Bibenda n° 53

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Anno XV - n. 53 - Trimestrale Marzo 2016 - â‚Ź 10

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La Nuova Bibenda / di Franco M. Ricci Il Nostro Patrimonio Culturale / di Dario Franceschini Ciao Giacomo! La Quadratura del cerchio / di Roberto Cipresso Nessuno ha la verità in tasca / di Angelo Gaja Meraviglioso / di Emanuele Schipilliti Oscar Farinetti / di Elvia Gregorace Grenache, il Cavaliere errante / di Mariaclara Menenti A Castiglione Falletto la cantina è il mondo di sotto / di Cinzia Bonfà Vent’anni de Il Carbonaione, Sangiovese di Lamole / di Anna Rita Zangara Halligan Orgoglio Toscano / di Dario Cecchini Bibenda day 2016, un sabato italiano Signori del Vino / di Marcello Masi Rabasco, limpida testimonianza d’Abruzzo / di Giampiero Pulcini Oui, je suis Gianfranco Vissani / di Gianfranco Vissani Le spremute di terra di Bruno Paillard / di Massimo Billetto La bellezza nascosta di Lanzarote / di Antonella Anselmo Per la Grappa due grandi passi in avanti / di Roberto Castagner L’altra sponda del Douro / di Giuliano Lemme Vinocult diventa un libro / di Fede e Tinto Bordeaux, toujours / di Giovanni Ascione I Ristoranti dei famosi: Marco Giallini / di Elvia Gregorace Olio, raccolto 2015 / di E. Campisi, C. Chiarotti, L. Costantini, R. Greco, L. Grippo, D. Scrobogna Distillati &... / di Paolo Lauciani Magazzino delle emozioni / di Claudia Chiarotti Appunti di degustazione / di Lorenzo Costantini

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Servizio di Copertina

La Nuova BIBENDA Dopo il grande successo di GUIDA BIBENDA 2016 nella sua versione digitale, 727.941 copie vendute in 123 Paesi del mondo, abbiamo ovviamente pensato di realizzare anche la mitica RIVISTA BIBENDA online per godere di più dei colori e delle fotografie del nostro capolavoro nato nel 2002. Certamente abbandonare la carta di un prodotto così elegante è stata una decisione sofferta. Ma poi abbiamo “obbedito” a Albert Einstein che afferma che la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario. Necessario perché sarà possibile estendere il nostro Magazine a centinaia di migliaia di persone che conoscono e non conoscono il vino e che, comunque, desiderano essere informati sull’Arte e sulla Cultura dell’enoagroalimentare in maniera convincente come sempre BIBENDA ha fatto per i suoi lettori. Necessario per dare un’opportunità infinita di godere delle immagini e dei contenuti ai nostri amati lettori, per i quali abbiamo anche deciso di rendere BIBENDA più attenta al lavoro degli opinionisti, al racconto in diretta delle evoluzioni, dei cambiamenti e dei fatti del mondo vino. Firme prestigiose del giornalismo, ma anche di persone dedite alla nostra cultura che, senza approssimazioni, si cimenteranno nel racconto del vino, dell’olio, del cibo, della birra, della grappa e di tutto quanto diverte il nostro palato e la nostra sete di sapere. Necessario per rendere, ancora di più, seducenti la Cultura e l’Immagine del vino. Siamo in uscita a Marzo, quella stessa Primavera che ha dato la luce a BIBENDA nel 2002. Porta bene? Non sappiamo, ma per essere sicuri l’abbiamo fatto lo stesso. Il MONDO BIBENDA resta fedele a se stesso. L’informazione che abbiamo inventato a fianco della Fondazione Italiana Sommelier oggi, e delle Associazioni ieri, continua sempre e al passo coi tempi. Continua senza approssimazioni, senza doveri di riconoscenza, se non verso i nostri lettori e verso le donne e gli uomini che la realizzano. BIBENDA7 dal 2011, BIBENDA magazine da 14 anni, BIBENDA La Guida dal 1998 e Sommelier Notizie da 50 anni sono il nostro modo non di vendere vino ma di spacciare felicità. Auguri sempre di bere le migliori bottiglie con le persone che amate. Franco M. Ricci

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Il Nostro Patrimonio Culturale

Il Nostro

Patrimonio Culturale D

a r i o

F

r a n c e s c h i n i

Il Ministro della Cultura prende atto che il suo Ministero debba essere in prima linea “riconoscendo al Vino il ruolo di grande attrattore culturale e turistico”. Presente alla grande festa del Vino Italiano con Bibenda 2016 è stato insignito del Titolo di Sommelier d’Onore. Si apre una nuova strada al Vino di qualità del nostro

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Paese.


Enotria Tellus, Terra del vino. Con questo nome nell’antichità veniva chiamata l’Italia, a testimonianza del nostro plurimillenario rapporto con il nettare di Bacco. E al tempo stesso è inscindibile il legame tra la nostra cultura e il vino. Fonte di ispirazione per scrittori, poeti, pittori, ma anche elemento caratterizzante del nostro paesaggio. Basti pensare ai vigneti che rendono uniche campagne e colline, dal nord al sud del paese, dalle pendici delle montagne alle rive del mare. Nella sua dimensione agricola, artigianale, fino alle grandi e storiche cantine che ormai esportano ovunque, il vino è da sempre un simbolo dell’Italia nel mondo, tanto quanto il cibo, la moda e l’arte. In particolare negli ultimi due decenni il nostro sistema vitivinicolo è stato protagonista

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Dario Franceschini

di un’ascesa dirompente nei mercati internazionali, a fronte di un sistema produttivo che

Ministro dei Beni

ha saputo crescere quantitativamente e qualitativamente, sulla scia di una nuova rinnovata

e delle Attività Culturali

attenzione globale verso il cibo di qualità e di una nouvelle vague di chef italiani, apprezzati in tutto il mondo, in grado di rinfrescare il mito dell’enogastronomia italiana. Affinché questo grande patrimonio venga messo a sistema quale formidabile asset per la crescita anche economica del Paese è necessaria però una maggiore concertazione tra tutti i Soggetti istituzionali e privati coinvolti. Dal Ministero dell’Agricoltura a quello dello Sviluppo Economico, dalle Regioni e gli altri Enti locali fino all’ICE e a tutte le associazioni di categoria, per un prodotto che va costantemente difeso dalle contraffazioni e promosso all’estero in maniera unitaria, facendone un alfiere del Made in Italy. Ovviamente, anche il mio Ministero vuole essere in prima linea, riconoscendo al vino il ruolo di grande attrattore culturale e turistico. Basti pensare alle potenzialità, ancora parzialmente inespresse, del turismo enologico: le cosiddette “Strade del vino”, tanto diffuse in altri Paesi, che da noi attraversano scenari e città di incomparabile bellezza. Itinerari dove è possibile riscoprire il piacere di un turismo “lento”, sostenibile e di qualità. 3


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Ciao Giacomo!

Ciao

GIACOMO! 4


Il 6 Febbraio scorso se n’è andato e lo ricordiamo con tanto affetto. Il mondo del vino perde non solo il padre dell’enologia moderna, ma perde anche l’uomo che tanto ha saputo dare al rinnovamento del vino italiano.

Ha vinto qualunque scommessa dal 1953 in poi e quando Tignanello e Sassicaia presero vita, grazie alla sua paternità. Erano sue la schiettezza, l’intelligenza, la scienza e la cultura amplissima.

Bibenda e Fondazione Italiana Sommelier lo ricordano

così, in queste immagini che raccontano quell’intero giorno a lui dedicato già cinque anni fa, il in cui tutto il

Gotha

del vino italiano, convenuto a

Roma

14 Maggio 2011. Un giorno

per l’occasione, si è alzato in piedi in un omaggio totale, di

gratitudine e di affetto, al grande uomo e al genio che era in lui.


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Ciao Giacomo!

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Alcune immagini della sala gremita per l’omaggio a Giacomo Tachis. Oltre a Giacomo e a sua figlia Ilaria, nelle foto qui a lato si riconoscono Giulio Trombelli, Pio Boffa di Pio Cesare, Anna Scafuri di Rai Uno.

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L’intera sala in piedi in un applauso corale verso il grande Maestro. In basso da sinistra l’enologa Graziana Grassini, sua allieva che ne ha raccolto l’eredità professionale, il giornalista Carlo Cambi, Amedeo Alpi Preside dell’Università di Pisa, Angelo Gaja, il campione del mondo dei Sommelier Luca Gardini, l’amico Gino Salica, Sebastiano Rosa di Tenuta San Guido, Luca di Napoli Rampolla di Castello dei Rampolla, Elisabetta Geppetti di Fattoria Le Pupille, Vincenzo Melia di Ceuso.

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Ciao Giacomo!

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A sinistra, Giacomo Tachis con il Marchese Piero Antinori, a destra con sua figlia Ilaria e Franco Ricci, rivolge un saluto di commiato alla platea.

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In alto, da sinistra, Antonio Rallo di Donnafugata, Pio Boffa di Pio Cesare, Antonello Pilloni di Cantina Santadi, la Principessa Coralia Pignatelli di Castell’in Villa, Massimo Bernetti di Umani Ronchi, Roberto Lasorte di Querciabella, il Conte Aldo Brachetti Peretti de Il Pollenza, Michael Falchini di Casale Falchini, il Marchese Carlo Guerrieri Gonzaga di Tenuta San Leonardo, Francesca Argiolas dell’omonima azienda.

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La quadratura del cerchio

LA QUADRATURA

del cerchio Osservare;

sperimentare; raccogliere i dati; analizzare i risultati; soppesare le

emozioni; cambiare le carte in tavola; iniziare di nuovo tutto dal principio.

La

ricerca del risultato perfetto presuppone un lavoro instancabile, un interesse costante, una spinta interiore che si giustifica solo con il fuoco di una grande passione, perché il risultato, come è facile comprendere, per quanto entusiasmante o emozionante, non sarà comunque mai la perfezione.

La Quadratura

del

Cerchio

è

dunque frutto, appunto, di un grande amore, della ricerca dettata dalla curiosità di mescolare uve, e con esse terre, e più indirettamente ancora storie, persone, diversi approcci al vivere e al far vino. Protagonista della ricerca incessante: Roberto Cipresso.

Ingredienti base - da mescolare con competenza e creatività come sulla tavolozza di un pittore, dando a volte più credito all’istinto che alla ragione e alla conoscenza -: i vigneti, calpestati nelle aree più disparate del mondo viticolo, dai terreni esplorati oltre Oceano fino agli angoli più reconditi ed estremi del nostro Paese. Sì, perché il mestiere del winemaker conduce appunto, se svolto con l’entusiasmo e la curiosità evidenti in questo caso, a viaggiare molto in cerca della terra più espressiva, dell’uva più eloquente nel suo equilibrio interno, della storia di vita più interessante o commovente. È così che Roberto ha fatto tesoro di quanto conosciuto nel corso del suo lavoro di consulente per condurre, parallelamente alle azioni appunto portate avanti in risposta alle esigenze della committenza, le sue ricerche personali: ogni terroir all’apparenza più significativo 10


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La quadratura del cerchio

e più espressivo degli altri è stato studiato in profondità, attraverso le risposte fornite dalla qualità della sua produzione, e soprattutto dalle emozioni da essa indotte, nonché dalla sua capacità di evocare in chi assaggia la sua terra di provenienza. Il percorso seguito, pur conducendo a risultati complessi, è stato lineare, nello spostamento progressivo dell’interesse di Roberto dallo studio delle varietà - primo amore di ogni winelover - a quello dei terroir, fino a cercare la perfezione nelle mescolanze dei prodotti delle aree geografiche più affascinanti; queste ultime, son poi state calibrate in modo da ottenere equilibrio tra le diverse componenti, che si esaltano reciprocamente anziché ottenebrarsi a vicenda. I 10 “Viaggi” che ne derivano, quali suggestive tappe di un percorso di studio e di crescita personale durato 15 anni, sono, ciascuno a suo modo, un elogio della fusione,

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n

Roberto Cipresso

della contaminazione, del concetto di ibrido, della suggestione prodotta dall’unione di elementi

Wine maker di professione,

dettata solo da creatività e ricerca, senza perseguire alcun fine diverso da questo. Da ciò, una serie di

scrittore per passione, da

“Vini d’Autore”, adesso modernissimi nella loro concezione, e possiamo dire quasi d’avanguardia

Bassano del Grappa ai

ai tempi delle prime edizioni; il progetto cambia ora pelle, e si dota di vigneti di proprietà sul

confini del Mondo, in

medesimo parallelo, ma affacciati su due diversi mari.

perenne sfida alle banalità.


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1995

Primo Viaggio

“Un viaggio nel vino è un buon esercizio per l’istinto. Permette di sentire appieno la semplicità serena e rassicurante di un frutto di grande bellezza e generosità come l’uva. Durante il 1995 ho potuto sognare di far fiorire angoli diversi del grande giardino che frequento tra i vigneti d’Italia, e mi sono scoperto attratto da un lavoro tanto antico da essere nuovo al tempo stesso: la mescolanza. Le terre che amo le vorrei tutte insieme in casa mia. Non potendole avere ne prendo in prestito i frutti. Un po’ di Sangiovese, un amico che frequento da tempo, un po’ di Refosco e Schioppettino da luoghi di grande orgoglio e profondità, un tocco disincantato e abbondante di Montepulciano, futuro Re d’Italia. Eccomi dunque in un umile tentativo di essere ovunque e per tutti. Libertà. Roberto Cipresso”. Il 21 Settembre 1995 raccolgo il Sangiovese a Montalcino, mentre per lo Schioppettino e il Refosco di Prepotto devo attendere il 25 - quando potrò raccoglierli in via del tutto eccezionale lo stesso giorno e farli fermentare nel medesimo contenitore -, per essere infine pronto con il Montepulciano di Spinetoli solo il 18 Ottobre. Allo stesso modo, il Sangiovese da un lato e lo Schioppettino dall’altro sono stati svinati a pochissima distanza di tempo; già domenica 8 Ottobre, 6 barrique di vino fiore di Schioppettino e Refosco hanno lasciato Prepotto con destinazione Montalcino, e la nuova massa è stata ottenuta il lunedì successivo; i tre vitigni hanno così compiuto insieme la fermentazione malolattica, per congiungersi al Montepulciano solo il primo giorno di Dicembre. Ho imbottigliato dopo 18 mesi circa, in borgognotta, bottiglia a me molto cara, perché il pepe bianco, le altre note speziate e le capacità evocative di questo vino mi conducevano allo stile e alla raffinatezza del “midi” francese.

1996

Secondo Viaggio

b

In retroetichetta si legge “una bottiglia per i padri: il mio prima di tutto; Tchelistcheff subito dopo; infine il sole, padre autentico di tutte le uve del mondo”. Oltre a mio padre, venuto a mancare subito prima di questa vendemmia tuttavia sempre presente in ciò che faccio, è stato André Tchelistcheff a indirizzarmi per questo secondo blend. Mi ha colpito la sua presa di posizione sulla possibilità (da lui definita una vera sciocchezza ) di riprodurre i blend dei Supertuscan piantando il Sangiovese in California e assemblandolo al Cabernet e ad altri vitigni internazionali. A suo avviso, l’unico partner possibile in California per il Sangiovese era lo Zinfandel, uva dalla storia straordinaria e complessa, partita dalla Croazia e giunta a Vienna ai tempi dell’Impero Asburgico, dove viene utilizzata come uva da mensa e per il vino da messa. Definita “uva mission”, viene spedita ad una comunità di frati francescani residente in California, dove diviene Zinfandel; dalla stessa Vienna prende anche altre vie e giunge in Puglia, dove altro non è che il Primitivo. Il mio Secondo Viaggio è dunque, in omaggio alle considerazioni di Tchelistcheff, un assemblaggio di Primitivo di Manduria e di Sangiovese di Toscana, che ha senso solo, in coerenza con la filosofia che guida le mescolanze dei miei “Viaggi”, se il primo è caldo e avvolgente, e il secondo invece vivo, fresco, fragrante. Il Primitivo in questione, dell’azienda Felline, fu quell’anno particolarmente precoce; quindi le due masse sono state fatte fermentare in tempi diversi, l’una in Puglia e l’altra in Toscana, e solo in seguito assemblate. L’inconsueto trasferimento del Sangiovese al sud in un periodo in cui era pratica comune compiere spostamenti di masse dal sud al nord, quel movimento compiuto in senso inverso destò molte curiosità; non ultima, quella della Repressione Frodi, che non esitò a chiedermene ragione. 13


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1997

I vini dei vulcani, la sottile linea rossa

Terzo Viaggio

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Il Terzo Viaggio è nel blend uguale al Secondo, ma è rimasto un anno in più in legno. Il senso di tale nuova avventura risiede proprio in questo passaggio; è un omaggio al trascorrere del tempo; all’azione dell’ossigeno e degli altri fattori che in questo processo possono giocare un ruolo; alla leggera sensazione di ignoto, di incognita, di mistero che si accompagna a questa fase del far vino; ad alcune espressioni che capita di ottenere, e delle quali a volte è difficile anche comprendere la ragione esatta. È una dimostrazione del fatto che il solo frutto fa molto ma non può fare tutto. Dalla “retro etichetta”: “Il Terzo Viaggio è uguale al Secondo ma è invecchiato con me. Fare vino insegna a non avere paura del buio, a non vergognarsi quando si sbaglia, a non esaltarsi quando tutto va bene. Aiuta a ricordare che senza la terra non ci sarebbe il volo.”

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Nella foto, Roberto Cipresso

impugna l’Oscar del Vino ottenuto nel 2006 nella categoria Migliore Enologo. 14


1998

Quarto Viaggio

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È in questo Viaggio che fa per la prima volta la sua comparsa una formula curiosa e divertente, che vuol descrivere l’essenza stessa de La Quadratura del Cerchio: QdC = Vrtn x Trn , Clmftn

che sta per: QdC: Varietàn x Territorin ClimaFortuna

In particolare, in questo caso il primo elemento dell’equazione vede l’incontro tra tre vitigni con i quali amo confrontarmi spesso - Il Montepulciano d’Abruzzo per metà, il Carmenére per il 40%, ed infine il Teroldego per il restante 10% -, mentre il secondo è fatto di terre molto diverse e distanti tra loro: un vigneto di 18 anni e a 300 metri di altitudine di Roseto degli Abruzzi; una vigna di Mezzolombardo di 24 anni e a 250 metri di altitudine, e, per finire, un vigneto di Buttrio, di 20 anni di età e a 250 metri di altitudine. Gli altri elementi dell’equazione sono chiari: il clima, che è connesso al territorio ma anche all’annata, e ovviamente una buona dose di fortuna! Pur essendo queste masse così diverse contraddistinte anche da distanti tempi di maturazione delle uve, è stato comunque possibile fare l’assemblaggio prima della metamorfosi che avviene con la fermentazione malolattica. Dicembre. Ho imbottigliato dopo 18 mesi circa, in borgognotta, bottiglia a me molto cara, perché il pepe bianco, le altre note speziate, e le capacità evocative di questo vino mi conducevano ad affiancarlo allo stile e alla raffinatezza del “midi” francese.

2000

Quinto Viaggio

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L’etichetta è una bussola illuminata da un grande cuore. Il vino è dedicato a Marina, mia moglie, e alla nascita del nostro primo figlio Matteo; la data - 18 Settembre 2001 - è appunto scritta, nei suoi tre numeri costitutivi, tra le coordinate delle terre che danno forma al Viaggio. Torna, in gran parte, il Montepulciano già incontrato nel Quarto Viaggio, affiancato, in ugual misura, dal Carmenére; quest’ultimo però ottenuto questa volta su un suolo più calcareo ed in un’area più dolce e più mite, nei Colli Euganei, vicino ad Arquà Petrarca; c’è poi un’altra nota, che incide più di una sfumatura o di un piccolo accento, e che trasmette l’orgoglio, la forza, la fierezza un po’ introversa della terra “ai piedi dei monti” alla quale appartiene: un 20% di Barbera piemontese, prodotta in un vigneto di 20 anni di età, a 250 metri di altitudine. Oltre alla Barbera, concorrono all’uvaggio Montepulciano (proveniente dalle Marche) per il 40% e Carmenère (proveniente dai Colli Euganei) per il 40%. Naso sorprendentemente ancora compatto, dai curiosi toni vegetali, che poi regala nuance di tamarindo, china e rabarbaro. Gusto pieno, appagante, molto intenso, dalla complessità retrolfattiva ancora da conseguire in un futuro che possiamo prevedere ancora molto lungo.

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La quadratura del cerchio


2005

Sesto Viaggio

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Questa avventura unisce due anime: la prima viene dalla Sicilia, nel tentativo - a mio avviso ben riuscito - di trovare un punto di incontro ideale tra il “Nuovo” ed il “Vecchio Mondo”; si compone infatti delle varietà internazionali CabCab (Sauvignon e Franc) - come dicono gli Americani -, Merlot e Petit Verdot - che contribuiscono al blend complessivo rispettivamente nella misura del 40%, del 25% e del 5% -, impiantate negli anni ’80 secondo l’intuizione originaria di Giacomo Tachis e del suo progetto nell’ambito dell’Istituto della Vite e del Vino nella così detta California d’Italia; più in dettaglio, questa componente del Sesto Viaggio proviene da una realtà davvero unica, dalla potenzialità espressiva dirompente, costituita da un altipiano nei pressi di Monreale a 700 metri di altitudine. L’altro elemento costitutivo - nonché la colonna vertebrale, lo scheletro, la vibrazione di questo vino - è invece un progetto di tutt’altra natura, ovvero uve di un vitigno autoctono italiano - il Sangiovese - coltivato in uno dei suoi territori di maggior vocazione: un vigneto della Toscana continentale, sulle austere colline aretine. Sin dal naso c’è la potenza di un Pauillac, dalle note succose e scure che si fondono con la mineralità ferrosa e con note penetranti di spezie. Vigoroso e asciutto al palato, con perfetta integrazione fra il tannino setoso ma ben presente e l’acidità.

2006

Settimo Viaggio

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Ancora Toscana e Sicilia, stavolta nella ricerca della possibile alchimia perfetta tra due uve generose, di grande carattere e personalità, in un’intesa chimica da associare al loro aspetto più “sanguigno” ed “animale”, e alla loro matrice fenolica conferitrice di “razza” importante. 60% Sangiovese toscano (da Castelnuovo dell’Abate) e 40% Syrah siciliano (da Monreale), il Settimo Viaggio ha anche un’etichetta nello stile grafico significativamente diversa dalle altre, seppure con gli immancabili riferimenti alle coordinate dei vigneti sulla “retro”. Sui punti nei quali il pentagono - la vite - si incontra con il cerchio, i numeri “magici” della mia vita più intima e di quella della mia famiglia. Un vino scuro, imperioso, colto nel pieno passaggio verso la fase terziaria. Toni di grafite, inchiostro e spezie al naso, splendida e vivace spalla tartarica al gusto. Lunga scia minerale nel raffinatissimo finale.

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2007

I vini dei vulcani, la sottile linea rossa

Ottavo Viaggio

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Le protagoniste restano due uve; questa volta però non nel tentativo di ottenere armonica fusione tra matrici simili, quanto piuttosto nella volontà di realizzare un incontro/scontro tra grandi protagonisti, tra attori di significativi spessore, profondità e dignità ma giocati su terreni opposti; vediamo quindi, come nel duello tra Davide e Golia, una goccia di Syrah - prodotto da vigneto su tufi gialli nella zona di Orvieto - impegnata nella difficile impresa di domare l’irruenza e la potenza di un Aglianico da viti su piede franco, da vigneti di ottanta anni di età sull’altopiano del Vulture. Tutto il calore del millesimo esplode e si traduce in profumi decisamente avvolgenti, declinati su sfumature che vanno dalle spezie dolci alle fragranti note di frutta succosa e matura e di macchia mediterranea. Lungo ed elegantissimo lo slancio finale, dalla persistenza infinita resa viva da un tannino setoso.

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2009

Nono Viaggio

D

Ancora un netto cambio nella grafica dell’etichetta, con forme geometriche dalla rigidità stemperata con l’uso di tenui colori pastello. Dopo due incontri, fusioni e scontri tra vitigni, sono di nuovo i suoli a tornare protagonisti. In primo piano, quattro vigneti toscani: terre limose nei pressi di Cortona, galestri e croste nei pressi di Cinigiano, le colline di Monte San Savino, ed infine Montalcino. Le uve - due, il Sangiovese e il Merlot - ed i suoli si supportano a vicenda, si affiancano, si aiutano, si completano, come in una sorta di “doppio” tennistico. Potremmo semplificare e definirlo un Supertuscan; lo è, ma è anche una contaminazione di realtà affini e vicine, che nella loro unione danno vita a qualcosa che vale molto di più della loro semplice somma. Il respiro del mare nobile e la forza del continente: balsamicità macchia mediterranea, frutta rossa, chinotto, radici, bacche di ginepro. Pieno e completo ritorno del complesso olfattivo in bocca, con ottima spalla acida ed elegante sapidità.

2010

Giro di Boa

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È l’unico della serie che in etichetta non riporta la parola “Viaggio” perché è una sorta di punto di svolta, di giro di boa dell’intera avventura. Giunge dopo 15 anni di tentativi, di esplorazioni e in quanto momento conclusivo di questa prima fase, è un azzardo grandissimo, forse il più grande: Aglianico del Vulture, Sangiovese di Montalcino, un po’ di Canaiolo dell’Alta Maremma Toscana e Cannonau di Dorgali; i primi tre hanno condotto cofermentazione, mentre il Cannonau è stato aggiunto solo in post fermentazione malolattica e prima della sosta in rovere francese. Come succede nelle diverse espressioni artistiche,la mia ricerca della geometria perfetta tra uve e terre si è mossa da presupposti di base per arricchirsi pian piano in un crescendo costante di complessità; poi, ad un certo punto del percorso, si torna invariabilmente alla semplicità; non è una resa, né un ritorno alla debolezza del punto di partenza; viceversa, è la sobrietà della consapevolezza acquisita, del grado di ordine raggiunto, dell’autosufficienza, del punto di arrivo. Quadrare il cerchio è impossibile. Esiste però la possibilità di scomporre il cerchio nei punti che lo costituiscono, in una sorta di linea libera e snodata che si può arcuare o piegare a piacimento, per riprodurre non solo un quadrato, ma tutte le forme che desideriamo. La mia linea libera è quella del nuovo percorso della Quadratura, che idealmente unirà i miei due vigneti situati sul medesimo parallelo e affacciati su due diversi mari: l’Adriatico e il Tirreno. Le uve ancora Montepulciano e Sangiovese, con unici denominatori comuni, il metodo e la linea che corre libera lungo il parallelo 43. 19


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Nessuno ha la verità in tasca

N essuno ha la verità in tasca A

n g e l o

G

a j a

Tra il 1850 ed il 1890 si abbatterono sulla viticoltura europea l’oidio e

chimica il mezzo più efficace per contrastare le fitopatologie

la peronospora, fitopatologie nuove ed aggressive come non si erano

attraverso l’impiego di antiparassitari, definiti via via anche come

mai viste nei secoli precedenti. I viticoltori dovettero imparare a

fitofarmaci, pesticidi, veleni chimici. E la chimica, a farla da

combatterle sistematicamente con l’impiego di antiparassitari, zolfo

padrona, continuò a fornire altri prodotti ancora da impiegare in

e rame, se volevano salvare la produzione d’uva. Come non bastasse,

qualità di fertilizzanti e diserbanti. È nel secolo corrente che prende

qualche tempo dopo arrivò la fillossera ad innescare la moria delle

forza la domanda di una agricoltura che faccia meno ricorso alla

viti, a seguito della quale si fu costretti ad estirpare la totalità dei

chimica e si affermano per il cibo l’esigenza della sanità, a protezione

vigneti per reimpiantarli successivamente su portainnesto di vite

della salute del consumatore, e della pulizia, affinché la coltivazione

americana, quest’ultima resistente alla malattia. Sembrò a quel

non divenga inquinante per l’ambiente. L’obiettivo primario di

tempo che la viticoltura europea ricevesse un colpo mortale. Non fu

ridurre l’impatto della chimica in viticoltura viene oggi perseguito

possibile allora attribuire il disastro al supposto cattivo stato di salute

con la lotta integrata, che riduce l’uso di antiparassitari integrandoli

della viticoltura causato da un impiego eccessivo della chimica,

con prodotti che non sono di origine chimica; la conduzione

perché non se n’era mai fatto uso prima; alla monocoltura, perché

biologica, che limita l’uso di prodotti chimici ai soli rame e zolfo;

si era sempre praticata la policoltura; alla perdita di biodiversità,

la conduzione biodinamica che esclude l’uso della chimica. Ma non

perché non ce n’era mai stata così tanta. Ci fu un ampio abbandono

ci si può fermare soltanto qui. Vanno utilizzati anche quei sistemi

della viticoltura in favore di altre coltivazioni. Poi, gradualmente,

che consentono di arrivare a produrre viti che offrano una buona

si trovarono le contromisure e nel secolo scorso si individuò nella

resistenza alle malattie, inseguendo così l’obiettivo di contenere/


abbattere il ricorso alla chimica per combatterle. La recente scoperta del sequenzionamento

n

Angelo Gaja

del genoma della vite offre oggi alla ricerca nuove importanti opportunità: di individuare

Angelo Gaja il 7 Marzo

le viti che ospitano il gene della resistenza (al patogeno) e trasferirlo nel genoma di viti che

appena passato ha compiuto

non lo posseggono. Pratica da avviare attraverso l’impiego di biotecnologie che non sono

76 anni. Al giovanotto

equiparabili agli OGM transgenici. Andrà chiesto ai vivaisti di dedicare maggiore attenzione

Angelo giungano gli

al materiale derivante da selezione massale, per non affidarsi totalmente alla selezione clonale

auguri più affettuosi dalla

che produce viti più fragili. Al fine poi di recuperare salute al vigneto, andranno estese le

Redazione di Bibenda.

pratiche che consentono di rafforzare la vitalità del suolo. La strada per abbattere l’uso della chimica nel vigneto è lunga, se la si vuole condurre con successo va percorsa senza paraocchi, utilizzando tutti gli strumenti disponibili.

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Meraviglioso

Meraviglioso E

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m a n u e l e

S

c h i p i l l i t i


“Volevo creata.”

che questa cuvée raccontasse nella maniera più autentica possibile, quello che è

Sono

le parole di

mi ha messo a disposizione della sua terra.

Quando

Mattia Vezzola,

enologo aziendale.

Vittorio Moretti,

un

Franciacorta

lo ha assaggiato per la prima volta,

solo dal calice, ma rivolgendo idealmente un omaggio a

“Ho

e l’uomo che l’ha

cercato con tutto me stesso e con tutti i mezzi che

che raccontasse l’anima più intima e vera di quest’azienda e

Vittorio Moretti

ha esclamato:

Meraviglioso!

ispirato non

Domenico Modugno, altra sua grande passione artistica.” Questa è

stata l’idea iniziale, l’ispirazione che ha dato vita ad un evento spettacolare che si è svolto a

Spettacolo-Degustazione

Bellavista

fatto di tanti protagonisti, da

Vittorio Moretti

nelle sei diverse annate che lo compongono e nella versione finale.

al suo

Roma lo scorso inverno. Uno

Franciacorta Meraviglioso,

presentato


n

Lo spettacolo è stato suddiviso in 7 tempi, uno per ciascuna annata. Sette artisti si sono alternati in 7 interpretazioni della canzone Meraviglioso di Domenico Modugno. n

In alto l’Orchestra, a sinistra il cantante Al Bano Carrisi, in basso la sala allestita e Paolo Graldi, già Direttore de Il Messaggero, grande amico di Vittorio Moretti.

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“Ascolta…la senti? La musica! Io la sento dappertutto: nel vento, nell’aria,

si sono poi evolute diventando terroir, qualità e comunicazione.

nella luce…è intorno a noi, non bisogna fare altro che aprire l’anima, non

L’uso del tempo e della materia sono le due costanti che sono pas-

bisogna fare altro che ascoltare”

sate attraverso il sogno di Vittorio Moretti e le mani del WineMa-

Questa frase commovente, tratta dal film La musica nel cuore (August

ker di Bellavista Mattia Vezzola. Di questo sogno e di questa forza

Rush) del 2007 e diretto da Kirsten Sheridan sembra pienamente

sono essenzialmente composti i vini che si sono degustati durante

appartenere al Patron della Cantina Bellavista Vittorio Moretti che il

la serata: i Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva 1984,

24 ottobre ha voluto presentare presso la Fondazione Italiana Somme-

1988, 1991, 1995, 2001, 2002. E infine il Meraviglioso, imbot-

lier il Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva Meraviglioso.

tigliato esclusivamente in formato magnum di cui esistono solo

Un blend di sei annate delle riserve Vittorio Moretti e un omaggio

5000 preziosissimi esemplari. Durante la serata i molti amici di

all’indimenticabile e grande Domenico Modugno, particolarmente

Vittorio Moretti hanno ripercorso con racconti e ricordi personali

amato dal Patron di Bellavista. Più volte invitato sul palco a raccontare

gli eventi principali accaduti nelle sei annate presentate, ed è stata

quest’avventura, Vittorio Moretti è un uomo disarmante per la sua

l’occasione per comprendere l’uomo e i motivi che lo hanno spinto

semplicità e schiettezza. A guardarlo con attenzione sembra quasi un

ad avvicinarsi al mondo del vino, alla realizzazione di vini del terri-

personaggio uscito da un film di Pasolini dove ogni espressione del suo

torio, come possono essere definiti i suoi Franciacorta.

volto sembra poter raccontare un pezzo di vita ed uno stato dell’ani-

Grazie alle degustazioni presentate dai docenti della Fondazione Ita-

ma. Definito come “Maestro del realismo del vino italiano” è possibile

liana Sommelier è stato invece possibile scendere nelle caratteristiche

racchiudere tutto il suo lavoro in tre parole: vino, design e scultura che

organolettiche di questi vini e ripercorrere la nascita e l’evoluzione che

nel caso della sua azienda e del luogo dove essa risiede, la Franciacorta,

ha portato oggi la Franciacorta ad essere la risposta italiana allo Cham-


n

Nelle immagini i relatori che hanno guidato la degustazione, Fede e Tinto conduttori della serata. Nella foto grande la Signora Mariella Moretti conclude gli interventi con una dedica al marito Vittorio. Sotto, il packaging realizzato attraverso le linee e i colori dell’Optical Art.

pagne. Una serata fatta di spumante e musica ma anche di amicizia e

n

famiglia. Sia gli amici sia i docenti hanno spesso usato alcuni termini

ciascuno dedicato ad un’annata della Riserva Vittorio Moretti. Sul

che possiamo definire come le parole chiave per descrivere momenti

palcoscenico la celebre canzone Meraviglioso di Domenico Modu-

ed annate. Volendo essere più moderni e più social potremmo definirli

gno è stata interpretata da tanti grandi artisti: Al Bano Carrisi,

“hashtag” capaci di sintetizzare alcuni momenti storico-culturali delle

Mariella Nava e Marco Martinelli, Annalisa Minetti, Alessandro

diverse annate, dei vini e della loro sfida nel tempo, delle donne e gli

Pitoni, I Baraonna, Vanda Rapisardi, Anthony Jaffa, il piccolo

uomini delle cantina Bellavista. Hashtag capaci di descrivere una sto-

Andrea Ascanio. Tutti i brani sono stati arrangiati appositamente e

ria piena di fascino e meraviglia.

accompagnati dall’Orchestra della Franciacorta.

La serata è stata un grande spettacolo suddiviso in sette tempi,

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La degustazione

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#Libertà

#Ottimismo

Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva 1984 Si presenta con una veste oro antico, luminoso ed estremamente elegante alla vista. Al naso emerge subito una grande complessità espressa da sentori di miele di acacia, pan dolce, cera e soffi marini avvolti da eleganti tonalità fumé. Il sorso è vellutato, avvolgente, lunghissimo. Freschezza, morbidezza e sapidità sono le componenti di un’armonia poliedrica, poderosa e viva. Un vino statuario capace di incidere nello spazio il suo essere e la sua forma.

Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva 1995 Oro con riflessi verdolini che lasciano intravedere sottili linee fulve. Le armonie olfattive si contraddistinguono nel riconoscimento di sentori fruttati come pompelmo e mela cotogna, canditi, lievi tostature e nobili sentori erbacei. Sorso perfettamente in linea dove un’affilata presenza carbonica bilancia freschezza e sapidità regalando un sorso armonico e persistente, dai netti ritorni agrumati. Avere vent’anni e non sentirli, sfidando il tempo in una evoluzione entusiasmante.

#Futuro

#Allegria

Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva 1988 Oro antico dai lievi riflessi ramati. Il quadro olfattivo è particolarmente intenso e vitale caratterizzato da sentori aromatici, spezie, nocciole tostate, tabacco, caffè e note iodate. In bocca è sapido con una tensione acida ancora ben presente ed una presenza carbonica sottilissima capace di esaltare la struttura e la bellezza fisica di questa splendida ventisettenne. Un vino ricchissimo, quasi masticabile e infinito nella sua persistenza.

Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva 2001 Sfoggia un netto oro-verde e un finissimo perlage. Il naso è scandito da sentori fruttati e minerali e dall’azione dei lieviti. Il vino svela anche sentori di idrocarburi, caffè e polvere da sparo. Al palato è avvolgente con una struttura gustativa importante, dove la freschezza è spinta da una scattante presenza carbonica verso una chiusura di bocca complessa e completa. Di grande piacevolezza i ritorni sapidi ed agrumati capaci di esaltare un vino che gode di un eleganza d’insieme senza pari.

#Armonia

#Gioia

Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva 1991 Color oro pieno, esuberante, luminoso e dalla grande vitalità cromatica. Emergono subito all’olfatto profumi che ricordano la pasta d’acciughe, spezie che anticipano un timbro fruttato ancora ben espresso che ricorda ananas ed agrumi canditi, mandorle, biscotti e caffè. Al palato mostra freschezza con una presenza carbonica ben tesa in un contesto di grande morbidezza e dalla chiusura minerale. Un vino fatto di territorio e di stile. Molto elegante.

Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva 2002 Giallo oro con un leggero ed inesorabile riflesso ramato dal perlage fine ed elegante. Intreccio olfattivo che riporta a sentori di fior d’arancio, pompelmo, pesca, nocciola tostata, polvere di caffè ed alici sotto sale. Al palato si caratterizza per l’assoluta verticalità, gustoso e minerale. Con una presenza carbonica marina ed inebriante. Un vino la cui effervescenza è quasi ipnotica, difficile smettere di osservare il ricco pérlage che si leva nel calice.


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Bellavista Via Bellavista, 5 - 25030 Erbusco BS Tel. 030 7762000 www.bellavistawine.it

#Meraviglioso Alla vista si presenta con una veste oro verde, luminoso e dal perlage sottilissimo. Il naso è inizialmente dominato da sentori agrumati e floreali che poi in un secondo momento vengono sollevati verso scenari più complessi dove è possibile riconoscere la presenza della frutta matura del melone bianco e dei canditi, ricordi di pasticceria secca, note salmastre, tonalità fumé e lievi tostature. La bocca è cremosa, agrumata e sapida, tenuta in equilibrio da una stuzzicante presenza carbonica in continua progressione e mai fuori posto. La chiusura è tutta incentrata su rimandi minerali ed agrumati. Il finale di bocca regala a coloro che hanno avuto il piacere di assaporare questo vino una perfetta sintesi di territorialità, profondità, forza ed eleganza. Un vino verticale, cupo e misurato che sicuramente saprà stupirci ed incantarci tra molti anni potendo cosi esclamare: Meraviglioso!

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Bibenda 53 duemilasedici

Oscar Farinetti

Oscar Farinetti

È stato il garante del successo del cibo e del vino alla passata Expo, portando per sei mesi il numero più elevato di visitatori. il mondo.

E

Oggi continua a far brillare Eataly in tutto

E l’Italia ha in Oscar un suo grande ambasciatore.

l v i a

G

r e g o r a c e

Nel blu dipinto di blu, più noto come Volare, è il titolo di una canzone italiana forse tra le più canticchiate al mondo. A renderla celebre il compianto e talentuoso Domenico Modugno. Numerose le leggende legate al brano e specialmente all’ispirazione, per alcuni, onirica. Forse dalla forte eco giunta in luoghi impensabili del pianeta si è lasciato condizionare il titolo del libro di Oscar Farinetti Nel Blu. Ma cos’è il blu? Il colore delle acque, del cielo, la tinta che regala pace e contemporaneamente evasione, la sfumatura della libertà e dunque dell’infinito, come infinita è la storia dell’Italia nell’aspetto storico, culturale, paesaggistico, enogastronomico. Molteplici gli ambiti variegati del Belpaese. Così il poeta e scrittore toscano Mario Luzi descrive lo stivale: “L’ Italia è un’illusione, anzi un miraggio, un oggetto del desiderio”. Spesso il paese è stato maltrattato, violentato, abusato ma tanti sono gli stranieri che prima di esalare l’ultimo respiro desiderano attraversare il Ponte dei Sospiri su una gondola, visitare la regione del pittore della Gioconda, entrare nella Cappella Sistina, perdersi nel Barocco leccese, immergersi nei ruderi del Colosseo, troppi i luoghi, i monumenti da citare. Fenici, Etruschi, Greci, Spagnoli, Francesi, Austriaci, Arabi numerosi gli invasori, non sempre ragionevoli con gli abitanti ma forse è proprio nei tanti strati della storia che si nasconde l’unicità dell’Italia. È proprio in questa atmosfera che nasce Nel blu. Cinque coloro i quali hanno contribuito alla stesura dell’opera, ciascuno dei quali ha tentato di affrontare e, in alcuni casi, sviscerare il concetto di biodiversità, figlia dei venti: Alessandro Baricco, Paolo Crepet, Carlo Petrini, Vittorio Sgarbi e Giovanni Soldini. È il vento che ha riportato ad Itaca Ulisse, è sempre lui ad aver spinto gli uomini a conoscere e scoprire nuove terre, ad offrire speranza di una vita migliore. Non tutti i soffi, però, sono proficui. Rammentiamo Tifone, figlio per alcuni di Gaia e di Tartaro e per altri di Era. Le sue dimensioni sono tali che riesce a toccare il 28


cielo con la testa. Anche da questo piccolo particolare emerge l’idea umana della grandezza e della potenza dei venti. L’irrequietezza e la diversità che offre l’Italia si evince dalle differenti parlate ogni 30 chilometri, dalla maniera diversa di preparare ed offrire il caffè, dalla mentalità di chi è nato e cresciuto in un’isola piuttosto che nel continente. Gli Italiani, però, sono accomunati da un forte senso della sopravvivenza e da una necessità di uscire dalla miseria. Se paragonassimo, ad esempio, regioni come Piemonte e Puglia, cosa troveremmo di simile? Certamente l’iniziale P, poi un trascorso di povertà e di vita agricola, la necessità per entrambe di alzare la chioma. Il Piemonte, ubicato più a nord, ha trovato la forza e la via più precocemente rispetto al tacco dello stivale. Come non considerare i langaroli uomini che si sono abbarbicati alla terra, in modo particolare alla vita, anche durante il periodo del secondo conflitto mondiale. Mangiavano la polenta in tutte le maniere pur desiderando di desinare in modi differenti. Partigiani, si sono nascosti nelle cantine, teatro di spettatori muti come le botti di vino che subivano l’invecchiamento, mentre alcuni di loro neanche hanno raggiunto l’età dell’amore. In questo contesto, tra Pavese e Fenoglio, tra il partigiano Johnny e la preziosità della terra che nasce e cresce ad Alba, Oscar Farinetti. Da qualche giorno è uscito un suo nuovo libro nel quale sono raccolte le massime di alcuni che lo stesso considera “superiori” dal titolo Si può - 300 consigli dai migliori, Edizione Mondadori. La Fondazione Mirafiore, che ha sede nella capitale del tartufo, ha ideato un laboratorio di resistenza permanente che offre la possibilità di incontrare personaggi noti e discutere di problematiche attuali, di letteratura, di musica, di spettacolo. Numerose le tematiche affrontate e sempre ad ampio raggio. Proprio dai confronti nascono le idee e di queste Oscar non è affatto carente. Tanti, troppi i protagonisti, tutti di fama e diversi tra loro, sarebbe un crimine citarne uno per tutti. È proprio Farinetti ad unire le persone, i caratteri, le individualità come un maestro d’orchestra che conosce la diversità degli strumenti e li lascia suonare al momento opportuno. Ciascuno di loro, però, esprime un’idea comune: l’essere vincente! Sono queste alcune delle intuizioni del celebre langarolo, nato il 24 settembre del 1954, in piena vendemmia, ottimo millesimo, per cui nella vita doveva anche occuparsi di vino. Da tutti conosciuto come Oscar, il nome gli era stato dato in memoria di un partigiano, 29


Bibenda 53 duemilasedici

Oscar Farinetti

amico del padre. All’età di 18 anni scopre, però, di chiamarsi anche Natale come il nonno. Il mito della sua esistenza? Il babbo Paolo, classe ‘22, partigiano, aveva lottato contro l’oppressione, la libertà di un popolo e per alcuni principi che oggi sembrano svaniti. Da lui, su alcuni aspetti, crede di aver ereditato il carattere e rammenta un episodio: “Una mattina mio padre stava vendendo il caffè, da lontano lo osservavo. Avevo notato che i clienti non avevano pagato e non era la prima volta che si verificava. Mi ero fiondato da lui per rimproverarlo e mi bloccò, immediatamente, dicendomi che si trattava di brava gente, che stava attraversando un momento di difficoltà e che avrebbe certamente pagato, bisognava essere fiduciosi nei confronti del prossimo. Quella fu una grande lezione della n

Nel Blu

mia esistenza. I soldi non sono tutto”. Sostiene che la banalità e la semplicità siano le chiavi

La biodiversità italiana,

della vittoria: “It is very difficult to be simple. I grandi imprenditori si riconoscono dalla

figlia dei venti

capacità di semplificare le problematiche”. Non crede nelle sensazioni epidermiche iniziali:

di Oscar Farinetti

“Spesso le persone si definiscono oneste, ma per constatare che dicano il vero è necessario

con il contributo di

mangiare molto sale insieme, conoscerle, insomma, frequentarle. Dal primo incontro,

Alessandro Baricco,

però, ci si accorge se usino il cuore o la testa e come ragionino”. Gli aggrada piacere, crede

Paolo Crepet, Carlo Petrini,

più nel talento di carattere che non in quello specifico. Desidera essere ascoltato. È mosso

Vittorio Sgarbi,

da curiositas, generoso col prossimo, non crede che la sua roba sia migliore di quella degli

Giovanni Soldini.

altri. Se degusta il calice di un produttore amico, immediatamente gli invia un sms per

Feltrinelli Editore

renderlo partecipe del fatto e ne sottolinea le qualità. Amante del Nebbiolo in tutte le

Pagine 396

sue declinazioni si lascia sedurre dai grandi Pinot Noir della Borgogna. Ordina il risotto a cena solo se è certo che il riso risulti sano, saporito, sodo e separato. Si definisce pop, ma certamente è rock. Ricorda ancora il primo incontro con sua moglie in occasione della fiera del tartufo. Estremamente diretto, aggiunge sempre un po’ di poesia in tutto ciò che fa, sa essere romantico solo quando davvero lo desidera. z Cos’è la follia? v La definizione di foolish è americana ed è una qualità enorme. Aiuta ad analizzare tutto senza preconcetti e da qui nascono le più belle costruzioni progettuali. z Cosa dovrebbero prendere gli stranieri dall’Italia? v Il prodotto, ma non è possibile poiché nasce qui. z E noi dagli altri? v La capacità di narrazione dai francesi. L’impresa è sapere fare ed in ciò siamo bravi; nel fare, siamo dei grandi lavoratori; nel saper far fare, siamo un po’ meno bravi e nel far sapere siamo un disastro. Dai tedeschi dovremmo prendere il senso dell’organizzazione e dei numeri; dagli inglesi dovremmo imparare ad avere un rapporto con la finanza diverso; dagli

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americani un maggiore senso dello stato ed essere meno autocritici.

z Cos’è l’amore?

Dai vichinghi, il popolo, più bello del mondo, una volta considerato

v Quel sentimento inaudito che ti entra in testa e cancella qualsiasi

barbaro - ma in realtà i barbari siamo noi - dovremmo prendere la

altro tipo di emozione per trovare posto. La più grande trepidazione

coscienza civica. Quando vediamo due bottiglie di plastica a terra, ad

che può provare una persona e si divide in tante categorie. Io amo

esempio, dovremmo chinarci a raccoglierle, invece di urlare contro

poco le cose e tanto le persone, mi innamoro ogni giorno.

l’amministrazione comunale. z Il Cibo del ricordo? z Cosa si intende per comunicazione?

v Le acciughe. Rammento, ancora, la sagoma dell’acciugaio che le

v Il creare la fisicità di un prodotto, senza di lei non esiste nulla. La

sbatteva per togliere un po’ di sale. L’attenzione di mia nonna nel

comunicazione nasce col fuoco, quando la gente ci si riuniva intorno.

controllare la quantità di sale eliminata poiché poi le avrebbe pesate.

Accetto esclusivamente la comunicazione basata sulla verità e sulla semplicità, quella furba destinata solo alla vendita non la condivido,

z Un voto all’Expo?

poi si può essere furbi nel dire la verità. La comunicazione necessita

v Altissimo. Evento fantastico. Avremmo potuto fare di più se

della sostanza, per cui il prodotto. Se non hai nulla da trasmettere è

avessimo avuto il ritmo finale per i primi tre mesi. C’era bisogno di

inutile. Invece, se si ha qualcosa di importante e non la si comunica

maggiore informazione. Si è saputo troppo poco nel mondo.

è come non avercela. z Previsioni per Matera 2019? z Per alcune donne Lei risulta essere affascinante, perché?

v Spero faccia da traino al sud Italia dove permangono, ancora,

v Alcune? A me sembra tutte! Scherzo… I non belli devono

problemi enormi. Troppo il divario tra nord e sud, sebbene il Belpaese

tirare fuori la simpatia e quella credo di avercela.

senza sud non è Italia, al solo pensiero della pasta e della pizza c’è da inebriarsi.

z Che cos’è la fortuna? v L’essere nati in una terra fortunata, baciata dal Marin dove ci

z Citazione sul vino?

sono Barolo, Barbaresco, Dolcetto, Barbera, il tartufo. È lì che

v C’è una cosa che congiunge la terra al cielo, c’è una cosa

si è fortunati, per cui bisogna trascorrere una parte della propria

che mette insieme i contrasti apparenti perché unisce speranze,

esistenza a farsi perdonare.

successi, fallimenti, felicità, infelicità … È il vino! 31


Bibenda 53 duemilasedici

Grenache, il Cavaliere errante

GRENACHE, il

M

Cavaliere

errante

a r i a c l a r a

Il Grenache (ma

M

e n e n t i

sarà poi questo il suo ultimo nome?) ha una lunga storia da

raccontare, tanto lunga quanto intricata, fitta di colpi di scena, capovolgimenti, certezze e smentite.

Vitigno

apolide per eccellenza, per secoli senza una patria

certa o con troppe patrie in cui riconoscersi, definito

“vitigno

mediterraneo”

per antonomasia, ha assunto nomi e personalità differenti, ha cambiato abito e foggia, si è travestito viaggiando per il mondo, assumendo ogni volta i tratti distintivi del territorio su cui metteva radici. e propensioni, forma e carattere.

32

Camaleontico, ha mutato abitudini


33


Bibenda 53 duemilasedici

Grenache, il Cavaliere errante

Il Grenache è stato il tema di uno dei seminari “Vitigni e Territori” condotto da Attilio Scienza e da Daniela Scrobogna. Le peregrinazioni di questo vitigno sembrano cominciare in una delle incantevoli basi costiere e marittime delle Cinque Terre liguri, Vernazza (localmente Vernassa), dove assume il nome di Vernaccia (“vernacia” nel trattato mercantile Vinum de Vernacia de Ianua del 1306), uno dei vini più apprezzati sia nelle terre lombardo-venete sia in Toscana (regione in cui è però conosciuto come vino bianco). Ma questo è solo il principio del suo lungo errare per il mondo. Nel 1316 lo troviamo in Francia, con il nome di Guarnache; in Catalogna e in Sardegna, nel 1400, Preferisce essere allevato ad

come Guarnacca, e sempre in Spagna, due secoli dopo, citato come G(u)arnacha (ma

alberello o a cordone speronato,

fonti letterarie e storiche spagnole lo indicano fino al XVII secolo ancora come vitigno

sempre che si plachi la sua

a bacca bianca). E il nostro cavaliere continua il suo magnifico errare, e cambia nome

irruenza con potature corte.

e veste quando tocca la terra sarda nel 1500, dove lo chiamano Cannonao, e ancora in

n

Spagna nel 1734, quando aggiunge al suo precedente titolo l’aggettivo “tinto”. Leggero, incostante e delicato, ha preso via via forza dalle culture che ha attraversato, e come per l’Ebreo millenario, “la curiosità umana doveva, oltre che dalla leggenda, essere eccitata dall’Errante, dal fatto ch’ei contava dei secoli…” (Eugène Sue, Le Juif errant). Così nel tempo agronomi, ampelografi, studiosi di più varia ispirazione lo hanno inseguito, lo pedinano, ne cercano le più piccole tracce, riconoscendone l’impronta in molti altri vitigni: Alicante, Tocai rosso, Vermeyil (quest’ultimo, forse Cannonau allevato a “sa catalano”, come alberello senza sostegno). Molte zone si contendono il suo primo respiro, a suon di documenti e di antichissimi atti mercantili: cause di paternità tuttora irrisolte. Lo dichiarano ispanico di nascita, arrivato in Sardegna dall’Aragona durante il periodo della dominazione spagnola dell’isola (13261718) e poi esule nel Sud della Francia e ad Avignone, al seguito dei Canonici di Barbarano. Nel 2006 Gianni Lovicu lo riconosce come sardo: “esaltazione della biodiversità, intesa non solo come differenza biologica [...] bensì come prodotto culturale della storia di un popolo. A dimostrazione di questo, nessun autore spagnolo parla di questa varietà, che è il frutto di un errore di stampa presente nell’opera del Rovasenda (Canonazo al posto di Cañocazo, quest’ultimo è un vitigno realmente esistente, ma è bianco non rosso!) che una serie di citazioni poco felici ha utilizzato per dare un’origine spagnola al Cannonau” (Gianni Lovicu, Un patrimonio di biodiversità e storia unico al mondo). La battaglia sembra appena iniziata per il nostro cavaliere, che continua a dichiararsi pronto a combattere su più fronti e su altri campi, schierando ben ventidue differenti cloni. In Francia diventa una delle tre varietà più diffuse dopo Merlot e Carignan, trovando ospitalità in Languedoc Roussillon, Provence Coté d’Azur, Vallé du Rhone, dove nel territorio di Châteneuf-du-Pape stabilisce la sua dimora d’elezione. In Spagna la Garnacha tinta ha nomi e differenti espressioni in ogni terra con cui entra in contatto, 34


diventando la varietà più coltivata ed apprezzata (il Registro vinicolo spagnolo conta 73.393 ettari) soprattutto nel Priorat e nella Rioja. In Italia, oltre che in Sardegna trova dimora sui Colli Berici e nelle Marche (dove torna a indossare vesti chiare). Vagando, raggiunge senza difficoltà l’altra parte del pianeta: Australia, California, Cile, Argentina. Vigoroso e molto produttivo, ha bisogno di tempo per arrivare a maturazione (matura tardivamente ed è quasi l’ultimo ad essere raccolto; in Francia, ad esempio, alcune settimane dopo il Cabernet Sauvignon) ma ha germogliamento precoce. Cavaliere dal portamento fiero ed eretto, ha tralci robusti e rigogliosi, con cui affronta i venti più temibili e la siccità più feroce. Preferisce essere allevato ad alberello o a cordone speronato, sempre che si plachi la sua irruenza con potature corte. Ricco in zuccheri ma povero in acidità e instabile nel colore; trasformista e calcolatore, si è unito spesso con Shiraz e Mourvedre ottenendo l’aspetto e la personalità di un vino di grande carattere. Capace di adattarsi a climi e terreni diversi, si spinge sulle argillose terre rosse australiane, cullato da uno smisurato calore che solo la funzione mitigatrice dell’Oceano riesce ad alleviare; prende energia dai terreni scistosi e vulcanici della Sardegna, con vigneti in quota e rilevanti sbalzi termici; affonda le radici nei suoli sabbiosi e calcarei della Rioja, fra clima atlantico e mediterraneo; si muove sicuro sui ciottoli arrotondati della Valle del Rodano, dove la forza del Mistral sembra dargli potenza ed eleganza. Vinificato e invecchiato in tini aperti di quercia, in tradizionali vasche di cemento, barriques o grandi botti, il Grenache continua a esprimere il suo eclettismo e la sua versatilità nella ricchezza degli aromi e nella complessità della struttura gustativa. 35


Bibenda 53 duemilasedici

Grenache, il Cavaliere errante

Nei sei vini degustati (di suolo francese, sardo, spagnolo e australiano) il cavaliere errante ha sempre mostrato la sua lucente armatura e il suo fiero cipiglio: “Su candido destriero, fregiato il petto di rossa croce. [...] Simile a fiamma ha il brando” (Cantar de mio Cid). Nella Vallée du Rhône arriva fra il XVII e XVIII secolo al seguito dei mercanti di Bordeaux, che lo ingaggiano per la sua attitudine ad accumulare preziose riserve zuccherine (per sostenuti valori alcolici) e fornire buone rese. A Châteneuf-du-Pape il Grenache difende strenuamente antiche tradizioni (vinificazione e malolattica in vasche di cemento, invecchiamento in botti grandi), per poi ostentare estreme innovazioni (acciaio e barriques). Nel primo Châteneuf-du-Pape Rouge 2013, Clos du Mont Olivet - Côte du Rhône, il Grenache si unisce al Syrah rispondendo alla scarsa concentrazione antocianica e polifenolica con profumi di ciliegia croccante, erbe aromatiche e ruta, mostrando, nel finale di bocca, una lunga eco sapida e risolutamente legnosa. Assemblaggio ed élevage in foudres. Raffinato e incantatore nello Châteneuf-du-Pape Etienne Gonnet 2012, Domaine Font de Michelle - Côte du Rhône, il Grenache stringendosi ai sodali Mourvedre, Syrah e Cinsault esibisce vigore ed eleganza con note scure e profonde di terra bagnata, minerali, legno di liquirizia, soffi balsamici e una ricchezza gustativa piena e sontuosa, con acidità spiccata e tannini setosi, chiudendo con ricordi di tamarindo e china. Tradizionale nella vinificazione, matura 18 mesi in botti grandi e botti più piccole (per un unico passaggio).

Inusuale e profondo in terra sarda, il Cannonau Josto Miglior Riserva 2011, Antichi Poderi di Jerzu si rivela ardito e temerario già nel colore, così concentrato, e nei profumi iniziali di catrame, tracce ferrose e iodate che si aprono su ricordi di mirto, ginepro, alloro e fieno greco. Assaggio rotondo nei tannini e con acidità corroborante e vivace, sa raccontare, nella diversità, il suo profondo legame con questo territorio. 12 mesi in barrique.

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Spavaldo sul campo spagnolo, marca la sua mutabilità nella Guarnacha riojana L’Escondite del Ardacho El Abundillano 2013 Tentenublo, con intensità e pulizia nei profumi di amarena, spezie piccanti e liquirizia nera. Esibisce potenza e carattere nell’acidità viva e pungente (non effettua malolattica), che diventa traccia sapida, piacevolissima, nel finale. Sofisticato e dai richiami storici e immaginativi nel packaging e nell’etichetta, si esibisce con la rappresentazione di un ardacho (conosciuto come “lagarto ocelado”, un sauro che vive solo su terreni incontaminati) vestito come un personaggio del XIX secolo.

Dall’altro capo del mondo, in Australia, il Grenache arriva nel XVIII secolo e trova subito accenti nuovi e una peculiarità sorprendente in unione con Mourvedre e Shiraz, nella terre rosse della Barossa Valley. Longevo e caparbio sui terreni freschi e sabbiosi in cui ha tenuto lontano il più temibile dei nemici: la fillossera. Un cavaliere dalla scintillante armatura grazie alla luce abbagliante di queste terre, che favorisce lo sviluppo e la concentrazione degli aromi. L’Old Bush Vine Grenache 2009 di Schild Estate - Barossa Valley esplode sontuoso e opulento con infinite sfumature di frutta sotto spirito, fichi secchi, estratto di pomodoro, catrame, goudron, idrocarburi, grafite, tabacco e tostatura. Emoziona la ricchezza gustativa piena e potente, con tannini rotondi e caratteri ossidativi di estrema finezza. Un monumentale Grenache che non sembra porre limiti all’ampiezza e alla raffinatezza dei ricordi finali. Solo legni piccoli. L’ultimo cavaliere errante Old Vines Romas Vineyard 2001 Clarendon Hills - Southern Australia, arriva da una zona più fredda, a sud di Adelaide. Cresciuto su terreni argillosi e marnosi, esprime un carattere più sobrio e riservato anche nelle note di piccoli frutti di rovo, lampone, liquirizia, polvere di cacao amaro e fondi di caffè. Contrassegna la bocca una decisa freschezza e una sostenuta sapidità che chiude, inaspettata, su accenti catramosi. 18 mesi in barrique.

Vini territoriali, profondamente diversi fra loro, ma la cui diversità è segno di unicità, originalità e capacità del Grenache di essere sempre il protagonista passionale ed indiscusso di ogni sua storia: “Il cavaliere errante senza innamoramento è come arbore spoglio di fronde e privo di frutta; è come corpo senz’anima” (Miguel de Cervantes, El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha). 37


Bibenda 53 duemilasedici

A Castiglione Falletto la cantina è il mondo di sotto

A CASTIGLIONE FALLETTO

LA CANTINA È IL MONDO DI SOTTO C

i n z i a

B

o n f à

DOVE IL VINO SI CONCENTRA, MATURA E POI SI CHIUDE. Castiglione Falletto è una fonte meravigliosa di luce e storia; si sale su fino a 350 metri sul livello del mare, tra filari pettinati e vigneti composti e puliti e ci si ritrova in un batter baleno nel piccolo grande cuore del paese, a Piazza Vittorio Veneto, dove hanno sede l’azienda e la cantina di Vietti. Castiglione Falletto ha origini romane e si afferma nel corso del Medioevo perché diviene possedimento dei Marchesi di Saluzzo che ne erigono un’importante fortezza quadrangolare sull’intera collina. Una piccola parte di quest’antica fortezza confina con la parte più vecchia della cantina di Vietti, dove c’è un passaggio segreto che si tramanda fosse una via sotterranea che sbucava fuori dalle mura ma che, si pensa, avrebbe anche unito Castiglione agli altri comuni limitrofi, quali Serralunga e Monforte d’Alba poi Barolo e La Morra. La Storia è affascinante e ci sono aneddoti come questo che rendono il visitatore di Vietti ancora più avido di conoscenza e più immedesimato in un mondo silenzioso e magico dal quale non si vorrebbe più andare via. Così ne ascolti il sibilo dei cunicoli, ne annusi le antiche pietre e le nuove botti, ne vedi i colori cupi e ampi di tutte le sfumature di rosso. Ed è in questo “mondo di sotto” che riposano i grandi vini di Vietti, produttori da quattro generazioni sia di vini classici della zona delle Langhe, sia di vari cru di Barolo. Il segreto di quella cantina è di natura alchemica e quando si gusta un calice di vino di Vietti si ha la sensazione che nulla potrà essere più percettibile perché l’eternità, sulle proprie labbra, è già passata. 38


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Bibenda 53 duemilasedici

A Castiglione Falletto la cantina è il mondo di sotto

Il mistero del vino, il suo lungo e complesso cammino dalla terra alla bottiglia; una magia aiutata dalla mano sapiente dell’uomo che ne possa essere l’elemento padre, madre o maieuta. Sostanzialmente l’azienda oggi è a conduzione familiare; ogni membro ha un ruolo ben preciso e decisivo ma tutti insieme formano una grande squadra che sa guardare oltre al proprio lavoro, cercando di contribuire a ingrandire l’attività produttiva fino a farsi conoscere in ogni angolo del globo. Così lavorano insieme Mario Cordero, genero di Vietti, entrato in azienda dal 1983, che ha concentrato da subito i propri sforzi nell’acquisizione dei vigneti, nel marketing e nella promozione dell’immagine dei vini. Poi nel 1992 subentra a tempo pieno il figlio di Luciana Vietti e Alfredo Currado, Luca che, diplomatosi nel 1989 enologo e dopo alcune esperienze in prestigiose cantine a Bordeaux e in California, sostituisce il padre in cantina e in vigna. Dal n

Vietti

2005 anche sua moglie, Elena Penna, collabora con l’azienda occupandosi del coordinamento

Piazza Vittorio Veneto, 5

interno delle attività commerciali e delle pubbliche relazioni.

12060 Castiglione Falletto CN

Alfredo Currado sposò Luciana Vietti nel 1957 e fu il primo enologo a fare cru, a selezionare e

Tel. 017362825

a vinificare, quindi, uve provenienti da singoli vigneti quando all’epoca era un concetto ancora

Fax. 017362941

lontano, mentre oggi invece è una filosofia abbracciata da quasi tutte le aziende che producono

www.vietti.com

Barolo. Il 1961 è stato l’anno del primo cru di Barolo con il Rocche di Castiglione che con il

info@vietti.com

millesimo 2011 ha compiuto cinquant’anni di vita. Un traguardo importante per l’azienda, perché significa aver attraversato un’epoca e avere anche affrontato tante trasformazioni climatiche e tante trasformazioni del gusto a livello mondiale. Questo Barolo è l’interpretazione seria e tradizionale del terroir di Castiglione Falletto, proveniente da vigne di 46 anni di età. Vinifica in acciaio per 29 giorni dopodiché passa per 4 settimane in barrique per poi essere trasferito in botti grandi di rovere per 31 mesi. Fa un ulteriore anno di affinamento in bottiglia prima della commercializzazione. Il 2011 è stato imbottigliato a Luglio 2014. Così, il Barolo Rocche di Castiglione 2011 si posiziona sempre al vertice delle nostre degustazioni rivelandosi austero e complesso, scevro dello scorrere del tempo. Un vino di fascino sicuro, già nel sorso immediato ma che non punta a impressionare subito: la sua grandezza sarà regalata da almeno un altro lustro in bottiglia. Per creare un’affinità elettiva, un fil rouge se vogliamo, con il 1961 si può riprendere il discorso introducendo anche il sontuoso Barbaresco Masseria nato appunto in quell’anno. Anche questo un cru proveniente da un singolo vigneto di 1,4 ha sito in Treiso da vigne di circa 40 anni di età. Il Barbaresco Masseria 2011 fa fermentazione alcolica in acciaio, fermentazione malolattica in barrique e poi 24 mesi tra barrique e botte grande e un affinamento in bottiglia di circa 6 mesi. Granato didattico. Ha una trama fitta ed elegante, un vestito sartoriale cucito perfettamente: ciliegia in confettura, Mon Chéri, riverberi di china e di aghi di pino. Poi si perde in morbidezze speziate quali anice stellato e pepe Lungo dell’Indonesia. Sorso ammaliante e lucido, giustamente tannico e di emozionante coerenza aromatica. Lunghissimo il suo ricordo.

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Pur tentati negli anni ’90, Vietti non ha mai prodotto vini immediati,

buon vino possa creare affinità magiche allontanando ogni distrazione

piuttosto vini armoniosi, vini che sapessero dare sì, sensazioni di

d’inganno. Fu dopo quella sera goliardica e amichevole che nacquero

pronta piacevolezza, ma sicuramente sensazioni strabilianti a lungo

le loro nuove etichette, ancora oggi utilizzate. Erano gli inizi degli

termine. Così è per tutti gli altri Barolo, permeati da contenuti

anni ’70 e Gianni Gallo (insieme a tanti altri artisti) fu chiamato in

territoriali profondi: il Barolo Lazzarito, il Barolo Ravera, Il Barolo

causa a disegnare quelle etichette che tuttora fanno parte della grande

Brunate, il Barolo Castiglione (Barolo “base” dell’azienda ma non

bellezza esteriore dei vini Vietti. Così per il Moscato, un fascio di

chiamatelo così!) e il “Re”, il Barolo Villero Riserva. Lo stesso discorso

spighe e fiori con in basso a destra un galletto nero quale firma e due

vale per la lunga batteria di vini, dove anche i sorsi strutturati e grintosi

etichette per la Barbera: un grillo su un pentagramma per la Barbera

del Langhe Nebbiolo Perbacco fanno credere che si stia bevendo un

d’Alba Tre Vigne e un altro nascosto tra erbe e fiori sia per la Barbera

Barolo. Prova certissima, questa, dal momento che il Langhe Nebbiolo

d’Alba Vigna Vecchia Scarrone che per Vigna Scarrone. Seguiranno

Perbacco proviene da diversi vigneti da Barolo, gli stessi utilizzati per

le etichette per il Nebbiolo con un Dente di Leone e diversi cru di

la produzione del Barolo Castiglione. Fanno anche lo stesso passaggio

Barolo con disegni di una chiocciola per il Barolo Brunate, di frutta

in legno: 4 mesi in barrique e 20 mesi in botte grande. La differenza

secca e acini d’uva per il Barolo Rocche, noci per il Barolo Castiglione,

tra i due vini sta solo in un altro anno d’invecchiamento in bottiglia

fiori di rosa canina per il Barolo Lazzarito.

per il Barolo Castiglione, che il Langhe Nebbiolo Perbacco non ha. Le parole chiave dei vini Vietti sono perfezione e armonia, ciò che serve

Gianni Gallo nacque a Dogliani nel 1935 e fu un disegnatore e un

ad allenare il palato e l’olfatto e ad allietare il cuore e l’anima.

incisore. Tutta la sua opera è fatta di disegni, etichette, acqueforti e xilografie. Fece etichette per ogni genere: vino, olio, pane, marmellate,

ETICHETTE D’AUTORE

miele, grappa, e prodotti di bellezza, anche per i fiori di Bach. Fu un

Alfredo Currado e Luciana Vietti sono dei grandi appassionati d’arte

grande disegnatore di etichette e in circa cinquant’anni di lavoro (dal

e, in quel tempo, l’amicizia con alcuni artisti fu galeotta. In una fredda

1964 al 2011, anno della sua morte) ne sono state catalogate più di

sera d’inverno, attorno a una bottiglia di Barolo Rocche di Castiglione,

un migliaio per più di cento produttori. Passò dunque quasi tutta la

questi gli proposero di “vestire l’arte del loro lavoro in cantina con un

sua esistenza rintanato nella sua casa di Dogliani a disegnare etichette

pezzo d’arte in etichetta”. Ecco come attorno a una buona bottiglia di

che raffigurassero esistenze di Langa da salvaguardare quali uccelli, ricci,

vino si possono sviluppare delle idee e dei progetti vincenti e quanto il

insetti, frutti, chiocciole, ciliegi in fiore, castagni, galli e canneti. Tutte 41


Bibenda 53 duemilasedici

I vini dei vulcani, la sottile linea rossa

opere che hanno ornato grandi bottiglie del territorio che lui puntualmente beveva perché ne era un appassionato e un profondo conoscitore. Dopo una lunga collaborazione con Vietti, Gianni Gallo regalò nel 1988 un’“etichetta d’autore” per il nuovo nato, il Barolo Riserva Villero 1982, vino raro e prezioso imbottigliato solo nelle annate eccezionali. Questa stupenda etichetta, Gianni Gallo la incise su una tavoletta di pero arrivata dal Giappone dove sono raffigurate le canne di Langa in un intreccio fittissimo di foglie, forse un po’ polverose e asciutte. Da questa xilografia nacquero 8900 bottiglie. Dal 1982 l’”etichetta d’autore” è dedicata esclusivamente al Barolo Riserva Villero al quale seguirà il 1985 con Valerio Miroglio e il 1989 con Pierflavio Gallina. Con l’annata 1990 Vietti esce invece dai confini nazionali con l’artista americana Janet Fish. L’ultimo Barolo Riserva Villero è della vendemmia 2007 e la sua etichetta è disegnata da uno dei più giovani artisti cinesi contemporanei: Qiu Guangping. L’ETICHETTA È L’ESTENSIONE ESTERNA DEL CONTENUTO STESSO. Le etichette, si sa, hanno sempre avuto lo scopo funzionale di diffondere principalmente informazioni sul prodotto e un tempo non c’era nemmeno il nome del produttore perché tanti prodotti, essendo fatti in casa, si consumavano entro l’anno. Poi le cose cambiarono, arrivarono disegni e cornici ad ampliare le informazioni e a raccontare ciò che il contenuto regalava come se un’etichetta fosse l’estensione esterna del contenuto stesso. Gianni Gallo l’ha fatto con maestria rendendo le sue etichette ancora più accattivanti. La prima caratteristica dei disegni sulle etichette è il soggetto naturale con segni e colori di assoluto rilievo, anche se a lui la natura non interessava, interessavano le linee. Infatti nei suoi disegni tutto viene costruito con linee mai morbide, sempre decide e dure. Così uccelli, ricci, fiori, frutti, alberi, di Gianni Gallo sono disegni semplici e puliti, senza profondità, in quanto privi di ombre, e forse ammalianti proprio grazie a questo dettaglio; di sicuro sono belli e tremendamente contemporanei.

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inizia lunedĂŹ

26 Settembre

2016


Bibenda 53 duemilasedici

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I vini dei vulcani, la sottile linea rossa


VENT’ANNI DE Il Carbonaione Sangiovese di Lamole A

n n a

R

i t a

Z

a n g a r a

H

a l l i g a n

Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia!

Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza

Così cantava Lorenzo de’ Medici nella “Canzona di Bacco”, scritta sul finire del ’400

in

occasione delle feste di Carnevale, una delle ballate più ispirate del Magnifico: un inno alla gioia e alla gioventù intriso di malinconia per il tempo che fugge, nell’incertezza spirituale e l’inquietudine nostalgica dell’essere che si interroga sul senso della vita e che apre le porte all’uomo moderno.

A Firenze è una splendida mattina di settembre, il cielo è terso e la luce netta profila nuvole bianche stagliate nel cielo azzurro come sagome disegnate dalla mano di un abile artista. Santa Maria Novella è satura di turisti, gente di tutte le nazionalità va e viene nel caos all’italiana: voci, traffico, telefoni che squillano, qualcuno canta lungo il marciapiede, da lontano arriva il suono di assordanti sirene. Mi isolo da tutto e mi pongo in uno stato di ricezione totale per accogliere il silenzio che in fondo vige oltre la superficialità delle cose. C’è una rinnovata emozione che mi preme dentro ricordandomi che sono a Firenze, un sentimento di gioia e nostalgica malinconia e le parole di Lorenzo de’ Medici fanno eco tra i miei pensieri confusi. Sono nella città tanto amata, culla dell’Umanesimo e del Rinascimento, dei mecenati e degli artisti prodigio, dei geni dell’arte. La valigia a rotelle saltella a scatti e tra il sentimento euforico e la coscienza di essere qui, penso che un tempo queste non erano strade per genti come noi. 45


Bibenda 53 duemilasedici

Vent’anni de Il Carbonaione, Sangiovese di Lamole

Dopo pochi passi, si apre l’incanto della piazza di Santa Maria Novella, con l’omonima chiesa-capolavoro conosciuta agli albori del 1000 come Santa Maria delle Vigne, perché un tempo, fuori le mura, circondata da vigneti... Sarà nello spirito di questa città e di coloro che l’hanno scelta come luogo per viverci, sarà che Firenze gode di una classe innata, c’è nell’insieme una matrice comune tra lo spirito che animava il passato e il contemporaneo di coloro che oggi effondono l’essenza degli avi. Così si avverte questo senso di totale immanenza quando si arriva all’enoteca Pinchiorri non appena si giunge alla porta d’ingresso accompagnati solo dopo pochi scalini in una n

Podere Poggio Scalette

sala che guarda ad un giardino cinquecentesco, attraverso una grande vetrata.

Via Barbiano, 7

Appena seduti su poltroncine damascate non esitano ad arrivare i maestri di salaper

Loc. Ruffoli 50022

porgere un calice di Chardonnay toscano frutto dell’estro di Juri Fiore, figlio di Vittorio,

Greve in Chianti (FI)

proprietari del Podere Poggio Scalette. L’occasione oggi è degustare l’intera vita del

Tel. 055 8546108

loro cru Il Carbonaione: un Sangiovese in purezza, nato nei primi anni Novanta da

Fax 055 8546589

vigne antiche, piantate a inizio Novecento, subito dopo il debellamento della fillossera.

info@poggioscalette.it

L’unico esempio (forse) rimasto in Chianti di vigna resistita al desiderio post fillosserico di sperimentazione e reimpianto. La danza di piccoli piatti, che sembrano quadri di Piet Mondrian, si apre a sequenza alternando portate di pesciolini fritti e bocconcini di carne, in una geometria perfetta non lontana dal razionalismo dell’Alberti: intimorisce disturbare l’ordine preciso di presentazione, ma la tentazione è troppa e la gola cede all’edonismo totale. Ma tornando allo Chardonnay, Juri Fiore ci racconta della sua voglia di fare un bianco in terra chiantigiana, prima per il consumo di famiglia, poi in esclusiva per l’Enoteca Pinchiorri. Così mette a dimora 1470 piante su una parcella di matrice sabbiosa, un luogo scomodo per il Sangiovese per le correnti fredde che la caratterizzano. Un sfida bianchista in terra di rossi, riuscita bene nella freschezza e nella mineralità, una delle tante sfide riuscite della famiglia Fiore. Quando Vittorio e sua moglie Adriana Assjé di Marcorà lo acquistano, Poggio Scalette è un vecchio podere abbandonato da molto tempo con annessa una vigna di circa 5 ettari risalente agli anni Venti. Piuttosto che espiantare il vecchio per dare spazio al nuovo, Vittorio decide di recuperare quella che i contadini del posto chiamavano la vigna de Il Carbonaione, da cui prende vita il loro cru. La vigna è sita sulla dorsale orientale della Valle del Greve, sulle pendici della collina di Ruffoli, tra Greve e Panzano, zona tra le più antiche di produzione. Terra del Sangiovese di Lamole, così chiamato per la matrice geologica dei terreni, costituiti da lame di terra di arenaria e sabbia, sfaldati dalla roccia madre, comunemente conosciuta come il Macigno. Anticamente la pietra veniva usata per realizzare le macine dei mulini e i portali delle case, in geologia rappresenta una complessa successione di rocce terrigene che dall’Appennino Ligure a quello Umbro-Marchigiano, costituisce buona parte dei suoli. Dall’analisi stratigrafica emerge che

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il complesso roccioso del Macigno deriva da un ambiente marino

concentrazione polifenolica rivelata anche dalla capacità cromatica

molto profondo, formatosi in epoca oligo-miocenica (dai 27 ai 24

espressa nei campioni degustati durante la verticale: un’intensità

milioni di anni orsono) per scivolamento di sedimenti. Ne derivano

cromatica di gran lunga superiore rispetto ai Sangiovese conosciuti.

suoli a forte componente sabbiosa, misti ad argilla e tanto scheletro.

Ciò non toglie che le tecniche di vinificazione non abbiano influito

La vigna de Il Carbonaione si trova a 450m slm ed è orientata ad

sulla concentrazione di colore, ma indipendentemente dalle scelte

ovest, sud-ovest nelle colline terrazzate con muretti a secco, tra le

enologiche il Sangiovese de Il Carbonaione sembra possedere

più alte della zona.

potenzialità antocianiche superiori.

Secondo l’ampelografia classica il Sangiovese di Lamole appartiene

È quello che emerge dai venti campioni degustati a partire dalla

alla famiglia del Sangiovese Grosso, da cui anche Brunello e Prugnolo

prima annata di produzione la 1992, in una coerenza stilistica

Gentile derivano, distinto dalla famiglia del Sangiovese Piccolo, a lungo

sorprendente. Lo stile di vinificazione è cambiato di poco nel corso

ritenuto di valore qualitativo inferiore. Ma non tutti gli studiosi sono

negli anni: dopo circa una decina di giorni in vasche d’acciaio, il

d’accordo nel semplificare la moltitudine clonale del Sangiovese (circa

vino passa per 14 mesi in tonneau da 350 litri cui seguono almeno

70 cloni di cui 57 biotipi solo in Toscana) all’interno di due uniche

sei mesi di bottiglia. Nato come Igt Alta Valle delle Greve e rimasto

famiglie. Numerosi fattori di natura ambientale, climatica e territoriale,

tale, nonostante i cambiamenti di disciplinare che avrebbero potuto

influiscono sull’instabilità genetica, tipica del Sangiovese, mettendo

avvalorarlo come Docg dal 1997, il Carbonaione rientra nella sfera

in evidenza numerosi fattori non solo morfologici. L’unica certezza è

dei Super Tuscans a cui Vittorio Fiore, rinomato enologo di origini

l’analisi del DNA in grado di definire marcatori molecolari identici che

altoatesine, ha contribuito con notevole impulso.

accomunano la grande famiglia dei Sangiovese.

Fiore appartiene a quel gruppo di enologi, insieme a Giacomo

Morfologicamente il Sangiovese di Lamole ha un grappolo più grande

Tachis e Franco Bernabei che hanno lasciato il segno, donando

con acini spargoli, la riduzione numerica presuppone una maggiore

un nuovo volto all’enologia e alla viticoltura italiana. 47


Bibenda 53 duemilasedici

Vent’anni de Il Carbonaione, Sangiovese di Lamole

Verticale Il Carbonaione | 21 Annate Una

storia di vigna narrata in venti annate, un credo di un padre e la passione

di un figlio erede diretto di una profonda responsabilità.

La storia di una vigna

centenaria raccontata nel bicchiere, a ritroso nel tempo per apprezzarne meglio le capacità evolutive.

n Il Carbonaione 2012 ➜ 89 Annata molto calda, nonostante un aprile all’insegna del maltempo, segnata da piogge intense che hanno garantito risorse idriche durante la siccità estiva. Porpora concentrato, effonde nette sensazioni di frutta matura, spezie dolci, lievi accenni di erbe aromatiche e ritorni vegetali. Fresco, ancora scalpitante, elegante il tannino seppur presente, non nasconde la sua gioventù e il tempo saprà dargli ragione. n Il Carbonaione 2011 ➜ 88 Descritta come un’annata apparentemente difficile, vendemmia necessariamente precoce per evitare surmaturazioni. Impenetrabile, il profumo lascia spazio a sensazioni di anice stellato, un meraviglioso mazzetto di erbe mediterranee fatto di timo, maggiorana e origano. Verticale il sorso, snello e composto, tannino docile e vellutato. Non è lunghissimo ma è coerente al naso. n Il Carbonaione 2010 ➜ 92 L’annata perfetta, per una vendemmia ideale. Compatto l’impatto visivo, ancora accenni di porpora, ma il rosso rubino domina vibrante e pieno di luce. Le sensazioni olfattive si rincorrono, primeggia una nota golosa di pasticceria, così note altrettanto invitanti di mora e prugna, timida la violetta di bosco, una leggera sensazione affumicata, sottofondo boschivo. Tanta freschezza, un tannino eccellente stempera il sorso, il vino se ne va, ma la sua anima resta. n Il Carbonaione 2009 ➜ 94 Vendemmia felice che ha visto portare in cantina uve in perfetto stato di maturazione, anche se l’annata non è stata priva di momenti difficili. Colore perfettamente integro, emergono nette le sensazioni di timo, poi di iris, lavanda e violetta. Agile e teso il sorso, snello ma potente, esemplare il tannino che accarezza il palato come un velluto: è un campione da podio. 48

n Il Carbonaione 2008 ➜ 88 Dopo un’estate regolare alla vendemmia le uve erano in perfetta maturazione fenolica. Sfumature di porpora e rubino tingono il bicchiere. Si avverte subito una leggera alcolicità, ciliegia sotto spirito, cioccolato alla menta, macchia mediterranea. Non troppo complesso, in bocca c’è tanta sostanza e ricchezza estrattiva, ritornano la ciliegia e la nota mentolata. n Il Carbonaione 2007 ➜ 90 Vendemmia vicina all’ottimale. L’impenetrabile matrice rubino-porpora anticipa un naso ricco, floreale, con note di iris blu e fiordalisi, poi lamponi e ribes nero. L’apparente “leggerezza” olfattiva si ripete nella verticalità del sorso, la freschezza del Sangiovese qui si rivela appieno per un vino privo di peso, che lascia in bocca un lungo ricordo. n Il Carbonaione 2006 ➜ 91 Annata ideale, uve in perfetto stato. Rosso rubino intenso, compatto e impenetrabile. Una nota golosa invita al sorso, tra note dolci di cannella e noce moscata, la vaniglia e il legno di cedro, una terziarizzazione di pasticceria. Il sorso è snello, fresco-sapido, sapientemente giocato tra la materia e la non-materia e stupisce la natura camaleontica, la capacità di trasformarsi tra un passaggio e l’altro e ci si inchina alla volontà del vino: inutile lottare contro un campione. n Il Carbonaione 2005 ➜ 83 Annata altalenante non priva di qualche difficoltà. Intensa al naso la sensazione di vaniglia, ma c’è coerenza nel bicchiere, gli intoppi stagionali trapelano in una materia scarna, meno incisiva degli altri campioni, la componente legnosa si avverte in bocca, supportata da una buona spalla acida e da un tannino non privo di qualche incertezza è mancato l’estratto e a distanza di tempo il vino lo racconta.

n Il Carbonaione 2004 ➜ 94 Andamento pressoché perfetto per un’annata di grande equilibrio. Il giusto alternarsi di sole e pioggia ha portato le uve ad una maturazione ottimale. Qui nulla prevarica o primeggia, c’è la frutta e ci sono i fiori, le spezie e le erbe aromatiche, c’è il sottobosco e il tabacco biondo, c’è un equilibrio perfetto delle parti. In bocca il vino scorre completo, tra un tannino setoso e vellutato, un perfetto rapporto acido-sapido, l’alcol composto e ben integrato. La sensazione è chiara: la bottiglia è stata aperta proprio all’apice delle sue capacità espressive. n Il Carbonaione 2003 ➜ 89 L’alternanza di picchi di freddo e caldo ha messo a dura prova i vecchi cloni del Sangiovese che hanno però saputo ben reagire. Dal rubino intenso il colore si sposta verso accenni granato, piccole pennellate con cambi di tono quasi impercettibili nel quadro d’insieme. L’olfatto qui si offre su note più scure componendo un paesaggio boschivo tra la terra bagnata e il muschio, il fungo e la fragolina, la mora di rovo e gli aghi di pino. Stupisce ancora una volta la sensazione di leggerezza che il vino riesce a regalare, svelando un corpo agile, fresco, ancora in piena forma. Chiusura balsamica. n Il Carbonaione 2002 ➜ 84 Descritta come l’annata della pioggia, le difficoltà stagionali hanno sfidato il delicato rapporto uomo, pianta e clima. L’olfatto è etereo un po’ scontroso, di primo acchito le erbe officinali, poi l’oliva nera secca, l’assenzio e la prugna scura. Qui il vino intona una sinfonia sospesa tra ciò che può piacere e ciò che invece un po’ discosta. Al gusto colpisce l’apporto tannico, così come la freschezza quasi malica. È una sinfonia che stride ma avvince. Dopo tutto il vino deve parlare del suo tempo e questo bicchiere lo fa senza esitare.


n Il Carbonaione 2001 ➜ 92 Ad una selezione naturale dei germogli, dopo una gelata improvvisa, è seguita un’estate ideale. Qui il registro olfattivo ritorna sui fiori blu e un sentore netto di giuggiole distingue il bagaglio aromatico profondo, ricco di spezie e tabacco da pipa. La percezione materica si concretizza nel sorso, cospicuo e corposo. Nonostante il tempo passato, il sorso è composto e ben equilibrato. Un bere saggio, di grande piacevolezza, senza sbavature, che appaga e soddisfa. n Il Carbonaione 2000 ➜ 90 Vendemmia felice con uve sane e perfettamente mature. Olfatto intriso di humus, tra funghi e sottobosco ombroso. C’è austerità, disciplina, silenzio. Anche il gusto, coerente al naso, non lascia spazio a concessioni e nel sorso lunghissimo si profila un finale cardinalizio. n Il Carbonaione 1999 ➜ 93 Il vino svela una gioventù inaspettata. Ventaglio aromatico profondo e complesso, fresco nell’alternarsi tra ribes e mirtilli, more e prugne. Un bouquet di viole e lavanda si mescola a note di timo e di origano su fondo salmastro minerale. Elegante il sorso, smussato e composto, scevro d’eccessi di gioventù e la maturità degli anni conferisce un sorso di gran classe. Lunga vita alla 1999, il suo equilibrio perfetto andrà avanti ancora almeno un altro decennio. n Il Carbonaione 1998 ➜ 97 Un fuoriclasse, aristocratico e nobile, elegante sin dal colore, come un quadro di Roger van der Weyden dalla definizione precisa dell’arte fiamminga, dalla luce fredda penetrante e tesa. Nel calice, un profumatissimo bouquet di fiori blu. Sembra un risveglio primaverile, uno zampillo di rugiada, una brezza mattutina. Un vino che stordisce e commuove, c’è freschezza aromatica, senza segni del tempo, sa di uva

appena colta, poi le note boschive che tanto ricordano la terra. In bocca è un campione di equilibri sottilissimi, precisi e definiti. Il gioco fresco-tannico-minerale avvolge senza peso, un filo di seta potente che si conclude con un magico ritorno floreale, perché la coerenza e la nobiltà accumunano tutte le fasi. n Il Carbonaione 1997 ➜ 90 Maturazioni perfette e uva sanissima. Scuro l’impatto olfattivo, rabarbaro e assenzio definiscono un quadro profondo e sconfinato in una selva oscura tra bacche di rovo e ribes nero, dove la luce del sole a stento raggiunge la terra. Un luogo abitato da strane creature e l’abissale sensazione olfattiva trascina dentro un buco nero senza uscita. Incisivo l’impatto gustativo, potenza tannica immediata, freschezza in seconda battuta, pienezza decisa del sorso. Chiusura coerente, lascia in bocca quel lato scuro di sé che quasi intimorisce. n Il Carbonaione 1996 ➜ 88 Annata nella norma, la vendemmia si è svolta in condizioni ideali di maturazione. Tanta la componente fruttata, succo di ribes, goloso, quasi dolce, invitante. C’è una sensazione di caramella mou, tra le note mentolate che ricordano l’eucalipto, la liquirizia dolce e la vaniglia. Ma la percezione zuccherosa dell’olfatto è immediatamente tradita da un tannino che scalpita, dalla verticalità del sorso che non lascia spazio ad alcuna rotondità. Ritorna la natura camaleontica del Carbonaione, capace di trasformazioni e avvincenti sorprese. n Il Carbonaione 1995 ➜ 84 Una leggera stanchezza nel colore, privo di quella definizione cromatica netta e precisa. L’annata non ha aiutato con temperature al di sotto della media stagionale ed un’unica ripresa a settembre. Lo scenario si fa autunnale e il naso

rivela sensazioni di foglie secche, cardamomo e chiodi di garofano. La componente floreale e quella fruttata non sono più così fresche e anche in bocca trapela una certa stanchezza. Finale in cui tornano le foglie essiccate. n Il Carbonaione 1994 ➜ 91 Estate calda, ma senza rischi di siccità. Le piogge primaverili hanno garantito un apporto idrico sufficiente. La viola si fa strada tra la macchia mediterranea e la ciliegia nera, le erbe aromatiche non mancano a coronare un gioco perfetto di sensazioni odorose, dove nulla primeggia. Piacevolissimo il sorso, ancora fresco, dal tannino docile e vellutato. Il tempo ha mantenuto integro l’equilibrio che lo sosterrà ancora a lungo. n Il Carbonaione 1993 ➜ 88 Nonostante qualche problema di stress idrico, la vendemmia si è svolta in condizioni ideali di raccolta. Il ventaglio olfattivo si fa scuro, sanguigno, pepe e ribes definiscono un quadro misterioso, profondo come il colore inalterato dal tempo, rubino deciso e compatto con lievi sfumature granato appena accennate, quasi impercettibili. Sorso imponente, corposo, determinato, il vino scorre lasciando ricordi ombrosi, con perfetti ritorni gusto-olfattivi. n Il Carbonaione 1992 ➜ 80 Primo anno di produzione di questo prodigio liquido. Annata di alti e bassi, con vendemmia anticipata per le piogge settembrine. In soli tre giorni tutto il Sangiovese era stato portato in cantina. La raccolta precoce e quindi la mancata maturazione fenolica si esprimono con una netta sensazione verde, del tutto anomala. Anche in bocca il ritorno verde è un chiaro segno di precocità, il tannino si discosta dall’insieme, l’acidità primeggia. La sensazione ultima ritorna su note verdi lasciando un ricordo atipico del Sangiovese.


Bibenda 53 duemilasedici

Orgoglio Toscano

Orgoglio Toscano D

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C

e c c h i n i

Premesso che l’Italia è centro di Arte Storia e Cultura nel mondo, sicuramente la Toscana è il centro dell’Italia, il Chianti ne è il cuore, Panzano l’ombelico. La macelleria Cecchini, modestamente, è il centro di Panzano, ergo, il ceppo del macellaio è il centro del mondo. Di questo sentire di orgoglioso toscano sono figlie tutte le mie iniziative. Giovanissimo, pensai di essermi mosso con il piede sbagliato; forzatamente interrotti gli studi all’Università di Veterinaria di Pisa, per la morte prematura dei miei genitori, mi ritrovai dietro al ceppo di bottega. Mi sbagliavo, era quella la mia strada. Potevo diventare un bravo qualsiasi veterinario, sono diventato un artigiano macellaio famoso nel mondo. Da subito appassionato del mio lavoro, retaggio atavico di 6 generazioni di macellai, mi sono mosso sempre nel rispetto della tradizione ma con spirito creativo e innovativo, nella ricerca della qualità al di fuori degli schemi correnti. Mi piace mettermi in gioco, per questo sono diventato ‘macellaio con cucina’. Nei miei ristoranti, con i giovani collaboratori-allievi e nei convegno dove sono spesso invitato in giro per il mondo, applico e insegno la filosofia del “non spreco”, del rispetto dell’animale sacrificato alla nostra mensa. Piatti cucinati con ogni parte del manzo, dal naso alla coda. Dalle soddisfazioni personali la gioia di esperienze, di incontri e amicizie con persone di valore, la possibilità di esprimere generosità. Ci ha messo del suo il paesaggio chiantigiano, lo svettare dei cipressi, la geometria delle vigne perse in fastelli di luce, il profumo del rosmarino. Amo la vita e i doni che ci offre, massimo: carne rossa e vino rosso, due passioni che stanno bene insieme come un paio di scarpe. W il Vino! W la Ciccia …e chi la stropiccia! 50


n

Antica Macelleria Cecchini Via XX Luglio, 11 50022 Panzano in Chianti (Fi) tel. +39 055 852020 www.dariocecchini.com

51


Bibenda 53 duemilasedici

Bibenda day 2016

Bibenda day

2016

UN SABATO ITALIANO

La quindicesima edizione della più grande degustazione dell’anno si è svolta Sabato 12 Marzo 2016

nella sede nazionale di

Rome Cavalieri. Un

Fondazione Italiana Sommelier

all’Hotel

evento celebrativo del compleanno della nostra bella rivista

ormai diventato un appuntamento cult che registra abitualmente il tutto esaurito.

623 wine lover si sono dati appuntamento a questo incontro di qualità, di emozione, di scoperta, di ascolto del racconto dei migliori relatori del nostro mondo di appassionati.

Per chi c’era, e anche per chi non c’era, il ricordo della giornata con

alcune immagini e le parole di saluto che i produttori hanno voluto inviare ai presenti rappresentate da simboliche cartoline che sono state lette dai nostri

Sommelier.


53


Bibenda 53 duemilasedici

Bibenda day 2016. Un sabato italiano

1

Grandi Spumanti italiani Presentati da

L

u c i a n o

M

a l l o z z i

Prosecco di Valdobbiadene Primo Franco 1992 y Nino Franco Era il 1983, quando la prima bottiglia di Primo Franco aprì la strada a un modo diverso di considerare il Prosecco “amabile”, non più come vino solo da fine pasto ma con tutta la dignità di un grande vino spumante duttile e di grande personalità. Prodotto con le uve di una sola vigna, fu il primo Prosecco a riportare in etichetta l’annata e la firma del produttore”. Primo Franco Franciacorta Extra Brut Riserva Vittorio Moretti 2008 y Bellavista Un altro Sabato l’abbiamo passato insieme pochi mesi fa, ne conserverò per sempre un ricordo bellissimo. Da Bellavista, assieme a Mattia Vezzola, voglio che vi giunga l’augurio che anche quello che vivrete oggi possa essere un Sabato altrettanto Meraviglioso! Vittorio Moretti Franciacorta Extra Brut Quinque Cuvée 5 Vendemmie Prima Edizione y Uberti Il Franciacorta Quinque rappresenta la nostra identità aziendale e l’inizio di un progetto. 5 vendemmie e 5 vigne in un’unica bottiglia, sono lì nel calice, assieme a voi. Salute! Francesca Uberti Franciacorta Rosé Cuvée Annamaria Clementi Riserva 2006 y Ca’ del Bosco Ho lasciato da poco la Presidenza del Consorzio del Franciacorta e vi ringrazio di essermi stati tutti sempre vicini. Oggi il vino che più amo è lì con voi. Ricambio l’affetto con un augurio per questa grande festa! Maurizio Zanella 54


2

Grandi Bianchi del Freddo Presentati da

D

a n i e l e

M

a e s t r i

Derthona Sterpi 2010 y Vigneti Massa Anni fa, malignavano oltralpe che da vigne d’oro non sapessimo fare altro che vini d’argento. Oggi vedo intorno a me tanti vignaioli che da vigne d’oro fanno nascere bianchi altrettanto preziosi. E poiché bere e filosofare a me danno pari diletto, idealmente incrocio con voi il calice, creando un rivolo d’oro che unisca Roma a Derthona! Walter Massa Langhe Chardonnay Gaia & Rey 2006 y Gaja La vigna del Gaia & Rey l’ho piantata nel 1979, e il primo vino è uscito 4 anni dopo. Avevo sempre sognato di produrre un grande Chardonnay e con convinzione sono andato avanti, senza dare ascolto agli scettici. Quel sogno realizzato, oggi è gran gioia condividerlo assieme a voi, amici di Bibenda. Con la stima e l’affetto di sempre. Angelo Gaja Alto Adige Terlano Pinot Bianco Vorberg Riserva 2008 y Cantina Terlano Una lunga e serena esistenza, vissuta con stile e misura, è l’augurio migliore che si possa fare alle persone vicine al nostro cuore. Le stesse doti di longevità ed eleganza caratterizzano i nostri vini, ed in particolare il Vorberg. Con orgoglio ve lo proponiamo, ben consapevoli che susciterà sensazioni ed emozioni anche tra appassionati ed esperti come voi! Georg Höller Lugana Sergio Zenato 2003 y Zenato Dagli anni Sessanta abbiamo intuito le potenzialità del nostro grande autoctono e del suo terroir d’eccellenza, di cui è massima espressione la nostra Riserva dedicata a papà Sergio, pioniere della denominazione. Da sempre, cuore e anima sono il valore aggiunto dei nostri vini. E dal profondo del cuore giunga a voi il nostro saluto più caloroso. Famiglia Zenato 55


I vini dei vulcani, la sottile linea rossa

Bibenda 53 duemilasedici

3

Grandi Bianchi del Sole Presentati da

G

i u l i a n o

L

e m m e

Fiorano 2013 y Fattoria di Fiorano

contesto unico, di sole, roccia e sale, che è la Costa di Amalfi. Le stesse

Passione ed emozione si percepiscono negli occhi di Alessia Antinori

nostre etichette testimoniano il rispetto e l’amore per ciò che ci circonda.

mentre raccoglie il primo grappolo di Merlot della vendemmia 2010.

Le sfide non ci spaventano; ed i nostri figli sono pronti a seguirci su

Quattro filari di Merlot e quattro di Cabernet, a conduzione biologica

questa difficile ma meravigliosa strada. Marisa Cuomo e Andrea Ferraioli

da più di mezzo secolo, che con il lavoro di Alessia, ha fatto risorgere lo storico Fiorano. Il 2010 è rosso rubino, avvolgente, ben strutturato,

Dettori Bianco Romangia 2004 y Dettori

con una nota sapida che richiama il territorio vulcanico. Solo 500

Il vino non è una bevanda: è un alimento. Mio nonno lo faceva,

bottiglie di quest’annata. Alessia Antinori

io continuo a farlo, sapendo che il lavoro che si compie in vigna è pochissimo: in Sardegna, il vino si fa quasi da solo; mi considero un

Trebbiano d’Abruzzo 2010 y Valentini

agricoltore, non un vignaiolo. Mi sento animale alla pari con gli altri

Ci sono due modi di fare il vino: quello artigianale e quello industriale.

animali. Parte della Terra e dell’Universo con la minima razionalità

Entrambi hanno pari dignità, ma io mi diverto a lavorare in maniera

indispensabile alla mia libertà. Per questo faccio il vino, per farmi

artigianale. Non seguo tecniche che possano essere etichettate come

sentire quello che sono: istintivamente animale. Alessandro Dettori

biologiche o biodinamiche. Faccio lavorazioni tradizionali in vigna, senza trattamenti con prodotti sistemici, senza diserbo, ed in cantina

Contea di Sclafani Bianco Nozze d’Oro 1998 y Tasca d’Almerita

non pratico controllo della temperatura, filtrazione o inoculo di

La nostra, tanti anni fa, è stata probabilmente la prima azienda

lieviti. I cambiamenti climatici non mi aiutano, ma io, ostinato,

siciliana ad imbottigliare il proprio vino. Da allora abbiamo sempre

continuo a lavorare così. Francesco Paolo Valentini

avuto l’obiettivo di acquistare terreni e di fare vino nei luoghi più rappresentativi della Sicilia. Abbiamo sempre fatto sperimentazioni:

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Costa d’Amalfi Furore Bianco Fiorduva 2009 y Furore Marisa Cuomo

prima con i vitigni internazionali, poi, da poco, con gli autoctoni più

Dietro la nostra azienda c’è la storia di uomini e donne che hanno preso

rari, dimenticati. La Sicilia è un continenti viticolo, e noi vogliamo

i punti deboli di un territorio per farne una forza. Per fare vino in quel

coglierne tutta l’essenza. Lucio Tasca d’Almerita


4

Grandi Rossi del Nord Presentati da

M

a s s i m o

B

i l l e t t o

Alto Adige Pinot Nero Schweizer 2004 y Franz Haas Le mie montagne mi hanno insegnato che non esistono sfide impossibili. Ho tentato di travasare questo prezioso insegnamento nella più ardua sfida del mondo del vino, ovvero la realizzazione di un grande Pinot Nero, che vi dedico con tutto l’amore possibile. Franz Haas San Leonardo 2000 y Tenuta San Leonardo Credo fermamente nei valori della signorilità, del garbo, dell’equilibrio e della sobria eleganza. Sono i medesimi caratteri che desidero possano esprimere i miei vini: mi auguro che il San Leonardo possa oggi accompagnarvi con tutta la sua gentilezza. Carlo Guerrieri Gonzaga Gattinara Riserva 2006 y Travaglini In un passato in cui tutti abbandonavano le terre, la nostra famiglia ha creduto che anche un piccolo territorio potesse, con laborioso orgoglio, elevarsi al rango dei grandi. Con il nostro Gattinara, siamo certi che la periferia vinicola del Piemonte saprà porsi al centro del vostro cuore e delle vostre emozioni. Cinzia Travaglini e Massimo Collauto Barolo Le Rocche del Falletto Riserva 2008 y Bruno Giacosa Tutte le terre del vino hanno un’aura di nobiltà. La nobiltà delle Langhe, a cui ho dedicato la vita, si esprime nel loro essere sempre protagoniste senza fare rumore. Nel mio Rocche, troverete tutto il respiro forte ed elegante di questa terra. Bruno Giacosa 57


Bibenda 53 duemilasedici

I vini dei vulcani, la sottile linea rossa

5

Grandi Rossi Toscani Presentati da

P

a o l o

L

a u c i a n i

Bolgheri Sassicaia Sassicaia 2013 y Tenuta San Guido Il nostro vino è nato al di fuori di tutti i parametri ed è diventato un paradigma d’ispirazione per ogni vino italiano che punta all’eccellenza. L’ultima annata uscita dalle nostre cantine è dedicata con piacere e stima a tutti gli amici di Bibenda, nella certezza che sapranno apprezzarla come merita. Nicolò Incisa della Rocchetta Flaccianello della Pieve 1999 y Fontodi Da sempre crediamo fortemente nel Sangiovese e nella sua straordinaria capacità di raccontare la nostra terra. Con piacere e orgoglio vi presentiamo il frutto di un’annata eccezionale per il Flaccianello, vino divenuto ormai classica espressione di un territorio formidabile. Giovanni Manetti Tignanello 1997 y Marchesi Antinori Per il colto pubblico di Bibenda ecco il nostro vino più amato: un vino dal cuore toscano, capace di segnare profondamente il nuovo corso enologico italiano e di continuare a rappresentarlo anno dopo anno. Piero Antinori Brunello di Montalcino Riserva 2008 y Biondi Santi Per questa platea d’élite abbiamo scelto il nostro grande classico, uno dei simboli della qualità e dell’eccellenza del vino italiano nel mondo. Un baluardo del territorio e un’emozione assoluta, capace di sedurre subito e di protrarsi per oltre un secolo. Jacopo Biondi Santi 58


6

Grandi Rossi dell’Etna Presentati da

D

a n i e l a

S

c r o b o g n a

Etna Rosso Outis 2013 y Biondi Siamo molto orgogliosi di far parte di una così importante schiera di produttori, che quest’anno offre alcune tra le più prestigiose etichette italiane. Il mio augurio è che il nostro vino, l’Etna Rosso Outis 2013, possa trasmettervi una parte di me, della mia lunga storia e della mia terra, la mitica “muntagna”. Ciro Biondi e Stefhanie Pollock Etna Rosso Contrada Arcurìa 2012 y Graci Dalle luminose vigne della valle dell’Alcàntara dove sole, luce e salsedine si fondono a sabbia vulcanica e ai boschi di ginestra, vi giunga uno dei vini rossi più eleganti di Sicilia, l’Etna Rosso Arcurìa 2012. Un vino che da questo palcoscenico vuole confermarsi come uno dei Nerello Mascalese più emozionanti. Alberto Aiello Graci Etna Rosso Contrada Archineri 2010 y Pietradolce Un vino unico e irripetibile, Etna Rosso Archineri 2010, nato da un magico vigneto, dove piante ad alberello disegnano uno scenario lunare. La nostra storia è recente ma l’amore per la vigna e per questa terra è millenaria. Mantenere alto il livello qualitativo dei nostri vini è lo scopo della nostra vita. Michele Faro Etna Rosso Feudo 2009 y Girolamo Russo Il primo anno con voi per questa splendida occasione. Vi propongo l’Etna Rosso Feudo 2009 a conferma di come i nostri vini siano capaci di evolvere nel tempo e di come ostinatamente rappresentino le nostre Contrade. Il poter condividere con una platea così qualificata le scelte enologiche è motivo di profondo orgoglio. Giuseppe Russo 59


Bibenda 53 duemilasedici

Signori del Vino

Signori del Vino M

60

a r c e l l o

M

a s i

Chiariamo subito, io e Rocco non siamo i Signori del Vino.

prodotto naturale, ma è innanzitutto un prodotto culturale. Nel

Noi siamo solo quelli che raccontano vigne e cantine, siamo

mondo del vino ci sono le radici profonde della nostra civiltà.

giornalisti appassionati e curiosi che incontrano e parlano con gli

Chi coltiva la terra, lo ricorda sempre Carlin Petrini, è umile.

uomini e le donne che lavorano in questo meraviglioso mondo.

Umile da humus, a contatto con la terra, non modesto.

Prima di noi lo hanno fatto in tanti. Mostri sacri come Soldati e

La terra, il suo respiro, in questi anni sempre più affannoso, viene

Veronelli. E tanti altri: esperti, scrittori, giornalisti. Per raccontare la

ascoltato dai nostri Signori/Produttori come nessun altro. Il rispetto

millenaria storia del vino, ma anche scoperte, avventure, sfide, successi

dell’ambiente è un linguaggio comune dalla Val d’Aosta alla Sicilia.

e fallimenti. Una cultura immensa formata da un mix di sapienza e

Nel nostro giro d’Italia abbiamo appreso tanto. E solo in piccola parte

sudore, ricerca e fatica, casualità e testardaggine.

siamo riusciti a trasferire sullo schermo le tante informazioni ricevute.

Il nostro lavoro nasce da un’intuizione: quella di rivolgerci a tutti,

Il rispetto e l’amore per i propri territori e per il lavoro. La passione,

non solo agli esperti o agli enoappassionati, ma di parlare anche a

le ansie che si ripetono mai uguali in ogni stagione, ma anche la

chi il vino non lo ama più di tanto. Perché il vino non è solo un

consapevolezza, fiera ed orgogliosa, di portare avanti senza proclami


Marcello Masi a

Rocco Tolfa,

è il

Direttore

del

Tg2. Da

un anno, insieme

suo vice e nostro allievo all’Executive

Wine

Master, realizza per Rai Due “Signori del Vino”, una trasmissione sul e per il Vino Italiano per la quale la Rai vanta il primato della produzione di Cultura del Vino, intelligente e di pubblica utilità.

politiche produttive sostenibili e solidali. I Signori del Vino non ci

presenti in intere Nazioni. Una ricchezza ancora in parte da riscoprire

hanno mai deluso. In ognuno di loro una scintilla originale e colta,

e che coincide con le ultime tendenze di richiesta internazionale di

una scoperta e molte riscoperte. La ricchezza immateriale immensa del

esperienze uniche e non replicabili. Oggi con le moderne tecnologie si

nostro Paese che diventa economia solida e in espansione. Tradizioni

può clonare qualunque vitigno, ma l’indissolubile unione tra la pianta

forti destinate a decadere e a scivolare verso l’imperdonabile oblio

e il territorio madre rende l’operazione un falso grossolano e facilmente

rinvigorite dalla costante ricerca e dalla caparbietà di chi fa un lavoro

riconoscibile. Questo immenso giacimento ora è pienamente compreso

duro tutti i giorni, di chi non è abituato ad arrendersi.

dai nostri produttori e dai nostri sempre più bravi enologi. Da Nord a

I Signori del Vino sono loro. Sono le migliaia, le decine di migliaia che

Sud si moltiplicano ricerca e sperimentazione. I risultati sono esaltanti

ogni mattina svegliandosi all’alba scrutano l’orizzonte. Pianificano i

e il futuro non può che riservare tante belle sorprese. Ma dai Signori

lavori pronti a stravolgerli se le condizioni cambiano. Dalla vigna alla

del Vino arrivano anche altri messaggi confortanti. Il primo che mi

cantina, dal laboratorio alla commercializzazione. Dinamiche colme

preme sottolineare è quello della scoperta di un’agricoltura giovane e

di imprevisti e di situazioni sempre nuove da affrontare velocemente

intraprendente. Abbiamo incontrato tanti giovani under 35 che nella

e spesso senza rete. Un mondo affascinante che ci consegna ogni

produzione del vino hanno cambiato le prospettive personali e di

anno prodotti unici in molti casi straordinari e indimenticabili.

interi territori. Da Nord a Sud hanno riscoperto il lavoro tra le vigne

Le emozioni sono parte integrante del mondo del vino. Emozioni che

e le cantine. Un lavoro che sta dando frutti bellissimi e incoraggianti.

si leggono nei loro occhi mentre raccontano del proprio lavoro. Sono

L’agricoltura, come ci ha detto Arianna Occhipinti in una sorta di

persone dirette, c’è poco spazio per le false modestie e ancor meno per

manifesto generazionale, non è più quella di cinquanta anni fa che

le frasi ridondanti e autocelebrative. Oggi si sta facendo strada un’altra

a mala pena faceva raggiungere il sostentamento. Oggi l’agricoltura

consapevolezza: che per affrontare il mercato c’è bisogno di mettersi

è fonte di lavoro specializzato, di comunione d’intenti, di territori

insieme, condividere i successi per esaltare i territori. E mettere da

che si uniscono per esportare insieme al vino cultura e turismo. È

parte invidie e gelosie che in passato hanno caratterizzato gli anni

la possibilità di girare e conoscere il mondo. In una sola parola oggi

meno illuminati. In molti hanno imparato la lezione dei nostri

l’agricoltura è anche gioia. Messaggi positivi che arrivano dalle nuove

principali competitori. In Francia i territori uniti dai produttori hanno

generazioni e confortano le scelte e la resistenza di tante famiglie che

rappresentato la vera forza trainante del settore. Oggi lo abbiamo

hanno portato avanti il loro lavoro anche in tempi meno propizi.

capito anche noi e ci stiamo attrezzando. Mai vergognarsi di copiare

Generazioni di Signori del vino che caparbiamente hanno difeso il

le cose che funzionano meglio delle nostre. Molto difficile, invece per

proprio lavoro e trasmesso la sapienza ai propri figli e ai figli dei figli.

gli altri, copiare il nostro immenso patrimonio varietale. Centinaia e

Io e Rocco non siamo I Signori del Vino, ma ne abbiamo conosciuti

centinaia di vitigni autoctoni o tradizionali che dir si voglia. Singole

tanti e imparato ad amarli e rispettarli e nei momenti uggiosi del

Regioni italiane ne possiedono il doppio se non il triplo di quelle

nostro lavoro quotidiano affettuosamente ad invidiarli. 61


Bibenda 53 duemilasedici

Rabasco, limpida testimonianza d’Abruzzo

Rabasco,

limpida testimonianza d’Abruzzo Chi corre lo sa. C’è un momento finale di intima soddisfazione, non bello a vedersi ma liberatorio. Hai ancora il fiatone e il cronometro è appena fermato. Tiri via la maglia, l’arrotoli stretta e strizzi a due mani: ne scende un rivolo di sudore talora copioso.

Fissi l’asfalto bagnato e stenti a credere che quella fatica l’abbia potuta far tu; esorcizzata lì, proiettata da dentro

a fuori di te.

G

62

L’eleganza è un’altra cosa ma poco conta: nell’attimo vedi distillata la tua essenza, la tua piccola verità.

i a m p i e r o

P

u l c i n i

Penso e bevo. O forse il contrario.

paglierino con guizzi verdastri; accenna profumi di mare, buccia di

E questo Bianco “Feccioso” 2013, cristallino a dispetto del nome, tenuto

pomodoro, camomilla e legno di ulivo, quindi sferza la bocca con

in bocca aggancia associazioni di tipo fisico: l’ultima spremitura di una

energia tagliente, di ostinata persistenza tattile.

materia ricchissima alla cui sostanza s’è così chiesto tutto. Trebbiano

Il Rosato Vivace, da uve montepulciano, è l’altra faccia di una prospettiva

abruzzese prodotto nell’aneddotica quantità di 66 bottiglie, quelle

presa al rovescio: la minima estrazione possibile da un vitigno che trae

restituite da un paio di damigiane in cui s’è raccolta la sfecciatura di

piuttosto dalla carnalità del volume l’inconfondibilità del suo tratto.

tutte le altre, il cui contenuto dopo sei mesi di sosta è finito nel Bianco

Color rame, delicato ma vivido. Non c’è frutto, solo un’asprezza che

“Damigiana”. In quei due bottiglioni da 54 litri per ulteriori tre mesi

condensa note di terra e cantina, accenni silvani, poco altro; quindi un

le fecce fini dei lieviti hanno consumato l’ultima stilla del loro vissuto,

sorso sapido e secco, in cui la dissolvenza della carbonica prelude a un

restituendo un’appartenenza metabolizzata senza riserve.

finale amaro di agrumi verdi. Una volatile al limite del compromettente

Il “Feccioso” ha molto di familiare e poco di consolatorio. È color

ammicca a sensazioni da Lambic, per cui è chiaro che con una cosa


così o ci vai d’accordo subito o non l’amerai mai. La presa di spuma avviene secondo il metodo cosiddetto ancestrale. L’uva è raccolta in leggero anticipo per preservare l’acidità e tener basso l’alcol, quindi è vinificata in bianco con fermentazione spontanea del mosto fiore, terminata la quale seguono un paio di travasi invernali e l’imbottigliamento a marzo con aggiunta di una decina di grammi per litro di zucchero di canna. Il rialzo primaverile delle temperature e il prolungamento delle ore di luce riattivano i lieviti; il liquido rifermenta in vetro senza sboccatura finale, tanto che alla commercializzazione è lasciato il tappo a corona con la bidule. Un rosato né spumante né frizzante bensì vivace, antica tipologia locale nata dall’esigenza di prolungare in ambito domestico la conservazione del vino, caratterizzata da una pressione interna non superiore alle 2 atmosfere. La gentilezza di tocco che ne consegue, unita alla gagliardia del vitigno, conduce perpendicolarmente all’ossimoro di ruvida cremosità. 63


Bibenda 53 duemilasedici

Rabasco, limpida testimonianza d’Abruzzo

L’AZIENDA Non è ortodosso introdurre un’azienda accennando a due vini per certi versi estremi, di cui uno - il “Feccioso” - neanche in commercio. Tuttavia è proprio il loro modo franco e incisivo di porsi a far risaltare la singolarità di una realtà piccola eppur sfaccettata. La società agricola Rabasco è a Pianella, Contrada San Desiderio, in provincia di Pescara, fondata dieci anni fa da Mauro Rabasco, nato nel 1954 nel Vulture. Con la moglie Giulia e i figli Canio e Iole frequentava da tempo la costa pescarese, dove nella seconda casa di famiglia trascorreva regolarmente le estati. Il vino faceva già parte della sua vita, benché in modo amatoriale: il padre aveva un fazzoletto di vigna e imbottigliava per sé, per gli amici e per qualche cliente della sua attività commerciale. Nel 2005 il signor Mauro decide di trasferirsi stabilmente in Abruzzo investendo sulla terra: dapprima con la costruzione della cantina e l’impianto di un vigneto, quindi con l’acquisto nell’anno successivo di tre vecchie vigne (denominate La Salita, La Conchetta e Cancelli) nel comune confinante di Loreto Aprutino. Le prime vendemmie servono alla famiglia per acquisire dimestichezza con la dimensione professionale dell’attività. A partire dal 2012 la consulenza in campo agronomico ed enologico di Danilo Marcucci (personaggio carismatico e singolare, forte n

Vigne Rabasco

di altre rilevanti esperienze tra cui quella ormai decennale di Collecapretta in Umbria) imprime

Vigna Cancelli

ai vini la spinta per liberare un’irriverente e distintiva carica vitale.

esposizione a Sud Ovest Vigna San Desiderio

IL LUOGO

esposizione a Sud

Questo lembo d’Abruzzo custodisce una forza che non ha spiegazione nel mero elenco del

Vigna La Salita

misurabile, in cui nulla si palesa come estremo: altezze intorno ai trecento metri, discrete escursioni

esposizione a Nord-Est

termiche, terreni argillosi con significativa presenza di limo. Allora sarà qualcos’altro, percepibile

Vigna La Conchetta

solo fermandosi in silenzio tra le vigne a respirare un’aria frizzante e al tempo stesso solenne, figlia

esposizione a Sud-Ovest

della congiunzione tra mare e montagna: il Gran Sasso è a quaranta chilometri, l’Adriatico a meno di quindici. Dev’esser questo a infondere a tali colline un’energia prorompente purché se ne rispetti la vocazione con pratiche agricole lungimiranti, in cui il recupero della tradizione non sia la stanca reiterazione di una consuetudine bensì la vigile applicazione di un empirismo consolidato dal buon senso. Le potature invernali sono effettuate il più tardi possibile, mettendo le piante in condizione di affrontarne lo stress quando ormai pienamente riposate. Nessuna concimazione né trattamento chimico, ma uso parsimonioso di rame e zolfo; il ricorso a pratiche biodinamiche è effettuato solo in casi strettamente necessari, stante la spiccata vigoria dei terreni. Le varietà coltivate sono trebbiano e montepulciano declinate in 35.000 bottiglie


di bianchi, rossi e rosati a loro volta distinti in base alle vigne di provenienza, la cui estensione complessiva ammonta a 9 ettari. San Desiderio - adiacente alla cantina - è nel comune di Pianella, poco più di 2 ettari piantati dai Rabasco nel 2005. L’allevamento è a filare, con esposizione sud. Le tre vigne nel comune di Loreto Aprutino sono invece state acquistate da privati. Le piante più vecchie superano i quarant’anni; la forma di allevamento è a tendone abruzzese che qui garantisce una gradualità nella maturazione tale da far coincidere tendenzialmente quella zuccherina con la fenolica. La Salita ha forma di triangolo isoscele rovesciato; 2 ettari in netta pendenza esposti a nord-est, con presenza promiscua di trebbiano (parte mediana) e montepulciano (parte alta e bassa). La Conchetta, interamente piantata a trebbiano, guarda a sud-ovest; ha giacitura piana ed

n

Società Agricola Rabasco

estensione inferiore al mezzo ettaro. Cancelli, infine, ha analoga esposizione ma vede la presenza

Contrada San Desiderio 23/A

esclusiva di montepulciano. Si presenta come un rettangolo di 4 ettari dal dislivello piuttosto dolce.

Pianella (PE) Tel. 085 7950258

IN CANTINA

www.agricolarabasco.it

Le uve raccolte a mano sono trasportate in cantina dove fermentano spontaneamente in tini troncoconici aperti, senza controllo delle temperature. Il breve affinamento procede poi in parte in contenitori di vetroresina, in parte in damigiane e per una piccola selezione in vecchie barrique. L’imbottigliamento, per tutti i vini, avviene nel marzo successivo alla vendemmia in modo da far svolgere la malolattica all’interno della bottiglia. Una scelta coraggiosa al limite del temerario, che testimonia la fiducia posta nella capacità di emancipazione di uve sanissime; il vino pare così dettagliare più approfonditamente il riflesso del senso territoriale, generando oltretutto un leggero surplus di carbonica che fusa agli estratti contribuisce a proteggerlo dall’ossidazione, posto che nessuna fase della lavorazione prevede aggiunta di anidride solforosa. Tale non-interventismo, prima che da implicazioni di tipo salutistico, scaturisce dalla volontà di far affrontare al vino un’evoluzione più libera e trasparente possibile, scevra da puntelli che non siano quelli naturalmente contenuti nel frutto di partenza.

65


Bibenda 53 duemilasedici

Rabasco, limpida testimonianza d’Abruzzo

I VINI

leggermente anticipata) e il “Rosso della Contrada” dall’altro.

I bianchi “La Salita” (affinato in vetroresina) e “Damigiana” (affinato

Quest’ultimo, nella versione 2013, rappresenta ad oggi il vertice qualitativo

in damigiana, con una settimana di macerazione delle bucce),

dell’intera produzione aziendale. Frutto di selezione dai tendoni più vecchi

entrambi rivenienti dal vigneto La Salita, mostrano nasi candidi,

nella parte alta della vigna Cancelli e imbottigliato dopo una sosta di

raccolti in note vegetali e agrumate con un quid di tridimensionalità

sei mesi in vecchi legni, si presenta stratificato al naso e granitico in

in più rilevabile nel secondo. In bocca sapidità e crudezza alimentano

bocca. Vino severo e diretto che ammicca a sensazioni da Hermitage,

una dinamica che approda risolutamente a ritorni di erbe aromatiche

capace di spendersi con autorevolezza senza bisogno di orpelli.

e radici. L’energia sottesa all’assaggio rassoda una fisionomia affusolata, che rimanda a latitudini ben più settentrionali.

66

Di rosati ne vengono proposti ben tre, distinti per vigna ed

Prospettive

élevage: uno da Cancelli (vetroresina), un altro da La Salita (legno)

Un protocollo che preveda, tra le altre cose, l’assenza totale di solfitaggio e

e un terzo da San Desiderio (damigiana). La predisposizione del

lo svolgimento della malolattica in bottiglia implica fatalmente un rischio

montepulciano a esprimersi felicemente in tale modalità fonda la

legato alla non piena controllabilità dei processi. La sua accettazione non

diffusione capillare della tipologia nella tradizione abruzzese, dove

è da ascrivere a un’utopistica visione del vino come entità autosufficiente,

incarna per antonomasia il ruolo di vino quotidiano da pasto.

bensì alla persuasione che assecondarne la spontaneità sia l’unica via per

Bevibilità e duttilità intrecciano il fil rouge che tiene connesse le

attingere davvero all’aderenza di un liquido a un luogo. Tale affidarsi

tre versioni, la cui progressione in termini di spessore ne amplia le

alla natura e al suo mistero può esser fertile solo se presupposto da

opportunità di utilizzo sulle preparazioni gastronomiche locali. Non

osservazione, ascolto, visione. Una serie dilatata di assaggi - non solo in

son rosati accomodanti: il contegno schivo rifugge ogni concessione

azienda - ha acceso in più d’un caso delle sintonie trascinanti; qualcosa

all’immediatezza, richiedendo spesso qualche minuto di ossigenazione

di non traducibile in punteggi centesimali, incapaci di esprimere per

per poter esprimere un’essenzialità originale, talora magnetica. Vini

questi vini l’immediatezza di pensieri elementari quali “quanto sanno

che conquistano al secondo bicchiere, insomma, grazie a una tensione

di qui” e “quanto stanno bene col cibo di qui”. La sana imprevedibilità

gustativa che ne mortifica l’apertura in assenza di cibo.

riscontrata in bottiglie aperte a mesi di distanza, lungi dall’apparire

I rossi sono cinque e confermano il lavoro in sottrazione svolto sul

arbitraria, ha reso avvincente ogni incontro in quanto retta da vivida

vitigno abruzzese, la cui generosità è disciplinata in modo da restituirne

coerenza. E anche ove qualche bicchiere possa prestare il fianco ad

integralmente la forza nettandola da ogni eccesso di materia.

obiezioni sul piano stilistico, la veracità con cui è testimoniato uno dei

Oltre a “La Salita” e “Damigiana”, alle estremità opposte della

terroir più caratterizzanti d’Italia rende ineludibile il confronto con una

gamma si collocano il “Rosso Cancelli” e “Lu Cuntaden” da un

filosofia produttiva che, pescando arditamente dalla tradizione senza

lato (entrambi con macerazioni brevi, il secondo da vendemmia

tuttavia venerarla, appare oggi più attuale che mai.


Oscar del Vino 2016 • 18a Edizione • Domenica 24 Aprile 2016 a partire dalle ore 16:00. Obbligatorio l’abito da sera per le Signore e lo smoking per i Signori. Pubblico in abito da sera, telecamere e riflettori di Rai Due per registrare la cerimonia di consegna dei Premi che sarà trasmessa in data successiva alla ripresa. Solo 200 i posti disponibili per assistere allo spettacolo che si svolgerà nel Teatro dell’Hotel Rome Cavalieri. Gli Oscar andranno a numerose categorie del “mondo vino”, le cui terne sono state selezionate preventivamente da un’Accademia di Esperti e poi votate online dai navigatori del sito bibenda.it I nomi dei vincitori saranno svelati nel corso della notte delle stelle. Al termine della premiazione si apriranno i banchi d’assaggio per consentire ai partecipanti di assaggiare tutti i prodotti, sia i vini candidati sia quelli premiati, abbinati a interessanti prodotti tipici. Informazioni e prenotazioni 06 8550941 • www.bibenda.it • sommelier@bibenda.it 67


Bibenda 53 duemilasedici

Oui, je suis Gianfranco Vissani

Oui, Je suis

Gianfranco Vissani G

i a n f r a n c o

V

i s s a n i

Gianfranco Vissani, per noi critici di BIBENDA, è il più grande cuoco del mondo. Qualità, sì. Tecnica, sì e genialità q.b. Quanto basta per lasciare il segno sempre. Non

sbaglia quando i piatti sono mille tutti contemporaneamente né, tanto

meno, quando sono quattro.

1979… un anno speciale, dove le passioni erano chicche preziose ed il buio nella ristorazione regnava sovrano, volete annoiarvi, leggete il mio pensiero. n

Vissani

Per come sono io, la monarchia sicuramente sarebbe il mio stato naturale, apparentemente, ma

S.S. 448 Todi

se riuscite ad entrare nel vivo assaporando la mia cucina, immediatamente capireste il contrario.

Baschi km 6,600 Terni

È vero, per fare quello che faccio all’interno della mia Casa di Baschi con 25 ragazzi al

Tel. 0744 950206

seguito, o si è rigidi ed imprescindibili, sempre alla ricerca della perfezione, o difficilmente

casavissani.it

si riescono ad ottenere risultati importanti, di spessore. Quindi, Sacrificio!! Sacrificio è la parola che ha regnato su di me e mi ha dato ogni giorno la spinta per innovare, per uscire fuori dalla quotidianeità, per ricercare e valorizzare, stupire, provocare, irrompere prepotentemente come il cucchiaio in un morbido al cioccolato sapendo di non trovare mai la fine del Gusto. Oggi molto è cambiato, ci sono molte più persone legate alla cucina ed al vino di quando ho iniziato io e questo è un bene ma… spesso la cucina viene vissuta non come il protagonista della nostra vita ma come un’opportunità di carriera per poi fare altro… dico

68


questo perché lo spirito di sacrificio diminuisce, i palati spesso sono piatti e si corre dietro a congetture o tendenze che a mio avviso… distruggono il prodotto invece di valorizzarlo. Girare il Mondo, assaporare nuovi prodotti, saper ascoltare il silenzio della cucina, fiutare nuove tendenze e divertire attraverso giochi di consistenze… questi i miei 5 sensi che ogni giorno mi spingono oltre… per poi provare e riprovare creazioni fin quando il piatto non esce perfetto… da sempre è stata la mia pazzia quella di dare ad ogni creazione la propria anima, uno spessore tale che chiunque lo assaggiasse, profano di cucina o no, rimaneva a bocca aperta sperando che ce ne fosse dell’altro per emozionarsi ancora. Oggi va di moda l’eliminazione, legata al concetto moderno del minimalismo e non il sapersi destreggiare come un fantastico fantino tra gli innumerevoli ingredienti come fossero cavalli da corsa… il piatto della Vita non fa per me “gli ingredienti sono come Cavalli di razza, bisogna saperli domare” il minimalismo in cucina nasce sotto forma di arte moderna ma per me, rimane una banale ispirazione di chi non conosce approfonditamente la materia prima ammazzando la creatività, per me ispirata spesso all’identità dei nostri sapori. Come cambiano le tendenze così cambiano i prodotti ed anche, negli anni, i produttori; questi ultimi hanno dovuto apportare dei cambiamenti ai loro raccolti e come spesso accade, non tutte le ciambelle riescono con il buco, ne cito uno per tutti visto che sono italiano, il grano, enorme fonte di ricchezza, secondo solo al petrolio!! Volete sapere un aneddoto che mi è capitato proprio qualche tempo fa?... Seguitemi su Bibenda ne sentirete delle belle!! 69


Le spremute di terra di Bruno Paillard

Bibenda 53 duemilasedici

LE SPREMUTE DI TERRA DI

Bruno Paillard M

70

a s s i m o

B

i l l e t t o


I VIN CLAIR E L’ARTE DELL’ASSEMBLAGE Lo Champagne è il vino più tecnico che esista. La complessità del processo che porta alla sua costituzione si articola attraverso passaggi che comportano una pluralità di cognizioni e un patrimonio di esperienze che non conosce eguali nel mondo del vino. la diffusione degli

Champagne

Nonostante

di piccoli vigneron, monocru e millesimati sia esplosa in Italia come una vera e propria moda, non

dimentichiamo che il più importante e blasonato vino del mondo nasce tre secoli fa come prodotto in grado di esprimere soprattutto lo

71

Foto di Studio Cabrelli

stile di una maison e di costituire una sorta di riassunto, magari variamente declinato, di aree estese e diversificate di territorio.


Bibenda 53 duemilasedici

Le spremute di terra di Bruno Paillard

Quando Bruno Paillard, all’inizio degli anni ’80, avviò l’avventura della sua splendida realtà, venne immediatamente identificato quale ideale anello di congiunzione tra lo spirito imprenditoriale, con il conseguente elevato livello di riporto, tradizionale retaggio delle grandi maison responsabili della genesi dello Champagne, e il radicamento sul territorio, paradigma filosofico e operativo dei piccoli récoltant-manipulant. Lo Champagne ideale, secondo Paillard, è quello che riassume un insieme di territori di eccellenza traendo il meglio da ognuno di essi, formando un quadro di sensazioni che n

Alice Paillard

a ogni palato, esperto o neofita, e indipendentemente dal gusto personale, riesce a dare

La seducente Principessa

la suggestione dell’eleganza, dell’armonia, dell’equilibrio. Charme, harmonie, équilibre:

della Maison

sono le pietre miliari che pervadono e legano tutta la filiera Paillard e che riscontriamo costantemente nel bicchiere. A partire dai territori: 15 cru di eccellenza per 32 ettari, tutte le tre varietà principali coinvolte, in percentuali studiate e non casuali (45% Pinot Noir, 33% Chardonnay, 22% Pinot Meunier). Cinquecento fusti di elevazione per 110 cuvèe base che vengono poi riassemblate a seguito dei lunghi, meticolosi e sapienti assaggi dei Paillard e del loro staff. Dal 25 al 50% di vin de réserve vecchi fino a 30 anni. Tutto ciò, e non solo, è la Cuvée Brut Premiere di Bruno Paillard. Non è un vino “base”, è l’emblema dell’azienda, è il riassunto e la rappresentazione materiale del successo di un progetto che non ha mai fine, ma che ogni anno si rinnova come un microcosmo in moto perpetuo. La degustazione di un grande Champagne nella sua veste definitiva è sempre un emozione, ma l’opportunità di assaggiarne le sue atomiche e primordiali componenti costitutive è un’esperienza unica. È un momento di arricchimento tecnico completamente fuori dagli schemi. È la ricerca dell’origine della specie. I vin clair possono essere tutto ciò. Sono le basi Champagne appena nate, sono vere e proprie spremute di terra ancestrali che andranno a comporre il mosaico della cuvée definitiva. I vin clair si odorano, non si assaggiano. L’acidità fissa, profonda, costante, perforante, la si può misurare in laboratorio. I profumi no. Le sfumature della terra si colgono al naso, e il naso dei vin clair non ha schermature. Si offre nella sua purezza, coacervo di aromi terragni e postfermentativi. Alice Paillard è la seducente principessa di casa, un naso straordinario dalla unica e femminile sensibilità. Con lei abbiamo compiuto un percorso tra i cru più blasonati della terra champenoise. La sensazione è che dietro le quinte ci fosse una sorta di angelo dei vigneti che spremesse l’uva e ce ne offrisse il nettare in tutta la sua purezza. Lo Chardonnay declinato nell’eleganza marina di Oger, nella profondità di Cramant

Foto di Studio Cabrelli

e nella potenza minerale di Mesnil-sur-Oger; il Pinot Noir, caleidoscopica personalità modulata sulla salinità di Verzy e di Verzenay, sulla forza di Bouzy, sulla complessa eleganza di Mailly e sulla remota (è l’unico tra i cru Paillard a essere lontano dal cuore storico della Champagne) ferrosità di Riceys; il Pinot Meunier, quasi a ricordarci le origini del vino e al tempo stesso, i principi ispiratori di Paillard, con l’equilibri e la gradevolezza da 72


Champagne Bruno Paillard Avenue De Champagne 51100 Reims - France Tel. +33 (0) 3 26 36 20 22 www.champagnebrunopaillard.com

frutto succoso di Hautvillier, “il luogo” di Dom Pèrignon. Alla stregua

necessita di convalescenza. Lungo è perciò il periodo che le bottiglie

dei “nasi” di Grasse, abbiamo fatto nostre le più remote sfumature

trascorrono in cantina a riposare e ad amalgamarsi prima di essere

olfattive da ognuno dei vin clair tentando di ritrovarle, con successo,

rese disponibili sul mercato. Il vino può quindi avviare la sua vera

nella cuvèe definitiva. I vin clair sono gli embrioni pulsanti che nelle

fase di raggiungimento, lento e progressivo, verso la completezza

mani e nel naso dell’”assemblatore” si plasmano nel vino finale.

organolettica, passando attraverso stagioni diverse e in ognuna delle

Lo Champagne Paillard riesce a cogliere il cuore nobile di ognuno dei

quali aggiunge un elemento al corredo aromatico: l’età della frutta,

vin clair, smussandone le asperità e mantenendone ed esaltandone

l’età dei fiori, l’età delle spezie, l’età delle tostature e, finalmente l’età

gli elementi caratteristici positivi. È un campione di equilibrio figlio

matura, dove i riconoscimenti si rincorrono vorticosi e profondi.

di una pluralità di genitori dai caratteri forti e variegati. La lunga

Anche cogliendo il vino nella sua fase più evoluta, il richiamo al

fermentazione sui lieviti, di almeno tre anni, è il primo importante

territorio e all’uva in qualità di sua interprete, è sempre presente.

passo verso la saggezza organolettica, cui si aggiunge la particolarissima

I vin clair, assemblati, trasformati, manipolati, miscelati, torturati

concezione che i Paillard hanno nei confronti delle fasi successive: il

e scorticati dalla loro pelle, non perdono mai la loro anima.

dégorgement è un trauma, che viene operato dal chirurgo-enologo

Come i grandi artisti che, anche fuori dal loro corpo, ci lasciano

con l’aggiunta della liqueur d’expédition, e che come tutti i traumi

testimonianze eterne del loro passaggio tali da renderli immortali. 73

Foto di Studio Cabrelli

n


Bibenda 53 duemilasedici

La bellezza nascosta di Lanzarote

La bellezza nasco

viti sorte dal magma A

74

n t o n e l l a

A

n s e l m o


osta di

Lanzarote

En esta trepidante y vital energía del cosmos esta’ contenido un insuperable espíritu matemático, orgánica simetría, conceptos extraordinarios del diseño, precisión absoluta y obstinada diversidad de belleza. Lo que siento al ver donde estoy, en César Manrique, Lanzarote.

75


Bibenda 53 duemilasedici

La bellezza nascosta di Lanzarote

Nell’arcipelago delle Canarie, a ovest della costa africana, Lanzarote

degli oltre trecento vulcani distrusse terre coltivate e villaggi, aprì crateri,

sembra affiorare da un sogno inquieto. Un paesaggio liquefatto come

spaccò montagne, sprigionò vapori tossici e lingue di fuoco. Un

nei dipinti di Dalì. L’Isola appare come un brandello di materia caduto

magma incandescente sgorgò dalle alture di Timanfaya, al centro

da altro pianeta, da chissà quale distanza, che affiora casualmente dalle

dell’Isola. Veloce come l’acqua, la colata lavica raggiunse il mare,

acque profonde dell’Oceano Atlantico. Terra antichissima, “bruciata”

lasciando ovunque un’indicibile desolazione. Il Parroco di Yaiza

dai vulcani e rivestita da ondate di lava. Un passaggio infuocato che

Don Andrés Lorenzo Curbelo annotò minuziosamente nel suo

ha generato profonde fessurazioni e tagli neri di tenebre. Le colate

diario l’infernale apocalisse, la fuga degli abitanti, la perdita della

incandescenti hanno seminato cenere, polvere, sculture di pietra,

vita vegetale e animale sull’isola. Diario di una morte progressiva.

baratri, crepacci, coni vulcanici. Anche la luce di Lanzarote è una luce particolare, che nasce dalla fusione di colori contrastanti. Il riverbero

Ma l’uomo non si arrese e dalle ceneri risorse la vita.

della cenere color pece e delle acque oceaniche, blu cobalto, rincorre

Anzi le viti, ossia l’unica agricoltura compatibile con un paesaggio così

l’incrocio dei venti. Il freddo Aliseo, che spira da Nord Est si alterna allo

radicalmente trasfigurato e ostile. Faticosamente la civiltà contadina

Scirocco, vento africano che reca con sé l’inconfondibile polvere rossastra

di Lanzarote osservò a lungo la terra bruciata, le migliori esposizioni

che si solleva dal deserto del Sahara. Per capire l’Isola, la sua natura

e comprese quali fossero le forme da dare all’allevamento della vite

così estrema, occorre abbandonare ogni

e ai manufatti rurali. Una sapienza

immagine rassicurante e accogliente di

che fu generata da esperienza secolare.

luogo vacanziero. Non vi sono palme né

Un’ingegneria senza ingegneri che si

chiassosi stabilimenti balneari. Occorre

perpetuò fino al xx Sec. Poi, sul finire degli

avvicinarsi senza pregiudizi alla sua storia e

anni Sessanta, di fronte alle sfide della

alla forma plastica impressa dalla Natura.

modernità e all’incombente rischio di

Una graduale e faticosa comprensione

speculazione sul territorio, si levò il monito

rende accessibile una Bellezza nascosta,

di una mente sensibile e travolgente:

tanto inaspettata quanto affascinante.

quella di César Manrique. Pittore, scultore, architetto, ecologista, Manrique

76

Nota fin dall’Antichità, perché scalo

si identifica con l’Isola nativa, con la sua

delle rotte fenicie e cartaginesi, l’Isola

storia e con la sua potenza plastica: la

viene “riscoperta” nel 1312 dal navigatore genovese Lanzarotto

“potencia plastica de la isla”. L’essere immerso e in contatto diretto

Marcello, che le lascia il nome. Questi fu cacciato dopo venti anni

con il magma riarso e pietrificato di Timanfaya produce nell’Artista

dalle popolazioni aborigene, i Guanci, tribù probabilmente di origine

un’inquietudine di assoluta libertà e uno strano presentimento

berbera. La conquista definitiva si ebbe nel 1402, sotto la bandiera del

dello spazio e del tempo. Nel 1967 Manrique pubblica “Lanzarote,

Re di Castiglia, ad opera del nobile normanno Jean de Béthencourt.

arquitectura inédita”: manifesto estetico, sociale e politico che ricerca

Nel 1496 i conquistadores annientarono definitivamente la popolazione

i tratti identitari dell’Isola, la saggezza matematica dell’architettura

indigena. Il secolo successivo fu teatro di saccheggi e scorribande da

rurale e la sua bellezza cosmica. La pubblicazione esprime una

parte dei pirati magrebini, che terrorizzarono e spinsero le popolazioni

piena consapevolezza: Lanzarote custodiva esempi meravigliosi e

locali all’interno dell’Isola. Ma gli eventi più drammatici arrivarono in

integralmente funzionali di architettura rurale, dal momento che i

seguito. Lanzarote nel 1730 cambiò volto. Iniziò la sua trasfigurazione

contadini avevano appreso a poco a poco, in ragione della necessità

più dolorosa e impressionante. Dal 1730 al 1736 l’eruzione a ondate

del clima e dei suoli, a dare una forma adatta alle loro case, creando


un’architettura eccelsa. Una classe dirigente colta e attenta fece proprie le intuizioni dell’Artista e dettò regole stringenti di espansione urbanistica e di tipologia architettonica pienamente aderenti alla tradizione contadina, rispettose dell’ambiente e delle risorse naturali. Inoltre l’intera Isola divenne un museo all’aperto, capace di rappresentare la poliedrica concezione estetica ed etica di Cesar Manrique. Tra le opere più famose furono realizzati i Jameos de Agua, il Mirador del Rio, il Giardino dei Cactus, il Mirador de La Peña, il Centro Commerciale di La Vaguada e il lago della Costa de Martiánez. Non mancarono sculture a vento sparse sull’Isola, simbolo inconfondibile degli elementi naturali onnipresenti. L’opera creativa rappresentava il più alto raggiungimento della fusione di Arte e Natura, in cui la Natura è al tempo stesso “creatrice e creatura”. Manrique non fa altro che rielaborare quella forma plastica già forgiata dalla Natura. Il Giardino dei Cactus è una serie suggestiva di terrazzamenti circolari che ospita specie diverse di cactus; la casa Museo-Monumento del Campesino è costruita all’interno di una zona completamente vulcanica, nel pieno rispetto delle vigne adiacenti. L’auditorio naturale dei famosissimi Jameos de Agua, è un complesso di grotte vulcaniche che Manrique ha valorizzato e reso fruibile al pubblico

n

Sopra: alcune opere di

César Manrique. Sotto: l’ingresso degli spettacolari Jameos de Agua.

77


Bibenda 53 duemilasedici

La bellezza nascosta di Lanzarote

attraverso un tracciato dal sapore quasi misterico e iniziatico. La sintesi della produzione artistica è poi rinvenibile nella casa-laboratorio, oggi sede della Fondazione Cesar Manrique, fatta costruire proprio nel bel mezzo della “rota de volcanes”, la strada che porta alla famosa colata che caratterizzò l’eruzione più lunga della storia di Lanzarote. Scriveva Manrique, a proposito di Utopia e Architettura reale: “Un popolo senza cultura è condannato alla rovina. Il primo dei nostri beni culturali è la Natura, è lo spazio in cui viviamo. Questo è il nostro migliore patrimonio”. E la Natura, così aspra a Lanzarote, sa essere anche generosa. Il suo dono più recente è la vite. La vite viene protetta dai

Il vino delle Canarie, Canary o Sack, era assai apprezzato dagli Inglesi già nel Seicento, tanto

venti alisei con l’interramento

da essere più volte menzionato da Shakespeare. Ma a Lanzarote la produzione vinicola iniziò

della piantina in fosse di

più tardi, come disperato adattamento degli uomini alla catastrofe vulcanica. Il cuore del

diverse dimensioni e forme.

paesaggio vitivinicolo si concentra ancora oggi a La Geria, all’interno dell’Isola. Ai piedi del

n

Parco Nazionale di Timanfaya, questo areale offre un paesaggio unico al mondo. Non solo per la sua forma plastica ma soprattutto per il significato dei valori etnografici e ambientali generati da un lavoro titanico di contadini anonimi che con fatica hanno realizzato forme di allevamento in simbiosi con la natura, che qui ha il volto di una distesa di lapilli e di sabbia vulcanica nera. Da qui viene anche la produzione di migliore qualità. La vite, piantata nella terra fertile coperta di cenere - che a Lanzerote è chiamata picon o rofe - viene protetta dai venti alisei, i più dannosi. Per accentuare il riparo viene inserita in fosse di diverse dimensioni e forme. È difficile distinguere tra ciò che è naturale e ciò che è stato realizzato dall’Uomo imitando le forme laviche. L’ Hoyo è un cono rovesciato al cui interno è presente la vite. Le piantagioni in Zanja consistono invece in strutture di muretti bassi e regolari posti in linea retta, con orientamento controvento. Altre forme sono i Chaboco, i Parral e Bancales, che utilizzano i crepacci naturali e sono particolarmente indicate per l’uva Moscatel che necessita di maggiore riserva idrica. L’Isola infatti, priva di acqua dolce, è approvvigionata da acqua del mare desanilizzata. Dunque, per i vigneti c’è solo l’acqua piovana. A fronte di questa scarsità, il rofe favorisce il mantenimento di umidità nel terreno, l’arricchimento di elementi minerali e l’impedimento di eccessiva evaporazione. Ma la sua manutenzione impone interventi continui e costanti. Tutte le operazioni sono rigorosamente manuali. Altra importante caratteristica dei vigneti è la presenza del piede franco, dovuta al fatto che la fillossera non è riuscita a devastare le radici delle viti di Lanzarote. In condizioni così estreme non c’è da stupirsi se la produttività è scarna, tra i 10 e i 15 q/ha, e le vendemmie sono precoci, a causa delle condizioni climatiche che accelerano la maturazione. La varietà tipica è la “Malvasia Volcanica”, un genoma unico, presente nell’Isola, che ha diversi cloni. Questa uva aromatica dona generalmente vini dai sentori di frutta tropicale, di erbe aromatiche, che sono arricchiti da gradevoli nuances agrumate. Altri vitigni autoctoni sono il “Listán”, a bacca bianca o nera, il “Diego”, una varietà tardiva a bacca bianca, ricca di acidi e molto rara. Infine non manca il 78


Moscato di Alessandria. Quest’ultimo, vigoroso e produttivo, matura

non solo perché offre allo sguardo del visitatore i suggestivi panorami

al principio di settembre, e viene vinificato prevalentemente nella

sul Parco Nazionale de Timanfaya, ma perché è dotata di un pittoresco

versione dolce, con surmaturazione degli acini. È molto sensibile alla

ristorante, dove si servono le papas arrugadas e la salsa mojio, di ampia

Botrytis. I sentori che dona al vino ricordano i fiori bianchi, l’acqua

sala di degustazione e di artigianato locale. Le etichette sono dedicate

di rose e la frutta secca.

principalmente alla Malvasia Vulcanica, nelle diverse versioni, nonché

La cantina più antica di La Geria, nel Comune di San Bartolomé, è

ai rossi da macerazione carbonica. Di più recente creazione (2001) è la

la “Bodegas El Grifo”, fondata nel 1775, che vanta anche la presenza

“Bodegas Los Bermejos” che si distingue per una produzione attenta e

del significativo Museo del Vino e conserva ancora bottiglie di

di qualità. La conduzione in vigna è rigorosamente biologica. Lo stile

“Riserva Speciale” del 1881. I vigneti di proprietà si estendono per

di questa azienda valorizza al massimo la selezione dei grappoli e lo

60 ettari, ma vengono anche utilizzate uve provenienti dai contadini

stato di salute dell’uva, condizione imprescindibile per ottenere vini

conferitori. Vi sono molte viti vecchie, alcune delle quali centenarie,

di qualità e salubri. Su una costruzione risalente al XVI Sec., sempre

e in vigna vengono utilizzati solo fertilizzanti naturali. Dalla

in località La Caridad, si trova oggi la “Bodegas Rubicón”. Nel 2012

Malvasia vengono prodotti vini secchi, semisecchi, dolci e il brut da

questa Cantina ha ricevuto la medaglia d’Oro al XVI Berlin Wein

metodo classico. La cantina si sta concentrando negli ultimi tempi

Trophy e il Bacchus d’Oro al X Concorso Internazionale di Vini

nell’elevare il livello di qualità dei rossi, specie quelli da uve Listán, le

Bacchus, di Madrid. Spicca in degustazione il Muscatel dolce, dai

più rare. Non manca poi il progetto di ripresa della produzione del

toni avvolgenti di fiori bianchi, acqua di rose e frutta mediterranea,

Canary, l’antico vino celebrato da Shakespare.

scossi dall’energia della brezza marina.

In località La Caridad, si erge la “Bodegas La Geria”, costruita verso la

Degna e fascinosa conclusione di un viaggio unico, di incomparabile

fine del XIX Sec. dalla famiglia Rijo. Questa é la più visitata dell’Isola,

e inaspettata bellezza. 79


Note di Degustazione

El Grifo Malvasia Brut 87 D.O. Lanzarote 12,5%, Malvasia Volcanica 100% Paglierino tenue, con timidi riflessi dorati. Perlage fine e persistente. Le note delicate di fiori bianchi si fondono con nuances minerali, dal tocco fumè. Mostra una fragranza di frutta tropicale con suggestioni di crosta di pane appena sfornato. La discreta acidità è accompagnata dalla scia sapidissima. Discreta persistenza. Da vendemmia precoce, matura sur lie un anno. Metodo classico con rifermentazione in bottiglia. El Grifo Malvasia Seco 2013 89 D.O. Lanzarote 13%, Malvasia Volcanica 100%. Dall’aspetto color paglierino chiaro. Limpido, sprigiona al naso note suadenti di mela cotogna, fiore di mandorlo e gelsomino. Al gusto è soave, fresco, con accentuata sapidità. Sorprende per la vigorosa progressione in bocca, ampia e sostenuta, che amplifica le prime sensazioni gustative. Yaiza Malvasia Seco 2014 86 D.O. Lanzarote 13%, Malvasia Volcanica 100%. Cristallino, dal colore paglierino con riflessi verdognoli. Esprime intensi sentori di frutta tropicale che si fondono con le note floreali. In bocca è soave, sapido e dona una sensazione gustativa equilibrata e piacevolmente dinamica. La Geria Malvasia Semidulce 2013 86 D.O. Lanzarote, 12,5%, Malvasia Volcanica 100% Paglierino con riflessi color oro. Sprigiona sentori di frutta tropicale, ananas e scorza di limone. Al gusto è avvolgente, con discreto nerbo e impronta sapida. 80


Stratus Malvasia Seco 2014 87 Bianco Spumante Docg - Glera 100% - Gr. 11,5% - € 13 D.O. Lanzarote 13%, Malvasia Volcanica 100% Dal chiaro color paglierino offre sentori fruttati di papaya, mango e frutta della passione. Il marcato carattere minerale è ingentilito dalle note di gelsomino, di finocchio in fiore e scorza di mandarino. L’ingresso è piacevole in bocca e il liquido si espande con buona acidità e persistenza minerale. Pressatura soffice, criomacerazione. Matura 3 mesi sur lie. Bermejo Malvasia Seco 2014 85 D.O. Lanzarote 13%, Malvasia Volcanica 100%. Color paglierino dai riflessi giallo oro, ha un ventaglio olfattivo di fiori gialli, scorza di cedro, fico d’india, finocchietto selvatico. Si espande in finale il sentore delle spezie orientali. In bocca la freschezza citrina è accompagnata da note sapide molto marcate. Equilibrato, meriterebbe maggiore persistenza. Bermejo Diego Seco Bio 2014 87 D.O. Lanzarote 11%, Diego 100% Dal tenue colore paglierino, ha un ventaglio olfattivo dominato dai sentori minerali e fumé. Seguono le note di cedro candito, il miele di agrumi, la frutta a polpa gialla. Al palato è secco, sapido, caratterizzato da sostenuta freschezza citrina. Gradevoli rimandi al pepe bianco nel finale di bocca. Bermejo, Diego Seco, 2014 85 D.O. Lanzarote 11%, Diego 100% Colore paglierino scaldato da riflessi color oro. L’impatto erbaceo è caratterizzato da note di finocchio selvatico e anice. Seguono sentori fumé e agrumati. La freschezza citrina è arricchita da chiara impronta sapida. Il finale ammandorlato non si estende particolarmente nella lunghezza. Rubicón Malvasia Amelia Seco 2014 88 D.O. Lanzarote 13%, Malvasia Volcanica 100% Paglierino. Sentori di pera, spezie orientali, frutta tropicale. Tracce fumé. Morbido e fresco, è caratterizzato da netta sapidità e piacevole lunghezza, con rimandi inaspettati al pepe bianco. Rubicón Malvasia Semidulce 2014 88 D.O. Lanzarote 13%, Malvasia Volcanica 100% Giallo tenue, ha un ventaglio olfattivo marcatamente fruttato. Marmellata di fichi d’india, scorza di mandarino, caramella al miele e tracce minerali. In bocca è morbido, avvolgente, sapidissimo, con suggestioni quasi idrocarburiche. Rubicón Muscatel 2014 89 D.O. Lanzarote 14%, Muscatel 100% Suadenti e affascinati sentori di fiori di arancio, fichi d’india, marzapane, acqua di rose, lichi. Dolce, vibrante e sapido, lascia a lungo impresse le sue suggestioni gustative eleganti e aromatiche. 81


Per la Grappa due grandi passi in avanti

Bibenda 53 duemilasedici

Per la Grappa

due grandi passi in avanti

R

o b e r t o

C

a s t a g n e r

Non tutti gli anni sono uguali, questo vale per tutto, per tutti, e anche per la Grappa. La Grappa, il distillato italiano di bandiera, può brindare a se stessa in questo primo mese dell’anno 2016, perché è uscito il 28 gennaio u.s., dopo oltre quattro anni di attesa, il Decreto Ministeriale n. 747 , che ridefinisce la legislazione in materia di produzione e commercializzazione della Grappa; in particolare riscrive due punti essenziali sulla qualità e sulla serietà della produzione ossia: l’originalità delle sue fasi di produzione ed il processo di invecchiamento della Grappa stessa. Perché bisogna festeggiare? Perché finalmente con questo Decreto si definisce, in maniera inequivocabile, due punti non sufficientemente definiti dalle leggi precedenti sia in 82


campo nazionale che comunitario, evitando quindi ad operatori italiani ed esteri di immettere nel mercato Grappa lontana dai migliori standard qualitativi e con diciture in etichetta spesso dubbie o addirittura ingannevoli per il consumatore. Entriamo nel merito: Il Decreto 747, in tema di scheda tecnica che definisce la produzione, al punto 2 lettera C, dichiara: “La Grappa è un distillato ad indicazione geografica italiana, e alla lettera D: “tutte le fasi di elaborazione della Grappa devono essere effettuate nel territorio dell’indicazione geografica compresa la sua diluizione con l’acqua al grado di consumo e la sua stabilizzazione finale”. Tradotto in concreto significa che da ora la Grappa può essere imbottigliata anche all’estero da operatori stranieri (questo avviene anche per il super protetto Cognac) ma non può più essere spedita dall’Italia a pieno grado, ma solo a grado di consumo e stabilizzata, ossia pronta per essere imbottigliata senza che alcuno possa manipolarne la qualità. In pratica sarà meno economico imbottigliare la Grappa all’estero (doppio costo di trasporto), ma soprattutto la qualità finale sarà determinata dai produttori italiani e non da terzi. È un grande risultato se si considera che nel 2014 è stata esportata Grappa sfusa per imbottigliamento nella misura non inferiore del 15% della produzione totale italiana (l’esportazione totale vale il 25% della produzione nazionale); con il risultato che spesso le bottiglie di Grappa presenti nei punti vendita all’estero avevano una qualità lontana da quella di partenza, recando quindi al nostro distillato un vero danno commerciale oltre che di immagine. Il secondo motivo per festeggiare passa sempre per l’articolo 2 lettera G del recente Decreto 747 in cui si dichiara: “È consentito utilizzare il termine “barrique” nell’etichettatura della Grappa solo quando le stesse barrique sono tenute all’interno del magazzino di invecchiamento e quindi sotto la tutela delle Agenzie delle dogane, per un periodo non inferiore ai 12 mesi, di cui almeno la metà in barrique (il periodo restante anche in botti più grandi). Per la Grappa “Riserva”, l’invecchiamento non deve essere inferiore ai 18 mesi, il periodo minimo di affinamento in barrique deve essere almeno la metà del tempo totale di invecchiamento. n

Roberto Castagner

Un grande risultato di chiarezza per il consumatore che finalmente quando troverà nelle

Acquaviti

Grappe le diciture “Invecchiata” o “Riserva in barrique” potrà aspettarsi un’alta qualità in

Via Bosco 43

linea con la propria aspettativa, ossia una grappa elegante, raffinata, ricca di profumi naturali e

Visnà di Vazzola TV

maturi rilasciati dal legno, ricca anche di nuovi aromi di affinamento quali: vaniglia, uva passa

Tel. 0438 793811

e spezie, aromi che si costruiscono solo e grazie al connubio grappa-barrique.

www.robertocastagner.it

Una Grappa da vero orgoglio italiano, quando l’Italia fa squadra, vince. Grazie quindi al Ministro Maurizio Martina, ai funzionari del Ministro delle politiche Agricole Alimentari e Forestali e ai Distillatori. Tutti insieme abbiamo fatto vincere la Grappa ed il suo futuro, e anche le mie tante barrique da adesso potranno fare sogni migliori. 83


L’altra sponda del Douro

Bibenda 53 duemilasedici

L’altra sponda del Douro G 84

i u l i a n o

L

e m m e


UN MONDO DIVERSO La storia, a volte, è ben strana. Chi avrebbe detto mai, ad esempio, che sarebbe toccato ad un Paese ove la viticoltura è recente e poco sviluppata di giocare un ruolo chiave nella diffusione e nella conoscenza di alcuni dei vini più importanti del mondo? Eppure, questo destino è toccato all’Inghilterra; e non da oggi, quando la globalizzazione, in fondo, pone in stretto contatto i popoli ed i mercati. No: all’Inghilterra ed al suo ruolo sono in vario modo legati da secoli vini oggi amati in tutto il mondo; i clarets di Bordeaux, lo Champagne nella versione brut, il Marsala, lo Jerez/Sherry, il Madeira...ma forse, più di ogni altro, il Porto. Gli Inglesi hanno sempre amato questo vino; lo hanno tanto amato da porlo in abbinamento quasi obbligatorio (e, a mio sommesso avviso, non sempre felice) con il loro formaggio più nobile, 85


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L’altra sponda del Douro

lo Stilton. Del resto, il motivo di tanto entusiasmo è comprensibile: da un lato Portogallo ed Inghilterra hanno legami storici di amicizia, risalenti addirittura al Trattato di Windsor del 1386; dall’altro, per due popoli di navigatori, poter contare sulla serbevolezza di un vino fortificato, che può resistere immune alle traversate oceaniche, era sicuramente un fattore fondamentale. Anche nel Portogallo moderno, quello della Rivoluzione dei Garofani, delle prestigiose università e del ruolo di primo piano in Europa, il Porto rimane un vino fondamentale; il vino che, in un certo senso, identifica l’intero Paese. Tuttavia, in questo articolo non parlerò di Porto. Farei un torto ai tanti giovani ed entusiasti viticoltori di questo Paese se non cercassi di andare oltre lo stereotipo. Voglio dunque, per il tramite di Bibenda, cercare di raccontare all’Italia che c’è un altro Portogallo, anche nel vino. Un Portogallo dove esistono, si dice, 500 varietà d’uva, la stragrande maggioranza delle quali completamente sconosciute già a pochi chilometri dalla frontiera tra il Paese lusitano e la Spagna; un Portogallo che sperimenta nuove tecniche e che crede che il proprio futuro sarà (anche) nei vini secchi; un Portogallo ove le vigne centenarie, co-piantate, testimonianza di un passato eradicato (in senso letterale) altrove, costituiscono spesso la regola, piuttosto che l’eccezione. In questo viaggio ideale alla (ri)scoperta di un Portogallo diverso, voglio partire, provocatoriamente, proprio da quella che è la culla dei vini del Porto; la Valle del Douro. UN FIUME ED I SUOI VINI “Nella regione dell’Alto Douro si produce il vino da quasi duemila anni, ed il suo paesaggio è stato plasmato dalle attività umane. Gli ambienti dell’Alto Douro rappresentano tutte le componenti delle attività connesse con la vitivinicoltura - terrazzamenti, quintas (cantine), villaggi, cappelle e strade. Il Paesaggio culturale dell’Alto Douro è un eccezionale esempio di una regione vinicola tradizionale europea, che riflette l’evoluzione nel tempo delle attività umane”. Con questa motivazione, nel 2001 l’UNESCO iscriveva la Valle del Douro nell’elenco dei siti appartenenti al Patrimonio dell’Umanità (per gli amanti delle statistiche, in quel medesimo anno venne iscritta Villa d’Este a Tivoli). Sono personalmente convinto che lo stesso concetto di “patrimonio dell’umanità” (non, dunque, di un singolo popolo o nazione) sia di incredibile bellezza: in quanto Uomo, quel paesaggio o quel monumento, anche se situato a migliaia di chilometri da dove risiedo, è anche mio. Ma al di là di questo, chi atterri con l’aereo a Porto ed in macchina si diriga verso Peso da Regua, la cittadina ove inizia la zona vincola della Valle del Douro, quando finalmente lascerà l’autostrada e incontrerà per la prima volta il fiume, verrà colto da quella inafferrabile emozione di chi percepisca qualcosa che è totalmente nuovo, ma al tempo stesso familiare, quasi fosse parte del suo patrimonio genetico: i meandri maestosi, le ripe scoscese con pendenze impossibili pazientemente terrazzate dall’Uomo, i boschi. Un paesaggio che parla di 86


n

La spettacolare scalinata del Santuario di Nostra Signora Dos Remédios.

armonia assoluta, e che è così eclatantemente, così superbamente bello da portare ad una immediata identificazione, quasi fosse parte dell’inconscio collettivo junghiano. Il Douro non è un fiume portoghese; o meglio, lo è solo per la minor parte del suo tratto, 213 chilometri su 897; per il resto è in gran parte spagnolo, mentre per un centinaio di chilometri segna il confine tra i due Paesi iberici. Anche in Spagna, Douro (o meglio, Duero, secondo la grafia di quel Paese) significa vino e, significativamente, uno dei più straordinari (basti un nome: Vega Sicilia). Ma in Spagna il paesaggio fluviale è più dolce, le colline meno scoscese. Non dà, o dà in misura minore, la sensazione della forza e della caparbietà dei contadini nello strappare aree coltivabili anche dove sembrava impossibile. E questo non vale solo per la vite: nei terrazzamenti a strapiombo del Douro portoghese l’olivo ha importanza solo di poco minore, e non si può fare a meno di chiedersi con quale sacrificio si possa raccoglierne il frutto, evitando che precipiti direttamente nelle acque. Guidando lungo la strada che costeggia le rive, o magari prendendo il romantico trenino che segue la sponda nord, si noteranno spesso delle curiose barche, una specie di versione ipertrofica delle gondole: sono i barcos rabelos, le imbarcazioni che un tempo trasportavano i barili di Porto da questi luoghi sino a Vila Nova da Gaia, presso la foce, ove il vino, per una legge imposta dagli Inglesi, proprietari della maggior parte delle case vinicole, doveva essere imbottigliato. Oggi i barcos trasportano in maggioranza turisti; ma a volte, saggiandone lo stomaco e scorgendone il volto beato, viene da pensare che siano pieni di vino in misura solo marginalmente inferiore ai vecchi barili. 87


Bibenda 53 duemilasedici

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L’altra sponda del Douro

VITICOLTURA ANTICA, PROSPETTIVE MODERNE

la cui fermentazione, spesso, era già iniziata. L’affinamento avveniva

Il Porto, almeno dall’800, è stato sempre considerato il vino per

esclusivamente in vecchie botti. La nouvelle vague introdusse i tini

eccellenza del Douro; i vini secchi non fortificati (che pure erano

di acciaio a temperatura controllata, la barrique, i lieviti selezionati,

creati da tempo) erano visti alla stregua di prodotti minori, classificati

nel tentativo di dare ai vini maggior morbidezza e bevibilità. Fu la

nella stessa patria come vinhos de mesa, vini da tavola e da consumo

svolta: improvvisamente, il Mondo si accorse che nel Douro (e nel

quotidiano. Samuel Johnson, nel ‘700, tuonava “claret is the liquor

Portogallo) si facevano vini diversi dai Porto e dai Madeira, in grado di

for boys; port is for men” (i vini secchi sono da ragazzi, il Porto è per

competere con i migliori prodotti internazionali. Questo non significa

gli uomini). Certo, come testimonial del Porto Johnson era forse

che il Portogallo sia divenuto uno dei tanti Paesi vinicoli standardizzati

leggermente parziale, visto che si vantava di berne anche tre bottiglie

e piegati al gusto internazionale. In verità, almeno nel medio periodo,

a pasto (e, quel che è più sorprendente, di non esserne mai ubriaco).

non potrà per fortuna mai essere così. A rendere unica la vitivinicoltura

Sicuramente, tuttavia, le sue affermazioni ben danno conto del

del Douro vi sono due fattori fondamentali: l’età delle vigne, e le

sentimento generale verso questo vino, che riecheggiavano, un secolo

varietà presenti. Come accennavo, è impressionante la quantità di

dopo, nelle parole di un altro testimone quantomeno sospetto, il

vinhas velhas, vigne vecchie, che si riscontra in questa regione. 60, 70,

console britannico Oswald Crawford, che paragonava il “Porto non

100 anni sono tutt’altro che infrequenti. Del resto, vista la ripidità dei

fortificato” ad un Borgogna di scarsa qualità cui fosse stato aggiunto

terrazzamenti, i costi di espianto e reimpianto sono talmente proibitivi,

un colorante… Tutto cambia, in fondo, quando il Portogallo,

da scoraggiare il rinnovo dei vigneti. L’altro fattore è quello della varietà

scrollatosi di dosso la dittatura di Salazar,

di uve presenti nello stesso vigneto. La co-

si aprì all’Europa. Nel 1979 viene creata

piantagione, tradizionale in molte parti del

la DOC Douro, destinata ai vini non

Mondo ma progressivamente abbandonata

fortificati. L’interesse è grande ma, all’inizio,

per l’ovvia problematicità della gestione,

non mancano le difficoltà. Molti produttori,

specie in vendemmia, qui è ancora piuttosto

non a torto, erano convinti che non valesse

comune. Il Portogallo è uno dei Paesi del

la pena di produrre vini poco conosciuti,

mondo che vanta il maggior numero di

e per di più da bere entro pochi anni,

varietà autoctone, e nello stesso vigneto

quando gli stessi vini, con l’aggiunta di

sono spesso presenti 30 vitigni, sia a bacca

alcol, potevano essere trasformati nel ben

bianca che a bacca rossa. Molti produttori

più noto e più serbevole Porto. Non solo:

continuano a raccogliere e a vinificare

caratteristica di molte delle uve a bacca

contemporaneamente tutto ciò che è

rossa coltivate nel Douro è la fierezza dei

presente nel loro vigneto, con il risultato

tannini, ammansita dal residuo zuccherino e dall’alcolicità nei vini

di dare una maggior complessità ed un tocco di esotismo ai vini,

fortificati, ma viceversa ben avvertibile in quelli non fortificati. Per

che vedono la contemporanea presenza, ad esempio, di Donzelinho

ovviare a questo problema, alcuni produttori decisero pertanto di

Branco, Malvasia Fina, Viosinho, Gouveio, Rabigato oppure Tinta

cambiare radicalmente il metodo di vinificazione. Tradizionalmente,

Roriz, Tinta Barroca, Tinta Cão, Tinta Amarela, Bastardo, Touriga

le uve appena raccolte, non diraspate, venivano collocate nei lagares,

Franca, Touriga Nacional, Mourisco Tinto, Sousão…. Le varietà

grandi vasche di granito. Terminata la vendemmia, i raccoglitori, dopo

internazionali (vitigni bordolesi e Chardonnay) non sono sconosciute,

un lauto pasto (il Portogallo non è noto per le porzioni da nouvelle

ma ancora, per fortuna, sono presenti in maniera marginale. Quanto

cuisine…) si tiravano su i pantaloni e pigiavano con i piedi le uve,

ai suoli, lo scisto è di gran lunga prevalente, e spiega il carattere molto


minerale (spesso elegantemente fumé) dei vini. Climaticamente, invece, si possono distinguere tre aree, da ovest verso est: il Baixo Corgo, dal clima umido e fresco, il Cima Corgo, equilibrato, ed il Douro Superior, arido e spesso torrido, verso il confine spagnolo. Sono inevitabilmente le prime due aree a dare vini più interessanti per la vinificazione non fortificata, mentre dal Douro Superior vengono tipicamente i Porto Vintage. Un quadro ideale ed idilliaco, dunque? Sì e no. Se i vini sono interessanti, complessi e con grandi potenzialità evolutive, sia in bianco che in rosso, ma c’è ancora una tendenza ad esagerare con l’uso della barrique nuova, specie con i rossi, e gli aromi vanigliati sono spesso soverchianti. Peccati di gioventù, che il tempo, sono sicuro, saprà sanare. TRE PRODUTTORI EMBLEMATICI Le Quintas della Valle del Douro, anche le più legate al Porto, come Quinta do Noval o Sandeman, si sono negli ultimi anni largamente dedicate anche ai vini secchi. La scelta dunque è estremamente ampia; per questo articolo, ho voluto visitare tre aziende con storia, tradizione e dimensioni molto diverse: Quinta Nova de Nossa Senhora do Carmo, Quinta do Portal, Wine & Soul. Quinta Nova, come spesso viene abbreviata, non è certamente… nuova, come il nome

89


Bibenda 53 duemilasedici

L’altra sponda del Douro

suggerirebbe, visto che l’anno di fondazione è il 1764. Gli attuali proprietari, la famiglia Amorim, la acquisirono dopo varie vicende nel 1999, per coronare il loro sogno di ampliare la loro attività principale, la produzione dei tappi di sughero, con la vinificazione. Dal sugello del contenitore al riempimento con il contenuto, insomma. La posizione è splendida: a mezza costa, su un’ansa del Douro, la vecchia cantina ed una minuscola chiesetta sono poste accanto a moderne strutture e ad un bell’agriturismo. I vigneti si estendono per circa 120 ettari, con pendenze spesso superiori ai 45°, ed altitudini medie intorno ai 200 mslm. Le rese, in queste condizioni, sono naturalmente basse (intorno ai 40 quintali per ettaro), ma gli Amorim non se ne preoccupano certo, visto che il loro dichiarato intento è di puntare sulla qualità. Anche se le tecniche di vinificazione sono in gran parte moderne, la tradizione è gelosamente conservata per le Grandes Reservas, per le quali si utilizzano ancora i vecchi lagares in granito. Molte le etichette: ben 16, divise su cinque linee principali. I Quinta Nova sono i classici vini rossi secchi della tenuta, divisi, secondo la tradizione della Penisola Iberica, in Colheita, Reserva e Gran Reserva, secondo il periodo di affinamento. Il top, selezione dei migliori vigneti, è il Gran Reserva Referência. I Mirabilis, in versione bianca e rossa, sono altri vini Gran Reserva di riferimento, decisamente da attendere. Appena un livello sotto i Grainha, sempre in versione bianca e rossa, classificati come Reserva, mentre i base sono costituiti dalla linea Pomares. Infine, i fortificati: oltre ai Porto, in versione Ruby, Late Bottled Vintage e Vintage, c’è anche un interessante Moscatel, dagli aromi suadenti che ricordano da vicino i Muscat de Baumes de Venice francesi. La degustazione ha luogo in una bella sala che ricorda molto da vicino la biblioteca di un Country Club inglese. L’addetta, inizialmente un po’ distaccata, cambia completamente atteggiamento quando porgiamo il biglietto da visita del BEM e dichiariamo il motivo per cui siamo venuti. Mette subito da parte le bottiglie “standard” che aveva preparato e ci fa assaggiare vini più importanti. Segue con ansia la nostra conversazione, tentando, lo si comprende, di capire al di là della barriera linguistica (non immensa, in fondo), se apprezziamo ciò che stiamo degustando. I nostri volti debbono essere eloquenti, perché alla fine ci congeda con grandi sorrisi. Molto diversa, per un insieme di motivi, è la visita da Quinta do Portal. Qui la tradizione nella produzione dei vini fortificati è relativamente recente per gli standard della zona (circa un secolo), ma la famiglia Mansilha, che ne è proprietaria, risulta essere vissuta nel Douro dal 1477, quando il re Alfonso V le assegnò una porzione di terra. È solo da una ventina d’anni, però, che questa grande azienda si è dedicata alla produzione di vini secchi, secondo un progetto ben definito: agricoltura sostenibile, valorizzazione dei terrazzamenti sui vigneti scoscesi (sino al 60%!), realizzazione di microvinificazioni per esperimenti sui vitigni (a partire dal Moscatel, visto che la famiglia è originaria di Favaios, patria portoghese di questo vitigno) e sui cru. Oltre all’azienda principale, sono gestite altre tre quintas: Quinta do Confradeiro, Quinta dos Muros, Quinta da Abelheira. L’arrivo in cantina ci fa capire la filosofia dell’approccio: l’edificio, enorme, ha un design architettonico bellissimo ma un po’ spiazzante, con il colore rosso che si inserisce nel paesaggio 90


circostante con un pizzico di brutalità. Anche l’accoglienza è più

Il nome dell’azienda, moderno ed evocativo, farebbe pensare ad una

impersonale: una ragazza che parla un perfetto inglese ma con un

cantina di design, ad un’accoglienza efficiente ma impersonale, ad

forte accento americano ci introduce brevemente all’enorme barricaia,

un vino buono, ma molto costruito. Rimaniamo dunque sconcertati

ci spiega a cosa serva il legno per il vino (la fermiamo chiarendo che

quando, arrivati nel piccolo paesino di Vale de Mendiz, scorgiamo un

non siamo proprio novizi nel campo) e ci guida direttamente alla

piccolo edificio bianco, grazioso ma rustico, con la scritta Wine & Soul.

grande sala degustazione, chiedendoci di scegliere, tra varie formule a

Entriamo, e la prima cosa che scorgiamo sono tre grandi lagares

pagamento, cosa ci interessa assaggiare.

dove due ragazzi stanno pestando le uve. Spettacolo unico, con

I vini, lo dico a prescindere dall’accoglienza, sono ben fatti, ma non molto

il sapore d’altri tempi; l’odore del mosto è inebriante più del vino

espressivi. Fa eccezione il Porto Tawny 20 years, veramente un gran bel

stesso. Veniamo fatti accomodare su un piccolo balcone, e presto ci

bere, che rivela come, nonostante la progettualità e gli investimenti sui

raggiunge Sandra Tavares da Silva. Si illumina, quando le diciamo che

vini secchi, Quinta do Portal abbia ancora il cuore nei fortificati.

siamo italiani, ed ancor più quando riveliamo che siamo di Bibenda,

L’ultima visita è a Wine & Soul; e qui scocca la scintilla. Si tratta

che ben conosce e che leggeva al tempo dei suoi studi piacentini. La

dell’azienda di gran lunga più recente: due giovani enologi, coppia

presenza di un gruppo di Svedesi ci impone di comunicare in Inglese,

nel lavoro e nella vita, Sandra Tavares da Silva e Jorge Seròdio Borges,

ma ogni tanto Sandra si rivolge a noi con il suo ottimo Italiano.

nel 2001 decidono di fare il vino per sé stessi, e non solo per gli altri.

Sandra è certamente una persona carismatica, dal fascino discreto ma

Entrambi hanno alle spalle studi italiani (lei all’Università Cattolica,

immediatamente percepibile. Colpisce certamente per la bellezza,

sede di Piacenza, lui all’Ateneo di Reggio Calabria), entrambi vengono

ma anche per l’entusiasmo che mette nel parlare delle creature sue e

considerati la nuova generazione del vino portoghese. Acquisiscono

del marito; quei vini che hanno coronato un sogno, per il quale si è

un vigneto vecchissimo, di circa ottant’anni, con trenta (sic!) diverse

trasferita dalla sua Lisbona nel Douro. Ci parla allora dei tanti sacrifici,

varietà co-piantate. Fanno un primo esperimento, un vin de garage, e

anche familiari, che comporta vivere fuori di una grande città, ma

lo chiamano Pintas. La critica internazionale è subito entusiasta, e così

anche della calma, dei ritmi di vita riconciliati, della soddisfazione

Sandra e Jorge progressivamente espandono la produzione; creano

per i riconoscimenti che sta ottenendo. I vini, le cui note degustative

un’altra etichetta, Manoella Vinhas Velhas, da un vigneto piantato

estendo in chiusura, sono davvero convincenti. Ricchi di anima,

alla fine dell’800, due etichette base (Pintas Character e Manoella), un

emozionanti, senza alcun sentore soverchio di legno. Rappresentano,

bianco, il Guru, e due Porto, un Tawny ed un Vintage.

davvero, the Soul, l’anima. L’anima dell’altra sponda del Douro. 91


Note di Degustazione

QUINTA DO PORTAL t

QUINTA NOVA DE NOSSA SENHORA DO CARMO t

89

Grainha Branco Reserva 2014 (Viosinho, Gouveio, Fernando Piras e Rabigato) Paglierino chiaro, non molto limpido. Sensazioni minerali, quasi di granito fuso, poi cedro e scorza di limone, un frutto più dolce di albicocca e nespola, ma anche zenzero candito e pepe. Ricorda nettamente, per mineralità e carattere, un Marsanne del Rodano settentrionale. In bocca ha notevole freschezza, netta sapidità e grande persistenza. Molto convincente, e con discreto potenziale evolutivo.

t

91

Quinta Nova Grande Reserva 2013 (Touriga Nacional ed altre varietà delle vigne più vecchie) Rubino con unghia porpora. Rispetto al Colheita, mantiene i sentori fruttati (netti i richiami di mirtillo, mora e frutti di bosco in generale) ma in un quadro ben più complesso, di grande definizione stilistica. La mineralità viaggia continuamente dal fumé al salmastro all’ematico, quasi elusiva; la speziatura ricorda nettamente il pan di spezie. In bocca il tannino è setosissimo, la lunghezza notevole su un’idea di scorza di agrume. Buono adesso, ma tra tre-quattro anni darà il meglio ed evolverà positivamente per almeno tre lustri.

85

Quinta Nova Colheita 2011 (Touriga Nacional, Touriga Franca, Tinta Roriz, Tinta Cão) Rubino cupo. Il naso ha impatto goloso di frutta, specie mora e lampone, ma anche violetta e peonia, speziatura dolce, un’idea di fumé. Irresistibile portarlo alla bocca, dove rivela una inaspettata freschezza ed un ottimo allungo fruttato. Grande versatilità negli abbinamenti, anche con il pesce. 92

t

t

86

Cla Ruby Special Reserve Port (Touriga Nacional, Touriga Franca, Tinta Roriz, Tinta Amarela, Tinto Cão, Souzão e Tinta Barroca) Cupissimo rubino. Al naso si identificano subito prugna sotto spirito, sciroppo di mirtillo, gingerbread, note delicatamente ossidative che non segnano comunque l’impressione complessiva. La dolcezza e l’alcol sono ben tenuti a bada dall’acidità, ed il sorso è discretamente lungo e molto appagante.

87

Moscatel Reserva 2004 (Moscatel Galego Branco) Ambra. Tipico il naso, con salvia, muschio, cipria e rosa in primo piano, mentre l’anima del sud Europa è testimoniata da origano e maggiorana, con sullo sfondo una sensazione quasi di caramello bruciato. In bocca è caldo, intenso ed ammaliante; forse un po’ meno lungo rispetto alle attese.

t t

85

Portal Grande Reserva 2007 (Touriga Nacional Tinta Roriz, Touriga Franca) Tra il rubino ed il granato, molto scuro. Al naso sensazioni di tamarindo, fico dottato, giuggiola, allora, ciliegia matura, ribes, eucalipto e terra umida; ha anima decisamente scura e mediterranea al tempo stesso. In bocca è gradevole ed equilibrato, la beva è sciolta. Pecca leggermente sulla persistenza.

91

Porto Tawny 20yo (Touriga Franca, Tinta Barroca, Tinta Roriz, Touriga Nacional e a.v.) Granato con riflessi arancio. Gran naso, con mallo di noce e scorza di agrume candito che vanno a braccetto in un quadro ammaliante che rivela presto anche bazar orientale, fiori appassiti, reti da pesca stese al sole. Fresco ed equilibrato, ha lunga persistenza sulle note fruttate e speziate.


WINE & SOUL t

88

Guru 2014 (Gouveio, Viosinho, Rabigato, Codega do Larinho da suoli scistoso/granitici, esposti a nord) Paglierino chiaro. Naso decisamente minerale, soprattutto giocato tra note fumé e di roccia fusa, poi pepe, susina, sentori delicatamente floreali, che richiamano, nel complesso, una versione più austera di un bianco etneo. Molto fresco, ha bisogno di qualche anno per esprimersi al meglio, ma già affascina ed intriga. Lungo.

t

85

Manoella 2013 (Touriga Nacional, Touriga Franca, Tinta Roriz, Tinta Francisca) Porpora scuro. Decisamente giocato, all’impatto, sulla frutta rossa matura e sulle bacche di bosco, ma intriga per speziatura e, ancora una volta, per la vena minerale, di roccia frantumata e scaldata dal sole. Ci sono anche scorza di arancia e violetta, che rimangono discretamente sullo sfondo. In bocca ha sensazione decisamente salata, ma non manca certo di freschezza.

t

90

Pintas Character 2013 (30 varietà diverse da unico vigneto) Rubino cupo: al naso è scuro, di spezie indiane come il cumino e la curcuma, poi si evidenziano goudron, viola e rosa appassite, eucalipto e ciliegia, con più di una suggestione borgognona. Verticale ed elegante, si distende su note di frutta croccante, humus e liquirizia.

t

90

Pintas 2013 (30 varietà da un vigneto di 80 anni) Profondo rubino. Rispetto al Character è inizialmente più giocoso, con mora e mirtillo in evidenza che fanno quasi pensare ad un Sagrantino, una speziatura dolce (nettissimi il chiodo di garofano ed il pepe di Szechuan), ricordi di menta e di rosa fresca che invitano all’assaggio. In bocca stupisce per bevibilità e complessità che si uniscono in un matrimonio di amore; lunghissimo, invecchierà alla grande.

t

93

Quinta da Manoella Vinhas Velhas 2013 (20 varietà da vigneto ultracentenario) Tra il rubino ed il granato. Speziatura inebriante, seguita da erbe medicinali, resina di cipresso, un frutto dolce quasi inafferrabile (ribes? giuggiola? fico?), foglia di eucalipto, mineralità leggiadra. Elegante come Catherine Deneuve, anche in bocca mostra la sua classe ed sensualità. Lunghezza incredibile e potenziale evolutivo davvero notevole. 93

t

90

Porto Tawny 10yo (varietà tradizionali) Granato con bordo mattone: naso molto peculiare, che ricorda un concentrato di frutta secca (specie dattero ed uvetta), torta di noci, curry, gelatina di chinotto. Dolce ma non assolutamente stucchevole, ha chiusura su note di pralina al caffè che indugiano a lungo in bocca. 90 93


Bibenda 53 duemilasedici

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VINOCULT.IT UN LIBRO IN UN CLICK, UN CLICK IN UN LIBRO Il vino ha bisogno del cibo per esaltarsi e, viceversa, il nettare di bacco è quasi sempre la miglior bevanda per accompagnare i pasti (colazione a parte s’intende). Saper abbinare il vino al cibo però non è un gioco da ragazzi, anche se Fede&Tinto rimangono per sempre i ragazzi di “sommelier ma non troppo”. Per trovare il vino giusto non bisogna certo affidarsi al fattore c. (caso :-D) bisogna seguire un metodo, studiare. Per questo il sito vinocult.it diventa un libro. Vinocult.it è nato circa un anno fa dalla sana follia di Fede&Tinto, le “voci pop” del vino italiano di Rai Radio Due, l’esperienza della Fondazione Italiana Sommelier, il più importante punto di riferimento per la cultura del vino in Italia, GialloZafferano, e Wine Dreamers, società specializzata nel marketing del vino. I Latini però dicevano: “internet volant verba manent” così non poteva mancare il libro Vinocult, un manuale per capire quali sono i segreti che stanno alla base del successo del matrimonio enogastronomico. L’immediatezza del web e la tangibilità della carta, tutto questo per capire che siamo di fronte ad una’arte (da imparare e mettere da parte) perché se sbaglia il vino il sapore del piatto può cambiare, in peggio, e viceversa. Gli abbinamenti vanno dunque fatti seguendo un metodo. Quale? In tv spesso vediamo i sommelier abbinare un vino a una ricetta ma alla fine del loro intervento poche volte riusciamo a capire il perché di quella scelta. Stiamo a malapena iniziando a comprendere il linguaggio per la descrizione del vino, figuriamoci se riusciamo ad assimilare l’interazione dei tannini del Sangiovese con la succulenza a tendenza dolce di una bistecca di Chianina al sangue! Non è facile, le variabili che intervengono ogni qualvolta ricerchiamo l’accostamento perfetto sono moltissime e a volte imprevedibili. Quando però l’alchimia si realizza si può veder balenare un lampo di ammirata sorpresa anche negli occhi dei gourmet più navigati. Non si tratta certo di una scienza esatta ma un metodo c’è: bisogna imparare a scorporare le molteplici sensazioni aromatiche e tattili di vino e cibo, analizzarle separatamente e sposarle fra loro per concordanza o contrapposizione. Come nelle migliori coppie chi somiglia si piglia ma anche gli opposti si attraggono. Si tratta di una tecnica da apprendere gradualmente attraverso l’esperienza ma che pian piano diverrà intuitiva. Proprio questo argomento è il filo conduttore del nostro nuovo

libro intitolato

precisamente “Vinocult. Il corretto abbinamento fra cibo e vino secondo i sommelier ma non troppo” edito da Rai Eri e realizzato in collaborazione con la Fondazione Italiana Sommelier. Le ricette pubblicate sul libro saranno invece a cura di I love Italian Food. Un vero e proprio “libro di testo” a disposizione dei migliaia di visitatori che ogni giorno con un semplice click trovano la giusta bottiglia per ogni ricetta (e viceversa). Buona navigazione e buona lettura! 95


Bibenda 53 duemilasedici

Bordeaux, toujours

Bordeaux,

toujours G

i o v a n n i

A

*

s c i o n e

RAPPRESENTA LA STORIA E L’ANIMA DEL VINO MONDIALE, IL MODELLO DI RIFERIMENTO PIÙ IMPORTANTE, DA IMITARE O DA NEGARE, DA AMARE O DA ODIARE. DOPO GLI IMMENSI SUCCESSI A CAVALLO DEI DUE SECOLI ED IL RALLENTAMENTO DEGLI ULTIMISSIMI ANNI, VALE LA PENA ANALIZZARE IL REALE STATO DI SALUTE DELLA SUPERPOTENZA GIRONDINA. ANCHE ATTRAVERSO LA DEGUSTAZIONE DI UNA SERIE DI BOTTIGLIE STRAORDINARIE.

*(sempre) 96


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Bibenda 53 duemilasedici

Bordeaux, toujours

È il destino dei potenti, tanti onori e successi, poi in poco tempo altrettante spalle voltate. Bordeaux ha dominato il panorama del vino mondiale in maniera quasi incontrastata dagli anni Ottanta a tutto il primo decennio del nuovo secolo. Lo ha fatto sia direttamente, sostenendo una crescita impressionante dei prezzi dei suoi vini più rappresentativi, sia indirettamente, attraverso le glorie di etichette che si ispiravano dichiaratamente al suo stile, tanto nel nuovo quanto nel vecchio mondo. Ma le crescite non durano mai all’infinito e, dopo aver subito l’epopea della Borgogna sulle pagine stampate e virtuali dell’Europa del vino, Bordeaux ha incassato un rallentamento anche nella considerazione e nella disponibilità a spendere da parte dei mercati più caldi, Far-East in primis. Conta poco notare come ciò abbia toccato in realtà nomi di entrambi gli schieramenti, o entrare nel merito delle annate, o ancora delle situazioni economiche dei paesi emergenti, perché resta l’inevitabile recrudescenza che ha subito il dibattito tra i due mondi. Tanto che basta citare Bordeaux in certi contesti per essere guardati subito un po’ di sbieco, come dei nemici dei valori del vero vino, del puro territorio, della passione sincera, così diversi dai supporter più impegnati ed appassionati della Borgogna, paladini della terra, della naturalità e della semplicità. Paradossi a parte, viene da pensare che, invece, sia proprio questa costante ricerca dello scontro e della contrapposizione, quest’ossessione per la militanza, tanto evidente proprio nel vino 2.0, ad essere nemica della passione sincera. Se parlare bene dei grandi Bordeaux significa automaticamente svilire i grandi Borgogna e viceversa, forse il capolinea è davvero arrivato. Lo yin e lo yang, la destra e la sinistra, il maschio e la femmina sono complementari, si esaltano a vicenda nel confronto e, insieme, fanno bello questo mondo. LA CASA DEL GRANDE VINO Se ha davvero poco senso ricordare tutta la storia bordolese, forse vale comunque la pena ripercorrerne alcune tappe fondamentali, soprattutto per l’impronta che ancora oggi lasciano in maniera evidente. Conta ricordare che i Romani hanno avuto un ruolo, anche e soprattutto qui, in particolare sulla dura collina calcarea di Saint-Émilion. Vigna del console Ausonio a parte, come noto ancora in perfetta forma, è qui che tutto nasce, con una tradizione mai finita, e che anzi ha progressivamente contagiato nei secoli le aree circostanti. Tanto l’altopiano argilloso attorno al paesino virtuale di Pomerol, quanto la zona sud-occidentale direttamente a ridosso della grande città, del suo porto, dei suoi soldi, delle sue infinite potenzialità commerciali hanno visto un’inarrestabile sviluppo tra il XVII e il XVIII secolo, sviluppo coronato proprio dai successi dei vini provenienti dalle drenanti e pietrose campagne di Pessac. Poi, quando la fama dei pallidi rossi girondini si è trasformata nel successo mondiale dei new french claret, HautBrion in testa, servivano nuovi terreni dove poter investire, terreni individuati a sinistra della Gironda, in vecchie paludi bonificate dagli olandesi, delle vere pietraie a cielo aperto, divenute così luogo ideale per riproporre lo stile delle Graves. Da allora è solo storia recente, perché tale 98


è l’ultima delle tante classificazioni ufficiali, quella del 1855. Valida ed in forma come non mai, è inimitabile, come dimostrano i progressivi insuccessi di altri strumenti analoghi, a partire da quella decennale di Saint-Émilion, con troppe complessità ed altrettanti ricorsi amministrativi. Perché la vera grandezza del sistema Bordeaux sta proprio nell’essere stato sempre moderno, nell’aver saputo sempre giocare d’anticipo, nel non aver mai avuto paura di osare e di farlo in maniera palese, raccontata e spiegata. Così sono state le scelte post-fillosseriche, con una seleziona draconiana dei vitigni su cui puntare, così sono state le decisioni che hanno portato negli anni ottanta al sistema delle vendite en primeur, così sono le nuove tendenze che rimettono in discussione proprio queste regole e cercano un miglior contatto diretto con la clientela. Allo stesso modo, anche a Bordeaux, l’ultimo decennio ha portato un massiccio ritorno alla cura della vigna, che si aggiunge comunque ad una grande sensibilità storica verso la ricerca della miglior vocazione di ogni suolo rispetto al vitigno. Anche nelle zone più lontane dagli château principali, è davvero difficile trovare varietà posizionate in maniera sbagliata; l’attenzione alle caratteristiche del suolo, semplificabile nella predilezione dei Cabernet per terreni sciolti, sabbiosi o ciottolosi, e del Merlot per quelli freschi e compatti, quindi argillosi, c’è sempre stata, solo resa meno evidente da suoli mediamente molto più omogenei rispetto a quanto siamo abituati ad avere in altre zone vinicole, Borgogna in primis. Se il più esteso Grand Cru, Clos de Vougeot, ammonta a cinquanta ettari, peraltro ripartiti su di un’ottantina di proprietari, peraltro ancora con sensibilissime differenze al suo interno, nel Médoc non è infrequente avere singoli château attorno ai cento ettari vitati e con un’omogeneità enormemente superiore. 99


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Bordeaux, toujours

CRU PIÙ CHE MAI I grandi Bordeaux sono vini di territorio, lo sono fino in fondo, né si può pensare che lo siano di meno solo perché ottenibili in quantità sensibilmente superiori. Paradossalmente, se ci si muove nell’eccellenza assoluta, è più facile fare un grande vino in quantità piccolissime che in decine o centinaia di migliaia di bottiglie. Pensare che un vigneron perda il sonno e la salute nella ricerca ossessiva del miglior grappolo è qualcosa che riusciamo ad immaginare, meno il lavoro di una squadra enorme di tecnici ed operai, coadiuvati da tutto quello che la tecnologia riesce di volta in volta a mettere in campo, tesi ad ottenere comunque lo stesso risultato. La barrique, o giù di lì, di Musigny che ogni anno prova a fare Christophe Roumier è più o meno difficile da ottenere dei 1.500/2.000 ettolitri di Lafite che vengono prodotti ogni anno? Certo, aiuta un sistema di gestione dei secondi e terzi vini che dovrebbe dare sbocco alle uve ed alle partire meno degne, sistema che troppe poche volte vede precisa corrispondenza con declassamenti a ranghi inferiori in altre zone francesi; ma resta il fatto che l’intero sistema dei grandi vini girondini è prima di tutto una questione di terroir, esattamente prima di essere una questione di soldi, aziende, finanza e lobby. Quando si passeggia nelle vigne di Pomerol, ad esempio, in quei pochi metri di dislivello tra la cima dell’altopiano di Catusseau e la sua base, c’è una delle classificazioni naturali più forti ed evidenti del globo. La purezza delle argille nere che fanno nascere Petrus si diluisce man mano che la mini-collina digrada verso argille diverse e suoli più sabbiosi o pietrosi, la massima concentrazione di Merlot vede così l’incunearsi di Cabernet Franc e perfino del Cabernet Sauvignon. Stessa cosa si potrebbe raccontare delle sfumature delle vigne del Médoc, dell’identità dei suoi villaggi, oppure del peso del calcare, come accennato in precedenza, nei pendii che salgono a Saint-Émilion. Del resto, non è affatto una novità il principio della nuova, bellissima ed arcinota cantina di Cheval Blanc, dove le vasche di vinificazione sono tarate perfettamente sulle potenzialità di ognuna delle singole particelle in cui è frazionata la proprietà. Sono molte le cantine che ragionano in questo modo, anzi sono praticamente tutte quelle che occupano i posti più importanti della denominazione. L’arte del blend che caratterizza Bordeaux non deve essere pensata solo come capacità di dosare i diversi vitigni in funzione delle annate, ma anche e soprattutto come maestria nel gestire l’insieme delle particelle e la capacità di esprimersi di ciascuna. Chi ha la fortuna di potersene regalare una verticale non può non restare immediatamente colpito dal peso del millesimo e dalla diversità che la percorre, all’opposto di tanti recenti luoghi comuni che hanno portato a dipingere i grandi Bordeaux come una sorta di Champagne sans-année sempre uguali a se stessi. 100


IN GRAN FORMA

in una fase parossistica del mercato. Tanto è bastato per sentir recitati

Bordeaux non è una zona calda, si distribuisce tra il 44° ed il 45°

tanti de profundis definitivi, proprio mentre arrivava un’ottima annata

parallelo, riceve mille vantaggi dalla vicinanza dell’oceano, ringrazia le

2014 a far volgere di nuovo verso l’alto qualità, giudizi, aspettative e

sue correnti d’aria ed al tempo stesso la capacità di temperarle da parte

prezzi (normalmente incrementati del 10/20%, ma con punte del 50).

del calmo bacino simil-lacustre della Gironda, ma resta un luogo dove

Probabilmente, causa soprattutto la più generale situazione dei mercati

il sole ed il caldo sono preziosi alleati e dove il peso delle annate si fa

mondiali, non si arriverà così facilmente alle quotazioni precedenti, ma

sentire mille volte più che alle nostre latitudini. Se è vero che si tratta

l’inversione di tendenza è stata netta ed inequivocabile, sancendo un

dei luoghi in cui i Cabernet ed il Merlot raggiungono le maturazioni

ottimo stato di forma della piazza bordolese. Chiunque, semplicemente

migliori, con tempi più lunghi e con zuccheri che tendono a completarsi

collegandosi con internet al Liv-ex, può farsene facilmente un’idea. Il

insieme al perfezionamento dei tannini, è anche vero che tutto ciò non

primo, ed ancora sostanzialmente unico, indice dei grandi vini della

è affatto scontato ed automatico. Per questo la storia è segnata proprio

terra, nasce attorno a Bordeaux ed ancora basa il grosso degli studi

dal ritmo delle grandi annate, anzi dei blocchi di grandi annate. Gli

sulle sue etichette principali, nonostante le progressive aperture ad altri

strappi in avanti nella considerazione ricevuta e nelle conseguenti

paesi, Italia inclusa. Gli château girondini di altissima qualità sono

quotazioni coincidono con millesimi eccezionali, meglio se non isolati.

tanti, il loro calcolo può variare, ma si arriva facilmente ad oltre un

Se il successo incredibile della 82 è stato in parte dovuto anche al basso

centinaio anche nelle valutazioni più restrittive. La trasparenza è totale,

livello delle annate precedenti, va poi evidenziato il ruolo decisivo del

i dati sugli scambi ufficiali sono aggiornati in tempo reale come nei

biennio 89-90 per l’ingresso trionfale negli anni novanta, oppure il

mercati puramente finanziari e tutti, anche il semplice appassionato,

ruolo delle 2005-2009-2010 nei record più recenti. Ma il meccanismo

possono informarsi nel dettaglio. Certo, tutto questo crea un alone di

funziona anche al contrario, ed il perseverare di annate negative porta

prosaicità che contribuisce ad abbassarne il fascino, ma basta mettersi

facilmente ad un raffreddamento del binomio giudizio-valore di

davanti ad una bottiglia, meglio se non giovanissima, e ci si dimentica

mercato. È quello che è accaduto recentemente con gli anni 2011-

molto facilmente di tanti retropensieri, rimanendo solo con tanta

2012-2013, inferiori ai due che li hanno preceduti, peraltro arrivati

classe e tanta bevibilità. 101


Bibenda 53 duemilasedici

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Bordeaux, toujours

ROBERT E MICHAEL

claret e giunti fin da subito ad un livello di concentrazione e potenza

In Borgogna si cerca la potenza, a Bordeaux l’eleganza. Ecco la

più che accettabile, la cultura di chi produce e quella di chi compra e

frase chiave, facilmente in grado di far replicare immediati e cruenti

beve si sono concentrate soprattutto sulla finezza. Elemento forse in

scontri tra guelfi e ghibellini. Eppure è sacrosanta, perché a nord

parte fuorviante è l’ossessione per i profumi, che per un grande vino

e sud di Beaune, da sempre, i vigneti ed i vini di massimo valore

bordolese devono sempre essere pulitissimi ma al tempo stesso intensi;

sono sempre stati quelli in grado di avere più potenza. Un Grand

ecco, se si parla di ricchezza ed impatto aromatico, la potenza c’è tutta,

Cru è tale e sopravanza il vicino Premier Cru per mille motivi,

ma al palato è comunque l’eleganza il vero obiettivo. Bordeaux, come

ma sempre perché in grado di dare più forza, più definizione, più

altre volte sottolineato tra le pagine di Bibenda, è stata la principale

ricchezza al vino. Questo non significa affatto negare l’immensa

vittima di luoghi comuni che poco avevano a che vedere con la sua

classe e bevibilità che raggiungono i grandi di Borgogna, perché è

vera identità. È diventata una zona sempre più misconosciuta, sempre

solo un dato di fatto, è solo la reale testimonianza del modo in cui

più vittima di un’immagine data molto più dai suoi cloni che da se

vi si affronta la vigna o si vive il vino che ne deriva. Al contrario,

stessa. E così i tagli bordolesi provenienti da ogni parte del mondo,

a Bordeaux, da sempre è l’eleganza il valore massimo cui agognare.

cicciotti, alcolici, pieni di legno nuovo, praticamente indigesti, che

Fatto il grande salto di qualità nel settecento, abbandonati i vecchi

hanno riempito le carte e gli scaffali per un paio di decenni, hanno


preso il posto dei loro modelli iniziali ed hanno finito per sconvolgere

troverebbe in disaccordo il più integralista degli amanti dell’eleganza,

un’immagine di eleganza costruita in secoli di storia. Certo, non

ed è difficile non condividere la quasi totalità dei punteggi dati ai

sono mancate derive del genere neanche a Bordeaux e, a dirla tutta,

vini più importanti. Poi, alcuni hanno cominciato ad esagerare con

neanche in Borgogna, ma non è su questa fase storica in via di

le concentrazioni, ma soprattutto al di fuori delle aree migliori, e mai

definitiva chiusura che ci si dovrebbe soffermare. Del resto la stessa

tra i più grandi. Forse non si può dire esattamente la stessa cosa per

critica di matrice anglosassone, quella che ha sancito e contribuito in

tante altre zone viticole, ma per Bordeaux l’avvocato di Baltimora

maniera determinante a fissare il successo degli ultimi trent’anni, non

resta davvero un riferimento assoluto, anch’egli vittima dei suoi cloni

ha mai veramente amato i vini pesanti. Robert Parker Junior, tanto

e dei suoi discepoli. Lo dimostra l’assonanza con l’altra campana,

per fare un esempio a caso, inizia a scrivere di Bordeaux proprio su di

quella del giornalismo inglese, quella di Michael Broadbent, forse a

un’annata estremamente calda, la mitica 82, ma non bisogna pensare

tutto tondo il più grande ed autorevole esperto di vino del nostro

che quei vini fossero grassi e flaccidi, semmai il contrario, visto che se

piccolo pianeta. Anche se i punti di perfetta concordanza sono

una critica possono ricevere oggi è proprio quella di essere ancora un

pochi, anche se i punti di vista e, soprattutto, lo stile di critica sono

po’ indietro. Si era ancora in una fase pre-tecnologica, quando era più

totalmente diversi, entrambi hanno trovato accordo sulle annate e

difficile lavorare in vigna ed in cantina e quando le annate calde erano

sulle etichette bordolesi più significative, in particolare nei riassaggi a

una vera grazia di Dio. Poi arrivarono altre annate positive, ottime

distanza di tempo. Broadbent è più ironico, distaccato, meno diretto

per esaltare al meglio il sistema del punteggio centesimale, la 85, la

ed apparentemente lineare, Parker è immediato, senza sfumature,

trilogia di fine decennio, fino alla 95, l’ultima delle annate classiche,

con pochi dubbi, ma entrambi hanno amato Bordeaux come e più di

l’ultima prima del repentino ingresso delle macchine, dei computer e

ogni altra cosa ed entrambi, sì anche Parker, hanno amato soprattutto

di un po’ di scienza. Fino ad allora non uno dei vini amati da Parker

l’eleganza nei più grandi Bordeaux.

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Bordeaux, toujours

COSA BERE OGGI Il vero problema di Bordeaux, e ormai ampiamente anche della Borgogna, è il livello dei prezzi raggiunto dalle ultime grandi annate. Un acquisto fatto su internet, lontano dal servizio di un gran ristorante, di una delle venti o trenta etichette top, esclusi beninteso Pétrus e Le Pin, richiede facilmente alcune centinaia di euro, laddove solo una quindicina di anni fa servivano cifre sempre inferiori ad un quarto. Le grandi speculazioni iniziate nella seconda metà del decennio scorso e continuate fino a tre anni fa o poco più hanno prodotto un allontanamento quasi totale da parte del pubblico europeo, ed italiano in particolare, dai grandi Bordeaux. È davvero n

Le grandi speculazioni iniziate

difficile, ai limiti dell’impossibile, trovare queste etichette nelle carte dei vini italiane, impossibile

nel decennio scorso e continuate

pretendere investimenti del genere da chicchessia. Così, se proprio si vuole, si trovano annate

fino a tre anni fa hanno prodotto

minori, neanche recentissime, piazzate in carta comunque a cifre che non vale quasi mai la pena

un allontanamento da parte del

di sborsare. Conviene più affidarsi alle vecchie annate, magari anche abbastanza importanti, ma

pubblico europeo, ed italiano in

che hanno avuto prezzi d’uscita molto più bassi e che sono rimaste poco visibili alle suddette

particolare, dai grandi Bordeaux.

speculazioni; si tratta di millesimi molto buoni, ma non tra i più celebrati in assoluto, vini che hanno avuto una gran riuscita solo in alcune zone o presso alcuni château, e che riescono ad essere preda di appassionati che dedicano notti su notti, oltre che porzioni comunque non insignificanti delle proprie entrate, alla ricerca di questi piccoli tesori. Per il resto, tocca desistere, anche perché ci sono due enormi fantasmi che aleggiano sull’acquisto dei grandi Bordeaux, la qualità della conservazione e la presenza di tanti falsi. Il primo è strettamente legato all’esigenza di dare anni di vetro a questi vini. Se un grande Borgogna, con tutte le cautele del caso, può essere considerato molto godibile anche all’inizio, questo diviene sicuramente meno vero per un esemplare girondino. Non certo perché all’uscita si tratti di vini squilibrati, perché un grande è sempre tale e non è mai squilibrato, ma solo perché è insita nel progetto stesso di un vino bordolese l’esigenza di affrontare il tempo, di stratificarsi con gli anni, di completare il percorso per dare il meglio. Quindi, bottiglie che sono passate di mano in mano, che hanno affrontato, magari proprio nei primi anni della loro vita, delle condizioni di conservazioni poco curate, nonostante l’inimitabile dote di resistenza ad ogni stress dei nostri eroi, potrebbero riservare delle delusioni cocenti. Tutto questo è acuito in maniera esponenziale dal problema degli imbrogli, che proprio i vini di Bordeaux, più che quelli di Borgogna, vedono al primo posto. Il motivo è da ricercare proprio nella più ampia disponibilità numerica iniziale, quindi con minori probabilità di poter dare piena tracciabilità al falso flacone. Se si apre un costoso Médoc degli anni Ottanta e ne viene fuori un vino buono, più che buono, ma non straordinario come ci si aspetterebbe, cosa bisogna pensare? Che quell’etichetta, in fondo, è in fase definitivamente calante, che la bottiglia è stata conservata male, che il tappo è arrivato a fine carriera oppure che si tratta solo di un buon falso d’autore? Così torna in auge, se si posseggono vini del genere, la poco economica procedura di ritappatura tanto decantata e poi condannata ad inizio secolo, che permette almeno di avere la garanzia della qualità che si conserva in cantina, oltre a fissarne un valore certo.

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UN BORDEAUX È PER SEMPRE

l’assaggio dei 2000, annata calda, arrivata proprio al culmine

Chi ha avuto la fortuna di bere, anche recentemente, bottiglie

della fase parossistica mondiale dei vini concentrati, è spiazzante,

del 47 (Cheval Blanc, ad esempio), del 45 (Margaux, per fare

perché invece si finisce per parlare solo di eleganza e bevibilità.

un altro nome), del 21, del 28 o del 29 ha sicuramente qualcosa

Vieppiù se si viaggia ancor più indietro nel tempo, se si toccano le

da raccontare ai nipoti, così come ormai accade anche a chi

innate finezze, mai vere durezze, dei 95 oppure, a ritroso, vini che

riesce a bere dei 59 o dei 61. Campioni del genere sono ormai

sembrano appartenere ad epoche diverse, come gli 88 o gli 89, gli

diventati anche gli 82 o i 90, così come, purtroppo, perfino i

86 o gli 85. Bottiglie che mostrano gradazioni alcoliche che non

recentissimi 2005, 2009 e 2010. Ma l’assoluta gioventù che

superano mai i 13 gradi alcolici e che spesso si fermano a 12,5

traspare all’assaggio di vini che hanno da quindici anni in su è

se non a 12, in denominazioni che ricorrono al saccarosio e che

difficilmente raccontabile a parole. Una dimostrazione alla cieca

dimostrano in questo caso come il vero obiettivo di un vino, anche

avrebbe ancora l’effetto di depistare la stragrande maggioranza di

di un vino dichiaratamente pensato per la longevità, sia sempre e

esperti ed appassionati. Nelle annate più grandi, si giunge quasi

comunque l’equilibrio. Un equilibrio che va trovato a tutti i livelli,

ad avere una sorta di regressione giovanilistica, che porta i vini a

compreso quello della critica, rimettendo le cose al giusto posto,

sembrare via via più integri man mano che passa il tempo, come se

decretando i giusti onori e meriti e riconoscendo finalmente a

con i decenni il progetto che ne era alla base, aiutato da millesimi

Bordeaux il pieno ed indiscutibile ruolo che merita nella storia,

straordinari, finisse sempre per venir fuori. L’effetto che oggi fa

nel presente e nel futuro del vino mondiale. 105


Le Degustazioni Le degustazioni sono avvenute nel mese di settembre 2015, presso la Rimessa Roscioli di Roma, con bottiglie normalmente provenienti dal mercato secondario, a volte direttamente dall’acquisto in asta. I vini sono stati stappati due ore prima della degustazione e tenuti a temperatura di cantina, tra i 15° ed i 16°C, fino al momento dell’immissione nella sala di degustazione, dove la temperatura era di 19°C. I bicchieri erano tulipani di medie dimensioni, precedentemente avvinati. Per ogni vino viene riportato un valore indicativo medio tratto dal sito winesearcher.com, per bottiglie che, purtroppo, quasi mai sono disponibili direttamente in Italia. Il prezzo reale rischia così di essere sensibilmente più alto, senza contare l’esigenza di retribuire anche la conservazione e il servizio, nel caso in cui l’acquisto avvenga in un’enoteca o in un ristorante.

u Château Montrose 2000 I Saint-Estèphe sono i vini più austeri del Médoc, quelli più a nord, ma Montrose, definito spesso il Latour di Saint-Estèphe, riesce sempre a dare tanta classe ad ogni suo millesimo. È un Deuxième Cru Classé del 1855 ed ha una superficie di poco più di 68 ettari, splendidamente distribuiti in rettangoli regolari, con una quota del 65% di Cabernet Sauvignon. Il 2000 sorprende per delicatezza, a partire dal colore, con sensazioni fresche, di frutti di bosco rossi, lievi sentori balsamici e spezie piccanti. Bocca con tannini che ricordano le tipiche durezze del villaggio di provenienza, ma sempre inquadrati in un contesto maturo ed elegante. Vino ancora giovane ed in perfetta forma. Quotazioni medie di poco inferiori a 200 euro. u Château Léoville Las Cases 2000 Las Cases è sicuramente il più nobile e quotato dei Léoville di Saint-Julien, classificato Deuxième nel 1855, ma spesso aggiunto al gruppo dei Premier. Forte di ben 97 ettari, si estende dai margini della statale alla Gironda, con una quota di Cabernet Sauvignon attorno al 65%. Tutta l’eleganza del cru e di Saint-Julien sembra ancora un po’ nascosta da un primo profilo scuro e minerale, con sfumature terrose. Ma già la bocca comincia a raccontare una storia di finezza ed immensa longevità, con tannini di gran classe, tanta freschezza ed una persistenza molto importante. Decisamente all’inizio di una lunga vita, almeno quarantennale. Quotazioni medie superiori a 300 euro. u Vieux Château Certan 2000 Una delle scelte più interessanti, sempre, nell’intero panorama bordolese. Tra i più eleganti Pomerol, nei suoi 14 ettari ha una quota di Cabernet Franc che raggiunge il 30% ed una di Cabernet Sauvignon che tocca il 10, dunque un rischio per i freddi terreni dell’altopiano di Catusseau. Ma Vieux Certan è garanzia di finezza, classe e tanta leggerezza, come conferma questo 2000 floreale, giovanissimo, con sentori di fragoline di bosco ed erbette aromatiche al naso e pura seta al palato, dove gli allunghi nel finale non si contano. Costantemente uno degli acquisti più intelligenti della denominazione, in quest’annata ha una quotazione media attorno ai 220 euro. 106


u Vieux Château Certan 1998 L’annata non è univoca, con riuscite mediamente molto superiori per i Merlot rispetto ai due Cabernet. Vieux Certan parte benissimo nel bicchiere, sfoggiando una sorprendente potenza di naso, tutta giocata su toni di frutti di bosco, spezie dolci e sfumature chinate. In bocca è subito più rotondo delle attese, più potente e meno agile di altre annate o di altri vini della stessa annata a confronto. Paragoni che rendono meno positivo il tasso di gradevolezza al passare dei minuti nel bicchiere, quando sensazioni di oliva nera in salamoia e corteccia di pino tendono a prendere il sopravvento, testimoniando di una bottiglia decisamente tra le meno fortunate per questo grande château di Pomerol. Quotazioni medie attorno ai 200 euro. u Château La Mission Haut-Brion 1998 L’alter ego di Haut-Brion, con cui ha rivaleggiato per qualche secolo prima di esserne acquisito nel 1983, si trova proprio di fronte al fratello maggiore. Ha una superficie di 21 ettari vitati a bacca rossa ed una quota molto alta di Merlot, pari al 45%, di poco inferiore al quella del Cabernet Sauvignon. Il 98 è eleganza allo stato puro, tutto fiori, viola in particolare, ribes rosso, erbe aromatiche e bacche di ginepro. Bocca fresca, gradevolmente balsamica, lunga, con tutta la dolcezza di frutto che regalano le chiusure dei primi della classe. La sottilissima nota verde di clorofilla che lo percorre dal naso al palato finisce per essere un gradito ingrediente e non pone alcun dubbio sulla piena maturità delle uve in partenza. Quotazioni mediamente superiori ai 300 euro. u Château Cheval Blanc 1998 Nonostante l’annata non sia considerata tra le più grandi, questo vino lo è, senza se e senza ma. Lo stesso Parker, che lo aveva accolto con un po’ di freddezza all’inizio, con il passare degli anni ha più volte corretto il tiro a sancirne l’assoluta grandezza. Vino stratificato all’infinito, con un naso che parte austero e compatto e che poi comincia ad inanellare una caleidoscopica serie di sentori che avrebbe poco senso provare a riportare tutti; basti solo dire che apre su atmosfere più cupe, con toni di incenso, sandalo e spezie piccanti, per poi chiudere su freschissime sensazioni di mentuccia o anice. Bocca impressionante per finezza e persistenza, fusa come non mai e tanto lunga quanto cangiante. Insomma, un vino da dover bere settimanalmente per capirlo a fondo, meglio se da magnum. Intanto le quotazioni medie lo attestano attorno ai 500 euro. u Château Gruaud-Larose 1995 Tutta la finezza di Saint-Julien fusa a quella di una grande annata classicheggiante come la 1995, per un Gruaud-Larose di rara eleganza. La proprietà è bellissima, forte di 82 ettari tutt’attorno allo château, con una quota di Cabernet Sauvignon che raggiunge solo il 57%, grazie al 30% di Merlot. Naso di pepe rosa, fiori freschi e chiari, ribes rosso; bocca sorprendentemente leggera, con una trama tannica fine e molto ben fusa ai ritorni di frutta. Un tocco sapido regala la voglia di riassaggiarlo ed arricchisce un lungo finale dalle sfumature più calde. Quotazioni medie attorno ai 100 euro. u Château La Mission Haut-Brion 1995 C’è ancora tutta la nervosità che contraddistingue questo splendido château dal suo ancor più famoso e prestigioso dirimpettaio. L’annata

è interpretata alla perfezione e sembrerebbe quasi inutile dilungarsi nel parlare della finezza che lo contraddistingue in ogni millesimo, in ogni bottiglia. La freschezza è impressionante, tutta basata su sottili toni balsamici e prorompenti sensazioni di erbette aromatiche, per un naso che diventa sontuoso man mano che prendono piede anche i toni di frutta rossa e di spezie piccanti. Palato fresco, minerale, con una lunga chiusura dominata dalla dolcezza della frutta e dall’immancabile timbro fumé. Quotazioni medie attorno ai 250 euro. u Château Figeac 1995 Figeac è una proprietà importante a Saint-Émilion, forte di ben 39 ettari, piantati quasi in parti uguali tra i tre vitigni bordolesi principali. Gode di una stabile posizione di Premier Grand Cru Classé B nel travagliato quadro della classificazione ufficiale e riesce a sfoggiare millesimi spesso molto interessanti, tra i pochi in grado di avvicinarsi al mito di Cheval Blanc. Il 1995 regala un gran naso di purezza e velluto, con l’avvolgenza della frutta rossa mossa da improvvisi sbuffi balsamici e speziati. Al palato è altrettanto gradevole e vivo, con una discreta lunghezza ed una piena godibilità, tanto da non far pensare ad ulteriori evoluzioni in bottiglia. Quotazioni medie attorno a 150 euro. u Vieux Château Certan 1990 Vino immenso, in grado di raccontare in pochi sorsi l’intera identità, tanto dello château e della sua classe innata, quanto dell’intera denominazione. Un Pomerol rappresentativo, quasi divulgativo, in cui la completezza e la pienezza non significano mai eccesso. Il naso è austero, a tratti scuro, all’inizio dominato da spezie più piccanti, seguite poi da un’incalzante trama minerale rocciosa, a sua volta fusa a richiami floreali freschi; immancabile anche una vena fruttata rossa a tenere insieme l’intera impalcatura aromatica. La bocca è altrettanto magnifica, soave eppure fresca, intensa eppure leggera, con un’infinita chiusura su toni dolci, ma di quel dolce di frutto che solo i grandi vini sanno davvero regalare. Quotazioni medie leggermente al di sopra di 250 euro, a conferma di un costante, ottimo rapporto prezzo-valore, sempre ai vertici assoluti della riva destra. u Château Pichon Longueville Comtesse de Lalande 1988 Pichon Comtesse è uno dei Deuxième più nobili, situato in una posizione di gran prestigio, a ridosso di Latour, forte di ben 85 ettari. La sua caratteristica storica è la presenza di un terzo di Merlot, ben al di sopra delle medie del Médoc. Suadenza e setosità sono le sue doti classiche, confermate solo in parte, però, dall’interpretazione di un millesimo che pure ha regalato molte soddisfazioni anche sulla riva sinistra. Il naso è fresco, vivo, rosso, molto balsamico, ma resta un lieve filo verde che va ad accompagnarne anche la bocca; finale in leggero affanno, segno di una maturità ormai più che raggiunta. Quotazioni medie sui 150 euro. u Château Cheval Blanc 1988 Cheval Blanc è un vino che difficilmente delude, pur partendo sempre da aspettative altissime. L’88 è stato un ottimo millesimo sulla riva destra, ad esaltare le doti di uno château che da sempre segna una sorta di punto di contatto tra il mondo di Saint-Émilion e quello di Pomerol, anche grazie ad una quota di Merlot che sfiora il 40% del totale delle vigne. Naso elegantissimo, che muove da sensazioni di tabacco di sigaro e si apre progressivamente a richiami di frutta rossa, poi nera, con crescenti note minerali. 107


Bocca esotica, ricca di spezie orientali, con una chiusura che sa di curcuma e che sembra non finire mai. Quotazioni attorno ai 400 euro. u Vieux Château Certan 1988 La meticolosità dei Thienpont traspare sempre, come dimostra questo 88 dal naso compatto, fruttato, che impiega qualche minuto per prendere forma nei suoi toni minerali, a tratti floreali, sempre austeri ed intriganti; un profilo aromatico che suggerisce continui ritorni nel bicchiere, regalando una progressiva apertura verso sensazioni via via più chiare rispetto a quelle iniziali. Bocca più ricca e calda delle attese, con un una vena sapida che riesce a bilanciare molto bene il tutto, prima di un bell’allungo finale alla frutta. Quotazioni attorno a 150 euro. u Château Pichon Longueville Comtesse de Lalande 1986 Se l’86 non è stata l’annata della storia per la riva destra, è stata sicuramente eccezionale per la riva sinistra ed il Médoc in particolare. Lo testimonia questa versione della Comtesse de Lalande così elegante, soave, speziata e minerale al naso, da sembrare più giovane di almeno vent’anni. In bocca, poi, è fresca, intatta, con una persistente vena di frutti rossi ed una trama sapida altrettanto profonda ed intrigante. Il finale è lungo, dolce di frutta, finemente speziato e molto dinamico. Quotazioni medie di circa 220 euro. u Château Margaux 1986 Mito del 1855, Margaux da sempre rappresenta tutta la finezza in grado di esprimere il suo omonimo comune. Gli ettari vitati dello château sono poco più di ottanta, con una dozzina di essi dedicati al bianco, mentre il Cabernet Sauvignon ha una quota molto importante e raggiunge il 75%. Il timbro iniziale di ciliegia nera, fragola e rosa rossa sembra subito sancirne il marchio di fabbrica, insieme però a sensazioni che virano presto verso note minerali terrose e ferrose, che lo appesantisco notevolmente. Anche in bocca, l’entusiasmo iniziale tende a lasciare il posto a note sorprendentemente evolute, conseguenza evidente più della storia della bottiglia che dell’intera annata da Margaux. La lunghezza è intatta, ma macchiata da una personalità ormai distorta. Quotazioni medie attorno ai 600 euro. u Château Haut-Brion 1985 Mito della riva sinistra, quintessenza della storia moderna di Bordeaux, Haut-Brion è un mostro sacro cui ci si approccia sempre con aspettative altissime. La finezza e l’impronta che riescono ad assicurare i sui 43 ettari, sia in bianco che in rosso, difficilmente si dimenticano. Naso estremamente intrigante, di viola, pot-pourri di fiori di campo, ribes rosso, con sbuffi di cuoio a squarciare il concerto floreale e fruttato iniziale. Bocca dai ritorni balsamici, elegante, sapida come non mai, con un tasso di bevibilità semplicemente impressionante. Chiusura lunga, articolata, dinamica, anch’essa segnata da qualche lieve venatura animale. Quotazioni medie attorno ai 500 euro. u Château Haut-Brion 1983 Il 1983 è stato un millesimo non annoverabile tra i più grandi, schiacciato dal suo predecessore, ma non è neanche tra i peggiori. Lo conferma un Haut-Brion che riesce ancora a dire bene la sua dopo oltre trent’anni. Fresco, minerale, tanto austero all’inizio quanto più immediato e leggibile man mano che resta nel bicchiere, ha una bocca più 108

che gradevole, succosa, sapida, che invita al riassaggio e che in chiusura rende evidente una venatura animale che lo percorre in tutta la sua lunghezza. Manca lo slancio finale della grandi annate, ma finché resta presente è davvero un piacere. Quotazioni medie attorno a 350 euro. u Château Cheval Blanc 1983 In un’annata che ha dato davvero poche cose buone nella riva destra, spicca uno Cheval Blanc tutto eleganza e bevibilità, che resta intatto nonostante gli oltre tre decenni passati in bottiglia e che sembra continuare a reggere molto bene. Naso con un impatto balsamico, poi di spezie piccanti, infine di minerali terrosi, con la frutta in secondo piano. Bocca ancora in forma, fresca, guizzante, coerente, con una chiusura dai toni lievemente affumicati; non un mostro di lunghezza, ma davvero di immensa gradevolezza. Quotazioni medie oltre i 500 euro. u Château Cos d’Estournel 1982 Campione di Saint-Estèphe, Deuxième Cru Classé nel 1855, oltre ad essere noto per la sua inconfondibile architettura orientaleggiante e, oggi, per una cantina tra le più moderne ed imitate al mondo, è sicuramente da considerare uno dei più interessanti château della sua categoria. I vigneti ammontano a 64 ettari e vedono una presenza abbastanza importante di Merlot, pari al 38%, con il Cabernet Sauvignon al di sotto del sessanta. Il vino è inevitabilmente austero, minerale e speziato, con poche aperture floreali e con un’importante presenza di piccoli frutti neri; bocca piena, perfettamente equilibrata, con tannini tesi ma integrati e con una chiusura sapida molto gradevole. Anche se Cos non è normalmente considerato tra gli 82 più grandi, probabilmente quella degustata è stata comunque una bottiglia al di sotto della performance attesa. Quotazioni medie attorno ai 400 euro. u Château Ducru-Beaucaillou 1982 Per molti, probabilmente a ragione, Ducru-Beaucaillou è considerato uno dei vini più rappresentativi dell’intero Médoc, una sorta di baricentro ideale tra le varie anime che lo percorrono. Gli ettari vitati sono 50, distribuiti lungo la Gironda e, come evoca il nome stesso, si tratta di una distesa infinita di sassi bianchi variamente modellati; il Cabernet Sauvignon rappresenta il 65% della superficie, il Merlot il 25%. Gran naso di caffè, con note di spezie orientali e di tabacco conciato alla frutta; bocca fresca, decisamente sapida, arricchita da continui ritorni fruttati, ciliegia matura su tutti. Bottiglia godibilissima, eppure da considerare leggermente sotto performante, tanto rispetto alle aspettative quanto in confronto con gli altri 82. Quotazioni medie di poco superiori ai 350 euro. u Château Palmer 1982 Troisième Cru Classé nel 1855, nei millesimi più riusciti sa a confrontarsi alla pari con le più alte espressioni del Médoc. I suoi cinquanta ettari vedono esclusivamente pietre garonnesi, le più nobili, con una presenza addirittura paritaria tra Cabernet Sauvignon e Merlot, entrambi al 47%, per un saldo nient’affatto insignificante di Petit Verdot. L’impronta di frutto selvatico classica di Palmer c’è tutta, insieme ad un ventaglio di sensazioni lievemente balsamiche e decisamente speziate. Palato fine, in piena coerenza con le sensazioni olfattive, con una freschezza costante, che sfocia in un finale lungo, dolce di frutto, gradevolissimo. Quotazioni medie attorno a 260 euro.


u Château Ausone 1982 Simbolo delle origini romane dell’intera regione, questo château si trova nel sito della villa e della vigna del proconsole Ausonio. È il luogo chiaramente migliore attorno al villaggio di Saint-Émilion ed è fuor dubbio il costante riconoscimento di Premier Grand Cru Classé categoria A. I 7,5 ettari vitati vedono ancora un patrimonio di ceppi centenari, anche se non prefillosserici, che porta ad avere rese e disponibilità di prodotto particolarmente basse, a tutto discapito dei prezzi. Ausone significa garanzia di grandissimi nasi, sempre e comunque, come confermato da un profilo intenso di frutta, spezie orientali, incenso, tabacco e roccia bagnata. Palato leggermente meno intenso ed espresso, con un bel profilo fruttato a chiudere, ma senza gli allunghi e la classe superiore che esprime l’olfatto. Quotazioni medie superiori a 600 euro. u Château Pichon Longueville Comtesse de Lalande 1982 Grandissima annata, grandissimo vino, a partire da un naso possente, ancora ricco, giovane, pieno di note floreali e di frutta fresca, ma al tempo stesso originale, profondo, carnoso, con note di fragola, tabasco, macis. La potenza di Pauillac si conferma al palato, dove però il gioco caldo-fresco ed il ruolo dell’acidità e della sapidità non danno mai alcuna sensazione di pesantezza e richiamano sempre nuovi sorsi; come se tutta la forza si sviluppasse in lunghezza, mai in larghezza. Un vino da bere benissimo oggi, ma sicuramente destinato anche ad ulteriori decenni di serena bottiglia. Quotazioni medie attorno ai 700 euro. u Château Léoville Las Cases 1982 Definire monumentale, come merita di essere classificato questo vino, potrebbe far pensare a qualcosa di potente, eccessivamente ricco ed ingombrante. Invece la sua grandezza assoluta sta nel riuscire ad inchiodare alla sedia senza mai pesare, nell’essere sfaccettato e cangiante pur mantenendo un profilo coerentissimo, dal naso alla chiusura di bocca. Colpisce soprattutto un profilo olfattivo dall’incredibile florealità, soave, accattivante, quasi femminile, per una bocca che riceve un lieve timbro caldo dall’annata, ma che al tempo stesso si lascia ricordare soprattutto per la leggiadria; finale con lunghezza e dinamismo da record. Quotazioni medie attorno ai 500 euro. u Château La Conseillante 1982 La Conseillante si trova a cavallo tra Saint-Émilion e Pomerol, rappresentandone uno dei punti di contatto anche stilistici. Nei suoi 12 ettari il Merlot raggiunge il 75%, con il saldo interamente di Cabernet Franc. Negli anni novanta ha avuto un leggero appannamento, ma dal nuovo secolo è ritornata agli standard che le sono più congeniali. Il 1982 è semplicemente splendido, solare, elegante, vellutato ed avvolgente a partire dal naso, con un palato che si sviluppa tutto attorno a sensazioni fruttate estremamente dolci ed eleganti, per un allungo finale intenso, appagante e mai stucchevole. Quotazioni attorno ai 400 euro. u Château L’Évangile 1982 La lunga storia di questo delizioso château di Pomerol ha visto un passaggio epocale con l’ingresso del barone Éric de Rothschild nel 1989 e l’acquisto del 70% della proprietà, divenuto il 100% nel 1999. Da allora tutto è cambiato, dalla gestione dei 16 ettari di vigna alla cantina, con uno stile che, nonostante una quota vicina all’80% di Merlot, in gioventù tende a richiamare spesso le durezze dei Médoc. Intanto il 1982 non delude affatto le attese derivanti dall’annata e sfoggia una versione di rara intensità, con un naso di china, ginepro, bacca di eucalipto e mora, cui segue un palato particolarmente ricco e potente, probabilmente solo un passo indietro rispetto alle eleganze di altri grandi pari annata assaggiati in contemporanea. Quotazioni medie sui 500 euro. u Château La Mission Haut-Brion 1978 Non un’annata memorabile a Bordeaux, su entrambe le rive, eppure comunque ai vertici di un decennio davvero difficile attorno alla Gironda. Ma questo Haut-Brion è pura emozione, a partire da un naso dalla freschezza imbarazzante, con sensazioni floreali e di amarena che farebbero pensare ad un vino con almeno trent’anni di meno. Il profilo olfattivo si completa con sbuffi minerali e richiami speziati che si alternano e cambiano volto in continuazione, man mano che l’ossigeno riprende confidenza con il vino. Bocca primaverile, di pura grazia, dolce e succosa come una bacca appena raccolta; chiusura che lascia solo una grandissima voglia di riberlo. Quotazioni medie attorno ai 520 euro. 109


famosi i Ristoranti dei

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Da anni, ormai, personaggi noti si dedicano alla carriera, affrontano la vita pubblica con un sorriso, talvolta amaro ma, nel privato, decidono di essere loro stessi avviando attivitĂ che li tengono ancora legati al pubblico.

Forse aggrada loro stare a contatto con la

gente, chiacchierare, scattare una foto quando indossano realmente il loro panni. Non è sempre facile essere se stessi ma, il cibo ed il vino sono complici perfetti.

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Sul percorso di due delle vie consolari più celebri, la Nomentana e la Salaria, a pochi chilometri dalla Capitale, si erge il piccolo comune di Monterotondo, cittadina insignita di Medaglia d’Argento Militare per la resistenza e la forza dimostrata dai cittadini durante il secondo conflitto mondiale. Proprio qui a via Cavour 1-5 è possibile trovare dietro il bancone l’ormai volto noto cinematografico Marco Giallini. Si tratta di una persona discreta, disponibile che ha conservato la sua semplicità sebbene, negli anni , sia divenuto un attore di cinema sempre più richiesto. L’idea del ristorante? Un connubio di simpatia, creatività e determinazione tra l’artista e l’altrettanto estroverso cognato Roberto Altobelli amante del buon cibo e del buon vino. UnoCinque Osteria Contemporanea è un luogo accogliente nel quale il personale tende a far sentire gli avventori a proprio agio. Il rosso ed il nero sono i colori predominanti e diversi gli spazi che offrono la possibilità di assaggiare pietanze classiche ma con un tocco di contemporaneità, proprio come preannuncia il nome del locale, sia negli ingredienti che nell’impiattamento. È possibile degustare ottimi hamburger di pollo, di manzo, preparati al momento con carni selezionate o verdure nel caso in cui ci si trovasse ad accontentare un cliente vegetariano. È possibile ancora assaggiare cocktail, temporeggiare con un sorso di vino o dissetarsi con una birra. Circa 45 i coperti, per cui, si è serviti con attenzione e meticolosità. Lo chef? Paola Giuliani, giovane donna, possiede la costanza e la pazienza di preparare la pasta proprio come le nostre nonne. La colonna portante del menù resta la cucina romana con i classici cacio e pepe, carbonara ed amatriciana eseguiti in modo tradizionale e con prodotti di qualità. Inoltre ci si può tuffare nelle pietanze stagionali in cui gli ingredienti offrono il meglio di sé come i raviolacci fatti in casa con scorza di limone e carciofi. Interessanti gli abbinamenti tra legumi e pesce, tra tutti ceci e calamari su crostini di pane. Differenti e saporite le tagliate. I dolci seguono la tradizione. Discreta la lista dei vini, una percentuale dei quali biologica. Le cantine di nicchia. Tra i bianchi più richiesti Gewürztraminer ,Falanghina, Pecorino e Verdicchio. Per i rossi la Puglia docet: Negramaro e Primitivo immediatamente seguiti da Amarone, Brunello e Syrah. Buono il rapporto qualità presto. Se avete fretta e non è possibile rimanere per desinare, l’apericena non è affatto banale. Tra le fritture spopolano baccalà ed alici. E’ d’obbligo assaggiare la pizza fritta. Se siete stanchi del traffico, dello smog e desiderate non allontanarvi troppo da Roma accontentando il palato e magari con un po’ fortuna, potrete scattare un selfie con Marco Giallini, questa è la vostra occasione, coglietela. 111


RACCOLTO 2015 E. Campisi / C.Chiarotti L. Costantini / R. Greco L. Grippo / D. Scrobogna Dopo la redazione della Sezione Olio della nostra Guida online, abbiamo completato le schede delle aziende con le degustazioni dei singoli prodotti. decisamente diversa, fortunatamente migliore di quell’infelice

2014, gli extravergine

degustati hanno mostrato un profilo qualitativo molto elevato. aggiungere.

Anche

Finalmente, ci piace

se siamo certi che un’azienda di qualità, perfino nelle peggiori

annate, sa tirare fuori il meglio di sé. prodotti, da

Grazie ad un’annata

In

questo numero una carrellata di ottimi

Nord a Sud.

Da 91 a 100 > Oli dell’eccellenza Da 81 a 90 > Oli di grande livello e spiccato pregio Da 71 a 80 > Oli di buon livello e particolare finezza Da 60 a 70 > Oli di medio livello e piacevole fattura

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Non usate olio prodotto con olive non italiane! L’Olio Extravergine di Oliva non può costare meno di 15 euro al litro

COMINCIOLI

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SAN CASSIANO Via San Cassiano, 17 - Mezzane di Sotto VR

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CANTINE INTESA

FATTORIA RAMERINO

Via Provinciale Faetina, 46 Modigliana FC

Via Roma, 404 Bagno a Ripoli FI

O.E.V. Brisighella i Calanchi 2015 Dop - Nostrana di Brisighella 100% € 11 (0,500 l) Giallo dorato luminoso e denso. Intenso e fragrante all’ingresso olfattivo, con netti riconoscimenti di erba tagliata, scorza di limone, mandorla fresca e frutta matura, conditi in chiusura da note di carciofo, ravanello, cardo e melanzana. Strutturato all’assaggio, con travolgenti percezioni piccanti di peperoncino e persistenza lunga e vegetale. Brucatura manuale delle drupe ed estrazione con metodo continuo a tre fasi a temperatura controllata. A filo sulla minestra di anolini.

O.E.V. Biologico Cultivar Moraiolo 2015 Biologico - Moraiolo 100% - € 14 (0,500 l) Verde dorato. Di spiccata intensità olfattiva, ricorda basilico, erba falciata, pomodoro verde, rucola, ravanello, sedano, timo e soffi agrumati. Al sorso arriva puntuale la mastodontica scia amara e piccante avvertita all’olfatto. Persistenza gustativa da primo della classe, con un bagaglio vegetale e aromatico pulito e variopinto. Raccolta tra ottobre e novembre, lavorazione in continuo, filtrazione e conservazione in acciaio. Per esaltare un’importante fiorentina o un carpaccio di manzo.


FÈLSINA

CESARE BUONAMICI

Via del Chianti, 101 Castelnuovo Berardenga SI

Via Montebeni, 11 - Fiesole FI

O.E.V. Pendolino Denocciolato Biologico 2015 Biologico - Pendolino 100% - € 15 (0,250 l) Veste smeraldo dai riflessi dorati. Svela aromi erbacei, di pomodoro, melanzana e zucca, intervallati da note di frutta secca di noce e mandorla. Assaggio di notevole consistenza, con discrete doti piccanti e gradevolmente amare, in un quadro d’impeccabile pulizia gustoolfattiva. Persistenza su echi erbacei di rucola e ravanello. Raccolta manuale a invaiatura, frangitura a ciclo continuo e conservazione in contenitori d’acciaio sotto azoto. Ottimo su polpo con patate e prezzemolo.

O.E.V. Colline Di Firenze Cesare E Cesara Buonamici 2015 Biologico - Frantoio 50%, Moraiolo 50% € 12 (0,500 l) Brillante verde oro. Profumi eleganti e vegetali caratterizzano il profilo olfattivo, si riconoscono erba appena falciata e melanzana, con corollario di erbe aromatiche, foglia di rucola e un’intrigante nota fumé. Al gusto esplode in notevole spessore gustativo, contraddistinto da fondo amaro e piccante, piacevolmente amalgamato. Persistente. Raccolta meccanica e frangitura a ciclo continuo. Olio filtrato e conservato in silos di acciaio sotto azoto. Sulla minestra di cavolo siciliano.

FRANCI

MAURIZIO MENICHETTI

Via Achille Grandi, 5 Montenero d’Orcia GR

Loc. Saragliolo - Fraz. Montemerano Manciano GR

O.E.V. Villa Magra Grand Cru 2015 Extravergine - Frantoio, Correggiolo € 52 (litro) Verde smeraldo dai timidi bagliori dorati. Bouquet complesso, coinvolgente, di superba intensità. Ha note di oliva verde, agrumi, pera, pepe rosa, basilico e salvia, menta e banana matura. Il gusto è un profluvio di fenoli e di rimandi fruttati, con accurata rispondenza tra naso e bocca. Chiusura piccante e persistente. Raccolta manuale a Ottobre, frangitura a ciclo continuo, filtrazione e conservazione in acciaio sotto azoto. Esaltante a filo su una minestra di farro.

Olio Extravergine Di Oliva 2015 Extravergine - Moraiolo 40%, Leccino 20%, Frantoio 20%, Olivastra 20% - € 18 (0,500 l) Giallo oro luminoso, di buona consistenza e intensità. Al naso evidenzia toni vegetali di foglia di pomodoro, di peperone giallo e carciofo, seguono sul fondo spunti fruttati di mela ed erbe officinali. Denso e morbido al gusto, leggermente grasso, con ricordi di carciofo. Finale persistente. Raccolta manuale precoce per tutte le cultivar, frangitura in continuo e conservazione in silos con azoto. Perfetto su un trancio di spada alla griglia.

PETRA

RENZO BALDACCINI

Località San Lorenzo Alto, 131 Suvereto LI

Via di Villa Mansi, 376 S. Lorenzo di Moriano LU

O.E.V. Biologico 2015 Biologico - Leccino 75%, Frantoio 21,5 %, Pendolino 3,5% - € 20 (0,750 l) Giallo oro con nuance verdi. Presenta piacevoli profumi che evocano carciofo bollito, banana e mandorla, paglia e pomodoro maturo; note di erba falciata chiudono il chiaroscuro. L’assaggio, un tantino grasso, è giocato prevalentemente su percezioni piccanti e di frutta secca; finale corretto e bilanciato ma non nitidissimo. Raccolta manuale delle drupe, frangitura a ciclo continuo, conservazione in silos sotto azoto. Bene su un’insalata di finocchi, arance e olive nere.

O.E.V. Lucca Renzo Baldaccini 2015 Dop - Frantoio 90%, Leccino 5%, Moraiolo 5% - € 19 (0,500 l) Luminoso giallo verde di grande consistenza. Sensazioni olfattive intense di erbe aromatiche e pomodoro, seguite da cenni agrumati di pompelmo, melanzana, carciofo e cardo. Gusto ben strutturato, segnato dalle note piccanti e amare del carciofo e della melanzana, poi a bilanciare il tutto una valida grassezza. Lungo nella persistenza. Raccolta a fine ottobre, frangitura in continuo e conservazione in acciaio sotto azoto. Da provare su una tartare di fassona piemontese. 115


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BUCCI

ALBERTO CIPOLLONI

Via Cona, 30 - Ostra Vetere AN

Via Antonio Allegri, 21 Fraz. S. Giovanni Profiamma - Foligno PG

O.E.V. Monovarietale Carbonella Biologico 2015 Biologico - Carbonella 100% - € 12 (0,500 l) Smagliante smeraldo con bagliori oro. I profumi, tersi e fruttati, evocano kiwi, banana, carciofo e melanzana, incalzati da note floreali ed erbacee. Equilibrato e di struttura all’assaggio, con sensazioni piccanti e amare ben espresse. Finale persistente di melanzana e frutta secca. Raccolta manuale in epoca precoce e frangitura a ciclo continuo a tre fasi. Dopo la filtrazione, conservazione in cisterne d’acciaio sotto azoto. Ottimo su un trancio di salmone al vapore.

O.E.V. Chiusa Del Monte Cupo 2015 Extravergine - Moraiolo 100% - € 17 (0,750 l) Colore verde acceso luminoso, al quale corrisponde un olfatto gradevole, definito da profumi di pomodoro, arricchiti da sentori di melanzana, pepe, noce, alloro e carciofo. Bocca piena, lauta di sensazioni d’erbe aromatiche, gustosamente ammandorlata nel finale. Di buona persistenza. Raccolta manuale delle drupe effettuata a fine Ottobre. Estrazione con metodo Sinolea e in continuo, conservazione in silos d’acciaio. Su insalata di scamorza affumicata e verdure grigliate.

VELENOSI

ARNALDO CAPRAI

Via dei Biancospini, 11 Ascoli Piceno AP

Località Torre Montefalco PG

Olio Extravergine Di Oliva 2015 Extravergine - Leccino 40%, Frantoio 30%, Ascolana Tenera 30% - € 12 (0,750 l) Tonalità oro dai riverberi smeraldo. Esordisce con profumi di erba appena tagliata, incalzati da fiori di campo, polline, mela, carciofo, ravanello e rucola. In bocca presenta una gradevole freschezza vegetale e note piccanti e amare di rucola e ravanello che portano a termine l’assaggio. Raccolta manuale delle olive a invaiatura. Frangitura a ciclo continuo, filtrazione e conservazione in tini d’acciaio sotto azoto. Ottimo su straccetti di manzo all’uccelletto.

O.E.V. Umbria Colli Martani 2015 Dop - Frantoio, Moraiolo, Leccino € 12 (0,500 l) Brillante verde dorato. Regala sensazioni vegetali di foglia di pomodoro, carciofo, finocchio, erbe provenzali, origano e leggeri soffi floreali. Di grande equilibrio gustativo, travolge con un’importante componente amara che lascia poi il posto ai richiami piccanti e speziati. Di lunga persistenza vegetale. Brucatura precoce per il Frantoio e Moraiolo, ad invaiatura per il Leccino. Frangitura in continuo, filtrazione e conservazione sotto azoto. Si esalterà su una zuppa di lenticchie di castelluccio.

VIOLA

LUIGI TEGA

Via Borgo San Giovanni, 11B Frazione Sant’Eraclio - Foligno PG

Via Dei Frantoi, 53 Foligno PG

O.E.V. Colleruita 2015 Extravergine - Moraiolo 70%, Frantoio 25%, Leccino 5% - € 27 (litro) Dorato con riflessi verdi, di media consistenza. Naso distinto da profumi leggiadri di ravanello, erba falciata e pomodoro verde, poi note più dolci di mela, pinolo e mandorla verde. Incipit gustativo piccante, più avanti le componenti amare e vegetali si fanno lentamente strada bilanciando la grassezza. Persistente. Raccolta agevolata, frangitura a ciclo continuo, filtrazione, è conservazione in recipienti di acciaio inox sotto azoto. Da provare su una zucca gratinata al forno.

O.E.V. Biologico 2015 Biologico - Frantoio 60%, Rajo 20%, Provenzale 20% - € 8 (0,500 l) Brillante topazio con lampi oro verde. Al naso è intenso, fine e ricco di sfumature decisamente vegetali, si riconoscono gambi di carciofo, cardo, rucola, pepe nero, erba appena tagliata. Al gusto dimostra di avere particolare carattere, intenso e strutturato, sfuma nel finale in un lunghissimo ritorno al gambo del carciofo, amaro e piccante. Molto persistente. Raccolta manuale, frangitura in continuo, filtrazione e conservazione con azoto. Da provare su minestre in genere e su grigliate.


COLLI ETRUSCHI

COSMO DI RUSSO

Via degli Ulivi 2 Blera VT

Via Pontone, snc - Gaeta LT

O.E.V. Tuscia Evo 2015 Dop - Caninese 100% - € 15 (0,500 l) Colore verde di spiccata brillantezza e tonalità. Esplode al naso con nitide staffilate di erba tagliata, ravanello, pomodoro, salvia, basilico, finocchio, mela verde, kiwi e tanto altro. In bocca detona con piglio verde e amaro e con un’avvolgente patina piccante e speziata di grande qualità e finezza. Caleidoscopica e intramontabile la persistenza. Frangitura a ciclo continuo e conservazione sotto azoto in tini di acciaio. Regalerà il giusto connubio con una zuppa di farro e cinghiale.

O.E.V. Colline Pontine Monocultivar Itrana Don Pasquale 2015 Dop - Itrana 100% - € 13 (0,500 l) Verde topazio velato di ottima consistenza. Olfatto intenso e complesso con note vegetali di melanzana, cardo, carciofo, cicoria e rucola, a chiudere cenni di pomodoro verde e mandorla amara. Gusto strutturato e intenso, segnato dai ritorni amari del carciofo e dalla gradevole percezione piccante del peperoncino. Equilibrato e persistente. Lavorazione in continuo, filtrazione e conservazione in silos sotto azoto. Sposa piatti strutturati come un manzo piccante con peperoni.

OSTI

PALUSCI

Località Cavone-Lucicca Bolsena VT

Contrada Fonte Gallo, 2 - Pianella PE

Olio Extravergine Di Oliva 2015 Extravergine - Canino 40%, Frantoio 20%, Moraiolo 20%, Leccino 20% - € 13 (0,750 l) Giallo dorato con vividi riflessi smeraldo. Profilo aromatico improntato su note di pomodoro maturo, sedano e carciofo bollito, poi pinolo, mandorla e noce. Impatto gustativo docile e lievemente grasso, poi un’orma fenolica che evoca rucola e frutta secca conferisce vitalità alla persistenza e riequilibra l’assaggio. Raccolta con agevolatori all’invaiatura, frangitura in continuo, filtrazione e conservazione in silos d’acciaio sotto azoto. Bene su un dentice al forno con patate.

SILVI SABINA SAPORI Strada Ponte delle Tavole, 42 - Loc. Stazzano Palombara Sabina RM

O.E.V. Monocultivar Carboncella 2015 Extravergine - Carboncella 100% € 11,50 (0,500 l) Colore giallo verde, luminoso e di buona densità. Al naso affiora subito una carica vegetale di cardo e carciofo, poi mandorla, pinolo e foglia di pomodoro, a chiudere toni verdi di erba tagliata. Al palato, l’iniziale dolcezza della nota grassa è ben bilanciata dalla nota amara del cardo e del carciofo. Persistente la lunghezza. Raccolta agevolata a fine ottobre, frangitura in continuo, filtrazione e conservazione in silos sotto azoto. Perfetto su una caponata di melanzane e zucchine.

O.E.V. Monocultivar Dritta L’uomo Di Ferro 2015 Extravergine - Dritta 100% - € 10 (0,500 l) Striato di un verde smeraldo cangiante. Sul palcoscenico olfattivo recitano sentori di erba tagliata, rucola, ravanello, cardo, peperone, asparago, semi di finocchi, basilico e tanto altro. Scintillante per intensità e struttura, al gusto è un mix tra sensazioni piccanti e amare di grandissimo respiro e persistenza. Raccolta manuale e sistema di estrazione a ciclo continuo. Decantazione naturale e conservazione in ambiente protetto. Eccezionale su una succulenta pasta e fagioli.

TENUTA ZIMARINO MASSERIA DON VINCENZO Via Torre Sinello - Vasto CH

O.E.V. Costa Dei Trabocchi Grand Cru 2015 Biologico - Gentile di Chieti 100% € 41 (0,500 l) Color oro intarsiato da venature smeraldo. Bagaglio olfattivo rappresentato in primis da melanzana, ravanello, erba tagliata e pomodoro, poi affiorano percezioni di mandorla e pinolo. Bocca più piccante che amara, potente e vivace nonostante il ritorno di frutta secca che non affievolisce, anzi bilancia il finale. Raccolta manuale all’invaiatura, frangitura a ciclo continuo, decantazione naturale e conservazione in silos d’acciaio sotto azoto. A crudo su una zuppa di cipolle. 117


LE MARSICANE

DE CARLO

Contrada Marsicane Benevento

Via XXIV Maggio, 54b Bitritto BA

O.E.V. Biologico Monovarietà Ortice 2015 Biologico - Ortice 100% - € 18 (0,500 l) Brillante verde dorato. Impatto olfattivo intenso e vegetale, richiama cardo, carciofo, sedano, rucola, ravanello, asparago, mela verde, origano e salvia. Bocca importante per finezza e complessità. Il grande appiglio amaro e piccante coinvolge il palato con una persistenza aromatica e vegetale da primo della classe. Persistente. Raccolta manuale, frangitura in continuo, decantazione naturale e conservazione a temperatura controllata sotto azoto. Sposa perfettamente le grandi zuppe di legumi.

O.E.V. Terra Di Bari Bitonto Tenuta Torre Di Mossa 2015 Dop - Coratina 100% - € 12 (0,500 l) Verde smeraldo luminoso. Naso aromatico e intrigante, ricorda foglie di carciofo, ravanello, pomodoro verde e mandorla fresca su evidenti note di frutta gialla matura e leggeri effluvi di fiori di campo. Pura forza fenolica al gusto: permea il palato mettendo in evidenza aitante struttura e adeguati ritorni vegetali. Lunghissima persistenza amara e piccante. Raccolta tra novembre e dicembre ed estrazione a ciclo continuo. Per impreziosire la purea di fave con cicorie.

OLEIFICIO FAM

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Contrada Ilici, 5 Venticano AV

MURAGLIA

O.E.V. Ravece 2015 Extravergine - Ravece 100% - € 14 (0,500 l) Colore verde dorato, di ottima consistenza. Alle intense note iniziali di carciofo, mandorla, pinolo e cardo fanno seguito gradevoli note di agrume maturo e cenni erbacei. L’assaggio è ben strutturato, composto nell’equilbrio, nette le percezioni amare delle note vegetali olfattive, bilanciate sul fondo da una presente e giusta grassezza. Frangitura a ciclo continuo, conservazione senza filtrazione in acciaio con aggiunta di azoto. Esalterà perfettamente dei mini burger aromatici al formaggio.

O.E.V. Denocciolato Monocultivar Coratina 2015 Extravergine - Coratina 100% - € 16 (0,500 l) Verde intenso di spiccata luminosità. Il naso è investito da importanti sensazioni di erba appena tagliata, carciofo, peperone verde, semi di finocchio e origano. Potenza, classe ed eleganza sono perfettamente amalgamate in una lunga persistenza piccante e amara che ripercorre tutte le suggestioni avvertite all’olfatto. Frangitura con molazze in granito e conservazione in recipienti interrati a temperatura controllata. Esaltante sulla fiorentina e da provare con pane sciocco tostato.

AGRICOLA PIANO

OLEIFICIO SOCIALE S. ANNA

Via Stefano Canzio, 18 Apricena FG

Via Provinciale per Lecce, Km 0,900 Vèrnole LE

O.E.V. Monocultivar Peranzana 2015 Biologico - Peranzana 100% - € 22 (litro) Giallo oro dai riflessi verdi. Regala note tipiche della cultivar Peranzana: erba tagliata, pomodoro verde, carciofo e timidi tratti di mela Smith. In bocca è potente e ben coeso, capace di esprimere incisiva sensazione amara, ben accompagnata da veemente nota piccante assieme a purissimi ritorni vegetali. Finale persistente su toni di melanzana. Raccolta manuale a fine Ottobre, frangitura a ciclo continuo, filtrazione e stoccaggio in tini d’inox. Darà gran tono a una bistecca di manzo al sangue.

O.E.V. Ver In Oleis Lotto 9-Z-16 Extravergine - Cellina di Nardò 100% € 8 (0,500 l) Verde dorato brillante e consistente. Fragrante e intenso di scorza di agrumi, buccia di melanzana e pomodoro, poi erbe aromatiche, carciofo, mandorla fresca e mela. Di buona struttura gustativa, si presenta amaro per poi lasciare andare vigorose percezioni di peperoncino verde e ravanello. Persistente. Raccolta meccanica a fine ottobre, frangitura a ciclo continuo, decantazione naturale e conservazione sotto azoto senza filtrazione. A filo sulle friselle con pomodori e alici.

Via Cialdini, 12 - Andria BT


CAVALLI

ORODICHIUSA

Contrada Calcara Pomarico MT

Contrada Martusa - Chiusa Sclafani PA

Olio Extravergine Di Oliva 2015 Biologico - Frantoio 40%, Leccino 40%, Coratina 20% - € 11 (0,500 l) Colore giallo verde luminoso e di buona densità. Naso intenso e piacevole, disposto su note di mandorla amara, foglia di pomodoro, cardo e gentili spunti erbacei ed agrumati. Gusto strutturato, leggero nella grassezza, calibrato nelle sensazioni amare e piccanti. Buona e decisa la persistenza. Raccolta delle drupe i primi di Novembre, frangitura in continuo, decantazione naturale, conservazione in silos con azoto. Si esalterà su minestre di verdure e pane bruschettato.

CERAUDO

Olio Extravergine Di Oliva 2015 Extravergine - Nocellara 45%, Biancolilla 45%, Cerasuola 5%, Giarraffa 5% - € 20 (litro) Tonalità oro verde. Caratterizzato da fragranze iniziali di mallo di noce e banana, poi sedano, scorza di limone, pomodoro maturo e basilico. Il quadro gustativo ripropone lo stile riscontrato al naso; è un tantino grasso, poco piccante e poco amaro, rinvigorito da una suggestione tannica di mandorla e mallo di noce. Raccolta manuale, frangitura a ciclo continuo, decantazione naturale e conservazione in silos colmi. Piacevole su un’insalata nizzarda o una spigola lessata.

TERRALIVA Via Galermi, 22 - Siracusa SR

Contrada Dattilo - Strongoli Marina KR

O.E.V. Biologico 2015 Biologico - Carolea 50%, Tonda di Strongoli 50% - € 10 (0,500 l) Colore paglierino con riverberi verdi, piuttosto consistente. Sprigiona fresche fragranze di erba appena falciata, pomodoro verde, cardo, fieno e banana acerba. In bocca è denso, corrispondente al naso, con una percezione di mandorla in aggiunta e ringalluzzito da una ponderata eco amaro-piccante. Raccolta meccanica precoce, frangitura con metodo continuo e conservazione in silos sotto azoto. Bene su un’orata marinata con arancia e limone con porro.

O.E.V. Nocellara Del Belice Cherubino Bio 2015 Biologico - Nocellara del Belice 100% € 16 (0,500 l) Verde dorato lucente, di ottima densità. Naso complesso e articolato, dettato da percezioni di foglia di pomodoro e cenni erbacei, poi emergono ricordi di carciofo, melanzana e cardo, in fondo cenni di agrume maturo. Al palato è ottimo l’equilibrio tra la presente e delicata grassezza e le forti percezioni fenoliche dell’amaro e del piccante. Persistete. Raccolta a invaiatura, decantazione naturale e conservazione in acciaio senza filtrazione. Splendido su un roast beef all’inglese.

CONTRADA CRISCI

ACCADEMIA OLEARIA

Poderi Musica - Località Musica Palazzo Adriano PA

Località Ungias-Galantè - Alghero SS

O.E.V. Biologico 2015 Biologico - Nocellara 60%, Giarraffa 35%, Peduncolata 5% - € 9 (0,500 l) Tonalità verde smeraldo dalle luminescenze oro, piuttosto fluido. Al naso emergono fragranze di pasta di olive, sedano e carciofini sott’olio, incalzate da note di frutta secca di pinolo e noce. In bocca rivela una struttura contenuta e una grassezza a stento tenuta a freno dalla presenza piccante. Gradevole la persistenza che rievoca la frutta secca. Raccolta manuale in epoca avanzata e frangitura tradizionale. Bene per condire delle sarde a beccafico.

O.E.V. Sardegna Fruttato Verde Riserva Del Produttore 2015 Dop - Bosana 70%, Semidana 20%, Nocellara 10% - € 14,50 (litro) Si presenta con una tenue tonalità oro. Si schiudono aromi di frutta secca, mela e banana, poi deflagrano note di peperone giallo, ravanello, foglia di pomodoro e fieno. Assaggio di modica consistenza e grassezza contenuta, giocato piuttosto su vivacità fruttata, su un tono amaro-piccante di ravanello e lunga persistenza. Equilibrio centrato. Raccolta meccanica, frangitura con metodo continuo e conservazione in silos sotto azoto. Ottimo con un’orata al forno con patate. 119


Distillati &... P

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L

a u c i a n i

> GRAPPA FONTEZOPPA 40% - € 48 (0,700) Prodotta e imbottigliata da Distillerie Collesi - Apecchio (PU) - tel. 075 933118 per Cantine Fontezoppa - Civitanova Marche (MC) - tel. 0733 790504 Si tratta di una grappa di pure vinacce di Sangiovese della zona di Civitanova Marche, distillata con alambicchi discontinui a bagnomaria a vapore e invecchiata per 5 anni in barrique di rovere francese. Appare di uno scintillante color topazio di calda luminosità. Al naso una nuvola densa di vaniglia e liquirizia dolce scopre gradualmente l’essenza olfattiva di ciliegia sotto spirito, legni nobili, vaniglia e un tocco di cera d’api. Iter gustativo morbido e avvolgente, lievemente pepato, concluso da una piacevole e lunga scia di mandorla e cacao. A fine pasto, in medi tulipani, a 18°C, se possibile con quadrettini di cioccolata fondente al 60/65%.


Prosegue

senza soluzione di continuità il nostro itinerario nel mondo dei distillati.

Stavolta

raccontiamo tre meravigliose etichette, nobili frutti dell’abilità, dell’intuizione e di eccellenti materie prime, capaci di “leggere” in modo emozionante i territori e il cuore degli uomini che li vivono. Durante la nostra sosta ideale, accanto e assieme ai calici proviamo e godiamo di un ottimo sigaro dominicano.

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> ACQUAVITE DI MELE LICENZA N° 1 43% - € n.d. (0,500) Prodotta e imbottigliata da Distillerie Peroni Maddalena - Gussago (BS) - tel. 030 2770640 per Ricci Curbastro - Capriolo (BS) - tel. 030 736094 Fu Gualberto Ricci Curbastro, padre di Riccardo, a voler piantare in Franciacorta 400 piante di mele per creare un’acquavite per sé. Ne scelse quattro varietà, Douce Moën, Marie Menard, Petit Jaune e St. Martin, tutte provenienti dal nord ovest della Francia. Mentre i meli crescevano, furono richiesti i permessi per produrre il sidro e così arrivò la licenza “numero 1”, che ha dato il nome a questa acquavite. Il primo raccolto ci fu nel 2007, poco dopo la scomparsa di Gualberto; è stato quindi Riccardo a portare a compimento il sogno del padre. Dal sidro, con un alambicco discontinuo a vapore, si ottiene un distillato che matura oltre 5 anni in barrique francesi. Si presenta con uno splendido colore giallo dorato. Propone una miscela olfattiva intensa di mele, su uno sfondo di fiori di campo, intarsiata di agrumi e cannella, dolce di canditi, spolverata di pepe di Giamaica. Morbido e caldo quando accarezza il palato, è siglato da pregevolissimi e suadenti ritorni retrolfattivi. Da apprezzare a 18°C, in un ampio tulipano, magari in accompagnamento a una generosa fetta di tarte tatin.

> GRAPPA RISERVA DECEM 42% - € 95 (0,700) Prodotta e imbottigliata da Bertagnolli - Mezzocorona (TN) - 0461 603800 Decem è una raffinatissima grappa da vinacce di Teroldego della Piana Rotaliana in purezza, distillata in alambicco a bagnomaria a vapore e invecchiata 10 anni in 10 barrique di pregiati roveri francesi. Viene presentata in esclusive bottiglie confezionate a mano e numerate. Illumina il calice di bagliori ambrati accesissimi. Raffinato e seducente il profilo aromatico, con nitidi profumi di scatola da sigaro e caramella d’orzo, soffusi di pepe di Giamaica, chiodo di garofano, legnetto di liquirizia, impreziositi da dolci sensazioni di uva passa, cioccolato e miele di castagno. Assaggio caldo e profondo, che conquista elegantemente il palato; molto coerente la persistenza, ricca di richiami ai sentori olfattivi. Chiude con una lunga scia liquiriziosa e vagamente balsamica. Da apprezzare a 16-18°C, in medi ballon, degnamente accompagnata dal sigaro qui in calce descritto.

Esaltiamoli con: DAVIDOFF PURO D’ORO EMINENTES / Repubblica Dominicana

€ 18,50 al pezzo

Lunghezza: mm 159 - Diametro: mm 20 - Ring: 50 - Vitola: Toro La linea “Puro d’Oro” vide la luce nel 2010, dopo una lunghissima ricerca volta al perfezionamento della foglie di fascia dominicane Yamasá, utilizzate da Davidoff esclusivamente per questa serie di sigari. Si tratta dunque di un “puro” dominicano, realizzato interamente con tabacchi di questa terra. L’Eminentes ha un attacco raffinatissimo di legno di cedro e pepe verde, percepibili a freddo e nel primo terzo della fumata, gradualmente ampliati da sentori di miele di castagno, liquirizia e cacao amaro. Un’intensa presenza di humus e legna arsa emerge nell’ultima parte, caratterizzata anche da accenti piccanti e poderosamente avvolgenti. È un grande sigaro, ma da raccomandare soprattutto a fumatori evoluti: un neofita potrebbe infatti andare incontro a qualche difficoltà, specie nella terza parte della fumata.

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Magazzino delle

C

l a u d i a

C

h i a r o t t i

Un contenitore prezioso, queste pagine, in cui raccogliamole degustazioni dei vini ai quali, senza indugio alcuno, diamo il nostro giudizio dell’eccellenza e della piacevolezza.

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emozioni


Magazzino delle

emozioni

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METODO CLASSICO TERZAVIA 2012

CUSTOZA SUP. AMEDEO 2013

DERTHONA TIMORASSO STERPI 2013

Marco De Bartoli Contrada Fornara Samperi, 292 91025 Marsala TP

Vigneti Massa Piazza G. Capsoni, 10 15059 Monleale AL

Grillo 100% Gr. 12% - € 20

Cavalchina Via Sommacampagna, 7 37066 Custoza - Sommacampagna VR Garganega 40%, Fernanda 30%, Trebbianello 15%, Trebbiano Toscano 15% Gr. 13% - € 13

Molti degli appassionati di vino sono cresciuti a pane e Marsala Vecchio Samperi e Passito Bukkuram, dei vini geniali, moderni e tradizionali nello stesso tempo, frutto dell’ingegno di Marco De Bartoli e dell’incontro magico fra il territorio di Marsala e Pantelleria e i suoi vitigni, il Grillo e lo Zibibbo. Una storia importante la sua, che descrive la volontà e la chiarezza d’idee di una famiglia che nel corso degli anni ha riscoperto le tradizioni di questa magica terra siciliana, rivalutando i vitigni locali, riportandoli in lavorazione e producendo vini indissolubili nel tempo. Marco De Bartoli era un uomo fiero, fiero della sua terra e fiero dei suoi figli, ai quali ha insegnato ad amare la terra proprio come l’amava lui. A distanza di anni e dopo continui successi, l’azienda ancora una volta ci stupisce e ci emoziona con la produzione di questo Metodo Classico Terzavia, uno spumante che impressiona e lascia sbalorditi per le sue incredibili qualità e che conferma le grandi potenzialità del Grillo e della terra di Contrada Samperi, fermentato e maturato in vasche di cemento e in fusti di rovere con lieviti indigeni e con sboccatura effettuata nel marzo 2015. Oro brillante con perlage fine. D’intensa mineralità olfattiva, ricorda agrumi maturi, note tostate e di macchia mediterranea, poi frutta secca e leggere venature ossidative. Complesso e piacevolissimo al palato, ha sapidità travolgente e lunghissima persistenza. Tagliata di tonno rosso al profumo di zenzero.

L’azienda Cavalchina è ormai parte integrante della storia vitivinicola del territorio veronese di Custoza, frutto di un lungo percorso portato avanti dalla famiglia Piona, che anno dopo anno ha dato prova di grande impegno per la valorizzazione di questa zona ancora poco conosciuta, contribuendo in maniera decisiva nel 1972 al riconoscimento, congiuntamente ad altre aziende, del disciplinare Doc Custoza. Oggi sono Giulietto e Luciano Piona a portare avanti la tradizione familiare che risale ai primi del ’900, con intelligenza e senza lasciare nulla al caso producono vini che sono delle opere d’arte, come dimostra l’Amedeo. Il suo nome ricorda l’omonimo Principe di Savoia che nel 1866 fu ferito proprio alla Cavalchina, come attesta il ceppo in ardesia all’ingresso della proprietà. Diversa la natura e la maturazione delle uve che lo compongono; la Fernanda, clone locale del Cortese, trova massima espressione nella vinificazione dopo il congelamento delle uve, la Garganega dà il massimo con una vinificazione in leggera riduzione, mentre il Trebbiano e il Trebbianello richiedono un approccio più tradizionale. Di forte personalità e dal carattere decisamente minerale, si presenta paglierino brillante, con intensi ricordi erbacei e vegetali, arricchiti da effluvi di agrumi maturi e mele cotogne, fiori di ginestra, mandorla, pepe bianco e cenni fumé. Equilibrato e piacevolissimo al palato, con buona vena acida e ottima sapidità minerale che domina tutto il lungo finale. Baccalà mantecato alla veneta con crostini di polenta.

Un vignaiolo controcorrente, nemico di ogni burocrazia, che in piena consapevolezza ha scelto per i suoi vini di rinunciare alla nomenclatura della Doc, perché - come ama dire - i grandi vini non si fanno con i marchi di tutela e le scartoffie, ma con infinite cure in vigna e in cantina, non lesinando in tempo e pazienza. Walter Massa è questo, forse uno dei pochi veri artigiani del vino del nostro Paese, che non ha esitato un attimo ad anteporre alle logiche del mercato la voglia di produrre nel rispetto delle proprie radici, assecondando i tempi della vigna e della cantina. Grazie al suo coraggio e alla sua determinazione, ha ridato lustro a un terroir vinicolo di antica vocazione, quell’antica area Tortoniana, alla quale i Romani, nell’età imperiale, diedero il ruolo di nodo strategico militare e civile del nord Italia. Il Derthona Sterpi è uno dei cardini fondamentali della produzione aziendale e, insieme agli altri due grandi bianchi Montecitorio e Costa del Vento, ha scritto la storia vinicola di questa terra e del suo Timorasso, vitigno per molti scorbutico e difficile tanto da essere soppiantato in passato quasi completamente dal Cortese. Paglierino dorato brillante, che ammalia i sensi con ampie percezioni di agrumi ed erbe aromatiche, frutta secca e burro di cacao, arricchite da una straordinaria nota minerale di pietra focaia che valorizza tutto l’assaggio. Elegante e di grande equilibrio gustativo, è sapido e dinamico, con lunghissima chiusura su ricordi agrumati e minerali. Agnolotti verdi al tartufo.

Timorasso 100% Gr. 13,5% - € 38

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DUT’ UN 2012

IL FRAPPATO 2013

BRUNELLO DI MONTALCINO 2010

Vie di Romans Loc. Vie di Romans, 1 34070 Mariano del Friuli GO

Occhipinti SP68 Vittoria-Pedalino Km 3,3 97019 Vittoria RG

Le Potazzine Loc. Le Prata, 262 53024 Montalcino SI

Chardonnay 50%, Sauvignon 50% Gr. 14,5% - € 43

Frappato 100% Gr. 13% - € 23

Sangiovese 100% Gr. 14,5% - € 45

Gianfranco Gallo è uomo veramente capace, che è riuscito nel giro di pochi anni a portare la sua azienda alla ribalta dello star system enologico italiano grazie ad alcune esemplari versioni di Sauvignon e Chardonnay. Tante sono state le tappe che hanno portato l’azienda ai vertici di una produzione di indiscussa qualità: la scelta di coltivare su terreni ricchi di scheletro e di ossidi di ferro e alluminio, una conduzione integrata delle vigne, la scelta di fare vinificazioni separate dei vari cru e imbottigliare senza filtrazione ma soltanto dopo un illimpidimento naturale. Grazie a tutto questo oggi Vie di Romans è uno degli esempi più brillanti nel conciliare il rapporto tra territorio ed espressione varietale dei suoi vitigni, con una produzione che, sia per le etichette lavorate in barrique sia per quelle “solo acciaio”, è il caposaldo di una filosofia che rimarca l’ampiezza aromatica e minerale e la ricchezza gustativa in ogni singolo vino. Per scelta ogni vino porta il nome che da generazioni identifica uno specifico territorio in lingua friulana, così da dare più lustro ad ogni singolo cru di produzione. Il Dut’Un è un vino straordinario che intreccia amabilmente le peculiarità di entrambi i vitigni. Oro brillante, intenso di marmellata di agrumi e albicocche, erbe aromatiche, sambuco, foglie di menta, miele e con una incredibile e piacevolissima nota minerale finale. Al gusto è morbido, fresco, sapido e aromatico, così perfetto per struttura e complessità da rendere indimenticabile l’assaggio. Linguine con scampi alla busara.

“Rispettare il vino come se fosse una persona. Una persona che si porta dietro un mondo, una storia, un’atmosfera”. Non c’è frase migliore di Arianna Occhipinti che possa descriverla. Considerata una delle produttrici più carismatiche del panorama vinicolo siciliano, è riuscita ad emergere grazie alla passione per la propria terra di origine e alla capacità di far tesoro dei consigli altrui, in primis quelli del Professor Attilio Scienza, uno dei più grandi esperti di enologia del Paese. Tutto ha avuto inizio 12 anni fa, quando lo Zio Giusto la portò alla fiera di Verona, trasformando una semplice gita nell’inizio di una carriera vinicola. Al primo ettaro in affitto nella campagna di Vittoria, se ne sono aggiunti altri 21 che, oltre a Fossa di Lupo, si estendono nelle contrade Bombolieri, Bastonaca e Pettineo. Sobrietà, naturalità e concretezza sono le caratteristiche che ritroviamo anche nei vini, degli autentici concentrati di terroir. Per scelta, qui la terra viene lavorata a mano, non si utilizzano prodotti di sintesi ma il sovescio per la concimazione, la fermentazione è spontanea e si usano solo lieviti indigeni. Questo Frappato si distingue per complessità, eleganza ed estrema piacevolezza. Rubino lucente, incanta i sensi con accattivanti percezioni di iris, mirto e sciroppo di frutta, seguite da note più articolate di cuoio, tabacco, origano e rabarbaro. Succoso, fresco e fruttato all’assaggio, piacevolmente sapido e tannico, è condito nel lungo finale da ritorni di mirto e amarene. Bocconcini di maiale croccanti con caponata alla siciliana.

Dal 1993 Giuseppe Gorelli, raffinato interprete del territorio di Montalcino, e sua moglie Gigliola Giannetti, perfetta padrona di casa e anima pulsante dell’azienda, ricercano la massima qualità in ogni loro etichetta, interpretando nel migliore dei modi il senso e l’identità dei tempi della natura, firmando vini di rara classe e spiccata espressività. Qui si raccoglie a maturazione avvenuta, la fermentazione avviene in modo naturale e senza aggiunta di lieviti e la maturazione si svolge in botti di rovere di media grandezza. Oggi a portare nuova linfa all’azienda, calcando le orme genitoriali, ci pensano Sofia e Viola, le “potazzine” come ama chiamarle la nonna materna, perché qui a Montalcino questo termine, che indica le cinciallegre, i piccoli uccellini vivaci e colorati delle campagne toscane, è usato come appellativo affettuoso per i bambini. Lo stesso affetto che i proprietari mettono nella produzione dei loro vini e che rappresentano in etichetta proprio con quelle stesse cinciallegre. Giuseppe, grazie alla sua capacità di leggere perfettamente l’andamento di ogni annata, produce vini sempre diversi, di forte personalità e armoniosa raffinatezza, e questo Brunello lo dimostra. Rubino granato splendente. Naso intrigante di sottobosco, muschio, erbe mediterranee, spezie scure, tabacco mentolato, liquirizia e noce moscata. Bocca armoniosa ed energica, con trama tannica perfettamente integrata, vivida freschezza e appagante persistenza. Con peposo di manzo.


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TIGNANELLO 2012

BOLGHERI SASSICAIA SASSICAIA 2012

GATTINARA 2009

Antinori Via Cassia per Siena, 133 - Località Bargino San Casciano Val di Pesa FI

Tenuta San Guido Loc. Le Capanne, 27 - Bolgheri 57022 Castagneto Carducci LI

Mauro Franchino Piazza Castello, 1 13045 Gattinara VC

Sangiovese 80%, Cabernet Sauvignon 15%, Cabernet Franc 5% - Gr. 13,5% - € 64

Cabernet Sauvignon 85%, Cabernet Franc 15% - Gr. 13,5% - € 145

Nebbiolo 100% Gr. 13,5% - € 19

Piero Antinori è tra gli uomini più importanti del vino italiano. Da sempre legato alle sue radici e alle tradizioni vinicole della sua famiglia e di questa terra, non ha mai inibito il suo spirito innovativo. Con la tenacia che l’ha sempre contraddistinto, di chi sa bene che cullarsi sugli allori significa oggi perdere la sfida con il sempre più agguerrito mercato globale, ha sempre avuto la costanza e il coraggio di rinnovare le sue scelte, mantenendo sempre lo stesso fine, valorizzare il più possibile la tradizione vitivinicola toscana e il suo vitigno principe, il Sangiovese. Tante le tenute di sua proprietà, dislocate in Piemonte, Franciacorta, Umbria, Puglia e all’estero, dove, con lungimiranza e grande esperienza, si producono etichette di grande pregio, specchio della terra di origine. Il Tignanello è uno dei vini storici dell’enologia italiana; è stato il primo Sangiovese a essere affinato in barrique, il primo assemblato con varietà non tradizionali (Cabernet) e tra i primi rossi del Chianti a non usare uve bianche anche in piccole percentuali e oggi è uno dei simboli dell’eccellenza vinicola italiana nel mondo. Prodotto esclusivamente nell’omonimo vigneto presso la Tenuta di Tignanello, si presenta rosso rubino concentrato e consistente. Naso affascinante di amarene, more e ciliegie, violette e rose canine, a seguire un vortice emozionale che ricorda cacao, spezie dolci, note balsamiche ed erbe aromatiche. Equilibratissimo al gusto e solenne nella struttura, ha tannino nobile, ricca freschezza e lunga persistenza. Faraona ai porcini.

È uno dei vini che il mondo invidia al nostro Paese, frutto dell’ingegno di Giacomo Tachis, l’uomo che ha rivoluzionato il mondo dell’enologia mondiale, e del Marchese Mario Incisa della Rocchetta. Furono loro nel lontano 1971 a ricavare la prima vera bottiglia di Sassicaia, combinando insieme le diverse annate del 1966, 1967, 1968 più un nonnulla del 1965 e replicandola in circa tremila unità; le annate precedenti furono centellinate solo con pochi amici scelti. Oggi la bottiglia con l’inconfondibile stella a otto punte color oro su un intenso sfondo blu cobalto in etichetta rappresenta un’icona del Made in Italy, una vera opera d’arte dell’enologia italiana, che ha avuto il merito di naturalizzare la storia del taglio bordolese in Toscana, di imporre l’uso di piccoli fusti di rovere in luogo di grandi botti e di scavalcare l’idea, fino allora predominante, che su queste terre solo il Sangiovese poteva eccellere. Oggi, non a caso, quando si parla il vino italiano, la citazione al Sassicaia e agli uomini che l’hanno creato è automatica. Rubino acceso e brillante. Naso impressionante che ricorda frutta nera matura, spezie dolci e rose appassite, a seguire intense percezioni minerali e balsamiche, legno di sandalo e terriccio. Di estrema complessità gustativa, è fresco e morbidissimo, con tannino impercettibile e dinamica sapidità. Di grandissima piacevolezza e persistenza. Da tenere gelosamente in cantina per emozionarsi tra qualche anno.

Per Mauro Franchino i suoi 3 ettari di vigneto sono dei veri “giardini in collina”, dove vuole passare il suo tempo, dedicando tutto se stesso alla coltura della vite, con quella devozione assoluta che lo porta a ripetere a chiunque lo chieda che “l’amore per la collina e la passione per i vigneti sono la molla che da sempre mi spinge a produrre un Gattinara eccellente”. La passione per il mestiere da vigneron lo ha ereditato dal padre Marco, che iniziò la sua avventura vitivinicola nel 1940. Subentrato nel 1991 al comando dell’azienda, oggi è lui a curare direttamente il Nebbiolo ed è lui, come un vero artigiano, a plasmare il “suo” vino, vinificando il raccolto in vecchie vasche di cemento nella cantina aziendale edificata in uno storico edificio risalente al 1300 nel centro di Gattinara. Ma Mauro non è solo un artigiano bravo e abile nel coltivare la vite, rispettoso della terra e delle sue tradizioni, è anche un uomo con un palato così “esperto” da capire al primo sorso le caratteristiche di ogni annata, così da interpretarla al meglio. Per scelta il suo vino non conosce passaggio in barrique ma solo lunghe maturazioni in botti grandi. Di straordinaria eleganza e mineralità, questo Gattinara ha carattere da vendere. Granato luminoso con striature aranciate. Profuma di rosa, spezie e fiori secchi, arricchiti da nuance agrumate e balsamiche, poi cuoio, rabarbaro, tabacco, funghi e grafite. Bocca da manuale, con tannini nobili, perfetta sinergia sapidominerale e brillante acidità. Persistente. Con cinghiale in civet.

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Appunti di degustazione ••• Lorenzo Costantini •••

SPUMANTI

88 1 FRANCIACORTA BRUT CONTESSA MAGGI RIS. 2007

Antinori Piazza Antinori, 3 - 50123 Firenze - 055 23595 Bianco Spumante Docg - Chardonnay 70%, Pinot Nero 30% Gr. 12,5% - € 31,50 Spumeggiante paglierino con flash dorati. Dispensa fragranze di agrumi canditi, frutta a polpa gialla, nocciola, pane grigliato e sali minerali. Al palato vanta un perlage minuto e morbidezza, pur se sostenuto da un’irrinunciabile veemenza acida. Sfuma lungo e appagante. Acciaio e barrique, poi almeno 5 anni sui lieviti. Baccalà alla vicentina.

86 1 CONEGLIANO VALDOBBIADENE PROSECCO

SUPERIORE BRUT VITI DI SAN MOR 2014 Zardetto Via Martiri delle Foibe, 18 - 31015 Conegliano (TV) 0438 394969 Bianco Spumante Docg - Glera 100% - Gr. 11,5% - € 19,50

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Paglierino corredato di perlage sottile e folto. Olfatto orientato su note di pera, albicocca, uvaspina, magnolia e agrumi. Buona presa acido-sapida al palato, spuma cremosa, finale persistente e gradevolmente aromatico. Charmat. Polenta alla brace con lardo.

85 1 CONEGLIANO VALDOBBIADENE

PROSECCO SUPERIORE DRY RIVE DI MANZANA SPRÌNGO 2014 Le Manzane Via Maset, 47B - 31020 San Pietro di Feletto (TV) 0438 486606 Bianco Spumante Docg - Glera 100% - Gr. 11,5% - € n.d. Paglierino spumeggiante. Profuma di mela, biancospino, cera, mandorla e lieviti. Gusto fruttato, floreale e corredato di tonificante verve acida; un sorso di carattere, senza sdolcinatezze. Perlage fine, buona persistenza. Charmat. Mozzarella in carrozza.


Per fermare l’attenzione sull’analisi organolettica e sulla valutazione, selezione di BIBENDA sulle nuove uscite per gli acquisti consigliati. Le proposte: per affrontare un menu, per accostare al cibo i nostri vini con armonia, nel modo più efficace possibile.

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Gravner Via Lenzuolo Bianco, 9 - 34070 Oslavia (GO) - 0481 30882 Bianco Igt - Sauvignon 45%, Pinot Grigio 30%, Chardonnay 15%, Riesling 10% - Gr. 14,5% - € 50 Oro acceso. Un chiaroscuro variegato e originale, reso da confettura d’albicocche, mela cotta, bastoncino di liquirizia e zenzero, incalzati da ammalianti folate minerali e di polline. Strutturato e armonico, arricchito da una percezione “tannica”. Lunga eco minerale-floreale. Vinificazione in anfore interrate, maturazione in grandi botti di rovere. Storione con salsa di cipolle. VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI CLASSICO IL CANTICO DELLA FIGURA RISERVA 2011 Andrea Felici Contrada S. Isidoro, 28 - 62021 Apiro (MC) - 0733 611431 Bianco Docg - Verdicchio 100% - Gr. 13,5% - € 19 Paglierino con bagliori dorati. L’assetto aromatico è composto da note di frutta a polpa bianca, agrumi, erbe aromatiche, quindi suggestioni salmastre e iodate. Sorso bilanciato ma dotato di una consistente quanto affilata anima agrumatosalmastra. Elegante e duraturo il finale. Circa 14 mesi in botte grande. Seppie con carciofi. MARLBOROUGH SAUVIGNON BLANC MOUNT NELSON RAM’S HILL 2013 Tenuta Campo di Sasso ltd Palazzo Giardini - P.zza Gramsci, 9 - 57020 Bibbona (LI) 0586 671099 Bianco - Sauvignon 100% - Gr. 14% - € 14 Paglierino tenue. Sferzanti note agrumate, erbacee e minerali, condite da un tocco di fruttato. Al palato vanta rigore, sapidità decisa e una persistenza nitida che rimanda agli agrumi e ai sali minerali. Acciaio e piccola parte in barrique usate per 8 mesi. Scampi lardellati alla griglia.

SAUVIGNON RONCO DEL RE 2007 Castelluccio Via Tramonto, 15 - 47015 Modigliana (FC) - 0546 942486 Bianco Igt - Sauvignon 100% - Gr. 14% - € 24 Oro chiaro. Dispensa profumi di frutti esotici, cioccolata bianca, un’idea di torrone alle mandorle e agrumi canditi. Sorso giocato su pienezza e sensualità: ritorna la frutta matura, condita da toni boisé. Un fremito sapido-minerale sigla l’epilogo. 10 mesi in tonneau nuovi. Fettuccine con pescatrice e noci.

86 1 TOLNAI TRAMINER 2013

Tűzkő Birtok Hüvösvölgy u. 4 - 7164 Bátaapáti (HU) - 0036 74 409222 Bianco Oem - Traminer 100% - Gr. 13% - € 12 Paglierino dai riverberi dorati. Didattico quadro di pesca, rosa gialla, agrumi canditi, erbe aromatiche e magnesite. Gusto morbido, di media struttura e disinibita aromaticità. Non manca una certa mineralità a siglare l’epilogo. Acciaio. Tagliolini mazzancolle e asparagi.

85 1 IL COVONE 2013

Tenuta Piano di Rustano Castelraimondo (MC) - 339 3217530 Bianco Igt - Malvasia di Candia 100% - Gr. 12,5% - € 10,50 Paglierino didattico. Il profilo aromatico recita agrumi, sambuco, erba falciata e suggestioni salmastre. Di discreta struttura, con componenti dure, sapidità in primis, e morbide ben amalgamate. Persistenza giocata su toni aromatici ed erbacei. Lavorato in acciaio. Millefoglie di spigola al rosmarino.

83 1 CHARDONNAY BATTISTA 2014

La Pandolfa Via Pandolfa, 35 - 47016 Fiumana di Predappio (FC) 0543 940073 Bianco Igt - Chardonnay 100% - Gr. 12% - € n.d. Tonalità paglierino. Schiude fragranze di pera, susina, banana, lieviti e un lieve bouquet floreale. Al palato è più ricco e convincente: ha buon corpo ed equilibrio, assicurati da un tenore alcolico efficace nello stemperare le “durezze”. Inox. Pezzogna alla griglia.

83 1 TIRSAT 2013

Gurra di Mare Loc. Castellare 53011 Castellina in Chianti (SI) - 0577 742903 Bianco Igt - Chardonnay 50%, Viognier 50% Gr. 12,5% - € 13 Paglierino tipico. Parata aromatica composta da nespola, susina, fiori di limone, pompelmo e mandorla. In bocca riprende il quadro mediterraneo, fatto di semplicità fruttata e freschezza agrumata. Finale nitido e appagante. Lavorato in acciaio. Maccheroni con ricotta fresca.

82 1 KUNSÁGI GENEROSA 2013

Frittmann Borászat Eötvös u. 5 - 6230 Soltvadkert (HU) - 0036 78 482690 Bianco Oem - Generosa 100% - Gr. 12,5% - € 13 Colore paglierino tenue. Un contegnoso profilo di litchi, mela e minerali riassume l’andamento olfattivo. In bocca ha un corpo relativamente esile e vivace freschezza; si fa bere di gusto, senza impegno. Lavorazione in acciaio. Trota salmonata alle erbe fini.

91 1 BARBERA D’ASTI SUPERIORE ROSSI

BIANCHI

91 1 BIANCO BREG 2007

VIGNA LA MANDORLA 2012 Luigi Spertino Strada Lea, 505 - 14047 Mombercelli (AT) - 0141 959098 Rosso Docg - Barbera 100% - Gr. 15,5% - € 35 Colore rubino impenetrabile, quasi inchiostro. Evoca aromi di confettura di mirtilli, more, viola, eucalipto, liquirizia e spezie. Al palato sfoggia pienezza e vigore alcolico, senza rinunciare a doti di freschezza, equilibrio e a tannini ben maturi. Acciaio e sosta di 25 mesi in botti da 25 hl. Tagliata di fassona al rosmarino. 127


Appunti di degustazione 88 1 ALTO ADIGE VAL VENOSTA

84 1 PRIMITIVO DI MANDURIA FELLINE 2013

88 1 SERRAPETRONA MORÒ 2012

91 1 GEWÜRZTRAMINER PASITHEA ORO 2011

88 1 CANCELLAIA 2009

89 1 LATINIA 2007

Cantine Fontezoppa C.da San Domenico, 38 62012 Civitanova Marche (MC) - 0733 790504 Rosso Doc - Vernaccia Nera 100% - Gr. 14,5% - € 23 Rubino didascalico. Confetture di frutti di rovo accompagnano un bagaglio di rosa, eucalipto, liquirizia, tabacco da fiuto e terriccio torbato. Sorso strutturato, sapido e carnoso, con tessitura tannica e freschezza a formare un tutt’uno con la dote alcolica. 18 mesi in barrique. Cosciotto di agnello al forno.

Pakravan Papi Via del Commercio di Nocolino, 14 - Loc. Ortacavoli Nuova 56046 Riparbella (PI) - 0586 786076 Rosso Igt - Cabernet Sauvignon 70%, Cabernet Franc 30% Gr. 14,5% - € 16 Rubino particolarmente luminoso. Evoca frutti di bosco in confettura, cacao, sottobosco e terra bagnata in un abbraccio speziato. In bocca fa sfoggio di muscoli e consistenza ma non mancano freschezza e slancio minerale; finale condotto da un gradevole corredo fruttato-speziato. Inox e barrique. Petto d’anatra al miele.

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ALICANTE 2014 Ampeleia Loc. Meleta - 58036 Roccatederichi (GR) - 0564 567155 Rosso Igt - Alicante 100% - Gr. 13% - € 18 Rubino trasparente. Si colgono aromi di ciliegie, frutti di rovo, gerani, peonie e muschio. Anche l’assaggio è giocato prevalentemente su consistenti sensazioni fruttate e floreali, il tannino è scorrevole e la persistenza lunga e ammaliante. 6 mesi in vasche di cemento. Pollo con peperoni. PIEDIROSSO 2014 Feudi di San Gregorio Loc. Cerza Grossa 83050 Sorbo Serpico (AV) - 0825 986683 Rosso Igt - Piedirosso 100% - Gr. 13% - € 9,50 Rubino-porpora. Esuberanza di rosa, amarena e mirto su uno sfondo di humus e bastoncino di liquirizia. Di medio corpo ma succulento, con tannini scorrevoli e verve acida a conferire vitalità e spensieratezza. Acciaio. Tagliatelle al sugo di castrato.

Felline Strada Comunale Santostasi I, 42B 74024 Manduria (TA) - 099 9711660 Rosso Dop - Primitivo 100% - Gr. 14% - € 9 Colore granato. Sequela aromatica composta da more e ciliegie in confettura, rosa, china, erbe aromatiche, liquirizia e terra arsa. Sorso rotondo e gratificante, con trama tannica ben metabolizzata e un finale di confettura e liquirizia. Permane in barrique per 9 mesi. Cardi con salsicce.

DOLCI

PINOT NERO 2012 Falkenstein Via Castello, 19 - 39025 Naturno (BZ) - 0473 666054 Rosso Doc - Pinot Nero 100% - Gr. 13% - € 20 Tipico granato chiaro. Descrivono l’olfatto note di lamponi, rosa selvatica, liquirizia, tamarindo e legno di cedro. Freschezza, equilibrio, levità di sorso e leggiadria tannica sono le inequivocabili doti di questo Pinot Nero. Due anni in barrique. Filetto di cervo al ribes.

Girlan Via San Martino, 24 - 39057 Cornaiano (BZ) - 0471 662403 Bianco Dolce Igt - Gewürztraminer 100% - Gr. 10,5% € 31 (0,375) Oro. Pennellate di frutti gialli canditi e sciroppati, scorze di cedro candite, rosa gialla, caramella al sambuco, mimosa e cioccolata bianca. L’assaggio è anch’esso ricco, si muove denso e dolcissimo, tenuto in equilibrio da inequivocabile sapidità. Acciaio e botte. Apfelschmarren (frittata dolce di mele).

Cantina Santadi Via Cagliari, 78 - 09010 Santadi (CI) - 0781 950127 Bianco Dolce - Nasco 100% - Gr. 14% - € 30 (0,375) Color ambra smagliante. Profilo aromatico rappresentato da frutta caramellata, quindi caramella d’orzo, arancia candita, fichi disidratati, capperi, acqua salmastra e macchia marina. Decisamente dolce e cremoso, esaltato da un’impronta sapido-ammandorlata efficace nel bilanciare il sorso. 14 mesi in barrique. Papassini.

86 1 TERRE DI MELONA VENDEMMIA TARDIVA 2012

Mazziotti Via Cassia km. 110 - 01023 Bolsena (VT) - 0761 799049 Bianco Dolce Igt - Grechetto 70%, Malvasia 30% Gr. 14% - € 15 (0,500) Fra l’oro e l’ambra. Spiccano profumi di datteri e albicocche disidratate, miele e polline, stretti in un abbraccio salmastro. Bel gioco dolce-non dolce al palato, concretizzato dalla dote acida che funge da efficace contraltare all’echeggiante nota mielata. Lavorazione in acciaio. Torta alle mele.

91 1 MOSCATO DEL MOLISE APIANAE 2013

Di Majo Norante Contrada Ramitelli, 4 86042 Campomarino (CB) - 0875 57208 Bianco Dolce Doc - Moscato 100% - Gr. 14,5% - € 15 Colore dell’oro antico, offre profumi eleganti di miele, ginestra, bergamotto su fondo di confetti e zafferano. Struttura gustativa ampia, dolce ma non stucchevole, grazie al perfetto dosaggio fresco-sapido e alla lunga persistenza fruttata. Lunga scia gradevolmente salmastra. 6 mesi in acciaio e altrettanti in botte grande. Soufflé alle mandorle e caramello.


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direttore

Franco M. RICCI

Caporedattore centrale Paola SIMONETTI

Hanno collaborato a questo numero

Foto

Antonella ANSELMO, Giovanni ASCIONE,

Antonella ANSELMO, Luca BUSCA,

Massimo BILLETTO, Cinzia BONFÀ,

Giuliano LEMME, Giampiero PULCINI,

Edoardo CAMPISI, Roberto CASTAGNER,

Stefano SEGATI

Claudia CHIAROTTI, Roberto CIPRESSO, Lorenzo COSTANTINI, FEDE&TINTO,

Consulenti dell’Editore

Dario FRANCESCHINI, Angelo GAJA,

Sergio Bianconcini Architettura

Roberto GRECO, Elvia GREGORACE,

Michele Federico Medicina

Luca GRIPPO, Paolo LAUCIANI,

Stefano Milioni Edizioni

Giuliano LEMME, Marcello MASI,

Franco Patini Internet

Mariaclara MENENTI, Giampiero PULCINI,

Attilio Scienza Viticoltore

Emanuele SCHIPILLITI, Daniela SCROBOGNA,

Gianfranco Vissani Cucina

Gianfranco VISSANI, Anna Rita ZANGARA HALLIGAN

Grafica e Impaginazione

Fabiana DEL CURATOLO

BIBENDA per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino

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Anno XIV

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n. 53

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Marzo 2016

> Direzione, Redazione e Amministrazione 00136 Roma - Via A. Cadlolo, 101 - Tel. 06 8550941 - Fax 06 85305556 >

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> Iscrizione al Registro Operatori della Comunicazione al n° 9.631 L’analisi sensoriale, che evidenzia la qualità dei vini di tutte le nostre recensioni, viene effettuata con metodo e scuola di Fondazione Italiana Sommelier. In questo numero di Bibenda vi presentiamo 196 etichette. Altre Pubblicazioni di Bibenda Editore | BIBENDA il Libro Guida ai Migliori Vini, Ristoranti, Grappe, Oli e Birrifici | L’Arte del Bere Giusto / Il Gusto del Vino / Il Vino in Italia e nel Mondo / Abbinare il Vino al Cibo / Il Dizionario dei Termini del Vino (sono i testi del Corso di qualificazione professionale per Sommelier riconosciuto in tutto il mondo) | Ti Amo Italia (la pubblicazione in inglese su Vino e Cibo italiani) | Il Quaderno di Degustazione del Vino.

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DEDICATO AI NUOVI TALENTI DELLA VIGNA ITALIA WWW.NEXTINWINE.IT

NICOLA BIASI È IL VINCITORE DI NEXTINWINE 2015 Proveniente da una zona del Trentino, la valle di Non, anticamente florida zona viticola ed ora ricoperta da frutteti, dimostra di conoscere molto bene le risorse ambientali del territorio nel quale conduce i suoi vigneti. La sua innovazione è rappresentata soprattutto dalla coltivazione di varietà resistenti alle malattie con l’obiettivo dichiarato di produrre vini sani e di rispettare l’ambiente.


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