Bianca Magazine n°39

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DonneSiciliadi

Pioniere, sante e ribelli: le donne che hanno fatto la storia e continuano a farla.

In copertina: “Il mito di Sicilia” di Cirnauti ©
Anno VII - N.39 Febbraio/Marzo ‘23 Copia Omaggio

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Asja Abate, Associazione Casa delle Donne di Scicli, Teresa Bellina, Andrea Giuseppe Cerra, Maria Luisa Cinquerrui, Salvatore Ferrara, Elis Gjorretaj, Kymia, Giulia Monteleone, Gloriana Orlando, Fabiano Roccuzzo, Bruno Torrisi

ILLUSTRAZIONE IN COPERTINA

“Il mito di Sicilia” di Cirnauti© www.cirnauti.com

AMMINISTRAZIONE E CONSULENZA LEGALE

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CONCESSIONARIA PUBBLICITARIA

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HANNO COLLABORATO

Eleonora Bufalino, Omar Gelsomino, Alessia Giaquinta, Federica Gorgone, Giulia Monaco, Patrizia Rubino, Merelinda Staita, Samuel Tasca

EDITO DA

Emanuele Cocchiaro Editore via Raffaele Failla, 66 - Grammichele (CT) 95042 Sede operativa: via Giovanni Pascoli, 54 Grammichele (CT) 95042 tel. 0933-946461

STAMPA

FLYERALARM SrL, G. Galilei 8 a, 39100 Bolzano

REGISTRAZIONE

Tribunale di Caltagirone n°1 del 12/10/2016 periodico bimestrale Anno VII n°39 redazione@biancamagazine.it

ROC N° 26760

UNA LEGGENDA BIZANTINA NARRA LA STORIA DI “SICILIA”, UNA BELLISSIMA PRINCIPESSA

LIBANESE VITTIMA DI UN’INFAUSTA PROFEZIA. AL COMPIMENTO DEL QUINDICESIMO ANNO DI

ETà AVREBBE DOVUTO LASCIARE LA SUA TERRA DI

ORIGINE: TREMANTE ED IMPAURITA NEL GIORNO DEL SUO COMPLEANNO, LA PRINCIPESSA PARTì DA SOLA IN BARCA E RIMASE IN BALìA DELLE ONDE PER TRE MESI FINO A QUANDO NON APPRODò IN UNA TERRA MERAVIGLIOSA, RICCA DI FIORI E DI FRUTTI, MA DESERTA. Lì INCONTRò UN GIOVANE, L’UNICO SOPRAVVISSUTO AD UNA EPIDEMIA DI PESTE. DAL LORO GRANDE AMORE NAQUE UNA NUOVA STIRPE FORTE E GENTILE, DANDO ORIGINE AL POPOLO SICILIANO. L’ISOLA MUTò QUINDI IL SUO NOME DA TRINACRIA (TERRA DEI TRE PROMONTORI) IN SICILIA.

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sommario

7. Editoriale

8. Grandi donne siciliane

10. La storia di Franca Florio

12. Costanza d’Altavilla

14. Il coraggio di Franca Viola

16. “Un inconfessabile segreto”: il romanzo di Gloriana Orlando

18. Marinella Fiume racconta l’universo femminile

20. Laura Distefano

22. Asja Abate

24. Rita Botto

26. Marianna Cappellani

28. La Casa delle Donne di Scicli

30. Annalisa Pompeo

32. Giulia Monteleone

34. Smartisland

36. Il Carnevale di Chiaramonte Gulfi

38. Rubrica: Start-up Future

Kymia

40. Rubrica: Tito-lo

La vigna di uve nere

42 Rubrica: I racconti di Bianca

Jana salva la regina

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Il modo giusto per allestire i tuoi ambienti Il modo giusto per dare personalità allo spazio attorno a te

Il modo giusto per vestire casa tua, attento ai colori, alle forme, alle tendeze, ai dettagli. Tutto questo, e tanto altro, è LIVING.

COMISO, C.so Ho Chi Min (ang. via dei Roveri)

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editoriale n° 39 marzofebbraio ‘ 23

Care lettrici e cari lettori, mossi da un profondo e sincero sentimento di riconoscenza, gratitudine e ammirazione, abbiamo deciso di dedicare questo nuovo numero di Bianca Magazine alle donne.

A quelle che hanno fatto grande la storia della nostra terra, a coloro che ancora oggi la riempiono di sano orgoglio, a tutte quelle che ci stanno accanto e a cui dobbiamo la vita e l’amore. Troppo spesso ridotte al solo ruolo di mogli e madri, le donne hanno saputo riappropriarsi del loro immenso e insostituibile valore, combattendo in prima linea, opponendosi con fierezza, costruendo con amorevolezza e decisione delle storie meravigliose che, in queste pagine, vi vogliamo raccontare.

Leggerete dunque dell’ eleganza e del fascino di Donna Franca Florio, ma anche della determinazione di Franca Viola, icona di emancipazione e prima donna ad opporsi al matrimonio riparatore. Vi condurremo, poi, nella Casa delle Donne di Scicli e vi porteremo anche alla scoperta del ruolo delle donne nell’antico Carnevale di Chiaramonte Gulfi. Vi faremo conoscere le grandi figure femminili della storia siciliana e poi, con Marinella Fiume, approfondiremo la conoscenza di tutte coloro che, dal Medioevo ai nostri giorni, sono state ignorate o dimenticate dalla cultura ufficiale.

Una cosa è certa: la nostra Sicilia pullula, ancora oggi come nel passato, di donne straordinarie. Parleremo a questo proposito di Maria Luisa Cinquerrui che con la sua impresa innovativa ha creato robot intelligenti che aiutano gli agricoltori; di Rita Botto, interprete della musica e della tradizione vocale siciliana; della giovanissima campionessa agrigentina Asja Abate, con sindrome di Down, che si è distinta nei mondiali di Ponte di Legno. E ovviamente troverete molto altro: persino una curiosa leggenda sull’astuzia femminile!

Insomma, un omaggio alle donne in una rivista che è essa stessa donna: Bianca, mia nipote, è stata la mia personale fonte di rinnovamento e ispirazione, prima di lei mia figlia Sofia, e nulla sarebbe stato senza mia moglie Maria Concetta! A loro, a mia madre, che mi guida anche dall’alto, e a ciascuna donna: la vostra festa sia ogni giorno.

La nostra riconoscenza è per sempre.

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GRANDI DONNE SICILIANE

Sante, guerriere, rivoluzionarie e libere: sono tante le donne siciliane che, in ogni tempo, per le loro idee o per il loro coraggio, spinte dallo spirito di ribellione e giustizia o mosse dalla fede, hanno scritto pagine importanti della storia. Per tale ragione meritano di essere riconosciute, ricordate e ringraziate: sono le grandi figlie di questa prolifica isola, donna anch’essa, la Sicilia.

LE “DONNE PIONIERE”

Non tutti sanno, forse, che la prima donna al mondo ad esercitare la professione medica fu Virdimura, una catanese di religione ebraica che, nel 1300, seguì la professione del marito e si mise al servizio dei bisognosi della città. Molti secoli dopo, sempre a Catania, nacque Dora Musumeci, prima donna jazzista italiana negli anni ’50.

È, invece, di Caronia, Francesca Mirabile Mancusio, la prima donna in Italia ad aver conseguito la patente di guida (e non la sola licenza) nel 1913.

Siciliana è anche la prima donna in Europa ad aver indossato i pantaloni: fu Francisca Massara, nel 1698, a compiere quello che allora fu un vero e proprio atto rivoluzionario!

RIVOLUZIONARIE E LIBERE

A proposito di rivoluzioni: come non ricordare la baronessa catanese Maria Paternò che nel 1808 riuscì ad ottenere il divorzio dal marito grazie ad un articolo del Codice Napoleonico allora vigente? Pensate: fu la prima donna in Italia!

Era il 1945, invece, quando la ragusana Maria Occhipinti, al quinto mese di gravidanza, si sdraiò per strada davanti un autocarro per opporsi all’arruolamento forzato dei giovani siciliani chiamati a partecipare alla guerra. Memorabile!

Franca Viola a metà del secolo scorso, rifiutò il “matrimonio riparatore” con l’uomo che l’aveva rapita e violentata. Fu la prima ad opporsi a quella legge, abrogata nel 1981 (che permetteva agli stupratori di evitare la condanna sposando la propria vittima) divenendo simbolo dell’emancipazione femminile e icona di coraggio e libertà. Troverete in questo numero in un articolo a lei dedicato.

PRONTE ALL’ATTACCO

È lungo l’elenco delle donne che non hanno temuto di impugnare le armi opponendosi al nemico. Si pensi alle eroine messinesi Dina e Clarenza che nel 1283 difesero la città dall’assedio delle truppe di Carlo I d’Angiò, l’una sventando un attacco agguerrito contro i nemici, l’altra richiamando tutta la popolazione al suon di campane. È per tale motivo che nel maestoso orologio meccanico di Messina sono state costruite, in loro memoria, due statue bronzee dall’aspetto angelico che, dall’alto, vegliano la città e hanno il compito di suonare le campane.

Sapete, invece, che il cannone conservato al Museo Civico di Catania appartenne ad una donna? Proprio così: se ne impossessò Peppa “la Cannonera” che, nel 1860, con astuzia tese un agguato alle truppe borboniche e difese eroicamente la città. Con lo stesso obiettivo di scacciare i

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D I A LESSIA G IA qu IN tA
BIANCA PEOPLE

Borboni, a Messina, si distinse Rosa Donato, conosciuta anche come “artigliera del popolo, attaccando con prodezza le truppe nemiche per mezzo di un vecchio cannone.

LE SANTE

Violentate e torturate, Agata a Catania e Lucia a Siracusa incarnano lo spirito tenace e forte di questa terra. Furono, nei primi secoli del cristianesimo, donne capaci di ribellarsi ai matrimoni combinati andando incontro alla morte pur di difendere il loro credo. Rosalia, a Palermo, invece rinunciò agli agi di corte per dedicarsi alla vita contemplativa sul monte Pellegrino. Decise e libere: ecco le Sante di Sicilia!

SENZA PAURA CONTRO LA MAFIA

Da Serafina Battaglia, la prima donna che a seguito dell’uccisione del figlio, testimoniò contro la mafia, all’attivista Michela Buscemi, prima donna a costituirsi parte civile al maxiprocesso di Palermo del 1985, dopo l’omicidio dei due fratelli. Pensiamo, ancora, a Francesca Morvillo, moglie del magistrato Giovanni Falcone, che consacrò tutta la sua vita al servizio della giustizia insieme al marito, ma anche al coraggio della giovanissima Rita Atria, figlia di un boss mafioso che divenne collaboratrice di giustizia seguendo l’esempio della cognata Piera Aiello.

L’elenco sarebbe ancora lungo.

A tutte va la nostra riconoscenza e l’indelebile memoria: perché le loro azioni e il loro coraggio siano testimoniati nei secoli.

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La chiamavano la “Regina di Palermo”: la storia di Franca Florio

Chiunque si sia appassionato alla dinastia dei Florio ha sicuramente sentito parlare di una figura femminile di spicco che ad oggi è da considerarsi la regina indiscussa della Bella Époque siciliana. Stiamo parlando della splendida Franca Florio. Il suo nome da nubile era Franca Jacona di San Giuliano e nacque a Palermo nel 1873. Dai numerosi ritratti giunti a noi ancora oggi, scorgiamo in questa figura eleganza, raffinatezza e dei lineamenti affascinanti.

Una donna non solo bella ma anche e soprattutto intelligente, dall’animo gentile che a 24 anni fu data in sposa ad Ignazio Florio Junior, uno degli scapoli più ricchi dell’isola. Lo spirito imprenditoriale di quest’ultimo era già ai tempi conosciuto in tutta la Sicilia. Egli, infatti, annoverava fra i suoi averi banche, cantieri navali, cantine, tonnare e tanto altro.

Ma chi era Franca Florio? Franca Florio era un’amante dei ricevimenti lussuosi ed adorava circondarsi di gente d’alto rango: tra questi il Kaiser Guglielmo II che la soprannominò la “Stella d’Italia”. Il suo spirito raffinato si vedeva non solo nei suoi lineamenti ma anche nel suo modo di vestire. Gli abiti rigorosamente realizzati dal sarto parigino Charles Worth venivano spesso impreziositi con i gioielli dei migliori orafi del tempo, quali ad esempio Cartier. Ad oggi rimane nella storia una collana in particolare, che sicuramente i più appassionati conosceranno, quella costituita da 365 perle che fu ripresa nel quadro del Boldini.

Sapete cosa si racconta a proposito dei suoi gioielli? La leggenda narra che Franca Florio avesse ad un certo punto smesso di indossare gli orecchini sotto consiglio di Gabriele

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DI FEDERICA GORGONE “RITRATTO DI DONNA FRANCA FLORIO” DI GIOVANNI BOLDINI
BIANCA EXCELLENCE

D’Annunzio, il quale sosteneva che questi gioielli andassero a distogliere lo sguardo dal suo volto così fine e delicato!

Ma Franca Florio fu molto di più della sua ammaliante bellezza e raffinatezza. Il matrimonio con l’imprenditore Ignazio aveva degli obiettivi strategici ben precisi: donare a Palermo e in generale a tutta la Sicilia un ruolo centrale negli assetti politici d’Europa.

I due misero in moto una vera e propria rete di conoscenze che portarono alla città un’innovativa spinta al benessere economico e al prestigio. Ed è proprio in questo periodo storico che Palermo rinacque.

Ecco che ad esempio sorsero tantissimi palazzi in stile Liberty e si diffusero in questo periodo numerose opere liriche rappresentate nella splendida location del Teatro Politeama.

L’interesse di donna Florio si spinse tuttavia non solo verso eventi mondani e riqualificazioni della città bensì anche nei confronti dei più umili e delle donne lavoratrici nelle fabbriche del marito. Franca fece, infatti, realizzare all’interno di quest’ultime degli asili in cui le donne potevano lasciare i propri figli durante le ore di lavoro.

Tuttavia questa storia di splendore e innovazione nasconde anche dei lati più cupi. A donna Florio, infatti, morirono in poco tempo tre figli. La primogenita Giovanna a soli 9 anni per una meningite, Ignazio a 5 anni e Giacobbina a solo un’ora dalla nascita. Rimasero in vita solo due figlie: Igiea e Giulia. Strano come tanto rinnovamento si fosse poi scontrato con questi momenti così tragici.

Donna Franca Florio fece una vita ricca e piena di sfarzo anche durante il periodo del crollo economico iniziato negli anni ‘20. Casinò, feste e viaggi erano sempre al centro del suo stile di vita fino a quando si spense nel 1950 a casa della figlia Igiea. Oggi riposa nella cappella della famiglia dei Florio situata al cimitero di Santa Maria di Gesù.

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Costanza Imperatrice e N

el tempo sono state tantissime le donne siciliane che si sono distinte per le loro capacità e in molte hanno contribuito a segnare la storia con la loro forza e il loro coraggio.

Costanza d’Altavilla è stata una delle donne più importanti del Medioevo, ultima regina della Casa d’Altavilla. Ha ricoperto il ruolo di regina sovrana di Sicilia.

Costanza nacque a Palermo il 2 novembre del 1154, figlia di Ruggero II re di Sicilia e di Beatrice di Reth, e visse la sua infanzia e la sua adolescenza all’interno della corte siciliana. All’età di trent’anni era ancora nubile e questo alimentò molti pettegolezzi sul suo conto.

Giovanni Villani, mercante, storico e cronista italiano, ci racconta che Costanza prese i voti da giovane e che si trasferì in convento fino a quando venne scelta da Enrico di Svevia come sua sposa. Villani narra che il Papa decise di sciogliere i voti di Costanza per consentire a Enrico di sposarla. Questa storia ci viene consegnata anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia.

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BIANCA EXCELLENCE
DI MERELINDA S tAI tA

d’Altavilla regina di Sicilia

Il Sommo poeta colloca Costanza nel III canto del Paradiso, nel cielo della Luna, dove si trovano gli spiriti difettivi. Si tratta delle anime che godono del grado più basso di beatitudine, perché non portarono a compimento i loro voti.

Costanza viene presentata da Dante, nei versi 118-120, con queste parole: “ Quest’è la luce de la gran Costanza / che del secondo vento di Soave / generò ‘l terzo e l’ultima possanza ” (Questa è l’anima luminosa della grande Costanza che dal matrimonio con Enrico VI, secondo imperatore della casa di Svevia generò Federico II che fu il terzo e ultimo potente della dinastia). Dante coglie l’occasione per parlare della leggenda guelfa secondo cui Costanza sarebbe stata una suora, costretta ad abbandonare il convento. Ci mostra Costanza come un esempio della violenza che caratterizzava in modo negativo la società del secolo. Verosimilmente, la principessa non prese davvero i voti, ma rimase alla corte di Palermo e fu vista come una donna che non avrebbe generato discendenti.

Il nipote Guglielmo la nominò sua erede e stabilì che per lei era giunto il momento di sposarsi. Iniziarono gli accordi tra la corte sveva e quella normanna e, il 29 ottobre 1184, ad Augusta venne resa nota la promessa di matrimonio tra la trentenne Costanza e il diciannovenne Enrico di Svevia. I due convolarono a nozze il 21 gennaio del 1186 nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano.

Questo matrimonio fu molto importante per la dinastia Sveva, poiché ottenne il dominio dell’Italia meridionale e

cercarono di realizzare il loro desiderio che era quello di riunificare l’intera Penisola sotto la corona imperiale.

Costanza rimase incinta e anche sulla sua gravidanza si diffusero diverse maldicenze, ossia che la sua gravidanza fosse fittizia e che l’imperatrice avrebbe spacciato per suo un bambino nato da un’altra donna.

Costanza soffrì molto per questi pettegolezzi e quando fu colta dalle doglie a Jesi, il 26 dicembre del 1194, fece preparare una tenda per partorire nella piazza centrale. Non ebbe paura dei possibili pericoli di un parto a quarant’anni e senza vergogna diede alla luce il suo primogenito sulla pubblica piazza.

Il bambino era Federico II di Svevia, conosciuto come Stupor Mundi , Re di Sicilia, Duca di Svevia, Re dei Romani, Imperatore del Sacro Romano Impero e Re di Gerusalemme.

Alla morte del marito, Costanza divenne regina consorte di Sicilia dal 1194 al 1197 ed ebbe il ruolo di tutrice del figlio e reggente del regno. Morì, l’anno successivo, nel 1198.

È stata una grande donna che, grazie alle sue doti diplomatiche e alla sua intelligenza, è stata capace di far convivere in Sicilia numerose culture: latina, bizantina, araba e provenzale. Una donna che sembrava non avere alcun futuro e che invece è diventata regina e ha favorito la nascita di un vasto regno che avrebbe cambiato gli eventi d’Europa negli anni seguenti.

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IL CORAGGIO di FRANCA VIOLA Quel primo “NO” che ha cambiato la storia

“Io non sono proprietà di nessuno. Nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto.

L’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.

Nel 1966, in una società pregna di pregiudizi e tabù sessuali, Franca Viola pronunciava queste frasi, diventando un’icona della ribellione, libertà ed emancipazione femminile in Italia.

Franca Viola nasce ad Alcamo nel 1947 in una modesta famiglia di mezzadri. A 15 anni si fidanza con Filippo Melodia, ma presto il giovane si rivela appartenente a una cosca mafiosa, e i genitori decidono di interrompere il fidanzamento. Cominciano così una serie di ritorsioni di stampo mafioso da parte di Melodia nei confronti del padre di Franca, volte a “riottenere” la figlia. Le ritorsioni culminano il 26 dicembre del 1965, quando Melodia, insieme a un

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BIANCA PEOPLE
DI GIULIA MONACO

io non sono proprietà di nessuno

gruppo di complici, rapisce la ragazza. Franca verrà tenuta segregata per diversi giorni in un caseggiato isolato, lasciata a digiuno, picchiata e violentata. Il 6 gennaio la polizia scova il rifugio e arresta Franco Melodia, il quale però si appella subito a un diritto che ancora in quel periodo è sacrosanto: il diritto al matrimonio riparatore.

Il matrimonio riparatore era regolamentato dall’art. 544 del codice penale, e prevedeva che per il colpevole di violenza carnale il reato si potesse estinguere se lo stesso si rendeva disponibile a sposare la vittima. Spesso ad appellarsi al matrimonio riparatore erano gli stessi genitori della vittima, che piuttosto che tenersi in casa una figlia “disonorata” ledendo la rispettabilità della famiglia, preferivano consegnarla al suo aguzzino. Nel contenzioso la volontà della ragazza abusata era assolutamente priva di peso: la stessa subiva dunque una doppia violenza, fisica e morale, da parte del carnefice e da parte della famiglia. Una violenza che si perpetrava per tutta la vita e dalla quale era impossibile scagionarsi.

Se ci immedesimiamo in questo contesto, capiamo perché il “no” di Franca Viola al matrimonio riparatore è un atto rivoluzionario nella storia del nostro Paese: il suo rifiuto a chinarsi a un crudele destino e il coraggio di combattere a viso aperto una strenua battaglia legale, ha dato il via a una serie di movimenti femminili di rivolta. Ma solo nel 1981, ossia in tempi recentissimi, si arriva finalmente all’abrogazione del diritto al matrimonio riparatore. Non solo: fino al 1981 era legale anche il “delitto d’onore”: se un uomo sorprendeva una donna della famiglia a intrattenere

una relazione disonorevole, era legittimato a ucciderla senza incorrere in alcuna punizione. E bisognerà aspettare fino al 1994 affinché anche lo stupro fosse considerato non più un reato contro la morale, ma contro la persona.

La storia di Franca è una storia a lieto fine. La 17enne affronta con coraggio e risolutezza le calunnie di Melodia, la turpe tenacia dei legali della difesa, le immancabili chiacchiere del paese.

Il processo si conclude con la condanna ad 11 anni per il Melodia e i suoi complici. Franca si sposa nel 1968 e diventa madre di tre figli, a dispetto dell’arciprete che sermoneggiava che nella sua condizione sarebbe rimasta zitella. Nel 2014, per la Festa delle Donne, viene insignita dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana dal Presidente Giorgio Napolitano “per il coraggioso rifiuto del matrimonio riparatore che ha segnato una tappa fondamentale nella storia dell’emancipazione delle donne nel nostro Paese”.

I retaggi di secoli di patriarcato e di questo modo di concepire la donna sono purtroppo ancora vivi anche nelle aule dei tribunali, e si palesano in domande quali: “com’eri vestita?”, “avevi i jeans troppo stretti?”, “l’avevi provocato?” La storia ci insegna che molti passi sono stati fatti, ma la strada è ancora lunga; i diritti delle donne non sono mai da dare per scontati, ma frutto di una continua conquista e di una lotta che non può e non deve ritenersi conclusa. Ecco perché ricordare la storia e il coraggio di Franca Viola è indispensabile oggi più che mai.

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“Un inconfessabilesegreto”: il romanzo di Gloriana Orlando nell’anima di San Berillo

“... Convivevano, a stretto contatto di gomito, carrettieri, intrallazzeri di vario genere, piccoli artigiani, artisti, avvocati, professori... a poca distanza da tuguri e case terrane, prive anche dei servizi igienici, si trovavano costruzioni dignitose, palazzetti di buon gusto e... postriboli di tutti i tipi...”. Le prime pagine di “Un inconfessabile segreto” si aprono descrivendo uno dei quartieri più problematici e al contempo affascinanti di Catania, San Berillo. La sua autrice, Gloriana Orlando, ne svela sin dall’inizio i tratti caratteristici, consegnando ai lettori un romanzo in cui si mescolano le sfumature del mistero con i fatti storici della città. Una Catania martoriata dalla Seconda Guerra Mondiale, che ritorna a vivere dopo la Liberazione, anch’essa teatro di grandi sofferenze per la popolazione, e che proprio in questa rinascita subisce la demolizione di San Berillo. Nel libro, le vicende dei protagonisti tratteggiano lo scorrere dell’esistenza nelle zone più interne della città etnea, immersa ora nella disperazione degli anni del conflitto, ora nel disorientamento di quanto restava da salvare e ricostruire.

Curiosi di cogliere i motivi che hanno condotto la scrittrice a narrare gli eventi del quartiere “a luci rosse” di Catania

e ad intrecciarli alle vite dei personaggi del romanzo, le abbiamo rivolto qualche domanda. Gloriana Orlando è anche insegnante di Lettere, attività che svolge nella sua amata città.

Gloriana, la trama del tuo racconto crea un intreccio con l’ambientazione, rumorosa e variopinta, del quartiere di San Berillo. Qual è il tuo legame con esso?

«Sono cresciuta in centro, in via Di Sangiuliano, ai margini di San Berillo, che allora era perfettamente inserito nel tessuto sociale di Catania; ricco di tante realtà ma non malfamato come si è soliti generalizzare. Dopo aver vissuto in varie zone, 15 anni fa sono ritornata nel quartiere e ho sentito l’esigenza di raccontare quanto accaduto: il suo cosiddetto “risanamento”. Ho condotto ricerche consultando i giornali dell’epoca e l’Archivio di Stato, ma soprattutto ascoltando le testimonianze degli ex abitanti. Le loro storie mi hanno parlato di una lacerazione mai guarita, dovuta a uno sventramento coatto che, a partire dal 1957, vide lo “spostamento” di circa 15 mila persone in zone appositamente create, prive di collegamenti con il centro e di servizi».

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BIANCA TALENT
DI ELEONORA B u FALINO FOTO DI GLORIANA ORLANDO

Il tema della prostituzione; le stradine, i vicoli, gli angoli di San Berillo brulicavano di donne che, il più delle volte per povertà, vendevano il loro corpo. Nel tuo libro parli soprattutto delle case chiuse, dalle più umili alle più raffinate, frequentate da tutti i ceti sociali. Cosa accadde in seguito allo sventramento?

«Nel 1958 fu approvata la legge Merlin che abolì la regolamentazione della prostituzione e vide la chiusura delle case di tolleranza. Tuttavia, il fenomeno della prostituzione non si arrestò ma anzi dilagò ancora di più in maniera clandestina. Le millantate motivazioni di sradicare la criminalità e offrire alle donne del quartiere la prospettiva di una vita diversa apparvero poco credibili e il progetto di costruire un quartiere moderno nel centro elegante della città stentò ad avverarsi».

Che ruolo riveste l’impegno di istituzioni e privati nei veicolare il cambiamento?

«Oggi San Berillo sta provando a riscattarsi; sia attraverso le associazioni, come Trame di Quartiere, che puntano all’integrazione di tutte le componenti del quartiere, sia tramite alcune attività commerciali, che attraggono giovani e turisti. Sono due modi diversi di fare riqualificazione, in un reticolo sociale così complesso!».

Il romanzo della Orlando è l’immagine della Sicilia più vivida e autentica, in cui convivono tutti i colori dei sentimenti umani, descritti superbamente da giochi di scrittura che alternano espressioni dialettali a termini ricercati. Leggendo, ci si immerge in una “contraddizione” stilistica, proprio come le scene di vita quotidiana, semplici, che fanno da sfondo a segreti inconfessabili.

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...15 anni fa sono ritornata nel quartiere e ho sentito l’esigenza di raccontare quanto accaduto: il suo cosiddetto “risanamento”

Marinella Fiume racconta l’universo femminile

Lo studio sulle donne è sempre stato al centro delle sue pubblicazioni. Originaria di Noto, ma trasferitasi a Fiumefreddo di Sicilia, dove è stata primo sindaco donna per due mandati, Marinella Fiume, laureata in Lettere classiche e dottore di ricerca in Lingua e Letteratura Italiana, ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti per il suo impegno sociale e la sua produzione letteraria.

Insieme a lei percorriamo un viaggio nell’universo femminile. «Sono una persona perennemente in viaggio, una donna che cerca di imparare dalle avversità, dal dolore, dalle esperienze negative vissute per tesaurizzarle e trarne motivo di forza emotiva. La scrittura in questo è stata fondamentale per me, perché il viaggio è anche ricerca delle parole. La scrittura mette ordine, organizza e risignifica il fluido e caotico mondo interiore e quello della memoria. La scrittura è salvifica».

La sua missione è riscattare le donne dall’oblio. «Le donne sono state dimenticate dalla Storia che pure, ovunque nel mondo – anche in Sicilia – , hanno contribuito a fare. Le donne per lunghissimo tempo non sono mai state raccontate o lo sono state molto poco. È come se non fossero mai esistite, fantasmi invisibili. L’invisibilità è la causa principale della diseguaglianza di genere. Da qui l’esigenza di un vero e proprio Dizionario di Siciliane che ho curato già nel 2006. Si trattava di colmare un grosso vuoto, una profonda lacuna storiografica».

Una donna in particolare ha influito nella sua vita. «Sono nata, da una famiglia di netini da generazioni, a Noto, il barocco giardino di pietra dove sono rimasta fino alla scuola media. Respiravo bellezza, ma quella bellezza di una decaduta aristocratica d’altri tempi che ha impegnato i suoi gioielli al banco dei pegni. Vivevo in una palazzina Liberty proprio di fronte al palazzo dove Mariannina Coffa, la capinera

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BIANCA TALENT DI OMAR GELSOMINO FOTO DI A NDREA G IUSEPPE C ERRA

di Noto, passò gli ultimi anni di vita e dove un’epigrafe marmorea ancora la ricorda. Da quella epigrafe che mi fermavo a leggere ogni mattina andando a scuola non seppi più staccarmi. Fu un destino. Quando ne feci oggetto della tesi del mio dottorato di ricerca scoprii che la sua poesia andava ben al di là di quella sospirosa d’amore che tanto piaceva ai biografi locali e che il linguaggio nascondeva messaggi cifrati. Grazie a lei scoprii una Sicilia diversa, mai studiata dalle Accademie, una Sicilia molto avanzata sotto il profilo culturale e scientifico, in linea con i più progrediti paesi europei».

Ma qual è la condizione della donna in Sicilia? «Sotto il profilo socio-politico e lavorativo la situazione non è rosea, anche se la pandemia ha dimostrato come il Paese abbia retto grazie alle donne. Ma credo che ovunque, anche in Sicilia sia iniziata l’èra delle donne perché solo da queste può venire la salvezza a questo nostro mondo malato. È il modo diverso delle donne di stare al mondo, di abitarlo, che sta producendo una profonda rivoluzione».

Insieme a Fulvia Toscano hanno ideato un festival dedicato alle donne. «“La Sicilia e la Calabria delle donne - Festival del genio femminile in Sicilia e in Calabria” vede come protagonista il multiforme ingegno declinato dalle donne in molteplici settori con l’intento di sottrarre all’invisibilità le donne siciliane e marcare della loro presenza i territori di appartenenza narrando le “storie”, le “imprese”, l’impegno, i percorsi, i risultati raggiunti nei vari campi, in una parola il genio. Questa terza edizione vede protagoniste le donne e la politica, le donne e le istituzioni. Il festival diventerà “L’Italia delle donne” grazie all’interesse dimostrato dal Centro per la lettura e il libro del Ministero della Cultura che comprende 700 città che leggono».

Prima di lasciarci a questa piacevole intervista Marinella Fiume ci anticipa la sua prossima fatica letteraria. «A marzo uscirà per la romana casa editrice Iacobelli il mio nuovo libro, dal titolo curioso e ironico: “Strèuse. Strane e straniere di Sicilia”. Una galleria di ritratti di regine senza corona».

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Le donne sono state dimenticate dalla Storia che pure, ovunque nel mondo – anche in Sicilia – , hanno contribuito a fare.

LAURA DISTEFANO: il mestiere di scrivere tra rigore, passione e coraggio

è rigore, scrupolo e coraggio, nel lavoro di Laura Distefano stimata cronista di nera e giudiziaria ed esperta di storia della mafia siciliana. Giornalista professionista, 43 anni, originaria di Ispica, vive e lavora da diversi anni a Catania. Si fa notare per il suo stile incisivo che rivela studio e preparazione, attraverso l’intensa e lunga collaborazione con la testata online LiveSicilia, ma è anche la grande passione per il mestiere che traspare dai suoi articoli, a creare una forte empatia con i lettori.

Conclusa da qualche mese l’esperienza professionale con LiveSicilia, è approdata al quotidiano La Sicilia.

Quando scopri la tua passione per il giornalismo?

«Diciamo che l’ho maturata nel tempo. Da piccola amavo la danza e immaginavo una carriera da ballerina, crescendo ho abbandonato, però la passione per il ballo mi è rimasta dentro. Mi piaceva scrivere, a 12 anni ho cominciato a tenere un diario dove buttavo giù le riflessioni di un’adolescenza complessa. Ho frequentato un istituto tecnico, i miei genitori speravano in un mio futuro nell’azienda di famiglia, ma non era la mia strada così dopo il diploma scelsi di studiare Scienze della Comunicazione in Toscana. Non pensavo ancora al giornalismo, ma amavo scrivere e mi ero appassionata alla sceneggiatura. Tra il 2000 e il 2001 sono andata a studiare a New York, qui ho fatto uno stage alla Rizzoli; mi occupavo di fotocopie, ricerca di articoli e archiviazione. Un’ esperienza breve ma il contesto era molto stimolante. Rientrata in Sicilia, dopo una parentesi a Torino, il mio approccio importante al giornalismo nasce dalla collaborazione con Video Mediterraneo, emittente televisiva di Modica. Lavoravo per la redazione catanese: servizi giornalistici, riprese e anche il telegiornale, che confesso soffrivo perché non amavo andare in onda. Sono stati sei anni intensi, durante i quali ho imparato molto, grazie anche a colleghi che hanno creduto in me. Ho capito che quello era il mio mestiere, da qui la decisione di diventare giornalista professionista».

Nei tuoi articoli racconti di mafia e malaffare con una perizia non comune. Come nasce l’interesse per questi temi?

«Nel 2012 sono entrata a far parte della redazione catanese di LiveSicilia

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DI PATRIZIA R u BINO FOTO DI SALVATORE FERRARA

– che ho lasciato da qualche mese - con un gruppo di giornalisti coordinati da Antonio Condorelli, oggi direttore, a cui sono molto grata per la grande opportunità di crescita professionale. Inizialmente scrivevo di tutto ma mi resi conto che riguardo ai fatti di cronaca giudiziaria specie quelli legati alla mafia catanese, c’era un buco, mancava il giusto approfondimento. Così ho cominciato a frequentare sempre più spesso il tribunale, a studiare i processi, a raccogliere dati, immergendomi nell’intricato mondo dei clan, scrivendo le loro storie fatte di guerre, alleanze e malaffare. Racconto di una mafia che c’è ma sembra non esistere perché si trasforma, s’infiltra e fa affari con i colletti bianchi. Ho fatto un lungo e complesso lavoro di ricostruzione della storia della mafia etnea dal ’93 ad oggi che ho voluto raccogliere in un libro che pubblicherò presto».

Per le tue inchieste hai ricevuto offese e anche intimidazioni. «Purtroppo sì. Io rispondo sempre con il mio lavoro, raccontando i fatti e verificando le notizie nel rispetto della deontologia. Credo moltissimo nel ruolo sociale del giornalista, l’informazione stimola il pensiero dell’opinione pubblica e apre le menti. E quando succede con i giovani, l’ho riscontrato incontrando gli studenti, la soddisfazione è grandissima e sento che il mio lavoro ha valore».

C’è un approccio particolare nel tuo racconto di casi di cronaca.

«Cerco sempre di scavare, di andare oltre la nuda cronaca, che resta sempre di base. Ci sono storie che rimangono dentro: la piccola Elena Dal Pozzo uccisa dalla madre, il papà che dimenticò il figlioletto in auto, o l’ omicidio-suicidio di una coppia di anziani. Storie di vite dove anche il dettaglio, che cerco sempre, fa la differenza nel racconto».

Asja Abate

Inarrestabile campionessa C

lasse 2000, originaria di Porto Empedocle (AG), Asja è… “una persona importante”, mi risponde lei quando le chiedo di descriversi, “e soprattutto modesta” aggiunge divertita la madre Caterina, presente anche lei all’intervista.

Ventitré anni appena compiuti sono bastati ad Asja per collezionare una lunga serie di importanti traguardi nella sua vita: prima gli studi, con il conseguimento del Diploma Alberghiero e poi la Laurea Triennale e Specialistica in Scienze Motorie; poi il conseguimento del titolo come Tecnico Societario per la Ginnastica Artistica e un secondo corso come istruttrice di pilates. Ma ciò che più di tutto la rende orgogliosa sono i risultati nell’ambito della sua disciplina sportiva: la ginnastica artistica. Asja, infatti, nel 2022 ha trionfato ai Campionati Mondiali di Ginnastica Artistica, svoltisi a Pontedilegno-Tonale, classificandosi terza nella specialità Trave e Volteggio in una competizione che ha visto coinvolti più di centocinquanta atleti.

A precedere questo importante risultato altri innumerevoli traguardi: medaglia di bronzo ai Trisome Games di Firenze nel 2016; terza classificata ai Mondiali di Ginnastica Artistica a Mortara nel 2015 e ancora il podio assoluto in tutte le quattro specialità agli ultimi Campionati Italiani 2019, 2021 e 2022 organizzati della F.I.S.D.I.R.

«Abbiamo iniziato a piccoli passi, ma siamo arrivati a traguardi davvero importanti, anche senza troppe difficoltà, perché lei è molto caparbia - mi racconta Caterina -. Lei è piccolina, ma quando affronta le gare diventa una vera e propria gigante».

Per Asja, infatti, la sfida più grande è stato diventare campionessa mondiale. «Io sono andata là per vincere, non per partecipare», mi dice convinta riferendosi all’ultimo campionato. Ed è proprio questa caparbietà ad averla resa a tutti gli effetti un’inarrestabile campionessa

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DI SAMUEL tASCA FOTO DI ASJA ABAt E
BIANCA

in tutte le sfide che ha affrontato sin dalla più tenera età: iniziare la scuola a cinque anni e conseguire la laurea specialistica, diciotto anni più tardi, con una sessione d’anticipo; diventare allenatrice per i bambini che vanno dai quattro ai sette anni continuando ad allenarsi per tre ore ogni sessione; e diventare la prima istruttrice della F.G.I. (Federazione Ginnastica d’Italia) con sindrome di Down.

Proprio così, perché Asja è affetta da sindrome di Down, ma questo non le ha mai impedito di raggiungere i suoi obiettivi, ed è il motivo per cui fino a questo punto ho scelto di non nominare mai la sua disabilità: perché quelli di Asja sono risultati impressionanti a prescindere dalla sua condizione e perché ciò che la rende davvero speciale è la sua grinta, la sua testa dura e la sua voglia di fare, diventando davvero un esempio per chiunque. Oltre alla sua allenatrice Francesca Trupìa, «che è sempre stata un’eccellente motivatrice - raccontano Asja e la madre -, ciò che l’ha sempre stimolata e spinta a superare i propri limiti è stato proprio allenarsi in un

contesto in cui non erano presenti altri atleti disabili, ponendola al pari di tutti gli altri, senza ricevere alcun trattamento di favore».

Quella di Asja è una storia straordinaria che mostra a ognuno di noi quanto si possa ottenere con l’impegno e la motivazione. Oggi la nostra campionessa si prepara già per la sua prossima sfida: le competizioni nazionali di Rimini che si terranno a giugno e le permetteranno di qualificarsi per i Mondiali di Turchia. Nel frattempo, però, ha iniziato quella che sembra essere davvero la sfida più ardua che abbia mai affrontato, addirittura più complessa di un campionato internazionale: prendere la patente!

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Rita Botto

La custode della musica siciliana

Musica coinvolgente, voce fluida e talento indiscutibile. Sono questi i tratti distintivi di Rita Botto, l’affascinante cantante e autrice catanese, aperta alle sperimentazioni e ancorata alle proprie tradizioni. Una voce versatile che le permette di spaziare fra repertori diversi, cantando in siciliano e reinterpretando alcuni brani rimane fedele alla sua terra, regalando emozioni a chi l’ascolta. Anche per lei la passione per la musica è nata molto presto. «Sin da piccola imitavo, davanti al televisore in bianco e nero, la grande Mina! Cantare è un dono di natura, bisogna solo riconoscerlo e poi coltivarlo. Si possono fare studi canonici, oppure come ho fatto io, tutto ad orecchio, con molto ascolto di musica e soprattutto di voci, le più disparate. Certo il mio modo, non mi ha semplificato sempre la vita, ma ha dato i suoi frutti e rende creativo il risultato». Così dopo diverse sperimentazioni ha scelto il suo genere musicale.

«La musica folk è stata solo un punto d’approdo di tutte le mie diverse esperienze precedenti. Frutto di anni di sperimentazione tra diversi generi musicali. Tutto questo è una splendida palestra, ma ad un certo punto ti confondi, non sai che strada prendere.

Credo che la scelta del folk sia nata dalla necessità di affermare la propria identità in una città come Bologna, in cui ho vissuto per più di 20 anni e dove per la prima volta ho cominciato a cantare. Finalmente potevo esprimermi nella mia lingua. Tutto questo mi dava una spinta maggiore, veniva fuori tutto il vulcano e il mare che avevo dentro».

Alla domanda a chi si è ispirata, Rita Botto risponde seccamente: «A Rosa Balistreri. L’unica grande cantante del folk siciliano e prima cantautrice italiana. Una voce intensa e una vita sofferta, che ha saputo tramandare tantissimi canti della tradizione siciliana. Ad oggi tutti, cantano le sue canzoni. Rimane eterna. Non mi sono mai sentita la sua erede. Inizialmente, appena morta Rosa, ho sentito di non lasciare che la sua figura così forte

venisse dimenticata, ed ho trovato nel suo materiale la possibilità di sciogliere tutte le mie emozioni cantando in siciliano. È giusto essere in tanti a farla rivivere nei cuori di chi ascolta».

L’amore è il tema dominante di tutti i suoi brani. « L’amore è importante per tutti, è il sale della vita. Cantare ciò che si sente aiuta l’interpretazione, anche quando si parla d’amore finito, spento. Da questa musica ho cercato di prendere i temi della tradizione più attuali, che rispecchiassero la mia contemporaneità. Bellissimi i canti che parlano del raccolto, della semina, certo, ci dicono qualcosa che non c’è più, almeno in quel modo! Ma i sentimenti nell’uomo, nel trascorrere tempo, restano un po’ quelli… » .

La sua terra rimane un altro punto saldo oltre alla musica. «La Sicilia è il punto fermo della mia vita, è il luogo dell’anima. Sono e resto isolana! Conservo lì tutti i miei tesori, la famiglia, gli amici, i ricordi. Forte è il richiamo di odori e profumi, quanto di più atavico è nell’uomo. Adesso sono ritornata a vivere a Catania e non vedo l’ora dopo un viaggio di farvi ritorno. Ma ho lasciato un bel pezzo di me in Emilia, la sento come una seconda casa. Posso dire con le parole di Gesualdo Bufalino, che un siciliano è un concentrato di personalità indecifrabili persino a se stesso, una contraddizione vivente, dominato da bizzarri sentimenti! E poi, personalmente ho la tragedia dentro, alternata a grandi entusiasmi ed euforia, momenti teatrali. Ecco tutto questo abita in me, e l’essere un’isolana mi ha sempre spinto ad uscire fuori dai confini».

Per Rita Botto adesso è tempo di nuovi progetti. «Sto lavorando ad un tributo a Franco Battiato, assieme al coro Lirico Siciliano ed un ensemble di musicisti, dove interpreto alcune sue celebri canzoni. Ho appena finito di fare, per il centenario della sua morte, un bellissimo omaggio a Pier Paolo Pasolini, ospite dell’orchestra di Carlo Cattano, che mi vede cantare e recitare le poesie del maestro. E poi chissà cosa porterà questo nuovo anno...».

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DI
BIANCA TALENT

Marianna Cappellani e la passione per la lirica

La sua voce incanta tutti. Un vero talento della lirica quello di Marianna Cappellani, soprano catanese apprezzata nei teatri italiani e non solo, per la predisposizione ad interpretare diversi personaggi nel mondo del canto e della recitazione. Ha respirato in casa la musica sin da giovanissima. « La passione per la musica me l’ha trasmessa mia mamma, era una bravissima pianista. Ho iniziato a 6 anni con lo studio del pianoforte per poi avvicinarmi al canto lirico intorno ai 20 anni. La passione per la lirica è nata casualmente, mio papà, avvocato, conosceva tutte le opere a memoria, era un appassionato di lirica. A dire il vero quando ho iniziato a studiare canto avevo già abbandonato lo studio del pianoforte, mi ero iscritta in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma. Poi un evento inaspettato e molto doloroso cambiò la mia vita di diciottenne, dovetti tornare a Catania. Mio padre ebbe un brutto infarto, fu dichiarato inoperabile e si salvò grazie ad un intervento miracoloso a Bergamo. I cambiamenti avvenuti prima della sua ripresa e la paura di perderlo mi portarono ad avere disturbi alimentari. Mi riavvicinai alla musica grazie a mia madre e al consiglio di Marcello Inguscio, marito della sua cara amica Anna Maria Ritter, che le disse: “la musica è un’àncora di salvezza”. Mia madre preoccupata seguì il prezioso consiglio, mi fece riavvicinare alla musica e grazie alla mia insegnante di solfeggio Lucia Inguscio, che mi disse che avevo una bella voce, iniziai per caso lo studio del canto lirico. Non sono più riuscita a smettere, una passione grandissima grazie alla quale sono uscita da un periodo molto complicato »

Insegnamenti e tanta gavetta aiutano a forgiare le proprie abilità. « Disciplina, determinazione, sacrificio e dedizione per arrivare ad un obiettivo. La musica aiuta ad avere consapevolezza delle proprie capacità e anche dei propri limiti imparando ad accettarli e se si può a superarli »

Per Marianna Cappellani nell’interpretare le opere di Bellini, Verdi, Mascagni, Puccini e di molti altri la sfida più ardua è quella di: «Far vivere il personaggio e non limitarsi a eseguirne correttamente le note. Mi ha aiutato moltissimo, oltre l’esperienza con grandi registi - uno fra tutti il grande Roberto De Simone - soprattutto il mio compagno, l’attore Bruno Torrisi con cui ho lavorato tanto per poter raccontare al pubblico, anche attraverso il movimento e non solo con la voce, la psicologia, la storia dei personaggi, unico modo per poter arrivare al cuore di chi ascolta. La lirica è teatro. Da siciliana il ruolo a cui sono più legata è certamente Santuzza, in Cavalleria Rusticana, ruolo psicologicamente complicato, una vittima che si trasforma in carnefice. Per lo stesso motivo mi piacerebbe interpretare il ruolo di Tosca». Anche lei è legata alla sua terra, con le sue bellezze e i suoi contrasti. «La Sicilia è la mia terra, bellissima, ricca di colori, sapori, profumi, natura irruente. Viviamo sotto un vulcano, come non essere fatalisti, come non credere nel destino? Ho un carrubeto ereditato da mio padre, appartiene alla mia famiglia da secoli, me ne prendo cura in memoria dei miei genitori, una campagna meravigliosa in provincia di Siracusa, mio padre era di Palazzolo Acreide. L’amore che provo per la Sicilia è grande anche se, vedendo certi comportamenti mi arrabbio e provo dispiacere, siamo così abituati alla bellezza di questa terra che a volte la si dà per scontata, la maltrattiamo come se non avesse bisogno di cura. Per fortuna al contrario di alcuni molti ne hanno consapevolezza e lavorano per migliorare le cose dove vanno migliorate»

In questo nuovo anno i suoi prossimi impegni sono legati alla Compagnia Zappalà Danza con i lavori de “La Nona” e “Naufragio con spettatore” e con i progetti che realizza insieme a Bruno Torrisi, progetti che uniscono la recitazione e la lirica, “Un bel dì vedremo”, “Vissi d’arte, vissi d’amore” sulla vita di Giacomo Puccini e “Cavalleria Rusticana, tra parole e musica” di Pietro Mascagni e Giovanni Verga.

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DI OMAR GELSOMINO FOTO DI BRUNO t ORRISI
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La casa delle donne di scicli:

è un luogo, in Sicilia, in cui le donne si incontrano, si supportano, sono libere di esprimersi; un luogo in cui trovare forza e conforto. Siamo a Scicli, elegante città incastonata nei monti Iblei e impreziosita dal suo elegante barocco, e parliamo della “Casa delle Donne” grazie alla quale, tra l’altro, nel 2021 ha rivisto la luce un immobile comunale inutilizzato. Non è semplice descrivere una realtà che in pochi anni è divenuta punto di riferimento per le donne del circondario e non solo; ci affidiamo dunque alle parole della presidente, Melania Carrubba.

Innanzitutto, quando nasce La Casa delle Donne di Scicli e con quali finalità?

«La nostra è un’associazione no-profit basata sull’uguaglianza dei diritti e sulle pari opportunità, creata nel marzo del 2017 dall’intenzione di alcune donne di promuovere forme di democrazia partecipata. I nostri principi sono quelli della non violenza, della

tutela dei diritti fondamentali della persona, della promozione sociale e culturale. Si tratta di un luogo “delle donne per le donne”, dove dialogare di tutto, sostenersi, confrontarsi su temi quali la maternità, il lavoro, la salute, le molestie di vario genere; un posto in cui mettersi in gioco attraverso la fiducia in se stesse e la creatività, anche...».

Melania, quali sono dunque le vostre principali attività?

«In primis, c’è la necessità di essere d’aiuto alle donne che, per diversi motivi, non riescono da sole a gestire un problema o disagio in un particolare momento della loro esistenza. Nel 2019 è poi nato il “Punto Ascolto Donna”, presso cui ci occupiamo di donne vittime di violenza. Queste sono accolte dalle nostre operatrici, figure professionali specializzate: avvocate, pedagogiste, psicologhe, assistenti sociali, pronte a prestare volontariamente le loro competenze. Si tratta di un lavoro di delicata collaborazione, con i servizi sociali e con le forze dell’ordine, che prova ad accompagnarle alla rinascita. Tentiamo pure di sopperire alle difficoltà economiche facendo rete con altre associazioni di volontariato, donando buoni

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DI ELEONORA Bu FALINO FOTO DI ASS. CASA DELLE DONNE DI SCICLI

luogo di ascolto, di condivisione e di rinascita

spesa o medicinali. Di recente abbiamo organizzato corsi di scrittura, lettura, cucito e avviato progetti di informazione sul territorio insieme ai consultori familiari».

Da donna, cosa ti ha spinto a credere in una sfida così importante?

«Sono stata socia fondatrice e ora presidente, ma soprattutto una donna che ha fortemente avvertito un senso di sorellanza con le altre donne. Mi sono sempre messa al servizio del prossimo, perciò mi è sembrata una decisione spontanea e consequenziale agire in forma sistematica all’interno di uno spazio prettamente femminile in cui condividere ascolto e solidarietà».

Cosa rappresenta La Casa delle Donne in un Paese in cui c’è ancora molto da lottare per i diritti delle donne, delle minoranze e delle persone in generale?

«Simboleggia la necessità quotidiana di ricordare quanto ancora c’è da fare ma anche quanta strada è già stata percorsa; diritti che ci sembrano scontati ma che in realtà sono frutto di battaglie agli

stereotipi, ai pregiudizi, a retaggi del passato. Basti pensare alle vite soffocate di migliaia di donne in regimi dittatoriali come l’Iran o l’Afghanistan. Esempi di discriminazione nei confronti del sesso femminile se ne potrebbero fare molti, ma la violenza non conosce differenze geografiche, di ceto sociale né di genere: è trasversale e mai giustificabile!».

C’è da essere fieri di avere in Sicilia associazioni di questo spessore e da esservi grati per ciò che realizzerete. Da presidente, cosa ti auspichi per il futuro della Casa delle Donne?

«Quello che ci proponiamo è il coinvolgimento non episodico ma costante di altre organizzazioni e delle amministrazioni comunali di qualunque appartenenza politica. Continueremo, ovunque sia necessario, a supportare le donne e le fasce più fragili».

Beh, la Sicilia che amiamo ha la caparbietà di persone come Melania Carrubba e di coloro che non solo credono in una società più giusta, ma si impegnano a renderla possibile.

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Annalisa

L’ambasciatrice della cucina e delle tradizioni siciliane

Ha voluto condividere con gli altri l’amore per la sua terra e per la cucina. Così Annalisa Pompeo, originaria di Favara, con una laurea in Economia aziendale, un master in Risorse Umane e un’ esperienza decennale nella formazione professionale, 10 anni fa ha creato Go Sicily per offrire attività esperenziali con corsi di cucina e tour enogastromici consentendo ai turisti di oltre oceano di mettere “le mani in pasta”, e durante la pandemia ha preso il diploma di cuoca. La sua missione è quella di far interagire i “locali” con gli americani e far scoprire l’essenza della Sicilia. Andiamo a conoscere meglio Annalisa Pompeo e il suo progetto.

Chi è Annalisa Pompeo?

«Annalisa Pompeo è una visionaria, che ad un certo punto della vita ha deciso di essere veramente felice e di fare qualcosa di bello nella propria terra».

Come è nata la passione per la cucina?

«Sono cresciuta circondata da una famiglia paterna fatta di allevatori e contadini, conoscevo bene le stagioni della raccolta, perché eravamo chiamati tutti (immaginate otto figli, tutti sposati e con figli a seguito), ad aiutare i nonni a raccogliere il grano, le mandorle, i pistacchi, a tosare le pecore, ecc. Mia nonna Anna, non si è mai confusa, forse ho preso proprio da lei questo aspetto del mio carattere, preparava da mangiare per tutti: cotolette panate, insalate, pasta, caponate e tanti altri piatti siciliani».

Cos’è e come è nata Go Sicily?

«A quei tempi, lavoravo nella formazione professionale come amministrativa, poi ho voluto dimostrare a me stessa e ai miei figli, ai tempi piccolissimi, che si può fare qualcosa in Sicilia, qualcosa che ci renda fieri e felici di vivere in questa meravigliosa terra. E così ho pensato che il cibo, le tradizioni, il territorio e la voglia di condividere tutto ciò, potessero essere un valido motivo. Ho iniziato con le cooking class, il turismo esperenziale, le lezioni di cucina on line e live, una food box».

Ti senti ambasciatrice della cucina siciliana?

«Sì, se per ambasciatrice s’intende quell’anello di congiunzione tra la Sicilia autentica e coloro che vogliono stare attaccati alle loro origini».

Che risposta hai avuto dagli americani nei tuoi tour?

«Sono semplicemente felici ed entusiasti perché i miei tour esperienziali mirano a connettere i locals con gli americani, tutto in maniera naturale, senza costruzione alcuna: il capraro, la donna che fa il pane o la semplice passeggiata nei villaggi. A loro piace proprio la semplicità, il senso di comunità e rispetto. Vivono il turismo esperenziale in maniera naturale, con sorpresa e non vorrebbero andarsene più via».

Quale piatto preferiscono gli americani?

«Di sicuro la pasta fresca è uno dei piatti forti che vogliono imparare a fare, anche perché si meravigliano del fatto che al Sud, non usiamo uova, né farina 00, solo semola di grano duro siciliano e un goccio d’olio».

Cosa si può esportare del Made in Sicily?

«Il Made in Sicily non è semplice da esportare perché deve rispecchiare dei parametri F.D.A. che a volte per i piccoli produttori diventa impossibile, ma io ho creato una mia “private label” selezionando dei produttori, anche se piccoli, che già esportavano o che hanno creduto nel mio progetto».

Cosa ha rappresentato per te il premio Impresa è Donna?

«Un bicchiere di acqua fresca mentre si scala una montagna. Da mamma single, disperata per la pandemia perché non si poteva lavorare, ho creato queste food box Go Sicily dove ho inserito ingredienti dei piccoli produttori, ho registrato una video ricetta, durante la pandemia ho creato una società con cui esporto le box in America. Ogni persona che riceveva la box, tramite un codice QR aveva la possibilità di avermi a casa sua e con me gli ingredienti da usare. È stata davvero una grande soddisfazione quando ho vinto il primo premio come “Migliore Imprenditrice Siciliana Resiliente”».

Quali sono i tuoi progetti futuri?

«Nella mia testa frullano sempre tante cose, a volte troppe, ma è la mia caratteristica. Non so stare ferma e credo che chi si ferma è perduto, quindi continuate a seguirmi».

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DI OMAR GELSOMINO FOTO DI ELIS GJORRE tAJ

Pompeo

i suoi vini racconta l’unicità di un territorio

Giulia Monteleone G

iulia Monteleone è una fuoriclasse nel panorama vinicolo siciliano tanto che “Forbes” ha segnalato il suo nome tra le più importanti vigneron d’Europa da tenere d’occhio. Ha ricevuto importanti riconoscimenti come ad esempio il Tre Bicchieri del Gambero Rosso, conquistato con l’etichetta Qubba, un Etna Rosso Doc da uve di Nerello Mascalese coltivate ad alberello nei suoli lavici dell’Etna. Ho voluto intervistarla per conoscere la sua passione e il suo interesse per i suoli vulcanici.

Giulia, ci può raccontare com’è nata questa avventura?

«Sono palermitana, nata nel 1989, e prima di diventare una produttrice mi occupavo sempre di vino. Ho iniziato ad avvicinarmi al vino scrivendone. Collaboravo con diverse guide, giornali e riviste di settore quindi ho approcciato in questo modo il vino ed è in questo modo che ho conosciuto mio marito. Lui è un enologo e abbiamo pensato di creare insieme un’azienda sull’Etna. Nel 2017 si è realizzato il nostro sogno quando abbiamo acquistato i primi due ettari di vigna vecchia, nel versante nord nel comune di Castiglione di Sicilia. Oggi, possediamo circa sette ettari di vigna su due versanti del vulcano: il versante nord dove produciamo principalmente i nostri Etna Rossi e il versante est, particolarmente adatto alla produzione del Carricante, dove produciamo i nostri Etna Bianchi».

In cosa consiste il suo progetto che vede protagonisti i vini dell’Etna?

«Il nostro progetto consiste nel dar valore ad una zona che si trova a due passi dal fiume Alcantara. Quest’area è la culla del vino etneo perché è lì che i Greci si insediarono, dopo la fondazione di Taormina e Giardini Naxos, e diedero vita all’agricoltura con il celebre Alberello Etneo. La nostra idea è quella di preservare i nostri vigneti storici e le nostre vigne prefilosseriche dalle quali produciamo i nostri vini con grande fatica, perché si tratta di vigneti lavorati manualmente e molto spesso in zone impervie».

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con
BIANCA FOOD
DI MERELINDA S tAI tA FOTO DI GIULIA MON t ELEONE

Cosa succede in cantina?

«In cantina l’uva, che per noi deve essere di alta qualità, viene trasformata in vino. La parte più difficile del nostro lavoro avviene nelle vigne, poiché bisogna raccogliere, vendemmiare e stare attenti che l’uva sia sana e in perfette condizioni. Per quanto riguarda i vini rossi il processo comincia con la fermentazione, la macerazione dell’uva, successivamente si passa alla pressatura e si stabilisce l’affinamento. Nel nostro caso tutti i vini rossi vengono affinati in tonneaux di rovere francese, quindi vengono sottoposti ad almeno un anno di affinamento

in legno. Mentre per i vini bianchi procediamo con una pressatura più soffice e li facciamo invecchiare a seconda della tipologia o in legno o in acciaio».

Per cosa si contraddistinguono i vini Monteleone dagli altri vini?

«I vini si contraddistinguono per l’età delle nostre vigne, visto che sono molto vecchie. Poniamo tantissima attenzione ai nostri grappoli e cerchiamo di avere le uve migliori per ottenere dei vini interessanti e complessi».

Può svelarci qualche segreto del suo successo?

«Non c’è un segreto ma la chiave del successo, per qualsiasi attività, è riuscire a dare il meglio di se stessi. È necessario impegnarsi per ottenere la migliore qualità dei vini e non badare a spese. La particolarità dei vini richiede molto lavoro, molti oneri e molti investimenti. Noi cerchiamo di puntare sempre in alto, dalla tipologia dei tappi a tutto il processo di preparazione per garantire l’eccellenza dei vini. Un altro punto di forza è la bellezza del territorio e la suggestione che il vulcano riesce a regalare a chi lo visita. Attualmente, l’Etna è uno dei luoghi italiani più attenzionati per la produzione del vino e noi siamo felici di lavorare in questo “luna park”, ricco di emozioni e suggestioni.

L’Etna presenta una grandissima varietà di territori, di caratteristiche climatiche e di suoli unici. Non si tratta di un solo vulcano, ma di un sistema di vulcani e ciascuna contrada presenta proprietà diverse. Questo per noi è molto avvincente e cerchiamo di valorizzare le differenze tra ciascun versante e di evidenziare tutte le peculiarità del territorio».

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in aiuto alle colture agricole Smartisland,

Maria Luisa Cinquerrui, originaria di Niscemi, città in provincia di Caltanissetta, è alla guida di Smartisland, una startup che punta ad abbassare i costi di coltivazione e a sviluppare metodi di coltivazione innovativi, adeguati ai tempi e anche ecosostenibili. I suoi “piccoli robot”con intelligenza artificiale sono in grado di sottoporre a monitoraggio le colture e le coltivazioni in serra. Incuriosita dalla sua personalità, e dai suoi progetti di innovazione digitale, ho deciso di intervistarla per scoprire come è nata la sua attività e soprattutto per comprendere l’importanza della tecnologia Daiki.

Chi è Maria Luisa Cinquerrui?

«Sono laureata in Ingegneria informatica e delle Telecomunicazioni e sono la fondatrice e amministratrice di Smartisland Group Srl. Ho iniziato a lavorare al progetto durante la tesi di laurea. Ho avuto l’idea di dar vita al primo prototipo di Bioscanner, sistema biometrico alimentare,

che prende il nome di Daiki. Così ho deciso di dedicarmi pienamente al progetto e creare una startup».

Com’è nata Smartisland?

«Smartisland nasce all’interno della mia azienda agricola di famiglia e da un bisogno vissuto all’interno dell’azienda stessa. Comincia dalla necessità di risolvere problematiche alle colture, dovute alle condizioni climatiche sfavorevoli e all’uso squilibrato di concimi e irrigazione».

Come funziona Daiki?

«La tecnologia Daiki è proprietaria della Smartisland Group Srl registrata al registro delle startup innovative di Caltanissetta nel 2017 e registrata con marchio internazionale presso l’ufficio Eipo il 27 dicembre 2018. Il progetto proposto per l’Azienda Agricola Bioaretusa Società Agricola Srl ha l’obiettivo di generare un sistema di fertirrigazione di precisione capace di controllare e rilevare dati attraverso una rete IIoT, ossia una rete di tecnologie connesse ad

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DI S tAI tA FOTO DI M ARIA L UISA C IN qu ERR u I

internet capaci di controllare e gestire processi industriali attraverso la rilevazione di dati relativi al fabbisogno idrico e di concimazione, rilevati da una rete di dispositivi in grado di monitorare dati come espressi successivamente da Daiki Modular Cloud Platform. La rete di dati connessa in rete attraverso nodi Wi-Fi si interfaccia attraverso un trasduttore industriale ad altre macchine come il sistema di fertirrigazione con l’obiettivo di inviargli dei comandi e permettere la gestione telematica di processi di fertirrigazione a seguito dell’analisi e/o allarmi provenienti dall’analisi di dati agricoli. Daiki Modular Cloud Platform entra ufficialmente nel mercato nel maggio del 2020, è la prima tecnologia al mondo ad essere un sistema di edge intelligence per l’agri-food, identificato come un computer modulare in grado di raccogliere dati e quindi informazioni relative allo stato di vita di una coltura. Nel caso del Daiki Platform sarà possibile monitorare le condizioni dello stato del terreno a diverse profondità come: temperatura e umidità aria, conducibilità elettrica del terreno correlata a

umidità e temperatura alle profondità di 15 e 30 cm. L’utilizzo della tecnologia Daiki per la coltivazione di agrumi permetterà un risparmio irriguo intorno al 35 per cento correlato a una prevenzione di parassiti e virus, permettendo quindi una maggior tutela all’impatto ambientale. Grazie all’utilizzo di Daiki sarà possibile controllare quando concimare, evitando lo spreco di risorse chimiche e ridurre un eventuale inquinamento ambientale. Inoltre, attraverso il monitoraggio della quantità del drenaggio sarà possibile monitorare il reale fabbisogno idrico delle piante e controllare i corretti passaggi irrigui e idrici, ma anche assimilare la corretta nutrizione delle piante».

Quali sono i prossimi obiettivi?

«I prossimi obiettivi sono legati all’apertura su Niscemi e Latina di una sede sperimentale con campi sperimentali e all’industria sullo sviluppo tecnologico di sistemi per l’agricoltura e per il settore alimentare. Quest’anno Smartisland inizia la fase di internazionalizzazione».

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il Carnevale a Chiaramonte “ Una pazzia allegra e chiassosa”: S

i ritorna a festeggiare il Carnevale a Chiaramonte Gulfi: uno dei più antichi e belli di Sicilia.

L’etno-antropologo Serafino Amabile Guastella (1819-1899) nel suo volume “L’Antico Carnevale nella Contea di Modica” – edito nel 1887 – ci rende testimonianza del divertimento, maschere, miniminagghie, sapori e usi che caratterizzavano, dal 1600 alla prima metà del 1800, questa festa in cui “licet insanire”, è lecito fare pazzie.

Era “una pazzia allegra e chiassosa”, scrive il Guastella, delineando gli aspetti dell’antico carnevale, che allora durava circa tre settimane. A scandirne l’inizio erano le contadine di Chiaramonte che, il 1° febbraio (vigilia della Madonna della Purificazione) si recavano sul monte Arcibessi e qui si ungevano con la rugiada mattutina dei campi, come rito di purificazione, recitando preghiere e lodi alla Madonna, perché le benedicesse.

Altri momenti rituali, a Chiaramonte, erano il mercoledì “di lu Zuppiddu”, il giovedì “di li cummari” e, infine, il giovedì grasso “di lu lardaloru”. Queste erano le occasioni in cui si facevano opere di carità e si rafforzavano i rapporti “tra compari”. Il tutto, certamente, in allegria. Le miniminagghie (indovinelli) e gli scioglilingua erano, certamente, il passatempo preferito di quel tempo.

Giunta la sdirruminica, ossia la domenica di Carnevale, era conveniente “farsi amica a la monica”. In questa occasione, infatti, le monache preparavano i dolci della tradizione e li davano in regalo alle famiglie amiche: pagnuccata, cannoli, teste di turco, e chissà quante altre bontà!

I giorni a seguire erano noti come “i due giorni del pecoraio” perché, si narra, che Gesù li concesse al pastore, giunto troppo tardi dalla campagna, per potere partecipare ai divertimenti della domenica. In queste giornate, u sdirriluni e u sdirrimarti (lunedì e martedì di Carnevale), oltre a magnificare il maiale in succulenti piatti preparati dalle massaie e alla condivisione di questi con i

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BIANCA EVENT
DI ALESSIA GIAqu IN tA FOTO DI FABIANO ROCC u ZZO

Gulfi

meno abbienti, tutte le categorie e i ceti sociali erano coinvolti in quello che potrebbe considerarsi un vero e proprio momento liberatorio. Mascherati buffamente con cappelli di zucche, corna di animali e baffi fatti con code di coniglio, uomini e donne si lasciavano andare in “satire fieramente aggressive” in cui la piramide delle classi sociali si invertiva. In questa occasione, tutto era consentito a tutti. Ecco che, specialmente le donne dei villani, si scatenavano in versi pungenti e, senza timore, lanciavano ingiurie ai ricchi.

Una delle maschere più bizzarre era la Moglie di Carnevale – scrive il Guastella – colossale bamboccio, la quale traeva immani ululati, perché sui dolori del parto. A un determinato luogo (…) ecco che dalla gonna voluminosa sbucava a furia una nidiata di pulcinelli, i quali venuti appena alla luce, si avventavano ai fiaschi, e si davano a ballare sonando i tamburelli e le nacchere”.

Balli, salti e capitomboli sino alla tarda sera quando, tra pianti e lamenti, si celebrava la morte di Carnevale e l’inizio della Quaresima.

La tradizione del Carnevale a Chiaramonte, oltre che di fama, gode di una lunga e importante storia che non ha perso importanza, nonostante le conseguenze causate dagli anni di sosta dovuti al Covid.

È lodevole, in questo senso, l’impegno profuso dell’attuale amministrazione non solo per la tutela ma anche per il rilancio di questa tradizione.

«Dopo tre anni di sosta, stiamo tentando di innescare nuovamente la cultura del carro di Carnevale – dichiara la vicesindaca Elga Alescio –. In questi anni non c’è stato un ricambio generazionale e le maestranze non sono state facilmente ereditate. Il nostro obiettivo è rilanciare le associazioni ed organizzare una super associazione che coordini tutte le attività del Carnevale».

Tra le novità di quest’anno (oltre alla tradizionale sfilata e al dj in piazza previsti per la domenica e il martedì di Carnevale) ci sarà un giorno in più di festeggiamenti, ossia sabato 18 febbraio. Inoltre è stato messo a punto un nuovo format della tradizionale Sagra della Salsiccia, lunedì 20.

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start-up future

Idee che illuminano il futuro

KYMIA: la rivoluzione dello skincare no-age al pistacchio

C’ è un bel movimento attorno all’imprenditoria innovativa al femminile in Sicilia, una tendenza che fa ben sperare anche perché nella gran parte dei casi sono giovani donne a buttare il cuore oltre l’ostacolo e a scommettere su progetti che spesso uniscono l’alta innovazione tecnologica alle eccellenze del territorio. La storia di Kymia la start up pluripremiata fondata, circa un anno fa, dalle cugine Arianna Campione, odontoiatra e medico estetico, e Anna Cacopardo, esperta in Economia e marketing, è il racconto di una visione, del grandissimo amore per la Sicilia e della volontà di agire per esaltarne le potenzialità. Entrambe originarie di Bronte hanno puntato sul prodotto d’eccellenza della cittadina etnea conosciuto in tutto il mondo: il pistacchio, ma lo hanno fatto in modo per così dire rivoluzionario. Dopo una serie di studi e test di laboratorio, infatti, hanno appurato che il mallo, l’involucro che ricopre il gusto di questo straordinario frutto contiene un principio attivo dal potere altamente antiossidante: il Pistactive-f, lo hanno brevettato e impiegato per la realizzazione del primo cosmetico, una crema viso anti-age, al mallo del pistacchio di Bronte.

«Mia cugina Arianna – racconta Anna Cacopardo - ha vissuto a Londra per lavoro, ma ha sempre provato grande nostalgia per la Sicilia, ha deciso di tornare e grazie alle sue competenze in Cosmetologia ha intuito la grande duttilità del pistacchio. La nostra terra custodisce dei tesori che non ti aspetti – continua – il mallo del nostro pistacchio, da scarto assurge a nuova vita e si trasforma in risorsa preziosa che crea opportunità».

Attualmente Kymia si rivolge solo al mercato della cosmesi con la crema antirughe ma ci sono importanti progetti all’orizzonte. «Il prodotto che abbiamo brevettato – spiega Cacopardo – ha sicuramente altre importanti potenzialità che stiamo verificando con i ricercatori dell’Università di Catania per l’impiego, ad esempio, negli integratori. Ma siamo ambiziose e vogliamo procedere a piccoli passi, crescere e strutturarci per guardare a un futuro solido».

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A CURA DI PATRIZIA Ru BINO FOTO DI KYMIA

Tito lo

Il 17 settembre 2021 sono nato. Tito è il mio nome… e Bianca è mia sorella. Vi racconterò la Sicilia attraverso la penna di grandi scrittori.

La Vigna di Uve Nere: il primo romanzo di mafia scritto da una donna

Cronaca, leggenda e un profondo realismo si intrecciano nel primo romanzo che racconta la drammaticità del fenomeno

mafioso: “La Vigna di Uve Nere”, edito nel 1953 e scritto da una donna, la palermitana Livia De Stefani (1913-1991).

Un titolo iconico per la letteratura siciliana e uno dei romanzi più singolari usciti in Italia nella seconda metà del secolo scorso è “La Vigna di Uve Nere”, noir che riscosse notevole successo in termini di critica e di pubblico anche all’estero; e che, negli anni ’80, ispirò uno sceneggiato per la Rai con la regia di Sandro Bolchi.

È con un linguaggio diretto e pungente che la De Stefani ci permette di osservare la Sicilia arcaica e profondamente patriarcale degli ambienti mafiosi del secolo scorso.

Ad ispirare l’autrice pare sia stato un fatto di cronaca avvenuto a Mazara del Vallo: il mistero della morte di una ragazza di diciassette anni. Ed è sviluppando questo atroce evento che la De Stefani descrive la storia di un uomo duro e spietato, Casimiro Badalamenti, proprietario di un vigneto di uve nere e coinvolto in un giro di loschi affari che, ad un certo punto, sposta la sua residenza da Giardinello a Cinisi.

« Abbandonò Giardinello per ragioni oscure – scrive l’autrice nel romanzo –. Vero è che ciò avvenne subito dopo la morte del padre e del fratello, uccisi per errore in un agguato teso ad altri, in una notte del torrido luglio del 1930. Ma Casimiro non era uomo pauroso ».

A Cinisi, Casimiro trova una sorta di lupa verghiana: Concetta, donna di malaffare, che gli è molto devota e con la quale consuma passioni e condivide peccati. Dalla loro unione nascono dei figli che, per volere di Casimiro, saranno cresciuti da altri contadini, all’oscuro l’uno dell’altro. Dopo circa vent’anni, quando Casimiro decide di riunire la famiglia, le colpe passate ricadranno inesorabili sui figli Nicola e Rosaria legati da una fatale attrazione e da un amore incestuoso.

Una vergogna intollerabile diventa questa per Casimiro che, pur di non essere tacciato di disonore, costringerà la figlia Rosalia al suicidio, salvaguardando Nicola, che, in quanto erede maschio, potrà portare avanti il nome della famiglia.

Uno stile descrittivo intenso, ricco di simboli e riti è quello che la De Stefani utilizza ne “La Vigna di Uve Nere”, un romanzo da scoprire e riscoprire, come la singolare personalità anticonformista della sua scrittrice.

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A CURA DI ALESSIA GIA qu IN tA

Jana salva la regina

“Sì figghiu ri Jana?”: avete mai sentito pronunciare questa frase?

L’origine è, in effetti, molto antica e viene attribuita ad una leggenda che vede protagonista il castello di Motta Sant’Anastasia, nel Catanese. È proprio qui, infatti, che nei primi anni del 1400 viveva la regina Bianca di Navarra divenuta Vicaria del Regno di Sicilia, dopo la morte del marito re Martino.

Bernardo Cabrera, Conte di Modica, interessato ad accrescere il suo potere, cominciò allora a corteggiarla spietatamente, inseguendola in ogni castello e in ogni luogo che ella frequentava: voleva sposarla per diventare il nuovo re di Sicilia.

La regina, che non era affatto interessata al Conte, rifiutò ogni suo corteggiamento anzi, grazie all’aiuto del suo ammiraglio, lo fece catturare e rinchiudere all’interno del castello di Motta Sant’Anastasia, prima in una cisterna e poi in una stanza della torre dove, nonostante tutto, egli continuava a vivere con la speranza di poter conquistare la regina.

Ed è in questo momento della storia che entrò in gioco un’altra donna, il cui atteggiamento astuto fu risolutivo. Parliamo di Jana (il cui nome deriva dal latino Ianus= dalla doppia faccia), fedele damigella di Bianca di Navarra. Ella, infatti, tramò un piano del tutto particolare per proteggere la sua amata regina.

Jana dunque indossò le vesti maschili da paggio di corte e si diresse nella stanza del Conte e, dopo esser entrata nelle sue grazie, riuscì a fargli credere che lo avrebbe aiutato a fuggire dal castello e a conquistare la regina.

Il Conte Cabrera si fidò ciecamente all’istante e seguì le istruzioni che quell’insolito paggio gli aveva fornito. Indossati i vestiti da contadino, il Conte avrebbe, infatti, dovuto calarsi dalla finestra tramite una corda retta dal paggio (Jana) e una volta giunto a terra poteva riprendersi la sua libertà e correre dalla regina.

Certamente il piano prevedeva un finale differente da quello prospettato al Conte: Jana, infatti, lasciò immediatamente la presa della corda e il Conte cadde dentro una rete dove fu tenuto prigioniero per tutta la notte, tra pianti e lamenti. Il mattino seguente l’astuta damigella si rivelò al Conte e ordinò che fosse imprigionato presso il Castello Ursino di Catania.

Da allora la regina Bianca non ricevette più i fastidiosi corteggiamenti del Cabrera, lodando e ringraziando per sempre la scaltra Jana, considerata per questo anche leggendaria icona dell’astuzia femminile.

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Astuzia femminile:

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