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Scritti al buio
from L'ESPRESSO 28
by BFCMedia
Scritti al buio/cinema I PUGNI DISCHIUSI DI ADA
La sfida di una ragazza dell’Ossezia ci racconta del mondo e delle sue brutture FABIO FERZETTI
Ada tiene spesso il viso nascosto e non solo quello. Ada ha un fratello più grande già scappato di casa e uno più piccolo che quando non è in giro a fare il pazzo in motocicletta vuole sempre dormire con lei (un’insistenza che sfiora l’incesto). Ada ha anche un padre-padrone, un uomo malato nel corpo e nell’anima che la controlla in ogni momento credendo di amarla e proteggerla. Poi c’è Tamik, un ragazzo che avrà una ventina d’anni come lei e quando non è in giro a fare consegne col furgone le dedica una corte dolce e asfissiante. Questo però è solo il contorno perché la silenziosa “Adazda”, come tutti la chiamano vezzeggiandola, ha un segreto che non riguarda solo lei ma il luogo in cui vive: Mizur, un villaggio minerario nell’Ossezia, del Nord, piccola repubblica caucasica segnata da tensione politica e terrorismo. E il film di Kira Kovalenko, così brutale e sentimentale insieme, ricongiunge la storia personale di Ada a quella del suo mondo con la fermezza e la grazia di chi è stato allievo di Aleksandr Sokurov. E venendo da una repubblica che almeno in Occidente nessuno saprebbe trovare sulla carta al primo colpo, la Cabardino-Balcaria, sa per istinto che nulla è più universale di ciò che sembra locale. Come il suo compatriota (e compagno) Kantemir Balagov, l’autore di “Tesnota” e “La ragazza d’autunno”, due gioielli che i lettori di questa rubrica forse ricordano, la 32enne Kovalenko ha infatti frequentato il laboratorio di cinema tenuto a Nalchik dal grande regista di “Arca russa” e tanti altri capolavori. Di qui, forse, la straordinaria capacità di mettere in risonanza i corpi dei suoi personaggi con i luoghi in cui vivono. Estraendo da questa dolorosa cronaca familiare - dolorosa nel fondo, non certo nei toni convulsi - snodi e atmosfere che richiamano a tratti apertamente “I pugni in tasca” di Bellocchio (il titolo internazionale del film è “Unclenching Fists”, pugni dischiusi). Anche se qui a ribellarsi è una giovane che sottraendosi, letteralmente, alla stretta mortifera della famiglia, non combatte solo per sé ma per il suo sesso. Per le mille etnie e culture di quella parte di mondo che ci ostiniamo a chiamare Russia ma è infinitamente più variegata e contraddittoria di quanto crediamo. E per quell’arte così centrale nel ’900 che nelle periferie del mondo ogni tanto ritrova la forza esplosiva di una volta. Q
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“A DA (UNCL ENCHING FIS T S)” di K ira Kovalenko Rus sia, 95’ aaabc
terza ragione. Questo è un appello accorato, non vuole generare odio, al contrario vorrebbe fare appello alla coscienza di chi fa musica. Il mondo non ha solo bisogno di distrazioni, che è l’alibi principale di tutti quelli che stanno immettendo pessimo materiale sul mercato, il mondo ha anche, direi soprattutto, bisogno di bellezza. È quella che manca, perché se il mondo è pieno di orrori, non si combatte la bruttezza facendo finta che la spiaggia sia la soluzione di tutti i mali, intanto perché ovviamente non è vero, e con i cambiamenti climatici è sempre meno vero, l’orrore si combatte con l’unica vera arma a disposizione della musica, ovvero creare qualcosa di bello, che ci unisca, che ci emozioni, che ci faccia sentire orgogliosi di appartenere al genere umano, impresa di questi tempi assai difficile è vero, ma pur sempre da tentare. Insomma se proprio volessero assumersi un briciolo di responsabilità, i cantanti dovrebbero sforzarsi di più, tentare di immaginare canzoni che possano essere davvero di conforto, anche struggente, doloroso, intenso, ma soprattutto autentico, non un mare di plastica inquinante e insapore, canzoni da vivere col cuore, come direbbe Barbara D’Urso, e non solo col battito dei contatori di denaro. Q