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RICORDANDO MARGA

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DI PATRIZIA CARAVEO E WALTER RIVA

DUE CONTRIBUTI PERSONALI ALLA CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO DI MARGHERITA HACK

Margherita è stata una importante scienziata quando essere donna non era un vantaggio: ha lavorato ad Arcetri e a Brera e infine ha trovato le condizioni ideali a Trieste, dove ha diretto, e fatto crescere, l’Osservatorio e tutta l’astronomia italiana. Questa brillante carriera forse non sarebbe stata possibile senza il sostegno continuo, ma discreto, di Aldo, che va ricordato come un raro esempio di marito che sceglie di dedicarsi completamente alla moglie, seguendola in tutti i suoi spostamenti. Questa è una scelta che spesso viene fatta dalle mogli di personaggi famosi, quindi mi piace rimarcare questa eccezionalità di Aldo, che ha passato la vita nell’ombra di “Marga” (come la chiamava), venendo ricambiato con toccante tenerezza. Non ho mai avuto occasione di lavorare con Margherita, ma cercavo di non mancare alle sue conferenze. L’età avanzata non aveva spento né la sua curiosità, né la voglia di imparare. Con lucidità assoluta, Margherita continuava a seguire i risultati delle ultime ricerche in astronomia e, interrogata su qualsiasi problema, dava risposte precise e dettagliate. La sua testa non era mai andata in pensione. Anzi, terminata la carriera accademica, si era impegnata più che mai nella divulgazione con riviste astronomiche e libri di grande successo, diretti al pubblico di ogni età. Era una oratrice straordinaria. Un po’ “vecchia scuola”: non amava le presentazioni, le animazioni, i video. Non aveva bisogno di stupire il pubblico con effetti speciali, come sono costretti a fare i conferenzieri tecnologicamente più avanzati, ma con minore carisma. Per affascinare le platee, le bastava la voce, con un incredibile accento toscano che i decenni trascorsi a Trieste non avevano neppure intaccato. L’ho sempre ammirata per la sua capacità prodigiosa di parlare per un tempo a piacere su un qualsiasi argomento, senza neanche uno straccio di foglietto davanti agli occhi. E quello che diceva non era né facile, né banale. Ma il pubblico la adorava e affollava le sue conferenze, con la sicurezza che avrebbe sentito una voce fuori dal coro. Laica convinta, aveva rispetto per i credenti, ma detestava le commistioni scienza-fede. Che ognuno stesse nel suo territorio, senza pretendere di dettare legge a quelli che la pensavano in modo diverso. Ma Margherita dava il meglio di sé quando le chiedevano la sua posizione sull’astrologia, oppure sui fenomeni paranormali. Allora era un fiume in piena, inarrestabile. Lo stesso trattamento era riservato agli esponenti politici, di qualunque schieramento, che si azzardavano a non riconoscere il valore della scuola e della ricerca fondamentale, proponendo di tagliare i già magri finanziamenti. Margherita non si faceva pregare per dire la sua, con parole spesso dure che pesavano come pietre. Quando occorreva un intervento autorevole, bastava mandarle un’e-mail, sicuri che lei avrebbe letto e preso posizione. Per festeggiare i suoi 80 anni, aveva aggiornato la Storia dell’Astronomia scritta da Giacomo Leopardi nel 1813. Con naturalezza, aveva ripreso le fila del discorso dal punto in cui Leopardi, all’epoca quindicenne ma già dottissimo, l’aveva lasciato. Entrambi hanno utilizzato il meglio che la scienza del loro tempo aveva

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da offrire: Giacomo si era basato sulla biblioteca del padre a Recanati, mentre Margherita ha attinto alla sua profonda conoscenza dello sviluppo dell’astronomia negli ultimi due secoli. Margherita amava le sfide: a 90 anni si era data al teatro con lo spettacolo L’anima della terra (vista dalle stelle), dove i suoi testi si alternavano a canzoni su emigrazione, immigrazione, globalizzazione, lavoro, corruzione. Tutti soggetti sui quali aveva qualcosa da dire, a dimostrare che la scienza vive nel mondo e ne condivide i problemi.

Patrizia Caraveo

QUELLA VOLTA CHE

HO BACIATO LA HACK

Per gli amici e, soprattutto, per il suo caro marito Aldo, Margherita Hack era semplicemente “Marga”. Per noi, allora studenti del Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste del biennio 2000-2001, era un mostro sacro. Valeva la pena di iscriversi al corso semplicemente sapendo che, prima o poi, durante l’anno, avrebbe tenuto qualche lezione. Ma la reverenza iniziale lasciava subito spazio alla confidenza e alla simpatia, tanto la professoressa era una persona alla mano e vicina ai giovani scienziati e divulgatori. All’amico Marco Bianucci, fisico dell’Università di Parma, venne così l’idea di invitare la Hack a una conferenza pubblica da tenersi durante la prima edizione del Festival della Scienza di Genova (2003) e chiese il mio aiuto. L’organizzazione del Festival fu entusiasta dell’idea e cominciammo a prendere contatti e accordi. La Hack doveva arrivare in treno la mattina del 28 ottobre, e io ero ad aspettarla alla stazione di Genova Brignole con un mazzo di fiori. Ma la professoressa non c’era! Salii anche sul treno, facendo di corsa un vagone dopo l’altro, con il rischio di partire per la Riviera. Nulla di nulla. Rimasi lì, col mio mazzo di fiori in mano, mezzo rovinato dalla corsa, e iniziai a telefonare: il cellulare della Hack era spento, all’albergo non l’avevano vista. All’Osservatorio di Trieste mi confermarono che la professoressa aveva annunciato che sarebbe partita per Genova. Che fare? Perdere Margherita Hack non è una cosa che uno può prendere tanto alla leggera, meno che mai quando c’è una sua conferenza al pomeriggio... Passai tre ore d’inferno, nervoso come non mai. Finalmente, intorno a mezzogiorno, squillò il telefono. Era la professoressa che, tranquillamente seduta nella sua camera di albergo, mi raccontava che pochi giorni prima aveva ricevuto un invito da parte di una scuola elementare dei vicoli, una letterina scritta dagli alunni: sapendola a Genova per il Festival, la invitavano a tenere una lezione nella loro scuola. E lei, commossa dalla lettera, aveva deciso di andare. Quindi era sul treno giusto ma era scesa alla stazione precedente (Genova Principe) senza avvisare nessuno. Rimasi senza parole e le diedi appuntamento per il pomeriggio. La sera, dopo l’applauditissima conferenza, avvicinai la Hack e le dissi: “Dopo quello che mi ha combinato oggi mi deve un favore... ho sempre avuto la voglia di abbracciarla e di baciarla”. E così feci, sulla guancia. Lei disse con il suo accento toscano che tutti ci ricordiamo: “È un favore che fa a me, un così bel giovine!” Sì, proprio con la “i”. E mi ribaciò. Così, dunque, mi piace ricordarla. Non solo per la sua brillante carriera da scienziata o per i suoi libri divulgativi e le sue innumerevoli conferenze pubbliche, ma per la persona, schietta e genuina come poche altre mi è capitato di incontrare. Insomma, Marga l’hanno conosciuta tutti, anche chi non ha mai avuto l’onore e la fortuna di incontrarla di persona. Perché lei era proprio così, uno straordinario esempio di coerenza con la filosofia che l’ha accompagnata per tutta la vita.

Walter Riva

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