Anno XVIII - n. 76 - Mensile Gennaio 2019
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copertina > Torna l’Oscar, torna la notte delle stelle. A Roma, il 23 marzo si ripeterà la magia come ogni anno: una platea di centinaia di appassionati vivrà l’entusiasmante esperienza di assaggiare tutti i vini candidati e di poter esprimere il proprio grado di soddisfazione votando i vincitori. Tutto in una notte. Magica. Da pagina 4.
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Al vino non servono markette, serve cultura / di Franco M. Ricci La notte degli Oscar del Vino 2019 / di Redazione Ero... poi, sono diventato Sommelier: così è cambiata la mia vita / a cura di Paola Simonetti La vigna della Regina / di Salvatore Marsillo Vino Nobile di Montepulciano / di Claudio Bonifazi Una Maison piccola così / di Cinzia Bonfà Amori vecchi o nuovi / di Filippo Busato Il Teorema Mallozziano / di Paolo Aureli Nel tempo / di Raffaele Fischetti Dalle stalle alle stelle / di Silvia Licoccia, Alessandra D’Epifanio, Cadia D’Ottavi, Barbara Mecheri Come una fotografia / di Sandra Nevaloro Tenuta San Leonardo / di Daniele Liurni Come si cambia / di Stefania Roncati Torinese ma juventino, affascinante, cattolico, fortunato: è Massimo Giletti / di Elvia Gregorace A tavola con i produttori / di Cinzia Bonfà Da leggere... / di Pietro Mercogliano Crucibenda / di Pasquale Petrullo Informazioni da Fondazione
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Prossimo appuntamento con la Guida BIBENDA - Sezione Olio domenica 24 marzo 2019. Giornata dedicata al 12° Forum Nazionale per la Cultura dell’Olio.
Cena di Gala per la presentazione della Guida e Consegna dei Premi agli Oli del Nuovo Raccolto 2018 valutati 5 Gocce. Le Eccellenze di Bibenda.
...RESTATE SINTONIZZATI!
EDITORIALE
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AL VINO
NON SERVONO MARKETTE,
SERVE CULTURA
Non è mai finita, anzi è peggiorata, la piaga della marchetta del vino: Produttore paga, “giornalista” scrive. È peggiorata perché dilaga nel mondo dei social, dei blog, dei siti eccetera. Giorni fa ci siamo sbalorditi dei prezzi ma soprattutto della testata: Civiltà del Bere, storica e direi anche per me carica di nostalgia, celebrammo i dieci e i venti anni con eventi grandissimi qui al Rome Cavalieri, ma era l’epoca del grande Pino Khail. Prezzi alti, testata che fu. Certo, si dice che l’editoria stia andando male comunque, carta o internet, si legge meno. Ma proprio per questo gli investimenti di chi scrive debbono basarsi sostanzialmente sulla qualità e sulla verità dei pezzi. Non possono essere i produttori a pagare, né tantomeno i soci di associazioni per leggere l’esaltazione di Aziende amiche degli amici e improvvisamente clienti dell’informazione. Lessi tempo fa addirittura il listino prezzi che pubblicava una rivista che aveva un formato grande e che ora l’ha ridotto di molto (forse anche il listino dei prezzi). Due pagine Euro... tre pagine Euro.... Insomma, sto male per questo periodo così buio del giornalismo del vino. E a questo proposito mi chiedo se esista ancora un Ordine dei Giornalisti che controlla i suoi iscritti. Anche se è proprio vero che i fatti della pentola li conosce solo il coperchio. Franco M. Ricci 3
Articolo di Copertina
LA NOTTE DEGLI OSCAR DEL VINO Tutto in una
notte...stellata!
Era il 1999 quando il Presidente del gruppo romano dei Sommelier Franco M. Ricci decise che era giunta l’ora di assegnare un Oscar anche al vino, un premio emblematico non al vino considerato migliore in senso strettamente tecnico ma a quello in grado di regalare emozioni, quello difficile da dimenticare. Da allora, ogni anno un’Accademia formata da esperti tra Sommelier, Giornalisti, Enologi, Addetti ai lavori si riunisce per selezionare una serie di vini da candidare nelle diverse categorie. Le terne vengono poi lasciate al giudizio e al voto di un pubblico selezionato “incaricato” di scegliere i vincitori. L’Oscar diventa così un vero e proprio spettacolo, spesso trasmesso integralmente dalla Rai. L’edizione 2019 si svolgerà il 23 marzo nel Salone del Rome Cavalieri. Qui presentiamo i candidati di quest’anno.
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Le Nomination Categoria Miglior Vino Spumante
Categoria Miglior Vino Rosato
Spumante Brut Nature Marasco 2016 L’ARCHETIPO – CASTELLANETA TA Azienda che pratica un’agricoltura sostenibile, in cui le sinergie tra tutti gli anelli dell’ecosistema sono innescate, senza arature né potature. A condurre quest’interessante realtà pugliese, Francesco Valentino Dibenedetto insieme alla moglie Anna Maria e ai loro quattro figli.
Gran Cuvée Rosé Swarovski FARNESE FANTINI – ORTONA CH Quest’azienda rappresenta un modello produttivo fortemente innovativo per tutta la regione, basato su una sorta di share-oenology che è chiave di volta della sua costante crescita e dei successi su scala mondiale. Merito delle scelte del presidente Valentino Sciotti e di tutto il team aziendale.
Sicilia Contea di Sclafani Extra Brut Almerita Contessa Franca 2011 TENUTA REGALEALI – PALERMO Storica azienda siciliana, improntata su una viticoltura sostenibile e totalmente green, che prevede la progressiva riduzione dell’impatto di tutta l’attività aziendale sulle risorse del territorio di pari passo con la ricerca scientifica. Di proprietà dei Conti Tasca d’Almerita dal 1830.
Costa d’Amalfi Terre Saracene Rosato 2017 ETTORE SAMMARCO – RAVELLO – SA L’azienda rappresenta in pieno la storia enologica della Costiera. La sua produzione rappresenta un tour completo del territorio e dell’intera denominazione, da cui non resta fuori proprio nulla, tanto da essere soprannominata il tesoro della Costa d’Amalfi.
Franciacorta Pas Dosé Riserva 33 2011 FERGHETTINA – ADRO BS Da quasi 30 anni Ferghettina è sinonimo di Franciacorta nella sua massima espressione. È Roberto Gatti da sempre a seguire tutte le fasi, da quella agronomica a quella enologica e commerciale, alla ricerca della qualità attraverso scelte e condizionate esclusivamente dall’annata e dal vigneto.
Etna Rosato 2017 PIETRADOLCE – CASTIGLIONE DI SICILIA – CT L’azienda dei fratelli Michele e Mario Faro è uno dei simboli della rinascita dell’Etna. Seppur giovane, è già solidamente affermata e grazie alla qualità dei suoi vini “del Vulcano”, in pochissimo tempo si è garantita un posto tra le aziende migliori della denominazione.
Categoria Miglior Vino Bianco
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Oscar del Vino 2019
Categoria Miglior Vino Rosso
Alto Adige Müller Thurgau FeldMarshall Von Fenner 2016 CORTACCIA BZ Antica la storia vitivinicola di Tiefenbrunner, emblema di tutta la città di Cortaccia, risalente al 1848. Tradizione è la parola chiave della produzione aziendale, che ha portato l’azienda a essere considerata simbolo della vitivinicoltura altoatesina.
Bolgheri Sassicaia 2016 TENUTA SAN GUIDO – CASTAGNETO CARDUCCI LI Azienda simbolo indiscusso fin dal suo esordio nel 1940 del panorama vitivinicolo mondiale, grazie all’intuizione e alla grande esperienza di un uomo colto come il Marchese Mario Incisa della Rocchetta e a Giacomo Tachis genio indiscusso dell’enologia.
Derthona Timorasso Costa del Vento 2016 VIGNETI MASSA – MONLEALE AL A Walter Massa si deve il merito di aver ridato lustro al Timorasso, vitigno quasi abbandonato e da lui reinterpretato in modo personalissimo, attraverso un cospicuo lavoro in vigna e rigorose pratiche in cantina, tanto da essere oggi riconosciuto come vera icòna di bianco piemontese.
Barbaresco Gallina Riserva 2007 LA SPINETTA – CASTAGNOLE LANZE – AT Azienda in fondo giovane (poco più di quarant’anni) divenuta in pochissimo tempo di culto. La creatura di Giorgio Rivetti possiede uno stile tra i più affascinanti nel mondo del vino, punto di riferimento assoluto per eleganza, piacevolezza, longevità.
Alto Adige Gewürztraminer Vigna Kastelaz 2017
Amarone della Valpolicella Vigneto di Monte Lodoletta 2012
ELENA WALCH – TERMENO BZ Una produttrici simbolo dell’intera viticoltura altoatesina. La metodica cura del vigneto attraverso i principi di sostenibilità ambientale è il suo punto chiave per la ricerca della qualità e della trasparenza nell’espressione di ogni singolo vitigno.
ROMANO DAL FORNO – CELLORE D’ILLASI VR Un’istituzione tra i vignaioli di Valpolicella. Perfezionista e innovatore lavora con attenzione certosina, in vigna come in cantina, per raggiungere in primis l’armonia con la terra e poi canoni qualitativi d’eccellenza.
Categoria Miglior Vino Dolce
Categoria Miglior Rapporto Valore/Convenienza
Caluso Passito Sulè 2010 ORSOLANI – SAN GIORGIO CANAVESE TO Azienda storica del Canavese che da generazioni si dedica all’Erbaluce, vitigno simbolo della zona. Ingentilito e valorizzato proprio grazie al lavoro di Gian Luigi Orsolani, il vitigno è diventato un simbolo dell’intera tipologia, anche nella versione lavorata e invecchiata in legno.
Fieno di Ponza 2017 ANTICHE CANTINE MIGLIACCIO – PONZA LT Nel micro-territorio di Ponza, Luciana Sabino ed Emanuele Vittorio con la loro azienda hanno ridato lustro al territorio, grazie ad una viticoltura ispirata ai principi di sostenibilità ambientale che ha portato alla produzione di etichette dalla spiccata personalità.
Moscato del Molise Apianae 2015 DI MAJO NORANTE – CAMPOMARINO CB Gusto per le sfide e passione per il gusto sono da sempre il motore di Alessio e tutta la famiglia Di Majo Norante. I loro prodotti eccellenti hanno dato nel tempo forza e visibilità all’intero Molise, l’azienda è un punto di riferimento assoluto.
Cerasuolo d’Abruzzo Myosotis 2017 ZACCAGNINI – BOLOGNANO PE Marcello Zaccagnini è l’artefice del grande successo aziendale, in Italia e nel mondo. Grazie alle sue scelte innovative, il livello tecnologico raggiunto in vigna e in cantina è altissimo, con risultati che hanno reso l’azienda emblema della viticoltura regionale.
Syrah Vendemmia Tardiva Kaid 2017 ALESSANDRO DI CAMPOREALE – CAMPOREALE PA Splendida realtà palermitana che ha puntato sin dall’inizio sulla conduzione biologica, fattore che ha permesso a varietà come Nero d’Avola e Syrah di integrarsi perfettamente in questo habitat, acquisendo un profilo sensoriale di entusiasmante espressione.
Barolo Essenze Riserva 2008 VITE COLTE – BAROLO CN Un progetto avviato per esaltare l’eccellenza della produzione di 180 viticoltori langaroli attraverso la personalizzazione nella gestione delle singole parcelle di proprietà e la condivisione tecnicoscientifica. Conduzione biologica, o comunque ecosostenibile, in gran parte dei vigneti.
Categoria Vino del Miglior Produttore
Categoria Miglior Vino Emergente
Etna Bianco Superiore Pietra Marina 2015 BENANTI – VIAGRANDE CT Se oggi l’Etna è una delle denominazioni più note e di successo lo si deve per una fetta molto importante alla famiglia Benanti, alla guida di un’azienda che da sempre cerca di raccontare nella maniera migliore il succedersi delle annate alle pendici della Montagna.
Pecorino Prope 2017 VELENOSI – ASCOLI PICENO Fondata nel 1984, la cantina da allora è cresciuta costantemente ed oggi è una delle migliori aziende del nostro Paese. Grazie alla patronne Angela Velenosi, con un lavoro rispettoso della tradizione ma affiancato a sistemi moderni ha conquistato i mercati internazionali.
Granato 2015 FORADORI – MEZZOLOMBARDO TN Elisabetta Foradori fin dal suo ingresso in azienda ha puntando tutto sulla biodinamica e su questo difficile vitigno, “educandolo” e domandolo così bene fino a farne una vera star. Oggi l’azienda della signora del Teroldego fa scuola.
Curtefranca Corte del Lupo Bianco 2017 CA’ DEL BOSCO – ERBUSCO BS Pezzo fondante della storia vitivinicola fra nciacortina. Oltre cinquant’anni di impegno, un parco di vigne e cru straordinario, una presenza sul mercato chiara e radicata. Maurizio Zanella, artefice di questo successo, continua a stupire per la sua utopica visione della produzione del vino.
Kupra 2015
Etna Rosso Contrada Santo Spirito 2015
OASI DEGLI ANGELI – CUPRA MARITTIMA AP Marco Casolanetti ed Eleonora Rossi hanno avviato la loro produzione più di vent’anni fa, abbracciando una conduzione agricola con l’utilizzo di soli prodotti organici e priva di concimazione che ha portato alla produzione di veri capolavori.
PALMENTO COSTANZO – PASSOPISCIARO CT La Palmento Costanzo nasce nel 2011 nel fulcro della produzione vitivinicola Etnea, per ridare lustro ai vitigni tradizionali della zona. Seppur giovane, si sta imponendo come una delle migliori dell’intero areale con una produzione elegante e spiccatamente territoriale.
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Le Nomination Categoria Migliore Espressione della Tradizione Carema Etichetta Bianca 2014 FERRANDO – IVREA TO Parlare di Ferrando significa parlare di uno dei vini più affascinanti del Piemonte: il Carema. Definito il “nobile Barolo di montagna”, è un vino molto raro per via della coltivazione impervia ed eroica, ricavato sempre dal vitigno Nebbiolo. I Ferrando hanno sempre dedicato tutte le loro energie per la valorizzazione di questo vino e ancora oggi Roberto Ferrando, vigneron di rango carico di passione e gentilezza, porta avanti con orgoglio questa missione, riuscendo a far primeggiare il suo Carema Etichetta Bianca tra tutti quelli della denominazione. Aglianico del Vulture Don Anselmo 2015 PATERNOSTER – BARILE PZ Azienda conosciuta con il nome storico del suo fondatore, anche se nel 2016 il gruppo Tommasi, colosso vitivinicolo della Valpolicella, ha rilevato la maggioranza della proprietà anche se la famiglia Paternoster , nome storico dell’enologia e della viticoltura lucane, continua a partecipare alla gestione aziendale, garantendo quella continuità della tradizione che ha reso grande l’Aglianico e tutti i vini aziendali.
Oscar del Vino 2019 Categoria Premio Speciale della Giuria 2019 Solaia 2006 ANTINORI – FIRENZE Vini di classe internazionale, ancorati alle radici e sempre innovativi. Così si potrebbe in estrema sintesi definire l’incredibile produzione Antinori, un team difficile da battere sulle tavole di tutto il mondo, merito dell’incredibile binomio Pietro Antinori-Giacomo Tachis, il primo in qualità di lungimirante uomo del vino, il secondo indiscusso padre dell’enologia italiana. Barbaresco Sorì San Lorenzo 2015
GAJA – BARBARESCO CN Angelo Gaja è il mago raffinato del vino, capace di catturare in bottiglia il sole della vigna e la profondità della terra, grazie a quella sua capacità di intuire prima degli altri le future tendenze nel vino, soprattutto se di spiccata originalità. Ogni sua etichetta si caratterizza per l’estrema semplicità, che resta la cosa più complicata del mondo, la grande sobrietà, a cui è difficilissimo tendere nell’era moderna dell’apparire e dell’eccesso, e quella qualità assoluta che ha attirano l’attenzione degli appassionati e degli esperti in ogni angolo del pianeta, dando ancora più lustro a un territorio così vocato come le Langhe. Tenuta di Trinoro 2015
Brunello di Montalcino Vigna Loreto 2013 MASTROJANNI – MONTALCINO SI La cera lacca sulle etichette sta a ricordare il prestigio di questa firma ilcinese, che dal quadrante meridionale della denominazione ha fatto scuola. Acquistata nel 2008 dal gruppo Illy, l’azienda non ha cambiato di una virgola l’indirizzo produttivo di successo che la caratterizzava, continuando a far sognare con campioni di puro godimento dei sensi e dello spirito.
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TENUTA DI TRINORO – SARTEANO SI Quando Andrea Franchetti ha cominciato a fare vino, il suo desiderio di fare il miglior vino del mondo sembrava un desiderio impossibile da saziare. Di scuola enologica francese, sceglie la Toscana e la Val d’Orcia per portare a termine il suo progetto. Impianta nuovi vitigni, soprattutto Cabernet Franc, e adotta metodi di viticoltura estremi come diradamento drastico, basse rese e concimazioni naturali, lasciando perplessi i limitrofi vignaioli. Ma questa è stata l’intuizione che ha siglato il suo successo e che oggi fa scuola per la produzione della zona.
OSCAR DEL VINO 2019 la notte degli oscar Ro m a • S a b at o 2 3 M a r z o 2 0 1 9 • H o t e l Ro m e C ava l i e r i
Ero… poi, sono diventato sommelier: così è cambiata la mia vita
Bibenda 76 duemiladiciannove
ERO… POI,
SONO DIVENTATO SOMMELIER: COSÌ È CAMBIATA LA MIA VITA a cura di
Quando,
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a o l a
S
i m o n e t t i
perché e percome, cambiamenti, risultati, soglia di soddisfazione.
Testimonianze di alcuni che dopo il corso hanno visto cambiare la loro vita.
Il corso per sommelier ti cambia la vita, in meglio: è il nostro slogan sbandierato da anni. Un assunto, un dogma, una certezza. Stavolta ci siamo divertiti a dimostrarne la veridicità attraverso brevissime interviste rilasciate da qualche collega Sommelier, alcuni freschi freschi di diploma, altri ormai “colossi” di consolidata fama. Come erano e come sono oggi. Hanno raccontato di desideri, successi, nuove consapevolezze, qualità della vita, diverso approccio all’universo del gusto, altre dimensioni da esplorare. Abbiamo trovato un mondo colmo di felicità, testimoniata da esperienze ricche di soddisfazioni, non solo dal punto di vista organolettico. In più, pur tacendo nomi e cognomi, possiamo comunque affermare che molti di loro nella sommellerie, in questo sorprendente pianeta del vino, hanno trovato l’Amore, il loro amore, quello della vita. Alcuni anche più d’uno…
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ERO... POI!
ANTONELLA ANSELMO
Avvocata, esperta in diritto amministrativo e agroalimentare Ero titubante all’idea di iscrivermi al Corso. Temevo che un grande impegno si sarebbe aggiunto alla mia giornata lavorativa e alla vita familiare. In realtà il Corso si è rivelato uno spazio di divertimento e di condivisioni. Sono diventata Sommelier e quindi, per non interrompere un percorso già felicemente avviato, mi sono immediatamente iscritta al Master. La vita è cambiata per il grado di consapevolezza raggiunto nella percezione del gusto, per la condivisione delle passioni, per la crescente curiosità nel conoscere storie di vignaioli e territori. Le profonde amicizie che sono nate all’interno della Fondazione si sono rivelate grazie ai viaggi condivisi insieme e ai nuovi percorsi, come il Corso sull’Olio. Poi è nata l’opportunità della docenza, sia in Italia che all’estero, nonché quella della scrittura su Bibenda: forme diverse per conoscere meglio se stessi e migliorare la relazione con il mondo. Il vino è divenuto centro di aggregazione, occasione di crescita e di confronto continuo, ovunque.
un ragazzo alle prime armi nella vendita del Vino e sentii il bisogno di approfondire la mia conoscenza su questo meraviglioso mondo, sia per formazione personale sia per quella professionale, quindi decisi di prendere parte al 51º Corso per Sommelier al Rome Cavalieri. Presi il diploma a marzo del 2015 e da lì mi si aprí un mondo che mi ha cambiato la vita in meglio perché mi sta aprendo nuove porte per il lavoro e mi ha permesso di prendere parte a questa Stupenda Famiglia che è la Fondazione Italiana Sommelier ed a conoscere persone che porterò sempre nel cuore come il nostro Carissimo Super Professore Daniele Maestri.
GIOVANNI ASCIONE Produttore di vino Appassionato, sì, forse potevo definirmi un appassionato di vino, ma seguivo qualche nome o poco più, con molte più delusioni che soddisfazioni. Poi il corso all’Hilton, nel 2000, quasi per caso, con poche aspettative. E invece, da allora, il mondo ha cominciato a girare più velocemente. Il vino è entrato della mia vita in maniera dirompente, attraverso amici, esperienze, nuovi corsi, tanti viaggi. Ho scritto di vino, ho visitato cantine e territori, ho conosciuto alcuni tra i più importanti ed affascinanti uomini enoici del pianeta, ho cominciato a farlo il vino. Sono ritornato nella mia terra ed ho eletto una piccola vigna a mia nuova casa.
MATTIA ARDOVINI
Panettiere e Sommelier Sommelier, appassionato del mondo del Vino e del buon mangiare, aspirante “Bibenda Executive Wine Master”. Oltre ad approfondire le mie conoscenze nel mondo del Vino, la mia passione per l’enogastromia tre anni fa mi ha portato anche ad avviare a Civita Castellana con la mia famiglia il Gianforno, un’attività artigianale di panificazione e pasticceria, ma con il “chiodo fisso” sul Mondo del Vino. Ero
MASSIMO BILLETTO Imprenditore e Docente Fondazione Italiana Sommelier Sono nato e cresciuto in Piemonte, dove sin da bambino il vino e la buona
tavola fanno parte della quotidianità e accompagnano il tuo respiro. Nella mia “prima vita” abbracciai la carriera di Ufficiale nell’Arma dei Carabinieri. Il Corso per Sommelier, seguito oltre 25 anni fa, fu una folgorazione immediata. Far parte di quello straordinario gruppo che portò, con anni di entusiasmante e disinteressato lavoro, alla costituzione di un centro di cultura unico al mondo, mi ha indotto, giorno dopo giorno, a lasciare la carriera militare, pur rimanendone legatissimo a valori e principii, realizzando che la mia vera via era quella del vino, della comunicazione, del dedicare il mio tempo e le mie energie a questo straordinario mondo che non può essere, in particolare per noi italiani, un semplice hobby: è uno stile di vita. La sensazione, dopo tanti anni, è quella di avere realizzato una sorta di chiusura del cerchio. Il Corso mi ha portato a concretizzare ciò che nell’adolescenza, senza esserne allora pienamente consapevole, era la traccia che avrei dovuto seguire nella mia vita. Un vero e proprio “Richiamo della Foresta”, che con profondo piacere intravedo nei tanti giovani che affollano le nostre aule.
CINZIA BONFÀ Professoressa di italiano nella scuola Media, sommelier Master Class, giornalista pubblicista, collaboratrice Bibenda. Volevo capire e sapere come nascevano un vino e uno champagne. Poi, attraverso il corso, ho conosciuto la magia ciclica e mutevole delle vendemmie, la luce delle vigne, la storia delle piccole e delle grandi botti, lo stupore degli assemblaggi, la saggezza dell’invecchiamento e anche i colpi di fulmine delle degustazioni. Il corso della Fondazione Italiana Sommelier fa il possibile, in ogni singola lezione, per creare quella rara complicità che c’è tra chi degusta e l’oggetto della degustazione. Dopo tanti anni il vino per me è diventato così non solo un lavoro e una passione ma soprattutto il mio stile di vita.
ALESSIA BORRELLI
CLAUDIA CHIAROTTI
MARCO CIARDELLI
Coordinamento Operativo Alitalia e Docente Fondazione Italiana Sommelier Sono sempre stata una persona molto curiosa ed il vino è diventato una sfida quotidiana per saziare, ma allo stesso tempo incrementare, la mia curiosità. Grazie al vino la mia vita è cambiata intorno a me a 360°, oltre ad aver sviluppato una spiccata sensibilità per i sapori e gli aromi, ho cominciato a privilegiare le scelte di qualità a quelle di quantità. Ho imparato ad amare il bello che la vita può offrirci e non solo negli aspetti materiali ma anche in quelli personali, come le persone belle che danno un valore aggiunto alla nostra vita. Insomma grazie al vino ho trovato nuovi amici, una nuova famiglia, nuove passioni (lettura, collezionismo ecc.), una nuova me capace di poter comunicare con gli altri attraverso la condivisione di un calice di vino e magari di trasmettere la magia di questo mondo.
Redazione Bibenda Ero una giovane studentessa universitaria completamente astemia, nonostante i miei genitori fossero proprietari di una storica enoteca nel centro di Roma, attiva dal 1927. Nel settembre del 1999 lascio gli studi per aiutare nell’attività di famiglia. Nel novembre dello stesso anno mia madre mi ha iscritto al 20° corso per Sommelier che si svolgeva all’Hotel Hilton a Monte Mario (e che ancora oggi si svolge) per farmi scoprire il vino e il suo mondo, per me completamente sconosciuto. Mi sono diplomata sommelier a marzo 2001 e da li è cambiata la mia vita. Sono entrata nel gruppo servizi dell’allora Associazione, prima come semplice sommelier, poi come prima donna capogruppo del gruppo servizi e gestivo più di 40 sommelier nei vari servizi a Roma. Passione e dedizione mi hanno poi portato a lavorare nella sede di Roma prima come addetta alle iscrizioni ai Corsi, poi come centralinista e responsabile dell’intero Gruppo Servizi di Roma, fino a diventare redattore di Bibenda dal Gennaio 2010. Grazie al Corso e a ciò che mi ha insegnato, sono stata scelta anche come Sommelier per le prime edizioni televisive della Prova del Cuoco con Antonella Clerici. Oggi lavoro nella Redazione Centrale di Bibenda e per la Fondazione Italiana Sommelier mi occupo del sito internet www.bibenda.it. Degusto e scrivo di vino e di olio ormai da anni con soddisfazione massima, perché il mio lavoro coincide con ciò che amo fare!
Redazione Bibenda Ero uno studente dell’Istituto Alberghiero Tor Carbone di Roma e fra le consuete lezioni di Cucina e Sala, un giorno fa la sua comparsa Daniele Maestri, il quale allora teneva degli interessantissimi interventi sull’argomento vino. Queste ‘piccole pillole’ hanno innescato in me una fortissima voglia di saperne di più, quindi per approfondire il tema ho scelto di iscrivermi al corso professionale di Sommelier dell’AIS con sede all’Hotel Hilton di Roma. Conseguito il diploma di Sommelier nel 2011, ho iniziato a muovere i primi passi in questo splendido mondo, iniziando un percorso che ben presto avrebbe cambiato radicalmente la mia vita. Oggi posso affermare con certezza di essere molto fortunato, poiché faccio parte del Centro di Cultura del Vino e dell’Olio più bello del Mondo.
EDOARDO CAMPISI Brand Manager Roma Ômina Romana Ho sempre avuto un’attrazione fatale per il vino, poi un bel giorno quasi per caso entro nella grande famiglia della Fondazione Italiana Sommelier, la quale con amore e professionalità, mi ha accolto, rispettato e ha reso possibile un’esperienza unica ed irripetibile. Vorrei ringraziare tutti voi per aver reso possibile la realizzazione del mio sogno più vero e di avermi regalato il futuro.
PAOLO DI CARO Giornalista e Docente Fondazione Italiana Sommelier Ho iniziato per gioco, per puro piacere edonistico; poi ho scoperto un mondo nel quale la cultura italiana viene raccontata attraverso il vino, con passione, professionalità, amore per la vita. Perché il vino è vita e il nostro Corso per sommelier ti aiuta ad aprire una finestra dell’esistenza che spesso lasciamo chiusa per pigrizia. Lezione dopo lezione scopri uomini, donne, contadini, lavoratori, storie che lasciano il segno e raccontano la poliedrica bellezza della nostra terra. Tutto questo solo attraverso lo stimolo continuo dei sensi. Descriverlo è emozionante, viverlo non ha prezzo”. 13
ERO... POI! diventata anche Sommelier dell’Olio. Adesso l’architetto lo faccio per hobby.
FRANCESCO FACCHINI Assistente del Presidente di Fondazione Italiana Sommelier Mi occupavo di elettronica. Mi capitava spesso di fermarmi a curiosare tra gli scaffali di una famosa enoteca dei Parioli. Senza una ragione apparente, restavo affascinato a guardare tutte quelle etichette che non conoscevo. Poi seppi del corso per sommelier dell’Hilton. Mi iscrissi subito senza esitare. Mi si spalancò un mondo fatto di profumi e di sapori, un mondo di racconti e di bontà, avevo scoperto un altro modo di gustare la vita. Addio elettronica, mi tuffai nel vino a capofitto (in senso figurato e non solo). Sono passati molti anni e non sono mai tornato indietro. Quell’ormai “antica” scelta mi rende ancora felice. Ogni giorno di più.
MAGHI FANO Da architetto per formazione a personal chef per vocazione. Una vita passata sui tavoli da disegno senza mai smettere di praticare l’arte culinaria, la mia passione. Per completezza di preparazione ho iniziato il corso per sommelier diplomandomi nel 2012. È stata la chiave di volta che mi ha convinto a puntare sul serio sui miei “passatempi” e di farne una professione. Nasce così Gnamm Personal Chef, progetto messo in piedi assieme a mia figlia Flaminia, e oggi ci occupiamo dell’organizzazione di eventi per grandi e piccoli nei luoghi scelti dal cliente, dal cocktail alla cena al rinfresco, realizzati con prodotti di alta qualità, belli da vedere e buoni da mangiare, con la possibilità di avere una consulenza professionale anche nella scelta dei vini da abbinare. E degli oli, perché nel frattempo sono
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ELENA FANTINI Consulente Piani di Comunicazione & Eventi. Assistente alla docenza per i Corsi Barman della Fondazione Italiana Sommelier Ero semplicemente una persona curiosa e golosa. Immergermi nel mondo del vino e della Mixology, accompagnata dai professionisti della Fondazione Italiana Sommelier, è stato come spalancare una porta verso infiniti percorsi dove potermi meravigliare di come i doni della natura, quali il sole, l’argilla, i chicchi d’uva, le bacche di ginepro, i fiori di artemisia e la canna da zucchero, possono essere sapientemente elaborati dall’uomo e generare profumi e sapori carichi di gratificazione e gioia di vivere. Stappare una bottiglia di vino in una cena in famiglia, bere un cocktail con un’amica, creare una lezione dedicata alle erbe aromatiche, fare un viaggio in qualsiasi luogo del mondo, sono diventate esperienze ancora più ricche di significato. Ho scoperto, con grande felicità, quanta cultura e quanto amore possono essere contenuti in un bicchiere.
RAFFAELE FISCHETTI Buyer e Presidente Regionale di Fondazione Italiana Sommelier Ero un semplice cameriere che arrivava in Alto Adige con una valigia piena di sogni. Il corso da Sommelier mi ha aperto un ventaglio di opportunità che nemmeno io immaginavo. I cambiamenti sono arrivati
nel tempo, prima con una cavalcata alberghiera costante che mi ha portato a lavorare anche nei locali stellati Altoatesini e a firmarne carte vini. Ora faccio il buyer per i paesi esteri e il pensiero che il consumatore degusta quello seleziono mi emoziona ancora. Ho l’orgoglio di essere da quattro anni il Presidente Regionale di Fondazione Italiana Sommelier per il Trentino Alto Adige. La soddisfazione per aver frequentato quel corso è altissima e sono certo che il meglio deve ancora venire!
ROBERTO GRECO Redattore Bibenda e Docente Fondazione Italiana Sommelier L’educazione è di cultura contadina, con il vino autoprodotto in casa e la vendemmia, l’evento clou dell’anno a cui sin da piccoli anche controvoglia, si doveva partecipare. Così ad un certo punto ti allontani dalla terra pensando di liberartene e che è meglio per te fare altro. Poi invece diventi consapevole. Una parte di te è ancora là, tra le vigne e l’odore di mosto, non puoi tornare indietro ma scopri, dopo avere ascoltato un sommelier descrivere un vino, che è possibile dare una forma concreta a quella cultura d’origine. Capisci che è possibile partire dalla fine, facendo un viaggio a ritroso, dalla bottiglia alla mano che ha generato quel liquido, fino al territorio che ha ospitato entrambi. Devi studiare tanto, e nel frattempo sei già cambiato, parli un nuovo linguaggio, quello che serve per avvicinarsi ad un sapere così vasto che ogni anno si rinnova. Ma non basta, non finisci mai di imparare e alle volte di sorprenderti anche solo portando il bicchiere alla bocca.
LUCA GRIPPO Redattore Bibenda Ero giovanissimo quando assaggio un grande Barolo. La miccia è accesa, la faccio finita con qualsiasi bevandaccia e trovo ogni occasione per poter degustare bottiglie di vino importanti. Ai poveri colleghi di università l’onere di pagarle nelle nostre serate, a me l’onore di raccontarle. Leggo tutto ciò che mi passa per le mani: il grande Veronelli, il maestoso Peynaud, l’opera di Soldati che con i suoi viaggi ricordava il Grand Tour di Goethe; ma ciò non basta, ho bisogno di qualcosa in più, di un linguaggio universale, di fare vera palestra nell’assaggio, di acquisire la grazia di un sommelier. Incontro Franco Maria Ricci all’Hotel Hilton di Roma, resto folgorato come lo ero stato dal grande Barolo! Lui capitaneggia una squadra di docenti-sommelier espertissimi con luminosità ed energia che è di un altro pianeta: mi sembra di sognare. Ho sognato per tutto il Corso di Sommelier, senza perdere nemmeno un incontro. Ho sognato proseguendo gli studi con il Master Class di Analisi Sensoriale di Roma, ho servito il vino in ristorante da vero sommelier, sono diventato redattore della Guida Duemilavini (oggi Bibenda) e grazie a Bibenda collaboratore in redazione centrale e giornalista. Con il Corso di Sommelier la mia vita non è solo cambiata, in meglio, è diventata un bellissimo e consapevole viaggio d’assaggio che mi accompagnerà per sempre.
GIOVANNI LAI
Direttore Commerciale Italia Biondi Santi Vengo da una famiglia di ristoratori, giovanissimo decisi di aprirmi un pub cercando di
proporre un offerta qualitativa. Mi resi conto che le mie competenze nel mondo del vino e del cibo erano ristrette e decisi di partecipare al sedicesimo corso per sommelier, era il 1996. Dal momento dell’iscrizione al corso è iniziato un viaggio straordinario condito di passione e tanta competenza che oltre a migliorare le mie conoscenze mi ha permesso di migliorare il mio approccio al lavoro grazie all’incontro di docenti straordinari. Un percorso favoloso che mi ha permesso di cambiare lavoro, girare il mondo migliorarmi in modo progressivo... fino ad arrivare alla Direzione Commerciale Italia di Biondi-Santi, l’azienda dei miei sogni. A me ha cambiato, anzi stravolto la vita!
PAOLO LAUCIANI Professore di Lettere Classiche e Docente Fondazione Italiana Sommelier Ho iniziato il corso alla fine del 1992 per approfondire una passione “da orecchiante” e pensavo che la cosa sarebbe finita lì. Invece, sono entrato un mondo incredibile, fatto di storia, scienza, umanità: in una parola, di “cultura”. E non ho più saputo né voluto uscirne. La mia vita non è semplicemente cambiata, si è rivoluzionata: grazie al “talent scout” Franco M. Ricci, sono stato coinvolto nella docenza e nella comunicazione del vino a 360°. Ho viaggiato, conosciuto persone e luoghi straordinari, trovato amici veri. Oggi mi sento arricchito da un bagaglio enorme di umanità e di emozioni.
Come tanti Italiani, fin da ragazzo bevevo vino. Perché lo avevo visto fare, da sempre, a mio padre, a mia madre, ai miei nonni. Bevevo quello che capitava, quello che andava di moda. Ad un certo punto, la mia curiosità ha avuto il sopravvento, assieme al desiderio di conoscere meglio il contesto e la cultura che gravitavano attorno al vino. Fu scontata la decisione di frequentare il corso “dell’Hilton”, di gran lunga il più noto e prestigioso. Mi aspettavo molto, ma ho avuto ancora di più: l’accendersi di una passione che mi ha spinto, senza soluzione di continuità, ad iscrivermi al Bibenda Executive Wine Master e poi a divenire docente, trasferendo sul vino una professionalità che avevo acquisito in tanti anni di carriera accademica, sia pure in tutt’altro settore. Rifarei quella scelta non una, ma mille volte, perché ha alimentato l’aprirsi di nuovi orizzonti. Il corso ti cambia la vita in meglio; e non è solo uno slogan.
DANIELE LIURNI Personal Chef e Redattore Bibenda Ero un bevitore occasionale, consapevole il giusto ma non di certo un esperto. Mi sono iscritto al 52esimo corso perché volevo saperne di più, per me e per il mio lavoro di cuoco, ma non credevo che la mia vita sarebbe cambiata più di tanto. Mi sono ricreduto presto. Oggi mi sento un Indiana Jones del vino, sempre a caccia dei tesori più nascosti, delle chicche, delle rarità: viaggio dal Sudafrica alla Nuova Zelanda alla California, nel tempo che occorre a tirar via il tappo. Sono diventato un degustatore professionista e forse il vino diventerà il mio nuovo lavoro. È cambiato tutto, in meglio.
GIULIANO LEMME Avvocato e Professore Ordinario di Diritto dell’Economia, Docente Fondazione Italiana Sommelier
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ERO... POI!
LUCIANO MALLOZZI Professore di Educazione Fisica e Docente Fondazione Italiana Sommelier Nella vita faccio l’insegnante, da tanto, e, indubbiamente, insegnare mi piace. Facevo sport e mi sono trovato ad insegnarlo, suonavo la chitarra e mi sono trovato ad insegnarla. Ad un certo punto ho scoperto che mi piaceva il vino, mi sono appassionato e... mi sono trovato ad insegnarlo. Ma non è questo il punto. Il nocciolo della questione è che ho scoperto un mondo affascinante, altro da quelle quattro informazioni (a volte scomposte ed errate) mutuate da finti competenti. Il corso per sommelier è stato per me l’inizio di una nuova era, ma non solo nell’approccio al vino e al cibo, mi ha fatto riconsiderare le competenze e le conoscenze in tutti gli altri ambiti della mia vita, sociale e culturale. Nulla è più come prima. La conoscenza fa la differenza! Ringrazio ancora una volta tutti i miei straordinari docenti dell’epoca, di, ormai, quasi trent’anni fa!
BARBARA PALOMBO Redattore Bibenda e Docente Fondazione Italiana Sommelier Da bambina sognavo di diventare una principessa… Invece sono diventata commercialista, per volere di papà, e avvocato, per volere di mamma. Ma io ancora sognavo di essere una principessa. Poi sono arrivata alla Fondazione Italiana Sommelier, ho iniziato il mio percorso e ho capito che questo mondo mi piaceva molto di più del sognato Castello Reale. E sono ancora qui, con lo stesso entusiasmo e la stessa voglia di continuare del primo giorno. La mia vita è davvero cambiata, tanto e in meglio.
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ISABELLA PERUGINI Fotografa, PR, Autore TV Il mio percorso di sommelier è durato quasi dieci anni. Incominciai il corso nel 2005 frequentando allora il primo e secondo livello, poi la vita, gli impegni di lavoro mi portarono altrove. L’amore per il vino però è sempre stata una costante nella mia vita, così nel 2013 ho ripreso il percorso e una volta diplomata Sommelier ho deciso che il mio futuro doveva essere tra le vigne, ad ascoltare narrazioni di terroir, uomini e annate. Pian piano, con dietro un bagaglio di competenze apprese grazie a docenti unici, ho cominciato a viaggiare, approfondire temi e zone. Storie di territori e storie di uomini. Oggi ho la fortuna di poter unire la passione del vino con il mio lavoro. Proprio grazie alla mia presenza in Fondazione Italiana Sommelier ho avuto la possibilità di conoscere Marcello Masi e Rocco Tolfa e di collaborare con loro a “Signori del Vino”. La trasmissione di Raidue mi ha dato la possibilità di girare per l’Italia del vino, di rimanere a bocca aperta davanti al paesaggio vitivinicolo eroico delle Cinque Terre o della Valtellina, di salutare a’ Muntagna che ci regala doni unici e di innamorarmi delle Langhe, ogni volta, e tanti altri viaggi ancora. Poter infine frequentare, per passione e per lavoro, ancora oggi la Fondazione Italiana Sommelier mi dà l’occasione di viaggiare stando ferma, di conoscere vini che ancora oggi fanno parte dei vini del cuore, quelli che mi hanno emozionato, quelli hanno saputo raccontarmi attraverso il bicchiere la visione di chi li produce. È proprio vero, il corso per Sommelier ti cambia la vita, in meglio, e una volta finito il percorso sai che sei “destinato” ad un viaggio continuo di scoperta perché con il vino non si finisce mai di imparare...
UBALDO PIZZINGRILLI Responsabile Gruppo Servizi Fondazione Italiana Sommelier Ero un commerciante, senza orari, senza soste durante le feste comandate, il primo ad entrare a bottega e l’ultimo ad uscire. Ho fatto il corso nel 1994 e fin dal primo momento ho capito che la qualità avrebbe fatto la differenza in primis nella mia bottega e così fu. Ancora più esigente con me stesso, il mio negozio divenne sempre di più un punto di riferimento dell’intero quartiere ed io il punto di riferimento del Gruppo Servizi Sommelier. Sapevo che la ricerca della qualità non mi avrebbe più abbandonato. Dopo anni di collaborazione in cui ho dato anima e corpo, oggi ho la piena responsabilità di questo grippo, questo piccolo esercito che marcia ordinato al ritmo dell’entusiasmo e della passione ed è una grandissima soddisfazione.
FRANCO MARIA RICCI Presidente Nazionale Fondazione Italiana Sommelier . Direttore Bibenda Curioso, molto curioso il mio cambiamento dopo il Corso di Sommelier. Colpevoli i miei compagni di scuola, quelli del tavolo, eravamo tutti entusiasti di conoscere il vino ma non altrettanto di un corso preparato da ristoratori a volte approssimati. Fu proprio da loro che partì la richiesta di aiuto. Erano i primi anni ’80 e l’aiuto arrivò immediatamente. Tutti felici, noi del banco, di offrir loro la nostra collaborazione. Fu subito matrimonio. Passarono gli anni e le nostre idee piacevano sempre di più. Fino al giorno in cui nacque il più grande Centro di Cultura del Vino del Mondo.
PAOLO SCARNECCHIA Ingegnere Chimico e Docente Fondazione Italiana Sommelier Il 25 novembre 2012, il giorno dopo la cena dei Cinque Grappoli Bibenda scrissi queste righe: “Carissimi, che spettacolo, che serata, che sensazioni ed emozioni! Lo scorso anno ero al tavolo, quest’anno in veste da sommelier… ancora più bello! Essere circondati da luci, colori, sorrisi e abbracci, non è da tutti i giorni… tante emozioni in una stessa serata ubriacano il cuore! Grazie per avermi dato la possibilità di partecipare non solo a questo evento ma a tanti altri che rappresentano per me una serie di tasselli che vanno sempre più ad arricchire il mosaico della mia esperienza, crescita! Come mi sento? come un mosto in fermentazione circondato da voi tutti, redazione, segreteria, docenti,”famiglia Bibenda”, acini ricchi di antociani dai quali cogliere le più intense e ricche sfumature.” Rileggendo quello che scrivevo qualche anno fa posso dire che sì, è tutto vero ed è sempre più attuale, e da quel giorno è cambiato il mio modo di assaggiare, provare e degustare! Senza alcuna fretta, cercando di capire, interpretare il vino, l’olio e il cibo prima di deglutirli e alle sensazioni che trasmettono. A volte si pensa ai corsi da sommelier come a degli incontri su quanto vino berremo stasera, sarà poco o tanto nel bicchiere? Non sono corsi che ti danno indicazioni su quanto ubriacarti o imparano a diventare alcolizzati. Seguire un corso da sommelier significa coltivare una propria passione, diversa da vizi o da dipendenze. Una passione che può rimanere tale ed essere coltivata continuamente, ma che può portare anche ad una professione. Imparare si, ma anche condividere, comunicare e trasmettere perché «Non puoi parlare di ciò che non conosci. Non puoi condividere quello che non senti. Non puoi trasferire quello che non hai. E non puoi dare quello che non possiedi. Per dare e per condividere, e perché sia efficace, devi prima possederlo. La buona comunicazione comincia con una buona preparazione» (Jim Rohn). Dopo 6 anni e in veste da docente e da redattore, con più di un pizzico di orgoglio, è ancora più bello!
EMANUELA SCATENA Hostess di volo e Organizzazione eventi enogastronomici (WinES) Ero curiosa di imparare qualcosa in più sul vino per cui decisi di iscrivermi al corso: non avrei mai pensato che la cosa potesse cambiarmi la vita! Grazie al mio percorso in Fondazione ho scoperto storie affascinanti, provato grandi emozioni e conosciuto persone speciali, divenute poi, amicizie insostituibili. «Il miracolo del vino consiste nel rendere l’uomo ciò che non dovrebbe mai cessare di essere: amico dell’uomo» (Ernst Engel).
DANIELA SCROBOGNA Presidente Comitato Scientifico Fondazione Italiana Sommelier Sono innamorata dell’arte. Ogni forma di Arte. Da quella pittorica a quella architettonica. Diventai architetto con mia grande soddisfazione. Ma sulla mia strada si presentò il “mondo” del vino, l’amore fu totale. Non dello stereotipo di bevanda alcolica ma dell’arte che il vino trasmette e rappresenta. “Ogni volta che diplomo un sommelier suona una campanellina!” (cit. dal film “La vita è una cosa meravigliosa”).
STEFANIA SOMMA Redazione Bibenda Ero da poco laureata in Agraria. Era il 2006. Mi era nata una certa curiosità sul mondo del vino qualche anno prima, quando con mia sorella, come una sorta di appuntamento fisso, aspettavamo le 13.20 per assistere alla striscia quotidiana del Tg5 “Gusto”, dove due “tali” sommelier, Paolo Lauciani e Massimo Billetto, raccontavano di vini, vitigni e territori italiani. Ci siamo allora ripromesse che prima o poi avremmo fatto un corso per sommelier! Io ci sono riuscita, lei non ancora, ma lo farà! Volevo saperne di più e, perché no, volevo provare a lavorare nel meraviglioso mondo del Vino…
SARA TOSTI
Redattore Bibenda e Docente Fondazione Italiana Sommelier Un corso iniziato un po’ per gioco un po’ per curiosità, l’amore è stato immediato e una volta messo il naso in questo mondo tornare indietro non è stato più possibile. Oggi questa passione si è trasformata nel mio lavoro, un lavoro fatto di viaggi, persone, scoperte e sorprese infinite.
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La Vigna della Regina
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LA VIGNA DELLA
Regina S
a l v a t o r e
Singolare
M
a r s i ll o
focus su uno dei rari vigneti metropolitani ancora attivi.
Torino e la vigna non poteva che appartenere a una sovrana.
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Siamo
a
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La Vigna della Regina
L’esistenza di vigneti metropolitani, ubicati a pochi passi dal centro storico, è un’immagine molto suggestiva che per molti potrebbe sembrare irreale o una contraddizione in termini eppure in diverse città italiane, e non solo, i vigneti urbani rappresentano una realtà. Accanto ai filari cresciuti nei siti “fuori porta” ne esistono altri coltivati nel cuore delle città, vere e proprie oasi verdi che hanno resistito alla morsa incombente del cemento. Un primo esempio di viticoltura cittadina lo fornisce il vigneto Pusterla di Brescia, alle pendici del castello medievale arroccato sul colle Cidneo, all’interno delle mura della città vecchia; le prime testimonianze sull’esistenza di vigne in loco risalgono al XIII secolo e fanno di questa enclave di quasi 4 ettari la più antica vigna urbana produttiva d’Europa. Anche Napoli, nel suo tessuto urbano, può contare molti terreni destinati alla vite; le stime si aggirano intorno ai 200 ettari vitati che si estendono sulle colline di Posillipo, nella zona del Vomero presso la Certosa di San Martino, lungo il cratere spento degli Astroni e sulle pendici del Vesuvio fino alle zone periferiche. Vigneti ancora attivi vanno segnalati anche a Roma, tra le mura del Convento Francese di Trinità dei Monti, e su alcune isole della laguna veneta - San Michele, Giudecca e Vignole - su terreni faticosamente strappati alle acque.
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Anche a Torino esiste un vigneto che è sopravvissuto all’urbanizzazione, la Vigna della Regina, situata sulla collina della città e raggiungibile in 15 minuti a piedi dalla centralissima Piazza Vittorio Veneto. Questa vigna e gli edifici annessi furono ideati dal Principe Maurizio di Savoia all’inizio del XVII secolo; nel 1657 la moglie Ludovica si occupò dell’ampliamento della Villa dove furono piantanti altri alberi da frutta e aggiunti diversi fabbricati. Nel 1692 il complesso divenne la residenza della regina Anna d’Orleans, moglie di Vittorio Amedeo II; a lei si devono gli interventi di abbellimento che lo trasformarono in un autentico gioiello barocco. Anna d’Orleans coinvolse nel suo progetto i grandi artisti all’opera nei cantieri regi della capitale i quali arricchirono la Villa di grandi padiglioni, grotte, giochi d’acqua nei giardini e nel parco e zone di servizio a uso agricolo. Nel 1868 Vittorio Emanuele II donò la residenza all’Istituto per le Figlie dei Militari. Il graduale abbandono, i parziali smembramenti e i danni di guerra hanno compromesso nel corso del Novecento le straordinarie costruzioni e in seguito alla mancata manutenzione il versante destinato a vigneto e l’intero giardino sono stati invasi dalle piante infestanti. Nel 1994 la Soprintendenza per i Beni Storici del Piemonte ha avviato i restauri, realizzati sia con fondi statali sia di enti privati, che hanno restituito alla Villa della Regina la sua 21
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La Vigna della Regina
antica bellezza architettonica. Nel 2003 sono
anni successivi, hanno dimostrato che l’inquina-
partiti i lavori per il recupero del vigneto, promossi
mento cittadino non incide sulla vigna che si trova
dalla stessa Soprintendenza in collaborazione con
in posizione sopraelevata rispetto alla zona urbana e
l’Università di Torino e il CNR e affidati all’azienda
lontana dalla strada. A dimostrazione della salubrità
Balbiano, cantina di riferimento nel torinese per
dell’ambiente la presenza di colonie di api alle spalle
la coltivazione della Freisa. Per il reimpianto sono
del vigneto e, come si sa, questi preziosi insetti vivo-
state impiegate 3.200 barbatelle di Fresia, messe a
no e prolificano solo dove l’aria è buona.
dimora su un terreno molto fertile, non sfruttato
La prima vendemmia è stata effettuata nel 2008 ma
per oltre 50 anni; la scelta di questo vitigno appare
i primi grappoli a essere vinificati sono dell’anno
particolarmente centrata perché, pur non essendo
successivo. I quaranta quintali raccolti nel 2009
una varietà dal sangue blu, è di casa da queste parti
hanno dato origine alle prime storiche bottiglie del
e ostenta una personalità piuttosto marcata in fatto
vino “Vigna Villa della Regina”, un rosso a base
di acidità e di tannini.
di Freisa in purezza, strutturato ed elegante, frutto
La Vigna della Regina è una piccola parcella - un et-
di invecchiamento in tonneau di rovere francese e
taro appena - rivolta a sud-ovest, scenograficamente
lungo affinamento in bottiglia.
affacciata sulla città sabauda; la favorevole esposizio-
Dal 2014 la Vigna della Regina è gemellata con il Clos
ne, insieme al calore proveniente dal centro abitato, permette ai
Montmartre, il vigneto urbano di Parigi alle spalle della Basilica
grappoli di raggiungere la perfetta maturazione. La location inoltre
del Sacro Cuore, ma, a differenza della capitale francese, solo Torino
è sorprendentemente sana dal punto di vista ambientale. Le analisi
può vantare per il proprio vino metropolitano il riconoscimento
e le misurazioni effettuate già prima di partire, e confermate negli
di cru specifico all’interno di una Doc, la Freisa di Chieri.
I D I T N A R I RISTO
t i . a d n e b i www.b
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Vino Nobile di Montepulciano
VINO NOBILE
DI MONTEPULCIANO C
l a u d i o
B
o n i f a z i
Una denominazione in grande spolvero.
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Vino Nobile di Montepulciano
Montepulciano domina a 600 metri sul livello del mare, in quel lembo rialzato che cade tra la Val di Chiana e la Val d’Orcia. Perdersi tra le meraviglie del paese è davvero semplice; si raggiunge la piazza maggiore camminando lungo la strada principale - che forma una S - mentre ai lati scorrono enoteche, ristoranti, negozi, botteghe, gallerie d’arte e musei; offre costantemente scorci memorabili tra cui il Duomo, il Palazzo Comunale, Palazzo Avignonesi, la Torre dell’Orologio. È nel centro cittadino che vi sono poi le sedi delle cantine storiche, con le loro bottaie incastonate tra corridoi di mura alte e spesse, simili a basiliche; sempre enologicamente parlando il percorso termina con l’arrivo alla fortezza Medicea, sede del consorzio del Vino Nobile di Montepulciano, dove turisti e appassionati possono degustare un’ampia selezione di vini. Certo di storia ne è passata tra queste vie; il nome Montepulciano proviene dall’antico etrusco e testimonianze certificano che già nel IV secolo avanti Cristo vi fossero tracce di civiltà. Sono passati di qui romani e longobardi. Le radici della viticoltura e dell’enologia sono parte integrante del territorio, della cultura, della storia, dell’economia e delle tradizioni locali di Montepulciano. La compravendita dei vini si registra alla fine del 700 - anche se bisognerà attendere il 1300 per avere un quadro più completo e regolato sia del commercio che dell’esportazione. Francesco Redi - medico, naturalista e letterato italiano del 1600, fondatore della biologia sperimentale, e considerato uno dei più grandi biologi di tutti i tempi – definì il vino qui prodotto come il migliore dei vini. La prima citazione conosciuta di “Vino Nobile” è datata 1787, contenuta in una nota di viaggio redatta da Giovanni Filippo Neri; anche Cosimo Villifranchi - medico fiorentino – nel suo trattato di enologia toscana del 1773 - riporta un’accuratissima descrizione del dove e del come si producesse il vino all’epoca, ma sarà Giuseppe Giulj in Statistica Agraria della Val di Chiana ad essere estremamente accurato nel raccontare le pratiche agronomiche del luogo: “a cinque specie si possono ridurre i vini scelti, che si fabbricano in una certa quantità nella valle, e sono quelli neri, il Vino Nobile di Monte Pulciano, e l’aleatico; fra quelli bianchi vi si contano il Moscadello, il vermut ed il Vin Santo; parlerò del modo tenuto per fabbricarli, e comincerò a dare la descrizione di questi dettagli da quelli relativi al vino di Monte Pulciano, per essere quello che è conosciuto in tutta l’Europa […]. Le vigne destinate per la coltivazione di questa specie di vino sono poste in collina in terreno tufaceo, ed in conseguenza sterile, ed esposte al mezzogiorno, onde le viti siano dominate dal sole. Poco è il prodotto di dette piante, ma l’uva vi giunge a perfetta maturità, ed ha un odore ed un sapore non comune all’uva delle stesse specie prodotta da viti non coltivate in tali località”. 26
Sebbene le vigne di Sangiovese, conosciuto qui come Prugnolo Gentile, crescano su due maggiori tipologie di terreno - suoli argillosi, in cui le uve danno vini strutturati; e suoli composti da sabbie e arenarie, dove invece il calice si sposta verso un assaggio più fresco e meno strutturato - l’esposizione, l’altitudine e la posizione delle piante sono alquanto articolate e giocano un ruolo sostanziale per il risultato finale. Le sabbie sono caratteristiche di Montepulciano e in Toscana sono parimenti diffuse solo a San Gimignano, quando sono pressoché assenti a Montalcino e nel Chianti Classico. Ad essere leali parlare esclusivamente di Sangiovese è errato: nel disciplinare di produzione infatti è sufficiente un 70% di Prugnolo Gentile per avere la Docg, dopodiché si possono aggiungere vitigni a bacca rossa autorizzati. Tirare fuori dunque uno stile che accomuni le etichette non è cosa semplice: questo ha condotto molti produttori a riflettere, portandoli a raggrupparsi in associazioni con lo scopo di operare in modo distintivo rispetto al disciplinare. Grandi aziende come Salcheto e Avignonesi per esempio puntano a vinificare Prugnolo in purezza (come non ricordare la battaglia che fece Montalcino con gli stessi scopi); altre, tra cui Molinaccio, per citarne una, vogliono aumentare la percentuale elevandola all’85%, abbassando contestualmente le rese. Non deve essere facile trovare il proprio spazio di mercato quando, a pochi chilometri di distanza, Montalcino con la sua 27
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Vino Nobile di Montepulciano
www.consorziovinonobile.it
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fama attira un numero più grande di consumatori. Eppure molti
dal Rosso di Montepulciano per arrivare alle Riserve; inoltre
vini Nobili hanno raggiunto risultati notevoli, con un rapporto
la partecipazione a Anteprime Toscane consente di inserire
valore/qualità decisamente più raggiungibile.
Montepulciano in una cornice di degustazioni unica al mondo.
Per questo bisogna elogiare il lavoro che il Consorzio del
Si può affermare che la denominazione, che ha sempre lavorato
Vino Nobile di Montepulciano sta conducendo: un sito
bene sin dal conseguimento della Doc negli anni ’60, si stia
internet ampiamente divulgativo è il primo passo utile
muovendo più rapidamente negli ultimi decenni, con risultati
per avvicinare chi per la prima volta cerchi informazioni a
che sono noti sicuramente agli esperti del settore, e che devono
riguardo; il centro degustazione nella rocca medicea permette
trovare giusta risposta da chi ancora si lascia conquistare da altri
agevolmente l’assaggio di decine di campioni di vini, partendo
grandi vini toscani.
La degustazione | V
ino
Nobile di Montepulciano
Vino Nobile di Montepulciano La Poiana Riserva 2012 Il Molinaccio Sangiovese 90% - Merlot 10% - 13% Vol. L’azienda agricola Il Molinaccio conta solo di tre ettari e mezzo di vigne, coltivati con Sangiovese per il 70%, Merlot per il 20% e altri vitigni locali per il restante 10%. Marco Malavasi e Alessandro Sartini hanno anche avviato il processo per la certificazione biologica dei loro vini. Oggi le etichette prodotte sono il Rosso e il Vino Nobile di Montepulciano, anche in versione Riserva, oltre a una grappa dalle vinacce del Vino Nobile. Esemplari onesti e puliti di Sangiovese, con i tipici sentori di frutta rossa misti a sottobosco; tanta freschezza, bella bevibilità e tannini decisamente integrati. Calice rubino e intenso. Naso che apre con frutti rossi maturi; note erbacee e di humus si spostano poi su sentori delicati di spezie. Sorso che mostra una ferma compattezza unita ad eleganza, con tannini carezzevoli e ben integrati; finale di liquirizia. Matura in botti di rovere.
Vino Nobile di Montepulciano 2015 Le Bertille Sangiovese 90% - Canaiolo 5% - Colorino 5% - 13,5% Vol. Azienda fondata nel 2002 dall’avvocato Saverio Roberti, oggi controllata da sua figlia Olimpia. Quindici ettari di vigne situate a 350 metri sul livello del mare in zona le Colombelle. Piante con basse rese e uve concentrate sono il punto forte di questa realtà produttiva che lavora - oltre al Nobile – un interessante Rosso Igt e un Chianti Colli Senesi. Rubino. Al naso tipici frutti rossi si mescolano a note di sottobosco e fiori; in seconda battuta spezie e tabacco. Sorso di buona struttura, con tannini fitti e chiusura di giusta freschezza. Finale di buona durata. Maturazione in botti grandi.
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Vino Nobile di Montepulciano Poldo 2013 Villa Sant’Anna Sangiovese 85% - Mammolo, Canaiolo, Colorino 8% - Merlot 7% - 13,5% Vol. Villa S. Anna rappresenta una parte del vasto possedimento che è stato per circa due secoli di proprietà della famiglia materna di Simona Ruggeri Fabroni ed è ubicata sulle colline circostanti la cittadina di Montepulciano. Simona si è impegnata da tempo alla valorizzazione ed alla commercializzazione di vini di alta qualità, incoraggiata ed affiancata dalla preziosa collaborazione delle figlie Anna e Margherita. Si è formato così un team tutto al femminile che con amore e competenza si dedicano al perfezionamento dei loro vini. Manto rubino. Naso croccante con note di ciliegia e fragola; seguono ribes e cannella su chiusura ferrosa. Sorso ancora vivace, fresco e con morso tannico tenace. Acidità che persiste anche sul finale, leggermente boisé e che deve ancora intenerirsi. 34 mesi in piccole e medie botti di rovere francese. Due anni per l’affinamento.
Vino Nobile di Montepulciano Vigna Scianello 2012 La Ciarliana Prugnolo Gentile 95% - Mammolo 5% - 13,5% L’azienda, di proprietà di Luigi Frangiosa, nasce nel 1995, concretizzando la passione per questa coltura, iniziata da suo nonno cinquant’anni prima e proseguita dal padre Santo Pellegrino. Dai primi due ettari impiantati a Nobile di Montepulciano si è passati oggi a oltre diciotto di vigneto specializzato, di cui dieci destinati al Vino Nobile. Densità di 4.500 viti per ettaro, impiantate seguendo un attento studio geologico e clonale. Calice granato, con un naso elegante d’impronta balsamica e floreale; alloro, chiodi di garofano e rosa canina. Sorso altrettanto curato, con ritorni di frutta rossa, tannino integrato e acidità vibrante. Finale lungo.
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Vino Nobile di Montepulciano Riserva 2013 Canneto Sangiovese 100% - 13,5% La tenuta di Canneto si estende sul pendio occidentale di Montepulciano, nei pressi della stupenda chiesa di San Biagio e ha alle spalle una lunga tradizione vitivinicola. Dopo l’acquisto i nuovi proprietari hanno inteso restaurare gli edifici nel rispetto della vocazione viticola, costruendo una nuova cantina, comperando macchinari, impianti e attrezzature, curando e ringiovanendo le viti e gli olivi. 48 ettari complessivi, 30 dei quali coltivati a vigneto e 16 riservati alla produzione del Vino Nobile. Terreni marnosi frammisti a ghiaia, siti ad un’altitudine tra 350 e 400 metri sul mare. Vigneti principalmente orientati verso sud, coltivati a cordone orizzontale speronato. Calice granato. Naso che apre con grafite e ferro, poi frutta quasi in confettura rincorsa da pepe, spezie, radici e humus. Sorso che prende il testimone dall’olfatto e che conserva la sua rigidità con un tannino integrato, ma dal finale ammandorlato. Persistente il finale su note floreali. La maturazione avviene in fusti di rovere francese da 5 hl per 18 mesi, quindi in botti di legno da 30/50 hl, affinamento per almeno 6 mesi.
Vino Nobile di Montepulciano 2014 Poderi Sanguineto I & II Prugnolo gentile, Canaiolo Nero, Mammolo - 14% L’azienda acquisita negli anni Sessanta dalla famiglia Forsoni per farne un allevamento di bovini è stata trasformata nel 1997 dall’erede Dora, agronoma, in azienda vitivinicola. Con la collaborazione enologica di Patrizia, tecnico di cantina, è iniziata la produzione ad alto livello di Vino Nobile di Montepulciano che prosegue ancora oggi. Calice rubino dal bordo granato. Olfatto piacevolissimo, con note di mammola che virano lentamente in toni fruttati di prugna. A seguire, note di pepe, liquirizia, chiodi di garofano senza abbandonare le note floreali. Sorso caldo con tannini persistenti, persistenza lunghissima. 2 anni in botti di rovere.
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Una Maison piccola così
UNA MAISON
PICCOLA COSÌ C
i n z i a
Una Maison cuore della
B
o n f à
piccola piccola, oggi presente in tutto il mondo.
A Les Riceys
Côte des Bar, parte meridionale della regione Champagne, si trova la
Maison Gremillet che quest’anno celebra il suo 40° anniversario.
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nel
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n
Una Maison piccola così
Le tre generazioni
della famiglia Gremillet, tutti assieme nel dehors panoramico sulle vigne della tenuta
LA MAISON GREMILLET NON RIVENDICA UNA LUNGA STORIA MA LA CREA GIORNO DOPO GIORNO. Gremillet vanta antenati viticoltori dal XVIII secolo ma solo recentemente, nel 1979, lo Champagne Gremillet prende vita per volere di Jean-Michel Gremillet. Oggi JeanMichel è affiancato da sua moglie Arlette e dai loro figli Jean-Christophe e Anne, seguiti dai rispettivi coniugi Karine e Stephane. Senza dimenticare Lulu, la nonna, alla base di tutto e che si occupa ancora del giardinaggio della tenuta. Se Jean-Michel Gremillet si è dedicato al mestiere di vigneron è proprio grazie a sua mamma Lulu che nel 1978 gli lascia in eredità 30 acri di viti nell’Aube, a Sud della regione Champagne, che diverranno un ettaro l’anno seguente con l’acquisizione dei primi lotti. All’inizio Jean-Michel vende le uve, poi il suo spirito ribelle fa nascere nel 1984 la prima produzione con appena 1000 bottiglie di Champagne. Attualmente gli ettari sono 42 e la produzione è di ben 500.000 bottiglie annue. 34
GRAZIE
ALL’AMBIZIONE,
AL
LAVORO
E
ALLA
direttamente. Per rendere omaggio a questa esportazione, la
VOLONTÀ DEI SUOI FONDATORI, LO CHAMPAGNE
Maison ha creato un arboreto con 82 tipi di conifere provenienti
GREMILLET CONOSCE UNA CRESCITA RAPIDA.
da tutti i paesi in cui viene consumato lo champagne Gremillet.
Per vendere il suo Champagne, Jean- Michel Gremillet rimane sveglio tantissime notti al fine di contattare diverse ambasciate
LA POESIA DELL’ENOLOGO JEAN-PIERRE RODOLPHE LÉDÉ
e consolati francesi all’estero, per convincerli a servire il suo
Nella Champagne esistono due categorie di winemakers. Da un
Champagne durante i loro prestigiosi ricevimenti. Così, notte
lato quelli che dimostrano alla tentacolare multinazionale per la
dopo notte, è riuscito a far inserire lo Champagne Gremillet
quale lavorano, di saper formattare immutabilmente il prodotto
in oltre cinquanta ambasciate nel mondo che si fidarono
della vite. Dall’altro lato i creatori di vino, privilegiando la qualità
rapidamente di lui. Anche compagnie aeree, come China
a scapito del volume.
Airlines, United Airlines, Jakarta Airlines, Delta Airlines negli
Creare un vino è una questione di conoscenza, sensibilità ed
ultimi anni, hanno fatto riferimento allo Champagne Gremillet
ispirazione ma è anche questione di fiuto, di percezione del
per accogliere i loro passeggeri.
rischio e di brio. Per questo la famiglia Gremillet dal 2004 si
Oggi, delle 500.000 bottiglie prodotte, il 60% viene esportato
avvale della consulenza di Jean-Pierre Rodolphe Lédé, un enologo 35
Bibenda 76 duemiladiciannove
Una Maison piccola così
e personaggio atipico, poeta e autore del libro “Voyage dans mon
“unici” del Millesimato, della Cuvée Évidence e del Rosé Vrai.
bouteille” che lavora a colpi di cuore. È un artigiano e se sapere e
Nel 2012 la Maison Gremillet si è arricchita di un vero e proprio
sapore sono in parte correlati, ritroviamo sicuramente il suo stile
“clos”, un ettaro di vigna piantata a Pinot Noir e circondata
poetico e talentuoso in ogni singola
da basse mura che la famiglia ha
bottiglia della Maison.
intitolato Clos Rocher in memoria di uno dei suoi antenati, Charles
36
I VALORI DELLA MAISON
Rocher. La prima bottiglia di questo
GREMILLET SONO
raro clos vedrà luce proprio nel
L’AUDACIA E L’OTTIMISMO,
2019, per il 40° anniversario della
L’AUTENTICITÀ E IL
Maison. Per tale occasione l’enologo
DESIDERIO D’ECCELLENZA
Jean-Pierre Rodolphe Lédé, ha
Per
dedicato a Clos Rocher una poesia
dare
maggiore
complessità
e finezza a tutti gli Champagne
intitolata “Tu Vois Petit”.
prodotti, Gremillet fa prolungare i
Tutti gli Champagne Gremillet
mesi di “élevage sur lattes”, passando
hanno una gradevolezza complessiva
dagli standard legislativi dei 15 mesi
direttamente
agli attuali 22 mesi per i Brut Sans
qualità e alla complessità. La sosta sui
proporzionale
alla
Année fino a 5 anni per le grandi Cuvée. La gamma è varia va dai
lieviti superiore al minimo legislativo, fa cogliere la presenza di una
“classici” con un Brut, un Rosé e un Demi-Sec, ai “puri” con un
personalità che non avrà difficoltà a lasciare un intenso ricordo di
Blanc de Blancs, un Blanc de Noirs e un Dosaggio Zero, fino agli
sé nella memoria gustativa di chi li assaggia.
COME DESCRIVERE LO CHAMPAGNE GREMILLET? Se si vuole azzardare una similitudine per descrivere lo
ed elegante. Ma se si prosegue nell’evoluzione delle immagini
Champagne Gremillet possiamo fare l’esempio del semiologo
possiamo asserire di bere l’estratto di una regione, un bene
Roland Barthes, che, in uno dei capitoli delle Mitologie,
definito “champagne”. Barthes avrebbe di sicuro coniato
aveva analizzato un’immagine pubblicitaria di una pasta e da
un neologismo come “italianità”, per esprimere il piacere di
lì cosa poteva passare per la mente di un estimatore di pasta,
lasciar scorrere in gola una piccola goccia di questa regione.
dai colori di questo cibo fino al gusto, in poche parole: “ciò
Perché quando degustiamo uno Champagne, subentrano varie
di cui si gode, mangiando un piatto di pasta, è innanzitutto
immagini associate al Terroir, alla regione Champagne e allo
l’italianità”. Allora perché non porci lo stesso interrogativo
sforzo intellettuale e degustativo che è stato fatto dallo chef de
per lo Champagne Gremillet? Cosa si beve quando si porta il
cave, quindi assorbiamo anche una parte di memoria di tutti
bicchiere alle labbra? Sicuramente qualcosa di molto prezioso
questi elementi imbibendoci di conoscenza.
37
Bibenda 76 duemiladiciannove
Amori vecchi o nuovi?
AMORI VECCHI F 38
i l i pp o
B
u s a t o
O NUOVI? Cos’è questo trasporto di massa, questa attrazione diffusa per i vini naturali? Un movimento romantico o un nuovo sessantotto?
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Bibenda 76 duemiladiciannove
Amori vecchi o nuovi?
Il vino naturale è l’obiettivo finale di una ricerca appassionata che vuole superare eventuali limiti dell’approccio contemporaneo o è un movimento di contestazione allo status quo del vino? Si vuole affrontare questo tema con la profondità della scienza e la passione dell’umanesimo. Le tre più grandi conquiste dell’intelletto umano sono il linguaggio, la logica e la scienza, rigorosamente in quest’ordine. Epimenide, nel VI secolo a.C., dimostra con il suo celebre paradosso “Io sono cretese e tutti i cretesi sono bugiardi” che il linguaggio ha dei limiti: si può affermare tutto e il suo contrario. Bisognerà aspettare il IV secolo a.C. perché Euclide fondi sulla logica il pensiero matematico e Aristotele definisca il primo approccio scientifico al sapere. L’aggettivo “naturale” è frutto del linguaggio, pertanto ha intrinsecamente dei limiti. Si può tuttavia cercare di comprendere quello che si vuole intendere quando si utilizza questo termine in riferimento al vino e ai prodotti agroalimentari in generale. Se si cammina lungo una strada di campagna e si trovano una fragolina selvatica o un porcino, quelli sono “naturali”, nel senso che l’uomo non ha interferito nel loro sviluppo. In senso primordiale, seguendo la maieutica socratica, in natura vi è già tutto quanto è necessario all’uomo. Al contrario, la vitis vinifera è frutto di quel processo di domesticazione delle piante che l’uomo ha cominciato ad attuare nel momento in cui si è reso stanziale e che è parte dello sviluppo culturale umano; sviluppo che reso interdipendenti l’uomo e il mondo esterno a lui. In altri termini, si può immaginare lo sgabello contenuto all’interno del tronco d’albero, ma se l’uomo non lo tira fuori con la tecnica il tronco resta tronco e lo sgabello non si formerà da solo. Produzioni di vino con un’interferenza dell’uomo nulla in viticoltura e minima a livello di vinificazione esistono, ad esempio, presso alcune popolazioni ai confini tra Pakistan e Afghanistan - dove la produzione di vino da viti selvatiche e fermentazioni spontanee viene consumata all’interno di riti dionisiaci - nonché in altre culture di clan in cui il vino “naturale” prodotto in occasione della nascita di un figlio viene consumato durante alcuni riti di iniziazione. L’intervento dell’uomo è in questi casi effettivamente minimizzato, perché egli si limita a raccogliere un’uva che non ha allevato e a pigiarla. Si intuisce però quanto sia difficile definire i confini della la parola “naturale”, se la si vuole usare, perché in senso stretto essa appare poco appropriata al mondo del vino. In molti contesti “naturale” viene confuso con “sostenibile”, con riferimento alla capacità di rinnovamento del suolo, conservazione della biodiversità in vigna, riduzione delle emissioni inquinanti. Cercando di approfondire il tema senza voler creare una discussione di pura speculazione scientifica, ci si possono porre alcune domande, ad esempio: la scienza ha come obiettivo 40
proteggere al meglio la natura e il vino attraverso vinificazioni spontanee, uso limitato di fertilizzanti, trattamenti in vigna e conservanti nel vino? O è asservita al solo scopo di controllare quantità prodotte e sensazioni saporifere vincenti a livello di mercato? Tutto ciò merita una risposta, con il timore recondito che le domande possano essere sbagliate. Edoardo Valentini sosteneva che sarebbe arrivato il momento di distinguere tra vini industriali e artigianali. Quel momento è adesso, e probabilmente la distinzione auspicata da Valentini si avvicina di più al cuore del problema di quanto non lo facciano i numerosi manifesti sulla naturalità del vino. Data la crescente forza mediatica del vino cosiddetto “naturale”, in un contesto di comunicazione tutt’altro che statico, nonché la passione dimostrata da produttori e appassionati, è immediata l’associazione con il Romanticismo. Vi sono infatti delle sorprendenti analogie tra il movimento romantico “Sturm und Drang” e i sostenitori del vino naturale.
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Bibenda 76 duemiladiciannove
Amori vecchi o nuovi?
Ve ne sono anche, tuttavia, con il movimento di contestazione del ’68, sia pure culturalmente assai meno rilevante rispetto del Romanticismo. Il Romanticismo nasce come reazione all’Illuminismo; questo accade anche nel mondo del vino, con il rifiuto del prodotto realizzato con le tecniche dell’evoluzione tecnologica degli ultimi 40 anni. Nel Romanticismo vi è la convinzione che la ragione (scienza e tecnica) non possa spiegare il mondo nella sua totalità; allo stesso modo nel mondo del vino l’influenza delle fasi lunari, da sempre considerata, non ha ancora avuto spiegazione compiuta. Il Romanticismo reclama spazio per immaginazione, sentimento, sogno; parimenti nel mondo del vino vi sono pulsioni motivate da etica, creatività, volontà e passione che, quando non sono sostenute dalla conoscenza, portano all’improvvisazione e a risultati poco confortanti. Il Romanticismo dà spazio al singolo e all’individuo, cercando di arrestare l’universalismo livellatore dell’Illuminismo; parimenti il mondo del vino naturale rivendica l’identità di vitigni e territori, ma ancor più ricerca dei caratteri anticonvenzionali. 42
In tema di religiosità e spiritualità l’uomo romantico cerca la fede autentica e non secolarizzata da riti, tradizioni e scritture; la cerca anche attraverso pratiche occulte e magiche. Allo stesso modo gli uomini del vino naturale spesso si affidano a principi di natura non completamente definita scientificamente, ad esempio le pratiche del corno letame e del corno silice. Tra i temi del movimento del ’68 vi sono invece la lotta contro la borghesia, contro i benestanti “padri”, contro le convenzioni. Anche nel mondo del vino vi sono simili atteggiamenti di protesta contro le aziende di tradizione consolidata e di successo economico, rifiuto e denigrazione di un gusto classificato come “omologato”. Se è vero che la portata del movimento romantico è stata storicamente molto più rilevante di quella del ’68, è anche vero che proprio nel Romanticismo è germinata l’origine degli integralismi, a partire dall’identificazione dei concetti di Stato (entità politica) – Nazione (status di nascita) – Patria (la terra dei padri) – Popolo (questione di etnia). D’altro canto, non vi è unità di lettura sul ’68: per alcuni fu uno straordinario momento di crescita civile, per altri il trionfo di una stupidità generalizzata. Vale tuttavia la pena ricordare che l’eredità artistica e creativa del Romanticismo è fatta di opere che hanno segnato la storia della nostra civiltà: nella pittura “La libertà che guida il popolo” di Delacroix e in musica l’ “Inno alla Gioia” di Beethoven. Non si trovano invece simili valori negli strascichi culturali del ’68, che a conti fatti dissipò molta energia in un poco produttivo scontro generazionale. Anche nel mondo del vino potrebbe accadere questo: i grandi vini degli artigiani, quelli che passeranno alla storia, potrebbero diventare l’inno alla gioia del vino, esponenti di un movimento culturale fatto di idee e conoscenza, mentre i tanti vini del ’68 potrebbero finire nel dimenticatoio dei vini figli spesso della protesta e di una sorta di lotta di classe. Per essere più naturale un vino deve essere fatto con più scienza, non con più improvvisazione; non vini fatti a caso ma vini dove nulla è lasciato al caso. Il vino è un fatto plurale. Non una pluralità di giustapposizione, ma un conflitto, una polemica. Polemica creativa, atmosfera vivace nella quale si sviluppano i saperi, come è stato per le università, che crescono nelle città che si sviluppano nel 1200 fino a costruire la culla del Rinascimento. La speranza è che questa pluralità esprima intelligenza e creatività, che non si disintegri nella lotta tra generazioni, che grandi allievi superino i grandi maestri, come deve essere il fine di ogni cultura. Che anche nel vino, insomma, si scrivano nuovi “Inni alla Gioia”. 43
Bibenda 76 duemiladiciannove
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Il Teorema Mallozziano
IL TEOREMA M A L L O ZZIANO P
a o l o
A
u r e l i
È corretto degustare uno spumante/champagne a 0-2°C? Luciano Mallozzi, docente della
Fondazione Italiana Sommelier,
nelle sue lezioni sottolinea l’importanza
di temperature molto basse in degustazione per godere al meglio delle qualità organolettiche del vino, spumanti e champagne soprattutto. La sua teoria è talmente affascinante nelle sue applicazioni da diventare addirittura una scuola di pensiero, un argomento da dibattere, una regola da seguire, un suggerimento accolto da molti come legge imprescindibile. In questo pezzo un ex allievo di
Mallozzi prova a
dimostrare scientificamente quanto questa teoria possa essere esatta.
45
Bibenda 76 duemiladiciannove
Il Teorema Mallozziano
Una parola è entrata ed entrerà nel vocabolario di tutti i
temperatura ambiente o un caffè bollente non zuccherato a causa
frequentatori dei corsi della Fondazione Italiana Sommelier per
della caffeina; per contro il caffè freddo risulta gradevole perché
imparare a bere/conoscere il vino: degustare. La parola, proposta
percepito poco amaro.
con martellante reiterazione ad ogni lezione, sta ad indicare, come chiaramente spiegato dal docente di turno, il basilare scopo
Proprio per poter apprezzare al meglio le qualità sensoriali di un
del corso: insegnare il processo di valutazione, la più oggettiva
vino, nella prima parte di ogni corso della Fondazione Italiana
possibile,
46
delle
caratteristiche
Sommelier
sono
ampiamente
sensoriali di un vino (mediante la
illustrate le temperature ottimali,
vista, l’olfatto e il gusto) in modo
alle quale mantenerlo prima di
da assicurare un estatico piacere a
degustarlo, differenziate per tipo
chi lo berrà. E si sentirà anche dire,
(bianco, rosato, rosso), affinamento
nella lezione introduttiva al corso,
(giovane, invecchiato), effervescenza
con
(fermo
malcelato
compiacimento,
o
frizzante),
residuo
che è tutta qui la differenza con
zuccherino (secco o dolce) etc.
altri tipi di valutazione. Così, ad
Per i “vini frizzanti” (champagne,
esempio, un’analisi chimica vi potrà
spumante, prosecco, vino dolce)
fornire dettagliatissimi dati sulla
è proposta una temperatura di
composizione
servizio di 6-8°C. Ma uno dei
quali-quantitativa
del vino, ma non vi potrà dire se è buono o meno, se è adatto/
docenti, con fare simpaticamente accattivante e con un tono
si abbina ad un certo piatto come può, invece, fare un esperto
di voce gigionescamente vivace, quando ne ha l’occasione,
assaggiatore.
perentoriamente proclama il suo verbo: 0-2°C ! La cosa sul
Come è noto, gli esseri umani sono dotati di sistemi sensoriali
momento sorprende e, per la verità, un po’ disorienta, sia perché
cui si deve la rappresentazione interna del mondo esterno con
non è motivata da una spiegazione più o meno convincente (in
cui vengono a contatto, comprensiva dei suoi caratteri chimici
genere, quelle che vengono di volta in volta date hanno poco di
(percezioni gustative e olfattive) e fisici (percezioni meccaniche,
oggettivo) sia per la dissonanza con il resto del corpo docenti.
sonore, visive e termiche). Cosi, ad esempio, non appena ci
Se si ha, però, la pazienza di consultare alcuni motori di ricerca,
mettiamo in bocca un qualsiasi alimento o bevanda, oltre allo
prendendo in considerazione solo siti di una certa affidabilità, ci
stimolo gustativo e olfattivo, percepiamo sensazioni somatiche
si rende immediatamente conto che l’argomento temperatura di
correlate alle sue caratteristiche fisiche. In altre parole, non solo
servizio degli sparkling wines non gode di una visione univoca;
possiamo apprezzare il sapore o il profumo di un alimento o di
in ogni caso, nessuno propone quanto raccomanda ai propri
una bevanda ma anche percepirne il contatto, la sua consistenza/
allievi Mallozzi. Così, ad esempio, l’Assovini propone per gli
struttura, la sua temperatura e l’eventuale piccantezza/irritazione
spumanti secchi una temperatura di servizio di 4-6°C, mentre
chimica. Inoltre, ognuno di noi ha sperimentato il fatto che il
per quelli dolci e i vini frizzanti una temperatura di 6-8°C.
gusto di un alimento e/o di una bevanda (e la sua palatabilità/
Invece, un’altra associazione consiglia per gli spumanti secchi
gradevolezza) cambia a seconda della temperatura alla quale
e dolci e per i vini frizzanti una temperatura di 4-6°C mentre
viene consumato/a. Così, un gelato sciolto risulta eccessivamente
un’altra ancora suggerisce per gli stessi prodotti 6-8°C. Nel caso
dolce mentre risultano sgradevolmente amari una birra calda a
degli champagne, la temperatura, raccomandata dai produttori
francesi presenti sul mercato italiano (i valori di seguito indicati sono riportati nei siti ufficiali di Veuve Cliquot, Moet&Chandon, Bollinger, Piper Heidsieck, Laurent Perrier, Don Perignon, Cristal, Pol Roger), è 8-10°C e per i vintage o le cuvée 10-12°C; fanno eccezione Ruinart e G. H. Mumm Cordon Rouge che suggeriscono la temperatura di 6-8°C per i loro prodotti. Da quanto sopra riportato, se le sensazioni gusto-olfattive sono “temperaturadipendenti” (il sito dello champagne Piper-Heidsieck ad esempio riporta a proposito dell’influenza della temperatura di servizio: “…Chilled, it expresses its floral aromas. And, on the contrary, candied fruit flavors like apricots and mirabelle plums appear as the temperature increases = raffreddato, evoca note floreali; mentre ad una temperatura più elevata si percepiscono aromi di frutta
n
Luciano Mallozzi
candita come albicocca o prugna Mirabelle) viene il dubbio che con la proposta Mallozzi non
Docente di Fondazione
si possa percepire l’intero spettro aromatico (bouquet) di uno sparkling wine. Per evitare
Italiana Sommelier
giudizi affrettati ed emotivi sulla proposta, appare opportuno verificarla almeno sulla base di dati scientifici incentrati sull’influenza della temperatura sugli stimoli sensoriali.
47
Bibenda 76 duemiladiciannove
Il Teorema Mallozziano
È noto che l’effervescenza rappresenti per ogni produttore di sparkling wine un parametro critico per il suo prodotto. E questo non tanto e non solo per l’effetto visivo e tattile ad essa associabile, ma anche per il fatto che l’effervescenza, come emerso da un recente studio sull’effetto di differenti livelli di CO2 (prodotta dai lieviti durante la seconda fermentazione di quantità variabili di zuccheri), disciolta nei vini, gioca un grande ruolo nel rilascio di composti odorosi chiave. Infatti, una volta che il vino è versato in una flûte, le miriadi di bollicine, che originano dal fondo e viaggiano attraverso la massa liquida, arrivate in superficie, scoppiano (quelle che arrivano in superficie sono 50.000 bollicine da 1 mm l’una nei primi 3 minuti). Così, centinaia di minuscoli spruzzi di liquido si alzano di pochi centimetri dalla superficie del vino frammentandosi rapidamente in minuscole goccioline, dando luogo ad un caratteristico e rinfrescante aerosol. Queste goccioline, in parte evaporano, accelerando così il trasferimento dei numerosi composti organici volatili sopra la superficie del vino e portando l’essenza organolettica degli sparkling wine agli organi di senso del degustatore. Ad esempio, è stato possibile analiticamente discriminare nell’aerosol 10 composti con proprietà aromatiche o precursori di aromi di uno champagne a base di Chardonnay. Risulta, inoltre, che più è bassa la temperatura degli sparkling wine, più basso è il volume di CO2 che fuoriesce dalla flûte, specialmente nel momento in cui il vino viene versato; in altre parole, la bassa temperatura trattiene più a lungo nel prodotto la CO2 disciolta assicurando al prodotto una prolungata effervescenza e, di conseguenza, un prolungato rilascio di aerosol. Come di seguito riportato, le percezioni aromatiche (olfattive e gustative) sono un processo sequenziale che inizia quando annusiamo un alimento (percezione ortonasale) e continua quando lo stesso viene messo in bocca e processato (percezione retronasale). Negli ultimi anni è stato dimostrato che le componenti aromatiche, rilasciate da un alimento liquido al momento della deglutizione, sono un elemento chiave nella percezione delle sostanze odorose; risulta, inoltre, che il segnale più elevato di questo rilascio si ha con la prima espirazione dopo la deglutizione. Come è noto, l’olfatto è un complesso sistema sensorio grazie al quale possiamo rilevare, identificare e distinguere con precisione gli odori dell’ambiente e, in particolare, della cavità orale attraverso due distinte vie: 1. le narici, in modo passivo quando respiriamo o in modo attivo quando annusiamo (via ortonasale); 2. la bocca e il nasofaringe quando mastichiamo, deglutiamo ed espiriamo (via retronasale). L’odore incomincia quando molecole disperse nell’aria stimolano le cellule ricettoriali olfattive ricoperte da peli olfattivi presenti nelle cavità nasali. Ad oggi sono stati identificati più di 400 ricettori olfattivi, ciascuno dei quali si esprime con un proprio set di neuroni olfattivi distinti. Questi neuroni si estendono dalle cellule ricettoriali olfattive direttamente fino al bulbo olfattivo del cervello dove i segnali sono processati e interpretati. Malgrado l’importante ruolo che gioca l’odore 48
nella formazione dell’aroma, l’effetto della temperatura sulla percezione retronasale degli odori non è stato studiato. È noto, però, dall’esperienza quotidiana che il riscaldamento intensifica l’apprezzamento delle sostanze odorose percepite orto- e retronasalmente; invece, quando si abbassa la temperatura di un alimento o di una bevanda le sostanze odorose evaporano sempre meno e, di conseguenza, vengono via via percepite sempre meno dal nostro naso. Portando, però, alle labbra la flûte contenente lo sparkling wine appena versato, l’aerosol che si libera dalla superficie del vino si deposita sulla superficie del piccolo avvallamento tra il labbro superiore e il naso e delle aree ad esso adiacenti e, per effetto dello scambio termico con la pelle, aumenta la sua temperatura favorendo la diffusione delle sostanze odorose volatili alle narici. Si ricorda che non tutti i composti volatili presenti in un alimento/bevanda contribuiscono all’odore nella stessa misura. Il loro contributo dipende dalla concentrazione ma anche dalla intensità. Questo ultimo termine è solitamente utilizzato per indicare la soglia di percezione dell’odore, cioè la più bassa concentrazione che può essere rilevata dal sistema olfattivo dell’uomo. Attualmente sono stati rilevati nelle differenti varietà di uve e nei vini più di 800 composti volatili ma solo alcune decine sono quelli che danno l’odore ai prodotti. Secondo una recente metanalisi (tecnica statistica quantitativa che permette di mettere insieme i dati di più studi, condotti su di uno stesso argomento, in modo da ottenere un unico dato più significativo con cui poter rispondere ad uno specifico quesito) sono 57 le sostanze odorose chiave del vino di cui 35 in concentrazione superiore alla soglia di percezione e le rimanenti 22 al disotto della stessa. 49
Bibenda 76 duemiladiciannove
Il Teorema Mallozziano
Dalla neurobiologia del gusto, risulta che le risposte neurali (= dei neuroni) e percettive agli stimoli gustativi sono influenzate dai caratteri fisici e, in particolare, dalla temperatura che ne modula l’intensità. Anche se possiamo venire a contatto con una vasta gamma di entità chimiche, incredibilmente percepiamo/segnaliamo solo poche qualità gustative diverse (dolce, amaro, acido, salato e umami) ma questo ci è stato evolutivamente sufficiente per riconoscere e distinguere gli alimenti chiave dal punto di vista nutrizionale ed edonistico e per evitare il consumo di sostanze potenzialmente pericolose compresi gli alimenti putrefatti o naturalmente contaminati da tossine. I segnali gustativi hanno origine negli organi sensoriali presenti nella cavità orale (in particolare, della lingua e del palato e, in minor misura dell’epiglottide, della faringe e della laringe nell’uomo), le cosidette papille gustative. Queste sono attivate quando i loro apici (costituiti da fasci di circa 100 cellule neuroepiteliali a forma di gemme/boccioli/cipolle) vengono a contatto con composti solubili in acqua. La cavità orale dell’uomo ospita da 2000 a 5000 papille gustative. Quelle della parte anteriore della lingua (dette papille fungiformi) possono essere facilmente identificate bevendo un sorso di latte e, dopo essersi posti davanti ad uno specchio, tirando fuori la lingua. I minuscoli bottoncini rosa che appaiono dal film cremoso che riveste la lingua sono appunto le papille gustative di tipo fungiforme. Grazie ai risultati di recenti studi molecolari e funzionali, è stato possibile stabilire che, contrariamente a
AMARO UMAMI
lingua di ciascuna percezione gustativa. In altre parole, ogni parte della lingua è sensibile
CIDITÀ
ACIDIT
quanto diffusamente e comunemente detto, non c’è alcuna zonizzazione/mappa della alle cinque percezioni gustative primarie anche se ci sono piccole differenze regionali nella sensibilità a questi stimoli. In effetti, chi per primo ha misurato le soglie di percezione di questi stimoli e, involontariamente, ha dato luogo alla origine della mappa dei gusti sulla
DOLCE SALATO
lingua, ha solo indicato quali regioni erano le più sensibili al dolce, amaro, salato e acido ma non ha mai detto che le altre regioni della lingua erano insensibili agli stessi. Anche se la cavità orale rimane a temperatura relativamente costante a bocca chiusa (36-37°C), una volta che viene a contatto con una bevanda, mantenuta a temperatura ambiente/ refrigerata, invariabilmente subisce una temporanea modifica. È stato accertato che, se si assumono 100 ml di una bevanda a 5°C (1. con un unico sorso, 2. a piccoli sorsi ripetuti, e 3. in un unico sorso fatto passare da una parte all’altra della bocca) si ha una riduzione della temperatura della lingua indipendentemente dalla modalità di assunzione della bevanda. La temperatura nella modalità di assunzione 1. provoca una riduzione della temperatura di 10°-22°C nella punta della lingua; mentre nella modalità di assunzione 2. di 12° -15°C nel primo terzo anteriore della lingua; e, infine nell’assunzione 3. la riduzione è di -24,5°C della cavita orale. È evidente allora che la temperatura di 0-2°C di un piccolo sorso di uno sparkling wine non condiziona l’esame olfattivo retronasale. Si ricorda che la lingua è una struttura riccamente vascolarizzata per cui la temperatura
50
si ripristina in tempi relativamente brevi. Del tutto recentemente
sulla intensità percepita di alcune qualità gustative primarie (dolce,
uno studio giapponese finalizzato a valutare l’applicazione
salato, acido) associate, ad una stessa concentrazione risulta che,
terapeutica di una stimolazione fredda al cavo orale per trattare
quando il dolce e il salato sono associati, il dolce è percepito più
la disgeusia (= alterazione del senso del gusto) ha verificato che la
intensamente a 23°C che a 3°C°. Un risultato analogo si ha con il
temperatura tornava al valore normale 3 minuti dopo essere stata
dolce associato all’acido. Invece, con l’associazione salato e acido,
in contatto con un cubetto di ghiaccio per 1 minuto.
il salato a 23°C è percepito più intensamente che a 3°C; in questo
Se si abbassa la temperatura della lingua di 20°C si provoca una
caso però, il salato è percepito meno intensamente di quanto è
riduzione dell’intensità della percezione dolce del saccarosio e di
percepito da solo. Infine, quando acido, salato e dolce sono
quella amara della caffeina; invece, l’intensità del salato e dell’acido
valutati insieme, non c’è alcuna variazione nell’intensità percepita
non sono influenzate dal raffreddamento. Si è accertato che è la
di ciascun gusto a 3° e 23°C.
variazione di temperatura della lingua il fattore critico responsabile
Una ventina di anni fa si è scoperto che alcuni soggetti (il 20-50%
degli effetti sull’intensità del dolce e dell’amaro e non della
della popolazione ) percepiscono sensazioni gustative fantasma (e
temperatura della soluzione. Se si valuta l’effetto della temperatura
per questo detti “thermal taster”, TT) subito dopo aver subito una 51
Bibenda 76 duemiladiciannove
Il Teorema Mallozziano
semplice stimolazione termica; più precisamente quando viene strumentalmente provocato un aumento della temperatura della punta della lingua (area dove sono presenti le papille fungiformi) si ha una percezione gustativa dolce mentre l’abbassamento della temperatura provoca quelle acida e salata. Se viene stimolato il margine anteriore della lingua, invece, l’abbassamento della temperatura evoca la percezione gustativa acida o salata; per contro, quando viene stimolata l’area della lingua dove sono le papille gustative dette circonvallate (si tratta di quelle presenti nella parte posteriore della lingua), l’abbassamento della temperatura evoca il gusto amaro. I soggetti TT percepiscono i prototipi delle sostanze gustative, quelli dell’astringenza e degli aromi retronasali e la gamma delle componenti aromatiche del vino e della birra con maggior intensità rispetto ai soggetti non TT; gli uomini TT tendono a classificare le suddette sensazioni gustative in maniera più elevata delle donne TT. Si ricorda infine che: 1) la percezione del gusto in termini qualitativi e quantitativi varia ampiamente tra gli individui e questo dipende da diversi fattori tra cui, la densità delle papille gustative sulla lingua, le differenze genetiche nelle cellule ricettoriali del gusto (c’è poca differenza nella soglia di rilevazione dei gusti acido e salato nella popolazione; ma non per i gusti dolce e amaro), l’età e il genere/sesso; 2) anche le capacità olfattive cambiano tra gli individui per ragioni genetiche e per l’età (è noto che esse cominciano a ridursi a partire dai 40). Da quanto sopra riportato, la temperatura di 0-2°C non limita le percezioni gustative di uno sparkling wine, servito in una flûte, rispetto allo stesso vino servito a temperature più elevate, comunque inferiori a 10°C. E questo perché il piccolo sorso della degustazione del prodotto servito a 0-2°C raggiunge sia nell’analisi olfattiva ortonasale e retronasale sia nell’analisi gustativa condizioni percettive sovrapponibili a quelle di un prodotto con temperature di servizio poco più elevate.
Nel numero 75 di Bibenda è stata illustrato l’origine dell’effervescenza degli sparkling wine, versati in bicchieri non sottoposti a specifici trattamenti della superficie del fondo, associandola unicamente alla presenza di fibre di cellulosa in quanto prevalente. Per completezza d’informazione, soprattutto ai fini del tema discusso in questo articolo, si
52
ricorda che l’effervescenza può essere: 1) naturalmente provocata anche dai cristalli di carbonato di calcio, precipitati sulla parete del bicchiere per effetto della evaporazione dell’acqua del rubinetto dopo il suo risciacquo (ovviamente l’uso di macchine per stoviglie e di acqua sottoposta a specifici trattamenti di addolcimento rende tale evenienza assai rara); 2) artificialmente
dagli stessi produttori dei bicchieri che fanno volontariamente microscopici graffi/rigature, con una geometria tale in grado di trattenere piccolissime sacche d’area quando viene versato il vino nel bicchiere; questo tipo di effervescenza può essere facilmente riconosciuta dalla caratteristica colonna di bollicine che si innalza sul proprio asse di simmetria.
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Bibenda 76 duemiladiciannove
Nel tempo
NEL TEMPO R
a f f a e l e
F
i sc h e t t i
Viaggio gastronomico tra l’Italia degli anni ’60 e quella di oggi
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Nel tempo
Nella mia vita ho cambiato spesso città, prima per seguire le scelte dei miei genitori in seguito per la mia voglia di mettermi in gioco. Gli anni di quando si è spensierati e piccoli sono quelli che si ricordano in maniera particolare. Il mio primo decennio l’ho passato in Piemonte, a Torino, dove mio padre ha cercato fortuna in quegli anni. Ogni volta che mi capita di tornarci mi fa un certo effetto, mi suscita emozioni forti e contrasti vivi, un filo che mi lega a questa città così forte che non si spezzerà mai. La città è cambiata molto, in positivo, e da un certo punto di vista la chiave di svolta penso siano state proprio le Olimpiadi invernali che hanno dato un punto di svolta incredibile di immagine a questi luoghi ricchi di storia, cinematografia, esoterismo e perché no anche di calcio con due grandi squadre che hanno fatto la storia, Il grande Torino e la mia grande squadra del cuore: la Juventus. La prima capitale d’Italia ora è bella, pulita e con infrastrutture eccellenti, senza farsi mancare mai questa sottile aria aristocratica che la rende unica. In tutto questo ho deciso di fare visita a Matteo Baronetto e al suo ristorante “Del Cambio”, nel cuore pulsante del centro cittadino. Sedersi nella sala dove Camillo Benso di Cavour aspettava di solito le decisioni del parlamento che si trovava esattamente di fronte al ristorante fa ancora un grande effetto e profonda suggestione. I viaggi temporali sono fatti anche da questo, ricordi e immagini che si trasportano nel tempo e quando riescono ad arrivare sino ai giorni nostri significa che i libri di storia sono pronte per accoglierle ed imprimerle nei libri. Ho viaggiato anche nei ricordi con i piatti che ho scelto per il mio viaggio culinario “Nel Tempo” per curiosità, per ironia, per memoria, per cultura, per raccontare delle storie: quasi un manifesto di quelli che sono stati i trend gastronomici degli ultimi decenni del secolo scorso trasformati in qualcosa di diverso eppure del tutto riconducibile all’originale. “Mi piace pensare a una piccola operazione di revisionismo culturale che ha per oggetto alcuni piatti iconici della nostra tradizione”, spiega lo stesso Baronetto: “dalle penne panna e salmone alla milanese, dalle acciughe al verde ai gamberetti in salsa cocktail, al brasato al Barolo ed altri classici Italiani… vorrei fotografare un pensiero che duri “nel tempo”, guardando quello che siamo stati, che siamo e che saremo. Attingendo ai propri ricordi ognuno dei commensali potrà divertirsi a fare un piccolo gioco di confronti, interrogandosi sul gusto che passa e scegliendo di volta in volta la propria versione preferita. Infatti, ogni piatto è stato presentato in due versioni, quella tradizionale e quella rivisitata dallo stesso Chef a suo modo e con il suo essere, prima il classico o viceversa in base alle sensazioni che si dovevano rivivere. Rivedere i piatti che mangiavo da piccolo nelle feste dopo molti anni mi ha fatto affiorare ricordi di feste lontane e meravigliose. Eccone alcune. 56
ACCIUGHE AL VERDE Si racconta che fu la furbizia Piemontese ad introdurre le acciughe nella cucina locale. Uno stratagemma ben riuscito per fare in modo che il sale delle acciughe passasse la dogana francese. Così tutte le nobildonne Torinesi potevano utilizzarlo nelle numerose ricette tradizionali. Tra le molteplici che la vedono protagonista appunto le acciughe al verde. Di norma sotto sale sono sempre seguite da una salsa verde a base di prezzemolo, aglio, uovo e aceto. Un misto inebriante di sensazioni sapide seguite da acidità e un giusto mix di note precise e distintive, portandolo a uno dei piatti portabandiera della cucina Piemontese, nella versione moderna la scelta è stata quella di snellire in un certo modo il piatto provando quindi ad alleggerirlo. Cambia l’impiattamento che lo rende più seducente e d’impatto visivo, senza però perdere l’essenza del piatto tradizionale. Meravigliosa interpretazione.
AGNOLOTTI CON ARROSTO DI VITELLO Questo per me era il piatto delle domeniche e delle feste importanti quando ero piccolo. Ricordo ancora il sobbollir del brodo dalla sera prima con tutte le carni scelte dal macellaio di fiducia a cento metri da casa. Il giorno successivo il profumo del brodo inondava tutto e tutti e si espandeva di cortile in cortile inebriando le papille gustative ancor prima di mangiare realmente. La classica versione gioca proprio su questo, antichi sapori ed emozioni di altri tempi con materia prima di alta qualità, semplice e raffinata con il brodo, semplice nella sua realizzazione arricchita dal tempo di cottura, come chiave di volta per sapori decisi e intensi. In quello moderno il gioco dello chef è stato quello di racchiudere il brodo in un raviolo, catturarne l’essenza, e farlo esplodere nel piatto una volta aperto, mio figlio lo ha semplicemente divorato in pochi minuti, e i bimbi si sa sono grandissimi esperti di ciò che è buono.
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Nel tempo
COTOLETTA ALLA MILANESE Su dove sia nato in realtà questo piatto ancora oggi non riusciamo a definire la reale paternità, tutto è avvolto nel mistero. In qualsiasi modo la tradizione meneghina classica vorrebbe la cotoletta una parte del carré dotata di osso, alta un centimetro e mezzo, impanata nell’uovo e in una polvere di pane. Ci si rende conto che uno dei piatti cult sia per grandi che per piccini al giorno d’oggi lo si trova anche sia di carne di vitello battuta che addirittura di pollo. Un’esperienza gastronomica universale e a 360 gradi ormai. Alzi la mano chi non l’ha mai assaggiata e anche chi non ha mai notato quel tipico stacco dalla panatura alla carne che rende il colore della stessa quasi grigiastro. Nella versione moderna si gioca proprio su questi aspetti e sulla nota citrina della scorza del limone grattugiata sopra. La carne scelta è sottile e rosa come ogni albese che si rispetti. Altra scommessa vinta tra il moderno e il tradizionale.
RIVISITAZIONE DEL MONTE BIANCO
Uno di quei dolci che nella sua versione classica si trova praticamente ovunque nel Torinese, un mix tra meringa e panna, cioccolato e castagne. Un classico dei classici Piemontesi, gioia per grandi e piccini. La versione moderna invece mi ha spiazzato e sbalordito particolarmente. Infatti, in questa versione due strati di meringhe fatte sotto forma di ostia custodivano un cuore di crema di fagioli e zucchero da provare almeno una volta nella vita! Ottimo anche per divertirsi con gli abbinamenti al calice.
Ho passato così cinque ore in questo locale che mi sono sembrate cinque minuti, ho viaggiato con la mente su e giù nei miei ricordi d’infanzia e ho trasmesso ai miei figli quello che i miei genitori mi hanno donato: rispetto per le tradizioni e per le materie prime, povere o ricche che siano identificano storia e cultura del posto. La passione e l’entusiasmo di tutto lo staff mi hanno fatto venire la voglia di tornare a lavorare nei ristoranti. Sono sicuro, un cerchio si è chiuso e un altro si è appena aperto. Chissà…
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BIOVALE LA RICERCA INCONTRA IL MONDO DELL’INDUSTRIA E DELL’ENOLOGIA
La Bioraffineria nella filiera vitivinicola. Il progetto BIOVALE Il progetto Ager 2 BIOVALE-BIOraffineria: VALore aggiunto dei sottoprodotti Enologici ha l’obiettivo di diffondere e promuovere il modello della bioraffineria nel settore enologico italiano e valutare le possibilità di trasferimento tecnologico delle innovazioni sviluppate nella prima edizione del progetto Ager (Wine Waste Integrated Biorefinery - Valorizzazione di sottoprodotti e scarti dell’industria enologica per l’applicazione di tecnologie innovative per l’estrazione di prodotti naturali ad alto valore aggiunto).
PROGRAMMA BARBARA MECHERI Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, Università di Roma Tor Vergata
Economia circolare e sviluppo sostenibile: nuovi modelli di bioraffineria per la valorizzazione degli scarti dell’industria agroalimentare. ALESSANDRA D’EPIFANIO Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, Università di Roma Tor Vergata
Tecnologie innovative per il recupero di energia e/o bioidrogeno dagli scarti dell’industria enologica: dal laboratorio chimico alla prototipazione industriale. DISCUSSIONE E INTERVENTI DEI PARTECIPANTI Gli intervenuti e i ricercatori saranno invitati a interagire per raccogliere potenzialità, criticità e fabbisogni relativi alla gestione e la valorizzazione delle fecce e dei reflui di cantina e all’introduzione delle innovazioni presentate.
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GENNAIO 2019
ORE 15.00
Cantina di Soave in Rocca Sveva Via Covergnino, 7 Soave (Verona)
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GENNAIO 2019
ORE 15.00
Isvea s.r.l. via Basilicata 1/3, Località Fosci Poggibonsi (Siena)
Moderazione a cura di Alessandra Biondi Bartolini e Clementina Palese Associazione Donne della Vite Per confermare la presenza specificando a quale incontro si intende partecipare inviare una mail di iscrizione a info@donnedellavite.com Per info: 3356214023
Il Progetto AGER 2 BIOVALE, grant n° 2017-2206, è finanziato da AGER - AGricoltura E Ricerca.
http://progettoager.it/index.php/settori/trasferimento-tecnologico-i-progetti/trasferimento-tecnologico-i-progetti-biovale
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Dalle stalle alle stelle
DALLE STALLE
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A l e ss a n d r a D ’ E p i f a n i o B
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qualcosa di commovente in questo progetto portato avanti da una squadra
tutta al femminile, l’esposizione prettamente tecnica non riesce assolutamente a nascondere quanta sensibilità ci sia dietro questa ricerca mirata a trasformare ciò che razionalmente dovrebbe essere considerato sterile pattume in energia pulita da utilizzare.
Non possono non venire in mente certi versi di Fabrizio De André
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior…”
Il ruolo della donna come protagonista nella difesa dell’ambiente, nell’attuazione di uno sviluppo sostenibile, nella ricerca, nell’educare le nuove generazioni al rispetto dell’ambiente in cui viviamo è certamente primario: la donna è un attore produttivo con grande sensibilità e consapevolezza verso la promozione di comportamenti sostenibili e rispettosi dell’ambiente. Nasce così la collaborazione tra un gruppo di ricercatrici dell’Università di Roma “Tor Vergata” e l’Associazione Donne della Vite (https://www.donnedellavite.com) nell’ambito di un progetto di trasferimento tecnologico finanziato dalla Fondazione Ager (Agroalimentare e Ricerca) volto a promuovere la ricerca applicata nel settore agroalimentare. 60
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Dalle stalle alle stelle
Il progetto AGER BIOVALE (BIOraffineria: VALore aggiunto dei sottoprodotti Enologici), svolto in cooperazione con le Università di Udine e di Bologna, si pone l’obiettivo di operare nell’economia circolare e di sviluppare un modello di bioraffineria che s’inserisca a pieno titolo in una delle principali sfide del nostro secolo: l’accesso a fonti di energia rinnovabili e sostenibili e la conservazione e protezione dell’ambiente. Il processo di bioraffineria può essere immaginato come analogo a quello della raffinazione del petrolio, ma con una differenza fondamentale: invece del petrolio, in via di esaurimento, si utilizzano le biomasse per produrre combustibili, prodotti chimici, biomateriali o, direttamente, energia termica o elettrica. Le fonti di biomassa sono virtualmente inesauribili e largamente diversificate, dai rifiuti urbani, alle alghe, ai residui della lavorazione del legno, a biomasse derivanti dall’industria alimentare e, nel nostro caso, dall’industria enologica. La filiera vitivinicola è particolarmente adatta a essere ripensata nell’ambito dell’economia circolare perché da ogni fase della vinificazione si generano sottoprodotti differenti, tra cui le vinacce, le fecce e le acque di lavaggio. Questi scarti, molto ricchi in sostanza organica, azoto e minerali, devono essere gestiti e smaltiti in base alle normative vigenti che prevedono la consegna in distilleria con tempistiche ben definite o il riutilizzo controllato per usi alternativi di valorizzazione. I
SISTEMI
BIO-ELETTROCHIMICI:
VALORIZZAZIONE
DEGLI SCARTI DELLA FILIERA VITIVINICOLA La tecnologia sfruttata è quella dei sistemi bioelettrochimici (BES, Bio-electrochemical systems) che permette di trasformare l’energia chimica, immagazzinata nei residui, in energia elettrica o idrogeno. In parole semplici, i BES sono delle batterie, un po’ come una comune pila, che possono essere utilizzati come una cella a combustibile (Microbial Fuel Cell, MFC) e in cui il combustibile è rappresentato dagli scarti di lavorazione dell’uva. L’energia elettrica è generata grazie a una serie di reazioni di ossidoriduzione associate al metabolismo dei microorganismi presenti nel rifiuto. La semplicità e la flessibilità del dispositivo permettono anche di operare in modalità cella di elettrolisi (MEC, Microbial Electrosynthesis Cells), come avviene nella batteria di un’automobile durante la fase di carica, per sintetizzare idrogeno, uno dei vettori energetici del futuro. La tecnologia rappresenta una possibile risposta concreta alla necessità di ridurre gli enormi costi del trattamento dei rifiuti e innovare, allo stesso tempo, i processi per la conversione energetica. Il gruppo Materials and Devices for Energy (MaDE@UTV, http:// made.uniroma2.it/) dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, di cui fanno parte 62
le autrici di questo articolo svolge da più di 10 anni un’intensa attività di ricerca volta allo sviluppo di materiali nanostrutturati e dispositivi per applicazioni energetiche L’attività di ricerca e trasferimento tecnologico ha permesso negli anni di progettare materiali e componenti innovativi opportunamente disegnati per ottimizzare il sistema BES nel suo insieme (Figura 1). [Figura 1. Materiali, componenti e meccanismi di reazione in un sistema BES] Nell’ambito del Progetto Ager, il gruppo MADE@UTV ha progettato e costruito prototipi da laboratorio di dispositivi BES (Figura 2) che possono operare sia come MFC che come MEC, utilizzando gli scarti dell’industria enologica. I dispositivi sono stati alimentati con campioni di feccia di uva sia bianca che rossa (opportunamente pretrattata) e le prestazioni sono state valutate in termini di potenza elettrica e/o idrogeno prodotti e abbattimento del carico organico delle fecce. [Figura 2 . Setup sperimentale di dispositivi BES su scala di laboratorio] La sperimentazione ha dimostrato che sia le fecce di uva bianca che quelle di uva rossa 63
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Dalle stalle alle stelle
sono substrati adatti alla produzione di energia o idrogeno. In particolare, la feccia bianca si mostra particolarmente appropriata: la massima densità di potenza elettrica erogata è, infatti, pari a 250 mWm-3 e la massima densità di corrente è 1300 Am-2, rispetto a 100 mWm-3 e 700 mAm-2 della feccia rossa (Figura 3). Ma la produzione di energia non è l’unico risultato ottenuto: dopo il trattamento in cella in entrambe le fecce si è ottenuto l’abbattimento della carica organica totale (TCOD) e biodegradabile (BOD5), come dimostrato dai dati in Figura 4. [Figura 3. Erogazione di potenza elettrica da parte di celle MFC alimentate con fecce rosse e fecce bianche] [Figura 4. Analisi delle fecce in entrata e in uscita dalla cella MFC: abbattimento del carico organico] UNA TECNOLOGIA VERSATILE: TRASFERIBILITÀ DELLA TECNOLOGIA AD ALTRI SETTORI AGROALIMENTARI I sistemi BES affrontano in modo innovativo il problema del trattamento dei rifiuti liquidi. Le prime applicazioni su larga scala sono state rivolte al trattamento delle acque degli impianti di depurazione di reflui urbane. Il trattamento delle acque reflue potrebbe trasformarsi da “costo” in un efficiente sistema di produzione di energia
n
Gruppo MADE@UTV (http://made.uniroma2.it/) Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche & Centro NAST Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Via della Ricerca Scientifica 00133 Roma
Silvia Licoccia (licoccia@uniroma2.it)
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Il Progetto AGER BIOVALE, grant n° 2017-2206, è finanziato da AGER - AGricoltura E Ricerca.
elettrica: gli impianti di depurazione potrebbero non solo
scarti provenienti dai frantoi la tecnologia BES permette di
produrre autonomamente l’energia elettrica di cui necessitano,
trasformare gli scarti, ad alto carico organico, in acque a basso
ma anche immettere quella eventualmente prodotta in eccesso
carico organico (-50%) e perciò spandibili sui terreni agricoli,
nella rete di distribuzione e/o immagazzinarla sotto forma di
evitando le limitazioni di legge per la prevenzione del rischio di
idrogeno. Eliminando completamente l’utilizzo di fonti fossili
inquinamento delle falde acquifere.
per la produzione di energia elettrica e idrogeno, la tecnologia
La tecnologia dei sistemi bio-elettrochimici è dunque una
BES – giovane e innovativa – consente di perseguire un modello
tecnologia molto versatile, perché può essere applicata a diversi
di sviluppo sostenibile garantendo al contempo una drastica
tipi di scarti, ma allo stato attuale è una tecnologia di nicchia,
riduzione dei costi.
poco conosciuta e sviluppata in Italia. L’interesse è però crescente
Grazie allo sfruttamento di microorganismi che si autoselezionano
negli USA e in Cina dove sono stati finanziati molti progetti in
in funzione dello scarto utilizzato, abbiamo dimostrato come la
questo settore. Il costo economico e ambientale dello smaltimento
tecnologia BES possa essere applicata agli scarti dell’industria
degli scarti provenienti dall’industria agroalimentare e dagli
enologica, la cui gestione e smaltimento rappresentano un costo
allevamenti intensivi è un problema sempre crescente anche a
importante che potrebbe essere significativamente ridotto con i
causa dell’aumento della popolazione a livello globale. L’utilizzo
sistemi bioelettrochimici.
di una tecnologia che, oltre a rendere gli scarti una risorsa,
Abbiamo inoltre dimostrato che la tecnologia BES può essere
fornisca la possibilità di produrre parte dell’energia elettrica
trasferita anche alle acque di vegetazione prodotte durante
necessaria per l’azienda agricola è oggi una sfida che nei prossimi
il processo di molitura delle olive, per le quali il costo di
anni potrebbe essere vinta cambiando radicalmente il modo di
smaltimento va dai 4 ai 7 €/m3, per un costo di settore pari
concepire il trattamento delle acque reflue, in particolare quelle
a circa 182 milioni di €. Anche nel caso del trattamento degli
dell’industria agroalimentare.
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Come una fotografia
COME UNA
fotografia
S
66
a n d r a
N
e v a l o r o
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Come una fotografia
Alcuni secoli or sono, quando la
Jean Francois de Troy portò a termine
macchina fotografica non era ancora
l’incarico ricevuto, rappresentando quegli
stata inventata, un artista è riuscito a
anni libertini e frivoli in un quadro olio
rappresentare in un quadro l’emozione
su tela 186x120 cm chiamato “Pranzo
che si prova all’apertura di una bottiglia
con le ostriche”. L’opera è datata 1735
di Champagne. Era l’anno 1720 e alla
e l’originale si trova al Museo Condé a
Corte di Francia regnava un re-bambino,
Chantilly.
Luigi XV, di appena 5 anni. Il reggente in
Prima del viaggio nella regione dove si pro-
luogo del Re, il Duca Filippo d’Orléans,
duce lo Champagne avevo visto innume-
decise di affidare al pittore Jean-Francois
revoli volte questo dipinto riprodotto in
de Troy la realizzazione di un dipinto per
piccolo formato sui testi che raccontano la
decorare una delle stanze private del Re
storia del vino, ma non vi avevo prestato
nella Reggia di Versailles. Si racconta che durante il regno di
particolare attenzione. Lo scorso mese di aprile, invece, ho avuto il
Luigi XV banchetti e ricevimenti a corte fossero all’ordine del
privilegio di ammirare una fedele riproduzione del quadro affissa
giorno, perché la nobiltà cercava di scrollarsi di dosso l’austerità
in un elegante salottino dedicato all’accoglienza degli ospiti presso
che aveva caratterizzato l’ultima parte del regno del Re Sole. Pare
l’antica e prestigiosa Maison Ruinart nella città di Reims e ne sono
che lo stesso Luigi XV, diventato grande, prendesse parte alle
rimasta incantata.
feste organizzate a Versailles dalle sue amanti (Madame Mailly,
Nel dipinto è raffigurato un pranzo a base di ostriche a cui
prima, e Madame Pompadour, poi) dove, si narra, lo Champagne,
partecipano solo nobiluomini agghindati con i vestiti dell’epoca.
preludio di giochi amorosi, scorresse a fiumi.
Il banchetto si svolge all’interno di un’ampia sala con il soffitto
affrescato e le pareti di marmo impreziosite da statue e bassorilievi dorati. L’unica presenza femminile è una statua di Venere, posta all’interno di una nicchia nella parete, che, con il capo girato, volge il suo sguardo altrove. L’atmosfera è allegra e chiassosa, quasi euforica, tanto che si ha la sensazione di sentire le voci e le risate dei gentiluomini che, ebbri di Champagne, con i volti rubicondi e le giacche sbottonate, hanno perso i freni inibitori. Al centro del dipinto c’è una tavola finemente apparecchiata con una candida tovaglia bianca e con un elegante servizio di porcellana, ma tutto l’ambiente circostante è caotico e poco decoroso: gusci di ostriche sparsi sul pavimento, dove pure si trovano bottiglie di Champagne vuote, alcuni commensali in piedi e altri seduti attorno al tavolo in pose scomposte. 69
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Come una fotografia
Sembra quasi che l’artista abbia aperto all’improvviso la porta della sala da pranzo e abbia scattato una fotografia ad una scena in movimento, immortalando un istante soltanto e che poi tutto abbia ripreso a muoversi. A questo punto è doverosa una breve digressione per gli amanti dell’avvincente storia sull’invenzione dello Champagne. L’opera di Jean Francois de Troy, infatti, contiene alcuni particolari che l’hanno resa celebre in tutto il mondo, in quanto è considerata un punto di riferimento per la ricostruzione delle diverse tappe che hanno segnato la nascita dello Champagne. Sulla tavola apparecchiata è presente una bottiglia di Champagne in vetro con la forma un po’ panciuta che conosciamo noi oggi, segno che finalmente le bottiglie erano prodotte con un vetro così resistente da poter sostenere la forte pressione dello Champagne ed essere portate a tavola senza il pericolo che esplodessero. Poi, è evidente che lo Champagne veniva consumato fresco: due bottiglie sono immerse nel ghiaccio del tavolo di servizio, preannunciando nuove bevute. Altro elemento importante è che i bicchieri sono posti con il bevante dentro una ciotola di porcellana, che ogni commensale ha dinnanzi a sé, prova del fatto che a quell’epoca lo Champagne era ancora il risultato della ripresa in primavera della fermentazione spontanea del vino base, cosicché al momento dell’apertura della bottiglia nel vino oltre alle bollicine si trovavano anche tutti i residui lasciati dai lieviti che imponevano di sciacquare frequentemente i bicchieri. La messa a punto della méthode champenoise con l’eliminazione delle fecce dalla bottiglia, infatti, avverrà circa cento anni dopo il dipinto di de Troy, grazie all’invenzione della tecnica del remuage, che consiste nello scuotimento deciso della bottiglia con contestuale rotazione e con graduale inclinazione della stessa fino a quando il collo non è rivolto completamente verso il basso per facilitare la successiva fuoriuscita delle fecce mediante il degorgement. Questo sicuramente da un punto di vista storico è molto interessante, ma lo sguardo di chi ammira quest’opera senza conoscere la storia della nascita dello Champagne e le varie fasi che conducono alla sua realizzazione è attratto dalla scena che, in questo ambiente allegro e scomposto, è posta al centro del dipinto: tre uomini, uno seduto, che ha appena aperto la bottiglia di Champagne e due in piedi, un nobiluomo e un cameriere con un enorme vassoio d’argento tra le mani pieno di ostriche, che guardano stupefatti il saute-bouchon, il tappo che vola via dalla bottiglia di Champagne e che rotea sopra le loro teste. Che talento fare convergere tutta l’attenzione verso questa scena e raffigurare perfettamente l’emozione di coloro che guardano il tappo librarsi nell’aria: il volto rivolto all’insù, gli occhi spalancati e un sorriso di stupore e di divertimento! Si dice che nessun altro vino e nessuna altra bevanda abbia mai creato come lo Champagne un vero e proprio stile di vita, perché solo lo Champagne è, da sempre, capace di creare momenti unici di allegria, di divertimento, di gioco ed è vero! 70
Sono trascorsi quasi trecento anni dal dipinto di Jean Francois de
piuttosto che esserci per davvero, ma ad una fotografia che riesca
Troy e certamente lo Champagne è ancora l’emblema della festa.
a cogliere “l’istante decisivo”, come lo definiva Henri Cartier-
Così come è certo che, se oggi venisse scattata una fotografia durante
Bresson, perché riesce a “mettere sulla stessa linea di mira la testa,
un banchetto nel quale si consuma lo Champagne, l’atmosfera
l’occhio e il cuore”.
sarebbe del tutto simile a quella del dipinto descritto, con due sole
La fotografia scattata nell’ “istante decisivo” dell’apertura della
differenze oltre all’abbigliamento: la presenza femminile che sarebbe
bottiglia di Champagne mostrerebbe ancora oggi nel volto dei
piuttosto numerosa, mentre nel quadro è data solo dalla statua di
partecipanti la stessa emozione di meraviglia, di gioia, di sorpresa
Venere che rivolge altrove il suo sguardo di pietra e la mancanza del
che è riuscito a rappresentare tre secoli fa Jean Francois de Troy nel
tappo volante, perché l’etichetta vuole che la bottiglia di Champagne
suo dipinto, quell’emozione che ti lascia senza parole e che ti fa
sia stappata lasciando uscire solo il soffio dell’anidride carbonica e
brillare gli occhi al pensiero della magia delle bollicine che vedrai
che il tappo resti nella mano di colui che l’ha tolto.
nel calice, dei profumi di gesso accompagnati da profondi sentori
Non sto facendo riferimento alle innumerevoli foto scattate
di muschio, di sottobosco, di spezie, di frutta secca che sentirai
frettolosamente e senza cura dagli smartphone, duplicando
accostando il calice al naso e che ti fa spalancare la bocca al desiderio
invano la realtà, magari facendola anche a pezzi con i selfie,
di soddisfare il palato con l’avvolgenza cremosa del perlage che
nella convinzione che sia meglio mostrare di esserci in un posto
guiderà il sorso verso un finale perfetto ed indimenticabile. 71
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Tenuta San Leonardo, perla di montagna
TENUTA SAN LEONARDO, PERLA DI MONTAGNA D 72
a n i e l e
L
i u r n i
Se fossimo negli Stati Uniti, ad Hollywood avrebbero già girato un paio di “biopic” sulla famiglia
Guerrieri Gonzaga e su quel luogo tanto magico quanto ricco di storia che
è la Tenuta
San Leonardo, e il grande pubblico, quello che va oltre gli appassionati di
vino, saprebbe così che ad
Avio, in provincia di Trento, c’è un posto che custodisce il
ricordo di alcune delle pagine più belle e più drammatiche della storia d’Italia.
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Tenuta San Leonardo, perla di montagna
Qui gli Austriaci si arresero al Regio Esercito al termine della Grande Guerra e iniziarono le trattative che portarono alla successiva firma dell’armistizio di Villa Giusti, che consegnò l’eterna vittoria alla nostra Patria. Luogo dell’incontro fra le alte sfere degli eserciti italiano e austro-ungarico fu la Villa Gresti, della marchesa Gemma de Gresti di San Leonardo, donna straordinaria insignita della medaglia d’oro della Croce Rossa Internazionale per aver salvato oltre undicimila prigionieri italiani dai campi di concentramento russi durante la Prima Guerra Mondiale. Ella era allora sposata col marchese Tullo Guerrieri Gonzaga, il cui cognome è storicamente Sopra un ritratto della
legato alla celeberrima corte di Mantova, e fu questa liaison a far sì che l’antica Tenuta di San
marchesa Gemma de Gresti,
Leonardo, per oltre due secoli appartenuta alla famiglia de Gresti, divenisse presto un’impresa
sotto la famiglia Guerrieri
vitivinicola che avrebbe garantito posti di lavoro all’intera comunità della Val Lagarina.
Gonzaga.
Anselmo, figlio di Gemma e Tullo, capì infatti che quella che fino ad allora era una realtà
n
agricola alquanto variegata – si andava dalla produzione del latte, all’allevamento dei bachi da seta fino alla coltivazione delle patate – andava in qualche modo riorganizzata e trasformata in azienda viticola, valorizzando così una produzione di vino che già aveva un mercato alla corte austriaca ma che, tuttavia, non era ancora in grado di competere con le grandi etichette francesi. Da questa intuizione Carlo, figlio di Anselmo, decise di partire per iniziare i suoi studi di enologia a Losanna, convinto che solo con una conoscenza tecnica approfondita, e dopo numerosi viaggi fra Bordeaux e la Toscana, sarebbe riuscito a fare un grande vino capace di poter reggere il confronto con i migliori al mondo. Era il 1957, l’Italia si trovava in pieno boom economico, e mentre molti abbandonavano le campagne Carlo Guerrieri Gonzaga imparava a conoscere la vite, i suoi frutti e come trattarli per tirar fuori un prodotto unico. 21 anni dopo, la prima barbatella di Cabernet Sauvignon, proveniente da Bordeaux, venne piantata alle pendici dei Monti Lessini e nel 1982 nacque il San Leonardo. Tre anni più tardi, Giacomo Tachis – che già aveva creato quel mito dell’enologia italiana che è il Sassicaia – divenne l’enologo della Tenuta n
Sotto il marchese Carlo
e insieme al marchese Carlo, che si considera ancor oggi il “figlioccio enologico” di
Guerrieri Gonzaga assieme
Mario Incisa della Rocchetta, riuscì ad interpretare l’eccezionale vendemmia del 1985
al nostro redattore Daniele
con quello che sarebbe diventato di lì a breve il miglior taglio bordolese del nord Italia.
Liurni.
Fu allora che il San Leonardo entrò prepotentemente nel gotha dei vini italiani e in poco tempo riscosse l’approvazione e l’ammirazione dei più grandi degustatori esteri, abituati a valutare i migliori château bordolesi, che ne sottolinearono – e continuano a farlo – la straordinaria eleganza e il profondo legame col territorio. Si può dire dunque che il San Leonardo non porta a caso il nome della Tenuta, di cui rappresenta la storia, e non è solo il vino di punta di un’azienda viticola, ma è la summa e l’essenza dei racconti, degli aneddoti, delle vicende personali e familiari dei Guerrieri Gonzaga, stirpe nobile, sì, ma umile. E nobile ed umile è il San Leonardo: tutto il suo
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fascino, la sua classe, o semplicemente la sua bontà, possono
di cibo: “Ahimé si vede che l’uva è proprio buona da quanta ne
essere apprezzati con un piccolo investimento, a dimostrazione
mangiano!”, ti dice il marchese un po’ preoccupato, ma non troppo
che un grande vino non deve avere per forza un grande prezzo, e
pentito di aver reso i 300 ettari della Tenuta una riserva naturale,
che, si conceda la polemica, un grande prezzo non identifica con
sull’onda di ciò che fece Mario Incisa della Rocchetta a Bolgheri;
certezza un grande vino.
c’è compassione nelle sue parole e percepisci un senso di pace e di
Il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga del resto è persona di
armonia con la natura nel tono della sua voce.
una gentilezza e una cortesia d’antan, e non esita ad occuparsi
Ad ogni sussulto della jeep, per una buca di troppo sul cammino,
personalmente dell’accoglienza degli ospiti visitatori presso la Tenuta,
il marchese chiede scusa e continua senza indugio su quelle
lasciando trasparire dai suoi occhi una luce carica di emozione
stradine ripide e strette perché devi ancora vedere la Villa Gresti,
nel raccontare l’epopea della sua famiglia. È un piacere immenso
i vigneti di Carmenère e la vecchia ghiacciaia, e tu sei lì che
vederlo, agile alla guida della sua jeep Willys d’epoca - l’originale
giri la testa a destra e a sinistra per non perderti neanche uno
in dotazione all’esercito americano durante la guerra in Vietnam -
spicchio di quel paesaggio, respiri a pieni polmoni la fresca aria
condurti fra i suoi amati filari, accompagnato dalla fedele cagnetta
di montagna, ti godi il tepore del sole scintillante che si rifrange
Barrique, in un percorso che profuma di rose e ortensie, fra boschi
argenteo sul laghetto della Tenuta e pensi, così forte da temere
verdeggianti, accarezzati dalla brezza dell’Ora del Garda e salutati
che persino i tuoi pensieri possano essere uditi, che da un posto
qua e là dai camosci che discendono dalle vicine montagne in cerca
del genere non può venir fuori altro che un vino eccezionale.
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Bibenda 76 duemiladiciannove
Tenuta San Leonardo, perla di montagna
C’è ancora tempo per ammirare la collezione di trattori d’epoca
una dimensione mistica che ha un certo effetto catartico. Col
a cui il marchese è molto affezionato e il museo di famiglia
marchese Carlo, infine, puoi sederti sugli sgabelli della “Botte
dove sono raccolte tutte le testimonianze di un passato da
di San Leonardo”, il piccolo chiosco appena fuori dalla Tenuta,
proprietari terrieri, con i vecchi attrezzi e utensili da campo, le
e mangiare un panino chiacchierando amabilmente come fra
foto dei dipendenti di 40 o 50 anni prima che hanno lasciato
vecchi amici, e non ti sei mai sentito così a casa come in quel
il loro posto in azienda a figli e nipoti i quali oggi salutano e
momento. Ecco perché il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga
sorridono al marchese come si fa con un caro membro della
incarna perfettamente il significato della parola nobile ed
famiglia. E poi, arrivato in cantina, nella barricaia a cui si
ecco perché la sua dote più rimarchevole è l’umiltà. Il San
accede da una sorta di passaggio segreto degno delle migliori
Leonardo deve dunque poter esprimere tutto ciò: è un vino che
avventure di 007, ti ricordi di trovarti in un vecchio monastero:
si concede al mondo, che si dona agli appassionati, che vuole
canti gregoriani in filodiffusione cullano costantemente i vini
essere acquistato, goduto, fruito, è un vino generoso e cordiale
durante il loro riposo nelle botti e nella fase di affinamento in
come chi lo ha creato, nient’affatto elitario. Ed è proprio questa
bottiglia, e quest’eterea, divina e sacrale atmosfera riporta ad
la ragione della sua grandezza.
La Tenuta San Leonardo dopo tre anni di duro lavoro in conversione ha ottenuto la certificazione di azienda a conduzione biologica alla fine del 2018. Nello stesso periodo ha ricevuto anche la certificazione BWA - Biodiversity World Association. Un’importante associazione che con un punteggio altissimo ha sancito San Leonardo “azienda amica della biodiversità”.
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La degustazione | S
an
Leonardo
n
Tenuta San Leonardo Borghetto all’Adige 38063 Avio TN Tel +39 0464 689004 info@sanleonardo.it
San Leonardo 2014 94 Dal vivido colore rubino si esprime con un profluvio di profumi di lavanda, rosa damascena, ciliegia, lampone e arancia rossa, cui fanno seguito essenze di china e liquirizia, con un tocco di pepe, un accenno di zafferano e note balsamiche di erbe montane. Al palato tornano gli aromi percepiti all’olfatto, allineati su una vena acida di vibrante freschezza che supporta una trama tannica fittissima, per un sorso di rara eleganza e lunga persistenza, marcato dalla ricca sapidità che contraddistingue questo vino. San Leonardo 2013 94 Rubino nel calice, si offre con marcati profumi di pepe, chiodi di garofano, liquirizia, tabacco e cacao, con un lieve tocco di vaniglia, decisamente grintoso all’olfatto e al palato, dove mostra i muscoli con un tannino possente eppur gentile nel suo aplomb, ben accompagnato da una vispa acidità e da una gustosa sapidità.
San Leonardo 2008 93 Granato con accenni rubino nel calice. Profuma di marasca, more e mirtilli, con intense note di pepe nero, menta piperita, eucalipto e chiodi di garofano che via via lasciano spazio a più scure sensazioni di petrolio, cenere, pellame. Sorso dipinto da materiche pennellate sapide, di vivida freschezza e dai tannini eterei, persistente e speziato.
San Leonardo 2006 92 Luminoso granato nel bicchiere, stenta un po’ a concedersi all’inizio, poi si apre a profumi di ciliegia, mirtillo rosso, menta, tabacco da fiuto e goudron, con note di sottobosco e sangue di lepre. Solita vibrante freschezza al palato, ancora intatta e vitale, e che, a braccetto con una ricca sapidità, sostiene una massa tannica piuttosto robusta. Chiude leggermente ammandorlato.
San Leonardo 2003 93 Granato. Figlio di un’annata calda riesce tuttavia a rimanere piuttosto leggiadro sia al naso, sia in bocca, esprimendosi con profumi di mirtilli, cassis, prugna, menta glaciale, peperone arrostito, cioccolatino al latte e caffè. Spiazzante al palato per la sua freschezza e per un tannino tanto grintoso quanto elegante. Persistente e coerente nel finale. San Leonardo 2000 96 Granato didattico. Al naso rilascia dapprima ampi profumi di cassis, confettura di more, cioccolatino boero, china, liquirizia e cardamomo, poi col passare dei minuti e dopo diverse aerazioni emergono note di erbe uste, fondo bruno e sorprendentemente tocchi di lavanda e cenni dolci di caramello. All’assaggio non sembra temere l’incedere del tempo: si mostra in tutta la sua freschezza palpitante, ricco di sapidità, dai tannini ormai completamente disciolti nella massa, finissimi e carezzevoli. Persistenza da calcolare in minuti. San Leonardo 1996 97 Granato compatto nel calice, dona profumi di kirsch, prugna secca, chinotto, peperone arrosto, petrolio e cuoio, ammantati da un vello balsamico che riporta a sensazioni boschive, con le sue note di eucalipto, lauro, pino mugo. Sorso di infinita eleganza, è salato, freschissimo, dai tannini ancor vivaci per quanto di nobile levigatura, e risulta persino agrumato nel finale di bocca, quasi a voler dire: ne ho fatta di strada, molta ancora ne ho da fare. Eterno. 77
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Come si cambia
COME SI CAMBIA S
t e f a n i a
R
o nc a t i
La geografia del vino in Gran Bretagna e gli Sparkling Wines
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Come si cambia
Il cambiamento climatico su scala globale è una realtà in rapida ed allarmante evoluzione, tanto da aver indotto nel 2015 quasi 200 Paesi a siglare l’accordo di Parigi per contenere le emissioni di gas serra, puntando ad un riscaldamento del pianeta di massimo 2°C: purtroppo finora non si è giunti ad una sua concreta attuazione, non essendo stati presi impegni chiari e determinanti da parte dei sottoscrittori. Stando alle stime degli esperti, nel giro di poco più di mezzo secolo sarà stravolta quella che è la geografia del vino mondiale. I vigneti, oltre ad innalzarsi fino a quota 800 metri, da un lato si spingeranno ad occupare aree sempre più a nord (anche nell’ordine di 650 km), dall’altro abbandoneranno siti attualmente coltivati. Tra le aree settentrionali ove la presenza delle viti si farà sempre più importante un posto d’onore è occupato dal Regno Unito, che già da un po’ di anni vede un marcato climate change. Prendendo a paradigma l’estate 2018, sulla base dei dati forniti dall’Ufficio Meteorologico inglese, emerge con tutta evidenza come questa sia stata nel complesso molto calda. Rispetto alla media rilevata nel periodo 1961-1990 molte zone centrali e orientali del Paese hanno registrato variazioni di temperatura superiori a 3°C, ed anche facendo il confronto con il più recente periodo 1981-2010 la differenza si attesta ancora a oltre 2°C per vaste aree del Regno Unito [Foto 1 e 2]. Per di più, il clima è risultato insolitamente secco, tanto che – fatto in assoluto straordinario – in alcune parti dell’Inghilterra e del Galles nel mese di giugno non si sono registrate precipitazioni degne di nota. Per questi motivi il Regno Unito potrebbe trasformarsi, entro la fine del secolo, in una terra di grandi vini. L’innalzamento delle temperature estive di questi ultimi anni si è rivelato molto favorevole per la viticoltura inglese. Chardonnay e pinot nero hanno n
https://www.metoffice.
fatto la loro decisa comparsa nei vigneti, mentre le ‘vecchie’ varietà autoctone (bacchus,
gov.uk/climate/uk/
reichensteiner, seyval blanc) hanno visto, per effetto non tanto delle alte temperature
summaries/2018/summer
diurne, ma anche delle notti più miti, un aumento di qualità, grazie a migliori livelli di zuccheri, acidi più bassi e alti livelli di estrazione. Ma, come scrisse William Shakespeare ne Il mercante di Venezia, “all that glisters is not gold”, non è tutto oro quel che luccica! Infatti, accanto a questi effetti all’apparenza benefici, il clima presenta con maggior frequenza fenomeni meteorologici estremi: gelate tardive impreviste, venti molto forti, rovinose alluvioni, tutti fattori già di per sé dannosi ma che determinano anche la comparsa di malattie e parassiti della pianta, in passato raramente sviluppatisi nei vigneti del Regno Unito. Si pensi, ad esempio, all’annata 2012 con abbondanti piogge cadute sia durante la fioritura sia al momento del raccolto che hanno totalmente azzerato la produzione (tra le aziende più note che hanno dovuto soccombere di fronte alle forze della natura troviamo Nyetimber, che ha rinunciato a produrre di fronte alla qualità troppo scarsa delle uve); o ancora all’annata 2017, quando una primavera calda e soleggiata ha anticipato di due settimane o più lo sviluppo delle
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gemme-, gemme però distrutte l’ultima settimana di aprile da una gelata, che ha colpito a macchia di leopardo, lasciando alcuni produttori a fare affidamento soltanto sullo sviluppo di gemme secondarie. I viticoltori sono consci di questa duplici effetti del clima: se da un lato ritengono che il cambiamento climatico abbia contribuito alla crescita dell’industria vinicola inglese, dall’altro, come emerge da un sondaggio condotto dalla Scuola di scienze ambientali dell’Università della East Anglia nel 2014, lo reputano a larga maggioranza una minaccia piuttosto che un’opportunità. Uno studio condotto dai professori Mark Maslin e Lucien Georgeson dello University College di Londra e pubblicato nel 2016 ha combinato le temperature stagionali necessarie per le singole varietà d’uva con modelli di cambiamenti climatici prospettati per creare una mappa dei vitigni nel Regno Unito nel 2100. [Foto 3] Così le aree di pinot nero e chardonnay si sposteranno verso nord per coprire una fascia dell’Inghilterra centrale e orientale, dall’Essex al North Yorkshire, ove si diffonderanno anche riesling e sauvignon blanc. L’area compresa tra Newcastle ed Edimburgo potrebbe rivelarsi il territorio principe per il pinot grigio, mentre la zona dell’estuario del Tamigi e quella di Severn sarebbero perfette per la coltivazione del Malbec e del Merlot. È ovvio che vi sono tante altre variabili – dall’esposizione alla composizione
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Come si cambia
dei terreni, al lavoro in cantina – da tenere in conto e correlare ai risultati dello studio che, lungi dal presentare indefinite e banali congetture, delinea interessanti sviluppi per la mappa del vino mondiale. Una recentissima ricerca a cura del Prof. Alistair Nesbitt apparsa nel novembre 2018 nel Journal of Land Use Science, nell’ottica di individuare le opportunità di investimento, crescita del settore e aumento della resilienza ai rischi atmosferici e climatici, ha concepito un modello di idoneità viticola inglese e gallese. In particolare, oltre a Kent e Sussex, grandi aree nell’Essex, considerata la temperatura media della stagione vegetativa (13,9°C), e nel Suffolk, dove attualmente esistono pochi vigneti, appaiono particolarmente adatti per la viticoltura. Questo il futuro. Una realtà che si è già affermata è quella degli sparkling wines. Il global warming, infatti, ha portato ad avere nel sud dell’Inghilterra lo stesso clima di un secolo fa della regione dello Champagne: e per questo gli spumanti inglesi ne hanno guadagnato in qualità arrivando a rivaleggiare con lo champagne. Proprio quest’anno Cherie Spriggs, head winemaker di Nyetimber, ha vinto il titolo di produttrice dell’anno di vini spumanti all’International Wine Challenge: per la prima volta un vincitore non francese e per di più donna! Le potenzialità del suolo di Sua Maestà hanno attirato l’attenzione di alcune grandi Maisons di Champagne. Vranken-Pommery ha recentemente investito nella zona di
n
Sopra un ritratto del
Professore Alistair Nesbitt, a destra, Cherie Spriggs, head winemaker di Nyetimber, ritira il premio all’International Wine Challenge come produttrice dell’anno di vini spumanti
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Pinglestone su una collina dell’Hampshire dal suolo gessoso: 15
in rapida crescita, visto che il Pinot Noir, il Pinot Meunier e lo
ettari di chardonnay, pinot noir e pinot meunier impiantati nel
Chardonnay costituiscono il 71,2 % dei vitigni piantati.
2017, a cui si aggiungeranno presto altri 25 ettari. Nell’attesa
Oltre a Vranken-Pommery, pure Taittinger ha messo piede
delle prime vendemmie, Vranken-Pommery ha prodotto una
oltremanica, più precisamente nel Kent, per produrvi uno
sua ‘bollicina’ realizzata con uve comprate dai viticoltori locali,
spumante, le cui prime bottiglie sono attese nel 2023.
denominata Louis Pommery England, che, come afferma
Persino la Regina Elisabetta ha deciso di dedicarsi alla produzione
Clement Pierlot, chef de cave della Maison, è vino fine ed
di vino nella sua amata tenuta di Windsor. Nel 2011 alcuni
espressivo, ma anche con un bel corpo ed una bella freschezza.
viticoltori vennero incaricati di piantare quattro ettari di vigneto
Se la produzione di vini spumanti non è nuova in Inghilterra,
con uve chardonnay, pinot nero e pinot meunier. Le prime
v’è da notare che il numero di ettari vitati è aumentato del
bottiglie di ‘Windsor Vineyard’ sono uscite sul mercato nel 2013
150% negli ultimi 10 anni. Con 4 milioni di bottiglie gli
in occasione dei festeggiamenti per il novantesimo compleanno
spumanti rappresentano il 68% dei vini prodotti sul suolo
di sua Maestà. Non resta che fare un brindisi alle nuove frontiere
britannico nel 2017, percentuale che peraltro dovrebbe essere
del vino inglese: cin cin, o meglio cheers! 83
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Torinese ma juventino, affascinante, cattolico, fortunato: è Massimo Giletti
Torinese ma juventino,
affascinante, cattolico, fortunato: è Massimo Giletti E
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l v i a
G
r e g o r a c e
Per anni considerato semplicemente un personaggio televisivo affascinante, conduce numerose trasmissioni di diverso genere. Spazia da programmi mattutini più leggeri per sbarcare in prime serate dai temi impegnati, passando per special musicali. Oggi è il nocchiero della trasmissione di punta de La 7 Non è l’arena. Disparati i flirt a lui attribuiti, pochi quelli accertati. Non trascorre il suo tempo in locali per essere paparazzato perché travolto dalle sue sudate carte, si prepara ad “affrontare” la domenica successiva con competenza e abilità. Non è un improvvisato, è un professionista che prende a cuore le cause intraprese. Esigente prima con se stesso poi con il suo staff. Si attornia di persone che lo supportano e lo capiscano. In diretta si trasforma in Αργος, mostro mitologico greco che non chiude mai tutti gli occhi per non smettere di vedere cosa accade intorno, ha la bellezza di un pavone e la grinta di un leone. Quando è in scena? Ruggisce per allontanare i prepotenti dai deboli. Numerose le interviste da lui condotte, molte delle quali esclusive. A tal proposito afferma: “Non ho un segreto nella conduzione delle conversazioni. Non esiste un incontro più difficile di un altro. L’importante è che l’intervistato si senta a proprio agio. Ogni individualità è unica. Nulla è scontato.” 85
Bibenda 76 duemiladiciannove
Torinese ma juventino, affascinante, cattolico, fortunato: è Massimo Giletti
Dopo tredici anni di conduzione pomeridiana su Rai 1 con L’Arena è stato costretto a lasciare lo scettro per passare a un altro canale. La sua capacità è rimasta intatta, aumenta, forse, la sua temerarietà. Dà spazio al discusso Fabrizio Corona offrendogli un servizio che ha lanciato il dibattito inerente alla periferia milanese; accoglie un’Asia Argento che necessita di sfogarsi. Certamente la storia che ha colpito maggiormente la sensibilità degli Italiani è il caso delle sorelle Napoli: tre donne abbandonate allo sconforto nella piccola realtà di Mezzojuso (Palermo) perché si oppongono a cedere le proprie terre a prepotenti locali che tentano di impaurirle in ogni modo, questa è solo la punta di un iceberg di cui lo stesso Giletti non immaginava le dimensioni. Si descrive così: “Credo di essere una persona onesta e giusta, per questo mi schiero dalla parte dei più deboli, degli invisibili alla richiesta di aiuto. Sono io stesso ad avere subito un torto. La RAI non si è comportata bene con me. Dopo anni di lavoro e di popolarità che le ho portato, non pensavo che mi avrebbe costretto ad abbandonare una trasmissione di successo. In ogni caso con La7 lavoro in libertà. La televisione pubblica ha preferito offrire spazio a trasmissioni più leggere, non a me che mi occupo di problemi reali. Vorrei che i politici cessassero di vivere anni luce distanti dalle vere necessità dei cittadini. La gente è stanca di essere vittima di un sistema collaudato da una classe dirigente che demanda i propri errori ad altri e non si assume le sue responsabilità. Credo di possedere uno spiccato senso del dovere, probabilmente, ereditato da mio padre. Non ho un ricordo legato a un profumo se non all’odore della fabbrica tessile di famiglia. Mio padre sosteneva che bisognasse lavorare per percepire il senso della vita e soprattutto non pensare che gli altri facciano il lavoro che dobbiamo svolgere noi. Bisogna sporcarsi le mani ed entrare nella struttura delle macchine per sapere come funzionano.”
Torinese di nascita è un appassionato di calcio. La sua squadra del cuore è la Juventus. Paragona Cristiano Ronaldo allo Chardonnay Giulio Ferrari Riserva del Fondatore e attribuisce ad Andrea Agnelli l’intensità e la pienezza di un Barbaresco di ottima annata. Massimo, invece, si avvicina alla Barbera. Forse per l’apparente semplicità, la piacevolezza della bevuta, dalla spiccata acidità che permette di essere sposo di molte pietanze, dalla presenza dei tannini mai aggressivi ma che incidono al palato in modo giusto ed equilibrato e che invitano a un sorso successivo. Massimo si definisce un uomo fortunato, nei momenti di difficoltà si rivolge alla madre che probabilmente ancora oggi resta la figura di riferimento della sua vita. Noto anche per la sua fede, più volte ha condotto trasmissioni il cui soggetto era Padre Pio e ha accompagnato per diversi anni i malati a Lourdes.
Padre Pio, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, al secolo Francesco Forgione, da Pietralcina, sosteneva: “È dolce riposare dopo aver compiuto il proprio dovere.” Forse Massimo dopo la diretta domenicale lo fa… 87
i r o t t u d o r p i n o c A tavola
C
i n z i a
Siamo
B
o n f Ă
entrati nelle cucine di alcuni produttori di vino
chiedendo loro di raccontarci una propria ricetta alla quale sono particolarmente legati.
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IL PRODUTTORE È il Friuli Venezia Giulia il protagonista di questo mese, assieme alla maison Villa Parens di Giovanni ed Elisabetta Puiatti che hanno continuato la loro storia di vigneron di rango e tradizione, attraverso la realizzazione della nuova cantina fondata nel 2013 a Farra d’Isonzo, nella bella villa di famiglia, lasciando il marchio Puiatti per rinnovarsi con quello di Villa Parens. La filosofia dei Puiatti è sempre stata legata alla purezza, all’essenziale e all’incontaminato seguendo il mantra del “no legno” per tutti i vini aziendali, relegandoli di conseguenza a uno stile inconfondibile di eleganza e pulizia. Lo stesso fil rouge lo ritroviamo nello sguardo morbido di Elisabetta, donna di grande garbo, classe e cultura che ci propone un piatto della tradizione friulana, il risotto alla Rosa di Gorizia, che si diletta a cucinare per gli amici e i degustatori più attenti che passano in villa. La Rosa di Gorizia è un radicchio autoctono invernale raro e prezioso che nasce solo nelle campagne goriziane e che da oltre due secoli illumina, con i propri colori, il rigido autunno dell’estremo Nord Est dell’Italia. Arriva sul mercato alla fine di novembre e, nelle stagioni fredde, lo si trova anche fino a metà marzo. È chiamato così per la sua bellezza e per l’aspetto identico a una rosa di color rosso granato intenso.
RISOTTO ALLA ROSA DI GORIZIA Ingredienti per 4 persone Tempo di preparazione: 15 minuti 250 gr. di riso Carnaroli 6 “rose” di radicchio 1 salsiccia del contadino 1 cipolla rossa (piccola) ½ bicchiere di vino rosso 1 litro di brodo vegetale Sale e pepe q.b. Burro e formaggio Montasio stagionato per la mantecatura Preparazione 1. In un tegame ampio tagliare finemente la cipolla rossa assieme alla salsiccia e fate rosolare. 2. Versate i 250 gr. di riso Carnaroli e lasciatelo tostare per bene, aiutandovi con un cucchiaio di legno. Il profumo deve essere quello della tostatura. 3. A questo punto sfumate il riso con il mezzo bicchiere di vino rosso aggiungendo dopo il brodo vegetale bollente a mestoli, fino ad arrivare a 2/3 del tempo di cottura del riso. 4. Aggiungete le foglie (o petali) leggermente tagliate a metà del radicchio precedentemente mondato e terminate la cottura mantenendo il riso al dente. 5. Per la mantecatura aggiungete un paio di noci di burro, il formaggio Montasio, un pizzico di sale e una macinata di pepe in base alla sapidità raggiunta ed il gusto personale. 6. Servite il risotto ben mantecato disponendo al centro del piatto come decoro, un ciuffo della Rosa di Gorizia.
L’ABBINAMENTO Elisabetta suggerisce di sfumare il riso, durante la cottura del piatto, con lo stesso vino rosso che lei propone per l’abbinamento: il Pinot Nero Ruttars 2017. Le uve provengono dal cru Ruttars, sulla collina di Dolegna del Collio, che ha terreni ricchi di strati di marna e arenaria, gli stessi con i quali si definisce la famosa “Ponca”. Fa pochi giorni di macerazione in modo da ottenere quel colore rubino vivo ed estrarre tannini gentili, puntando sull’acidità per un giusto equilibrio. È un vino di rara raffinatezza, estremamente elegante per quanto concettualmente semplice. Doverosamente invecchiato in acciaio per 8 mesi. Ha un’anima timidamente borgognona già dal colore traslucido del rubino. La sensazione di “magrezza” iniziale nei profumi è la caratteristica della pulizia stilistica che si affaccia con leggerezze di rosa canina, lampone e ribes, per poi aprirsi a tocchi di erbe aromatiche, tamarindo e pepe bianco. Nota ferrosa in chiusura. La bocca rimane fine e sinuosa, fresca e viva ma anche estroversa e morbida con un abbraccio tannico delicato e rimandi salini. Piantona il suo ricordo nella persistenza.
89
Da Leggere P
i e t r o
M
e r c o g l i a n o
Sono
i nostri consigli di lettura.
dizionari,
testi
legislativi,
romanzi,
tecniche: letture intorno al vino.
90
NovitĂ ,
nuove edizioni,
saggi,
pubblicazioni
Da Leggere
PASSIONE PURA Segreti e ricette
di un grande chef
per la tua cucina
PiEmme Pagine 228 Euro 17,50 Gennaio è tipicamente il momento di bilanci e progetti: e i buoni propositi per l’anno nuovo spesso includono diete alimentari alla ricerca della forma fisica (dai punti di vista dell’aspetto e del benessere) che si sente d’aver perduto o mai conseguito. Dal canto loro, i lettori d’abitudine mettono da parte i titoli che avevano deciso di leggere durante le Feste: o perché
ne abbiano effettivamente portato a termine la lettura, o perché non abbiano poi avuto tempo o modo d’intraprenderla e la rimandino all’estate o alle Feste successive; e partono spesso alla ricerca di libri piú agili, che si prestino a esser sbocconcellati durante gl’impegnati giorni feriali. Qui si vuol fornire l’occasione d’una lettura bella e leggera, che può anche esser di savio consiglio per le diete post-festive. Si tratta dell’ultima opera del Maestro Heinz Beck, discesa agli scaffali delle librerie dagli Empirei del nono piano del “Cavalieri” per tramite del marchio editoriale PiEmme. Il titolo è al contempo un sommario del contenuto del volume: “Passione pura: Segreti e ricette di un grande chef per la tua cucina”. Ma l’intento dell’opera, come spiegato già nell’introduzione del volume, è ben piú ambizioso che quello di fornire ricettine e consigli per massai: in fin dei conti – e anche se non viene mai detto in maniera cosí esplicita –, ciò che il Maestro qui ricerca è la definizione del Bello. Un piatto non deve piú solo esser buono, dice, ma gli si richiede di esser sano e leggero: insomma equilibrato – continua –, e dunque – conclude – bello. Solo un artefice della levatura di Heinz
Beck poteva permettersi d’iniziare con simili accenti un libro di cucina, perché solo lui (o quasi) sarebbe poi stato in grado nel corpo dell’opera di tener fede al proposito iniziale: svelare il Bello, l’equilibrio, l’esatta proporzione fra le parti e fra gl’intenti. Heinz Beck sa bene che i piú straordinarî labirinti, com’è quello dei sensi che va sotto il nome di “Cucina”, non possono esser sciolti. Non hanno soluzioni, scioglimenti che li riconducano a un percorso retto e semplice: ma solo mappe, complesse e potenti quanto il dedalo che descrivono. Cosí, il Maestro non propone una soluzione al dedalo anche mediatico d’informazioni (molte vere ma moltissime false o comunque del tutto prescindibili) su Cibo e affini: propone una mappa, una via complessa ma netta e totalmente umana, una spiegazione necessaria e compiuta. Il nome di questa via è il titolo del suo libro: è l’ingrediente segreto di ogni piatto di ogni livello, il dirimente fra la falsa annosa antinomia di tradizione ed innovazione, la chiave che apre il cuore alla piú elaborata pietanza servita a “la Pergola” come al piatto disintossicante del dopoCenone consumato a casetta. Passione (possibilmente Pura).
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Cruc i BENDA P
a s q u a l e
in arte Petrus
92
P
e t r u ll o
Cruc i BENDA Cercare
nello schema tutte le parole elencate, tenendo presente che possono trovarsi, orizzontalmente
destra o da destra a sinistra), verticalmente (dall’alto al basso o dal basso all’alto) e diagonalmente.
(da
sinistra a
Alla fine rimarranno
alcune lettere inutilizzate le quali lette di seguito daranno la chiave indicata.
Tre cultivar di olivo (chiave: 8-7-8): ............................................................................ . © Petrus
F E T N E T S I S R E P O C O P F I N E N E D A I B B O D L A V O P A C O T N E L A S L N À R E T A N N I N I T B R A L E T O L T B O R G O G N A M N E L I R A E T O T S Y R A H O I P B D V T C A L C O L I S C N R P O I I O L L E C C I I E B I G O N C E O O S O P R O C P N C O R S A T C D L S A L G H E R O M G O S O C R C I N Q U E G R A P P O L I E A I A O O L O A G R U M A T O S
ACIDITÀ AGRUMATO AISO ALCOLI ALGHERO ARMONICO BIGONCE BLEND BORGOGNA CHABLIS CINQUE GRAPPOLI CORPOSO DOLCETTO FINE GROPPELLO
MOSTO OLIO OPACO ORVIETO PESANTE POCO PERSISTENTE RECIOTO ROSSI SALENTO SECCO SYRAH TANNINI VALDOBBIADENE VELATO
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Informazioni da Fondazione
Questa rubrica riassume tutte le novità, gli eventi, le attività, le notizie, i momenti che hanno vista impegnata la in lungo e in largo nel
Fondazione Italiana Sommelier
Paese.
A SAN PATRIGNANO DAL 26 GENNAIO 2019 UN ALTRO CORSO PER SOMMELIER La Fondazione Italiana Sommelier e la famiglia Moratti da anni vicini per il bene dei ragazzi. Indissolubile è il legame tra Fondazione Italiana Sommelier e San Patrignano, da anni l’uno accanto all’altro per dare una concreta speranza ai ragazzi della comunità. Siamo a quota 7: tanti sono stati i Corsi per Sommelier organizzati all’interno di San Patrignano, voluti fortemente dal Presidente della Fondazione Franco M. Ricci e offerti in maniera completamente gratuita. Un percorso di conoscenza lungo, che i ragazzi intraprendono durante l’ultima fase della loro riabilitazione, proprio per permettere poi il loro inserimento nel mondo del lavoro e nello specifico in quello dell’enogastronomia, con una formazione di alto livello, certificato dal diploma di Sommelier Professionista di Fondazione Italiana Sommelier.
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Saranno tre mesi di lezioni concentrate di sabato e domenica, dalla mattina alla sera. Un percorso intenso, che permetterà ai partecipanti di imparare a degustare il vino nella maniera corretta, di scoprire cosa succede in vigna e in cantina, impareranno le differenze tra le diverse aree vinicole italiane ed estere, fino ad arrivare a scoprire il giusto abbinamento cibo-vino. A guidarli in questo viaggio, i docenti di Fondazione Italiana Sommelier: Paolo Lauciani, Massimo Billetto, Luciano Mallozzi, Giovanni Lai, Alessia Borrelli, Sara Tosti, Vincenzo Paolo Scarnecchia. Ogni volta è toccante la felicità dei ragazzi, consapevoli di aver imparato nuovamente a credere in se stessi e nelle proprie capacità e coscienti, nonostante una vita precedente difficile, di poter affrontare la vita con un bagaglio formativo d’eccellenza.
ILIA!
IC DALLA S
TENUTE ROSSELLI: I VINI DELLA RISCOSSA di Roberto Oddo Gennaio 1968: un violento terremoto di magnitudo 6.4 scuote la Valle del Belice, coinvolgendo le province di Palermo, Trapani e Agrigento. Oggi molte DOP rilevanti risiedono su quell’area e, se escludiamo le estreme coste occidentali della Sicilia che fanno storia a sé, buona parte della rinascita regionale fermenta lì. Un nome nuovo, Tenute Rosselli, in pochissimi anni sta portando avanti un lavoro di rinascita della zona, prima con l’olio evo in blend (da Calamignara, Ogliarola messinese, Biancolilla e Nocellara) e ora con vini monovarietali prodotti nella zona di Gibellina. Il logo, la costellazione dell’Ariete, richiama le stelle che sorvegliano il territorio nel momento della vendemmia, in equilibrio tra cielo e terra. Interessantissima, la scelta di dare alle bottiglie nomi siciliani collegati al movimento e a diversi stati d’animo, con un’idea di intraprendenza e di rinascita. I vini sono stati presentati in un
appuntamento al Kantuccio di Santa Flavia (Pa) in una cena di degustazione con cibo “povero” e saporitissimo della tradizione locale, su un tavolo sociale che ha permesso agli ospiti di discutere insieme in modo proficuo dei calici e della semantica dei nomi. Se i rossi (da Nero d’Avola e Merlot) rappresentano un importante terreno di ricerca, sembra che i risultati migliori in termini di carattere siano stati già raggiunti dai bianchi. È d’obbligo segnalare almeno Camina (“Cammina”), uno Chardonnay di buona lunghezza, che sa di fiori, di frutta bianca e di agrumi, ma anche di mare. Sorprendente e insolita la persistenza del Viognier (Amunì, “Dai, su!”), che prende possesso della bocca con la sua personalità. Interessante anche il Grillo (Araciu, “Piano”), di buon assetto varietale, con una consistente spalla acida che invita ad abbinamenti inconsueti.
VERTICALE DI ROSSO DEL CONTE A PALERMO di Roberto Oddo Il Rosso del Conte viene prodotto dal 1975 ed è una delle voci più potenti di un territorio che tradizionalmente esprime il meglio con altri vitigni. In una regione che vedeva un ovest bianchista e un est rossista, la tenuta di Regaleali (paesaggio e clima quasi continentali) funge da spartiacque. Il vino, riserva simbolo della cantina, prodotto in un vigneto ad alberelli, è un blend di Nero d’Avola e Perricone. I partecipanti alla verticale organizzata da Tasca d’Almerita a “L’Oste dello Stabile”, rinomato e centralissimo ristorante di Palermo, ne hanno apprezzato quattro annate abbinate a ricchi piatti di carne bovina, suina e ovina preparati dallo chef Daniele Napolitano. Corrado Maurigi, brand manager simpaticissimo e comunicativo della cantina, ha raccontato un vino di grande carattere, che raggiunge nelle due bottiglie centrali i suoi vertici espressivi. Percorrendo a ritroso la
storia del territorio, l’appassionato riconosce soprattutto il fil rouge di cura e di cuore del Conte Giuseppe, uso magistrale del legno e un olfatto di ciliegie e frutti rossi, fiori carnosi e cioccolato che traspare già nella versione più fresca (2014): profumata, sensualissima, foriera di grandi evoluzioni. Il 2007, che vede in aggiunta piccole percentuali di Syrah e Cabernet, ha un impatto ammaliante al naso: percorso da una ventata calda di tabacco e di spezie scure, seduce con una morbidezza voluttuosa, irresistibile. Più aristocratico, ampio e armonico, il 2000, senza perdere un briciolo di freschezza: le note balsamiche mentolate e scure di tè e di liquirizia conferiscono al sorso indimenticabile nobiltà. Il 1998, nella sua evoluzione, con dominanza di confettura di frutti di bosco, sboccia in erbe aromatiche e terziari e sigilla la storia di un monumentale vino rosso dalla Sicilia.
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Hanno collaborato a questo numero Paolo AURELI, Cinzia BONFÀ, Claudio BONIFAZI, Filippo BUSATO, Raffaele FISCHETTI, Elvia GREGORACE,
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