Anno XVIII - n. 79 - Mensile Maggio 2019
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copertina > Stiamo realizzando un programma ambizioso, presto in uscita, per donare a tutti questa straordinaria possibilità: moltissime degustazioni di grande livello culturale, viaggi studio in territori raramente visitati e tanta voglia di unicità, come di consueto nella nostra Didattica. Ecco il primo BIBENDA ETNA WINE MASTER© da pag. 2.
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1° Bibenda Etna Wine Master / di Franco M. Ricci Il volto protettivo di Zanobi / di Bruno Frisini Il gusto è l’espressione della salute in cucina / di Maurizio Saggion Terrevive / di Neonila Siles Degustazione storica di Barolo Batasiolo / di Lorenzo Costantini Una squadra tutta da costruire / di Daniele Liurni La terra fortunata / di Barbara Palombo Montepulciano, il Sangiovese Nobile di Toscana / di Maria Grazia Pennino I vini del vulcano laziale / di Antonella Pompei Le dimensioni del terroir / di Bruno Frisini Emidio Pepe / di Ilaria Oliva L’intervista: Alessandro Greco / di Elvia Gregorace Una spremuta di salute / di Carlo Attisano A tavola con i produttori / di Cinzia Bonfà Da leggere... / a cura di Pietro Mercogliano Crucibenda / di Pasquale Petrullo Consigli di scrittura / a cura di Pietro Mercogliano Informazioni da Fondazione
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Editoriale
1° BIBENDA ETNA Ricordo con amore alcuni anni fa il volto di Giacomo Tachis, uno dei più grandi Enologi del mondo, quando mi parlava dell’Etna. Per me l’Etna era semplicemente un vulcano. Per lui la vita che stava regalando alla vite. Di quella terra che dalle viscere fino all’erba che ne colorava la superficie lui amava profondamente. Quasi fosse un figlio nascente o, meglio, una donna bella e prosperosa, come lui desiderava. Fatto sta che di anni ne sono passati e quell’afflato mi è rimasto nella memoria mentre intorno all’Etna assisto al miracolo del vino. Un miracolo che Tachis non solo aveva già percepito e presagito, ma ne stava già godendo nel suo lavoro, grazie alla sua sapienza. Oggi Etna vuol dire quel fenomeno di quel sud del mondo che sta donando un prodigio al mondo vino. E oggi Etna è il nostro fiore all’occhiello, un ulteriore aspetto della qualità italiana, un altro tassello che fa parte di ciò che con noncuranza definiamo “made in Italy” ma che in realtà è riservato soltanto a quei pochi eletti nel mondo che riescono a comprenderne il valore e a farne tesoro, un tesoro di cultura e di amore. Un amore quasi sacro. Il desiderio di condividere questa filosofia e di offrirla in via esclusiva ai nostri amici Sommelier, al nostro Popolo del Vino, l’inarrestabile voglia di migliorare il senso della vita di quanti ci seguono negli obiettivi sempre più ambiziosi, ci hanno portato a dar vita al primo BIBENDA ETNA WINE MASTER. Un programma ambizioso, presto in uscita, per donare a tutti questa straordinaria possibilità: moltissime degustazioni di elevato valore culturale, viaggi studio in territori raramente visitati e tanta voglia di unicità, così come di consueto nella nostra Didattica. Unica Sede al mondo sarà Catania e sarà lì che presenteremo l’ambizioso Programma di questo nuovissimo ed esclusivo Master. Un’esperienza imperdibile, per palati di razza. Franco M. Ricci
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WINE MASTER
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1° BIBENDA ETNA MASTER
wine
CAMPUS SULLA PRODUZIONE, LA DEGUSTAZIONE E LA COMUNICAZIONE DEL VINO Fondazione Italiana Sommelier
WWW.BIBENDA.IT
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Bibenda 79 duemiladiciannove
Il volto protettivo di Zanobi
Il volto protettivo
di Zanobi Ronchi di Cialla: à la manière de galileo
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Bibenda 79 duemiladiciannove
Il volto protettivo di Zanobi
Nell’era della riproducibilità tecnica potrebbe apparire cosa sensata o quanto meno verosimile produrre vino da un vitigno considerato estinto. Tuttavia la prospettiva subisce una sostanziale alterazione se i fatti vengono documentati cinquant’anni or sono. Non essendoci all’epoca mezzi all’avanguardia per una riproduzione in provetta nelle prolifiche mura del laboratorio-demiurgo, magistero di vita e di morte, di eternità e di oblio, risulta elementare la comprensione che di estinto quel vitigno doveva avere ben poco. La famiglia Rapuzzi si insedia nella valle della Cialla intorno alla fine degli anni ’60 del millenovecento, con l’idea di un futuro non più costruito sul presente, “puro e semplice n
Ronchi di Cialla
remake del passato”. La percezione di un tempo culturale andava man mano insinuandosi
Via Cialla, 47
negli angusti spazi di un non tempo pre-culturale (la celebre “volonté d’ignorer le temps”
33040 Prepotto UD
che Le Goff ha teorizzato). L’intento di recuperare specie autoctone, tradizionali, senza
Tel. 0432 731679
cedere ai più produttivi e modaioli vitigni internazionali ne era il “paradossale paradigma”.
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In questi territori il tempo pareva essersi fermato ad epoche antecedenti l’avvento
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mercantile in cui le Hören (ore sentite) dominavano il mondo agrario, ancora legato a lenti ritmi medievali. Il concetto di Stunden (ore “viste” con la misurazione esatta del tempo e l’invenzione dell’orologio), tipico della società urbana, sembrava non avere presa. Le vicende di questa famiglia, i cui membri verranno consegnati alla storia con l’epiteto di “custodi dello Schioppettino”, si concretizzeranno in uno spazio tempo che da lì a poco sarebbe stato da loro rivoluzionato. Il passaggio da una mentalità a un’altra non è mai repentino né brusco. Ciò nonostante il tempo cominciava inesorabilmente ad assumere forme rettilinee e sequenziali. Uscito dal circolo magico, diveniva sempre più “dispensatore di affanni”. L’antica, imprecisabile, “fuga temporis” appariva concretamente misurabile. Quella valle che fino ad allora, sopita nelle nebbie del tempo, aveva vissuto nell’ottica della “pronostica temporum” - in cui come spiega Gaignebet: “L’art du paysan n’est pas tant l’art de compter que celui de prévoir.” - si trovava di fronte ad un vero e proprio paradosso: la riscoperta scientifica della tradizione. Fin dai tempi di Esiodo il contadino si palesava come raccoglitore di informazioni e di indizi acquisiti dalla natura che lo circonda, scrutatore del cielo, maestro dell’arte della previsione senza contare, senza ricorrere a cifre. Una sensibilità che lo terrà nei secoli distante dalla cultura, “ignaro della grande storia”, “forza-lavoro senza vere possibilità di cambiamento”, “avvolto dentro la rete del tempo ciclico (temps vécu) e della oppiacea ritualità del ritorno”, ignorando la nozione di progresso, incastrato nel crai contadino, spazio atemporale, in cui non si distinguono i giorni e dove tutto è prevedibile perché è già stato. Luoghi in cui la presenza della luna era ossessionante, “implacabile osservatore d’ogni azione”. Il tramonto di quest’ultima nella valle della Cialla, seppur con indugio e lentezza, si avrà “à la manière de Galileo”.
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Nella tradizione folclorica è consuetudine riprodurre modelli tradizionali, “collaudati sull’economia locale o di gruppo”. Una riproduzione di logiche basate sulle necessità e sul sostentamento, poco interessate all’edonismo, spesso tramandate e censurate oralmente. Estinti i rappresentanti di una certa tradizione, sembra impossibile la riattualizzazione di certi moduli ben precisi, incastonati in una determinata dimensione. Tutto ciò che viene rifilato come “tradizionale e paesano”, facendo leva su nostalgie del consumatore, “orfano del passato, ignaro delle arbitrarie e cervellotiche mistificazioni perpetrate sopra il suo dolente e pungente desiderio di genuinità”, risulta operazione disperata al limite della necrofilia. Non tutto il passato è morto, ma ovviamente si è alterato e modificato. “La struttura intima dell’uomo difficilmente coincide con le macroscopiche strutture economiche, produttive, sociali e politiche in cui non si identifica mai completamente e che, almeno in parte, inconsciamente rigetta. […] Dalla alienazione del mondo contemporaneo l’uomo cerca di salvaguardarsi anche attraverso manipolazioni rituali e totemiche, […] natura e cultura a tutela della vera dimensione dell’uomo, come se l’io andasse alla ricerca della sua sempre più labile identità”. I passi mossi da Ronchi di Cialla in questa direzione prendono le mosse da una cultura scientifica ben precisa: le <<chiare dimostrazioni>> e le <<sensate esperienze>> che la scienza Galileiana aveva assunto a proprio paradigma e che aprirono la strada a nuove interpretazioni dei fenomeni naturali, divengono di fondamentale importanza nell’operazione di riscoperta scientifica di un territorio che andava rifondato con rigore e consapevolezza.
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Il volto protettivo di Zanobi
In quest’area la viticoltura è attestata dal 1300, alternando periodi importanti e ricchi di fasto ad altri meno favorevoli. Il momento senza dubbio più buio è quello vissuto a cavallo tra il 1800 e il 1950. La cattedra ambulante di agronomia e viticoltura (assimilabile all’attuale assessorato all’agricoltura) sosteneva politiche con logiche produttive a discapito della qualità. L’arrivo della fillossera e lo scoppio dei due conflitti mondiali in seguito, distrussero ogni forma di coltivazione della vite, scuotendo e sparigliando un intervallo temporale in cui la preoccupazione di aver perso per sempre la specie dello Schioppettino andava concretizzandosi. Tuttavia un lavoro di selezione massale, “porta a porta”, giardino dopo giardino, darà nuovamente i natali al vitigno autoctono più rappresentativo della Cialla. Non c’era più spazio per l’animismo magico di vecchie credenze metafisiche. Ciò che è stato il passato andava indagato con occhio scientifico, prefigurando un cosmo geometrico, “lontano dal vecchio modello di passionale macchina animale, di organismo animato, spirante e sensuoso che con l’uomo era legato da una rete invisibile di influssi, relazioni intime, affinità segrete, analogie simboliche”. Il vino, non più oggetto conviviale o di sostentamento, diviene materia di studio approfondito in un ambito di ricerca del passato attraverso l’esperienza di osservazioni erudite e sapienti. Simbolo di rinnovamento, la liquidità è da sempre allegoria dell’unica cosa al mondo immutabile, la mutevolezza. Viene applicata ai vigneti la precisione del compasso geometrico proprio come il grande vecchio di Arcetri era solito fare. Egli infatti, profondo conoscitore di vini, amava trascorrere molto tempo in vigna: “teatro brulicante di umide vite” utili ad indagare, contemplando i piccoli particolari, la grandezza della natura. Le sensate esperienze nascono dai cinque <<sentimenti del corpo>>, finestre dell’anima aperte sul mondo, “chiavi (come ben sapeva Vincenzo Viviani) che disserravano le porte alla conoscenza” e che partivano dal basso, dai fenomeni elementari, con altre misure per “saggiare la fabbrica della vita” e “penetrare i più reconditi segreti della natura”. Galileo era <<perciò solito dire che la natura operava molto col poco>>. Ragionamenti comuni, criteri simili con coloro che scelsero tenui indizi di un passato lontano per fondare un futuro che smetteva finalmente di poggiarsi con tutto il suo peso su di un vuoto presente. La scelta di restituire il proprio trono allo Schioppettino - “il cui rosso colore sembra una riabilitazione tecnologica del sangue, spremuto e ricreato dal torchio, sogno di una immensa vittoria sulla fuga anemica del tempo” - è il risultato ultimo di chi <<con osservazione, diligenza e industria>> aveva restituito nuova identità a luoghi dall’insensata ed incontrollabile astrazione. “Il vino è un composto di umore e luce” andava filosofeggiando Galileo. Asserzione su cui si fonderanno veri e propri studi. Lorenzo Magalotti, segretario dell’Accademia del Cimento” vi mediterà a lungo, spostando sempre più la propria attenzione sul “sole liquefatto”, sul “fuoco domato e imbottigliato”, affascinato dalla metamorfosi 8
della liquida sostanza uscita dalle “vene della vite” che si trasforma in “igneo calore”, dall’umido e dal freddo al caldo e al secco. Ogni liquido è acqua, ogni acqua è latte di madre natura, sostanza nutritiva per eccellenza, ogni bevanda felice è latte materno. “Anche il vino in questa dimensione di lattescenza universale riflessa nelle acque <<alimentose>> e feconde, diventa latte nutritivo, sugo dell’albero della vita eterna e della felicità. Composto di acqua e di luce, di energia solare e di <<humore>> o umidità lunare, sintesi di luminosità penetrante e di umida tenebra agglutinante”. Questa incantata bevanda, così la definiva Malagotti, trova il proprio germe negli ingegni dell’acino dell’uva (torna la visione dal basso), il quale come una spugna si nutre di luce. Una macchina idraulica perfetta, paragonabile a quella umana, bisognosa dell’irradiante calore del raggio solare che si cala in questi “sepolcri artifiziosissimi della luce” per rinascere mutato in liquido ardente. “Sepolto, murato vivo nell’acino, trova nell’umore <<il glutine>> necessario per fondere <<la polvere di luce>> con la linfa del granello in modo che <<mai 9
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I vini dei vulcani, la sottile linea rossa
più se ne scerna>>”. L’antico equilibrio tra sole e luna, tra presente
humiditatem, mors per siccitatem” - che spiegava come i segni
e passato, appare incrinato. Colei che per molti secoli sembrava
della mesta vecchiaia di tutte le cose erano avvertibili “nell’ina-
avere il predominio sulla cultura
ridirsi delle sorgenti, nell’isterilirsi
agraria, ora si limita ad essere elemento
delle linfe, nell’avvizzire delle foglie
accessorio. Si sviluppa il desiderio
e nel seccarsi degli alberi” - viene
di verticalità, contrario alla gravità,
soppiantato dal desiderio di raggiun-
a riprova della leggerezza assoluta
gimento dello zenit, punto verticale
di tutte le cose (come teorizzato da
al quale sicuramente l’eroica famiglia
Evangelista Torricelli). “Corre a farsi
Rapuzzi punta con decisione non
vin l’accesa luce”. Il sole trasmetteva
curante della possibilità di rimaner
energia vitale all’uva e il vino, a sua
invischiata nella smania di quella li-
volta, “accendeva <<i lirici carmi>>,
quidità rassicurante, in cui la nostra
<<i drammi eletti>> e, governando
società ritornata a logiche medievali,
la prosa e i pensieri dei virtuosi […]
avida e bramosa dell’ultima goccia
fonde in un’immagine di vinosità
disponibile, sembra essere piombata
benefica anche il volto protettivo di Zanobi, santo primaverile e
con “l’avanzata dei deserti, l’arretrarsi dei ghiacciai, il surriscalda-
solare che, astro possente, riversava le sue grazie” tanto sui vigneti,
mento dell’atmosfera, la contaminazione dei mari, dei fiumi, delle
quanto sulle menti illuminate.
sorgenti, il già avvenuto dimezzamento degli stomi delle foglie,
Un fuoco che arde nello spirito, un ardore che pervade ogni cosa.
l’agonia delle foreste, la mutazione climatica, il cambiamento dei
Luce scientifica sfolgorante che della Luna, regina dei liquidi,
regimi pluviali. Disidratazione generale, aridità planetaria, morte
non lascia traccia. Il detto aristotelico secondo cui “vita est per
per secco della terra devastata dai demoni idrofobici”.
La Verticale storica | S
chioppettino
Ronchi di Cialla
Ospite della Rimessa Roscioli, luogo di condivisione, di gioiosa visione del mondo, dispensatrice di esperienze e consapevolezza gastronomica, in occasione di una serata memorabile, tento di trasporre in parole l’emozione che si prova dinanzi l’inafferrabile fluire della storia nel momento in cui assume forma liquida affinché possa raccontarsi e lasciarsi raccontare. Sinuosa, in continuo movimento, cristallizzata per un istante nella mia mente e nei pensieri, quanto basta per averne un nitido ricordo. Muovendosi all’interno di una dimensione in cui tradizione e ricerca storico-scientifica collidono ineluttabilmente, Pierpaolo Rapuzzi ci ha regalato uno splendido quadro di famiglia che trova la propria assoluta sublimazione nei preziosi vini che da anni si ergono a testimoni di una terra di confine.
Vigne mediamente “cappuccina”, affondando le proprie radici in strati di marne eoceniche e calcare dolomitico, si esprimono elargendo, anno dopo anno, uve dalla straordinaria qualità, consacratesi come divine depositarie del messaggio terreno tramutato in liquida luce. Lo stile dello Schioppettino Ronchi di Cialla non è altro se non la perfetta cornice di ciò che la natura ha meticolosamente predisposto. cinquantenni, allevate col metodo
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La Verticale storica | S
chioppettino
2014
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2003
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Esempio di come il vino non viva di assoluti. Propagazione di un’annata particolarmente fredda e piovosa, si mostra equilibrato nella sua struttura. A detta del produttore (opinione più che condivisa), nonostante la giovane età, sembra essere paradossalmente il più identitario di tutta l’ultradecennale produzione. Nella fattispecie si può affermare che sia la quadratura del cerchio, il chiarimento pratico della tesi sviluppata precedentemente nell’articolo, in cui si evidenzia la strettissima correlazione tra ricerca storica e tradizione. Quest’ultima assimilabile all’autenticità solo se osservata e ragionata attraverso sperimentazioni, tentativi e (perché no?) qualche fallimento. Lo Schioppettino di Cialla 2014 è un vino promettente, di prospettiva. Veicola un nerbo probabilmente donatogli dalle forti basi acide che l’annata impone. Le proporzioni appaiono quelle giuste per poter pensare ad un’importante longevità. Un’impressione olfattiva da subito disponibile invade i pensieri muovendosi in una sfera di molteplici suggestioni. L’impatto è deciso. Le spezie catturano l’attenzione e sembrano incanalare l’im-
Ronchi di Cialla
maginazione verso uno di quegli empori d’altri tempi in cui lo speziale elaborava medicamentose preparazioni. Il richiamo di effluvi balsamici riporta l’esperienza in una prospettiva meno esotica, più equilibrata, quasi tonificante. Seppur l’essere speziato sia la più ancestrale personalità dello Schioppettino, la sapidità dirompente ne rappresenta la filigrana negli esemplari della Cialla. Il frutto è aspro, ovviamente non ancora maturo: mirtillo e ribes dichiarano apertamente come questo vino orienti le proprie profondità verso il silvestre, verso la “terrosità”, verso l’indipendenza da preconcetti che lo vedrebbero fin troppo spesso mite e “addomesticato”. Una scontrosità mai fuori luogo, piace al naso quanto alla beva. L’ingresso è tagliente. Freschezza balsamica, correnti agrumate e peso specifico della materia, giocano a rincorrersi foderando in modo diverso il palato e creando un bilanciamento tra le forze, rotto solamente da un imponente colpo di coda sapido sul finale che prolunga intensità e persistenza, richiamando il sorso affinché un meccanismo così tornito trovi il proprio naturale completamento nel piacere edonistico di chi vi si imbatte.
In un ambito completamente dominato dalla coerenza, in cui quest’ultima abbraccia anche il più piccolo aspetto, non poteva di certo distaccarsene lo Schioppettino di Cialla 2003. Nonostante provenga da premesse ben diverse rispetto al 2014, è evidente come risponda a quell’impronta marchiante che territorio e gesto umano imprimono. Un’annata calda che mai potrebbe essere dedotta dall’analisi sensoriale. Concetto questo che rafforza la relatività di molti elementi se estrapolati da un contesto più ampio procreante equilibri ed armonie a noi altrimenti sconosciute. Entrando nel dettaglio lo Schioppettino di Cialla 2003 mostra incredibilmente un carattere frescosapido, inspiegabile pensando in modo avulso a tutto ciò che concorre alla sua nascita, al suo temperamento e al suo sviluppo. Difficile darsi una spiegazione se non si sapesse che la Valle della Cialla è una zona mediamente molto piovosa e che l’annata molto calda ha funto magistralmente da contrappeso sul piano squilibrato della bilancia. Al naso offre spunti floreali in leggero appassimento, viola, rosa canina, poi il ritorno della costante minerale con un sottofondo fumé, il richiamo del bosco attraverso licheni, muschio e legna in combustione introduce un frutto ancora perfettamente integro, succoso. Un agrume solleticante il palato cede fluentemente freschezza, verticalizzando dal primo istante una beva successivamente allargata ed ispessita da un tannino elegante ed una mineralità (sottolineo MINERALITÀ) che sospinge il sorso e lo guida come fosse brezza dell’Adriatico.
1996
1992
Chiaroscuro di luce e ombra. Sviluppa vigore, muscolo, presenza materica già tracciabile ed intuibile dai primi contatti olfattivi: bacca di ginepro, cassis, melograno, introducono toni profondi di ruggine, ferro e carne cruda. Le spezie ricalcano il canovaccio dominante: tabacco bruno, pepe nero, poi cuoio e cioccolato amaro. Una sfera di sensazioni compatte verso il fondo, una gravità interrotta da sferzate di vitale freschezza agrumata che lega i sensi e crea corrispondenza tra naso e bocca. Quest’ultima sussurra racconti di una valle in cui lo Schioppettino ha trovato la propria dimora incastonata tra roccia carsica, boschi di castagni, querce e ciliegi selvatici. Connessione simbiotica tra pianta e terreno ripercorribile passo dopo passo nel bicchiere. Il movimento vorticoso libera profumi, li discioglie nella mente e li stringe nell’anima. Il chiaroscuro prescinde dai colori utilizzati proprio come lo Schioppettino di Cialla 1996 riunisce in una miscela perfetta il proprio carattere scuro con quel soffio vivifico che quest’azienda dona ai propri vini da quasi cinquant’anni, avendo intuito la vera coscienza di un territorio strepitoso.
Forse il più timido e schivo tra tutti gli assaggi. Non appena servito risulta poco fruibile al naso, presentandosi mal disposto anche al senso più tattile dell’assaggio. Si percepisce un’idea di ossidazione e riduzione che suggerisce un ritorno al bicchiere dopo qualche minuto. Scelta in effetti azzeccata considerando che quella riservatezza e ritrosia, trascorso il giusto intervallo di tempo, si aprono al naso concedendo un ventaglio di percezioni mature: marasca, confettura di ciliegia, carruba, lampone, dattero, evidenziano come lo Schioppettino di Cialla 1992 sia all’apice della propria evoluzione, avendo probabilmente già intrapreso una parabola discendente. Si fa strada una leggera nota affumicata di tabacco da pipa assieme a una vena balsamico-mentolata a sorreggere in qualche modo un impianto olfattivo che altrimenti risulterebbe piuttosto seduto e greve. Il tannino, ormai velluto, non oppone alcuna resistenza ad una morbidezza diffusa in tutto il palato. Manca l’apporto della freschezza e la sapidità è relegata ad una piccola “comparsata” nel finale non dirompente. Godibile forse ancora per pochi anni con la premessa di aver smarrito alcuni equilibri fondamentali.
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1990
1983
Rigenerante. Un fuoriclasse che fa della propria tonicità un fattore di inconfondibile eleganza. Ancora perfettamente integro dispensa vere emozioni. L’inappuntabile evoluzione lo ha consegnato al bicchiere in gran forma per la sua “terza rinascita”. Etereo, snello, longilineo. Apre verso l’alto ogni orizzonte. Aspre correnti percorrono ogni fibra di chi lo avvicina prima al proprio naso per poi sorseggiarlo con beatitudine. Incanta per finezza con note di agrume amaro, di piccole bacche selvatiche, di erbe aromatiche ancora verdi come timo e ortica. In bocca si apre ad un abbraccio tannico avvolgente, voluttuoso nello sviluppo di un carattere tridimensionale in cui il frutto è pura croccantezza e il vegetale ritorna con una carezza di alloro. Le spezie chiudono il cerchio con suggestioni orientali di tè e chiodi di garofano. Il finale centrato è preso per mano da una sapidità marina chiamata “Cialla” che nemmeno a farlo apposta in Slavo (Cela) si traduce con “riviera”.
L’importanza e il fascino di prender parte con la giusta consapevolezza ad una verticale storica può essere riassumibile in questo vino. Alla cieca si parlerebbe esclusivamente di indiscusso pregio. Con osservazioni e considerazioni che andrebbero a scandagliare e valutare lo strepitoso liquido che vien fuori da queste bottiglie di trentacinque anni or sono. All’apparenza nulla di sbagliato se il tutto fosse poi accompagnato da una riflessione fondamentale su uno degli elementi cardine che collocano il vino all’interno della stessa azienda e di conseguenza sul mercato: l’identità. Lo Schioppettino di Cialla 1983 è per distacco il miglior assaggio in degustazione. Foriero di un messaggio ben definito di finezza e armonia trasmuta il punto di vista in una prospettiva fatta di profondità e amenità. Quasi spirituale, porta con sé verso l’alto ogni percezione o meglio dire suggestione. Al naso è limpido, cristallino, mi piace dire immateriale, seppur di olfatto si tratta, perché non facilmente assimilabile in logiche convenzionali. Quelle che negli altri assaggi erano spezie, erbe aromatiche, sentori tangibili e definiti, ora sono divenuti leggeri soffi, piccoli sospiri che ammaliano la mente ancor prima che il naso e la bocca. Un mutare continuo e incessante che passa dal polline dei fiori di campo alle castagne arrosto, dalla sacra combustione dell’incenso al tipico odore del legno all’interno delle sagrestie, dall’anice stellato al caffè tostato. Un susseguirsi di carezze che si fondono tra loro in un caldo e rassicurante abbraccio che
Ronchi di Cialla
invoglia e ritarda al tempo stesso il sorso. Gli influssi di siffatta nobile fattura proseguono coerentemente in bocca. Il palato distratto viene preso alla sprovvista da un’incredibile verve fresco-sapida che ha come primo effetto quello di risvegliare la mente dalle nuance ultraterrene suggerite dall’olfatto, per poi incanalare ed accompagnare i sensi in una spirale in cui profumi e sensazioni tattili divengono un tutt’uno dando a questo vino lunghezza e profondità nell’assaggio e nei ricordi dei degustatori. Formulata una premessa così importante che va a consacrare lo Schioppettino di Cialla 1983 come assoluto esempio di eleganza ed eccellenza, non posso esimermi dal sottolineare come sia al tempo stesso lontano dall’idea che i Ronchi di Cialla hanno di territorialità e identità. Un pensiero saldo che negli anni ha trovato sviluppo, coesione e uniformità. Questa verticale storica mi ha permesso di andare a fondo, “investigando” e analizzando tutti i possibili dati a mia disposizione. Il risultato che ne è conseguito è senza alcun dubbio affascinante. Un vitigno quasi estinto, salvato e plasmato dalle mani di una famiglia che negli anni, con coraggio e determinazione ha imposto, non il proprio pensiero, bensì quello che la natura le suggeriva. Sorpassando mode e stereotipi con una considerevole velocità di pensiero e azione. Dal 1983 al 2014 è tangibile e apprezzabile come l’eleganza e la raffinatezza di un vino siano divenute l’eleganza e la raffinatezza di una famiglia, di un territorio e di un vitigno.
a r u t l u Bonus C & Ca rta del Docente
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Il gusto è l’espressione della salute in cucina
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Il gusto
è l’espressione
della salute in cucina M
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Nuove ricette per l’utilizzo consapevole dell’EVO di qualità
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Il gusto è l’espressione della salute in cucina
È opinione comune che sia necessario ed urgente assegnare un ruolo chiave all’olio extravergine di qualità all’interno della nostra dieta, per questo credo sia importante analizzare almeno due aspetti principali per rispondere a queste nuove istanze. Il primo attiene all’opportunità contenuta nella pluralità delle produzioni italiane, garantita dalle diverse espressioni organolettiche offerte dai territori e realizzate da attori-produttori che interpretano le cultivar di riferimento attraverso visioni filosofiche produttive e commerciali uniche, condizioni che in questi pochi anni ci hanno fortunatamente liberato dall’idea dell’olio al singolare. Il secondo è relativo alla “funzione” dell’EVO nella costruzione di un piatto. Le competenze individuali del cuoco giocano un ruolo fondamentale nel posizionamento dell’olio nella struttura del piatto, collocazione che può essere sinteticamente posta a “monte” nell’atto iniziale di definizione, alla pari delle altre componenti, o a “valle” della preparazione come un completamento, una nota caratterizzante ed accessoria del profilo gustativo. Tali scelte tecniche comportano conseguenze non solo sul gusto del cibo per il differente apporto che l’EVO determina nel piatto, ma soprattutto nelle ricadute funzionali sulla salute del consumatore che la reiterazione di comportamenti non corretti può determinare. Per scivolare con competenza sul tema dell’utilizzo dell’olio in cucina, abbiamo incontrato lo chef Fabio Campoli, noto volto televisivo e portatore sano di concetti di semplicità operativa e di gestualità quotidiane in cucina, che tanti apprezzamenti sta ricevendo. Lo chef ha così esordito: n
Fabio Campoli
“Parlare dell’olio extravergine di oliva in Italia significa intraprendere un viaggio attraverso
Chef visionario,
secoli e civiltà. Diverse culture produttive e territori paesaggisticamente variegati,
sperimentatore e scrittore con
l’Italia delle tante qualità in grado di regalare emozioni alzando semplicemente lo
una particolare sensibilità
sguardo, ascoltando i suoni della natura, mirando le ricchezze dell’arte e le innumerevoli
nell’utilizzo dell’Olio
meraviglie del gusto. A volte mi soffermo a riflettere su questa splendida terra, i cui
Extravergine d’Oliva in
abitanti sono conosciuti nel mondo come cultori del buon cibo e non solo. Che
cucina.
privilegio! Anche se purtroppo non valorizziamo quanto dovremmo questa opportunità.
www.fabiocampoli.it
Sappiamo gioire intorno a tavole imbandite, perché qui si trova una sapienza produttiva antica, un amore per la molteplicità delle delizie dei campi, tra cui spiccano i doni preziosi, i ‘tesOri liquidi’! Un patrimonio di sapori e promesse di salute, da preservare anche attraverso un uso consapevole in cucina dell’olio. Con questo approccio vorrei condividere alcuni pensieri in questa nostra chiacchierata ed offrire spunti di riflessione e buoni consigli, per un uso consapevole e creativo dell’extravergine di oliva anche nelle ricette della nostra tradizione.”
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D. Conoscere per scegliere, credo che non si possa che partire
palato e mente trasformano in scelte di abbinamento col cibo.
da questo punto per costruire una consapevolezza del valore
Per questo sia a livello professionale sia amatoriale, consiglio
dell’olio extra vergine di qualità, delle sue virtù in cucina e dei
di avere in casa diverse bottiglie di olio con caratteristiche
benefici per la nostra salute, dunque come orientarsi nell’uso?
differenti, al fine di realizzare ottimi abbinamenti tenendo conto delle diversità sensoriali. La qualità fa la differenza,
R. Quello degli oli extravergine, specialmente nel nostro Paese,
dunque: poco, ma buono! Le esigenze nutrizionali moderne
rappresenta un vero e proprio mondo parallelo composto da
sono fortunatamente differenti da quelle del passato. Un tempo
bottiglie uniche che mi piace associare alle persone. Ognuno
le pietanze abbondavano in nutrienti grassi, fra l’altro di origine
porta un nome e un cognome ben preciso, abbiamo un ‘carattere’
animale, e per questo ricche di colesterolo. Oggi l’impiego di
che ci contraddistingue dagli altri. Così per me sono gli oli.
oli extravergine di eccellenza facilita l’applicazione del concetto
Puoi conoscerli e distinguerli, carpirne l’essenza, la struttura, le
di riduzione delle quantità. Grazie a profili organolettici capaci
differenze, solo attraverso l’assaggio.
di esaltare profumi e ‘sapori concentrati’, siamo in grado di
Questo percorso di conoscenza esperienziale è indispensabile.
esaltare tanto le ricette della tradizione casalinga, quanto quelle
È necessario costruire una sorta di agenda sensoriale che poi
gourmet e più innovative. Il ‘quanto basta moderno’, inoltre, è 19
Bibenda 79 duemiladiciannove
Il gusto è l’espressione della salute in cucina
ben differente da quello del passato. Oggi il limite è plasmato
D. Dopo aver compreso il potenziale delle nuove virtù
su esigenze nutrizionali nuove: impariamo dunque ad utilizzare
dell’EVO di qualità e descritte le nuove logiche offerte
il poco e giusto, ma che sia di alta qualità!
dall’uso corretto in cucina, è possibile indirizzare i nostri comportamenti anche nella pratica quotidiana al fine di
D. Sappiamo come non sia facile chiedere alle generazioni non
rendere coerenti le azioni attraverso strategie pratiche in
più giovani di rinunciare ad un gusto culturale che il tempo
grado di saldare nel nuovo gusto uno nuovo percorso di
e la tradizione hanno consolidato
benessere alimentare? Cosa e come
come autentico e genuino. Le ca-
agire nelle nostre preparazioni
ratteristiche del nuovo Evo, con le
quotidiane?
sue piccantezze e note amare, non sempre trovano riscontro nella cuci-
R. Se parlo di un soffritto a base di
na domestica e professionale, allora
verdure ed erbe aromatiche, non
come valorizzare le nuove caratteri-
senti immediatamente il profumo
stiche dell’Evo di qualità?
di casa? Questa tecnica è alla base di molte preparazioni della cucina
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R. Ad esempio approcciandosi al
italiana, eppure non le riserviamo
nuovo gusto attraverso l’uso dell’ex-
il tempo dovuto, e questa mancata
travergine a crudo quale forma di
attenzione la riscontri nel risultato.
condimento; credo che questa sia la soluzione più corretta e
Commettiamo infatti un ‘errore’ nella realizzazione del soffritto
consigliabile per preservare gusto e proprietà benefiche dell’o-
classico che deriva dall’esempio trasmesso dalle nostre mamme o
lio. Tuttavia l’impiego a caldo dell’olio rientra nei sistemi tra-
dalle nonne. I problemi sono i recipienti troppo ampi e privi di
dizionali di cottura e non possiamo non tenerne conto. È bene
coperchio oltre che una temperatura di cottura alta.
sapere che l’olio extravergine svolge in cucina la funzione di
Dopo anni di riflessioni, esperienze ed osservazioni, posso
conduttore di calore. Suggerisco di non versare nella padella
formulare un consiglio: per preparare un ottimo fondo aromatico,
copiose quantità d’olio quando si preparano verdure, carni e
serviti di un piccolo pentolino, versa alcuni cucchiai d’olio
pesci a cottura veloce. Basterà invece condire in anticipo le
extravergine, unisci a freddo gli ingredienti caratterizzanti di
pietanze con un pizzico di sale, procedura che consente di far
questo preparato, quali cipolla, aglio, peperoncino fresco, sedano,
disciogliere subito l’acqua contenuta nell’alimento, e solo dopo
erbe fresche. Chiudi il tuo pentolino con un coperchio e porta
aggiungere un filo d’extravergine, cospargendo in modo uni-
il tutto in cottura a fiamma dolce. Grazie all’azione del vapore
forme l’alimento, nella quantità minima necessaria a favorire
riuscirai ad ottenere un soffritto morbido e non bruciato, capace
il riscaldamento omogeneo e immediato di quanto posto in
di catturare tutto l’aroma presente all’interno degli ingredienti.
cottura. Per preservare la qualità dell’olio e degli alimenti sareb-
Un segreto per la buona riuscita di una ricetta si cela, a volte,
be inoltre opportuno porre maggiore attenzione ai recipienti
dietro la preparazione di una buona salsa. Che si tratti di
utilizzati per la cottura. I materiali di cui sono fatti, come la
sughi cotti sul fuoco, o di salse a freddo preparate in casa con
forma e le dimensioni, devono essere idonei alla preparazione
mixer e frullatori a immersione, massima cura e attenzione nel
di quel determinato cibo, in quanto, diversamente, potrebbero
trattare l’olio extravergine. Ad esempio, se vuoi preparare un
determinare esiti non previsti nella preparazione.
sugo di pomodoro, aggiungi il soffritto precotto a dell’ottima
passata di pomodoro appena aperta. Predisposti tutti i componenti, saranno poi sufficienti solo pochi minuti di cottura per raggiungere quella densità che consente di conservare intatti tutti i sapori dell’orto. Nel caso di salse a freddo, come il pesto di basilico o le salse a base di yogurt che amo abbinare alle mie ricette, ti consiglio di avere l’accortezza di aggiungere l’olio extravergine freddo solo quale ingrediente finale della preparazione. Dovrai assicurarti di tritare bene tutti gli ingredienti verificando che siano ben freddi, frullare ad intermittenza per non surriscaldarli troppo causa la rotazione delle lame metalliche, e solo alla fine potrai aggiungere l’extravergine a ‘filo’. D. Molti di noi pensando all’olio extravergine non possono che associare la sua presenza accanto alla regina della tavola italiana: la pasta. Possiamo far sì che questo matrimonio d’amore possa divenire sempre più un’esperienza gustativa unica anche attraverso la preparazione di un piatto semplice?
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Il gusto è l’espressione della salute in cucina
R. Sono d’accordo con te, parlare di pasta e pensare ad un amore tutto italiano. Siamo sicuri di amarla come bisognerebbe e di sapere come condirla al meglio? La natura dei carboidrati e in particolare dell’amido di cui la pasta è composta, è assimilabile a quella di una spugna: una volta immersa in acqua, è spinta naturalmente ad assorbirla aumentando di conseguenza il proprio volume. È per questo che sbagliamo quando, una volta scolata, la ripassiamo in una padella con ingredienti precotti in olio. Infatti l’olio andrà solo a rivestire la superficie esterna della pasta, senza riuscire a penetrare al suo interno. Se desideri aromatizzare una pasta con delle spezie come zafferano, peperoncino, curcuma, è bene saltarla all’interno di una ciotola nella quale sono stati aggiunti gli aromi preventivamente disciolti con un cucchiaio d’acqua. Solo a quel punto potrai aggiungere il condimento cotto in olio extravergine. Inutile quindi dissolvere spezie ed erbe secche direttamente nell’olio del condimento, infatti una volta poste in cottura, questa spezie se non reidratate, non faranno altro che bruciarsi causa l’assenza di acqua. D. Mi sembra di capire da quanto affermi Fabio, che accanto alle certezze sulla struttura organolettica e sul potenziale che questa contiene, siano i nostri comportamenti a determinare il successo di un piatto dal punto di vista tecnico ma ancor più, comportamenti virtuosi siano indispensabili per realizzare un vero e proprio investimento sulla nostra salute. Possiamo, avviandoci alla fine del nostro incontro, segnalare le azioni da abbandonare nella preparazione dei piatti? R. Spero di riuscire con questa nostra breve chiacchierata a suggerire nuove azioni che consentano di abbandonare vecchie abitudini in cucina. Credo che quasi tutti prendano la bottiglia e versino l’olio direttamente sugli alimenti, giusto? Vorrei suggerire, invece, di versare una quantità di olio in una ciotolina e servirsi di un pennello o di semplice carta da cucina imbevuta, per ungere in modo omogeneo ciò che si va a porre in cottura. Faccio un esempio, quello delle verdure tagliate a fette e grigliate. Per risparmiare tempo nella preparazione, prova a spennellare con poco olio extravergine entrambi i lati, poi sistemale su una teglia, non unta, disponendole leggermente ‘accavallate’ tra loro, infine cuocile in forno. Il risultato ti stupirà ed ora non resta che provare. Un’altra ricetta tradizionale che vede l’utilizzo di molto olio è la frittata. Prova invece ad ungere semplicemente la padella antiaderente in modo omogeneo con la carta assorbente imbevuta di extravergine, ed esalterai il sapore dell’uovo senza esagerare con l’olio. D. Dulcis in fundo, possiamo concludere questo nostro incontro con una proposta che consenta all’EVO di qualità di presentarsi anche a fine pasto e nei diversi incontri alimentari che si presentano durante l’arco della giornata? 22
R. Disponiamo di oli ottimi da impiegare non solo all’interno di ricette salate, ma anche per la preparazione di dessert alternativi. Ad esempio, hai mai provato a servire ai tuoi amici una tazza di ottima cioccolata calda con un filo di extravergine di alta qualità? Prova a preparare un dolce a base di farina di frutta secca o legumi. Hai già provato la mia torta di lenticchie e cioccolato? Pensa al classico castagnaccio, preparato utilizzando il nostro prezioso oro liquido, bene le note fruttate dell’olio si sposeranno perfettamente con quelle più terrose di questi ingredienti, donando un gusto nuovo, tutto da scoprire. L’olio extravergine di qualità è un fuoriclasse della cucina. A crudo, nelle emulsioni, nelle cotture veloci o in quelle più prolungate al forno, è in grado di regalare soluzioni uniche. Questa versatilità merita rispetto, cura e responsabilità. Non solo nelle quantità d’uso ma -e soprattutto- nella qualità estrema che dobbiamo sempre ricercare. Fortunatamente ci sono tanti produttori di eccellenze in Italia a cui tutti noi dobbiamo rispetto e gratitudine per il lavoro faticoso e per il dono che ogni anno tra immense fatiche continuano a realizzare. In conclusione, ritengo che l’EVO italiano di qualità sia in grado di produrre un effetto rivoluzionario ed irreversibile nelle logiche di acquisto e consumo di prodotti non solo alimentari. Infatti se la presenza di una bottiglia d’olio sulla nostra tavola al fine alimentare è un atto agricolo, la scelta di consumare EVO di qualità italiano, è un atto politico, che da privato diviene pubblico se questo comportamento è condiviso con la nostra rete relazionale. Oggi siamo tutti chiamati ad un impegno non ordinario per il bene comune che passa anche dalla cura e dalla tutela della salute individuale e collettiva, ciò significa rispetto per l’ambiente e per l’insieme degli attori che di questo processo sono protagonisti e beneficiari al contempo. Tutto ciò contiene in nuce un patto di natura transgenerazionale tra territorio, consumatori e produttori e nulla come l’EVO italiano di qualità è oggi in grado di facilitare questo processo necessario per il nostro futuro. 23
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Terrevive
Terrevive N
e o n i l a
S
i l e s
Un uomo biodinamico nelle terre di Lambrusco
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Terrevive
Che aspetto ha un uomo biodinamico? Dopo aver conosciuto Gianluca Bergianti, non ho dubbi: il suo. Spettinato, magro, un po’ selvaggio ed estremamente colto, molto terreno con una lieve aura di utopia cosmica. Gianluca è un produttore di vino, tra le altre cose. Viene da una famiglia tutt’altro che contadina, alle superiori studia scienze e poi, un po’ confuso, si iscrive all’agraria, scegliendo l’indirizzo “Viticoltura ed Enologia” perché è l’unico a suonargli un po’ famigliare: il nonno Qui sopra una suggestiva
era l’imbottigliatore del condominio e portava con sé il nipote quando il suo palato
foto del gruppo di famiglia.
diventava “cotto”. All’università conosce la futura moglie, Simona, studentessa
Nelle altre immagini alcuni
del primo indirizzo in Italia di Agricoltura Biologica. Simona invece è cresciuta
particolari dell’Azienda.
nell’ambiente agricolo: suo nonno aveva sette ettari di orto tradizionale in conduzione
n
“biologica inconsapevole”. Aveva una sensibilità molto sviluppata nei confronti della terra. La definizione del Bio, nella sua interpretazione legislativa, completamente stravolta dagli anni ’70 ad oggi, ai suoi occhi era deludente. Così, nel 2004 Simona sposa la biodinamica, facendo il primo corso a Pomaia.
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“Eravamo fidanzatini quando, passeggiando tra i filari di un
vignaioli biodinamici italiani. “Da Carlo ho fatto una specie
vigneto convenzionale, Simona, guardando la terra totalmente
di camp nel 2007, dove ho visto la potenza della biodinamica
diserbata, ha cominciato a piangere come se avesse visto un
nella pratica agronomica. Analisi microbiologiche, colonie di
corpo esanime. Pensai che forse avrei dovuto capire meglio
funghi e batteri, cornoletame che per molti tuttora rimane una
questa sua biodinamica: all’epoca per me era un qualcosa
pratica di stregoneria, mentre in realtà ha la sua concretezza
di esoterico. Così iniziò il mio periodo di conversione.”
scientifica notevolissima. Carlo ha capito come comunicare
Oggi Gianluca è convinto: la certificazione si dovrebbe fare
con me, è bastato pochissimo a convincermi.” E luce fu.
sull’uomo, perché la biodinamica non è un metodo, è un modo
Da lì, in piena conversione, nel 2008 Gianluca e Simona
di vivere e di pensare. “Andai a Pomaia: meditazione, ritmi
acquistano un appezzamento di quattro ettari a Gargallo:
lenti, cucina vegetale, full-immersion nella biodinamica…
appena 1,3 km fuori dalla DOC di Sorbara, sabbia fino ai
ma non toccavano le mie corde.” L’interesse di Gianluca si
3 m di profondità, vincolato dal comune di Carpi perché
era, tuttavia, risvegliato. “Mi ero appassionato al trattato di
anticamente vi risiedeva una azienda agricola romana. Da
Columella che mi sembrava veramente attuale e soprattutto
bravo uomo di scienza, Gianluca fa la zonazione e scopre che
aveva un approccio scientifico, giusto per me.” Poi conobbe
il terreno ha tutte le caratteristiche delle zone più ambite del
Michele Lorenzetti che, a sua volta, gli fece incontrare Carlo
Sorbara, tant’è che è poi entrato nei 17 Cru più vocati. Il
Noro, uno dei più grandi produttori di preparati biodinamici
terreno però negli ultimi decenni è stato coltivato a cereali
d’Europa e, senza dubbio, figura di riferimento per tutti i
in conduzione convenzionale e ci è voluto uno sforzo 27
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Terrevive
immane per riportare la terra a respirare. Niente attrezzi trainati per non far andare in rotazione spinta e non destrutturare il terreno. Un trattore leggero per non compattare la terra, andamento a passo di bue (non oltre 2 km/ora) e soprattutto un ripuntatore per arieggiare la terra avevano dato l’inizio alla rianimazione. Poi tanti sovesci e tantissimi preparati: pochi 501, tantissimi 500, per esattezza 200 gr/ha contro gli ammessi 70 gr/ha. “Carlo mi ha dato gli strumenti per osservare il terreno e capire, in modo intuitivo, quello di cui ha bisogno.” Dopo tre anni il terreno è n
Piccoli custodi di Terrevive
diventato una farina e ha riacquistato l’odore di sottobosco, di humus. Erano terre sane, Terrevive. “Il bello della biodinamica è l’incredibile impulso alla vitalità, la riscoperta delle possibilità che ci dà la terra. La viticoltura è un grandissimo mezzo per la biodinamica, in quanto il vino è un messaggio importante, ma è sbagliato il contrario: non si dovrebbe applicare la biodinamica solamente alla vigna.” Da uomo biodinamico Gianluca insegna negli orti scolastici, sfruttando l’intuizione spiccata che bambini possiedono. Come Steiner che voleva parlare agli agricoltori, e non ai proprietari, per diffondere il messaggio, Bergianti vuole trasmettere il verbo della
La degustazione | T
errevive
Fine
Metodo classico rosé con sfumature ramate e perlage sottile e lento. Lunghi affinamenti e soste sui lieviti. Aromi di piccoli frutti rossi e fiori bianchi, sostenuti da uno splendido sodalizio tra freschezza e sapidità.
Rosso
n
Terrevive Via Paganelle Guerri 15
Salamino di Santa Croce metodo classico. Uno spumante di colore acceso e perlage dinamico, al naso un’amarena croccante fa da padrona. Si abbina a tutti i pasti grazie alla sua equilibrata e fresca cremosità.
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Primo
Rosato rifermentato in bottiglia con aggiunta di mosto dolce e affinato in ghiacciaio fino alla seconda vendemmia. Spuma fine, olfatto marino e di rovo, ha un gusto delicato e succoso, perfetto per accompagnare salumi emiliani.
biodinamica attraverso i bambini, e farla diventare modus vivendi delle generazioni future. Gianluca e Simona hanno tre figli, dai 2 agli 8 anni. “I figli rappresentano una delle parti della conversione del contadino alla biodinamica, sono un elemento forte e contribuiscono alla complessità del nostro organismo agricolo. La nostra sensibilità biodinamica si trasferisce all’educazione e al modo di crescere nostri figli. Diventi un biodinamico a 360° permeato di antroposofia.” Cosicché quando i bambini, anime libere, non si trovarono a loro agio nella scuola materna convenzionale, i Bergianti, con altre nove famiglie dello stesso modus pensandi, affittarono un casolare nel bosco e vi fecero una scuola parentale, con tanto di maestra con studi del metodo Montessori di scuole steineriane alle spalle. “I nostri bambini crescono molto attivi nell’esperienza: una volta a settimana li ho da me in campagna, dove hanno il loro piccolo orto, gestiscono le galline e fanno le gare del saltafosso.” Sembra il racconto di un libro che giace impolverato sullo scaffale della nonna? Invece no, è tutto vero ed è tutto molto moderno e scientificamente consapevole (o consapevolmente scientifico?).
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Bibenda 79 duemiladiciannove
Degustazione Storica di Barolo Batasiolo
Degustazione Storica di
Barolo Batasiolo L 30
o r e n z o
C
o s t a n t i n i
Dai migliori cru delle Langhe, una verticale-orizzontale di altissimo profilo dei Barolo di Batasiolo
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I VINI
Degustazione storica | B
atasiolo
Un caposaldo della vitivinicoltura di Langa, che, grazie a pratiche di cantina e vigna dettagliatamente pianificate e ad un incessante programma di sviluppo, è riuscita a conciliare una mole produttiva esorbitante con una gamma di raffinata fattura. una verticale di tredici annate di
Nelle righe seguenti
Barolo, per un’escursione temporale di ventiquattro anni, che conta cru del calibro di Brunate a La
Morra, Cerequio a Barolo e La Morra, Boscareto e la storica Briccolina a Serralunga d’Alba, e Bussia a Monforte d’Alba. Un percorso sensoriale che spazia tra gli statuari e longevi cru dell’area geologica
Elveziana e i più pronti e femminei di quella Tortoniana; il tutto
filtrato da una successione di vendemmie estremamente eterogenee, che non ha lasciato spazio ad esiti scontati.
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Barolo Vigneto Corda della Briccolina 1996 Serralunga d’Alba Granato terso che sfuma sull’arancio. Variegato chiaroscuro di pot-pourri, cardamomo, prugne cotte al forno, salamoia, china e un tocco goudron. Freschezza, mineralità e scorrevolezza ne fanno un vino al top della parabola evolutiva e di non comune eleganza; tannino insolitamente “risolto” per un Serralunga. Barrique.
Barolo Vigneto Cerequio 1998 La Morra e Barolo Granato con nuance arancio. Sciorina tabacco a foglia scura, arancia rossa, rose essiccate, ibisco e chinotto. Sorso compatto, carnoso e in perfetto equilibrio ma, per ora, paga dazio alla complessità. Rispetto al vino precedente sembra non aver ancora dato sfogo alle sue potenzialità. Un La Morra particolarmente longevo. Botti di Slavonia.
Barolo Vigneto Bussia Bofani 1999 Monforte d’Alba Un’annata quantitativamente abbondante. Aranciato pieno, con note torrefatte, speziate, di ciliegia in confettura e fiori essiccati. All’assaggio ha una marcia in più. Attacca “dolce”, sontuoso, con tannini imponenti ma ben dosati. Lungo il finale. Da bere ora. Botti di Slavonia.
1996
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1999
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Barolo Vigneto Boscareto 2000 Serralunga d’Alba Granato didascalico. Ha un profilo ancora rigido e ritroso ma le fragranze di rosa, eucalipto, olive nere, cola e lamponi sono di rara purezza. Colossale ma in perfetto equilibrio all’assaggio, sfoggia sapidità marina, tannino maschio e freschezza allentante. Lunghissimo. Ha almeno 10 anni davanti a sé. Botti di Slavonia.
Barolo Vigneto Corda della Briccolina 2001 Serralunga d’Alba Compatta tonalità granato. Profilo aromatico di rare pulizia e vitalità: frutti di rovo, ibisco, rosa, spezie dolci e grafite. In bocca riprende lo schema regale e giovanile dell’olfatto ma con tannini maestosi e verve acida da grande annata. Eco interminabile. Da oggi ai prossimi 15 anni. Botti di Slavonia.
Barolo Vigneto Cerequio 2005 La Morra e Barolo Granato pieno. Profilo ancora introverso, reso da frutti di bosco, fragola, cenere e arancia rossa. L’annata mite si concretizza in un assaggio fluido, appagante e quasi “beverino”, appena increspato dal corredo tannico. Chiusura ammandorlata. Botti di Slavonia.
2000
2001
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Degustazione storica | B
I VINI
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Barolo Vigneto Cerequio 2007 La Morra e Barolo Granato compatto. Un corredo “caldo” e ammaliante, che dispensa ciliegie in confettura, liquirizia, cardamomo, cacao, peonia e sali mierali. Al palato riprende lo schema del 2005 ma ha stoffa da atleta, armonia da fuoriclasse e tannini vigorosi ma perfettamente integrati; caratteristiche che gli assicurano una parabola evolutiva molto lunga. Botti di Slavonia.
Barolo Boscareto 2008 Serralunga d’Alba Granato dal cuore rubino. Gelatine di fragole e ciliegie, liquirizia, tabacco da fiuto, spezie e terra umida, espresse con non comune finezza. I 15° di alcol si sentono e si manifestano in un sorso detonante, “dolce”, sapido e con tannini che sono il marchio di fabbrica di Serralunga. Il più potente della verticale, senza che armonia e compattezza vengano meno. Botti di Slavonia.
Barolo Brunate 2009 La Morra Colore granato, insolitamente tenue e luminoso. Chiaroscuro aromatico ancora imbrigliato, giocato su frutta in confettura, chiodi di garofano e mollica. L’assaggio è scorrevole, piacevolmente sapido. Tra le annate dell’ultimo decennio è il più pronto e “gastronomico” Botti di Slavonia.
2007
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atasiolo
2008
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Barolo Bussia Bofani 2010 Monforte d’Alba Granato didattico. Dischiude profumi di fragoline di bosco, arancia, chiodi di garofano e suggestioni ematiche. Consistente, bilanciato e sapido, con tannini ancora non pienamente metabolizzati e finale ammandorlato. Deve ancora farsi. Un’annata particolarmente enigmatica. Botti di Slavonia.
Barolo Briccolina 2011 Serralunga d’Alba Annata impegnativa, da basse rese. Granato trasparente. Si esprime spigliatamente, con fragranze floreali, salmastre, di legno di cedro e spezie. Al palato, a dispetto dei 15° alcolici e del tannino scalpitante di Serralunga, vanta una certa scorrevolezza e prontezza d’assaggio. Barrique.
Barolo Cerequio 2012 La Morra e Barolo L’abbondanza idrica e le temperature mediamente alte hanno prodotto un’accelerazione del ciclo vegetativo. Granato luminoso. Un quadro olfattivo ammiccante e spontaneo, dominato da ribes, lampone e spezie balsamiche. Elegante, leggiadro e ben disposto alla tavola, merito di tannini vellutati e di un’annata relativamente “piccola”. Botti di Slavonia.
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Barolo Brunate 2013 La Morra Granato con sfumature rubino. Una parata di frutti a bacca rossa, fiori, spezie dolci, eucalipto e percezioni ferrose. Assaggio calibrato a puntino. C’è struttura, compattezza, verve sapida e tannini quasi in via di “risoluzione”. Un Barolo che concilia armonia e carattere. Un’annata importante da seguire negli anni. Botti di Slavonia.
n
Batasiolo Fraz. Annunziata, 87 12064 La Morra CN Tel. 0173 50130 Fax 0173 509258 www.batasiolo.com info@batasiolo.com
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Una squadra tutta da costruire
Una squadra tutta da costruire
D
a n i e l e
L
i u r n i
Scorrazzando per il Friuli Venezia Giulia a caccia di novitĂ e di spunti per riflettere.
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Una squadra tutta da costruire
Il Friuli Venezia Giulia è una delle regioni che meglio esprimono la qualità del vino italiano e di vendemmia in vendemmia ha saputo crescere non solo nelle vendite sia sul territorio nazionale, sia nelle esportazioni, ma anche a livello di immagine, seppur con qualche scivolone. La viticoltura in Friuli infatti, a causa della guerra e della povertà, era stata quasi del tutto abbandonata e solo verso la metà degli anni Sessanta qualcuno trovò il coraggio di crederci ancora: molte aziende nacquero prima come piccole fornitrici di vino per le osterie locali, poi come produttrici di sfuso e infine, grazie anche al ricambio generazionale, si sono trasformate in realtà vitivinicole strutturate in grado di imbottigliare, etichettare e vendere il proprio vino come prodotto di un terroir specifico. Poi è stato il tempo dei Consorzi di Tutela e delle Denominazioni di Origine, per cui oggi nel mondo ogni appassionato che si rispetti conosce quantomeno Collio, Grave e Colli Orientali del Friuli. Tuttavia, non sono da dimenticare il celebre “affaire Tocai”, né i recenti scandali del Sauvignon “pompato” e dei falsi vini a denominazione d’origine sequestrati dai Nas: vicende che non hanno fatto bene ad una regione che con grande fatica cerca di affermarsi come territorio d’eccellenza. Con questo quadro generale in testa, siamo andati al Vinitaly nel padiglione del Friuli intenzionati a scoprire e a toccare con mano quali novità e quali umori fermentassero fra i produttori, tutti riuniti in questa grande kermesse, con i loro ridondanti stand multipiano, e abbiamo dovuto constatare che attualmente in realtà poco o nulla sembra smuoversi e, anzi, non si intravede neppure una direzione chiara verso cui stiano andando tutti quanti. 38
Abbiamo visto serpeggiare malumori, diffidenze e invidie reciproche – ma fin qui nulla di strano, è anche il gioco di chi fa impresa ed è soggetto a concorrenza, ovviamente – abbiamo sentito tanti “questo non scrivetelo” e “questo però non ditelo”, prima di dichiarazioni oggettivamente non così dirompenti, e in alcuni casi anche un po’ di superbia nel pensare che, ad una fiera dedicata agli operatori del settore, la stampa di settore necessitasse di chiedere addirittura con “mesi di anticipo” un’intervista di cinque minuti con il produttore “vip” che era proprio lì, a due centimetri di distanza: per la serie, se non ti occupi tu della comunicazione, la comunicazione si occuperà di te, parafrasando Ralph Nader... Uno spunto di riflessione interessante però da qualcuno è arrivato e riguarda l’annosa questione della riconoscibilità dei vini e dei vitigni con cui sono prodotti, a proposito dei vini macerati e in particolare della Ribolla Gialla, uva autoctona fra le più rappresentative della rinascita enologica friulana che, però, sembra non aver ancora un’identità chiara. Questo vitigno infatti viene declinato in diverse varianti: spumantizzato con Metodo Classico, spumantizzato con Metodo Charmat, vinificato in bianco per ottenere un vino cristallino dai profumi leggeri e fragranti oppure un opulento bianco dorato con passaggio in legno, macerato sulle bucce, affinato in anfora, ecc... e pertanto c’è chi si sta chiedendo come si può fare a distinguere gli uni dagli altri in mancanza di un disciplinare di produzione chiaro. 39
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Una squadra tutta da costruire
Il pensiero va in primis al consumatore che, si ritiene, non
riservare le proprie attenzioni in base a ciò che vuole bere, a
sarebbe in grado di scegliere con consapevolezza un vino da
prescindere da ciò che dice o non dice l’etichetta.
Ribolla Gialla sulla base delle indicazioni visibili sull’etichet-
Insomma, come al solito ciò che realmente è importante è la
ta frontale, che è peraltro quella che solitamente indirizza la
diffusione di una sana cultura del vino, di una conoscenza che
scelta dei consumatori cosiddetti “di primo livello”, cioè co-
è dunque consapevolezza e capacità di scelta, le uniche armi
loro che si basano essenzialmente sul
che i produttori hanno a disposizione
prezzo e sul packaging di un vino per
per far comprendere cosa fanno
decidere se acquistarlo o meno. Il
e perché lo fanno, e che passano
fatto, cioè, di non trovare indicato in
necessariamente per un lavoro costante
etichetta se il vino sia stato ottenu-
di comunicazione e di educazione per
to per macerazione o meno, sarebbe
cui realtà come la Fondazione Italiana
motivo di confusione e impedirebbe
Sommelier si rivelano, ancora una
una chiara riconoscibilità della Ribol-
volta, fondamentali.
la Gialla friulana nel mondo.
Questo Friuli così disomogeneo e così
Le soluzioni potrebbero quindi essere
individualista, si ricordi da dove viene e
molteplici: sviluppare una bottiglia
si chiarisca dove vuole arrivare, perché
di forma unica per identificare i
oggi non basta più essere il territorio
macerati (ma il rischio “fiasco” del Chianti, in tutti i sensi,
che produce i migliori bianchi d’Italia, oggi la sfida è sempre più
è dietro l’angolo), chiamare i macerati “vini con metodo
europea e mondiale, e solo facendo quadrato, camminando tutti
ancestrale” (ma i vini con metodo ancestrale esistono già, sono
insieme lungo un percorso di elevazione qualitativa e culturale, si
gli spumanti come la Blanquette de Limoux, o i vini frizzanti
potranno raggiungere quei risultati che faranno di questa regione
come il Lambrusco, alla faccia della chiarezza...), indicare
il nuovo Piemonte e la nuova Toscana.
chiaramente in etichetta “vino macerato” oppure stabilire una volta per tutte come debba essere prodotta la Ribolla Gialla in Friuli, darsi delle regole insomma e adeguarsi tutti quanti. Certo, in quest’ultimo caso si perderebbe anche quella varietà e quella libertà che poi è anche un po’ il senso stesso del fare vino, quindi rimarrebbe la sola opzione di scrivere esplicitamente in etichetta quando trattasi di un vino macerato. Sorge però un dubbio lecito a questo punto: ma il consumatore di primo livello, di cui sopra, saprebbe poi veramente cosa significa che un vino è “macerato”? Molto probabilmente no. Risulta opinabile quindi che il consumatore poco avveduto possa essere in realtà guidato e ancor meno condizionato nella scelta di un vino in questo modo, mentre per il consumatore esperto sarebbe del tutto inutile, in quanto chi sceglie una Ribolla Gialla sa esattamente cosa chiedere e a quale produttore 40
41
Bibenda 79 duemiladiciannove
La Terra Fortunata
La Terra Fortunata B
a r b a r a
P
a l o mb o
Quando il bello coincide con il buono
42
43
Bibenda 79 duemiladiciannove
La Terra Fortunata
La terra fortunata: così qualche anno fa il New York Times definì il Friuli Venezia Giulia, riferendosi ad un territorio che ospita le più raffinate culture del cibo e del vino del mondo; un mosaico di paesaggi, di ambienti, di architetture e di civiltà diverse, testimonianza concreta di momenti e vicende storiche non sempre felici, ma anche reale e tangibile dimostrazione dell’esistenza di un luogo dove il fascino incantevole coincide con una suprema bontà. “Una terra amabile e fertile, dove c’è abbondanza di vino e di cibo, dove innamorarsi è facile…” (Alan Lomax); una terra dove la natura esprime una delicata musicalità e dona nettari dalla carezzevole finezza.Un paesaggio incorniciato dalle vette maestose delle Alpi Giulie al confine settentrionale, che fungono da barriera contro i venti freddi del Nord, mentre le brezze dell’Adriatico a Sud addolciscono e mitigano il clima. A Est di Udine c’è la zona collinare, i Colli Orientali del Friuli e il Collio Goriziano, dove si rileva la presenza della ponca, terreno pietroso, impasto di marne, calcari, arenarie formatesi cento milioni di anni fa, quando la zona era sommersa dal mare. Sono pietre ricche di sali, di fossili marini, di microelementi, con la caratteristica di
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essere friabili e di sgretolarsi sotto l’azione degli agenti atmosferici. In tal modo la ponca si trasforma in una sorta di concime naturale per il terreno, ricco di sostanze nutritive come calcio, magnesio, potassio e fosforo. La zona pianeggiante occupa il 70% dell’area vitinicola, ricca di lagune e valli, percorsa da fiumi come il Tagliamento, l’Isonzo ed altri affluenti. Nel corso dei millenni le alluvioni hanno depositato enormi quantitativi di materiale calcareo-dolomitico strappato alla montagna e trascinato a fondo valle dalla violenza delle acque. L’intera pianura è formata da terreno sassoso, da cui il nome Grave, importante per la proprietà drenante e per l’effetto riverbero che produce un’intensa luminosità e calore da restituire alle piante nei mesi freddi. Questo terreno poggia su uno strato di argilla ricco di ferro e silicio, dalla struttura particolarmente sottile per via della falda friatica sottostante dove l’apparato radicale della vite trova il suo habitat ideale. A Risano, frazione del comune di Pavia di Udine, si trovano i vigneti dell’azienda Pighin, un mare di vigne in cui ci si potrebbe tuffare. Sul Collio Goriziano trovano spazio altre viti che “disegnano gradoni di un anfiteatro naturale”, un paesaggio mozzafiato fatto di dolci colline foderate da vigneti dai profumi intensi: l’odore della terra ricoperta dalla ponca, da cui acini che arrivano a maturazione in una magica atmosfera settembrina, è colorato anche da rigogliose piante di rose tra i filari che aggiungono sfumature di profumi che fanno vibrare di commozione. 45
Bibenda 79 duemiladiciannove
La Terra Fortunata
In azienda si presta molta attenzione alla salvaguardia del
riflessi dorati. All’olfatto un ampio corredo di profumi dominato
territorio, evitando trattamenti dannosi per la natura e per
dal gradevole aroma di mandorla, cui si uniscono freschi sentori
l’uomo e utilizzando sistemi che consentono di ridurre del 50%
di ginestra e delicate note di camomilla; pesca e pompelmo;
la quantità di fitofarmaci, eliminando quasi
erbe aromatiche. Una deliziosa fragranza
totalmente la loro dispersione a terra.
burrosa presente fin dall’inizio, mineralità
Una produzione fatta di numeri elevati, ma
fine ma evidente. Sorso morbido e caldo,
che mantiene comunque alta l’asticella della
fresco e sapido, equilibrato ed elegante. Finale
qualità e ben salda la peculiarità delle varie
ammandorlato.
etichette. Degustare il Collio Friulano di
La degustazione che si è svolta a Roma si è
Pighin, per esempio, significa capire il carattere
rilevata molto appassionante: dal Friulano,
e lo spirito della sua famiglia e di tutto il
principe della regione, ai due Pinot Grigio, i
popolo friulano: è un vino indipendente, dalla
territori erano nei calici, ciascuno a raccontare
grande personalità, forte, delicato ed elegante,
il proprio ambiente e il proprio terroir.
compagno di convivialità: “con un calice di
Luigi Veronelli tanto parlò dei vini del Friuli
Friulano in mano si discute di affari, di politica
Venezia Giulia, e tanto li amò. Sosteneva che
e si saldano le amicizie.”
in loro c’era un misterioso gioco di equilibri
Piacevole alla vista, sorprendente al naso ed
in grado di stupire e affascinare anche il
equilibrato al gusto. Un giallo luminoso dai
degustatore più esperto.
n
Pighin Aziende Agricole in Friuli Viale 1, Via Grado, 11 33050 Pavia di Udine UD Tel. 0432 675 444 info@pighin.com www.pighin.com
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Porta la tua tessera di Fondazione Italiana Sommelier 2019 sempre con te, sul tuo smartphone. È facile! Apri la mail ricevuta da bibenda@bibenda.it, clicca sul banner blu con la scritta “per visualizzarla e stamparla” e apparirà in primo piano l’immagine della tua tessera. A questo punto puoi decidere di visualizzarla come ti è più comodo: salvarla come pdf sullo schermo
del tuo smartphone; salvarla nella galleria immagini; oppure in una delle diverse App disponibili per le Fidelity Card. La tua tessera resterà comunque a disposizione per sempre nella tua area personale sul sito www.bibenda.it Se per caso non la visualizzi ancora, inserisci i tuoi dati mancanti nella tua area personale e avvisaci, provvederemo subito ad eseguire l’aggiornamento per te.
Bibenda 79 duemiladiciannove
Montepulciano, il Sangiovese Nobile di Toscana
Montepulciano,
il Sangiovese Nobile di Toscana
M
a r i a
Nel 2015
G
r a z i a
P
e n n i n o
un gruppo di produttori storici di
Vino Nobile
dĂ vita ad
Alliance
Vinum, un progetto con lâ&#x20AC;&#x2122;ambizioso obiettivo del superamento delle rivalitĂ tra vicini di vigneto, per proporre un modo diverso di raccontare la denominazione.
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Bibenda 79 duemiladiciannove
Montepulciano, il Sangiovese Nobile di Toscana
Virginie Saverys Avignonesi
Montepulciano? Ma non è in Abruzzo? Sì, cioè no, facciamo un po’ di chiarezza! Montepulciano 1: la città della cultura, dell’arte, del vino, del bello e del buono in Toscana nelle terre di Siena, recita il sito istituzionale del comune, patria di una delle prime Docg, il Vino Nobile di Montepulciano. Vino, come da disciplinare, prodotto con
Luca e Nicolò e Ferr Poderi BosD carelli ari
minimo il 70% di Sangiovese (localmente denominato Prugnolo Gentile). Montepulciano 2: Il Montepulciano è un vitigno a bacca nera coltivato in prevalenza nell’Italia centrale, in particolare in Abruzzo, ma anche nelle Marche e in Umbria (fonte: Wikipedia). Sembra che nel Rinascimento il Montepulciano (1) fosse bottiglia preferita da papi e da re, tanto che il “Nobile” era considerato simbolo della qualità enologica italiana, e dal
CaterinaiDei De
Piemonte alla Sicilia, parlando di vino di qualità, ci si riferiva allo stile “Montepulciano”. Da qui, forse, la confusione, che, detto per inciso, ai giorni nostri, in un’epoca di globalizzazione spinta, non fa bene a nessuno. Ogni vino racconta il proprio territorio e la terra del Vino Nobile di Montepulciano è la Toscana, un’area ben definita di colline, ideali per la vite, che si estendono per 1300 ettari tra Siena, la Val di Chiana e il lago Trasimeno.
ntinori Albiera rA a La B accesc
Si tratta di terreni sabbiosi-argillosi senza scheletro, intercalati da suoli calcarei e salini che beneficiano di una singolare luminosità e di un clima secco e continentale appena temperato dall’umidità proveniente dal lago. La vite non potrebbe chiedere di meglio! I primi abitanti della zona furono gli Etruschi, come testimoniano alcuni ritrovamenti del III-II secolo a.C.; secondo una leggenda il Re Porsenna avrebbe avuto una villa proprio tra queste colline, non è dato sapere se già apprezzasse il vino locale. A favorire lo sviluppo di Montepulciano, chiamato così in una nota che risale al 715 d. C,
Federico Car Poliziano letti
fu il trovarsi sul crinale della valle che congiunge Chiusi / Chianciano con Arezzo / Cortona. A partire dal XIII secolo, la città fu lungamente contesa tra Firenze e Siena e, nei tre secoli successivi, fu nell’orbita ora dell’una ora dell’altra città. Grazie alla sua posizione geografica divenne ben presto fulcro di importanti commerci, sviluppando una ricca borghesia mercantile. La fama dei vini di Montepulciano esce ben presto dai confini cittadini: già nel medio evo era prodotto per essere venduto all’estero, mentre nel 1350 furono definite le prime
Michele Manelli Salcheto
regole per “l’esportazione”. Francesco Redi, scienziato e scrittore, tra i primi ad applicare il metodo sperimentale alle scienze naturali, autore del ditirambo “Bacco in Toscana”, alla fine del XVII secolo ne sancisce definitivamente la gloria definendolo “Re di ogni vino”. Merito del Sangiovese, vitigno mutevole e affascinante, qui conosciuto come Prugnolo Gentile, che sa, come nessun altro, interpretare le diverse caratteristiche dei suoli su cui cresce, esprimendo di volta in volta austerità, potenza ed eleganza, sempre riconoscibile e mai uguale.
50
n
Alliance Vinum www.thealliance.wine info@thealliance.wine
In vigna sono molte le sfide lanciate da questo vitigno: germoglia
2015 sei produttori storici di vino Nobile “diversi senza disparità”
precocemente, ha una produttività tutta da domare, una gestione
creano “Alliance Vinum” con un obiettivo decisamente ambizioso,
della maturazione talvolta difficile, con acidità e zuccheri già in
offrire agli appassionati di tutto il mondo un Sangiovese nuovo,
perfetto equilibrio quando la componente fenolica vorrebbe
fiero, elegante, fine… in una parola, Nobile!
ancora un po’ di tempo. É un cambio di mentalità soprattutto, il motto “Umiltà indiviVitigni nobili e terre vocate non sempre sono sufficienti, e nono-
duale e orgoglio collettivo” vuole essere simbolo del superamento
stante la storia del vino Nobile di Montepulciano sia costellata
delle sterili rivalità tra vicini di vigneto, così comuni nel modo
di riconoscimenti, per un gruppo di produttori appassionati e
enologico e proporre un modo diverso di raccontare la denomi-
visionari è arrivato il momento di raccontare un capitolo nuovo.
nazione, dove l’espressione delle mille sfumature del terroir si
É evidente come a loro il ruolo della denominazione, terzo in-
fonda con la ricerca assoluta della qualità, dando vita a vini unici
comodo tra i blasonati Chianti e Brunello di Montalcino, vada
e riconoscibili.
stretto, così come mal digeriscono l’inevitabile confusione con l’al-
Il progetto prende vita con la vendemmia 2015 e i sei nuovi vini,
trettanto importante e parzialmente omonimo vitigno abruzzese.
ognuno proveniente da un singolo rappresentativo vigneto, vo-
Bando alle ciance! come si esclama spesso da queste parti; nel
gliono essere l’esempio di quanto di meglio possa produrre con 51
Bibenda 79 duemiladiciannove
Montepulciano, il Sangiovese Nobile di Toscana
il Sangiovese di Montepulciano, rappresentare il punto di svolta,
territorio di Montepulciano e i vigneti da cui nascono i sei vini.
la direzione da seguire per sorprendere il mondo del vino e riac-
L’annata 2015 ha visto una vendemmia positiva per tutti i pro-
cendere i riflettori su un territorio altamente vocato. In etichetta
duttori di Alliance Vinum, i cui vigneti sono situati in zone
i nuovi Vino Nobile di Montepulciano, vedono l’aggettivo
diverse e distanti tra loro fino a 20 km.
Nobile volutamente enfatizzato per sottolineare il cambio di
52
passo e richiamare alla mente del consumatore con una sola
I mesi estivi sono stati caldi e preceduti da piogge ben distribu-
parola la purezza del vitigno, l’eleganza e l’eccellenza del vino.
ite che hanno garantito alle uve un’idratazione ideale. Dal mese
I nuovi vini, immessi sul mercato nella primavera del 2019,
di settembre pochissime precipitazioni, una buona escursione
sono disponibili singolarmente ma anche tutti insieme in un’e-
termica e brezze fresche e asciutte hanno permesso agli acini
dizione limitata, raccolti in una cassa orizzontale prodotta in
di raggiungere un ottimo grado di maturazione sia tecnologica
soli cento esemplari numerati dove è riprodotta la mappa del
che fenolica e uno stato sanitario perfetto.
La degustazione | V
ino
Nobile di Montepulciano 2015
Il risultato nel bicchiere? Sia pur declinati secondo la rispettiva filosofia aziendale, i vini sono legati da un fil rouge comune di profumi eleganti, vibrante freschezza, tannini avvolgenti e frutta polposa. I sei cru: Nobile Poggetto di Sopra - Avignonesi Dal cuore della tenuta storica sulla collina di Argiano da viti di 37 anni. Luminoso rosso rubino con sentori fruttati e speziati. Lungo e avvolgente.
Maggiarino - La Braccesca Tenuta della famiglia Antinori, ha messo in bottiglia il frutto di una selezione delle migliori uve di Sangiovese del Podere Maggiarino, una delle zone più vocate de La Braccesca, da cui il nuovo Nobile prende il nome. Rubino luminoso, spezie dolci con note balsamiche.
Costa Grande - Boscarelli 1,5 ettari di Sangiovese sul crinale della collina dove “l’uva matura prima”. Il più verticale, austero, balsamico, sapido.
Le Caggiole - Poliziano Ha ricreato questa etichetta dopo una pausa di 20 anni, dedicata alla ricerca e selezione del miglior Sangiovese dell’omonimo vigneto. Ciliegie sotto spirito, sapido.
Madonna della Querce - Caterina Dei Dedicato al padre, ha scelto un singolo ettaro di argille e sabbie sedimentate a 370 metri slm esposto a sud. Rubino intenso, amarena dolce, scuro e profondo.
Vecchie Viti del Salco - Salcheto Ha isolato 2 ettari all’interno del vigneto Salco e in questa piccola area ha dato forma al vino. Balsamico, mentolato. Potente.
53
Bibenda 79 duemiladiciannove
A
54
n t o n e ll a
I Vini del Vulcano Laziale
P
o m p e i
I Vini del
Vulcano Laziale La zona dei Castelli Romani, che sorge su un territorio di antica origine vulcanica, vanta piĂš di duemila anni di storia del vino.
55
Bibenda 79 duemiladiciannove
56
I Vini del Vulcano Laziale
Il Lazio vitivinicolo è uno scrigno di territori ricchi di storia e di
Priora, Campovecchio tra Marino e Grottaferrata, il Laghetto
cultura enogastronomica, ognuno con identità e unicità proprie,
di Turno presso Castel Gandolfo, e i due grandi laghi ancora
a partire dalle origini geologiche. La zona forse più famosa è
esistenti, il Lago di Albano e il Lago di Nemi. La maggior parte di
quella dei Castelli Romani, un territorio di grande vocazione
questi bacini sono stati infatti prosciugati, bonificati oppure sono
vitivinicola, dove il vino vanta una storia di oltre ventitré secoli
scomparsi per cause naturali. Oggi la zona dei Castelli Romani
grazie al clima mite, assolato, favorito dall’azione regolatrice
ha una forma circolare e comprende 13 comuni, tra cui Frascati,
di due grandi laghi e al terreno, di natura vulcanica, ricco di
Monteporzio Catone, Grottaferrata, Marino, Rocca Priora,
potassio e di fosforo.
Albano, Castel Gandolfo, Genzano di Roma, Rocca di Papa.
Il territorio dei Castelli Romani sorge su un gruppo di rilievi collinari
Alcuni esperti includono anche Velletri, vicina al confine con
e montuosi, i Colli Albani, appartenenti all’Antiappennino laziale
la provincia di Latina. Sono presenti i componenti tipici di una
che si innalzano nella campagna a sud-est di Roma. Questi rilievi
zona vulcanica come il tufo, il peperino, soprattutto tra Marino
sorgono su quello che era, in passato, un unico immenso cratere, il
ed Albano, la pozzolana, nella zona che digrada verso Roma, e
cosiddetto Vulcano Laziale, formatosi oltre 360.000 anni fa su un
colate laviche massive da cui si estraggono i famosi sampietrini, a
ampio basamento di sedimenti marini di rocce carbonatiche. Dopo
composizione fonolitica. Questo territorio, tutto ricompreso nella
la prima genesi del singolo enorme cratere, in una successiva fase si
provincia di Roma, si trova a sud della capitale ed è una zona di
formò un nuovo vulcano, più piccolo, all’interno del precedente,
grande tradizione vitivinicola. Basta farsi un giro in questi comuni
l’apparato delle Faete. Insieme all’attività del cratere centrale
nel periodo della vendemmia per essere accolti ovunque da un
erano attive altre bocche laterali, con trabocco di grandi colate di
inebriante odore di mosto. La vocazione è per le uve a bacca bianca,
lava, che hanno dato origine alla zona settentrionale del Vulcano
tra cui predominano la pregiata Malvasia Puntinata, o Malvasia
Laziale, l’ampia piana di Pantano Borghese. A seguito di ulteriori
del Lazio, e la Malvasia di Candia, più produttiva; poi troviamo
trasformazioni il cono principale, denominato Monte Cavo, si
il Trebbiano, il Bombino Bianco, nel clone locale denominato
spense, occludendosi, mentre i crateri minori si riempirono di
Ottonese, il Greco, il Bellone e altre uve autoctone. Vengono
acqua. Nacquero così l’antico Lago Regillo, che fu poi prosciugato
coltivati anche lo Chardonnay, il Viognier e il Fiano, soprattutto
dai Romani, ai piedi di Frascati, quelli di Pantano Secco e Prata
dalle aziende con produzioni numericamente più elevate. Tra le
Proci ai piedi di Monteporzio Catone, la Doganella sotto Rocca
uve a bacca rossa troviamo il Cesanese ed il Nero Buono, entrambi
autoctoni. Il Cesanese è il vitigno rosso principe del Lazio, la cui patria si sposta più a sudest della regione, nella zona delle sue tre denominazioni di origine: Olevano Romano e Affile, Doc della provincia di Roma, e Piglio, Docg della provincia di Frosinone. Il Nero Buono è originario di Cori, più a sud, nella provincia di Latina. Gli altri vitigni a bacca rossa dei Castelli Romani sono gli internazionali Merlot, Syrah, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Su questi suoli operano diverse aziende a conduzione familiare, molto attente alla qualità, ma anche produttori di uva che conferiscono ad aziende vitivinicole e due aziende tra le più produttive del Lazio, Fontana Candida e Poggio Le Volpi. Tutte producono degli ottimi Frascati, vino sovrano di queste zone, nelle tipologie Frascati Doc e Frascati Superiore Docg. Una curiosità: pare che intorno al 1923 la Regina Elisabetta d’Inghilterra ebbe modo di conoscere il Frascati e lo volle nella carta dei vini di corte. Un vino che è normalmente realizzato da un blend di uve locali tra cui Malvasia Puntinata, che sta prendendo sempre più piede, Malvasia di Candia, Greco e Trebbiano. Il Frascati è un vino bianco ricco di profumi aromatici dovuti alle due Malvasie, di buona acidità, corposo e piuttosto sapido, caratteristica che gli deriva dai ricordati terreni ricchi di potassio e di fosforo. Il passaggio in legno, praticato da alcune aziende, lo rende più morbido e aggiunge lievi toni speziati ai sentori fruttati e floreali. È un vino che si abbina perfettamente a molti piatti tipici della cucina tradizionale laziale come la pasta alla carbonara, alla gricia e alla cacio e pepe, all’agnello alla cacciatora, a scottadito o in cotoletta, azzardando anche nella versione dell’agnello ai carciofi, ortaggio difficile da abbinare. Un Frascati giovane si abbina molto bene anche alla classica pizza bianca con la mortadella, un must della gastronomia romana. Per i rossi, vogliamo citare l’interessante produzione di Cabernet Franc, un vitigno talvolta definito selvatico o rustico, forse per le sue note vegetali tipiche e non sempre amate. Chi lo produce ha creduto nel suo connubio con questo territorio, un connubio molto ben riuscito. 57
La Degustazione | I V Abbiamo
assaggiato i vini dell’Azienda
Biologica De Sanctis
ini del
e di
Vulcano Laziale
Merumalia,
i cui vigneti si
trovano nella zona dell’antico Lago Regillo, ai piedi del Monte Tuscolano, e i vini di Casale
Mattia, i cui vigneti si trovano sulle colline leggermente più a est. Tre realtà, in uno scorcio della regione di grande bellezza.
Frascati Terre del Casale 2017 - Casale Mattia Bianco Doc - Malvasia di Candia, Malvasia Bianca, Trebbiano Giallo, Bombino - Gr. 12,50% - € 7 Giallo paglierino intenso. Attacco aromatico nei profumi, ricco di ananas, pera, nespola, mimosa e camomilla, con cenni di salvia e timo. Sorso elegante, fresco, morbido, con le note sapide che sostengono una buona persistenza e un corpo decisamente pieno. Fusilli trafilati al bronzo con fave fresche, guanciale e pecorino romano.
Frascati Superiore Primo 2016 – Merumalia Bianco Docg - Malvasia Puntinata, Greco e Bombino - Gr. 14 % - € 12 Giallo paglierino intenso. Ricchi sentori aromatici di pesca, pera, mela deliziosa, seguiti da note di fiori di campo e fieno. Assaggio pieno e morbido, di buona sapidità e discreta acidità, finale di mandorla fresca. Persistente. Con agnello alla cacciatora.
Amacos 2017 - Azienda Biologica De Sanctis Bianco Lazio Igt - Malvasia di Candia 90%, Trebbiano 10% - Gr. 14% - € 13 Giallo dorato pieno, virante verso l’oro antico. Il tipico impatto aromatico si esprime in note di pera matura, melone giallo, mela deliziosa e lime, accompagnate da sentori di camomilla e ginestra, cenni di erbe aromatiche e frutta secca tostata. Sorso ricco, di gran bella acidità, buona morbidezza, sapido e pieno, con continui ritorni aromatici. Elegante, invitante, di buona persistenza. Con linguine al sugo rosato di seppie.
Iuno 2017 - Azienda Biologica De Sanctis Rosso Lazio Igt - Cabernet Franc 100% - Gr. 14% - € 14 Tra il rubino e il violaceo, limpido e piuttosto compatto. Profumi intensi di mirtillo, mora e prugna, cenni di alloro ed eucalipto, seguiti da note terziarie di chiodi di garofano, inchiostro, liquirizia e cacao amaro. In bocca è goloso e nitido, esprime accordo con la complessità del naso, tannino elegante e setoso. Finale lungo, pulito, piacevolissimo. Con fettuccine al sugo di salsiccia, porcini e zafferano. 58
59
Bibenda 79 duemiladiciannove
Le Dimensioni del Terroir
Le Dimensioni
del Terroir B
r u n o
F
r i s i n i
Limiti e PotenzialitĂ di un termine troppe volte violentato.
60
61
Le Dimensioni del Terroir
Bibenda 79 duemiladiciannove
Il passo svelto e il suono cadenzato che le suole delle scarpe
Scriveva Pietro de’ Crescenzi nel Liber Ruralium Commo-
provocavano calpestando il lucido pavimento dell’hotel,
dorum che nell’astigiano nel quattordicesimo secolo si usava
indicavano senza alcun dubbio che i minuti scorrevano troppo
torcere il picciolo dei grappoli affinché, appassendo, accumu-
velocemente e che la degustazione stava per iniziare senza di me.
lassero zucchero per concorrere alla formazione del rinomato
Con una buona dose di adrenalina in circolo (utile a predi-
vino “greco”, commercialmente in auge all’epoca. Le piante di
sporre da subito l’attenzione), accomodato tra i banchi, notavo
Moscato e Malvasia venivano quindi potate basse e per secoli
la presenza di undici calici davanti
vissero in concomitanza delle albe-
il mio naso e un’immagine proiet-
rate su cui si inerpicavano le vigne
tata sullo schermo riportante una
utili per i vini “forti”. Accoglienti
frase (“IL PATRIMONIO BERSA-
tenute (in cui il vino abbondava)
NO: 230 ETTARI NEI MIGLIORI
lasciate nelle mani dei mezzadri dai
CRUS DI LANGA E MONFER-
proprietari terrieri, caratterizzavano
RATO”) che non poteva non scate-
le colline del Monferrato.
nare un’interiore, più che legittima,
Il Nebbiolo nel tredicesimo secolo
perplessa-curiosità.
il
fu la prima uva ad essere conside-
tempo di mettere a fuoco uno slogan
rata pregiata, poi seguirono il Dol-
così importante che le parole appena
cetto, il Cortese e la Barbera solo
lette divenivano udibili, pronunciate
nel diciassettesimo secolo. Tutti
dai fieri rappresentanti dell’azienda,
apprezzati esclusivamente per la ge-
i quali enunciando le numerose te-
nesi di vini dolci. I vini per le corti
nute, si preoccupavano di sottolinea-
venivano importati dalla Francia e
re come tutte fossero accomunate da
le alberate piemontesi rifornivano
una condivisa identità. In una socie-
taverne e rispondevano al fabbiso-
tà sempre più tendente all’omologa-
gno procapite della popolazione di
Nemmeno
zione, alla sterilizzazione, all’ermetismo del naso e dell’auten-
ceto medio-basso sottomessa alla dominazione austriaca.
ticità, incapace di distinguere il buono dal cattivo, la puzza dal
L’anno più significativo, in cui ogni equilibrio si ruppe, fu il
profumo, il bello dal brutto, tempi in cui la comunicazione in-
1846. L’Austria rincarò i dazi doganali, estromettendo di fatto
formatizzata ha soppiantato quella dei sensi e i luoghi, divenuti
dal mercato Milanese, dal Lombardo Veneto e dall’Emilia, i
non-luoghi, appaiono come vuoti contenitori, assistevo inerme
viticoltori piemontesi e suscitando lo sdegno, ben documentato
all’ennesima, apparente contraddizione tra marketing e realtà.
durante lo svolgimento del congresso agricolo di Casale
Tuttavia lo scorrere di immagini romantiche come qualità,
Monferrato, del re Carlo Alberto. Presagio di guerra che si
tipicità, peculiarità mi dava una grande possibilità di riflessione
concretizzò pochi anni a seguire con la sconfitta dell’esercito di
sul significato di terroir e se effettivamente avesse una comune
Sardegna e la successiva abdicazione del re.
accezione tra azienda e mente del degustatore. Ma andiamo per
62
gradi. Proviamo ad esaminare ogni aspetto affinché se ne deduca
Nel frattempo Cavour tesseva alleanze con i francesi di
una valida conclusione. È utile ripercorrere innanzitutto l’origine
Napoleone III, sperando in un aiuto contro i propri nemici e
storica dei vini e quindi dei territori vitivinicoli in oggetto.
probabilmente anche contro il temibilissimo oidio con l’ausilio
63
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Le Dimensioni del Terroir
delle più avanzate conoscenze agronomiche d’oltralpe. Nessuno avrebbe detto però che la più efficace risposta tesa alla risoluzione della crisi che questo fungo stava provocando nel vigneto piemontese, sarebbe arrivata dall’eroe nazionale, Giuseppe Garibaldi, il quale suggerì il “miracoloso” utilizzo dello zolfo. “In Piemonte la “tradizione” viene venerata, o citata per spiegare l’origine di questa o di quella procedura, forse più che in qualsiasi altra regione italiana. Eppure sono pochi i luoghi in cui la parola “tradizione” si riferisce a un periodo così breve.” Riflette Hugh Johnson nella sua opera “Story of Wine” (si noti l’utilizzo della parola “story”, preferita ad “history”) per tracciare il profilo di un territorio che si stava lentamente plasmando a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo. È significativo e paradossale infatti come i vini piemontesi furono letteralmente costruiti negli anni del Risorgimento, non cercando di emulare vecchie usanze, bensì ricorrendo all’aiuto dell’enologo francese Louis Oudart che intuì da subito le potenzialità del Nebbiolo per la produzione di vini secchi e straordinariamente longevi. L’arrivo della fillossera funse da indiretto completamento per la riconsiderazione del vigneto italiano e nella fattispecie piemontese. L’espianto di vecchie varietà portò ad una maggiore consapevolezza nel reinserimento di nuove viti, migliori e più sane. Questa breve parentesi storica evidenzia come il “terroir agrocolturale” (cioè la presa di coscienza delle potenzialità di un determinato ambiente per far nascere una produzione specifica) di Langhe e Monferrato, per come lo si interpreta attualmente, sia di origine relativamente recente. Nella nostra analisi possiamo quindi affermare di aver posto un primo importante “picchetto”. Mi tornerà poi utile al momento delle considerazioni finali. Procedendo con l’esaminare cosa determini l’utilizzo dell’espressione “terroir” all’interno di strategie di marketing aziendali che spesso, “sotto la forma scheletrica di slogan” e “terroir pubblicitario”, entrano in contrasto con la visione d’insieme del degustatore più “scafato”, ritengo fondamentale definire “il movimento attraverso il quale l’uomo si inserisce in una situazione fisica e sociale che diviene il suo punto di vista sul mondo.” Ripercorrere i passi che videro il macellaio Giuseppe Bersano collocarsi nei primi anni del secolo scorso, attraverso l’acquisto di terreni, in un contesto che andava all’epoca prendendo forma, mi aiuterà a comprendere l’utilizzo pubblicitario del concetto d’identità e a traslarlo verso tutt’altra immagine. Nel corso della degustazione viene spiegato come la mente illuminata di Arturo Bersano, avvocato e nipote di Giuseppe 64
Bersano, fu fondamentale per tracciare le prime linee guida aziendali con l’acquisizione di Cascina Cremosina a Nizza Monferrato dove la Barbera d’Asti è tutt’oggi l’indiscussa protagonista. In seguito vennero annessi vigneti in Langa nell’area di Serralunga d’Alba ma l’attenzione si diresse sempre di più verso l’espansione della “prediletta” Barbera (Cascina Generala, Vigneto Monteolivo, Cascina Prata, Cascina Buccelli). Abbiamo riscontro anche di vigneti di Brachetto, Ruché, Grignolino, Pinot Noir, Dolcetto, Cortese, Arneis, Sauvignon Blanc, Moscato e di altri possedimenti in Toscana di cui non terremo conto perché estranei alla tesi fin qui sviluppata.
n
Arturo Bersano
È mio interesse invece sottolineare come l’azienda sia evoluta negli anni, passando
Avvocato di famiglia, nipote
da una gestione familiare (in controtendenza con l’epoca) alla proprietà americana,
di Giuseppe Bersano
per poi arrivare a quella attuale forse mitigatrice di così diverse visioni. Andando nel dettaglio si evince come la famiglia Bersano abbia operato fin dai primi anni in modo assolutamente inusuale. L’assimilazione e la gestione diretta dei vigneti la porrà infatti su un piano privilegiato rispetto a chi, secondo la tradizione del tempo, faceva vino acquistando uve da conferitori.
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n
Le Dimensioni del Terroir
Bersano Piazza Dante, 21 -14049 Nizza Monferrato (Asti) Tel. +39 0141 720211 Fax +39 0141 701706 wine@bersano.it www.bersano.it
Il “possesso” della terra, poterla calpestare sotto i propri piedi, osservarla con occhi pieni di speranza, sono fattori indiscutibilmente emblematici rispetto al gesto più o meno meccanico del trasformare l’uva in vino. Nonostante ciò, questa visione resterebbe fine a se stessa, qualcosa di puramente romantico, se non si andasse a fondo, scansando insidiose retoriche per poter avere un quadro più dettagliatamente razionale. Lo sviluppo di quest’area vitivinicola non può essere spiegato con la sola presa di coscienza della qualità dei suoli e di un clima particolarmente favorevole. L’insediamento e l’inizio dell’attività della famiglia Bersano in un determinato periodo storico ne è la riprova. La crescita di un territorio passa indiscutibilmente dalle condizioni del tessuto socio-economico, unico vettore della valorizzazione del prodotto. Storicamente non c’è mercato in assenza di un sistema ben organizzato, proteso all’organizzazione e suddivisione sensata dello spazio. Ne abbiamo lucidi esempi a partire dall’epoca medioevale, in cui il terroir è inserito in dimensioni popolate e strutturate antropocentricamente. Posso quindi ben dire che la composizione dell’idea di terroir passi dal “terroir territoriale” in cui l’uomo-azienda tramite osservazioni e considerazioni scientifiche organizza lo spazio, partendo dalla singola pianta per arrivare addirittura ad un intero continente. L’interpretazione di parole apparentemente prive di significato sembrerebbe essere risolta. Tuttavia per un’accuratezza d’indagine e per 66
una miglior compiutezza e connessione tra nozioni, appare
cando ideali e sentimenti d’appartenenza. Da qui il riferimen-
irrinunciabile l’apporto di una prospettiva finora non presa
to inevitabile al “terroir identitario”, così caro al degustatore
in considerazione.
e ai propri ricordi di un passato più o meno lontano. Questa
Posto che il terroir agrocolturale sia alla base di una struttura
dimensione coinvolge l’antropologia, l’etnologia, lo studio delle
che vede il proprio sviluppo mediante il terroir territoriale e
percezioni dei popoli nei luoghi in cui vivono.
che il terroir pubblicitario sia il veicolo attraverso cui questo
Considerazioni estranee alle definizioni pratiche di terroir, che si
elaborato processo viene divulgato, siamo così sicuri che la
legano all’azienda e al mercante nel momento in cui la naturale
domanda di “vino di terroir” sia sempre corrispondente all’of-
origine del vino converge nelle esigenze di vendita e in quelle di
ferta? È sufficiente avere un grande territorio organizzato con
degustazione, tenendo ben presente cosa ne sarebbe di un gran
una ben precisa legislazione, trasmesso ad arte con messaggi
vigneto se privato della possibilità di produrre vino per venderlo
propagandistici più o meno anemici, per avere la certezza che
al consumatore/degustatore finale.
il senso venga sempre recepito? L’idea di tipicità è una qualità che lega queste diverse inter-
Concludendo questo studio, sempre troppo breve per ovvie esigen-
pretazioni di terroir, generandone di fatto un’altra, considerata
ze di sintesi, è possibile affermare come, seppur in forme diverse,
come fondamentale anello di congiunzione affinché un concet-
sia corretto tollerare accezioni di terroir apparentemente prive di
to fin troppo abusato e violentato nel suo più profondo signifi-
significato ma, in realtà, parte di un complesso sistema che diverge
cato, trovi giusta lettura. Incasellando la memoria collettiva in
per punti di vista ma che riunisce, accorpa e include per la propria,
un archivio fatto di sensi, la tipicità inscrive nella coscienza un
assoluta non riproducibilità e identità. Espressione utile tanto a
rapporto strettissimo tra gusto e peculiarità di un luogo, evo-
generare un più che fondato dubbio, quanto a fugarlo. 67
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Emidio Pepe
Emidio Pepe I 68
l a r i a
O
l i v a
Storia di una grande famiglia.
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Emidio Pepe
Nel meraviglioso mondo del vino, le storie sono l’aspetto che più mi intriga: quella della famiglia Pepe parte da un’azienda,tramandata di padre in figlio, basata sulla produzione e vendita di ottimo vino sfuso, che poi Emidio negli anni ‘60 prese a imbottigliare e distribuire in tutto il mondo. Detta così, la faccenda sembra probabilmente troppo riassuntiva: ma, fidatevi se vi dico che acqua sotto i ponti ne è passata tanta, però le modalità di produzione sono rimaste pressoché invariate. Ne abbiamo avuto la conferma dalla viva voce di Sofia Pepe, terzogenita di Emidio, lo scorso 4 maggio a Borgo Egnazia in Puglia, durante una serata dedicata dalla Fondazione Italiana Sommelier alla famiglia Pepe, condotta come sempre magistralmente da Paolo Lauciani. E siccome si dice che i vini somigliano a chi li produce, ci siamo convinti da subito che si dovesse trattare di qualcosa di assolutamente singolare: infatti Sofia ci ha raccontato di come il decano della vinificazione abruzzese, oggi 87enne, dal carattere indomito, non si sia mai arreso davanti alle difficoltà, nemmeno quando, negli anni ’60, all’inizio della sua attività di produzione e vendita in bottiglia, la regione Abruzzo aveva organizzato una spedizione a New York di alcune aziende rappresentative del territorio, e la Pepe non
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fu coinvolta in quanto ritenuta azienda troppo piccola. Il giovane Emidio non poteva assolutamente accettare un tale affronto e, dopo una settimana, con sei bottiglie dei suoi vini, partì ugualmente per New York, andando a trovare un ristoratore italiano che aveva aperto un ristorante nella grande mela, suo unico contatto negli USA, e tornò con una rete vendita imbastita, pur non conoscendo nemmeno una parola di inglese! Da qui l’ascesa di questo marchio che si vanta di non avere uno slogan - a parte “in vino vita”, che riassume l’etica e l’identità aziendale - in quanto i vini hanno praticamente “viaggiato quasi da soli”, sostenuti dall’incredibile lavoro di produzione che c’è alla base. Da 15 ettari vitati, quasi sul limitare tra l’Abruzzo e le Marche, a 10 km dal mare adriatico e a 20 km dal Gran Sasso, a Torano Nuovo si producono solo Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo (da qualche anno anche un po’ di Pecorino); le vigne sono tutte vecchie, di 40/50 anni; il vino è totalmente naturale, senza additivi poiché in vigna non si usano come trattamenti altre sostanze che non siano rame in cristalli e zolfo di miniera; le uve vengono raccolte a mano, diraspate manualmente, pigiate coi piedi, come nell’antichità; il mosto fermenta in piccole vasche di cemento per 20/25 giorni, vasche spesse 25 cm affinché la temperatura si mantenga costante, per poi passare in maturazione due anni, sempre in cemento, senza che venga filtrato né chiarificato. Alla fine di tutto il procedimento, una parte del vino viene decantato ed imbottigliato, tutto a mano, e messo in riserva, mentre il resto va sul mercato, dove al momento hanno ben 40 annate in vendita ed il 50% va all’estero! Il racconto di Sofia è stato appassionato e coinvolgente, a tratti anche divertente con aneddoti di vita vera, come quando ha parlato della speranza disattesa del padre di avere un figlio maschio, e che solo dopo tre femmine si sia “rassegnato” e finalmente abbia deciso che la terzogenita poteva ben rappresentare l’azienda…! Ci ha anche raccontato come abbiano anche provato ad innovare le tecniche produttive, ma è successo che Emidio poi non riconoscesse più il suo vino, per cui hanno lasciato perdere e sono rimasti fedeli alla loro tradizione. 71
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Emidio Pepe
La dimostrazione pratica che tutto questo non solo sia possibile, ma che dia anche risultati eccellenti viene dalla doppia verticale affrontata: 5 annate di Trebbiano e 5 di Montepulciano, toccando vette altissime. Sofia ha portato con sé bottiglie di annate calde e fresche proprio per dare un’idea delle differenze a livello “didattico”: scopriamo così che il Trebbiano d’Abruzzo comincia a dare il meglio di sé dopo 10 anni, per cui assaggiare il
2016
è praticamente compiere
un infanticidio, ma purtuttavia l’annata tribolata, molto piovosa, che impediva addirittura di effettuare i trattamenti in vigna, ha prodotto una bella spalla acida che è stata utile al vino per avere una buona freschezza e un’immediata sapidità in bocca. L’annata calda del
2014
invece si riconosce immediatamente dalla concentrazione cromatica, che
vira maggiormente verso l’oro, e in bocca grazie alla forte mineralità che lascia un finale quasi salato e un sorso più lungo. Un mix tra caldo e pioggia è stato invece il
2007
, che
si presenta con un dorato intenso alla vista ed ha i sentori di un passito, frutta matura quasi esotica, e miele; in bocca ha meno acidità ma un’ampiezza e una profondità incredibile. Il
2004
, annata piovosa, presenta una leggera speziatura e un fruttato e floreale leg-
germente in appassimento, che si ritrova moltiplicato nell’annata
1995
e con uva surmatura: dal colore quasi buccia di cipolla, sembra quasi un passito!
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, caldissima
Il Montepulciano è la vera rivelazione, soprattutto per la conno-
che nel colore si rivela in un granato cupo, quasi “rugginoso”:
tazione comune a tutte le annate, ovvero la presenza di un tannino
al naso ci raggiungono note di frutta secca, prugna disidratata,
perfettamente integrato e assolutamente nobile e setoso, che rende
mora, pot pourri ed erba medica, che ne fanno un bouquet più
il vino godibilissimo fin dalle bottiglie più giovani. Dal 2010 fino
scuro, evoluto; in bocca la spinta acida sostiene benissimo l’e-
ad arrivare al 1974 è come assistere ad un’escalation di eleganza
quilibrio gustativo, nonostante le estreme condizioni meteo. Il
ed equilibrio a prescindere dalle influenze climatiche, mantenendo
1983
inalterata nel tempo la vitalità, anche a distanza di 45 anni.
2010
viene invece ricordata come annata splendida,
ma per 10 anni non hanno messo sul mercato le bottiglie perché si rivela elegante già a partire dal colore, un
ancora troppo chiuse al naso: oggi il colore è più tendente al ru-
rubino ricco di luce, e si apre al naso con un fruttato ancora
bino del campione precedente e al naso ha una integrità fruttata
prevalente fatto di marasca e ciliegia ed una buona dose di mine-
ancora piena, di ciliegia, ribes, mora e una nota di inchiostro. Lo
Il
ralità, con estrema finezza nonostante la potenza del Montepulciano; in bocca è morbido con una buona freschezza e sapidità.
2001
splendido 45enne del
1974
ci riporta ad un’annata
abbastanza piovosa che si rispecchia in un naso con sentori di
, che si riproduce
humus, sottobosco, fungo, tartufo, felce, erbe officinali, con una
in un naso estremamente interessante, e che, nonostante i 18
leggera tostatura, un tocco ferroso e un vago sentore di catrame.
anni, non presenta alcun sentore di frutta troppo matura, arric-
Ma è in bocca che c’è la vera sorpresa: una vitalità incredibile,
chendosi di sfumature di erbe aromatiche, timo, alloro, e di una
con un tannino evoluto, maturo ma ancora presente.
sensazione ematica/minerale argillosa; in bocca è leggiadro nono-
Un’esperienza da non perdere, se si ha la possibilità di visitare
1997
l’azienda, dove è possibile anche soggiornare nella vecchia casa
Annata equilibrata quella del
stante la fisicità impegnativa. Caldissimo fu il
,
padronale trasformata in bio-resort. 73
Lâ&#x20AC;&#x2122;intervista Alessandro Greco
E
Il
lv i a
G
noto conduttore tv ai microfoni di
dei suoi gusti sul vino.
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r e g o r a c e
Bibenda
ha parlato delle sue preferenze e
L’intervista
Imitatore, conduttore televisivo e radiofonico, grande intrattenitore, classe 1972, metà abruzzese e metà pugliese. Alessandro Greco è uno dei volti della tv italiana che più piace. Il ragazzo della porta accanto che sprigiona un senso di sicurezza, una certa affidabilità, la persona con la quale scambiare qualche chiacchiera. L’ospite perfetto da invitare a pranzo la domenica assieme ai propri cari, per la sua discrezione, il modo di porsi, la battuta pronta e la maniera di ironizzare senza offendere. Avvolto da un alone di serenità, esprime il proprio pensiero con apparente pacatezza anche quando dissente dal suo interlocutore, con un po’ di sarcasmo, se necessario. Reso noto dalla trasmissione decennale Furore, lo scorso anno è stato il timoniere del gioco televisivo Zero e Lode in onda su Rai 1 nel primo pomeriggio. Amante del buon vino e del cibo, si definisce una generosa forchetta, non disdegna gironzolare tra i mercati e acquistare gli ingredienti giusti per una cena perfetta. Seducente anche dietro ai fornelli, ritiene che preparare un buon pasto sia una forma di amore e non un dovere. Disquisisce sul vino con naturalezza. Attraverso il suono della sua voce le botti sembrano vibrare, i calici brindare, i vignaioli ballare. La sua descrizione della vendemmia si trasforma in uno squarcio reale di gente allegra e laboriosa. Lo stesso per le vivande. Involtini, orecchiette, sughi prendono vita poiché fanno parte della sua cultura e quindi della sua esistenza. Tra i suoi sogni? Possedere una cantina, creare un vino da condividere con gli amici che possa perdurare nel tempo… Gli aggraderebbe condurre una trasmissione su questo tema… Speriamo accada presto.
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Quando hai capito che la televisione sarebbe stata la strada
Diverse le trasmissioni televisive che hai condotto, nei hai una
giusta da intraprendere?
alla quale sei più legato?
In realtà subito. Già dietro i banchi di scuola imitavo chiunque
Non posso nascondere la mia gratitudine a Furore. A volte i
avesse attirato la mia attenzione. I miei compagni ne restavano
cantanti sono rammentati per un solo brano, i presentatori per
affascinati. Non solo… Alcune domeniche ero solito recarmi
un programma che ha più fortuna di altri e si infastidiscono per
con i miei familiari a Tagliacozzo, in Abruzzo, dai nonni ma-
questo. Non condivido. Sono grato a Furore che già all’età di
terni. Mia madre aveva cinque fratelli per cui ero attorniato da
venticinque anni mi ha condotto nelle case degli italiani. Esiste
cuginetti. Ci riunivamo vicino la fontanella nel centro del pa-
anche un altro programma al quale sono affezionato che è Il
ese. Lì sono nate le mie prime gag… Ero un piccolo showman
Gran Concerto, in onda sul primo canale Rai, da me condotto
e questo mi divertiva.
per quattro edizioni. Si girava dall’Auditorium Rai di Torino.
L’intervista
Protagonista la musica classica eseguita dall’Orchestra Sinfonica
Creava delle vere e proprie opere d’arte con la pasta martorana.
Nazionale Rai. Si trattava di un prodotto di qualità.
Realizzava delle pesche che sembravano vere grazie allo zucchero
Alcuni anni fa hai partecipato a un reality game dal nome La
a velo che rendeva la peluria del frutto, era perfetto. Possedeva
Talpa, che ricordo hai?
un appezzamento di terra in prossimità di Manduria. Ciliegie,
Assieme a mia moglie Beatrice siamo
fichi, delizie della mia fanciullezza.
stati la prima coppia della TV a con-
Erano presenti anche alcuni filari di vite
correre per un format del genere. In
e si produceva una piccola quantità di
realtà non credo che fossi adatto al
vino. I calici tinti di rosso, gli archetti
ruolo. È vero, non si trattava solo di
consistenti, il profumo del nettare ricco,
partecipare come concorrente ma di
potente, voluttuoso.
scoprire chi fosse la talpa, però non
A proposito di profumi… Ne hai
potevo esprimere il mio aspetto artisti-
qualcuno al quale sei più legato?
co. Su questo mi sono sentito limitato.
Tanti, in particolare il borotalco. Da
Rimane l’esperienza più intensa della
bambino, mi è stato detto, dormivo con
mia vita. Il Kenya possiede dei paesag-
il contenitore vicino in assenza di mia
gi indimenticabili. Il sole, i profumi, gli animali. Sono rimaste
madre. Mi ricordava il suo odore, mi sembrava di averla accanto.
dentro di me tante sensazioni. Il mal d’Africa esiste davvero.
La fragranza salmastra del mare di Taranto. Il profumo del legno
Perché i telespettatori ti considerano un membro della loro
bruciato di Tagliacozzo.
famiglia?
Si dice che tu sia fortemente credente. Provieni dalla regione nota
Perché è sottile la linea tra il personaggio Alessandro Greco e la
per Padre Pio. Se lo dovessi paragonare ad un’uva, quale sarebbe?
persona Alessandro… Più trascorre il tempo e più si assottiglia
Il Nero di Troia perché forte, avvolgente proprio come un padre
e ne sono fiero. Quando la gente mi incontra per strada
dovrebbe essere con i propri figli. Per due anni ho condotto la
esclama: “Sei proprio come pensavo!” Non credo sia giusto dare
trasmissione Una voce per Padre Pio e ne sono stato onorato. Oggi
un’immagine che non sia la propria, significherebbe interpretare
lo sarei se mi proponessero un programma sul nettare di Bacco.
un ruolo, non essere ciò che si è.
I Santi sono coloro i quali hanno ricevuto da Dio il carisma e
Quali sono i vitigni che preferisci?
hanno la facoltà di sprigionarlo, persone profondamente devote.
Certamente il Montepulciano d’Abruzzo. È difficile trovare un
Una citazione sul vino?
calice di questa uva non ben fatto. E il Primitivo perché ho una serie
Chi non beve vino ha qualcosa da nascondere.
di ricordi a esso collegati. Mio nonno Alfredo era un pasticcere.
(Charles Baudelaire). 77
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Una spremuta di saluteâ&#x20AC;Ś
Una spremuta
di saluteâ&#x20AC;Ś C
a r l o
A
t t i s a n o
Puro succo dâ&#x20AC;&#x2122;uva Sagrantino per un progetto dagli elevati valori salutistici
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Una spremuta di salute…
Che fosse un “genio folle“, il mio amico umbro doc Luciano Cesarini, lo sapevo fin da quando per la prima volta, nel 2005, visitai la sua ipertecnologica cantina (già allora rappresentava un “unicum”), ma essere invitato per una degustazione “non-alcolica” in cantina, non mi era mai capitato in tanti anni. Da buon Ingegnere qual è, fin dal 2004 si dedica a studi specifici che non solo condizionano meravigliosamente la qualità dei suoi vini, ma spesso vanno ben al di là del mero ambito enologico: la progettazione della Cantina dove la tecnologia è al servizio della qualità (ancora oggi considerata tra le più moderne al Mondo) e l’analisi storico-scientifica del Sagrantino, ispirata dall’utilizzo del Sagrantino passito come coadiuvante nelle convalescenze delle malattie infantili e nei soggetti astenici, ne sono la grande testimonianza. È sabato e Luciano è in Cantina, a Bastardo; mi aspetta già dall’alba ma, prima di sottopormi l’assaggio del prodotto, inizia a spiegarmi il punto di partenza di tutto: per millenni l’uva e la sua spremuta sono stati considerati elementi primari dell’alimentazione umana e gli sono stati riconosciuti valori salutistici elevati. Molto interessante, davvero, ma non riesco a capire dove vuole arrivare. Allora tira fuori una bottiglietta in vetro con un’etichetta molto carina, dalle fattezze semplici e genuine: è puro succo d’uva, di Sagrantino, precisamente. Lo studio e l’analisi storicoscientifica di questo antichissimo vitigno, mi spiega, hanno portato alla scoperta che il Sagrantino ha la maggior quantità di polifenoli antociani e zuccheri in vendemmia tra tutti i vitigni conosciuti al mondo. I polifenoli, continua, che sono dei fortissimi antiossidanti, sono anche termolabili e per questo è difficile salvaguardarne le qualità organolettiche: attraverso gli studi sul vino prima e sulla confettura poi, è riuscito a salvaguardarli senza l’uso di additivi di qualsiasi natura nel suo succo/spremuta. “Abbiamo creato un processo tecnologico che salvaguarda l’uva, il territorio e la salute umana e progettato per assecondare solamente la natura”. La cosa si fa davvero interessante. Inizio a capire che mi trovo di fronte all’ennesima e “genialmente folle” volontà di quest’uomo. Ossia, che è possibile riportare l’uva e il vino al centro dell’alimentazione umana, così come ci insegnavano già le antiche popolazioni umbre nel X secolo a.C. e trarne, per giunta, grandi benefici per la salute. Luciano Cesarini, dieci anni fa, forte solo delle proprie risorse economiche, poteva essere considerato un visionario pazzo, sicuramente, ma oggi con il supporto del Ministero della Salute e delle Università di Perugia e di Firenze e con l’imprinting di Federfarma è riuscito a dimostrare la grande valenza degli studi da lui portati avanti. Come se non bastasse, oltre alla sensazione di bere qualcosa di realmente salutare (!), l’assaggio veramente completa il tutto: un gusto zuccherino natu80
n
Cantina Signae Loc. Purgatorio, Torri di Barattano, Gualdo Cattaneo, PG
rale, autentico, giusto, si avverte in questo sorso d’uva totalmente sincero, piacevolissimo.
T. +39 0742 99590
Le reazioni entusiastiche dei bambini poi, che ovviamente sono attratti solo dal gusto
F. +39 0742 969462
del succo e non dall’aspetto salutistico, suggellano il futuro successo di questo prodotto
www.rossobastardo.it
che riesce a creare un link tra il mondo dei grandi e quello dei piccoli attraverso la sua “geniale” semplicità. Bello condividere l’entusiasmo di chi è riuscito a coniugare qualità e salute attraverso ricerca e passione! Rimaniamo tutti in curiosa attesa degli sviluppi futuri in un mondo, quello del vino, che ha cominciato ad esaltare sempre più le componenti salutistiche del prodotto, non solo attraverso la biodiversità, la sostenibilità eccetera, ma anche attraverso la geniale follia di alcuni uomini che anziché adagiarsi sui loro prodotti di successo, hanno voluto regalarsi e regalarci nuove visioni, l’apertura di una strada verso un futuro certamente migliore.
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Una spremuta di saluteâ&#x20AC;Ś
La degustazione | S
ucco dâ&#x20AC;&#x2122;Uva
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Sagrantino
Abbiamo fatto assaggiare il succo d’uva a Francesca Ialungo – 6 anni e mezzo – e a Lorenzo Petracca – 6 anni – per conoscere le loro impressioni.
La testimonianza diretta dei due giovani degustatori in una scheda e in un video realizzati a caldo.
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i r o t t u d o r p i n o c A tavola C
i n z i a
Siamo
B
o n f Ă
entrati nelle cucine di alcuni produttori di vino
chiedendo loro di raccontarci una propria ricetta alla quale sono particolarmente legati.
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Il Produttore Nella suggestiva strada che da San Quirico d’Orcia va verso Montalcino, dove si possono ammirare i “cipressini” più famosi e fotografati del mondo, in località Torrenieri, troviamo l’azienda Col di Lamo. Nata da poco più di vent’anni è stata voluta fortemente da Giovanna Neri, oggi aiutata da sua figlia Diletta. Entrambe hanno saputo superare una sfida e fatto avverare un sogno facendo affermare la loro piccola realtà come una delle aziende emergenti più innovative del panorama ilcinese. Giovanna è una donna solare, gioiosa e tenace dal sorriso contagioso e dal savoir-faire propositivo e dinamico. Tratti distintivi solidi ma anche eleganti e femminili che ritroviamo, sia nei vini, sia nella modernissima cantina seminterrata e sia sull’etichetta aziendale dove è raffigurato un profilo delicato di un volto di donna nei colori arancione e verde. Giovanna ci presenta una ricetta che va molto in voga in Toscana, specie a Montalcino: spezzatino di cinghiale con polenta grigliata. È un piatto antico toscano che ha profonde radici nel territorio dove il cinghiale è un protagonista storico.
SPEZZATINO DI CINGHIALE CON POLENTA GRIGLIATA Ingredienti per 4 persone 1 kg di polpa di cinghiale Per la marinatura: cipolla rossa, carota, sedano, alloro, salvia, bacche di ginepro, pepe nero in grani,1 litro di vino rosso toscano Per la cottura: scalogno, aglio, rosmarino, prezzemolo; 50 gr di pancetta tesa; 1 bicchiere di vino bianco; 400 gr di pelati; olio Evo, sale e pepe q.b. Pulire la carne dai filamenti e dal grasso, tagliarla a pezzi e metterla in un recipiente a marinare in frigo per una notte. Il mattino seguente, scolare la carne dalla marinatura e metterla in una pentola preferibilmente di ghisa. Saltare la carne a fuoco medio eliminando, in più volte, tutta l’acqua che fuoriesce. Tritare l’aglio, lo scalogno il prezzemolo, la pancetta e, quando la carne avrà perso tutto il liquido, li aggiungeremo nella pentola insieme a 4-5 cucchiai d’olio, facendo rosolare per bene. Sfumare con il vino bianco secco quindi aggiungere i pomodori pelati, sale e pepe. Cuocere a coperchio chiuso per circa due ore e mezza a fuoco basso e aggiungere un mestolo di brodo vegetale se necessario. Servire con polenta gialla grigliata.
l’abbinamento L’abbinamento ideale è con il Brunello di Montalcino 2012, dal corpo vigoroso ma suadente, dalla leggera speziatura e dai tannini fitti e sottili che servono ad accompagnare la struttura di questo piatto. Col di Lamo si estende per 80 ettari di cui solo 9 vitati, suddivisi nei tre appezzamenti di Colombaio, Diletta e Lamo. Tutti i vigneti sono coltivati in regime biologico e le vigne, dal quale proviene questo Brunello, sono poste in zone collinari ad un’altitudine di circa 300 metri su terreni di medio impasto con presenza di scheletro e percentuali variabili di argilla. Matura per due anni in botti da 50 hl, seguiti da ulteriori 6 mesi di affinamento in bottiglia. Granato di media compattezza e di notevole luminosità. Naso profondo, racconta la terra di Montalcino con ampi respiri balsamici, poi viola in appassimento, radice di liquirizia e bacche rosse. Procede elegantissimo su tonalità speziate di chiodi di garofano e curcuma. Tocchi di gelatina di more qua e là. A chiudere un’idea di fumo, come di cenere di un camino spento. Sorso raffinato, avvolgente e vibrante nelle perfette proporzioni acido-sapide con trama tannica merlettata. Finale lungamente balsamico e speziato che richiama a nuovi assaggi. Appena all’inizio del suo percorso temporale.
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Da Leggere P
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Da Leggere
Sono
i nostri consigli di lettura.
Novità,
nuove edizioni, dizionari, testi
legislativi, romanzi, saggi, pubblicazioni tecniche: letture intorno al vino.
Il mistero del Barolo. Ma è il Nebbiolo che conquisterà il Mondo. UTET (Milano) 2019 Pagine 208 Euro 16 La UTET non è una Casa Editrice votata all’Enogastronomia; il libro “Il mistero del Barolo. Ma è il Nebbiolo che conquisterà il Mondo” di Giovanni Negri, che qui consigliamo, è fra gli unici due dedicati al tema fra gli ultimi novanta pubblicati (l’altro è un buon testo sulle birre e sulla Storia europee scritto da M. Rissanen e J. Tahvanainen). Il fatto è che non si tratta solo di un libro di Enogastronomia: l’Enogastronomia è qui una chiave per aprire scrigni di storie umane molto vicine e molto lontane. Giovanni Negri è langarolo e fa vino a Serradenari. Le pagine del suo libro dimostrano a ogni riga questa profonda appartenenza; e ruotano tutte attorno a una grande domanda: Che cos’è che fa unico e grande il Barolo? L’Autore si domanda, insomma, che cosa sia stato a far tanto rapidamente impennare le quotazioni di vini e terreni di quest’area e che cosa la renda tanto speciale. Il Barolo è buono, e
su questo non si discute: ma è innegabile il fatto che dietro e sotto una fortuna tanto grande – una fortuna che porta la fama e la rinomanza ad assurgere alle vette del mito – debba esserci qualcos’altro di molto importante. Con sapienza di autore ed apprezzabile stile giornalistico, Negri conduce la sua indagine fatta di suggestioni ma anche di dati e di dubbî ma anche di risposte. Le soluzioni cui arriva sono in parte originali e in altra parte sintesi di cose magari note ma qui riunite e poste in relazione con lodevole acume e rara chiarezza: non le si esporrà in questa piccola recensione, per non togliere al lettore il diletto sottile della ricerca e della scoperta che lo stile ed i contenuti del volume garantiscono a chi lo sfogli. Si vuol solo invece spendere ancora una parola sul particolare modo in cui è condotta l’ondivaga marcia in questo inebriante mistero. Le parole di Negri conducono il lettore a continui cambî di sguardo: dall’estremamente ravvicinato che la voce di un autoctono cosí appassionato della sua terra è in grado di restituire, al campo lunghissimo piú proprio dello studioso di Storia. Le vicende e le caratteristiche delle Langhe s’intervallano continuamente con quelle dei grandi commerci mondiali e delle Culture apparentemente piú disparate: un’altalena costante, o piuttosto una spirale che nel suo proseguire e ritornare su sé stessa amplî e approfondisca sempre di piú l’ambito della sua conoscenza. Una lettura che è imperdibile per ogni appassionato delle Langhe – che la adorerà – ma anche per chi (ma ancora ne esistono?) non lo sia – che se ne innamorerà –. 87
Cruc i benda P
a s q u a l e
in arte Petrus
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P
e t r u ll o
Cruc i benda Cercare
nello schema tutte le parole elencate, tenendo presente che possono trovarsi, orizzontalmente
destra o da destra a sinistra), verticalmente (dall’alto al basso o dal basso all’alto) e diagonalmente.
(da
sinistra a
Alla fine rimarranno
alcune lettere inutilizzate le quali lette di seguito daranno la chiave indicata.
L’evento giunto alla 12° edizione (chiave: 5 - 14 -5 -7- 3 - 4): .................................................................................................. . © Petrus
L O F C O O I R T E R R A O U O E T P S O M L I N E N V N T O R M T R A T N R G R E I G G D I O A O E D R N E E A T E I I Z D V C R S N I S M R A V O P V C U A C R C E N A I N N V L R O O T L H A I I C S G O A O O N A M S L I P U Z C E C N M M E D E U L L O A T A P C I I A C E T O N E C L U T M L T I S C R I T T I U R E T I V A A G R O N O M O T D E O I D I G E T N A S L V I À N O
AGRONOMO AZIENDA CAMERE COMUNITÀ CONVEGNO CORSO DIPLOMI ENOC ENOTECA GIOVANI IMPEGNATIVA INSEGNE ISCRITTI LAVORO
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Consigli di scrittura a cura di
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Consigli di scrittura
Piccoli
consigli, suggerimenti, percorsi suggeriti per sfuggire alle banalità e a
qualche errore dovuto alla fretta e alla superficialità dei nostri tempi.
Maschietto o femminuccia? Il nome del nostro Editore (nonché di questa nostra rivista e della nostra guida), “BIBENDA”, vuol dire in Latino “cose da bere”. Al di là di quest’uso aziendale, volendo parlare genericamente delle “cose da bere” dovremmo usare il maschile plurale “i bibenda” cosí come si dice nel caso di “i desiderata” e in altri simili. Ma sarebbe perfettamente legittimo il dubbio di chi pensasse (pur se certo erroneamente) di poter dire “le bibenda” – cosí come “le desiderata” –. Ciò perché l’Italiano non ha quel genere neutro che era proprio per esempio del Latino, e deve dunque determinare il genere maschile o femminile per parole che designano cose che invece non hanno intrinsecamente un’appartenenza di genere: ed il dubbio è legittimo perché le cause storico-linguistiche che hanno determinato quest’attribuzione di genere sono spesso abbastanza complesse da essere invisibili a persone che non le abbiano studiate, tanto da costringere costoro a documentarsi di volta in volta sul dizionario o di scegliere a caso. Di seguito due esempî di parole che spesso usiamo nel descrivere vini, e che spesso capita di leggere (e di scrivere) erroneamente. “Ananas”, riconoscimento fruttato tropicale di tanti vini bianchi (spumanti o fermi e secchi o dolci), è parola maschile; vero è che quasi tutti i nomi di frutti – mentre quasi tutti quelli di alberi sono maschili – sono femminili, ma l’ananas segue piuttosto quella serie di parole di derivazione straniera terminanti per consonante (come “computer” per esempio) che sono maschi-
li. Anche “amalgama”, che spesso usiamo per parlare di un insieme coeso di profumi diversi, è termine maschile; il Latino da cui deriva – quello degli alchimisti – l’ha probabilmente preso infatti a sua volta dal Greco attraverso l’Arabo, e quasi tutte le parole terminanti in –a derivanti dal Greco sono maschili: “eritema”, “eczema”, “asma” (ebbene sí), e simili. Già che siamo in tema, una piccola notazione su questioni di genere e caratteri dei vini. Si usa spesso definire “maschile” o “femminile” un vino, tendenzialmente per descriverne nell’un caso una maggior struttura o anche una certa ruvidezza e nell’altro una maggior eleganza o anche una maggior setosità; a questa usanza viene spesso opposta la critica che si tratti di un accostamento che perpetui un vecchio stereotipo, e che non è detto affatto che sia “maschile” esser ruvidi e “femminile” esser setosi. Vero. Per carità. Ma è vero anche che le metafore funzionano proprio perché attingono a tipi generali e che nessun paragone sarebbe possibile se non si accettasse una tipologia generica del secondo termine (e si dà per scontato che questa tipologia possa poi esser smentita da casi particolari); ed è innegabile che la figura maschile sia mediamente piú massiccia di quella femminile, e ne è prova se non altro il diverso standard degli attrezzi per le specialità olimpioniche. Vero è piuttosto che una metafora, quando è cosí tanto usata, diviene forma idiomatica: e, mentre ne aumenta l’utilità, ne diminuisce irreparabilmente l’efficacia. Se ne raccomanda un uso molto parco; e soprattutto riflessione.
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Informazioni da Fondazione
Questa rubrica riassume tutte le ultime novitĂ , gli eventi, le attivitĂ , le notizie, i momenti che hanno visto impegnata la in largo nel nostro
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Bel Paese.
Fondazione Italiana Sommelier
in lungo e
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Del Sommelier Lunedì 1° Luglio 2019 Al mattino ore 10,30 / Inaugurazione del Parco EDOARDO VALENTINI
Come noto il Comune di Roma ha assegnato il nome ad un Parco del grande produttore, vignaiolo e Cantiniere abruzzese scomparso nel 2006. La scoperta della targa stradale avverrà da parte del Sindaco con una cerimonia assieme a Francesco Paolo Valentini e la sua famiglia e a tutti noi che desideriamo onorare uno dei più grandi Produttori del mondo. Il Parco si trova tra Viale Giustiniano Imperatore e Via Galba, a seguire il Brindisi con Trebbiano d’Abruzzo 2014 di Valentini!
Al Pomeriggio ore 15 presso / Consegna dei Diplomi di Sommelier
presso l’Hotel Rome Cavalieri - Via Alberto Cadlolo, 101 Consegna del Diploma di Sommelier di Fondazione Italiana Sommelier e del Diploma, riconosciuto in tutto il Mondo, di Worldwide Sommelier Association agli Allievi che hanno superato gli esami del 62° e 64° Corso per Sommelier di Roma, agli allievi del 21° Corso di Sommelier dell’Olio Extravergine di Oliva e consegna dell’Attestato d’Onore per i 10, 15, 20, 25 e 30 anni di appartenenza alla Fondazione Italiana Sommelier. I Nuovi Sommelier riceveranno inoltre la Tessera di Sommelier Per Sempre, le Insegne e il Tastevin. Ti aspettiamo alle ore 15 presso l’Hotel Rome Cavalieri, insieme alla persona a te cara. Alla cerimonia di consegna farà seguito un brindisi nella sala dedicata alla grande Festa di Fine Anno con il Barbera d’Asti 93
Informazioni da Fondazione
A seguire dalle ore 16 alle 21 / Festa di Fine Anno con il Barbera d’Asti
Banchi d’assaggio presso la Sede di Fondazione Italiana Sommelier all’Hotel Rome Cavalieri - Via A. Cadlolo, 101 Grande festa alla fine di un anno meraviglioso, che ha fatto registrare moltissime attività culturali della nostra Fondazione Sommelier a Roma e nelle Sedi d’Italia. Oggi la Barbera d’Asti sarà Regina di questa splendida giornata per brindare insieme ai 200 Nuovi Sommelier del 62° e 64° Corso di Roma e per consegnare ai nostri Iscritti più affezionati l’Attestato d’Onore dei 10, 15, 20, 25 e 30 anni di appartenenza. La Barbera rappresenta oggi un vino in continua evoluzione, che cresce seguendo le nuove conoscenze in campo viticolo ed enologico. Con la collaborazione del Consorzio Barbera d’Asti e dei Vini del
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Monferrato degusteremo una selezione dei vini di diverse aziende presenti sul territorio. L’elenco dei produttori che parteciperanno all’evento: Banfi - Cascina Cabonaldo - Corte San Pietro - Franco Ivaldi Franco Roero - Marchesi Alfieri - Poderi Dei Bricchi Astigiani Roberto Ferraris - Rovero - Tenuta Garetto - Tenuta Santa Caterina - Tenuta Tenaglia - Vite Colte
Prenotazione: obbligatoria. Contributo di partecipazione: ingresso gratuito. Per prenotare clicca qui.
Durante il Pomeriggio dalle ore 18 alle 20,30 / Barbera d’Asti: Seminario di degustazione alla cieca
Nell’ambito della Grande Festa di Fine Anno con il Barbera d’Asti un Seminario di degustazione verrà dedicato a uno dei vitigni più rappresentativi del Made in Italy nel mondo, la Barbera d’Asti. Attraverso gli assaggi scopriremo le sfumature, le diverse procedure di vinificazione e i diversi territori d’elezione della Barbera. Guidati da un Docente di Fondazione Italiana Sommelier e dal Presidente del Consorzio del Barbera d’Asti Filippo Mobrici assaggeremo alla cieca le diverse proposte di cui sveleremo solo al termine della degustazione le etichette selezionate.
Prenotazione: obbligatoria. Contributo di partecipazione: 10 Euro Per prenotare cicca qui.
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l’Oliol’Olio è l’Olio è
❖ A PARTIRE DAL 12 MAGGIO 2017 ❖ ❖ A PARTIRE DAL MAGGIODAL 2017 ❖ 12 A PARTIRE 12 ❖ MAGGIO
ALL’HOTEL ROME CAVALIERI ALL’HOTEL ROMEAC LLAVALIERI ’HOTEL ROME CAVAL IL 17° CORSO PER SOMMELIER DELL’OLIO IL 17° CORSO PER OMMELIER ’O LIO IL S17° CORSO DELL PER S OMMELIER D ◆❖◆ ◆❖◆
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INFORMAZIONI SU WWW.BIBENDA.IT INFORMAZIONI SU WWW.BIBENDA .IT INFORMAZIONI SU WWW.BIBENDA. PER ISCRIVERSI TEL. 06 8550941 PER ISCRIVERSI TEL. 06 8550941 PER ISCRIVERSI TEL. 06 8550941
❖ A PARTIRE DAL 12 MAGGIO ❖ Fondazione Italiana2017 Sommelier
Fondazione ItalianaFondazione Sommelier Italiana Somm
CENTRO INTERNAZIONALE PER LA CULTURA DEL VINO E DELL’OLIO con il INTERNAZIONALE Riconoscimento Giuridico della Repubblica CENTRO PER LA CULTURA DEL VINO EItaliana DELL’OLIO CENTRO INTERNAZIONALE PER LA CULTURA DEL VINO
ALL’HOTEL ROME CAVALIERI IL 17° CORSO PER SOMMELIER DELL’OLIO
con il Riconoscimento Giuridico della Repubblica Italiana con il Riconoscimento Giuridico della Repubblica
www.bibenda.it bibenda@bibenda.it
direttore
Franco M. Ricci
Caporedattore centrale Paola Simonetti
Hanno collaborato a questo numero
Foto
Carlo Attisano, Cinzia Bonfà,
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Lorenzo Costantini, Bruno Frisini,
© Vito Gallo (pag. 71,72,73)
Elvia Gregorace, Daniele Liurni, Pietro Mercogliano, Ilaria Oliva,
Consulenti dell’Editore
Barbara Palombo, Maria Grazia Pennino,
Ruggero Parrotto Progetti Sociali
Pasquale Petrullo, Antonella Pompei,
Michele Federico Medicina
Maurizio Saggion, Neonila Siles.
Stefano Milioni Edizioni Franco Patini Internet
Grafica e Impaginazione
Carlotta Pirro Avvocatura
Fabiana Del Curatolo
Attilio Scienza Viticoltura Gianfranco Vissani Cucina
B ibenda p e r r e n d e r e p i ù s e d u c e n t i l a c u l t u r a e l ’ i m m a g i n e d e l v i n o
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Anno XVIII
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Direzione, Redazione e Amministrazione 00136 Roma - Via A. Cadlolo, 101 - Tel. 06 8550941 - Fax 06 85305556
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Iscrizione al Registro Operatori della Comunicazione al n° 9.631
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L’analisi sensoriale, che evidenzia la qualità dei vini di tutte le nostre recensioni, viene effettuata con metodo e scuola di Fondazione Italiana Sommelier. Bibenda, la rivista nata nel 2002 su progetto grafico originale di Bets Design S.r.l., Roma. Altre Pubblicazioni di Bibenda Editore | BIBENDA il Libro Guida ai Migliori Vini, Grappe e Oli | L’Arte del Bere Giusto / Il Gusto del Vino / Il Vino in Italia e nel Mondo / Abbinare il Vino al Cibo / Il Dizionario dei Termini del Vino (sono i testi del Corso di qualificazione professionale per Sommelier riconosciuto in tutto il mondo) | Ti Amo Italia (la pubblicazione in inglese su Vino e Cibo italiani) | Il Quaderno di Degustazione del Vino.
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