Anno IV - N.19 Ottobre/Novembre ‘19 Copia Omaggio
il “chitarraio” dei big BIANCA WEDDING IL TUO MATRIMONIO IDEALE
BIRRIFICIO MESSINA ESEMPIO DI PASSIONE E TENACIA
LEONE E RéDARèS E LA FOTOGRAFIA DI NUDO
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sommario DIRETTORE EDITORIALE Emanuele Cocchiaro DIRETTORE RESPONSABILE Omar Gelsomino DIREZIONE ARTISTICA E IMPAGINAZIONE Samuel Tasca COORDINATORE EDITORIALE Angelo Barone PROGETTO GRAFICO Emanuele Cocchiaro GRAFICI Gaetano Cutello, Samuel Tasca REDAZIONE Via Giovanni Pascoli, 54 Grammichele (CT) - 95042 tel. 0933-946461 redazione@biancamagazine.it FOTOGRAFIA Birrificio Messina, Giuseppe Bosco, Massimiliano Cappellano, Gaetano Cutello, Toni Campo, Giuseppe Calabrese, Simona Giamblanco, Giovanni Isolino, Andrea Mearelli, Daniele La Malfa, Franco Lannino, Giuseppe Leone, Andrea Occhipinti Fotografia, Outumuro, Rossandra Pepe, Bruno Rédarès, Samuel Tasca, Biagio Thinghino, Sam Valadi FOTO DI COPERTINA Foto di Andrea Occhipinti Fotografia AMMINISTRAZIONE E CONSULENZA LEGALE Avv. Sofia Cocchiaro CONCESSIONARIA PUBBLICITARIA Bibicomm di Emanuele Cocchiaro info@bibicomm.it tel. 0933-946461 HANNO COLLABORATO Angelo Barone, Sofia Cocchiaro, Omar Gelsomino, Salvatore Genovese, Alessia Giaquinta, Maria Concetta Manticello, Titti Metrico, Vincè Mormina, Irene Novello, Simona Raniolo, Samuel Tasca EDITO DA Emanuele Cocchiaro Editore via Raffaele Failla, 66 - Grammichele (CT) 95042 Sede operativa: via Giovanni Pascoli, 54 Grammichele (CT) 95042 tel. 0933-946461 STAMPA FLYERALARM SrL, G. Galilei 8 a, 39100 Bolzano
9. Editoriale 10. Placido Salamone 14. Festival Internazionale dell’uva da tavola I.G.P. di Mazzarrone 16. Anna Mazzamauro e Miriam Leone 18. Rubrica: Bianca Wedding Your wedding mood 21. Fotografia di nudo 22. Serena Petralia 24. Arancino o arancina? 26. Il ficodindia 28. Deborah Iurato ft. Soul System 30. Birrificio Messina 32. Un Verga inedito al Museo dell’immaginario verghiano 34. Finger lime 36. Troina 38. Il santuario degli dei Palìci 42. Redemption for a lost soul 44. Desirée Rancatore 46. Arturo Di Modica 48. Il friscaletto 51. Rubrica: Salutiamo Un campo scuola per educare i giovani a gestire il diabete di tipo 1 53. Rubrica: I consigli dello Chef Polpo in umido in salsa di pomodoro e pan grattato 54. Rubrica: Bianca Pet Non abbandonarlo! Nemmeno in estate
REGISTRAZIONE Tribunale di Caltagirone n°1 del 12/10/2016 periodico bimestrale Anno IV n°19 redazione@biancamagazine.it direttore@biancamagazine.it ROC N° 26760
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EDITORIALE
Bentornati, cari lettori, alle vostre attività quotidiane, alla routine dei mesi autunnali. è vero che le vacanze non durano, per molti, più di una o due settimane. Ma l’estate è comunque la stagione ove spesso, pur lavorando, ci si sente proiettati in una dimensione più vacanziera. Durante questo periodo io personalmente, e spero anche voi, ho avuto modo di approfondire le mie amicizie storiche da cui ho anche preso spunto per dare vita a questo nuovo numero all’interno del quale non potete perdervi la nostra intervista a Placido Salamone, il “chitarraio” vittoriese a cui mi sento particolarmente legato e di cui vado molto fiero. Lo conosco sin da quando ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica, l’ho seguito in tutte le fasi della sua carriera come uno zio fa con il proprio nipote, sono stato uno dei suoi primi fan e per questo non posso che essere soddisfatto degli eccellenti risultati raggiunti che ho voluto condividere con voi attraverso un’intervista che troverete nelle prossime pagine. Ma non finisce qui, dallo scorso articolo sui matrimoni abbiamo dato il via alla nostra nuova rubrica dedicata al mondo del wedding. E ancora la musica, a cominciare dalla copertina, protagonista di questo numero, trattata nelle sue tante sfaccettature: dal soprano Desirée Rancatore al connubio artistico tra Deborah Iurato e i Soul System. La tradizione musicale dei friscaletti, e ancora cinema, food e luoghi da scoprire della nostra meravigliosa terra. Inauguriamo così il nostro quarto anno dalla nascita di questo progetto editoriale, augurandovi come di consueto... Buona lettura. L’Editore Emanuele Cocchiaro
ottobre - novembre ‘19
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Placido Salamone Il “chitarraio” dei big
DI SOFIA COCCHIARO
FOTO DI ANDREA OCCHIPINTI FOTOGRAFIA
È con piacere che mi ritrovo a condividere con voi la chiacchierata che mi ha gentilmente concesso Placido Salamone, “chitarraio” di successo. Conosco Placido, a dire il vero, da quando avevo più o meno dieci anni. Abbiamo condiviso insieme gran parte delle nostre estati a Punta Braccetto. Ho visto crescere la sua passione per la musica che è diventata, successivamente, la sua professione.
Placido quando hai capito che la tua più grande passione era la musica? «Sin da piccolo, ai classici giocattoli, preferivo di gran lunga gli strumenti musicali. Questo anche perché mio padre è sempre stato appassionato di musica e dunque in casa giocavo spesso nella nostra “stanza della musica”». Sei riuscito a realizzare il sogno di fare del tuo hobby la tua professione. Ritieni di essere stato fortunato e di dover ringraziare qualcuno per i successi ottenuti? «Pur ritenendo che, a prescindere, chiunque riesca a svolgere l’attività lavorativa sognata sia fortunato di per sé, mi sento di dire che tuttavia la fortuna va cercata e accompagnata lavorando sodo. Tutte le persone che ho incontrato fino ad oggi nel mio percosso professionale sono state importanti per me, perché ognuna di esse ha aggiunto un tassello alla mia carriera. Di certo è stato molto importante l’incontro con Massimo Zanotti che in un certo senso mi ha “stravolto” la vita. Nel 2010 tramite Massimo feci un’audizione con il Maestro Fio Zanotti, che posso definire il mio padre musicale, colui che mi ha insegnato l’arte di fare musica. Sin da subito, mettendomi alla prova, mi ha coinvolto in circuiti
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per me inimmaginabili fino a quel momento, ancora oggi lavoriamo insieme ed è per me un esempio importante. Da tre anni collaboro con Biagio Antonacci, lo ringrazio non solo per la fiducia che costantemente mi dimostra ma anche per avermi insegnato un altro modo di lavorare: libero, fatto d’istinto e sensazioni. Credo che questo sia in fondo la chiave di tutto sia nella musica che nella vita». Hai lavorato con i più grandi della musica italiana e sei reduce dal tour di Laura e Biagio. Una grande soddisfazione. Quali sono i tuoi prossimi obiettivi professionali? «Il tour di Laura e Biagio è stata un’esperienza unica! Riguardo al futuro ogni tanto mi piace fantasticare e immagino delle collaborazioni internazionali... ma per il momento è pura fantasia e come prima cosa dovrei imparare bene l’inglese perché a parte “Yes e Play” faccio fatica». Sei nato e cresciuto a Vittoria, in Sicilia. Cosa vuoi dire a quei ragazzi che lo reputano un limite? «La mia esperienza mi porta ad affermare con quasi assoluta certezza che quando c’è una grande passione e voglia di fare i limiti sono solo mentali. Non contano le proprie origini quando si vuole raggiungere un obiettivo ma è fondamentale ricordarsi ogni giorno di esse. Io, ad esempio, pur essendo fuori da oramai dodici anni, porto sempre la Sicilia nel mio lavoro e nel cuore. Ho avuto, per dirne una, il piacere di “combinare” il fortunato incontro tra Biagio Antonacci e il mio caro amico e conterraneo Mario Incudine e ne sono molto orgoglioso. Insieme, come sapete, hanno dato vita a un brano eccezionale “Mio Fratello” che ho tra l’altro avuto il piacere di produrre».
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E allora noi di Bianca Magazine non possiamo che augurare a Placido di volare sempre più in alto, affrontare sfide sempre più avvincenti rimanendo sempre la splendida e umile persona che è sempre stata.
Grandi festeggiamenti per il
Festival internazionale dell’uva da tavola i.g.p.di Mazzarrone
È
una tradizione ormai consolidata, quella che ogni anno porta migliaia di visitatori nella città “dove la vite è vita”, a Mazzarrone, in provincia di Catania, per i festeggiamenti del Festival dell’Uva da Tavola IGP. Anche quest’anno una tre giorni dedicata alla musica, allo spettacolo, alla cultura e soprattutto all’unica vera regina della città: l’uva da tavola, eccellenza siciliana apprezzata in tutti i mercati del mondo. Ad aprire i festeggiamenti, venerdì 6 Settembre, è stato il Festival Cinematografico “Ciak Si Cresce”, appuntamento che ogni anno vede come protagonisti giovani studenti produttori di cortometraggi a sfondo sociale. Un messaggio importante contro il bullismo e il cyberbullismo quello contenuto all’interno dei film proiettati durante la serata. A giudicarli, una giuria di eccezione proveniente dal panorama cinematografico e televisivo nazionale e internazionale: la coreografa e regista Anna Cuocolo, il regista Rai Lucio Cocchia e l’attrice Cinzia Clemente. La sera di sabato 7 Settembre è stata dedicata alle eccellenze siciliane con l’assegnazione dell’ormai consolidato premio “Grappolo d’Oro”. Tra questi: il giornalista che da anni conduce una battaglia contro la mafia, Paolo Borrometi; il ciclista Damiano Caruso del team Bahrain-Merida e il Sottocapo della Guardia Costiera Giuseppe La Rosa. Quest’anno, inoltre, valorizzata l’eccellenza femminile nativa di Mazzarrone con l’assegnazione del premio all’astronoma Angela Adamo, per le sue scoperte di rilevanza internazionale, e alla giovanissima Asia Scribano, per i suoi riconoscimenti sportivi nel karate. Particolare attenzione è stata riservata anche ai valori sociali perseguiti, tra cui anche l’eco-sostenibilità con il riconoscimento assegnato a SIA Group S.r.l. Sul palco, a dirigere l’orchestra il grande Maestro Vince Tempera, icona storica della musica italiana. A chiudere la serata in bellezza il concerto di Lello Analfino e i Tinturia che, con il loro sound dal ritmo popolare, hanno fatto ballare tutti fino a notte fonda. I festeggiamenti sono terminati domenica 8 Settembre con il grande concerto di Luca Carboni che ha richiamato decine di migliaia di visitatori da tutta la regione, e non solo. Ad accompagnare le tre serate, anche quest’anno, un programma molto ricco e variegato: dai “Tamburi Imperiali di Comiso” al gruppo storico di sbandieratori “Leoni Reali Città di Camporotondo Etneo”; dalla gara dei go kart alla folle corsa “Waky Race” dei veicoli senza motore. A visitare, poi, la fiera espositiva, nel pomeriggio di domenica, anche il Presidente della Regione On. Nello Musumeci. Un successo a detta di tutti, confermato dalla soddisfazione degli amministratori e della Pro Loco di Mazzarrone, organizzatrice dell’evento. Un appuntamento, quindi, da non perdere, che ogni anno raggiunge livelli sempre più alti!
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DI SAMUEL TASCA FOTO DI BIAGIO TINGHINO
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Anna Mazzamauro DI ANGELO BARONE
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FOTO DI GIOVANNI ISOLINO
rascorrendo alcuni giorni di ferie a Salina, durante l’ottava edizione del MareFestival Salina, dedicata ai venticinque anni della scomparsa dell’indimenticabile attore Massimo Troisi e la cui madrina della manifestazione, è stata Maria Grazia Cucinotta, icona della bellezza siciliana nel mondo, ho seguito gli incontri con due attrici dalla bellezza diversa: Miriam Leone e Anna Mazzamauro. Miriam Leone, catanese di origine, Miss Italia nel 2008 ha una carriera in rapida ascesa: nel 2009 in Rai con Unomattina Estate e Mattina in famiglia, nel 2010 esordio al cinema con la commedia Genitori & figli. Successivamente è un susseguirsi di successi in televisione e nel cinema: Unomattina in famiglia, Il ritmo della vita, Distretto di Polizia, Ale & Franz Show, Camera Caffè con Luca Bizzarri, presenta DrugStore, Un passo dal cielo con Terence Hill, Le Iene con Fabio Volo e Geppi Cucciari; è protagonista con Raul Bova e Luca Argentero in Fratelli unici e con Lello Arena e Angela Finocchiaro nella commedia La scuola più bella del mondo. Nel 2015 diventa protagonista de La dama velata su Rai Uno, una fiction di grande successo, e nella serie televisiva su Sky Italia 1992 interpretando Veronica Castelli (in 1993 e 1994), nello stesso anno si vede assegnare il Premio Fabrique du Cinema in qualità di attrice rivelazione e un Telegatto Speciale al Roma Fiction Fest, successivamente è con Fabio Volo nella commedia
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BIANCAV.I.P.
Miriam Leone
Le bellezze diverse Un paese quasi perfetto e con Pif nel film In guerra per amore; è nel cast di Fai bei sogni di Marco Bellocchio presentato al Festival di Cannes. Sono tanti i ruoli interpretati che ne fanno una delle più affermate attrici italiane del momento. Per Miriam Leone la bellezza conta e nel suo caso è stata determinante: la sua carriera parte proprio da un premio di bellezza. Ci dice «che per avere successo solo la bellezza non basta, conta molto la disciplina e l’impegno nel lavoro». Felice di ricevere il premio Massimo Troisi, insieme a un suo punto di riferimento come Maria Grazia Cucinotta, ha ricordato il premio Telegatto ricevuto da Pippo Baudo e si dichiara «orgogliosamente sicilianissima con la passione per la musica e la voglia di fare un film western di azione». Anna Mazzamauro, nota al grande pubblico per essere la Signorina Silvani, corteggiata da Fantozzi, con una bellezza diversa la scopriamo con una simpatia che sprizza in ogni sua dichiarazione e con una bellezza interiore testimoniata dal suo impegno in teatro per affermare la libertà di ognuno di vivere la propria natura come nella commedia Belvedere: insieme a Cristina Bugatty sono interpreti della storia di due vite che si intrecciano e scoprono di avere in comune il desiderio di vivere ed esprimersi con sincerità, una delle attrici recita la parte di una transessuale. Una commedia che invita a riflettere sull’accettazione delle nostre diversità e che le piacerebbe recitare anche in Sicilia. Anna Mazzamauro si è definita «una stortignoccola libera di essere e vivere come mi piace». Impegnata nel teatro e nella vita per superare i pregiudizi nella nostra società sulle diversità, siano esse sessuali, religiose o di razza, si è presentata come nel suo spettacolo che ha ottenuto grandi successi, Nuda e Cruda, dove Anna Mazzamauro racconta di sé ed esorta il pubblico «a spogliarsi dei ricordi cattivi, degli amori sbagliati, dei tabù sul sesso, a liberarsi dalla paura della vecchiaia,a esibire la propria diversità attraverso risate purificatrici». Se la nostra Miriam Leone è un esempio di bellezza e professionalità, Anna Mazzamauro lo è di simpatia e autoironia.
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Your Wedding Mood Disegnare un matrimonio nella stagione fredda
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BIANCA WEDDING A CURA DI SIMONA RANIOLO FOTO DI: 1 Freepik.com, 2 Lampada Tiffany by Guzzini, 3 Twig & Twine, 4 Pixabay.com, 5 Verygraphy Calligrafa
La nuova rubrica interamente dedicata al mondo del wedding per guidarvi e consigliarvi fino al giorno del vostro sì.
È
sempre più convenzionale pensare al matrimonio come una festa da pianificare per la bella stagione, da vivere in giardini, a bordo piscina, nelle corti di antichi ruderi o in terrazze sul mare. È vero, un ricevimento in un luogo all’aperto è di grande fascino e amplia notevolmente le possibilità degli stili di design tra cui scegliere ma se pensate che il risultato delle ambientazioni autunnali e invernali abbia qualcosa in meno, sbagliate. Le cornici degli eventi realizzati durante le stagioni fredde hanno una magia tutta loro, un incanto particolarissimo che nasce dall’attenzione ai piccoli dettagli. 3
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La palette. Assolutamente sì al total white, soprattutto per la celebrazione del rito. Sì alle palette che coinvolgono i verdi salvia e bosco. No al rosso, specialmente accostato al bianco, nemmeno a Dicembre, mai! Se volete optare per i colori caldi, utilizzate le sfumature di borgogna, associate magari a un tenue rosa cipria. Valutabile l’intervento di qualche dettaglio naturale o oro, ma non argento. Il tema. Evitate di cedere al cliché del tracciare e rispettare per forza un tema, slegatevi da questa forzatura che rende tutto un po’ troppo stucchevole e concentratevi piuttosto sull’armonia dei particolari. Ammessi solo leggeri riferimenti al Natale, se si è in prossimità, senza calcare la mano. La Wedding Suite. Provate a riscoprire la sensazione di tener in mano un foglio di carta artigianale. Le grane grossolane, le fibre naturali, i margini irregolari e sfrangiati della lavorazione a mano si sposano benissimo anche con un testo calligrafato. Sì alle chiusure in ceralacca con timbro personalizzato o con nastri in seta o trina di cotone per lasciare a casa il solito raso. I fiori. Potrete utilizzare ranuncoli, tulipani, tuberose dai colori candidi o fiori di cotone. Una raccomandazione per il bouquet: approvato anche di semplici rose inglesi bianche, ma evitate il diamantino in plastica al centro! La zona lounge. Una grande mossa vincente è concepire l’area aperitivo come uno spazio lounge in cui ritornare per il momento del buffet dei dolci, se previsto, e della wedding cake. Un vero e proprio salotto arredato con gusto sarà il benvenuto d’impatto per i vostri ospiti, donerà loro il giusto comfort ed esalterà la convivialità durante l’evento. Sì a tappeti, cuscini sui divanetti, piante e fiori in giusta misura ed elementi d’arredo luminosi. Nella seconda metà di Dicembre, sarà di grande effetto inserire in questo contesto degli abeti innevati o pieni di lucine come elementi scenografici principali. Luce. È la parola d’ordine per l’atmosfera del ricevimento! A tavola, più che con i fiori, esagerate con le candele. Un particolare di grande originalità è la lampada da tavolo: ce ne sono di diversi stili in commercio e sono sempre di più i catering e le location che le hanno in dotazione tra i loro accessori.
Se avete scelto la stagione fredda per il vostro giorno, non soffrirete l’ansia legata al meteo, sarete in un luogo al chiuso e non dovrete ipotizzare un piano B. Il consiglio finale è di concentrarvi sul tempo invece, letteralmente, evitando di scegliere menù infiniti che costringono gli ospiti a tavola per ore e svuotano le vostre tasche oltremisura. Puntate a un buon intrattenimento live e perché no, a un vero party post banchetto ben preparato. Ci sono band e dj che sanno creare la giusta atmosfera ancor più di un semplice servizio di animazione che delle volte risulta un po’ grottesco e invadente in queste occasioni. Per il resto, che siate voi a organizzare tutto o che abbiate scelto un professionista che vi aiuti in questo compito, fate in modo che l’evento rifletta in primis voi, i vostri gusti e le vostre personalità perché, tendenze e regole d’etichetta a parte, la festa è la vostra. 19
Fotografia di nudo Seminario a cura di Leone e Rédarès DI ALESSIA GIAQUINTA FOTO DI GIUSEPPE LEONE E BRUNO RéDARèS
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ella splendida cornice del Castello di Donnafugata, gentilmente concesso dal comune di Ragusa, dal 17 al 20 ottobre, si terrà il 1° Seminario della fotografia di nudo, un evento che si nutre di arte, maestrìa e bellezza. Immersi in un contesto elegante e sontuoso, circondati dai meravigliosi panorami che offre il paesaggio ibleo, i seminaristi della master class avranno, infatti, la possibilità di lavorare e perfezionarsi nella fotografia del nudo. Per la prima volta in Italia, in collaborazione con Arles - Francia, il maestro Giuseppe Leone e il fotografo francese Bruno Rédarès mettono a disposizione la loro grande e consolidata esperienza nel campo della fotografia, e in particolare, nell’arte di immortalare la nudità. Due muse, una francese e una siciliana, saranno da ispirazione per gli scatti che mirano a ritrarre il fascino, la naturalezza e dunque la bellezza del corpo femminile. Verranno, poi, selezionate delle foto per essere esposte al Festival Internazionale di Nudo ad Arles, nel 2020 e, inoltre, in una mostra a Ragusa. La sensibilità dei partecipanti, sapientemente guidata dai maestri, farà emergere, così, l’originalità di ciascun scatto che può considerarsi opera d’arte di opera d’arte: il nudo di donna, appunto.
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Serena Petralia
Una Miss dalla bellezza mediterranea DI OMAR GELSOMINO FOTO DI DANIELE LA MALFA
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ino all’ultimo il pubblico siciliano ha votato, tifato e trepidato per lei restando incollato alla Tv. Per poco ha persino sfiorato la vittoria al Concorso di Miss Italia, giunto alla sua 80a edizione e svoltosi al PalaInvent di Jesolo lo scorso 6 settembre. La ventenne messinese Serena Petralia, che ha partecipato alle selezioni con il patron Mario D’Ovidio (agente della Sicilia Ovest) si è dovuta accontentare del secondo posto, dopo la vincitrice Carolina Stramare (ripescata dalla giuria delle “Miss storiche”) e l’altra finalista Semvi Fernando. Eppure Serena con i suoi capelli e occhi scuri e il suo fascino mediterraneo, forte della fascia di Miss Sicilia conquistata nella splendida cornice barocca di Noto, è riuscita a superare tutte le eliminazioni in una competizione dura in cui si sfidavano ottanta ragazze. Serena Petralia ama definirsi come «una semplice ragazza di vent’anni, che abita a Taormina e studia lingue all’Università di Catania. Ho vinto il titolo di Miss Sicilia e questo per me ha un grande valore: la Sicilia per me è casa, è il luogo più suggestivo che io conosca e quello in cui mi riconosco». Serena Petralia ha portato a casa anche due prestigiose fasce: Miss Kissimo Biancaluna e Miss Diva e Donna. Un’esperienza senza dubbio esaltante da tanti punti di vista, poiché è così che cominciano a realizzarsi tanti desideri. «L’esperienza di Miss Italia è stata senza ombra di dubbio impegnativa ma anche ricca di soddisfazioni, è stata per me una sorta di accademia, mi ha insegnato a superare dei limiti che pensavo di avere e a essere più sicura di me stessa. Il mio percorso nel mondo dello spettacolo è iniziato la sera della finale di Miss Italia, perché prima di partecipare al concorso, ho sempre lavorato nel campo della moda, per l’esattezza da quando avevo quattordici anni». In realtà, Serena Petralia ha già partecipato nel 2015 anche alle selezioni di Miss Mondo, arrivando tra le prime dieci classificate. Ma la bellezza nella vita non è tutto, occorrono anche tante altre qualità e di questo ne è abbastanza consapevole, nonostante la giovanissima età con la sua saggezza Serena Petralia ci confida: «Al giorno d’oggi, credo che la bellezza conti molto ma che non sia tutto, può solo aiutarti in quello che vorrai fare nella vita, ma bisognerà comunque avere una grande componente di capacità e determinazione. Il mio sogno è quello di affermarmi nel campo della moda, anche se molti mi consigliano quello del cinema. A oggi non escludo nulla, anzi sono disposta a prendere in considerazione qualsiasi opportunità lavorativa». A Serena Petralia auguriamo di realizzare tutti i suoi desideri e portare in alto il nome della Sicilia con la fascia che rappresenta.
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Arancino o Arancina? L’eterno dilemma
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DI OMAR GELSOMINO FOTO DI SAMUEL TASCA
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ai avremmo immaginato che per colpa di una vocale sarebbero nate delle dispute che ormai vanno avanti da anni. In particolare dell’eterna disputa fra palermitani e catanesi. L’oggetto del contendere? Stiamo parlando della specialità siciliana conosciuta in tutto il mondo e che rappresenta una parte importante del patrimonio gastronomico della nostra Isola, lo street food per eccellenza e non solo. L’arancino o arancina, a seconda se ci troviamo nella cittadina etnea o nel capoluogo siciliano. Le due città ne rivendicano con orgoglio il nome. L’arancina palermitana (una delle golosità protagoniste in occasione delle festività di Santa Lucia) generalmente ha una forma rotonda mentre quella catanese e della Sicilia orientale ha anche la forma appuntita, quasi a voler richiamare l’Etna. L’importante che sia preparata col riso e ripiena di ragù ricco di ingredienti ed una panatura croccante. A dirimere la questione è intervenuta persino l’Accademia della Crusca, secondo cui “il gustoso timballo di riso siculo deve il suo nome all ’analogia con il frutto rotondo e dorato dell ’arancio, cioè l ’arancia, quindi si potrebbe concludere che il genere corretto è quello femminile arancina. Ma non è così semplice”. In realtà l’origine di questa gustosa pietanza di riso la si fa risalire alla dominazione araba, tra il IX e l’XI secolo, quando appallottolavano un po’ di riso allo zafferano nel palmo della mano e lo condivano con carne di agnello, chiamando le loro “polpette” con un nome che rimandasse ad un frutto: ecco le arancine, ispirate appunto al frutto più popolare coltivato in Sicilia. Nel 1857 ne parla il Biundi nel Dizionario siciliano-
italiano definendolo come “una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”, più tardi l’Artusi parla di un “dolce fatto di pastafrolla e crema” mentre Traina dall’arancinu rimanda a crucchè: “una specie di polpettine gentili fatte o di riso o di patate o altro”. Tutte pubblicazioni che non citano nè la carne nè il pomodoro, in ogni caso distanti il supplì dalla tradizione araba, ma molto probabile che il dolce di riso sia stato trasformato in una specialità salata. “Nel dialetto siciliano il frutto dell ’arancio è aranciu, diventando nell ’italiano regionale arancio, solo in seguito si userà il femminile per i nomi dei frutti e il maschile per quelli degli alberi. Dal dialettale aranciu per arancia corrispondono il diminutivo arancinu, che signif ica piccola arancia, arancino nell ’italiano regionale”. Ecco il nome maschile usato per indicare il supplì di riso, poi ripreso da altri dizionari e inserito nei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani e utilizzato nei racconti di Montalbano. Il nome del frutto è oscillante, arancio o arancia, anche se a volte prevale il femminile nello scritto ed è percepito come più corretto, poiché distinguiamo l’albero dal frutto. Arancino sarebbe dialettale mentre arancina lo sdoganerebbe in tutta Italia. Alla fine, accontentando tutti, però la Crusca sentenzia “il nome delle crocchette siciliane ha sia la forma femminile sia la forma maschile”. Quindi, se vogliamo chiamarlo arancina o arancino, se sia rotondo o a punta, che sia quello tradizionale o nelle sue innumerevoli varianti (al burro, con gli spinaci, alla norma, al pistacchio, ai gamberetti, ecc. ecc.) non ha importanza, godiamoci questa prelibatezza tutta siciliana, un piacere per il palato, vera delizia per i turisti e apprezzata in tutto il mondo. 25
Il Ficodindia
Un frutto degno di un giardino del Re! DI TITTI METRICO
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ercorrendo le strade dell’entroterra della nostra Isola vediamo uno spettacolo naturale, costituito da grandissime pale che caratterizzano il paesaggio siciliano, con una miriade di frutti colorati. In questo numero, voglio parlarvi dell’Opunzia, cioè il Ficodindia. Ancora oggi nella campagna siciliana questo frutto è utilizzato come alimento prezioso per iniziare la giornata lavorativa. Il Ficodindia ha origini messicane. La storia narra che i nomadi che scendevano dal nord verso il centro della regione erano guidati da una profezia: la loro peregrinazione avrebbe avuto fine quando avessero incontrato un’opunzia che sorgeva dalla fenditura di una roccia con sopra un’aquila che si nutriva di un serpente. Questa scena divenne l’emblema degli stendardi delle armate azteche e oggi è riprodotta nello stemma nazionale messicano. Inizialmente si diffuse nei giardini dell’aristocrazia e negli orti botanici, in seguito fu apprezzata come curiosità botanica e per caratteri decorativi. Nel 1580 Giovan Vettorio Soderini, nel ricordare la provenienza messicana, sottolineava, accomunandola ai pavoni, la meraviglia suscitata dal suo aspetto, e Agostino del Riccio, negli ultimi anni del secolo, la elencava tra le piante degne di essere presenti in un giardino del Re. Anche le emigrazioni delle popolazioni rurali meridionali richiamarono l’interesse dei mercati nazionali ed esteri verso i frutti di Ficodindia, questa nuova richiesta stimolò la costituzione di nuovi impianti nelle zone collinari prossime alle città. Il Ficodindia divenne, da allora, uno dei simboli più noti della Sicilia. Il successo commerciale fu favorito dall’adozione della “scozzolatura”, una tecnica colturale, che consentiva l’ottenimento di frutti a maturazione autunnale di migliore qualità rispetto ai normali frutti e presenti sul mercato in mesi nei quali era ridotta la concorrenza di frutti di altre specie. L’origine della tecnica è particolare e le storie che si riportano sono rappresentative di una cultura tipica dell’arcaico mondo rurale siciliano. Alfonso Spagna nel 1884 scriveva: “È voce generale che un colono di Capaci si rifiutasse di vendere la produzione dei suoi fichi d’India a un conterraneo che vi aspirava e che costui, indignato del diniego, vendicasse il rifiuto con violenza, atterrandogli i frutti in piena fioritura. Questo atto vandalico, produsse effetti contrari alle sinistre intenzioni del malvagio autore. I frutti rinacquero poco dopo, in minor numero ma turgidi e promettenti oltre l’usato e vennero a maturazione con buccia fine e polpa così serrata e consistente da potersi conservare a magazzino per più mesi dell’anno e resistere agli eventi delle lunghe navigazioni”. Il Ficodindia ha un alto valore nutrizionale essendo ricco di minerali, soprattutto calcio, fosforo, vitamina C, antiossidante, il decotto di fiori ha proprietà diuretiche, l’applicazione diretta della polpa delle pale su ferite e piaghe, ulcere, costituisce un ottimo rimedio antiflogistico e cicatrizzante, è un vecchio rimedio della tradizione contadina isolana. I frutti oltre ad essere consumati freschi possono essere utilizzati per la produzione di succhi, liquori, marmellate (detta mostarda), dolcificanti e altro. Tipico siciliano è lo sciroppo, simile come consistenza e gusto allo sciroppo d’acero, utilizzato oltre nei dolci rustici, infuso è un attimo digestivo. Anche i cladodi (le pale), possono essere mangiati freschi, in salamoia, sott’aceto, canditi oppure come foraggio per animali. La diffusione capillare, la storia e l’ampio uso che se ne fa nella cucina siciliana hanno portato il Ficodindia a essere inserito nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali come prodotto tipico siciliano, la cui produzione è principalmente concentrata nelle zone di San Cono, nel Sud-ovest etneo, a Roccapalumba e Santa Margherita di Belice. Il Ficodindia di San Cono e quello dell’Etna sono inoltre riconosciuti come prodotti DOP.
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Deborah Iurato ft. Soul System
Un nuovo progetto discografico che unisce i due vincitori dei talent TESTO E FOTO DI SAMUEL TASCA
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ra il 2014, quando una giovanissima cantante ragusana vinceva Amici, il talent show di Maria De Filippi in onda su Mediaset. Stiamo parlando della bella e brava Deborah Iurato che, con la sua voce portentosa e la sua naturalezza, aveva conquistato, da subito, il cuore e l’affetto degli italiani. «In questi anni sono cresciuta e sono maturata, adesso mi sento più donna - ci racconta Deborah su una spiaggia del Lido di Noto durante le prove del suo concerto -. Il percorso ad Amici ha fatto sì che il mio sogno più grande diventasse il mio lavoro. Lo rifarei altre diecimila volte perché mi ha dato tanto e mi ha fatto crescere». Ma stavolta la Iurato non è da sola, assieme a lei ci sono i Soul System, vincitori della decima edizione di X Factor nel 2016, che firmano, insieme a Deborah, il nuovo singolo Stammi bene (On my mind), uscito il 7 giugno. «Hanno quell’anima r’n’b e soul che a me piace un sacco - dice Deborah riferita ai Soul System - quindi abbiamo pensato di uscire insieme con questo singolo che segue appunto i miei tre anni di stop. È stato super, perché si è creata questa energia e sintonia incredibile al punto tale da decidere di andare in tour insieme». È tanta la complicità e l’allegria che si percepisce tra la solista siciliana e il gruppo dei Soul System che la definiscono affettuosamente la loro “soul sister”. «La cosa che ci ha conquistato di più di Deborah è che, alla prima prova, ha portato i cannoli siciliani e quindi, già da lì, avrebbe potuto anche stonare tutto il tempo, ma per noi sarebbe stata sempre la miglior cantante del mondo» - ci svela il batterista della band concludendo con un sincero “viva i cannoli siciliani!”. Quindi cosa aspettarci da questo tour insieme? «Solo cose belle, come si dice dalle mie parti - ci risponde scherzando Deborah -. A parte gli scherzi, noi ci stiamo divertendo tanto e fortunatamente abbiamo anche avuto tanto riscontro dal nostro pubblico, il pezzo è piaciuto molto e siamo felici di portarlo in giro in tour». Con quest’ultima affermazione ci salutano Deborah Iurato e i Soul System prima di salire sul palco, affacciandosi su un lungomare già gremito di fan impazienti di ascoltare la loro nuova hit! BIANCAV.I.P.
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Birrificio Messina Un esempio di passione e tenacia DI ANGELO BARONE FOTO DI BIRRIFICIO MESSINA
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Catania incontro Elio Azzolina, componente del CdA della Cooperativa Birrificio Messina in quota alla Fondazione di Comunità di Messina, per conoscere meglio la storia dei quindici soci lavoratori che forti dell’esperienza lavorativa maturata alle dipendenze dello storico stabilimento della Birra Messina non hanno mollato mai, anche nei momenti più difficili ed hanno messo in campo passione e tenacia, investendo il proprio Tfr (Trattamento di fine rapporto) e tutta l’indennità di mobilità per continuare la produzione della birra a Messina. Una storia quella della produzione della birra a Messina avviata nel 1923 dalla famiglia Lo Presti – Faranda che negli anni ‘80 cede lo stabilimento alla Dreher che, successivamente all’acquisizione da parte di Heineken, diventa uno degli stabilimenti di punta in Europa con una produzione di un milione di ettolitri l’anno e ottanta dipendenti. Quando a fine anni ‘90 l’Heineken decide di ingrandire lo stabilimento rimane impantanata nella palude della nostra burocrazia con la conseguente decisione di spostare la produzione in Puglia. Nel gennaio 2007 Heineken annuncia la chiusura dello stabilimento di Messina e dopo un anno di trattative cede un ramo di azienda (tenendo per sè il marchio Birra Messina che continua a produrre in Puglia) agli eredi della famiglia Faranda e i dipendenti trasferiscono il loro Tfr dalle casse della multinazionale a quelle della Triscele Srl che le subentra tentando, però, poco tempo dopo l’avvio delle attività produttive, un’operazione di speculazione edilizia. Di fronte ad un possibile cambio di destinazione d’uso i lavoratori si attivano con successo presso la Regione per fare apporre il vincolo d’interesse storico
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Abbiamo creduto in questo progetto di rinascita e fianco a fianco abbiamo dimostrato che la lotta e la dignitosa perseveranza trasforma i sogni in obbiettivi raggiungibili.
ed etnoantropologico allo stabilimento industriale e ne bloccano l’operazione di abbattimento. La Triscele srl decide di terminare la produzione avviando le procedure di licenziamento dei dipendenti. Nel 2013 comincia un’altra storia: quindici ex dipendenti della Triscele Srl puntando sulla propria professionalità scelgono di ripartire in forma di cooperativa e fondano il Birrificio Messina e diventano “imprenditori”. Determinante è sia il ruolo della Fondazione di Comunità di Messina che sta al loro fianco che la solidarietà della città. Insieme Cooperativa e Fondazione realizzano una pianificazione economica – finanziaria del nuovo birrificio sostenibile e credibile, tanto che la Fondazione riesce a coinvolgere investitori e finanza specializzata attraendo per il Birrificio circa due milioni di euro che insieme al Tfr dei lavoratori hanno coperto il fabbisogno per avviare la produzione. La Fondazione lancia un piano di comunicazione sociale finalizzato ad attivare un fondo partecipativo, oggi trasferito come capitale sociale alla cooperativa. Questo progetto di rinascita diventa l’orgoglio della città di Messina ed è un esempio positivo per tutta la Sicilia. La Birra dello Stretto è un omaggio a Messina per il suo solidale sostegno: un prodotto di alta qualità che può unire come un ponte sullo stretto. “DOC15 è la birra che ognuno di noi lavoratori e fondatori della Cooperativa dedica all’altro. Abbiamo creduto in questo progetto di rinascita e fianco a fianco abbiamo dimostrato che la lotta e la dignitosa perseveranza trasforma i sogni in obbiettivi raggiungibili. DOC è la birra, i 15 siamo noi: nasce per essere condivisa”. Anche l’Heineken apprezza la professionalità della Cooperativa e stringe recentemente con essa un accordo quinquennale per la distribuzione in campo nazionale dei brand della cooperativa e per la produzione (su loro ricetta) della Birra Messina Cristalli di Sale pubblicizzata con uno spot dell’agenzia Armando Testa con la regia di Piero Messina, le musiche di Ennio Morricone e immagini che valorizzano la bellezza della Sicilia. Con quest’accordo si raddoppia il volume di produzione e le birre della cooperativa: la Birra dello Stretto e la DOC15 avranno una distribuzione nazionale e internazionale che farà arrivare il marchio in tutto il mondo. In cooperativa già pensano al futuro e le maggiori entrate saranno investite in una nuova cantina. Complimenti a questa bella realtà. Quando una comunità si mostra coesa e solidale le opportunità aumentano e si realizzano anche gli obiettivi del Distretto Sociale Evoluto, creato dalla Fondazione di Comunità di Messina. 31
Un Verga inedito al Museo dell’Immaginario Verghiano DI IRENE NOVELLO
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izzini è una cittadina del territorio di Catania, immersa tra i monti Iblei. Paese di origine del padre di Giovanni Verga, dove ritorna spesso negli ultimi anni della sua vita. Qui lo scrittore ambientò Cavalleria Rusticana, La lupa, Jeli il pastore e Mastro Don Gesualdo. Passeggiando tra i vicoli e le piazze di Vizzini si percepiscono i colori e le scenografie architettoniche veriste che affascinano e catturano. Tappa obbligatoria è il Museo dell’Immaginario Verghiano, che raccoglie testimonianze relative alle opere di Verga e dei suoi successi, ma è anche un luogo che ci fa scoprire lo scrittore sotto nuovi aspetti, che vanno oltre la conoscenza scolastica e che mettono in luce le sue passioni. Il Museo è ospitato presso Palazzo Trao, un’elegante architettura barocca settecentesca, antica dimora della famiglia Ventimiglia; nella scenografia verghiana è il palazzo di donna Bianca Trao, colei che diverrà la moglie di Mastro Don Gesualdo. Una sezione di esso è stata curata abilmente da Margherita Riggio, studiosa del Verga, lei stessa, infatti, ha indagato fra gli aspetti intimi dello scrittore attraverso il suo epistolario. Lettere d’amore scritte alle donne che ha incontrato nella sua vita, alcune delle quali hanno anche ispirato le sue opere; lettere destinate ai suoi amici e scrittori, tra questi Capuana amico fedele a cui chiedeva spesso consigli, foto e oggetti, utili ai disegnatori che dovevano illustrare le sue opere. Ma anche lettere rivolte alla famiglia a cui Verga era molto legato, ai suoi nipoti, ai fratelli e alla madre. All’uomo Verga è dedicata la prima stanza del museo imitando i salotti che lo scrittore frequentava a Firenze e a Milano, dove si mostrano aspetti inediti della sua biografia, i suoi
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FOTO DI ROSSANDRA PEPE
sentimenti più intimi verso le donne, il suo rapporto con l’arte. Il nome della sala è appunto “Bellezze diverse”. Sono esposte anche le stampe ritrovate in un’edizione di lusso di Vita dei Campi del 1897 con l’ editore Treves, tra i primi a fare dell’editoria un’impresa. C’è anche una sala dedicata all’opera lirica con Cavalleria Rusticana scelta da Mascagni per partecipare al concorso indetto dalla casa editrice Sonzogno. Verga stesso ne cura la versione teatrale che riscuoterà un primo successo al Teatro Regio di Torino nel 1890. C’è una sezione dedicata alla sua passione per la fotografia, con foto scattate dallo scrittore alla famiglia, agli amici e ai contadini di Tebidi. Ma anche oggetti personali che ci fanno cogliere la quotidianità dello scrittore, tra questi il gilet, il set personale con penna e calamaio e la toletta per i baffi. Margherita Riggio ci ha svelato una sua riflessione frutto della lettura dell’epistolario dello scrittore: “Ho scoperto un Verga diverso, dalla rigidità dell’autore che ci viene propinato a scuola e questo ho cercato di far passare nell’allestimento del museo. È un uomo molto colto, non esente dalla passione per il genere femminile, non privo di umanità e generosità, di grande e sottile ironia, passione per l’arte e capace di grandi slanci di tenerezza verso la sua famiglia e i nipoti”. Palazzo Trao espone al suo interno anche una mostra etnoantropologica allestita grazie al contributo del signor Rosario Catania, ricca di attrezzi che raccontano la vita rurale che fu nel borgo, è presente anche un antico modello di mulino idraulico e altri utensili che narrano le attività legate alla concia delle pelli. Usciti dal museo, Verga è con noi e ci accompagna tra le vie del borgo in una passeggiata d’altri tempi!
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Finger lime
’A truvatura di piccole perle agrumate DI TITTI METRICO
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FOTO DI FINGERLIME.COM
n questo numero voglio raccontarvi una mia esperienza. Una sera mi trovo a cena con amici, mi viene servito del pesce, dove sopra brillavano tantissime piccole perle, incuriosita assaggio, pensando di mangiare uova di storione colorate, invece, sento un’esplosione fresca, acidula tra pompelmo e lime con sentori di pepe rosa, prezzemolo o finocchio non saprei dire, leggermente piccante, resto meravigliata e chiedo, cosa sia quest’apparente caviale, che caviale non è! Il Finger lime, detto anche caviale vegano, ha origini australiane, era raccolto e consumato dagli Aborigeni 60.000 anni fa. Con la colonizzazione del XIX secolo le terre aride su cui cresce il finger lime furono utilizzate per le coltivazioni europee, è solo negli ultimi anni che questo frutto è stato riconosciuto per il suo potenziale in cucina. Grazie all’impegno di Slow Food che ha creato una rete sviluppata in tutto il mondo con l’obiettivo di conservarli e diffonderne la conoscenza. Il Finger lime (Citrus australasica) è un agrume di forma allungata, raggiunge una lunghezza di circa 8 cm e contiene piccoli chicchi simili a perle. Cresce in natura come un piccolo albero del sottobosco, fino a un’altezza
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tra i tre e i cinque metri, ha un fogliame rado e cresce molto lentamente, produce i suoi frutti dopo molti anni o quando è in condizioni di stress, tuttavia, quando innestata su un adeguato portainnesto, la pianta si trasforma in un agrume commerciale e redditizio. In Sicilia dove il Finger lime ha trovato casa, c’è stata una vera rivoluzione, che ha coinvolto circa 200 vivaisti, e sempre in Sicilia, esattamente in provincia di Agrigento, abbiamo il primo campo al mondo di Finger lime in fuori suolo, la cui coltivazione in ambiente protetto può essere una buona soluzione sia tecnica sia commerciale: questo merito lo attribuiamo alla sua elevata quotazione, essendo un prodotto di nicchia. Da non confondere il Finger lime con il faustrime che viene spacciato come caviale bianco o limone caviale, è un ibrido, il frutto del faustrime è più grosso, circa 50 gr. Le vescicole incolori non sono sferiche e perdono il succo, il sapore assomiglia a un limone amarognolo. La maturazione del Finger lime è a ottobre, la sua polpa ha una miriade di colori, variabili dal verde al giallo, al rosa, al rosso chiaro fino al magenta intenso. Masticando le piccole perle si aprono regalando al palato un gusto selvatico e
penetrante di lime. In cucina è molto versatile e si presta a tanti accostamenti, pensate che anche Carlo Cracco, il famoso chef, ha usato il Finger lime in un famoso spot di una patatina. Tagliato a metà con un coltello affilato il frutto, si spreme e come per magia appare una “truvatura” di piccole perle che fuoriescono, oltre ad usarlo in cucina puoi sorprendere i tuoi ospiti utilizzandolo nel Gin, Champagne, vodka, Campari, succo di pomodoro, ecc. Lo chef Marcello Cividini scrive: “Il Finger lime è come il maiale non si butta via niente”, la buccia, ricca di principi attivi, limocitrina, composti fenolici antiossidanti, omega-3, ha proprietà rinfrescanti, diuretiche, antisettiche e favorisce la
digestione; è fonte di vitamina C e B6, che aiutano il normale funzionamento del sistema immunitario; 50 gr di Finger lime forniranno il fabbisogno giornaliero di vitamina C. Essiccata e polverizzata diventa un complemento interessante come spezia o per infusi. Ogni perla è un prezioso scrigno pieno di sostanze benefiche per il nostro organismo. Il prezioso Finger lime è eccellente se consumato fresco, ma si surgela benissimo senza alterare la polpa o il gusto e dura fino al prossimo raccolto. Per concludere il Finger lime, oggi poco conosciuto, è un agrume che si sta diffondendo sempre più, nella ristorazione di nicchia i cuochi creano abbinamenti scenografici per deliziare i palati dei clienti più esigenti. 35
Troina tra i borghi più belli d’Italia DI OMAR GELSOMINO FOTO DI giuseppe calabrese e simona giamblanco
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l Consiglio Direttivo dell’Associazione, lo scorso 23 luglio, ha ammesso otto nuovi comuni tra cui anche Troina (En), l’unica città siciliana, a far parte de “I borghi più belli d’Italia”. Tanti i requisiti richiesti dalla Carta di Qualità: una popolazione nel borgo antico del Comune di 2000 abitanti e non superiore ai 15000 abitanti nel Comune; possedere un patrimonio architettonico e/o naturale certificato da documenti in possesso del Comune e/o dalla Sovrintendenza delle Belle Arti; offrire un patrimonio di qualità che si faccia apprezzare per qualità urbanistica e qualità architettonica; manifestare, una volontà e una politica di valorizzazione, sviluppo, promozione e animazione del proprio patrimonio. L’Associazione de “I Borghi più belli d’Italia” intende “valorizzare il grande patrimonio di storia, arte, cultura, ambiente e tradizioni presente nei piccoli centri italiani che sono, per la grande parte, emarginati dai flussi dei visitatori e dei turisti”. In questi anni tanti sono stati gli interventi di restauro, recupero e valorizzazione del centro storico (un contesto urbanistico e patrimonio culturale rilevante) oltre ad iniziative socioculturali e turistiche tese a rilanciare la città grazie all’incisiva volontà dell’attuale primo cittadino Fabio Venezia. Tutto ciò ha permesso a Troina di essere inserita in questo prestigioso Club insieme a Castelmola, Castiglione di Sicilia, Castroreale, Cefalù, Erice, Ferla, Gangi, Geraci Siculo, Montalbano Elicona, Monterosso Almo, Novara di Sicilia, Palazzolo Acreide, Petralia Soprana, Salemi, Sambuca di Sicilia, San Marco d’Alunzio, Savoca, Sperlinga e Sutera. Situata sui
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Monti Nebrodi, dal suo punto più alto e antico, Piazza Conte Ruggero, è possibile ammirare un panorama suggestivo: dalla magnificenza dell’Etna alla costa del Mar Jonio al monte San Pantheon, dai boschi dei Nebrodi al Lago Sartori. Alcuni studiosi identificano l’attuale nome con Engyon, sede del tempio preellenico dedicato al culto delle Dee Matri, mentre quello più antico è Traghina, derivante dal greco roccioso, che si ripete in Trayna, Trahyna, Trahina, Drakinai, Drajna e Tragina. Di origini antichissime, poiché i primi insediamenti risalgono al periodo preistorico, Troina fu abitata dai Sicani e dai Siculi, colonizzata dai Greci e conquistata dai Saraceni, ma fu solo con l’arrivo dei Normanni, guidati dal Conte Ruggero nel 1060, che conobbe il suo massimo splendore diventando la prima sede del potere politico e militare dell’Isola poiché ricopriva un’importante posizione strategica in quanto posta fra le montagne dominanti le vallate circostanti. «Si tratta di un prestigioso riconoscimento che premia il lavoro svolto sino a questo momento per la valorizzazione del centro storico e il rilancio culturale e turistico della città - ha commentato il sindaco Fabio Venezia - e costituisce anche un punto d’inizio per promuovere in maniera più incisiva il territorio». Ovviamente per continuare a far parte dell’Associazione de I Borghi più belli d’Italia sono necessarie altre iniziative. «I versanti su cui opereremo sono due: la riqualificazione urbana e in particolare del centro storico con il decoro urbano e la messa a sistema dell’offerta culturale e turistica. Saranno realizzati e completati diversi contenitori culturali - ha spiegato il sindaco Venezia -, in particolare il Museo fotografico con gli scatti inediti di Robert Capa acquistati a New York, la Pinacoteca Civica arricchita da un’opera di Tiziano e di altri importanti pittori del Seicento, il Museo d’Arte Contemporanea con oltre 150 opere d’arte donate da artisti di fama nazionale e internazionale e tutta una serie di altre iniziative rivolte al rilancio culturale della città». Per chi desidera conoscere la Sicilia più autentica Troina è la meta ideale, dove poter coniugare la bellezza della natura con la storia e percorrendone le antiche vie è possibile scoprire le sue radici profonde e riviverne il passato. 37
Il Santuario degli Un antico culto siculo nel cuore della Sicilia
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dei Palìci orientale
DI IRENE NOVELLO
FOTO DI GAETANO CUTELLO
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l santuario dei Palìci sorge immerso nelle verdi e fertili campagne della Valle dei Margi a pochi chilometri da Palagonia e da Mineo. È un luogo ancestrale della civiltà sicula ed emblema della colonizzazione greca in Sicilia. È Diodoro Siculo a farci conoscere questo culto di origine sicula il cui santuario fu edificato ai piedi di un’altura basaltica nel VII secolo a.C. presso il lago di Naftia, caratterizzato da pozze d’acqua ribollenti dall’odore sulfureo, un fenomeno naturale generato dalla presenza di anidride carbonica nel sottosuolo. Nel 1935 il lago viene riconosciuto come la più grande sorgente naturale di anidride carbonica, infatti, l’area verrà bonificata canalizzando le acque ed eliminando definitivamente un fenomeno naturale unico, oggi purtroppo sottoposto allo sfruttamento industriale. Mentre l’uomo moderno cerca di trarre il massimo profitto da ciò che la natura generosamente gli regala, nell’antichità invece si aveva un profondo rispetto di Madre Natura e per spiegare i fenomeni naturali si ricorreva al mondo divino. Infatti, i ribollii d’acqua che interessavano il lago di Naftia furono interpretati dai Siculi come la manifestazione di una presenza divina nel sottosuolo che desiderava risalire in superficie. Ma chi erano i Palìci? Erano figli di Zeus e della ninfa Tàlia. I due si amarono presso la riva del fiume Simeto. Scopertasi in dolce attesa e temendo l’ira di Era, la ninfa espresse il desiderio di essere inghiottita dalla terra. E così accadde! Vennero alla luce i due bambini che furono chiamati Palìci e che ritornarono in superficie attraverso i getti vulcanici del lago. Nel corso dei secoli il santuario ebbe diverse funzioni. Fu il tribunale per processare delitti molto gravi. Si narra che i giuramenti dell’accusato venissero incisi su delle tavolette e queste gettate nelle acque del lago. Se la tavoletta galleggiava, allora il giuramento era veritiero, se invece affondava, era considerato falso. Il santuario ebbe anche la funzione di oracolo per dare responsi molto importanti per l’intera comunità. Inoltre, dentro l’area sacra vigeva anche il diritto di asilo: qui, infatti, gli schiavi trovavano rifugio lontano dai padroni crudeli, che potevano riportarli con sé solo dopo aver garantito sotto giuramento agli dei Palìci, di trattarli umanamente. Il santuario nel V secolo a.C. vive una fase monumentale con la costruzione di portici colonnati e dell’hestiatèrion, una sala, dove venivano organizzati i banchetti in onore delle divinità. Questa sistemazione si deve attribuire probabilmente a Ducezio, che riuscì a creare una lega di città sicule contro l’invasore greco. Capitale della lega fu la città di Palikè, fondata sul contrafforte basaltico situato a ridosso dell’area sacra che diventa l’emblema politico e religioso della lega sicula. Purtroppo il progetto di Ducezio terminò bruscamente con la sua sconfitta e l’esilio; il sogno di un’indipendenza sicula sfumò. Oggi la storia del mito si può percepire visitando l’area archeologica, dove si possono ammirare i resti dell’area sacra, visitare l’Antiquarium dove, nelle sale espositive, si racconta la storia del santuario e l’importanza che ebbe nel corso dei secoli. Passeggiare all’interno dell’area sacra, scoprendo la fauna e la flora del territorio e respirando la storia dei nostri progenitori, è un’occasione unica e ogni volta irripetibile! 39
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Redemption for a lost soul
Il film che farà conoscere la Sicilia nel DI ALESSIA GIAQUINTA FOTO DI TONI CAMPO E ANDREA MEARELLI
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ato da un’idea di Turi Occhipinti, Gaetano Scollo ed Emanuele Cavarra - che ne hanno scritto il soggetto - “Redemption for a lost soul” è un film che, al di là della vicenda coinvolgente, ha l’obiettivo di mostrare una terra piena di bellezze e tradizioni, la nostra Sicilia, appunto. Il regista messicano Roberto Valdes ha voluto così investire le proprie capacità per la realizzazione di questo ambizioso progetto. Dopo oltre vent’anni di esperienza nel mondo cinematografico e pubblicitario, lo sceneggiatore e regista Valdes punta a realizzare un lungometraggio che possa mostrare al mondo una Sicilia viva, pulsante, dinamica. La vicenda è ambientata in un paesino del sud est della Sicilia. La protagonista è una giovane donna, Marianna (interpretata dall’attrice ragusana Carla Cintolo) che, dopo la perdita della madre, vive il dramma della perdita di Ben, l’uomo che ama, a causa dell’amianto. Una storia che trae spunto dalla realtà e dall’atroce problematica legata al minerale cancerogeno che, soprattutto nel secolo scorso, ha provocato la morte e la sofferenza di numerose persone. Una tematica cara a Turi Occhipinti e Gaetano Scollo che, nel 2011, hanno anche realizzato il cortometraggio “Lamiantu” e l’opera teatrale Eternity con la partecipazione del compianto Marcello Perracchio e l’attrice Silvia Scuderi. Le vicende legate a Marianna sembrano far parte di un destino avverso, irto di difficoltà, sofferenze e pregiudizi, un destino determinato dalla solitudine, dall’incomprensione e dal terribile amianto. La protagonista dovrà, infatti, affrontare il lutto della madre, la gelosia di Ciccio - suo spasimante -, la malattia e la morte dell’amato Ben e infine pure quella di Teresa, figlia nata dalla relazione con quest’ultimo. Il conforto nella fede, perduta e poi ritrovata, farà da filo conduttore alle drammatiche vicende di Marianna che, rimasta sola, inizia la sua lotta contro l’amianto. Lotta per dare una svolta determinante al proprio destino. E forse, non solo al suo. Una delle scene principali del film si svolge durante la
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mondo caratteristica festa di San Giovanni Battista a Monterosso Almo: in questo contesto la protagonista, alzando la figlia verso il simulacro del Santo, supplica conforto e protezione. Un aspetto interessante di questa scena è che si è dovuta girare in un unico ciak in quanto le riprese sono state effettuate nel corso della festa reale. In questo modo, nel film si mostrano tradizioni, folclore, paesaggi e bellezze del territorio ibleo. Numerose le eccellenze siciliane coinvolte nel progetto: dal compositore ragusano Giovanni Celestre, che ha ideato le musiche, al fotografo Toni Campo, allo scenografo Filippo Altomare, oltre agli attori e sceneggiatori summenzionati. La produzione esecutiva è affidata a chi come Agata Cappello e Cristiano Battaglia - entrambi imprenditori - crede nelle potenzialità di questo lungometraggio. Determinante anche il sostegno del Libero Consorzio Comunale di Ragusa, dell’Associazione Ragusani nel Mondo e di vari altri enti, cinematografici e non, che si sono offerti di promuovere l’ambizioso progetto. La presentazione del teaser del film si è svolta all’interno del Forum Fedic alla 75a Mostra del Cinema di Venezia. Al Saturnia Film Festival, inoltre, le stesse immagini hanno riscosso particolare interesse e numerosi apprezzamenti da esperti del settore. Valorizzare un territorio, lanciare messaggi importanti, credere nelle potenzialità e nelle competenze di professionisti locali e confrontarsi con il mondo, ecco quello che muove “Redemption for a lost soul”. Il progetto, in fase di esecuzione, ha un respiro internazionale poiché mira alle sale cinematografiche anche di altri continenti: per questo motivo, infatti, si è scelto di girare il film in lingua inglese. Le prime immagini, come testimonia il teaser visibile anche su YouTube, sono di grande qualità ma soprattutto di forte impatto emotivo. Un film che emoziona e sensibilizza e che speriamo di vedere quanto prima!
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Desirée DI OMAR GELSOMINO FOTO DI FRANCO LANNINO E OUTUMURO
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n nome che risplende fra le cantanti liriche, nel panorama internazionale, è il soprano Desirée Rancatore. Bella, solare e allegra. Palermitana d’origine da anni calca i teatri dell’opera di tutto il mondo con la sua voce armoniosa. «Iniziai a studiare il pianoforte a quattro anni e il violino quattro anni dopo. La mia è una famiglia musicale: mio padre è clarinettista e mia madre cantante al Teatro Massimo, quindi ho sempre bazzicato nel mondo dell’opera senza mai pensare di poterne far parte. Frequentando il corso di canto corale dovetti preparare la “Petite messe solennelle” di Rossini, così m’innamorai follemente del canto. Questo mio percorso iniziò a sedici anni e in pochi anni vide un’evoluzione di enfant prodige. Grazie a mia madre e ai suoi sapienti insegnamenti è uscito fuori questo dono del cielo. Arrivarono le audizioni, vinsi tre concorsi internazionali, debuttai a diciotto anni al Festival di Salisbrugo e ho cantato nei teatri di tutto il mondo». Una scelta sicuramente non facile quella di essere una cantante lirica ma che l’ha affascinata sin da subito. «È bello poter esprimere delle emozioni con la voce, perché parte dall’anima e arriva ai cuori di chi ti sta ascoltando e poi impersonare le eroine dei personaggi di un passato meraviglioso con delle storie d’amore avvincenti anche se quasi sempre tragiche, ma molto intense, molto belle. Sicuramente c’è il fascino di emozionare emozionandosi». Ma oltre alla formazione strumentistica e tecnica si apprendono e portano con sé anche degli insegnamenti per tutta la vita. «Ho iniziato a studiare canto con la mia mamma che continua a essere la costante nella mia vita, lei è molto severa, esigente e perfezionista e questo ha influito sul mio modo di essere. Per tredici anni ho avuto la 44
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Rancatore Una voce che incanta
fortuna di collaborare a Roma con Margaret Baker Genovesi, dei suoi insegnamenti mi porto dietro la precisione, la disciplina, il chiederti il perché di alcune cose di quello che stai cantando, oltre a prepararmi tecnicamente. È stato interessante raffrontarmi con Mariella Devia, per me un mito assoluto dopo la Callas, sia tecnicamente sia umanamente, perché mi ha dato tantissimo nella nuova parte del mio repertorio che sto ampliando perché la voce si evolve, ho debuttato con Norma grazie ai suoi insegnamenti». In realtà, in tutti questi anni sono molteplici i ruoli che ha interpretato, a volte affatto facili, ma Desirée Rancatore li ha affrontati con la sua versatilità. «Penso di non aver fatto mai cose facili. Ho avuto tanta incoscienza e la ringrazio infinitamente per essere stata la mia compagna fedele per tanti anni, anche se un po’ mi spiace averla persa. A diciotto anni ero ignara di tutto quello che mi aspettava, prendevo tutto come un gioco, non conoscevo neanche i cantanti famosi che avevo accanto a me. Mi sono divertita a interpretare tanti ruoli difficili, c’erano delle responsabilità che all’epoca non sentivo più di tanto. Quando la carriera arriva a un certo livello, ti rendi conto che sei sempre molto giudicata, anche criticata perché fa parte del gioco, ti responsabilizzi e capisci che devi mantenere un certo livello». Nonostante sia sempre in giro per il mondo per lavoro, la Sicilia rimane sempre la sua casa. «Sono legatissima alla mia terra, alla mia famiglia, ai miei valori. Ho una famiglia molto bella e penso che questo faccia sì che sia molto legata ai valori e alle tradizioni prettamente nostre: il sole, il cibo, il mare, specialmente da quando sono in Irlanda, che è bellissima, ma la Sicilia è la mia terra e non la cambio per niente». Dopo la masterclass a Foligno, aver ricevuto il premio “Il Parnaso 2019” a Montecatini, a ottobre Desirée Rancatore sarà in tour in Cina e in Giappone con il Rigoletto e la Traviata, poi debutterà con Liu nella Turandot a Trieste e con Anna Bolena a Genova incantando ancora una volta con la sua voce, in continua evoluzione, il suo pubblico. 45
Arturo Di Modica
e il suo Nuovo Rinascimento
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DI SALVATORE GENOVESE FOTO DI SAM VALADI
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on si può parlare dello scultore Arturo Di Modica senza ricordare la sua opera più famosa, quella che gli ha dato la notorietà a livello mondiale: il toro di Wall Street, il Charging Bull, diventato il simbolo della Borsa americana. Di Modica è un artista multiforme che guarda sempre “oltre”, tanto da indurlo a creare a Vittoria, dove è nato, anche se la sua vita si è svolta soprattutto a New York, una grande struttura, che poggia su una superficie di centomila metri quadrati, dove, tra centinaia di palme e ulivi ultracentenari, sta sorgendo una Scuola Internazionale di Scultura, una fucina di artisti internazionali e uno studio/esposizione, oltre quello che ha nel Wyoming, per esporre e produrre le sue opere: sculture in bronzo, in acciaio, in legno e in marmo. Struttura che, ci dice, è pronta all’ottanta per cento e che sarà inaugurata entro la fine del prossimo anno. Varcare la soglia dei suoi laboratori è come entrare in un mondo “fatato”. Per visitarli bisogna spostarsi in macchina, tanto è vasta la struttura in via di realizzazione. «Piano piano – spiega – la finirò, anche se occorrono molti capitali ed io non ho avuto aiuto da alcuno, né enti pubblici, né privati. Sto facendo tutto con le mie sole forze». L’idea finale è realizzare due grandi cavalli rampanti in acciaio, alti quaranta metri, che si contrappongono e si sostengono a vicenda: saranno posizionati sulle sponde del fiume Ippari e ospiteranno un ristorante, due Musei Archeologici, quello di Vittoria e quello di Ragusa, ed altre sale. Un progetto ambizioso, che lui dichiara di voler fare per la sua città, perché crede fermamente che diventeranno un’attrazione internazionale in grado di interessare turisti da tutto il mondo «solo il turismo può salvare una città come Vittoria, nella quale di recente si sono verificati spiacevolissimi episodi di cronaca». Di questi cavalli rampanti sono state realizzate, nello studio del Wyoming, tre copie, ciascuna di otto metri di altezza, di
cui due in bronzo, destinate alla vendita, ed una in acciaio, che resterà nella struttura vittoriese, posizionata su due piedistalli già pronti ad accoglierla. «Per realizzare i due grandi cavalli ipparini occorrono trentasei milioni di euro e io non li ho. Per questo intendo rivolgermi alla Comunità Europea e ad altri Enti. Occorre trovare un sistema per avvicinare gli altri a questo mio progetto, perciò sto realizzando, con fondi esclusivamente miei, le tre copie di otto metri, che presenterò insieme al mio studio ed alla galleria del Nuovo Rinascimento». Arturo Di Modica, instancabile benché non più giovanissimo, ha grinta e determinazione per attuarle. Tutti elementi che dichiara di assorbire dalla sua attività di scultore e di artista. E sono state proprio queste caratteristiche ad indurlo a realizzare e ad abbandonare, molti anni fa, la pesante scultura bronzea davanti alla Borsa di Wall Street. Ma il suo toro oggi non parla solo americano: anche altre borse, a Shanghai, Amsterdam e Corea gli hanno chiesto di collocare il suo Charging Bull davanti alle rispettive borse. All’originale, quello newyorkese, di recente sono occorsi due strani episodi: il primo è stato attuato da alcune femministe americane, che hanno collocato la statua di una bambina davanti al toro, per dire: “Noi siamo qua e siamo pronte ad andare contro tutto e tutti”. La statua della bambina è stata poi fatta rimuovere dallo stesso Di Modica «perché la mia scultura non c’entra niente con le tematiche femministe». Altro episodio, che risale a pochi giorni fa: il Charging Bull è stato preso a martellate da qualcuno che gridava: “A Trump, a Trump”. «Che nesso c’è tra il toro e Trump?», gli chiedo. «Siccome Trump sta facendo le cose con grinta, viene paragonato al toro. Inoltre un giornale americano due mesi fa ha pubblicato una caricatura di Trump che cavalca il mio toro». La città, quella sana, che è la parte più cospicua, aspetta. Sa che questa struttura, una volta realizzata, ne costituirà il vanto. Sia dal punto di vista culturale, che economico. 47
Il Friscaletto
Suono del cuore di Sicilia DI ALESSIA GIAQUINTA FOTO DI GIUSEPPE BOSCO
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iccardo Termini è un giovane di ventitré anni di Polizzi Generosa (PA), custode di una tradizione musicale ultra-millenaria che, purtroppo, sta scomparendo. Riccardo, infatti, costruisce e suona i cosiddetti friscaletti, zufoli tipici della musica popolare siciliana. La passione per questo strumento e la voglia di farlo conoscere, hanno spinto Riccardo a partecipare al talent-varietà La Corrida, condotto da Carlo Conti su Rai 1, permettendogli addirittura di ottenere la vittoria. Il friscaletto suonato da Riccardo in quell’occasione era, pensate un po’, di cioccolato. Avete letto bene: cioccolato. Prima costruito, poi suonato e infine mangiato.
Come e quando nasce la tua passione per il friscaletto? «Avevo dieci anni. In occasione della Sagra delle Nocciole che si tiene nel mio paese, rimasi affascinato dal suono di questo strumento. Nacque così in me la voglia di averne uno. Non fu facile trovarlo, però. I friscaletti, infatti, non si vendono nei normali negozi di strumenti musicali in quanto vengono costruiti artigianalmente. Finalmente ne trovai uno a Cefalù, in un negozio di souvenir: ebbi così, in qualche modo, il mio primo friscaletto». Chi ti ha insegnato a suonare questo strumento? «Ho imparato da solo, pian piano, suonando, ascoltando e migliorando, così, di volta in volta. Non avendo nessuno che m’insegnasse, ho impiegato più tempo per capire il sistema, le note, i timbri... Negli anni sono riuscito a capire non solo come funzionava lo strumento ma anche a costruirne numerosi». Quindi sei anche un costruttore di friscaletti? «Sì. Dopo il mio primo strumento, che altro non era che un souvenir, ne comprai uno artigianale a Messina. Fu il primo vero strumento e iniziai a perfezionare il suono. Ma ogni friscaletto è unico e produce suoni imparagonabili ad altri. Avevo bisogno pure di friscaltetti in altre tonalità. Così provai da me a costruirli, con grande difficoltà. Andavo ai raduni dei friscaletti e friscalettari e, dopo anni, cominciai a capire i trucchi per costruire lo strumento e dare il taglio della tonalità. Da lì iniziai a costruire veri strumenti musicali che oggi vendo addirittura a professionisti di tutto il mondo». Da cosa è nata l’idea di costruire un friscalettu di cioccolato? «L’idea nacque da un ricordo legato a quando ero bambino. Mio zio, infatti, era solito portarmi in una pasticceria qui a Polizzi, in cui si realizzano varie forme in cioccolato. L’idea la presi da lì. Avevo circa diciotto anni quando partecipai a una serata di corrida organizzata nel mio paese e, dal momento che già avevo vinto quella dell’anno precedente - con un’esibizione di friscaletto -, volevo portare qualche novità. Pensai così al friscaletto di cioccolato. Il pubblico era entusiasta e divertito e pensai che mi
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LEANTICHETRADIZIONIDIBIANCA
sarebbe piaciuto mostrare a molta più gente quest’arte musicale, ormai, ahimè in disuso. Alla prima occasione partecipai a La Corrida, su Rai 1...». Ottenendo la vittoria e l’ovazione del pubblico. Quante emozioni? «Troppe. L’esperienza è stata bellissima tanto da non riuscire a descriverla. Ricordo bene, però, lo sguardo meravigliato dei presenti quando, a fine esibizione, addentai il mio zufolo di cioccolato». Sei legato alle tradizioni della tua terra e sei impegnato nel diffonderle. Quanto pensi sia importante sensibilizzare le nuove generazioni alla conoscenza degli usi e costumi del passato? «Sono legatissimo alla mia terra. Il friscaletto siciliano è lo strumento principe della nostra tradizione. Utilizzato al tempo dei greci e conservato dai pastori, ora è in mano a poche persone. Rappresenta l’entità del popolo siciliano ma molti, soprattutto delle nuove generazioni, neanche lo conoscono. Il mio sogno sarebbe tramandarlo ai bambini e sarei contento se qualche ente, o la Regione finanziasse progetti scolastici e laboratori in maniera tale da non perdere la tradizione, questa, come molte altre della nostra terra». Non lasciamo disperdere l’incanto prodotto dal suono unico, dolce e allo stesso tempo deciso, del friscaletto. È il suono del cuore di Sicilia, non lo sapevate? 49
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Un campo scuola per educare i giovani a gestire il diabete di tipo 1 SALUTIaMO A CURA DI ANGELO BARONE FOTO DI MASSIMILIANO CAPPELLANO
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on piacere sono stato invitato a visitare il campo scuola per ragazzi con diabete di tipo 1 che si è svolto a Caltagirone presso il Colle San Mauro dal 28 al 30 agosto. Le attività sono state realizzate dall’Asp di Catania in collaborazione con il Centro di riferimento regionale di Diabetologia pediatrica dell’AOU Policlinico di Catania (diretto dalla prof.ssa Manuela Caruso) e con l’Associazione Giovani con Diabete Sicilia, che dal 1984 si occupa di dare sostegno ai ragazzi con diabete e alle loro famiglie. Il percorso ha visto la partecipazione di undici giovanissimi. La dr.ssa Donatella Lo Presti, coordinatrice del team del Centro di Diabetologia Pediatrico del Policlinico di Catania, mi spiega che il diabete di tipo 1 è una forma di diabete che si manifesta prevalentemente nel periodo dell’infanzia e nell’adolescenza, e rientra nella categoria delle malattie autoimmuni, la quale, di fatto, rende il pancreas incapace di secernere insulina. «Il campo scuola, per i ragazzi, è un momento di divertimento - continua la dr.ssa Lo Presti - ma è anche l’occasione, per loro, per potersi
confrontare con medici, infermieri e giovani diabetici più adulti su argomenti di gestione del diabete in modo da potersi rendere autonomi nella gestione della malattia». Il direttore generale dell’Asp di Catania, dott. Maurizio Lanza si è recato al campo scuola per incontrare i giovanissimi partecipanti ed esprimere loro, alle loro famiglie e all’associazione AGD Sicilia l’attenzione dell’Azienda sanitaria e la piena disponibilità a costruire i percorsi necessari per strutturare e dare continuità agli interventi di educazione e formazione a giovani con diabete. Si dà così vigore alla partnership fra Asp di Catania e AGD Sicilia. Il presidente di AGD Sicilia, Fabio Badalà, esprime soddisfazione per la visita del dott. Lanza. «Siamo felici che il dott. Lanza abbia accolto il nostro invito di constatare di persona la valenza di queste iniziative». Durante la tre giorni i ragazzi sono stati coinvolti in diverse attività ludico – motorie, organizzate dai tutor, con lo scopo di educarli a corretti stili di vita, alimentari e motori, e a un’efficace gestione del diabete. 51
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Polpo in umido in salsa di pomodoro e pan grattato I CONSIGLI DELLO CHEF A CURA DELLO CHEF VINCÉ MORMINA “IL DELFINO” MARINA DI RAGUSA
Ingredienti (per due persone con una spesa di circa 8 euro):
800 grammi di polpo 310 grammi di passata di pomodoro 1 scalogno 1 spicchio d’aglio 4 rametti di timo 2 foglie di salvia 1 lt. di acqua olio extra vergine d’oliva q.b. sale fino q.b. pepe nero q.b.
Pulite bene il polpo ed eliminate il dente. In una pentola scaldate un filo d’olio. Aggiungete l’aglio mondato e lo scalogno affettato. Versate la passata di pomodoro, alzate la fiamma. Aggiungete sale, timo, salvia e acqua. Portate a bollore. Immergete i tentacoli del polpo per 3 volte così si arricceranno per bene. Immergetelo completamente. Coprite con il coperchio e fate cuocere a fuoco medio per cinquanta minuti. Infine, aggiungete una spolverata di pepe.
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NON ABBANDONARLO! nemmeno in estate BIANCA PET A CURA DI MARIA CONCETTA MANTICELLO
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estate è il momento che tutti attendiamo per risollevarci dalle fatiche di un anno lavorativo, ma ancora una volta, a stagione conclusa e dati alla mano, nella nostra Isola sono numerosi i casi registrati di abbandoni e di maltrattamento agli animali. Purtroppo è un fenomeno che non si ferma. L’estate rimane il periodo più crudele dell’anno per i nostri amici domestici. Per molti di loro è l’inizio di un calvario, da cui molto probabilmente non ne usciranno più, perché un animale abituato alle cure domestiche, difficilmente potrà adattarsi alla vita in strada. Nella maggior parte dei casi moriranno o per mancanza di cibo oppure aggrediti da randagi. Quest’anno a fine luglio, nella località balneare dove trascorro le vacanze, vedevo girovagare senza meta un cagnolino di piccola taglia, con il collarino e ben tenuto, passavano i giorni e l’animale continuava a cercare chi senza cuore l’aveva abbandonato. Intanto agosto era arrivato e con esso anche tanti turisti e quindi tante
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macchine, per paura che venisse investito, ho segnalato il caso agli operatori dell’ENPA (Ente Nazionale Prevenzione Animali), i quali premurosamente sono intervenuti mettendo in sicurezza l’animale, portandolo in un canile. Fortunatamente negli ultimi anni sono diminuiti sensibilmente, rispetto al passato, gli amici a quattro zampe finiti nei canili grazie alle campagne di sensibilizzazione contro l’abbandono, l’obbligo di dotarli di microchip e le sanzioni stabilite dal codice penale per chi li abbandona, tutte misure che hanno dato i loro risultati. Di contro, sta crescendo in maniera esponenziale il numero di altri animali abbandonati come: gatti, tartarughe, criceti, cincillà e topi cavia, ecc. privi di tutela e di regolamenti. Abbandonarli è crudele, è segno di grande inciviltà, comporta un costo sociale non indifferente e costituisce un rischio per tutti, migliaia sono gli incidenti stradali causati da animali che vengono lasciati sul ciglio della strada. Rispetto al passato molti obiettivi, come paese, sono stati raggiunti, ma non bisogna abbassare l’attenzione, perché il fenomeno rappresenta un grande problema, che deve essere affrontato in maniera seria e responsabile dagli organi competenti.
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