ‘stile del grande sigillo’ e ‘stile del sigillo di Qin’ nei testi. Era, in sostanza, un isolotto di conservatorismo situato alla periferia della Cina. E giustappunto i principi di Qin avrebbero a poco a poco conquistato l’egemonia su tutta la Cina e si sarebbero impossessati dell'impero.
dàzhuàn
dàzhuàn 1
IV — La scrittura sotto la dinastia Qin 1. La standardizzazione di Qin shi Huang di (221-207 a. C.) — Non è necessario soffermarci in questa sede sulle motivazioni politiche di questa sistematizzazione: per unificare l’impero e lottare contro i particolarismi l’imperatore impose regole comuni per tutti gli oggetti coinvolti nelle comunicazioni o negli scambi: pesi e misure, monete, mezzi di trasporto (scarto dei carri) e, ovviamente, scrittura. In parallelo c’era una motivazione pratica: l’amministrazione di un grande impero sarebbe stata appesantita se fossero stati necessari calcoli laboriosi per il cambio. Si tramanda che Qin shi Huang di si appropriasse ogni giorno di centoventi libbre (circa 60 chilogrammi) di raccolto: era prima dell’invenzione della carta. Qin shi Huang di fece compilare da un gruppo di letterati diretti dal ministro Li Si un “manuale che conteneva, si dice, tremila caratteri, il cui impiego diventò obbligatorio per tutti gli scribi”. Questi caratteri furono chiamati 小篆 , ‘del piccolo sigillo’. 2 Li Si e i suoi assistenti non avevano introdotto principi nuovi, avevano semplicemente eliminato alcune varianti e semplificato l'ese-
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xiăozhuàn
90 dàzhuàn
jīnwén gŭwén 3
lìshū xiăozhuàn
lìshū
lìshū lìshū
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cuzione tecnica: le linee sinuose dei caratteri Zhou (大篆) sono sostituite da rette o da curve arrotondate, le intersezioni sono ad angolo retto, i tratti di larghezza costante. Tutti i caratteri possono essere iscritti in rettangoli dalle misure pressoché identiche, con il lato lungo collocato in verticale. La scrittura acquisisce così grande unità di stile e leggibilità. È probabile che una delle ragioni per la messa al bando delle ‘Cento scuole’, che diventò evidente in occasione del famoso ‘rogo dei libri’ (213 a. C.), fu di eliminare le opere scritte in grafie ‘corrotte’, impedendo quindi la conservazione di scritture appartenenti ad antichi principati ormai parte dell'impero Qin. Si trattava forse dell’unico mezzo utile per imporre la nuova regola e sancire l’abbandono delle altre forme. Il successo della riforma non impedì l’emergere di una controversia sui testi classici che attraverserà tutta la storia della filologia cinese. I sostenitori del 金文, ‘testo nuovo’, declamato a memoria sotto i primi imperatori Han e trascritto nella nuova scrittura standard, si opponevano a quelli del 古文, ‘testo antico’, scritto in grafie antiche, così come sarebbe stato rinvenuto all’interno di un muro della casa di Confucio. Comunque sia la drastica sistematizzazione operata all’inizio dell'impero ha permesso, a partire da quell'epoca, lo sviluppo di diversi stili paralleli, senza che la scrittura perdesse in unicità. 2. Apparizione di una ‘scrittura in tratti’: il 隶书 — Nella scrittura 小篆 , derivata dalle tecniche di incisione come tutte le precedenti, i caratteri erano formati da linee rette o curve, sottili, di spessore costante. All'epoca in cui si sviluppa l’uso del pennello, appare lo stile detto 隶书, o ‘scrittura dei funzionari’: si tende a lasciar variare lo spessore delle linee, cresce la proporzione delle linee rette, i caratteri sono leggermente più larghi che alti. Gli archeologi hanno ritrovato oggetti precedenti ai Qin (monete, strumenti di misura) che mostrano caratteri simili al 隶书. Tuttavia la tradizione colloca l’invenzione del 隶书 in periodo Qin perché a quel tempo il suo uso ha avuto ampia diffusione. 3
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Una volta definita chiaramente l’identità di ogni carattere, grazie alla standardizzazione operata da Qin shi Huang di e Li Si (xiaozhuan), non vi era ragione per non semplificarne anche l’esecuzione grafica. Sotto i Qin, tutte le iscrizioni su pietra o bronzo e in generale i testi ‘ufficiali’ erano in 小篆, ‘caratteri del piccolo sigillo’, mentre i documenti pubblici e gli scritti di vita quotidiana erano in 隶书. Sotto gli Han③ i 篆书 (le scritture del ‘grande sigillo’ e del ‘piccolo sigillo’) divennero tanto rare da essere conosciute soltanto a pochi specialisti all’inizio della nostra era. Anche per questa ragione Xu Shen compilò lo 说文解字, un dizionario di caratteri scritti in 小篆: in questo modo ci è stata tramandata la forma di tutti i caratteri d’uso comune in quella grafia. Sotto i Qin sono quindi accaduti due importanti eventi per la storia della scrittura cinese: 1. u na codificazione, che istituisce una sola grafia per ogni carattere, scritta con uno stile omogeneo (小篆); 2. una trasformazione del metodo di esecuzione dei caratteri: si passa dalla preponderanza delle linee curve a quella dei ‘tratti’ (隶书). Il 隶书 è la prima delle grafie moderne. Sono stati scoperti in Asia Centrale pezzi di bambù e di legno che datano alla fine del I secolo della nostra era, sui quali funzionari subalterni, senza pretese di calligrafia, avevano tracciato testi amministrativi: qualsiasi cinese della nostra epoca capace di leggere li può decifrare senza difficoltà. 3. Diversificazione dello stile sotto gli Han — Verso l’inizio della nostra era apparvero nell’ordine tre stili di scrittura: 4 lo 草书,④ lo stile da scrittura in brutta copia, il 行书, lo stile corsivo e il 楷书, lo stile regolare. Lo stile 草书, il più libero, presenta due caratteristiche: 1. Alcuni tratti, alcuni elementi del carattere, vengono omessi; eccetto che per i caratteri che comportano un numero esiguo di tratti, quasi tutti gli elementi sono rappresentati da forme ③
206 a. C. - 220 d. C. Non traduciamo 草书: il carattere 草, che significa ‘erbe’, è stato preso in prestito per 草 ‘fare la brutta copia’; è a questo secondo significato che si riferisce 草书 ‘scrittura da brutta copia’. ④
xiăozhuàn lìshū zhuànshū
shuō wén jiě zì xiăozhuàn
xiăozhuàn
lìshū lìshū 4
căoshū xíngshū kăishū căoshū
căoshū / căo căo / căoshū
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căoshū
xíngshū
căoshū xíngshū kăishū lìshū kăishū lìshū
La scrittura cinese
abbreviate. Di fatto si tratta di una ‘scrittura di scrittura’. Creata a partire dalla necessità di concisione, è rapidamente diventata un’arte astratta o un sistema di segni: lo 草书, comprensibile solo agli iniziati, è inutilizzabile per la comunicazione quotidiana. 2. I tratti perdono la propria individualità, sono legati: si finisce per scrivere ogni carattere con un solo movimento, per poi legare i caratteri tra loro fino a scrivere una intera colonna con uno stesso gesto del pennello. 行书 ‘scrittura corsiva’. La scrittura corsiva influenza soltanto le modalità di esecuzione: i caratteri conservano tutti gli elementi e rimangono separati gli uni dagli altri, ma sono tracciati velocemente. I tratti sono legati tra loro, gli angoli sono arrotondati. È uno stile pratico, contemporaneamente chiaro da leggere e facile da eseguire. È difficile tracciare un confine definito tra lo 草书 e il 行书: si passa insensibilmente dall’uno all’altro. 楷书 ‘stile regolare’. Nello sforzo di sviluppare al massimo le qualità di precisione del 隶书, è stato creato uno stile ancora più geometrico, d’una rigida regolarità, il 楷书. Questo stile, poco differente dal 隶书, diventò la norma fin dal II secolo d. C.: da allora quando si parla della “scrittura cinese” senza precisazioni particolari, si fa riferimento giustappunto allo ‘stile regolare’. V — Uso attuale dei diversi stili
kăishū xíngshū
kăishū
A partire dagli Han fino all’epoca contemporanea non vi sono state innovazioni degne di nota. Nonostante tutti gli stili siano ancora in uso, gli unici a essere impiegati oggi sono il 楷书 ‘stile regolare’ e il 行书 ‘stile corsivo. Lo stile regolare domina in maniera quasi esclusiva la stampa, l’informatica e l’insegnamento dei caratteri. L'apprendimento della scrittura cinese inizia sempre da questo stile, in cui la struttura dei caratteri è evidente e chiara, senza ambiguità. Il 楷书 è anche lo stile dei sottotitoli dei film e delle trasmissioni televisive, insomma di tutto ciò che sfugge alla produzione manuale. A mano si scrivono in stile regolare i compiti a scuola, le lettere a persone
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che si rispettano in modo particolare, i moduli amministrativi o in generale tutto ciò che si rivolge a persone che non hanno familiarità con la scrittura. Nei testi manoscritti informali, destinati alla lettura altrui (lettere private, appunti informativi, eccetera) si usa generalmente il 行书 ‘corsivo’. Il termine 草书 designa usi molto diversi a seconda del contesto. In quanto stile di calligrafia, è un privilegio degli artisti: scrivere in 草书 un testo destinato al pubblico richiede uno sforzo intenso. All’estremo opposto, le brutte copie che si scrivono velocemente per se stessi, gli appunti presi a lezione alla velocità della parola, vengono spesso considerati alla stregua dello 草书. La scrittura antica 篆书 è sempre stata usata nella parte superiore delle steli (il resto del testo era in grafie meno solenni) e non è mai stata abbandonata del tutto dai calligrafi. È tornata in auge nel XIX secolo, con lo sviluppo delle ricerche sulla Cina antica e del gusto per l’archeologia. Attualmente, queste grafie vengono studiate solamente per il loro interesse etimologico, eppure godono ancora di grande prestigio. In modesti ristoranti di Pechino nel 1966 si potevano trovare slogan politici scritti in 篆书, e durante la ‘rivoluzione culturale’ si sono visti anche cartelli dai grandi caratteri (大字报) scritti in questo stile. Ora il 篆书 ha una funzione in larga misura decorativa. VI — La riforma effettuata nella Repubblica popolare cinese Poco dopo la fondazione della Repubblica popolare cinese nel 1949, il governo ha proceduto a una nuova standardizzazione della scrittura cinese e ha messo in atto un’importante riforma, finalizzata a semplificare un gran numero di caratteri d’uso comune. 1. Standardizzazione: abolizione delle varianti — Nel corso del tempo e da una parte all'altra dei vasti territori cinesi, hanno proliferato diverse varianti dei caratteri. Il ruolo delle istituzioni statali è sempre stato quello di vegliare sull’unità della scrittura. L'introduzione di varianti nell’uso (in seguito a errori o a in-
xíngshū căoshū căoshū
căoshū zhuànshū
zhuànshū dàzìbào zhuànshū
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yìtĭzì
dàzhuàn xiăozhuàn
5 Esempi abbreviazioni
La scrittura cinese
novazioni individuali) determina una moltiplicazione artificiale del numero dei caratteri. Nel 1955, per rimediare al problema, è stata pubblicata una lista di oltre mille ‘caratteri errati’ (异体字 ). La lista era stata compilata dal Comitato per la riforma della scrittura (Wenzi gaige weiyuanhui), composto da linguisti che lavoravano in collaborazione con l’Accademia cinese delle scienze, con grandi università e con tutte le persone coinvolte in attività per l’alfabetizzazione. Prima di qualificare come “varianti” due o più grafie, bisognava assicurarsi che il loro significato e il loro uso coincidessero esattamente. In seguito, si determinava quale variante fosse più comune o più comoda. 2. Grafie semplificate — Mentre l'eliminazione di varianti più o meno desuete era un meccanismo già rodato in altre epoche della storia della Cina, la semplificazione di numerosi caratteri fu una vera e propria riforma, paragonabile a quella di Qin shi Huang di e Li Si, che semplificarono il 大篆 (scrittura del grande sigillo) dei Zhou in 小篆 (scrittura del piccolo sigillo). In questo ambito è importante distinguere l’uso dalla norma. Fin dall’antichità un certo numero di caratteri d’uso comune sono stati semplificati nella prassi. Esempi di tali semplificazioni si trovano nelle iscrizioni su lamelle di bambù o di legno di epoca Han e nei testi di opere appartenenti a generi letterari non nobili (secondo i criteri cinesi): romanzi o tragedie (edizioni Song e Yuan). Ma queste forme non erano ufficialmente riconosciute. Sotto le due ultime dinastie imperiali (Ming e Qing), l’uso di grafie semplificate era criticato apertamente: era ragione sufficiente per una bocciatura agli esami del mandarinato. Nel 1954, il Comitato per la riforma della scrittura, tornando alle radici della questione, elaborò un progetto che sarebbe stato pubblicato dal Consiglio dei ministri della Repubblica popolare cinese il 28 gennaio 1958. 5 Utilizzarono numerosi procedimenti di abbreviazione: l'uso della forma corsiva, la riduzione del carattere ad una sola parte, l'uso di una forma antica, l'abbreviazione della parte fonetica, una
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nuova forma e l'uso di un altro carattere. Si tratta di uno schema che contiene cinquecentoquindici caratteri semplificati e quarantacinque ‘elementi di carattere’, che semplificano indirettamente tutti i caratteri alla cui composizione partecipano. Di conseguenza, in un modo o nell’altro, sono stati modificati più di millesettecento caratteri. I riformatori hanno adottato solo un piccolo numero di forme nuove; nella maggior parte dei casi si sono sforzati di trovare tracciati più ‘economici’ all’interno della ricca tradizione cinese. Tra le fonti principali si possono citare: ⑤ — Caratteri antichi: 1) elementi senza chiave (ad esempio 云 ‘nuvola’, senza la chiave della pioggia, che il carattere non prevedeva nelle grafie più antiche); 2) caratteri semplici impiegati parallelamente (通用字 ) per una parola data e per un’altra parola con la stessa pronuncia, rappresentata in origine da un carattere più complesso. — Ad esempio 才 ‘talento’ si scrive con tre tratti, 纔 ‘allora’ è composto da ventidue tratti. Nonostante entrambi questi caratteri siano rimasti in uso, in alcuni testi antichi si trova il primo al posto del secondo. Adottando il tracciato a tre tratti di 才 ‘talento’ per indicare 纔 ‘allora’ i riformatori hanno istituzionalizzato una semplice licenza poetica. — Forme ‘volgari’ che non erano registrate nei dizionari ufficiali, ma erano in uso da tempo. Ad esempio 体 ‘corpo’ si scrive in teoria con una grafia a ventitré tratti; ma in pratica in tutti i testi informali veniva scritto con un’altra grafia, che conta solo sette tratti: è quest’ultima a essere stata adottata. — Forme prese in prestito allo 草书 e ‘standardizzate’ (ad esempio 书 ‘libro’, 东 ‘est’). Prima di essere semplificati, i cinquecentoquindici caratteri in causa avevano una media di 16,08 tratti; ora ne hanno una media di 8,16. In base ai risultati di esperimenti che consistono nel far scrivere ad allievi di Scuole Normali liste di caratteri semplificati e non semplificati, si stima un guadagno di due terzi del tempo. L'attuazione della riforma fu immediata nei campi dell’educa⑤
Zhou Youguang, 1964.
yún
tōngyòngzì
cái / cái
cái / cái
tĭ
căoshū shū / dōng
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zione, della pubblicazione di libri e di giornali. La popolazione si adattò velocemente alla riforma, nonostante le reticenze di coloro che, sapendo scrivere, non capivano la necessità di un nuovo sforzo di apprendimento, e degli ambienti acculturati che rimpiangevano che le edizioni antiche fossero diventate inaccessibili alle giovani generazioni. In compenso, quando nel dicembre del 1977 un secondo progetto di riforma propose la semplificazione di 853 caratteri non ancora modificati, le resistenze del pubblico (resistenze più consistenti tra gli strati della popolazione recentemente acculturati che tra gli intellettuali) portarono le autorità ad accantonare il progetto. Questo fallimento fu imputato a deficienze tecniche della riforma. In seguito non se ne parlò più. 3. Conseguenze della semplificazione dei caratteri — Gli obiettivi politici erano la rottura con il passato, la marginalizzazione delle vecchie classi intellettuali e la protezione della popolazione dalla propaganda dei cinesi residenti all’estero che si opponevano al nuovo regime. Di fatto, la semplificazione dei caratteri ha contribuito per circa mezzo secolo a rafforzare la distanza tra i cinesi che vivevano nella Repubblica popolare cinese e quelli di Taiwan e delle comunità cinesi all’estero, dove le grafie tradizionali rimangono tuttora in uso. Fino alla metà degli anni novanta a un primo sguardo si capiva immediatamente se un testo proveniva dal continente o dall’esterno, a seconda che fosse redatto o meno in caratteri semplificati. Oggi questa spaccatura persiste, tuttavia, da un lato e dall’altro una quantità crescente di cinesi acculturati padroneggiano entrambi i sistemi e i divieti perdono il loro peso. In Cina, nell’insegnamento e nella maggior parte delle pubblicazioni sono ammessi soltanto i caratteri semplificati; ma i caratteri tradizionali non sono più tabù. Così le pubblicità sono spesso scritte in caratteri tradizionali, come anche i biglietti da visita, compresi quelli di personalità pubbliche. A Pechino capita persino di vedere annunci composti da parole scritte in parte secondo un sistema e in parte in base all’altro.
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Fino al 1987 a Taiwan le opere scritte in caratteri semplificati erano confiscate dalle dogane ed escluse dalle biblioteche; tuttora restano marginali, ma non sono più messe al bando.
5 Arte e tecniche della scrittura
兰亭
行书
兰亭序
大篆
草书
隶书
楷书
狂草 草
草书
隶书
Arte e tecniche della scrittura
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L'attenzione consacrata all’esecuzione grafica è probabilmente antica quanto la scrittura cinese stessa, come testimoniano le prime iscrizioni su bronzo la cui bellezza non può essere opera del caso. Se si crede alla tradizione, il grande ministro che presiedette alla prima standardizzazione della scrittura (verso l’800 a. C.) tracciò di suo pugno i caratteri scelti. È nel corso dei primi secoli della nostra era che la calligrafia è diventata un’arte fine a se stessa, indipendente dalla funzione significante della scrittura. La scrittura con il pennello fu a lungo il solo metodo di scrittura — a eccezione delle tecniche di incisione. Si può addirittura sostenere che fino a un’epoca recente ogni cinese capace di scrivere conoscesse i rudimenti della scrittura con il pennello. Ora non è più così. Benché il pennello sia ancora largamente diffuso in Cina, non viene più utilizzato quotidianamente; tuttavia è stato di tale importanza nella formazione della scrittura cinese che anche un carattere scritto con la penna a sfera o con il gesso è sottoposto a costrizioni legate in origine all’uso del pennello. I — La tecnica della scrittura con il pennello 1. Strumenti e supporti — In Cina si dedica molta attenzione alla qualità degli oggetti usati per scrivere, spesso molto raffinati. a) Il pennello — Il pennello cinese è costituito da peli di animali legati tra loro all’estremità più spessa, fissati a una canna cava o a un ramo sottile di bambù. Il bambù ‘maculato’ è particolarmente apprezzato. Il manico misura una ventina di centimetri. Si utilizzano peli di animali: montone, daino, volpe, lupo, topo o coniglio, ma anche tigre, lontra, gorilla o mangosta. Si arriverebbe addirittura a “spaccare talvolta un pelo in più fili”. ① Nelle opere antiche si tramanda che si devono raccogliere i peli della lepre in cima alle grandi montagne verso l’ottavo o il nono mese dell’anno lunare; di fatto, gli animali che si trovano a metà autunno nelle pianure del nord della Cina forniscono un materiale eccellente. Tutti i peli devono essere lisci e dritti. ①
Yang Yu-hsun, La calligraphie chinoise depuis le Han, Geuthner, Parigi 1933.
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La scrittura cinese
Ogni letterato ha i propri pennelli; alcuni calligrafi li fabbricano di persona. Alcuni addirittura pare si siano fatti seppellire con i propri pennelli. Il ciuffo del pennello finisce sempre con una punta rastremata, che non si sviluppa mai di piatto ma si curva. Si tratta di uno strumento estremamente sensibile. “La punta del pennello, morbida e sensibile alla minima pressione, produce un tratto più o meno fine, più o meno spesso, con una quantità maggiore o minore di inchiostro, a seconda che la mano faccia una pressione energica o delicata sulla carta; la minima variazione di distanza dal foglio nei movimenti della mano si traduce quindi immediatamente in una variazione del tratto sulla carta”.② In Cina gli stessi strumenti servono a dipingere e a scrivere. b) Inchiostro e pietra da inchiostro — L'inchiostro di Cina, la cui ricetta di fabbricazione daterebbe verosimilmente all’epoca delle prime iscrizioni Shang, è composto da nerofumo ottenuto per combustione da corpi grassi o rami d’albero — abete per gli inchiostri a buon mercato. Dopo qualche tempo questo prodotto, mescolato con una soluzione di gomma, indurisce. È messo a disposizione di chi ne fa uso sotto forma di bastoncini stampati. I bastoncini di inchiostro sono abbelliti da disegni in rilievo e caratteri. Anche i bastoncini di inchiostro ordinario, che si comprano nei negozi di quartiere, mostrano qualche motivo decorativo. Il criterio per riconoscere un buon inchiostro (che può essere color porpora o nero) è la sua lucentezza, che non solo deve essere duratura, ma deve migliorare invecchiando. Un inchiostro di qualità può raggiungere prezzi elevati. L'inchiostro liquido si ottiene fregando il bastoncino d’inchiostro in un poco d’acqua. La soluzione va preparata personalmente al momento di scrivere. Il calamaio, o pietra da inchiostro, è una tavoletta tonda o rettangolare con una superficie piatta sulla quale si sfrega il pezzo d’inchiostro e con un piccolo incavo nel quale si versa acqua pura. I calamai sono in giada, in ceramica o in molti altri tipi di materiale. A partire dai Song si utilizzano soprattutto ② Ryckmans, P., “Les propos sur la peinture de Shi Tao, traductions et commentaires” (Arts Asiatiques, 1963).
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alcune pietre, contemporaneamente porose e morbide; i calamai più comuni sono in ardesia. c) La carta — Sembra che prima dell'invenzione della carta si scrivesse su seta. E anche dopo che l’uso della carta si diffuse si continuò a scrivere e dipingere su seta fino al XX secolo, anche se rapidamente diventò un’eccezione. La carta di Cina, così come la conosciamo, si caratterizza per la sua consistenza vellutata e la superficie leggermente assorbente. Ciò implica che la quantità di inchiostro depositata localmente dipende dal tempo in cui il pennello è rimasto a contatto con la carta. Ogni pausa, per quanto breve, determina un aumento della quantità di inchiostro assorbita dalla superficie. Il calligrafo deve ritmare i propri movimenti in modo che ogni tratto ne riceva la quantità necessaria: nessuna correzione è possibile a posteriori ed è necessario “pensare l’immagine del carattere compiuto prima di appoggiare il pennello sulla carta”. Il ritmo del movimento della mano si percepisce chiaramente alla lettura. Copiare una calligrafia non consiste solo nell’imitare una certa disposizione dei tratti nello spazio, ma anche nel seguire un ritmo. Proprio per questo la contemplazione di una bella calligrafia è stata paragonata all'ascolto di un pezzo musicale ben eseguito. 2. Apprendimento③ a) La struttura dei caratteri — Oltre ai principi fondamentali relativi alla successione dei tratti, che sono stati elencati nel secondo capitolo, si può enunciare un certo numero di regole relative all’equilibrio dei caratteri, che sono valide qualsiasi sia lo strumento con il quale si voglia scrivere e che fanno parte dei rudimenti della calligrafia: — I tratti detti ‘orizzontali’ conferiscono stabilità al carattere; devono essere lineari ed effettivamente orizzontali, oppure leggermente ascendenti da sinistra a destra. Costituiscono con i tratti verticali lo ‘scheletro’, la ‘struttura’ dei caratteri. Le ‘verticali’ sono rigorose; un carattere non deve essere mai ③ L'apprendimento della scrittura ha sempre occupato uno spazio rilevante nell'attività degli studenti. Per quanto riguarda le epoche antiche si veda Zhang Zhigong, Chuangtong yuwen jiaoyu chutan (Elementi di pedagogia tradizionale della lingua), Shanghai 1964.
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inclinato, neppure minimamente. — Quando vi sono più tratti orizzontali in un carattere, la distanza tra loro deve essere mantenuta costante; non devono essere tutti della stessa lunghezza. — I tratti discendenti obliqui (da destra a sinistra o da sinistra a destra) sono “come le membra del corpo umano o i rami di un albero”, non devono essere tracciati meccanicamente. Quando in uno stesso carattere ce n’è più di uno è bene conferire loro lunghezze diverse. — I ‘punti’ sono “come gli occhi e le sopracciglia degli uomini o i fiori e le foglie degli alberi”; la loro posizione in relazione agli altri tratti è importante. Se sono più di uno, non devono essere rigidamente identici. — Un carattere semplice ha delle direttrici principali e un centro di gravità. Per un carattere complesso bisogna considerare la misura relativa degli elementi che lo compongono, il centro di gravità di ognuno di loro e il centro di gravità dell’insieme. In generale la chiave è più piccola dell’elemento fonetico. — I caratteri che comprendono pochi tratti devono essere ampi, ariosi; i caratteri complessi, formati da un gran numero di tratti, devono essere compatti. Se così non fosse, i primi occuperebbero solo una parte del quadrato nel quale sono idealmente iscritti e i secondi ne sborderebbero. Poiché il numero dei tratti varia da un carattere all’altro, il problema di tracciare una serie di caratteri di densità diversa senza creare squilibri spiacevoli si rinnova costantemente. Le qualità perseguite sono: — per i tratti, il massimo della differenza possibile nel quadro rigido imposto dalla struttura dei caratteri (è così che sono ‘vivi’, che sfuggono all’inerzia delle produzioni meccaniche); — per i caratteri, l’aplomb; — per l’insieme del testo, una organizzazione dello spazio in cui la suddivisione degli spazi vuoti è rilevante quanto l’andamento estetico dei tratti.
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b) Pedagogia del pennello — Un cinese è tenuto a maneggiare il pennello con la mano destra. L'apprendimento dei movimenti può cominciare fin dall’età di sette o otto anni, in ragione di almeno un'ora al giorno. In teoria il pennello deve essere mantenuto assolutamente verticale, tra le cinque dita, il pollice in opposizione al medio e l’indice all’anulare, mentre il mignolo sostiene l’anulare. Il palmo forma quindi un incavo dove deve essere possibile collocare un uovo. La presa sul pennello è ferma: il maestro prova a strappare a sorpresa il pennello all’allievo mentre scrive, e quest’ultimo non lo deve lasciare. L'allievo si esercita inizialmente a sollevare il polso, poi il gomito. Per abituarlo a tenere la posizione si posa un peso piatto all’interno del gomito finché il braccio non trema più, le dita ritrovano elasticità, e scrivere con il gomito sollevato non richiede più uno sforzo penoso. I rotoli più grandi si scrivono in piedi. Quando sa tenere con fermezza il pennello e fare l’inchiostro, l'allievo comincia a scrivere in base a modelli, seguendo le riproduzioni di caratteri in stile regolare tracciati da grandi calligrafi. Poi copia questi stessi modelli su un foglio di carta a quadri destinata a questo scopo: il quadrato nel quale si deve iscrivere il carattere è limitato da una linea sottile e diviso in due, quattro o nove parti uguali. Anche avendo raggiunto una notevole maestria, il calligrafo non interrompe mai il suo allenamento. c) Realizzazione dei tratti — Sembra naturale concludere i tratti a punta. Così infatti terminano i tratti sui cocci che tramandano le prime testimonianze della scrittura a pennello. In seguito si prese l’abitudine di nascondere l’inizio e la fine dei tratti con un piccolo movimento di ritorno.④ Negli scritti in stile antico (grande sigillo e piccolo sigillo) tutti i tratti vengono tracciati così; negli scritti in stile moderno (nello stile regolare, 隶书 e nello stile corsivo, 草书, eccetera) si combinano liberamente i due tipi di tratti: estremità arrotondate o acuminate. La larghezza del tratto dipende dalla pressione dei peli del pennello sulla carta: chi scrive deve regolare tale pressione di ④ “Quando si traccia una linea verso il basso, si comincia dirigendo il pennello un poco verso l’alto e facendolo ridiscendere successivamente. Una volta arrivati alla fine della linea tracciata, si fa tornare un poco il pennello indietro. Per scrivere così, i peli del pennello devono essere estremamente morbidi” (testo del 1774, citato da Yang Yu-hsun., op. cit.).
lìshū căoshū
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conseguenza. In genere, si usa solamente metà della lunghezza dei peli, mentre il resto serve da serbatoio per l’inchiostro. I peli del pennello devono rimanere ben dritti; se si allargano, si ricrea la punta facendola ruotare dolcemente sulla pietra e bagnandola nuovamente nell’inchiostro. Per tracciare un tratto, la mano esegue alternativamente movimenti lenti e rapidi, che producono continue variazioni nello spessore del tratto e nell’intensità del colore. La traccia lasciata all’interno del tratto dalla punta del pennello è spesso visibile. Queste indicazioni sono solo i rudimenti: l’essenza dell’apprendimento consiste nello studio dei maestri calligrafi. Questa instancabile ripetizione degli stessi pezzi può essere paragonata soltanto agli esercizi dei musicisti o all’allenamento dei ballerini. Una opera fondamentale come il Classico dei mille caratteri (Qian zi wen), testo di mille caratteri, impiegati tutti una sola volta, sarà ripetuto indefinitamente. II — Calligrafia⑤ Questa arte è oggetto di innumerevoli opere come trattati, manuali, cataloghi di collezionisti, liste di calligrafi celebri, eccetera, che attestano la sua importanza nella civiltà cinese. Non risulta quindi possibile affrontare un discorso sulla calligrafia contemplandone un singolo aspetto. 1. Relazione della scrittura con la natura — I testi cinesi che descrivono l’andamento dei tratti e le qualità plastiche dei caratteri sono di un lirismo stupefacente. “... si deve spingere il pennello fino in fondo in maniera naturale, come un pesce che nuota a suo agio nell’acqua. Qui si scrive con dolcezza, là con forza [...], ma sempre con la naturalezza delle nuvole, spesse o leggere, che scalano la cima di una montagna” (Meng Tian bijing).⑥ “I caratteri scritti da Tchong You assomigliano a fenici che planano nell'aria o a gabbiani che sorvolano la superficie del mare [...]. Wang Hitche (Wang Xizhi) ha scritto caratteri dai modi tanto vivaci quanto draghi focosi che balzano verso il cielo o tigri che si ⑤ ⑥
Cfr. Billeter, J.-F., 1989; Harris e Fong Wen, 1999. Questa traduzione e le seguenti sono quelle di Yang Yu-hsun, op. cit.
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arrampicano sui monti. [...] Suo Tsing ci ha regalato caratteri che assomigliano a uccelli da preda che spiccano il volo in un turbine di vento” (Gu jin shu ren you liie ping, Critica dei calligrafi antichi e moderni). “Nelle opere dei grandi calligrafi moderni si vedono segni dritti come fusi e punti rotondi come gocce di rugiada. Si vedono anche segni curvi come l’apparizione di un lampo o blocchi di pietra che cadono, segni inclinati come uccelli che spiccano il volo o fiere in corsa. I caratteri assomigliano a fenici che danzano, a serpenti che strisciano, a rocce scoscese, a cime ripide. Alcuni caratteri sono pesanti come nuvole dense, altri leggeri come ali di cicala. Sembra che tutto ciò sia una creazione della natura e non il prodotto dell’abilità umana” (Shu Pu, Sun Guoting, epoca Tang). In Cina l’atto di scrivere, lontano dall’essere una violazione dello ‘stato di natura’, è legato al sentimento della natura. Per molti cinesi non esiste un bel paesaggio senza un’iscrizione su roccia, una poesia, un distico o un semplice carattere. 2. Piacere, commercio e potere — Che avessero superato o no gli esami, che avessero fatto oppure no una brillante carriera amministrativa, la maggior parte dei calligrafi cinesi apparteneva alla classe dei letterati funzionari. Quindi tradizionalmente i calligrafi non vivevano del proprio pennello. È importante tuttavia ricordare che questi stessi uomini assicuravano l’attività amministrativa del paese, il che implicava una considerevole attività di scrittura. Il lavoro di copia più banale era senza dubbio lasciato a scribi professionisti, ma per tutte le questioni importanti era necessaria una quantità non irrilevante di atti autografi. Fino al XX secolo il pennello fu simbolo di potere. Esiste senza dubbio una continuità tra l’attività della funzione di mandarino e lo svago del calligrafo. Secondo la tradizione, il grande ministro che presiedette alla prima standardizzazione della scrittura (verso 1’800 a. C.) tracciò di proprio pugno i caratteri scelti. Anche ai nostri giorni, la questione non è insignificante: quando nel 1966
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si decise di cambiare nome all’Università di Pechino, fu Mao Zedong stesso a tracciare i caratteri della nuova denominazione. Fin dagli inizi l’impegno a scrivere bene è stato considerato un affare di Stato, e lo è ancora.⑦ Egualmente importante è ricordare che l’arte della scrittura è strettamente legata alla pittura e alla poesia: raramente si eccelle in uno di questi ambiti e non negli altri. Citiamo solamente Su Dongpo, un grande poeta e uno dei calligrafi più ispirati, o il grande pittore Mi Fu, che raggiunse la perfezione nella copia degli antichi calligrafi.
xíngshū Lán tíng
Lán tíng xù
căoshū
kángcăo căo
3. Condizioni psicologiche e morali — Si tramanda che Wang Xizhi (307-365) scrisse un capolavoro in stile corsivo (行书) nel mese di aprile, mentre si trovava con un gruppo di amici in un luogo chiamato ‘Padiglione delle orchidee’ (兰亭 ), immerso in un paesaggio di montagne, foreste, bambù, ruscelli. Compose un testo in prosa per commemorare la giornata felice e lo tracciò “su una carta di bozzoli di seta, con un pennello di baffi di topo”. Questo saggio di calligrafia (il 兰亭序 ) viene considerato ineguagliabile.In genere si scrive in luoghi sereni, lontano da tutto ciò che potrebbe turbare l’autocontrollo. Questa attenzione all’ambiente circostante deriva dall'idea che la calligrafia coinvolga l’intero individuo. Vi sono tuttavia alcune eccezioni: Huai Su, uno dei maestri dello 草书, osava scrivere dopo aver bevuto vino o ispirandosi a uno spettacolo di danza. Dava libero corso a una ispirazione senza costrizioni e rifiutava qualsiasi convenzione; di conseguenza le sue opere sono spesso illeggibili. Si racconta che una volta abbia scritto imbevendo i capelli di inchiostro. Il suo stile, detto 狂草, ‘草 selvaggio’, ebbe grande influenza in Giappone. Sul piano morale, si tramanda che i calligrafi della corte dei Tang (Ouyang Xun, Yan Zhenging, eccetera) associassero la condotta politica all’arte. Per loro la scrittura, che esprime la qualità dell’uomo, è bella soltanto se l’autore si dedica interamente agli interessi superiori dello Stato. ⑦
Cfr. Kraus, R., 1991.
Arte e tecniche della scrittura
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4. Cultura — Anche quando un calligrafo si distingue in uno stile particolare, li pratica tutti. Ha una conoscenza approfondita delle opere antiche, bronzi, steli, manoscritti, sia che faccia collezione di antichità (come il pittore Mi Fu), sia che abbia accesso a grandi collezioni imperiali o private. Il termine ‘cultura’ non è improprio in questo caso: non è possibile dissociare lo studio dei caratteri antichi da quello dei testi che compongono né dalle tecniche adottate per la loro realizzazione. Fin quando fu introdotto l’uso delle mostre di calligrafia, l’accesso ai documenti autentici fu molto limitato, tanto più che gli imperatori non esitavano a far valere il diritto dello Stato sui ‘beni culturali’. A partire dai Song si sono tuttavia costituiti circoli di letterati grazie ai quali ognuno poteva vedere, copiare, scambiare calligrafie a ogni livello. Far parte di questi ambienti presupponeva un livello riconosciuto di erudizione e gusto. Non bisogna dimenticare che una calligrafia è essenzialmente un testo. Comporre un poema originale o scegliere un’opera da adattare presuppone una vasta cultura. Nell’apprezzare una calligrafia, questa dimensione non è meno importante dell’aspetto visivo. III — Riproduzione della scrittura 1. Incisione su pietra e stampaggio — Benché le grafie antiche (大篆) siano nate da una tecnica di incisione su materie dure e le scritture moderne dalla tecnica del pennello, tutti gli stili possono essere riprodotti con entrambi i processi: fin dagli albori gli stili antichi sono scritti con il pennello e le calligrafie in 隶书 o in stile regolare (楷书) sono state riprodotte su pietra. In Cina si trovano innumerevoli steli funerarie o commemorative di eventi di vario genere. “Sono monumenti limitati a una sola tavola di pietra, posta in verticale, che porta un'iscrizione. Incastonano nel cielo di Cina le loro fronti piatte. Le si urta inavvertitamente: al margine delle strade, nei cortili dei templi, davanti alle tombe”.⑧ Il testo veniva scritto su un foglio di carta che era poi applicato sulla superficie levigata della lastra da incidere. L'o⑧ Segalen, V., Stèles, Parigi 1914.
dàzhuàn
lìshū kăishū
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La scrittura cinese
riginale veniva distrutto al momento dell’incisione, perchè l’incisore intagliava attraverso la carta. La diffusione della calligrafia si è largamente fondata sullo stampaggio di questi testi incisi. Lo stampaggio consiste nell’applicare un foglio di carta fine e resistente su una pietra solcata da un'incisione, poi nel premere con un tampone bagnato in modo che la carta penetri adeguatamente nelle parti concave. Poi si passa dell'inchiostro sulla carta: i solchi restano bianchi, l’incisione appare bianca su fondo nero. In Cina, la disponibilità di carta da poter sottoporre a impressione ha senza dubbio facilitato il passaggio dal sigillo — diffuso in tutto il mondo antico — alla stampa. Lo stampaggio di pietre incise è ancora usato ai giorni nostri. J. Gernet ha scritto in merito: “...i procedimenti di riproduzione fedele della calligrafia sono stati sviluppati in Cina prima delle tecniche finalizzate alla mera diffusione comune di testi. La pratica dello stampaggio su pietra pare risalire al 500 d. C. circa, ma è ancora in auge oggi perché rappresenta un mezzo di riproduzione fedele e a buon mercato di belle calligrafie: non si sovrappone alla stampa che mira a soddisfare altri tipi di bisogni”.⑨ 2. Xilografia — Allo stesso modo dello stampaggio, la xilografia (riproduzione a partire dall’incisione su legno) fu inventata in Cina nel corso dell’VIII secolo. Fu un primo processo di stampa, non per elemento grafico (carattere o lettera), ma per pagina. La xilografia conobbe un successo così durevole che ostacolò per secoli il progresso della stampa a caratteri mobili. Si traccia il testo su un foglio sottile e trasparente di cui si applica il rovescio su una piccola lastra di legno (generalmente di pero). Si incidono in rilievo i caratteri che appaiono invertiti. Dopo l’inchiostrazione, la lastra imprime caratteri neri su fondo bianco. All’epoca dei Song (X - XII secolo) le edizioni xilografiche erano così belle da meritare di riportare la firma del calligrafo. Queste tecniche sono ancora in uso in Cina; il paese esportava qualche decennio addietro libri buddhisti riprodotti per xilografia, sia partendo da lastre esistenti che usando nuove incisioni. ⑨ Gernet, J., “La Chine, aspects et fonctions psychologiques de l’écriture”, in L'écriture et la psychologie des peuples, Centre international de synthèse, Paris 1963.
Arte e tecniche della scrittura
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Da quando i procedimenti fotografici hanno dimostrato di essere particolarmente adatti alla riproduzione della scrittura cinese, la xilografia ha conservato solo un ruolo marginale. 3. Stampa — La stampa a caratteri mobili è menzionata in un testo cinese dello XI secolo, ma le prime grandi impressioni tipografiche sono state realizzate in Corea dove nel 1403 furono fusi centomila caratteri. Considerati i suoi caratteri isolati e di grandezza omogenea e il rigore dei suoi tracciati, la scrittura cinese si adattava bene alla tecnica dei caratteri mobili, Il suo uso non poneva i problemi incontrati dai primi stampatori europei di fronte alle legature e alla scelta, in una tradizione manoscritta anarchica, di grafie chiaramente leggibili. Tuttavia, a parte qualche grande impresa (una vasta collezione di racconti, una enorme enciclopedia), la stampa a caratteri mobili ha avuto in Cina un successo limitato fino al XIX secolo. Ciò sembra dovuto all’aspetto meccanico e impersonale che questa tecnica conferisce ai testi e soprattutto al suo costo molto più elevato di quello della xilografia. Una tipografia tradizionale in Cina si distingue da una sua omologa in Europa unicamente per la misura delle casse: queste comportano necessariamente svariate migliaia di caratteri per ogni corpo, sebbene il loro ordine fosse sufficientemente noto ai proti cinesi perché fossero comunque in grado di comporre rapidamente. Con l’introduzione della fotocomposizione, l'aspetto dei laboratori e il lavoro dei tipografi sono diventati identici in tutti i paesi. IV — Uso di tecniche diverse Il pennello non viene più utilizzato — al di là del diletto di pochi — che per alcune pubblicità, composizioni decorative e i testi augurali su carta rossa che decorano porte e case per l’anno nuovo. È anche il modo migliore per scrivere a grandi caratteri cartelli manoscritti. Questo spiega perché, a Pechino, la rivoluzione culturale è stata accompagnata da una considerevole espansione delle vendite di pennelli e inchiostro. La penna, a sfera o stilografica, è d’uso quotidiano: corrispon-
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La scrittura cinese
denza privata, lavori amministrativi, fatture, appunti a lezione, eccetera. In Cina la lavagna viene usata non solo a scuola e nelle sale di riunione, ma anche nelle unità militari: le squadre più piccole ne portano spesso almeno una nel corso dei loro spostamenti. Infine, l’uso dei computer ricopre un ruolo importante, non solo nelle tipografie, ma anche nella vita quotidiana di un numero sempre crescente di cinesi. V — La scrittura su computer La possibilità di riprodurre un testo cinese su una tastiera standard costituisce il maggiore rivolgimento tecnico dall’invenzione della stampa xilografica. Vengono offerte due opzioni principali: ci si può avvalere di una trascrizione fonica o di un’analisi delle forme grafiche, indipendente dalla lettura delle parole. Nella codificazione per suoni si digita sulla tastiera la trascrizione del carattere individuato 0, sempre più spesso, della parola intera quando è bisillabica. È quindi necessario sapere la pronuncia esatta dei caratteri in lingua standard ed essere a proprio agio con il sistema di trascrizione utilizzato. Quando si digita una sequenza di lettere coerenti, sullo schermo appaiono tutti i caratteri corrispondenti. Se si conosce il tono e lo si indica, se ne riduce il numero. Successivamente, non manca altro che selezionare il carattere scelto ed esso si colloca alla fine del testo. La codificazione grafica richiede un apprendimento specifico. Si fonda sull’analisi dell’ordine dei tratti, della posizione e della struttura dei diversi elementi nel carattere. È necessario conoscere bene l’ordine di successione dei tratti e degli elementi del carattere, cose che ogni cinese che sa scrivere padroneggia, ma anche memorizzare il codice creato dagli informatici per stabilire una corrispondenza tra un tratto o una sequenza di tratti in tale posizione e specifiche lettere della tastiera. L'apprendimento è più lento che nel caso della riproduzione per trascrizione, ma una volta acquisita la tecnica la velocità è maggiore, perché si fa una sola operazione (digitare) invece di due (digitare e selezionare). Tale
Arte e tecniche della scrittura
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sistema, più veloce, è preferito dai professionisti e dalle persone che non conoscono la pronuncia esatta del cinese standard. Il fatto che sulla stessa tastiera si possano riprodurre la scrittura cinese e alfabetiche permette di integrare le due, ad esempio di citare parole o frasi italiane in un testo cinese o viceversa. La compatibilità della scrittura cinese con le tecniche moderne di trattamento dei testi ha già permesso al mondo cinese di conoscere, con solo qualche anno di ritardo sull’Europa e gli Stati uniti, un profondo cambiamento nell’impressione, nella riproduzione e nella diffusione di testi, senza pertanto abbandonare la sua scrittura specifica. Il lavoro realizzato per lo stoccaggio, la riproduzione e il trattamento dei caratteri cinesi è un dato di fatto. Quindi chiunque abbia l’equipaggiamento necessario per il trattamento di testi in cinese è in grado di ricevere posta elettronica o accedere ai numerosi siti in lingua cinese in rete.
6 Differenze tra le lingue trascritte con la scrittura cinese
国语 喃字
普通话 カタカナ 假名 假名
假名 假名
カタカナ ひらがな
ひらがな 假名
假名
人 山 假名 儒字 ひらがな
假名
普通话
Differenze tra le lingue trascritte e la scrittura cinese
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Nel corso della sua storia la scrittura cinese è rimasta unitaria, a differenza di quella alfabetica che si è differenziata in diverse tipologie (europeo, semitico, indiano), che comportano al loro interno un gran numero di varianti. La lettura di un’unica scrittura cinese in un’area in cui coesistono molteplici dialetti e la diffusione di questa scrittura fuori dalla Cina hanno creato l'illusione che questa annotasse più lingue, il che non è vero. I — I dialetti cinesi Tutti i cinesi (abitanti in Manciuria, a Pechino, Canton o Singapore) parlano l’una o l’altra varietà di ‘cinese’, infatti il loro uso parlato ha un’origine comune ed è caratterizzato dal fatto che tutte le sillabe sono dotate di significato. Tuttavia, in molti casi, la comunicazione orale tra queste persone è impossibile se si limitano al loro ‘dialetto’, al loro parlare quotidiano. Di fatto l’unità linguistica del mondo cinese è reale solo a livello scritto. In Cina esistono due ambiti linguistici distinti, se si tralasciano le lingue non cinesi (tibetano, thai, mongolo, uiguro, miao, yao, eccetera) parlate nelle regioni abitate da ‘minoranze nazionali”. La zona del ‘mandarino’ copre tutto il nord (fino al Fiume Azzurro), il Sichuan e le popolazioni cinesi del Guizhou e dello Yunnan. È una zona omogenea, nella misura in cui le differenze di pronuncia all’interno dell’area non sono tali da impedire alle popolazioni di luoghi diversi di comunicare. La seconda zona dialettale, che corrisponde alle province costiere situate a sud del Fiume Azzurro oltre allo Hunan e al Jiangxi, è frammentata in un gran numero di parlati diversi: persone originarie di località situate a qualche decina di chilometri di distanza le une dalle altre possono incontrare grandi difficoltà a comunicare — e, naturalmente, non capiscono il mandarino se non lo hanno imparato a scuola come seconda lingua. Attualmente, gli abitanti della Cina sono tenuti a imparare la ‘lingua comune’ (普通话): il mandarino così come viene pronunciato a Pechino. In tutta la zona sud si raggiunge un bilinguismo per il momento ancora parziale. La maggior parte dei cinesi all’estero proviene dalla zona dialettale del Sud.
pŭtōnghuà
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guóyŭ pŭtōnghuà
La scrittura cinese
Anche a Taiwan, dove la lingua locale, il taiwanese, appartiene alla famiglia dialettale Min, l'insegnamento si svolge in lingua cinese standard: il 国语, ‘lingua nazionale’. Si può dire che, chiamata 普通话 o ‘mandarino’, si tratta comunque di una stessa lingua, che viene insegnata a scuola ed è l’unica a essere scritta. E proprio per questo, qualsiasi sia l’uso locale, la comunicazione scritta crea difficoltà ai cinesi scolarizzati. È importante sottolineare che i dialetti non sono confinati tra le mura di casa: in una città come Shanghai vengono utilizzati anche nel commercio, nelle banche, in spettacoli, all'università — perlomeno quando non ci si rivolge a cinesi provenienti da altre zone o a stranieri. Negli ultimi anni, l’unicità millenaria del cinese scritto è stata messa in discussione a Hong Kong dove si trovano giornali popolari in cantonese e, in misura minore, a Taiwan dove tende a costituirsi una lingua taiwanese scritta sebbene limitata a pubblicazioni a diffusione modesta. Questo allontanamento dalla norma resta marginale; tuttavia, influenza anche l’informatica, giacché a Hong Kong si trovano programmi in cui i caratteri cinesi si inseriscono utilizzando la trascrizione alfabetica del cantonese. II — Lingue non cinesi Diversi paesi, che hanno subito nel corso dei secoli l’influenza culturale della Cina, hanno adottato la scrittura cinese sia per le parole di importazione, sia per trascrivere la propria lingua orale. Ne sono risultati sistemi eterogenei, più o meno longevi. Attualmente, il vietnamita si scrive con le lettere dell’alfabeto, il coreano dispone di un proprio sistema alfabetico, e conserva solo un uso marginale dei caratteri cinesi, mentre il giapponese, che mescola segni sillabici e caratteri cinesi, non sembra intenzionato ad abbandonarli. 1. Coreano — L'introduzione della scrittura cinese in Corea sarebbe avvenuta nel v secolo d. C., allo stesso tempo per trascrivere i prestiti dal cinese (essenzialmente termini religiosi buddhi-
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sti, amministrativi, tecnici, eccetera) e la lingua coreana, benché la sua struttura fosse diversa da quella del cinese. Nel XV secolo fu inventata una scrittura nazionale coreana, alfabetica e costituita da ventisei segni. Una sua peculiarità è che i segni alfabetici vengono impaginati in modo da ricordare i caratteri cinesi. Le consonanti e le vocali di ogni sillaba sono giustapposte all’interno di un quadrato ideale che riempiono quasi totalmente; queste specie di blocchi compatti sono separati tra loro da spazi uguali. In Corea del Nord, a partire dalla divisione del paese in due stati, la scrittura nazionale ha sostituito completamente la scrittura cinese. In Corea del Sud si scrivono in lettere coreane tutti i documenti ufficiali, i giornali, i romanzi, gli articoli di riviste scientifiche. Tuttavia, talvolta i caratteri cinesi vengono ancora usati per precisare il significato di una parola, evitando il rischio di confusione tra omonimi. Inoltre, nei testi di legge e in tutto ciò che riguarda gli affari giudiziari la presenza di caratteri cinesi è ancora consistente. L’inframmezzare in uno stesso testo segni coreani e caratteri cinesi non produce un effetto esteticamente sgradevole grazie alla disposizione grafica cui abbiamo accennato: le lettere coreane raggruppate in sillabe occupano spazi simili a quelli dei caratteri. Nelle scuole medie e superiori in Corea del Sud si insegnano tuttora milleottocento caratteri cinesi. Tuttavia, la lettura di testi cinesi non è accessibile ai coreani a meno che non abbiano studiato la lingua. Coloro che hanno una buona conoscenza della cultura tradizionale coreana (spesso gli anziani) pur senza sapere il cinese capiscono l'argomento di cui tratta un testo ma non sono in grado di leggerlo veramente. 2. Giapponese — Quando i giapponesi entrarono a contatto con la civiltà cinese (inizialmente attraverso l’intermediazione dei coreani, verso il IV secolo, e poi direttamente) non avevano una scrittura propria. Importarono in parallelo le grafie cinesi e un gran quantità di termini e testi cinesi. La struttura attuale della
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jiămíng jiămíng jiămíng
rén
shān
jiămíng hiragana
La scrittura cinese
scrittura giapponese può essere considerata frutto della combinazione tra la lingua giapponese e diversi tipi di prestiti. Un testo giapponese comporta una proporzione variabile di caratteri cinesi e di segni sillabici, i kana (假名). Ogni carattere corrisponde contemporaneamente a un suono e a un significato, un kana (假名) ha la funzione di rappresentare solamente un gruppo di suoni. Così, il kana (假名) che si pronuncia ma può trascrivere una qualsiasi sillaba ma contenuta in una parola giapponese, indipendentemente dal suo significato. a) I caratteri cinesi in giapponese — I caratteri cinesi servono innanzitutto a trascrivere i prestiti dal cinese. Una parte della lingua giapponese è frutto dell’importazione contemporanea di una forma orale e di una scritta: la forma orale attuale deriva dalla pronuncia cinese all’epoca del prestito; questo segmento della lingua è chiamato ‘sino-giapponese’. In questo caso, come nel cinese, a ogni carattere corrisponde una sola sillaba. In altri casi, si possono scrivere parole propriamente giapponesi con caratteri cinesi scelti perché associati allo stesso significato. In quel caso, la forma orale resta quella giapponese, mentre viene importata la grafia. Tuttavia, in giapponese un carattere non corrisponde necessariamente a una sola sillaba. Ad esempio, la parola giapponese hito ‘uomo’, si scrive con un carattere che ① anche in cinese significa ‘uomo’ e si legge 人. Allo stesso modo, la parola giapponese yama ‘montagna’ si scrive con un unico carattere, che si legge san in sino-giapponese e 山 in cinese. Infine, è importante segnalare che per un certo numero di caratteri d’uso comune la semplificazione dei caratteri, avvenuta nei due paesi con modalità differenti, è sfociata nell’individuazione di forme diverse. b) I ‘kana’ — Il sillabario dei kana (假名) comporta cinquantuno segni e ha due varianti grafiche dagli usi complementari. Gli ひらがな, derivati dalle grafie corsive di caratteri cinesi, servono a trascrivere la fonetica delle parole giapponesi in tutti i casi in ①
Si tratta delle pronunce attuali; allo stesso modo le forme orali al momento del prestito non avevano particolare relazione.
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cui non si utilizzano i caratteri cinesi stessi, oppure (in maniera più generale) servono a trascrivere tutti gli aspetti della lingua giapponese che differiscono troppo profondamente dal cinese per poter essere resi attraverso i caratteri (desinenze, particelle, eccetera). I カタカナ derivano da grafie di elementi di caratteri cinesi e trascrivono le parole di origine straniera diversa da quella cinese (inglese, francese, eccetera), o si usano per precisare la pronuncia di caratteri cinesi poco comuni. Gli ひらがな hanno un aspetto arrotondato e morbido, i カタカナ sono rigidi e spigolosi. c) Impieghi rispettivi di queste scritture — I kana, 假名 (e più in particolare gli ひらがな) sono stati a lungo chiamati ‘scrittura delle donne’. Un tempo l’educazione delle donne era sommaria: non apprendevano che i kana (假名), ciò permetteva loro di accedere a romanzi e ad altri testi letterari, spesso trascritti in quella scrittura, ma impediva loro la lettura di qualsiasi testo considerato ‘serio’ (filosofico, storico, scientifico, tecnico, eccetera) scritto invece in caratteri cinesi. Questa distinzione tra letteratura ‘volgare’ e altri tipi di opere persiste oggi in modo più o meno marcato.
d) Evoluzione recente e prospettive — Fino alla seconda guerra mondiale, tutti i caratteri cinesi potevano essere usati in giapponese, e di fatto molti lo erano. Nel 1927, i grandi quotidiani di Tokio usavano tra i settemilacinquecento e gli ottomila caratteri e si reputava che un lettore acculturato dovesse conoscerne circa cinquemila. Ciò implicava uno sforzo più considerevole rispetto all’apprendimento dello stesso numero di caratteri in cinese, perché in giapponese ogni carattere ha di norma pronunce diverse per le parole d’origine cinese e per le parole giapponesi che trascrive in base al significato. I kana (假名) erano associati ai caratteri per indicare le desinenze grammaticali o per precisarne la lettura nei numerosi casi ambigui. Dopo la seconda guerra mondiale, è stata lanciata una campagna, sostenuta dalle autorità americane, a favore di una pura e semplice romanizzazione del giapponese, vale a dire la sua tra-
katakana
hiragana katakana jiămíng hiragana jiămíng
jiămíng
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jiămíng
La scrittura cinese
scrizione alfabetica in caratteri latini. Una riforma, questa, che si è scontrata con un rifiuto. In parallelo e apparentemente con un miglior risultato, fu esercitata un’energica pressione per ridurre l’uso di caratteri cinesi in giapponese o addirittura per una loro completa soppressione, riportando l’intero sistema grafico al sillabario in kana (假名). Il governo giapponese pubblicò nel 1946 una lista di milleottocentocinquanta caratteri che potevano essere utilizzati ‘temporaneamente’ in attesa di una riforma più radicale.② Questa lista, progettata per costituire un numero massimo provvisorio, diventò di fatto la norma di minima: ciò che viene insegnato nelle scuole elementari e medie. Anche i giornali e le riviste hanno ridotto la loro tipografia in caratteri cinesi a queste milleottocentocinquanta forme. Invece gli scritti tecnici e scientifici tengono relativamente conto di questa lista, utilizzando un numero più considerevole di caratteri. e) Accesso ai testi cinesi — I caratteri cinesi costituiscono una parte intrinseca della scrittura giapponese, quindi il loro uso è sufficientemente diffuso in Giappone perché i giapponesi siano in grado di indovinare il tema di un testo scritto in cinese e perché i cinesi possano intuire l'argomento di cui tratta un testo giapponese in cui la proporzione di caratteri cinesi sia consistente — come nel caso di opere scientifiche. Una lettura nel vero senso della parola, invece, non è possibile — né in un senso, né nell’altro — se si non si è appresa la lingua della controparte.
rúzì
3. Vietnam — Il vietnamita ha cominciato a essere trascritto con la scrittura alfabetica in lettere latine fin dal XVII secolo e questa è diventata la norma all’inizio del XX secolo. A oggi, la conoscenza dei caratteri cinesi è lungi dall’essere scomparsa, ma non si tratta più della scrittura d’uso corrente. Alla scrittura in caratteri cinesi propriamente detti, chunho (儒字 )‘scrittura dei letterati’, corrispondeva una lettura in sinovietnamita, vale a dire una pronuncia derivata dal cinese verso il ② Cfr. Seely, C., 1991.
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X secolo d. C. Inoltre, un certo numero di testi letterari in lingua vietnamita è stato scritto con un’altra espressione grafica, creata a partire da alcuni elementi e secondo i principi della scrittura cinese: il chu-nôm (喃字 ). I caratteri di questa scrittura sono per la maggior parte composti da un elemento tratto da un carattere cinese (o un carattere intero) scelto per il suo significato, e da un elemento (o un carattere intero) scelto per indicare la pronuncia della parola vietnamita che si trattava di trascrivere. Alcuni caratteri sono stati adottati tali e quali per il loro valore fonetico al momento del prestito. III — Scritture derivate Contrariamente a paesi come la Corea e il Giappone, che non possedevano una scrittura quando ebbero i primi contatti con la civiltà cinese, numerose popolazioni situate lungo le frontiere occidentali della Cina utilizzavano scritture alfabetiche per annotare le proprie lingue, appartenenti quasi tutte al gruppo altaico. Questi popoli non hanno mai adottato la scrittura cinese, benché l’abbiano senza dubbio conosciuta e siano stati sensibili al suo prestigio. Scrivere in caratteri cinesi, infatti, li avrebbe obbligati a imparare anche la lingua cinese, poiché le loro lingue non erano in nessun modo coerenti con il sistema sillabico che la scrittura cinese implica. Tuttavia, in diverse occasioni furono inventate nuove scritture, che non erano cinesi ma apparivano simili: segni iscritti in un quadrato o in un rettangolo, tratti rettilinei tracciati in un ordine preciso. Nessuna di queste scritture ha conosciuto una grande espansione o longevità, né un uso protratto nel tempo. Si può citare Xi Xia (Si-hia) o scrittura dei Tangut, che erano insediati nel nord-ovest della Cina (attuali Gansu e Qinghai), il Ruzhen (Jürchen), ai confini della Corea e della Manciuria, e il Qidan (Kitan) in Mongolia orientale.③
③ A proposito delle diverse scritture attestate in un periodo o un altro ai confini della Cina o tra le minoranze del Sud, cfr. Ramsey, R. R., The Languages of China, Princeton University Press, Princeton 1987.
nánzì
7 Trascrizioni alfabetiche del cinese
躺
他 体 探
拼音
朗 榜 注音字母
拼音 反切
拼音
拼音
拼音
国语罗马字 拉丁化
拼音
拼音
拼音
拼音
拼音
读若
拼音
拼音
拼音
拼音
反切 八思巴字母 拼音
Trascrizioni alfabetiche del cinese
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I — Prima dell'era moderna In Cina, l’uso di scritture alfabetiche è un fatto recente, che per molto tempo ha riguardato solo gli stranieri. Un fatto che in alcuni contesti viene presentato come una lacuna, da imputare all’isolamento della Cina o a supposte difficoltà tecniche. Tale punto di vista pare infondato: se i cinesi hanno dimostrato poco interesse per le scritture alfabetiche è perché il loro sistema di scrittura non generava il bisogno di rivolgersi a strutture concorrenti. 1. Influenze asiatiche — La conservazione della propria scrittura non deriva di certo, nel caso cinese, dall’ignoranza di altri sistemi esistenti. Fin dall’introduzione del buddhismo in Cina, all’inizio della nostra era, i cinesi si sono confrontati con l’esistenza di scritture che annotano i suoni della lingua, come nel caso del sanscrito e delle scritture tibetana, uigura, mongola, eccetera. Sotto una probabile influenza indiana, dal VII secolo si sono sviluppati studi fonologici che hanno prodotto un’analisi della sillaba cinese sufficientemente raffinata da poter diventare la base per una trascrizione fonetica. 2. L'esperienza mongola — Nel XIII secolo, dopo la conquista della Cina da parte di Kubilai Khan (il successore di Gengis Khan) i mongoli tentarono di scrivere il cinese con un sistema a base fonetica simile a quelli usati nelle aree occidentali dell'Asia. Nel 1260, Kubilai incaricò un certo Pa’-sse-pa di creare nuovi ‘caratteri mongoli’ per annotare sia i suoni del mongolo (scritti fino ad allora con caratteri uiguri) sia quelli del cinese. Nel 1269, un decreto prescrisse l’uso di tali caratteri in tutto l’impero. Poiché i funzionari erano tenuti a usare esclusivamente la lingua mongola, i testi cinesi scritti in pa’- sse - pa (八思巴字母) sono piuttosto rari. La popolazione cinese da parte sua era assolutamente refrattaria a questa innovazione imposta dall’occupante straniero; quindi appena tramontata la dinastia mongola scomparve tale scrittura.
bāsībā zìmŭ
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La scrittura cinese
3. L'occupazione mancese — I mancesi, popolo nomade di lingua altaica giunto a sud dalla Siberia, conquistarono l’impero cinese nel 1644 e ne mantennero il controllo fino alla rivoluzione del 1911. Una cinquantina d’anni prima di invadere la Cina avevano adottato la scrittura mongola, il cui sistema grafico di origine semitica derivava dagli alfabeti siriano e aramaico. Per adattare la scrittura alla loro lingua, vi aggiunsero punti e cerchi. Tuttavia, sebbene pochi cinesi impararono a parlare mancese, un numero non irrilevante di loro dovette imparare a scriverlo o almeno a leggerlo perché era la lingua ufficiale dell’impero e tutti i documenti amministrativi di alto livello erano bilingui. Inoltre, i testi classici e la letteratura cinese furono tradotti in massa per ordine degli imperatori. Senza entrare nei dettagli di una storia complessa, possiamo rilevare che questo contatto prolungato con una scrittura alfabetica non suscitò alcuna curiosità da parte dei cinesi.
dú ruò fănqiè
4. La scienza fonologica cinese — Molto presto (dal VII secolo), i cinesi si erano preoccupati di descrivere con precisione i suoni della loro lingua per codificare in maniera rigorosa le rime utilizzate in poesia. In parallelo, l'importazione del buddhismo aveva creato un’occasione per scoprire e studiare la scienza fonologica indiana, che ha svolto un’importante funzione di stimolo. I letterati cinesi utilizzarono, per descrivere i suoni della lingua, un certo numero di processi analogici usando i caratteri stessi come termini di paragone, senza alcun riferimento ai valori concreti dei suoni. Il metodo più semplice per indicare la pronuncia di un carattere è citare un altro carattere dalla pronuncia identica o simile, che si presuppone essere nota. Dal I secolo d. C. si trovano formule del tipo x 读若 x', “x si legge come x'”. Nel III secolo comparve un sistema di scomposizione, 反切, fondato sulla suddivisione tradizionale della sillaba cinese in iniziale e finale. La pronuncia di un carattere A è descritta per mezzo di altri due caratteri: un carattere B, che ha la stessa iniziale di A (ma non necessariamente altri elementi in comune), e un caratte-
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re c, che ha la stessa finale di A e il medesimo tono (ma non necessariamente la stessa iniziale). Ad esempio, la lettura del carattere 躺 è resa attraverso due caratteri: il primo che comincia con t- (potrà essere 他, 体, 探, eccetera, tutto ciò che non è iniziale non è rilevante), il secondo che contiene la finale -ang al terzo tono (potrà essere 朗, 榜, eccetera). Questo sistema avrebbe potuto far nascere una scrittura su base fonetica se ogni iniziale e ogni finale fossero state rappresentate sempre dai medesimi caratteri, ma non è mai stato così: la scelta dei caratteri usati nel 反切 è sempre rimasta totalmente arbitraria, si poteva impiegare qualsiasi carattere purché avesse la pronuncia necessaria. Successivamente apparvero i dizionari di rime e le tavole di rime. La loro struttura implicava un'analisi della finale suddivisa in elemento prevocalico, vocale ed elemento finale, tenendo conto del tono. Queste opere non fornivano altro se non un valore fonetico, ovvero la ‘pronuncia’ dei caratteri, ma elencavandoli (in tabelle, colonne, serie di righe) secondo una o l’altra caratteristica fonologica comune. Malgrado la loro natura in qualche modo algebrica, queste tavole costituiscono tuttora uno dei documenti essenziali su cui si fondano le ricostruzioni del cinese antico. Inoltre provano che i letterati cinesi erano addivenuti fin dall’epoca Tang a un’analisi segmentale del cinese, probabilmente sotto l’influenza degli specialisti indù del sanscrito. Di conseguenza appare evidente che, se all’epoca non è stata presa in considerazione la possibilità di una trascrizione alfabetica, non è per mancanza di padronanza delle tecniche, ma perché si non riconoscevano una superiorità a tale sistema. II — Trascrizioni destinate agli europei Matteo Ricci, missionario gesuita in Cina, al fine di facilitare agli europei l'apprendimento della lingua cinese avrebbe pubblicato nel 1605, un opuscolo, oggi andato perduto, che conteneva un testo cinese con la trascrizione alfabetica. Nel 1626, un gesuita fran-
tăng tā / tĭ / tán lăng / băng
fănqiè
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cese, Nicolas Trigault, pubblicò un dizionario che conteneva una trascrizione alfabetica in lettere latine della pronuncia dei caratteri; si trattava di una versione raffinata del sistema di Ricci. Ben presto la differenza tra le lingue europee determinò la moltiplicazione delle trascrizioni, poiché ognuno riportava il cinese in base al proprio sistema fonologico e annotando i suoni in funzione delle regole della propria ortografia nazionale. Padre Prémare, che scrisse una grammatica cinese all’inizio del XVIII secolo,① sottolinea che una medesima sillaba cinese è annotata chi dagli spagnoli, ci dagli italiani, tchi dai francesi. Sebbene i numerosi sistemi di trascrizione sviluppati dagli stranieri abbiano contribuito a creare una situazione totalmente anarchica su piano internazionale, contemporaneamente hanno contribuito a stimolare l’interesse dei cinesi per la scrittura alfabetica. Sono stati censiti trentacinque sistemi di trascrizione.② Uno stesso carattere, ad esempio, era trascritto shang da un inglese, chang da un francese, schang da un tedesco e shcha da un russo. In questa situazione alcune opere divulgative pubblicate in Europa finivano per citare lo stesso personaggio cinese a distanza di poche pagine con ortografie diverse presentandolo come due individui diversi. Attualmente il sistema di trascrizione ufficialmente adottato in Cina è il 拼音, che risulta essere anche il più diffuso in ambito internazionale, in particolare in Europa. L’ISO ③ ha riconosciuto nel 1982 il 拼音 come standard internazionale della romanizzazione del cinese (ISO 7098). III — Trascrizioni cinesi I tentativi stranieri finirono per ricordare ai cinesi che la loro lingua poteva essere trascritta alfabeticamente, in un’epoca in cui i dispiaceri politici del paese e il suo ritardo tecnico incitavano alcuni a ricercare ragioni per l'efficacia occidentale. In questo contesto, poiché la scrittura alfabetica era uno dei beni comuni a tutti gli europei, le si è attribuito il merito di veicolare meglio dei caratteri cinesi una rapida diffusione delle scienze e delle tecniche. ② Zhou Youguang, op. cit. Legeza, I. L., nel suo Guide to Trasliterated Chinese in the Modern Peking Dialect (Leyde 1968), offre delle tavole di conversione per 21 sistemi di uso corrente. ③ International Organisation for Standardisation (Organizzazione internazionale per la standardizzazione).
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Inizialmente i riformatori cinesi si interessarono alle annotazioni in lettere latine dei dialetti del Sud, utilizzate dai missionari protestanti. À partire dal 1900, si sforzarono di creare sillabe o alfabeti originali per la trascrizione del parlato mandarino e più in particolare del pechinese. Dopo numerosi tentativi, nel 1918 viene adottato il 注音字母, un sistema di trentanove segni, dalle grafie spigolose derivanti dai caratteri cinesi, ispirato all’analisi tradizionale della sillaba. Questa trascrizione non era destinata a sostituire i caratteri, ma a precisare la pronuncia della lingua nazionale ed ebbe un effettivo successo sotto la Repubblica; inoltre continua a essere impiegata a Taiwan, dove viene utilizzata per l’insegnamento elementare e per inserire i caratteri al computer. Nonostante ciò le ricerche non furono interrotte, e nel 1926 un gruppo di linguisti cinesi elaborò il 国语罗马字 (GR) che utilizza le lettere latine e contrassegna i toni con la variazione di alcune lettere, non con l’aiuto di accenti o di cifre. Nel 1929 un gruppo di comunisti cinesi e di linguisti russi mise a punto il 拉丁化 — anch'esso in lettere latine — a vantaggio delle popolazioni cinesi stabilitesi in Russia e delle masse cinesi analfabete. Fin dalla costituzione della Repubblica popolare cinese, nel 1949, si mise in cantiere una nuova trascrizione. Nel 1955 si decise di optare per le lettere latine invece di adottare quelle cirilliche o qualsiasi altro sistema tipo kana per facilitare la trascrizione dei nomi stranieri e gli scambi internazionali. Nel 1956, in tutto il paese fu diffuso un progetto di alfabeto da sottoporre a discussione ed eventuali critiche. In seguito a qualche rimaneggiamento, nel febbraio 1958 fu adottato l’alfabeto fonetico cinese (APC), che si indica più comunemente con il termine 拼音 ‘compitazione’. IV — Situazione del 拼音 in relazione alla scrittura in caratteri
1. Concezioni iniziali — Coloro che istituirono il 拼音 non avevano intenzione di sostituire immediatamente questa scrittura alfabetica ai caratteri cinesi. In realtà, essi ritenevano condizione necessaria alla diffusione del 拼音 l'unificazione della lingua parlata in tutta la Cina, cioè l’uso effettivo della ‘lingua comune’. I
zhùyīn zìmŭ
Góyŭ Rómăzì
Lādīnghuà
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caratteri, infatti, costituiscono un fattore di unità linguistica che non si può ipotizzare di eliminare finché sussistono molteplici dialetti locali, o almeno finché esistono zone dove gli usi parlati locali risultano predominanti se non addirittura esclusivi. A lungo termine tuttavia, i riformatori prevedevano di relegare i caratteri nel ‘patrimonio culturale’ d’uso non più corrente. La Commissione per la riforma della scrittura cinese (Wenzi gaige weiyuanhui) aveva indirizzato al Convegno dei giovani sinologi, tenuto a Parigi nel 1957, una lettera esplicita④ in questo senso: “Prevediamo che dopo il completamento totale del lavoro di riforma della scrittura, vale a dire dopo la fine del periodo di transizione, vi potranno ancora essere lezioni sui caratteri cinesi, non solo nei dipartimenti di letteratura e di storia delle università, ma anche nelle scuole medie, così come vi sono oggi lezioni di latino nelle scuole di Gran Bretagna e Francia. In quel periodo vi saranno ancora persone che, dopo aver imparato la scrittura fonetica, vorranno spingersi oltre e imparare i caratteri cinesi e magari acquisirne una conoscenza approfondita, al fine di portare ordine nella nostra eredità culturale e, in particolare, di trascrivere in scrittura fonetica le opere principali della nostra letteratura antica, per rendere queste opere accessibili al grande pubblico e celebrare il glorioso retaggio culturale”. Il sistema del 拼音 è stato applicato per la prima volta nelle scuole elementari e in corsi per adulti come strumento per consolidare le basi di una pronuncia corretta della ‘lingua comune’, e in seguito, con l'avanzare dell’apprendimento dei caratteri, per indicarne la pronuncia. 2. Situazione attuale — A quasi cinquant'anni dalla istituzione del 拼音, un viaggiatore non si accorgerà quasi in Cina dell’esistenza di questo sistema alfabetico. A parte i cartelli che indicano il nome di qualche strada a Pechino, le insegne di alcuni negozi e i pannelli pubblicitari che riportano la trascrizione sotto ai caratteri, ne vedrà soltanto poche tracce: i poster, le proiezioni del testo a fianco della scena durante le sequenze cantate delle opere, ④ Trad. Demiéville, P., citato da Février, J., Histoire de l’écriture, Parigi 1959. [Trad. it. Storia della scrittura, ECIG, Genova 1992].
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le iscrizioni poetiche su oggetti di uso comune (teiere, bacchette, carta da lettere, eccetera) sono tutti in caratteri cinesi. Nelle librerie non si trovano opere che usano il 拼音, se non sugli scaffali dei libri illustrati per bambini o in qualche raccolta di canzoni: anche questi casi sono piuttosto rari e si tratta spesso di testi in caratteri nei quali la versione in 拼音, intercalata tra le righe, precisa la pronuncia corretta. Tutti i giornali, le riviste e i libri sono interamente in caratteri. Al limite, si vedono più lettere dell’alfabeto che trascrivono in maiuscolo nomi di marche o abbreviazioni come OK e DVD che parole cinesi in 拼音. Il solo ambito dove il 拼音 abbia acquisito un ruolo nella società cinese è l’insegnamento elementare. Nelle scuole primarie viene insegnato fin dalla prima lezione. Almeno fino alla fine del secondo anno, i caratteri cinesi, introdotti dopo le prime settimane o i primi mesi, sono accompagnati dalla loro trascrizione 拼音. Tuttavia la maggior parte dei bambini trascura il 拼音 non appena è in grado di leggere manuali redatti interamente in caratteri. Nell’insegnamento secondario e all’università la trascrizione non viene più utilizzata. Perfino gli studenti in lingue straniere, che hanno per altre ragioni dimestichezza con il sistema alfabetico, non ne fanno alcun uso per la lingua cinese. 3. Prospettive — L’alfabetizzazione del cinese non si confronta con ostacoli di ordine propriamente tecnico (il 拼音 è una trascrizione eccellente), ma con il fatto che non se ne percepisce la necessità. Negli anni 1950, i caratteri cinesi sembravano costituire un ostacolo allo sviluppo dei popoli che li utilizzavano e in generale se ne prevedeva l'estinzione a breve scadenza. Da allora si è constatato che il loro uso non ostacola né l’innalzarsi del livello di istruzione della popolazione, né lo sviluppo economico. All’inizio del XX secolo, la questione della conservazione dei caratteri cinesi non è più all’ordine del giorno.
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Nota sulla trascrizione dei caratteri cinesi I caratteri sono trascritti nella presente opera per mezzo dell’alfabeto fonetico cinese (拼音). Poiché questo sistema non è stato sviluppato specificamente per lettori italiani, la pronuncia delle lettere può non coincidere con la nostra. Ecco le differenze principali (gli equivalenti tra parentesi in italiano o in altre lingue, in mancanza di un suono nella nostra lingua, sono solo comode approssimazioni):
iniziali
— z (zio), c (pazzo), zh (gelo), ch (celeste), r (simile alla j in portoghese); — b (un suono intermedio tra b e p), d (un suono intermedio tra d e t), g (grazioso); — p (p aspirata), t (t aspirata), k (k aspirata); — h (h aspirata); — w (uovo), y (iato).
non iniziali
— u (tutto), salvo se preceduta da j, x, q (come nel francese sur o nel tedesco über); — ü (come nel francese sur o nel tedesco über); — i (lira), salvo se preceduta da z, c, s, zh, ch, sh, r, casi in cui i denota una assenza del suono finale (simile alla e in francese) o dopo a e u (sei); — n (non) non è segno di nasalizzazione della vocale precedente. Esempio an, lun, ling (come nell’inglese calling); — r (simile a e + j in portoghese).
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€ 23,00