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La Vigna di Uve Nere: il primo romanzo di mafia scritto da una donna

Cronaca, leggenda e un profondo realismo si intrecciano nel primo romanzo che racconta la drammaticità del fenomeno mafioso: “La Vigna di Uve Nere”, edito nel 1953 e scritto da una donna, la palermitana Livia De Stefani (1913-1991).

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Un titolo iconico per la letteratura siciliana e uno dei romanzi più singolari usciti in Italia nella seconda metà del secolo scorso è “La Vigna di Uve Nere”, noir che riscosse notevole successo in termini di critica e di pubblico anche all’estero; e che, negli anni ’80, ispirò uno sceneggiato per la Rai con la regia di Sandro Bolchi.

È con un linguaggio diretto e pungente che la De Stefani ci permette di osservare la Sicilia arcaica e profondamente patriarcale degli ambienti mafiosi del secolo scorso.

Ad ispirare l’autrice pare sia stato un fatto di cronaca avvenuto a Mazara del Vallo: il mistero della morte di una ragazza di diciassette anni. Ed è sviluppando questo atroce evento che la De Stefani descrive la storia di un uomo duro e spietato, Casimiro Badalamenti, proprietario di un vigneto di uve nere e coinvolto in un giro di loschi affari che, ad un certo punto, sposta la sua residenza da Giardinello a Cinisi.

« Abbandonò Giardinello per ragioni oscure – scrive l’autrice nel romanzo –. Vero è che ciò avvenne subito dopo la morte del padre e del fratello, uccisi per errore in un agguato teso ad altri, in una notte del torrido luglio del 1930. Ma Casimiro non era uomo pauroso ».

A Cinisi, Casimiro trova una sorta di lupa verghiana: Concetta, donna di malaffare, che gli è molto devota e con la quale consuma passioni e condivide peccati. Dalla loro unione nascono dei figli che, per volere di Casimiro, saranno cresciuti da altri contadini, all’oscuro l’uno dell’altro. Dopo circa vent’anni, quando Casimiro decide di riunire la famiglia, le colpe passate ricadranno inesorabili sui figli Nicola e Rosaria legati da una fatale attrazione e da un amore incestuoso.

Una vergogna intollerabile diventa questa per Casimiro che, pur di non essere tacciato di disonore, costringerà la figlia Rosalia al suicidio, salvaguardando Nicola, che, in quanto erede maschio, potrà portare avanti il nome della famiglia.

Uno stile descrittivo intenso, ricco di simboli e riti è quello che la De Stefani utilizza ne “La Vigna di Uve Nere”, un romanzo da scoprire e riscoprire, come la singolare personalità anticonformista della sua scrittrice.

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