BIBENDA n° 84

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Anno XIX - n. 84 - Settembre 2020

84 duemilaventi

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copertina > Una riflessione del Direttore su come il Covid 19 abbia influito negativamente sui settori vino e ospitalità. Due argomenti che ci stanno particolarmente a cuore. Ma tra decoro e indecenza, la scelta spetta solo a noi. A pagina 1.

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Il vino come Listerine / di Franco M. Ricci Riflessioni su Babette e il suo pranzo / di Daniela Scrobogna Pétrus / di Paolo Lauciani Evo nuova Era / di Maurizio Saggion Grottaferrata, Grottaferrata / di Luca Grippo Rapolano Terme, un territorio tutto da scoprire / di Salvatore Marsillo Lassù in Malga / di Vincenzo Paolo Scarnecchia Un picnic d’eccellenza / di Carlo Attisano In nome della Rosa / di Barbara Palombo Uno, nessuno e centomila: i mille volti del vino / di Carlotta Pirro Nel regno del Bellone / di Antonella Pompei L’intervista: Annamaria Bernardini de Pace / di Elvia Gregorace Svolta Green e Enoturismo: nuove opportunità / di Anna Lorena Fantini La Doc Friuli Aquileia / di Maria Teresa Gasparet Professioni straordinarie / di Federico Sorgente Distillati &... Stradivari, Maunder, la Grappa e l’estro armonico della natura / di Massimo Billetto A tavola con i produttori / di Cinzia Bonfà Qatar, un nuovo inizio / di Redazione Due calici di Champagne / di Manlio Giustiniani Prosecco Rosa? / di F. Busato e R. D’Alessandro Crucibenda / di Pasquale Petrullo Informazioni da Fondazione / di Arianna Brocchetti


EDITORIALE

IL VINO COME LISTERINE Suono di chitarre dai balconi, canti che si levano dalle finestre, bandiere che avvicinano la gente in quarantena, sono stati compagni del tempo nei mesi di isolamento forzato. Ma abbiamo notato moltissimi avvenimenti, anche spassosi, ilari, scherzosi che abbattevano la noia del sacrificio di stare chiusi in casa. Due fatti mi hanno colpito particolarmente, perché del nostro mondo: vino e ospitalità. Alcuni produttori di vino in preda al panico per le scarse vendite hanno lanciato un’idea da premio Nobel. Il vino rosso quale terapia antivirus (!). Non in quanto piacevolezza da bere ma, udite udite, quale gargarismo per la gola, la sera, prima di andare a letto. Insomma, un medicamento, con tanto di sciacqui e relativo sputazzo per disinfettare il cavo orofaringeo! Lo hanno gridato ai quattro venti, lo hanno scritto e fatto approvare anche da medici che sicuramente non sanno che il vino è una bevanda idroalcolica, oltretutto anche buona. Ho immaginato come potesse essere un messaggio pubblicitario in TV di questa formula medicamentosa, con degli attori principali come Piero Antinori e Angelo Gaja… No. Impossibile. Non lo avremmo mai visto questo “Carosello” perché la loro deontologia è pari alla nostra, lontana anni luce da quei poveracci che hanno gridato: “Usate il vino rosso invece del Listerine!” Non ho letto come consigliavano di ingurgitarlo, quel vino, in eccesso nelle loro cantine, se con un nostro bicchiere Riedel di grande qualità oppure direttamente dalla bottiglia, ma sicuramente una violenza così alla Cultura del Vino e alla Deontologia, non l’avevo mai vista. E alla faccia del Caffè Greco di Via Condotti o del Gambrinus di Piazza del Plebiscito, un’altra schifezza l’ho notata, a seguito di una permissività che il Governo ha voluto concedere ai Ristoranti e ai Bar, ossia poter allestire gratuitamente, senza tasse, davanti alla porta di ingresso del locale, uno spazio all’aperto per implementare i tavoli di servizio, il cui scopo era ovviamente quello di poter destinare uno spazio maggiore per il necessario distanziamento. Ebbene, ecco fatto. Vi offro l’immagine dell’opera d’arte realizzata in un Bar di Roma. Un monumento al cattivo gusto, che non ha bisogno di parole che spieghino quanto decadimento può esserci quando l’imbecillità ha il sopravvento. Spetta a noi decidere se accettare la sconcezza di usare il vino rosso la sera, per sciacquare la bocca prima di andare a letto, o se continuare a usare il collutorio. E spetta sempre a noi la scelta di sederci in un bar circondato di sporcizia indicibile. Franco M. Ricci 1


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RIFLESSIONI SU BABETTE E IL SUO PRANZO

RIFLESSIONI SU BABETTE E IL SUO PRANZO D a n i e l a

S c r o b o g n a

Una storia che può essere osservata da diversi punti di vista, ma che conserva un’evidente centralità nella gastronomia e nell’arte della cucina.

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RIFLESSIONI SU BABETTE E IL SUO PRANZO

Salpiamo per questo viaggio esplorativo nel libro “Il Pranzo di Babette” e in chi lo ha scritto, andando a riannodare fatti e riscontri che legano indissolubilmente Karen a Babette! Naturalmente parliamo di Karen Christentze Dinesen, baronessa von Blixen-Finecke, la scrittrice danese nota con vari pseudonimi (Karen Blixen il più conosciuto), che lo scrisse e pubblicò nel 1950 firmando il libro come Isak Dinesen. Questo racconto deve la sua fama anche al grande successo del film omonimo, vincitore di molti riconoscimenti internazionali, su tutti il premio Oscar nel 1988 quale Miglior Film Straniero. Il Pranzo di Babette – Breve riassunto: In un piccolo villaggio danese, in riva al mare, vivono due sorelle di una certa età, Martina e Philippa, zitelle e figlie puritane del pastore decano protestante, deceduto da tempo. Per comprendere il valore e il significato del Pranzo è importante evidenziare l’atmosfera triste e grigia del villaggio, che gli abitanti, vecchi e chiusi, contribuiscono a enfatizzare. Un giorno a casa delle due sorelle arriva una profuga proveniente da Parigi, Babette Hersant, sfuggita alla repressione de la Commune de Paris, durante la quale il generale Galliffet ha fatto uccidere suo marito e suo figlio. Viene accolta in casa e per molti anni svolge il ruolo di cameriera e tenuta un po’ in disparte. Nella storia è una figura marginale e un po’ in ombra fino a quando, dopo 14 anni di servizio, nel 1885, non accade un fatto sconvolgente. Babette vince una grossa somma di denaro alla lotteria francese, 10.000 franchi, che le permetterebbe di tornare in Francia e ricostruirsi una vita. Ma ecco il colpo di scena, Babette decide di spendere l’intero ammontare della cifra per preparare un vero e sontuoso pranzo francese, da offrire alla piccola comunità di bigotti luterani, per commemorare il pastore decano. Inizia così la parte sostanziale del libro/film che esprime proprio il senso del racconto. Da una parte le due sorelle e i paesani invitati che vedono nel banchetto una vera minaccia alla loro vita tranquilla e decidono pertanto, pur presenti alla tavola, di non proferire parola. Dall’altra parte la meravigliosa atmosfera scandita dalla preparazione, elaborazione e servizio del famoso pranzo. Babette non ha infatti acquistato soltanto il ■

Il pranzo di Babette

cibo più raffinato, ma anche le tovaglie di lino e i piatti di ceramica direttamente a Parigi.

La prima edizione danese

Un’escalation di raffinatezza, maestria, puro edonismo nell’arte della cucina!

fu pubblicata nel 1950

Il suo pranzo è al di fuori di ogni consuetudine sensoriale ed emozionale per i

e venne firmata con il nome

commensali. Il piacere e il gusto raffinato del cibo e dell’atmosfera squarciano il velo

di Isak Dinesen.

del modesto stile di vita del paese e tutti diventano affabili e felici. I presenti, seguaci di una vita priva di piaceri, saranno letteralmente sedotti dal pranzo di Babette. Tra i presenti il generale Loewenheielm racconta che al Café Anglais di Parigi cucinava uno chef donna, che riusciva con la sua cucina sublime a trasformare un banchetto «in una avventura amorosa».

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QUESTO IL MENU DELLA SERATA • Brodo di tartaruga • Blinis Demidoff (grano saraceno con caviale e panna acida) • Quaglie en sarcophage (Quaglie in crosta con salsa Périgourdine: foie gras e salsa al tartufo) • Insalata mista (Radicchio belga e noci in vinaigrette) • Formaggi misti • Savarin al rum con frutta glassata • Frutta mista (uva, pesche, papaia, ananas e melegrane) • Caffè con tartufi al rum • Friandises: pinolate, frollini, amaretti VINI IN ABBINAMENTO • Amontillado bianco ambra • Gran Cru Clos de Vougeot del 1846 • Champagne Veuve Clicquot del 1860 • Vieux Marc de Champagne

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RIFLESSIONI SU BABETTE E IL SUO PRANZO

Certamente si tratta di piatti destinati a palati raffinati, abituati

Inquadriamo il periodo storico nel quale visse Babette a Parigi,

ad assaporare i piaceri che la vita sa donare. Forse per questo

prima di trasferirsi in Danimarca. Quali sono gli eventi e

nessuno dei commensali (tranne il generale) riesce a comprendere

i personaggi che caratterizzavano la Parigi gastronomica di

il vero valore del banchetto. Il pranzo come vera opera d’arte!

quegli anni? Siamo nella seconda metà dell’800. Lei è una

Alla fine della cena e rimaste sole, Babette e le due sorelle

grande chef (molto quotata diremmo oggi) del Cafè Anglais,

intraprendono un dialogo che rappresenta la sublimazione

uno dei migliori ristoranti di Parigi. In quegli anni, a ridosso

del racconto. “Babette fece all’improvviso un sorrisetto, e

della guerra franco –prussiana, persa dalla Francia e da qui

disse: “E come potrei tornare a Parigi, mesdames? Io non ho

la nascita della Comune (1870-1871), Parigi era in grande

danaro.” “Non avete danaro?” gridarono le sorelle, come con

fermento. In un ristorante, allora tra i più esclusivi e ricercati,

una bocca sola. “No,” disse Babette. “Ma i diecimila franchi?”

il Petit Moulin Rouge, iniziò la sua strepitosa carriera Auguste

chiesero le sorelle, ansimando inorridite. “I diecimila franchi

Escoffier. Quindi prima che Babette lasciasse, costretta, Parigi,

sono stati spesi, mesdames” disse Babette. Le sorelle si misero

respirò necessariamente la stessa aria di Escoffier, si erudì sul

a sedere. Per un intero minuto non

Trattato della Fisiologia del Gusto

riuscirono a parlare. “Ma diecimila

di Brillat-Savarin dove l’autore,

franchi?”

antesignano, propose una lettura

sussurrò

lentamente

Martina. “Che volete, mesdames,”

quasi

rivoluzionaria

del

ruolo

disse Babette, con grande dignità.

di cuoco/chef e del piacere della

« Un pranzo» per dodici al Café

tavola, fino ad allora considerati

Anglais costerebbe diecimila franchi

come peccato.

“Cara Babette,” disse con dolcezza,

Parlando di Babette ci si lascia an-

“ non dovevate dar via tutto quanto

dare a considerarla reale e non un

avevate per noi”. Babette avvolse

personaggio magistralmente tratteg-

le sue padrone in uno sguardo

giato dalla penna di Karen Blixen.

profondo, uno strano sguardo: non

Ma dove arriva Karen e dove invece

v’era, in fondo ad esso, pietà e forse

si distacca la personalità di Babette?

scherno? “Per voi?” replicò. “No.

Ma Karen è Babette! A conferma

Per me.” Si alzò dal ceppo e si fermò

di questa affermazione, particolari,

davanti alle sorelle, ritta. “Io sono

atmosfere e conoscenze che solo

una grande artista,” disse. Aspettò

chi domina perfettamente i segreti

un momento, poi ripeté: “Sono una

dell’alta cucina può raccontare.

grande artista, mesdames.” Poi, per

Scavando nella vita di Karen Blixen

un pezzo, vi fu in cucina un profondo silenzio. Allora Martina

spicca la sua passione per la cucina, cucinare per lei era un

disse: “E adesso sarete povera per tutta la vita, Babette?”

piacere indiscutibile. Fatto che emerge anche nel romanzo La

“Povera?” disse Babette. Sorrise come a se stessa. “No. Non sarò

mia Africa, dove parla del suo aiutante cuoco locale, Kamante,

mai povera. Ho detto che sono una grande artista. Un grande

con l’istinto della cucina che, sottolinea l’autrice, se fosse nato

artista, mesdames, non è mai povero. Abbiamo qualcosa,

in Europa e avesse avuto un maestro intelligente, sarebbe

mesdames, di cui gli altri non sanno nulla.”

diventato un uomo famoso.


Una scena del film di

Gabriel Axel, nella pagina accanto un ritratto della scrittrice Karen Blixen.

Riguardo se stessa afferma: Io stessa ero appassionata di cucina: tornando per la prima volta in Europa avevo preso lezioni dallo chef di un noto ristorante francese. Sarebbe stato divertente poter preparare dei buoni piatti in Africa, pensavo. Vedendo il mio entusiasmo, lo chef, Monsieur Perrochet, mi aveva proposto persino di dirigere il ristorante insieme a lui. A conclusione, la contrapposizione tra madre e figlia: nel racconto da una parte c’è Babette (Karen), l’artista capace di gioire nel far godere dei piacere della carne i suoi ospiti, dall’altra gli sprovveduti commensali (sua madre!) con le loro paure, rigidamente legati alla religione luterana. Dopo la morte del padre ad assumere le redini della famiglia fu la madre Ingeborg Westenholz, la quale educò i figli seguendo una rigida disciplina morale, vista la sua appartenenza ad una Congregazione religiosa unitaria. Karen si ribellò a tale educazione che etichettò come priva “del gusto di divertirsi – o, per dirla con simboli, di godere il vino della vita – e tendeva a credere che la felicità umana consistesse in una dieta di pane e latte”. Babette è molto di più di un racconto, è la presa di coscienza della Cultura gastronomica con la C maiuscola! Noi appassionati di enogastronomia siamo Babette/Karen perché ormai questo tipo di cultura fa parte della nostra vita! Ne siamo completamente soggiogati! Osservò le stelle che erano lassù e pensò di essere stato condotto a percorrere strane vie. – Le ali che ho guardato e desiderato tutta la vita, -si disse- mi sono state finalmente accordate, perché io le possa ripiegare! Grazie a coloro nelle cui mani sono stato e sono. Da Tempeste, Capricci del destino, Karen Blixen. 7


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P a o l o

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PÉTRUS

L a u c i a n i


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PÉTRUS

LO CHÂTEAU SENZA CHÂTEAU È giusto, è “morale”, è comprensibile che una bottiglia di vino la cui produzione prevede dei costi vivi di circa 40 euro arrivi al pubblico a quasi 5.000? Ed è normale il fenomeno per cui tale bottiglia è al tempo stesso una delle più collezionate e delle meno bevute al mondo? La risposta immediata di quasi tutti sarebbe di certo un “no” ma al di là delle considerazioni razionali che possiamo esprimere al riguardo, il fenomeno Pétrus, come quello di analoghi miti enologici, fa riflettere su quanto sia importante il valore “immateriale” del vino, paragonabile solo a quello delle grandi opere d’arte. Un valore che non scaturisce solo da fattori economici (costi di realizzazione, domanda-offerta, magari anche qualche speculazione), ma è fortemente dipendente da elementi come il prestigio del marchio, la storia, l’originalità, l’esser diventato un simbolo, un punto di riferimento, un modello al quale ispirarsi ma unanimemente ritenuto inarrivabile. Il vino più caro di Bordeaux ha una storia relativamente recente: possiamo collocare le sue origini intorno al 1750, quando Jacques Meyraud acquistò dalla famiglia Voisin un vigneto nella località nota appunto come “Pétrus”, forse dal romano che possedeva quelle terre in tempi remotissimi. Dopo vari avvicendamenti di proprietà, alla metà del XIX secolo Pétrus era considerato il terzo vino di Pomerol, dopo Vieux Château Certan e Trotanoy. Nel 1917 la cantina fu acquistata dall’ex direttore, tale Sabin-Douarre, che creò la Société Civile du Château Pétrus. Nel 1923 diventò sua socia la più famosa albergatrice di Libourne, Marie-Louise Loubat, che nel 1929 rimase unica proprietaria. Nel 1940 assunse Jean-Pierre Moueix per gestire la produzione e la distribuzione. Alla fine, dopo diversi anni, gli eredi della Loubat cedettero le loro quote alla famiglia Moueix, che acquisì completamente la tenuta. Dopo una breve collaborazione di Emile Peynaud, ne assunse la guida enologica Jean-Claude Berrouet, che rimase fino al 2008, quando lasciò il posto a suo figlio Olivier. La fama di Pétrus iniziò a lievitare (proprio come il suo costo) superando i confini francesi e insediandosi negli USA quando il presidente Kennedy si dichiarò pubblicamente suo estimatore. Il fascino della coppia presidenziale che tanti volevano imitare diede una spinta notevole al ■

Quando negli anni Sessanta

il Presidente J. F. Kennedy si dichiarò appassionato di Pétrus, la fama del vino negli States iniziò a lievitare, contribuendo in maniera decisiva a farne una leggenda.

diffondersi del vino, contribuendo in maniera decisiva a farne una leggenda. La celeberrima entusiastica recensione di Robert Parker sulla leggendaria vendemmia 1982 fece il resto. Cronaca recente è l’acquisto (nel 2016, ma mantenuto segreto per oltre due anni) del 20% della proprietà da parte del magnate colombiano Alejandro Santo Domingo, già azionista della Anheuser-Busch InBev, il più grande produttore di birra al mondo, per la cifra di duecento milioni di euro: questo significa che Pétrus vale oggi un miliardo… Il vigneto si estende su 11,4 ettari, suddivisi in dodici parcelle situate sulla sommità dell’altopiano di Pomerol (40 metri slm). Oggi è tutto piantato a Merlot, ma fino ai primi anni 2000 esisteva mezzo ettaro di Cabernet Franc, peraltro raramente utilizzato.

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Il suolo è costituito da due strati d’argilla: il top-soil è argilla scura (60-80 cm), la parte sottostante argilla blu, ricchissima di crasse de fer. Quando questo tipo di argilla assorbe acqua, diventa impermeabile; le molecole di acqua penetrano fra gli strati e, quando arriva il caldo secco estivo, idratano le viti. Semplice ma efficace. La densità d’impianto è di circa 6.600 viti/ha nelle parcelle più vecchie, mentre le più giovani sono vicine ai 7.000 ceppi. In media le vigne hanno quarant’anni di età e vengono ripiantate (un ettaro alla volta) ogni 7-9 anni. Nel 1985 è partito un programma di clonazione per proteggere le viti. In vendemmia gli acini sono raccolti uno alla volta e dal 2009 sono ulteriormente sottoposti a un selettore ottico. Le uve di ogni parcella vengono vinificate separatamente in dodici vasche di cemento a temperatura controllata, di capacità variabile dai 50 ai 130 hl. Al termine della malolattica si procede al taglio e il vino rimane circa venti mesi in barrique nuove per metà. Non esiste un “second vin”: tutto quello che non è ritenuto idoneo viene venduto come generico Pomerol. La produzione media è di 30-40.000 bottiglie l’anno: più o meno 3.000 l’ettaro, mezza bottiglia per pianta! 11


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PÉTRUS

Ma com’è in sostanza questo nettare iconico? Le esperienze

frutti neri maturi e ammantati dal misticismo dell’incenso. Il

dell’estensore di queste righe ne confermano la splendida at-

sorso è sontuoso e gentile, possente e carezzevole al contem-

titudine all’invecchiamento, ma anche l’ammaliante capacità

po. L’equilibrio armonioso delle parti, cesellato da un tanni-

di conquistare il degustatore quando

no paradigmatico e da un abbraccio

ancora l’evoluzione del vino è inci-

alcolico forte e discreto, si distende

piente. Il Pétrus 2015 è pura sensua-

in un interminabile congedo finale

lità. Da un tessuto rubino, vellutato e

che, con i suoi timbri di frutta ma-

compatto, si sprigiona elegantemente

tura, cioccolato e liquirizia, dà l’agio

la dolcezza conturbante delle viole

di rimeditare l‘esperienza dei sensi e

e dei gigli, ben arginata dal robusto

quella della mente, alla quale questo

contributo del tabacco e della polve-

vino strepitoso sa dettare percorsi vo-

re di cacao, a loro volta stemperati da

luttuosi e coinvolgenti.

Curiosità Liberamente tratto da L’irresistibile eredità di Wilberforce Un romanzo in quattro vendemmie Paul Torday, 2008 Non sono un alcolizzato. Ho la passione per il Bordeaux, tutto qui. Scesi dal taxi troppo in fretta. Un’insegna piccola e discreta annunciava Les Tripes de Normandie. Era un ristorante di grande successo, lo chef aveva un’ottima reputazione. A me della cucina non interessa granché. È la lista dei vini di un ristorante ad attirare la mia attenzione e sulla lista dei vini sul sito del Les Tripes avevo notato in bella mostra lo Château Pétrus del 1982. Un’annata dalla resistenza quasi eterna e sempre più difficile da trovare. Scovare un Pétrus del 1982 su una lista dei vini è come trovare un diamante per terra. Ma se capita, l’occasione va colta al volo. Il cameriere mi condusse al tavolo, chiesi la lista dei vini. «Il sommelier arriverà tra un istante, signore.» Mi guardai attorno, ansioso. Molta della mia felicità dipendeva dal sommelier. Sapeva davvero come conservare il vino? Come scaraffarlo? Come versarlo? Sfogliai rapido le pagine della lista, mi era sorto il dubbio che tutti i 1982 fossero già stati ordinati e bevuti da un pezzo, ero in apnea. Vidi lo Château Pétrus ancora in lista e sospirai di sollievo. Lo ordinai. «Château Pétrus, monsieur? È il più costoso fra i nostri vini, signore.» «Ho bevuto il 1975, il 1978 e il 1979. Non ho mai bevuto il 1982.» Il sommelier fece un grande inchino e disse «Vado subito a prenderlo. È un vino pregiatissimo, non va bevuto in fretta.» Poi prese la lista dei vini e fece qualche passo indietro, come in presenza di un sovrano, prima di sgattaiolare via.

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EVO NUOVA ERA

EVO NUOVA ERA M a u r i z i o

S a g g i o n

In questo articolo, alcune stimolanti riflessioni rivolte agli ultimi vent’anni di produzione olivicola durante i quali se ne è registrato un cambiamento epocale, fatto di cultura, progresso e sviluppo.

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EVO NUOVA ERA

Dieci aprile duemilauno. Da questa data si dipanano i dubbi e le incertezze sul percorso che avrebbe portato l’olio extravergine di oliva dall’essere considerato un prodotto di consumo a divenire il valore sociale e culturale della qualità. È noto a tutti gli appassioni di Evo l’incipit del manifesto in progress di Luigi Veronelli lanciato al mondo proprio vent’anni fa: “Ciascuno avverte. È in corso un epocale mutamento sociale. Coinvolge appieno l’agricoltura. Il divenire, per certi aspetti ■

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Raccolta annuale delle olive

rivoluzionario, del comparto olio d’oliva è già iniziato”.

e produzione dell’olio. Antica

Queste parole tracciano un solco temporale tra due culture e avviano un processo

incisione tratta da the Universe

irreversibile che offrirà due visioni del mondo produttivo olivicolo: quello dell’illusione

and Humanity, 1910.

della conservazione e quello della ragione della tradizione.


L’ILLUSIONE DELLA CONSERVAZIONE Il progresso, in qualsiasi disciplina, nasce dall’urgenza di guardare oltre il noto e comprendere le modalità più funzionali per ampliare il proprio agire in relazione alle intuizioni che permeano qualsiasi atto creativo. La conservazione è la negazione dell’atto generativo. La frase tipica del “si è fatto sempre così” e di “un tempo era meglio”, richiama pensieri che determinano azioni in grado di impedire nuovi processi produttivi tesi alla valorizzazione del potenziale contenuto in un oggetto o in un’attività, a danno, in special modo, di pratiche potenzialmente innovative. L’illusione considera il passato come il luogo delle risposte, della geometria lineare del pensiero e delle capacità, in un percorso che porta dall’esperienza al risultato. La storia ci insegna che, anche nell’ambito dell’olivicoltura, le strade della conoscenza e del progresso non seguono itinerari lineari ed unidirezionali. In ogni segmento temporale sono contenute intuizioni, errori, prassi innovative e contraddizioni. Pensiamo a Columella, agronomo e scrittore della terra, che nel primo secolo dopo Cristo aveva intuito e sperimentato le linee di maturazione delle drupe e ne aveva classificato il processo qualitativo tanto da attribuire a solo due momenti il tempo giusto per la raccolta e la spremitura: Oleum ex albis ulivis (ottenuto da olive verdi) e Oleum viride (da olive verdi nella prima fase di invaiatura). Quelle indicazioni sono oggi il patrimonio delle nostre produzioni di eccellenza. Il richiamo storico mi consente di sottolineare come la cultura sia figlia del suo tempo e che le logiche quantitative che hanno riguardato la produzione di olio, hanno prevalso nei secoli -spesso comprensibilmente- sui vantaggi qualitativi di un frutto dal potenziale nutraceutico straordinario, non percepibile se non altro per le scarse

tecniche estrattive disponibili.

Moderato Columella di Jean de

Ritratto di Lucio Giunio

Tournes, 1559

L’olio, come sappiamo, era considerato ed utilizzato nelle comunità produttive locali per la struttura grassa, la natura conservativa, per il condimento e la cottura dei cibi e, marginalmente, per un uso estetico, saponi e unguenti; quasi sempre era associato all’olio un carattere simbolico e religioso. Era ben identificata la pratica di raccolta e assunto come dogma lo stato di maturazione avanzata dell’oliva. Poco interesse suscitavano le pratiche estrattive innovative e l’ordinario raccolto era quasi sempre affidato a terzi per la molitura. Questo ha determinano un gusto culturale identitario e statico perpetrato generazionalmente, tanto da definire i confini geografici e gustativi di una comunità. Tuttavia, la natura poliedrica dell’oliva e le esigenze crescenti del mercato, hanno avviato un processo di industrializzazione spinta della produzione di olio andato ben oltre i confini nazionali in termini di accaparramento della materia prima. Questo 17


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EVO NUOVA ERA

processo di omologazione del gusto, i numerosi marchi a

LA RAGIONE DELLA TRADIZIONE

fronte di una differenza minimale solo di prezzo e la presenza

Dentro ogni movimento di pensiero e di pratica, si situano idee

capillare nelle reti commerciali di tutto il territorio nazionale,

che lentamente si fanno strada e che, esperienza dopo esperienza,

ha determinato un allargamento della filiera tra i luoghi della

emergono e rappresentano valide alternative al pensiero prevalente.

produzione e quelli del consumo, sottraendo di fatto qualsiasi

Così, un gruppo di visionari dell’olio sparsi in diversi territori

significato storico e culturale all’olio acquistato.

italiani, ancor prima che Veronelli pubblicasse il suo Manifesto,

Dunque, utilizzi paralleli e non sovrapponibili: localizzato e

comincia a riflettere, separatamente all’inizio, collettivamente

legato alla piccola produzione familiare, di matrice industriale

poi, sulla vera natura dell’oliva e sul corpo di un olio coerente

per le esigenze commerciali nei luoghi di consumo massivo.

con l’anima profonda dell’olivo. Quei giovani mi ricordano i Ragazzi di Via Panisperna, riuniti

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Eppure, per entrambi i due universi, un’illusione collettiva, quella

intorno al fisico Enrico Fermi, con il solo obiettivo di esplorare

di avere scelto un aspetto preciso della storia: tradizione produttiva

l’anima della materia e comprenderne il senso profondo.

e del gusto nelle piccole comunità; prodotto a basso costo per i

I nostri giovani ricercatori dell’Evo, solo per citarne alcuni,

consumatori, condimento poco esigente e dal sapore uniforme of-

erano: Gianfranco Comincioli, Michele Di Gaetano, Giuseppe

ferto dall’industria. In entrambi i casi il gusto e la funzione hanno

Mazzocolin, Antonino Mennella.

consolidato l’immagine dell’olio, definendo e fissando la coinci-

Grazie alla loro passione e competenza, intuirono che quel liquido

denza di un prodotto a basso prezzo a caratteristiche organoletti-

giallo di facile degradazione, poteva e doveva essere qualcosa di

che riconoscibili e indiscutibili. Un gusto esclusivamente culturale

molto diverso se il punto di partenza fosse stata un’oliva sana,

non legato in nessun modo al potenziale del frutto.

allevata e raccolta nel giusto tempo.


Parallelamente al loro pensiero progrediva la tecnologia dell’estrazione e le nuove macchine si affacciavano al mercato con tutta l’incertezza e la precarietà della sperimentazione. Questo non scoraggiò produttori di olio e di apparecchiature per la frangitura, che compresero che si dovevano saldare i loro destini in progetti comuni indirizzati a regalare prodotti dalla mille virtù. Il processo virtuoso innescato fece emergere la ragione della tradizione, ovvero la certezza che il lavoro tra gli olivi fosse fondamentale per il raggiungimento della qualità. Il frantoio e la tecnologia alleati inscindibili del percorso qualitativo, grazie ad esempio alle temperature di esercizio e ai ridotti tempi di frangitura. Tutto ciò si può rappresentare come un disegno circolare che ha visto la tecnologia elevare la qualità del lavoro in campo, uno sviluppo che ha portato la pianta e l’oliva ad esprimere finalmente tutte le sue caratteristiche affinché venissero a sua volta valorizzate al meglio in frantoio, in un ciclo di miglioramento dinamico e permanente. Noi consumatori e appassionati dell’Evo, siamo i testimoni e i custodi di queste visioni divenute progetti. Con le nostre scelte quotidiane confermiamo la bontà di quelle intuizioni e confermiamo la centralità dell’Olio extravergine di qualità nel nostro sistema alimentare. Un legittimo interesse individuale che diviene bene collettivo perché, oltre a tutelare la nostra salute, con i nostri comportamenti incidiamo direttamente e concretamente nella conservazione di un ambiente sano. Le ricadute si riverberano sia in ambito produttivo sia sociale per la qualità dei posti di lavoro che si genereranno. Tutto questo e altro ancora di positivo avviene tramite la scelta di acquisto di una bottiglia offerta tra le tante eccellenze italiane, semplicemente. In fondo sta in questo la nuova era dell’Evo, nella rivoluzione gentile delle nostre scelte.

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GROTTAFERRATA, GROTTAFERRATA

GROTTAFERRATA, GROTTAFERRATA L u c a

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G r i p p o


“THESE LITTLE TOWN BLUES ARE MELTING AWAY… I WANT TO WAKE UP IN A CITY THAT NEVER SLEEPS AND FIND I’M KING OF THE HILL…”

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Sopra, l’attrice Sofia Loren e

GROTTAFERRATA, GROTTAFERRATA

A metà del secolo scorso, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i Castelli Romani erano

la sua villa ad Albano.

sulla bocca di tutti, non a caso personaggi pubblici, uomini politici, attori nostrani e stranieri

Nelle altre immagini,

prediligevano dimorare qui piuttosto che a Roma. Tra le viuzze di Marino, Ariccia, Grottaferrata,

l’abbazia di Santa Maria di

Frascati, Velletri o Castel Gandolfo, non era difficile imbattersi in Sofia Loren o Anthony Quinn

Grottaferrata, conosciuta anche

che nell’allegria e nella quiete castellana potevano darsi appuntamento. A quel tempo la campagna

con il nome di Abbazia di San

romana da pittoresca divenne mondana, tra ville di attori e cantanti e ristoranti frequentati da

Nilo. L’ultimo monastero greco-

illustri registi, non perse mai per un momento la sua vocazione di luogo schietto, dove la simpatia

bizantino in Italia.

della gente si accompagnava a vini altrettanto franchi e alla cucina casereccia. Poi l’oblio degli anni successivi, sia per via di un’urbanizzazione senza precedenti che ha trasformato i Castelli Romani in parte in dormitori alle porte dell’Urbe, sia per politiche poco attente alla salvaguardia dell’unicità, ci si è trovati tutt’un tratto e a torto scesi da quel podio di meraviglie che ha caratterizzato la zona per secoli, relegando i Colli Albani e Tuscolani a meta di un turismo mordi-e-fuggi. Oggi un forte segnale di cambiamento arriva da Grottaferrata, nella cittadina tra quelle più ricche di storia dell’areale, basti citare le tante necropoli che ospita, gli insediamenti di età romana, le

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catacombe erette dai primi cristiani e le preziose testimonianze architettoniche medievali legate all’influenza dei Papi in loco, è nato l’illuminato progetto “Gustati Grottaferrata” che vede la partecipazione associativa di nove ristoratori - La Casina del Buon Gusto, Il Cavallino in Villa, La Briciola, La Cavola D’Oro, L’Oste della Bon’Ora, Osteria del Fico Vecchio, Ristorante Mangiafuoco, Taverna dello Spuntino, Taverna Mari - che assieme all’Associazione Vignaioli in Grottaferrata - Villa Cavalletti, Emanuele Ranchella, Castel de Paolis, Gabriele Magno, Azienda Agricola Capodarco, La Torretta - si prefigge di rilanciare e promuovere attraverso

La Casina

l’enogastronomia più attenta la conoscenza e la cultura del territorio senza trascurare la

del buon gusto

produzione agroalimentare, innescando così un circolo virtuoso per attrarre i turisti più esigenti.

Via Gabriele D’Annunzio,

Abbiamo degustato per voi i vini prodotti dalle aziende Emanuele Ranchella e Villa

9, Largo Gorizia, 4

Cavalletti, due realtà emergenti che sembrano aver imboccato la giusta strada della

00046 Grottaferrata (RM)

qualità, in accostamento con i deliziosi piatti del ristorante La Casina del Buon Gusto, per

Cell. 349 183 1776

l’occasione preparati dal patron-cuoco Nunzio Panetta con aggiunta in cottura degli stessi vini, dei grandi classici della cucina locale realizzati con materie prime rare e ricercate. 23


La degustazione | Emanuele Ranchella Emanuele Ranchella ha trascorso l’adolescenza a contatto con il mondo contadino di Grottaferrata, è diventato agronomo e si è dedicato alla viticoltura con la stessa vocazione dei suoi avi che da coloni pontifici si trasferirono a metà Ottocento nella suggestiva località castellana, divenendo prestigiosi produttori vitivinicoli. Oggi il vignaiolo si ispira al lavoro dei suoi antenati coltivando 15 ettari di vigneto disposti su due appezzamenti, quello sulla via Anagnina ricadente nella zona delle Catacombe ad Decimum, un sito archeologico che ospita anche grotte del I sec. a. C. appartenenti alla villa attribuita al console Rufino Vinicio Opimiano, l’altro che rilancia un panorama meraviglioso dalla Valle Marciana, in origine cratere vulcanico, a scrutare la famosa abbazia di San Nilo, nata come chiesa bizantina. È il suolo vulcanico con la sua preziosa composizione minerale a foggiare i vini d’azienda che qui affinano nelle antiche grotte scavate a 12 metri di profondità, garantendo una maturazione ideale. Nel credo vinicolo di Emanuele ha gran rilievo il Trebbiano Verde, vitigno che trova corrispondenza con il Verdicchio marchigiano, varietà da secoli diffusa in zona ed oggi in gran spolvero. L’Igt Virdis 2018, la versione in purezza d’azienda, gode di un comparto odoroso di prim’ordine che richiama note di pesca, fiori bianchi, erbe di campo, una cascata d’agrumi, è felicemente chiazzato da toni di stampo minerale con una bocca saldamente fresca e sapida, campione risultato perfetto sul Moretum, un formaggio ovino cremoso alle erbe preparato da Nunzio Panetta seguendo la ricetta del De Re Rustica di Columella. Di stessa matrice fruttata ma maggiormente solare nel ventaglio d’aromi l’Ad Decimum 2018, bianco titolato al decimo miglio dell’antica via Latina dove è ubicato il vigneto, che segue il disciplinare della Doc Roma, prodotto da uve Malvasia Puntinata, Trebbiano Verde, Trebbiano Giallo, con i suoi barlumi giallo oro e un naso che si fregia di profumi di iris e frutta a pasta gialla, miele ed accenti minerali; appare pingue nel comparto calorico e tuttavia vitale grazie ad un côté fresco-sapido di tutto rispetto che lo ha fatto sposare egregiamente ai tonnarelli preparati con il medesimo vino.

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Alcune immagini dell’interno della catacomba Ad Decimum dove si possono notare diverse iscrizioni funerarie e tra le incisioni, una colomba che becca un grappolo d’uva.


â–

Emanuele Ranchella Via Campi d’Annibale 69/71 00046 Grottaferrata (RM) Cell. 333 696 1189 www.emanueleranchella.it

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La degustazione | Villa Cavalletti Benché di origine familiare tosco-emiliana Tiziana Torelli ha assorbito la cultura dei Castelli Romani in tutti i suoi aspetti, manifestando nei suoi racconti un legame che appare inscindibile e reciproco con questa terra, uno scambio, una felice osmosi. D’altronde la storia di Villa Cavalletti è esclusiva: è tra le più belle Ville Tuscolane sontuose residenze del patriziato romano - incastonata in un’area naturale meravigliosa, si erge su un’ampia collina da cui si può godere l’intera vista dei Castelli Romani e della Città Eterna e la sua storia appare ricchissima. Le parole di Tiziana evidenziano miti di un passato ed elementi culturali fortissimi, basti pensare alla presenza in loco di una necropoli preistorica le cui urne cinerarie sono visibili nel Museo Pigorini di Roma. Costruita nel 1602 su un fondo cardinalizio, la villa fu ampliata nel Settecento e presenta il classico scalone delle residenze nobili con un portale imponente e finestre minuziosamente ornate. Dal dopoguerra l’acquisizione da parte della Compagnia di Gesù crea nella tenuta la Curia Generalizia, ed è qui che il cardinale Joseph Ratzinger fondò l’Accademia per la Teologia del Popolo di Dio, proseguendo nella sua formazione fino alla nomina papale. In questo consesso squisitamente filosofico partecipava alle riunioni quale Padre Provinciale dei Gesuiti dell’Argentina il cardinale Jorge Bergoglio, il nostro Papa Francesco. Oggi la villa è in fase di ristrutturazione, l’edificio finemente restaurato dell’Accademia ospita l’agriturismo, mentre i sei ettari di vigna che furono dei Gesuiti, adiacenti alla necropoli neolitica, sono stati progressivamente reimpiantati a guyot e cordone speronato ed il suolo nutrito a sovescio e leguminose è coltivato in biologico. Nonostante un gradevole e brioso Spumante Charmat ottenuto da uve Trebbiano e Malvasia Puntinata, qui l’inclinazione produttiva è rossista. Ne è testimone il Cesanese in purezza Meraco 2017, da appassimento in pianta, tecnica “ripasso” e successiva maturazione di un anno in barrique. Ha fulgidi toni rubino screziati di granato, si apre intrigante con note di frutti di bosco e ciliegie in confettura, con visciole, violette, humus e una spolverata di spezie piccanti. Dopo incipit caldo si sviluppa rotondo e con tannini adeguatamente morbidi da farlo apprezzare particolarmente sui tagliolini al Cesanese preparati dal ristorante La Casina del Buon Gusto. All’Igt Meraco si affianca il Roma Rosso Riserva targato 2015, nato dal blend di Montepulciano e in minor quota di Cesanese, anch’esso maturato in barrique. Un rosso ben assestato su aromi di frutti di rovo e ciliegie nere, che integra nei giudiziosi toni di rovere un filo di spezie scure. La chiusura ben sapida suggella un sorso da vino piacevole e ben bilanciato che il cuoco Nunzio Panetta ha utilizzato per creare un’ottima riduzione per la succulenta tagliata di manzo.

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Villa Cavalletti Via XXIV Maggio 73/75 00046 Grottaferrata (RM) Tel. 06 945416001 www.villacavalletti.it


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RAPOLANO TERME, UN TERRITORIO TUTTO DA SCOPRIRE

RAPOLANO TERME, S a l v a t o r e

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M a r s i l l o


un territorio tutto da scoprire

Situata nel bel mezzo delle Crete senesi, a cavallo tra Chianti e Val di Chiana, Rapolano Terme offre un quadro ambientale di rara intensitĂ che raccoglie antichi borghi, mulini, piccoli laghi, boschi rigogliosi, pievi e fonti termali. 29


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RAPOLANO TERME, UN TERRITORIO TUTTO DA SCOPRIRE

In questa estate atipica, pesantemente condizionata dalle misure anti-contagio tuttora in vigore, la stragrande maggioranza degli italiani per le vacanze ha scelto destinazioni nazionali. I nuovi trend sembrano suggerire il ritorno a uno stile di villeggiatura Anni Settanta, quando si partiva prevalentemente in macchina o col camper alla scoperta delle meraviglie del Bel Paese. Le location più gettonate sono quelle marittime, seguite dalle città d’arte, mentre chi non ha ancora smaltito lo stress da lockdown sceglie le mete termali. La Toscana, nel bel mezzo delle Crete senesi, a cavallo tra Chianti e Val di Chiana, custodisce una gemma ancora poco conosciuta che racchiude in sé tutte le qualità per piacere: Rapolano Terme. Il suo territorio offre un quadro ambientale di rara intensità che comprende antichi borghi, piccoli laghi, boschi rigogliosi, pievi e sorgenti termali, note fin dai tempi degli antichi Romani. Nelle piscine le acque possono raggiungere i 39°C e contengono zolfo, come si intuisce dall’odore, e bicarbonato di calcio; uniti alla temperatura elevata, questi due elementi conferiscono alle acque proprietà curative particolarmente indicate per combatte le affezioni dermatologiche e degli apparati motori e respiratori. Peculiarità terapeutiche note anche a Giuseppe Garibaldi che nell’estate del 1867 arrivò a Rapolano Terme in cerca di un “buen retiro” dove rigenerarsi dalle ferite riportate in Aspromonte. Oltre alle acque termali, il sottosuolo ha donato un altro tesoro che nel corso dei secoli ha influito sostanzialmente sullo sviluppo economico di tutta la zona: le cave di travertino. Conosciuto e usato già dagli Etruschi, oggi è correntemente chiamato Pietra di Rapolano. Le sue tonalità cromatiche lo rendono diverso da ogni altro travertino e vanno dal bianco al marrone scuro con venature grigie, ocra e nere. A Siena la Pietra di Rapolano è stata usata per realizzare la parte apicale della Torre del Mangia che svetta in Piazza del Campo e la sede del Monte dei Paschi ma tutta la città, laddove non costruita in cotto, è stata fatta con questo travertino. Come se non bastasse, Rapolano offre ancora di più: i numerosi casali e cascine disseminati sul suo territorio testimoniano un’antica cultura contadina che continua a dare preziosi frutti, olii extravergine di oliva e vini robusti in testa. Il comune di Rapolano rientra in varie denominazioni: Chianti, Vin Santo del Chianti, Colli dell’Etruria Centrale e Grance Senesi. Quest’ultima è tra le più giovani della Toscana, istituita nel 2010, e trae il nome dalle antiche Grance Senesi che erano fattorie fortificate sorte nel XIII secolo per opera dello Spedale di Santa Maria della Scala di Siena 30


(così chiamato perché sorgeva proprio davanti alla scalinata del Duomo) con lo scopo di facilitare la gestione e lo sfruttamento dei suoi possedimenti terrieri. Questa istituzione infatti era un vero e proprio potentato economico costituito grazie alle elemosine e alle donazioni immobiliari di privati pro “remedio animae” e copriva un’area molto ampia del senese che abbracciava la Val d’Arbia, la Val d’Orcia e una parte della Maremma. La Grancia di Serre di Rapolano, frazione di Rapolano Terme, era una delle più importanti della provincia di Siena e oggi ospita un museo che documenta la storia di queste antiche fattorie.

La Toscana, nel bel mezzo delle Crete

senesi, tra Chianti e Val di Chiana, custodisce delle gemme ancora poco conosciute: Rapolano è una di queste.

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RAPOLANO TERME, UN TERRITORIO TUTTO DA SCOPRIRE

Il Sangiovese è il vitigno principe della denominazione Grance Senesi, insieme ad altre varietà autoctone come il Canaiolo, la Malvasia Bianca Lunga e il Trebbiano. Per strizzare l’occhio a un mercato sempre più globale che apprezza anche l’uso di vitigni internazionali, nel disciplinare sono stati inseriti anche il Cabernet Sauvignon e il Merlot. Ai prodotti enologici della zona si affiancano i sapori della cucina locale che rispecchia la tradizione gastronomica della regione e al tempo stesso vanta delle chicche peculiari solo di questa terra come la Focaccia di Rapolano. A dispetto del nome, che suggerisce una pietanza salata, si tratta invece di un dessert a base di pasta frolla, crema pasticcera o crema al burro. Il procedimento, per chi volesse cimentarsi, è tanto semplice quanto

La Ricetta

delizioso è il risultato finale.

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Ingredienti della Focaccia di Rapolano • 150 gr di mandorle tritate finemente, • 150 gr di burro, • 150 gr di zucchero, • 270 gr di farina, • 1 uovo intero e 1 tuorlo. Dopo aver impastato tutti gli ingredienti (per poco tempo, come tutte le frolle che si rispettino) formare, aiutandosi col mattarello, due dischi di circa mezzo centimetro da cuocere in forno per circa 20 minuti a 180°C. Quando saranno ben dorati sfornarli e farli raffreddare. Quindi bagnare un disco con Vin Santo e coprirlo di crema pasticcera (usare la ricetta della nonna) o di crema al burro (ottenuta incorporando a 100 gr di burro un etto di zucchero vanigliato, un tuorlo d’uovo e mezza tazzina di caffè). Infine appoggiarci sopra l’altro disco dopo averlo bagnato con Vin Santo sulla superficie che andrà a contatto con la crema. Spolverizzare con zucchero a velo e Buon Appetito!


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LASSÙ IN MALGA

LASSÙ IN MALGA

V i n c e n z o

P a o l o

S c a r n e c c h i a

“Abbiamo tutto quello che ci serve! Dobbiamo solo aprire gli occhi e imparare a riconoscere quali sono i regali che la natura ci dona. C’è così tanto da vedere, toccare e assaggiare. Da noi si riesce a sfiorare l’anima delle montagne.” Parola di malgaro!

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LASSÙ IN MALGA

In montagna, non si può dire estate se non si sale almeno una volta in malga e ci si trascorre una giornata. Praticamente è quasi un obbligo! Sì, perché le malghe sono luoghi dove potersi rilassare, godere di panorami mozzafiato, respirare aria buona, gustare, assaggiare, acquistare prodotti locali e dove poter riscoprire la bellezza delle cose semplici. L’occasione fa l’uomo ladro e io non me la sono lasciata scappare, l’Alpe di Siusi, situata nella parte occidentale delle Dolomiti e che si sviluppa tra i 1680 e i 2350 metri di quota, con un’estensione di 52 km² tra la Val Gardena a nord, il Gruppo del Sassolungo a nord-est e il massiccio dello Sciliar a sud-est, quest’ultimo Patrimonio Mondiale dell’Unesco dal 2009, che col suo inconfondibile profilo rappresenta uno dei più celebri simboli delle Dolomiti.

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Si arriva con la seggiovia, ancora qualche metro in pendenza e

sentieri di montagna o nei prati verdissimi, che emanano un

appena si esce dalla cabina la vista si apre sullo stupendo panorama:

profumo buonissimo di erbetta fresca. E se le mucche mangiano

al centro un grande pascolo, è il più grande d’Europa, sullo sfondo

erba buona, il latte sarà ottimo e i formaggi che farà il casaro

le montagne. Data la vastità della zona è possibile ammirare un

saranno di ottima qualità. Questo è uno dei motivi per cui in

gran numero di gruppi montuosi: tra gli altri, il Gruppo del Sella,

estate le mucche vengono portate in montagna, nelle malghe,

quello del Catinaccio o Rosengarten, e quello della Marmolada.

chiamate anche alpeggi. Con questi termini s’intendono sia i

Un luogo paradisiaco anche per un ristoro, perché la maggior

pascoli in quota, di solito a partire dai 600 metri di altitudine

parte delle malghe dispone di una locanda o di un punto

fino anche ai 2000-2500 metri, sia le costruzioni che ospitano

mescita. Arrivarci significa dover camminare a lungo per i

gli animali e chi se ne occupa.

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LASSÙ IN MALGA

Le piccole baite e le malghe sono spesso a conduzione familiare. La loro filosofia si basa sull’ospitalità: a partire da un cordiale benvenuto fino all’ottimo servizio e all’atmosfera accogliente che caratterizza le baite dell’Alpe di Siusi. Sfaccettate come il paesaggio che le accoglie, oltre ad essere un punto d’incontro di sciatori e ospiti che amano le attività dinamiche e comunque raggiungibili in molti modi, tra impianti di risalita, a piedi, in sci, snowboard e slittini o su una comoda carrozza, e che rappresentano una piacevole e meritata ricompensa di una gita su questo vasto altipiano. La malga Schgaguler, a 1905 metri, poco distante dalla stazione a monte della funivia Ortisei-Alpe di Siusi, è costituita da una terrazza ampia e spaziosa dove conigli, caprette “che ti fanno ciao”, pony e lama si lasciano avvicinare ed accarezzare. Flora e fauna fanno così da cornice straordinaria alla passeggiata che ci condurrà anche alla conoscenza di alcuni prodotti tipici, spesso piatti unici. Preparati con i migliori ingredienti, di consueto nelle malghe sono di produzione propria. Pietanze “sincere”, ispirate dai prati e dalla natura che le circonda: i classici Canederli, al formaggio, allo speck, ai funghi, la Herrengröstel, rosticciata di carne e patate, il Blütenkäse, formaggio speziato ai fiori, diverse qualità di yogurt, zuppa d’orzo con verdure, la Kaiserschmarren, un’omelette dolce servita con confettura di mirtilli rossi, i Buchteln, dolcetti di pasta lievitata ripieni di confettura di albicocche… Naturalmente, tutto rigorosamente preparato con uova e latte prodotti in malga. Tra i formaggi, una piccola rarità: il grigio, un formaggio particolarmente magro (contenuto in grassi pari al 2%) prodotto con il latte vaccino scremato per la produzione di burro e che può essere gustato in diversi modi: con l’aceto, l’olio extra vergine d’oliva e le cipolle, oppure con il burro fresco che ne valorizza il gusto tipico, oppure utilizzato come ripieno dei ravioli. E in tutto ciò, il vino? Unico grande assente, sostituito da generosi boccali di birra! Ha ragione il malgaro quando dice: “Abbiamo tutto quello che ci serve!”

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UN PICNIC D’ECCELLENZA

UN PICNIC

D’ECCELLENZA C a r l o

A t t i s a n o

Il concetto di Eccellenza è ampio, talmente ampio che non può essere ristretto e di conseguenza limitato ad un mero concetto di lusso. L’Eccellenza ha a che fare in primo luogo con la Qualità. Quindi la si deve cercare - e la si può trovare - anche nelle cose semplici e apparentemente piccole, come un picnic, ad esempio. L’Eccellenza non è “Cosa” ma “Come”.

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UN PICNIC D’ECCELLENZA

Amare il vino, studiarlo, appassionarsi ai suoi abbinamenti con il cibo, godere semplicemente della giovialità e della convivialità che esso è in grado di regalarci, sono attitudini che inevitabilmente ti portano, in maniera quasi naturale, a volerlo conoscere “direttamente”. Ed ecco allora che le Cantine diventano luoghi di visita, di assaggio, di conoscenza diretta. Ed ecco che negli anni, i Produttori, hanno giustamente reso questi luoghi sempre più accoglienti, sempre più confortevoli e atti ad ospitare platee di persone totalmente ben disposte a recepire il bello che c’è dietro la creazione di una bottiglia di vino: e così si svela la magia della conoscenza che va al di là del bere, che ti aiuta ad apprezzarla meglio, la magia che quasi completa. Quasi, sì, perché è solo infilandosi gli stivali di gomma e calpestando con amore e rispetto quella terra che fa da “culla” alle piante che hanno dato alla luce quei grappoli poi trasformati nella bevanda più antica al mondo, che riusciamo veramente a completare la nostra esperienza, a comprenderla. E la comprensione passa anche attraverso non solo la bellezza delle vigne perfettamente allineate e curate, ma anche attraverso la percezione della fatica, della dedizione e dell’amore che richiede il lavoro in questi meravigliosi luoghi. La cosiddetta “wine experience”, nei sereni tempi di “normalità”, veniva vissuta principalmente in Cantina, che rappresenta un po’ “l’altare” sul quale viene esposto il sacro nettare nel suo bellissimo abito che ogni produttore cuce rispecchiando la propria personalità o quella del territorio in cui nasce. L’altare sul quale si può toccare e degustare l’oggetto del nostro desiderio guidati dalle sapienti spiegazioni di chi a quell’oggetto ha dato forma e vita.

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Ma all’altare, normalmente, ci si arriva calpestando le fondamenta e attraversando un bellissimo colonnato che spesso viene solo intravisto per arrivare alla meta: ma senza quel colonnato e quelle fondamenta, non esisterebbe neanche l’altare. La metafora della vigna e del vino. E allora approfittiamo di questo momento buio che ci costringe a stare più distanti, a non poter parlare toccandoci come ci piace tanto, a non poter stare seduti “vicini vicini” a ridere delle cose buffe e a piangere per quelle tristi se non con le maledette mascherine che nascondono anche la bellezza del sorriso di un amico. Approfittiamone per dedicarci alla riscoperta dello stare insieme in quel luogo magico da dove tutto parte. La Vigna. Approfittiamone per ripartire dal territorio e dalla condivisione all’aria aperta con le persone. L’enoturismo di prossimità ci apre ad una forma perfetta di fruizione del nostro tempo libero attraverso meravigliosi “riti” che aprono alla conoscenza e alla convivialità: degustazioni tra i filari spesso accompagnate da eccellenze gastronomiche del territorio, vendemmie didattiche e rispettose passeggiate tra il silenzio dei vigneti. Cosa c’è di più bello, per Noi amanti di quel vino che tutto l’anno ci fa compagnia, che ci delizia, che ci consola e che rende la nostra vita in un certo senso migliore, che poterci rendere economicamente sostenibili e garantirci altri infiniti momenti di puro piacere tendendo una mano a quei Produttori che ne sono gli artefici? Un picnic d’eccellenza intriso di solidarietà per chi ci regala gioia tutto l’anno, di rispetto, di cultura e di amore per la natura. Perché “le mascherine” verranno riposte e noi saremo pronti a ridonare i nostri sorrisi senza filtri e più ricchi di prima. E allora approfittiamone!

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IN NOME DELLA ROSA

IN NOME DELLA ROSA B a r b a r a

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P a l o m b o


In degustazione, spesso sentiamo parlare di profumo di rosa. Ma questo riconoscimento olfattivo è molto piÚ ampio e interessante dei pochi semplici aggettivi che si utilizzano: il profumo della rosa si colloca in un mondo fantastico e affascinante.

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IN NOME DELLA ROSA

Perché il vino sia fonte di emozioni profonde è indispensabile scoprire la cultura dell’universo sensoriale: i nostri sensi vanno allenati, abituati, esercitati e istruiti. Attraverso l’uso corretto degli stessi possiamo tradurre il linguaggio del vino e individuarne la bellezza, il piacere e la bontà, affinché le corde della nostra anima inizino a vibrare. I nostri sensi sono cinque, anche se il più potente e il più sviluppato è l’olfatto, quello attraverso il quale percepiamo il mondo, quello che ha segnato la storia della nostra specie, classificando, in milioni di anni di evoluzione, le molecole odorose. L’uomo può distinguere circa 10.000 diversi tipi di odori, e la sensibilità dell’olfatto è 10.000 volte maggiore di quella del gusto. Le sensazioni evocate dal vino tramite il naso sono profumi netti, o sfumature, o ricordi; certo è che la sensibilità olfattiva va risvegliata: dobbiamo imparare a discernere gli aromi, a comprendere la complessità di un bouquet, a valutare la qualità olfattiva; dobbiamo dedicarci a capire, a studiare dettagliatamente, ad approfondire. A volte, durante la degustazione di un vino, sentiamo parlare di odore di rosa, spesso di rosa canina e assimiliamo tale nota ai vini rossi dalla sensazione legnosa, delicata e dolciastra. Ma questo riconoscimento olfattivo è molto più ampio e interessante dei pochi aggettivi che sovente si utilizzano: il profumo della rosa si colloca in un mondo fantastico e affascinante. 46


Clori, la ninfa dei fiori e della primavera della mitologia greca, un giorno inciampò nel corpo senza più vita di un’altra ninfa, e chiese aiuto ad Afrodite, dea dell’amore. Afrodite, mossa a pietà, trasformò la ninfa esanime in una bella rosa, e Dionisio, dio del vino, le donò un profumo dolce e inebriante, grazia ed eleganza. Zefiro, dio del vento di primavera, cacciò le nuvole e Apollo inviò i raggi per farla sbocciare. Con così tanti dei pronti ad aiutarla, non poteva che divenire la regina dei fiori. Miti e leggende sulle rose sono tanti. La rosa rossa è da sempre associata a Venere, dea dell’amore. Si narra che in principio le rose fossero tutte bianche, ma un giorno Venere, per correre dietro a uno dei suoi amanti, si punse il piede con le spine di un cespuglio di rose. Bagnate dal suo sangue le rose divennero rosse e rimasero così per sempre. Quello delle rose è un universo che racchiude significati diversi e contrastanti: vita, morte, spirito, passione, tempo, fecondità. Esistono molteplici varietà di rose dalle diverse forme, dai diversi colori e dai differenti odori: antiche e moderne; cespugliose, rampicanti, striscianti, ad arbusto, ad alberello, a fiore grande e a fiore piccolo; a fiore aperto con petali appiattiti, a forma di coppa con petali ricurvi verso l’alto, a punta, a forma di vaso, a rosetta, a coppa profonda e a pompon. Il colore deriva dai carotenoidi e dalle antocianine, dal bianco al rosso attraverso una infinità di sfumature. I corredi olfattivi sono differenti: mandarancio, vaniglia, gelsomino, ambra, legno, ciclamino, muschio, patchouli, e tanti altri, dall’intenso all’aromatico, dall’agro al dolce, dal fruttato allo speziato. 47


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IN NOME DELLA ROSA

Le Rose Nobili sono cinque, e costituiscono le specie di rose dalle grandi proprietà olfattive, con caratteristiche uniche ed esemplari: la Rosa Canina, la Mosqueta, la Centifolia, la Damascena e la Gallica. LA ROSA CANINA è la più comune; si trova in Africa, in Asia e in Europa; resiste al freddo e tollera il caldo; cresce anche su terreni aridi e fino a 1900 metri di altitudine; contiene vitamina C, ha un corredo olfattivo con note aromatiche calde, legnose, dolci, come di muschio, a volte un odore più frizzante, ma comunque un profumo naturale che sembra donare benessere. LA ROSA MOSQUETA è originaria del sud America, famosa nel sud del Cile, predilige ambienti umidi e freddi, ha rami spinosi con fiori che vanno dal rosa pallido al bianco, e genera un frutto di colore rosso particolarmente ricco di semi fonte di estrazione di un olio prezioso nella cosmetica. Contiene vitamina E, ha un bouquet olfattivo fatto di aromi burrosi, con note di miele e profumo di vaniglia. LA ROSA CENTIFOLIA, detta “Bulgara”, pare sia nata come ibrido tra una rosa Gallica e una rosa Damascena alla fine del XVI secolo in Olanda. Deve il suo nome ai molti petali di cui è formata, ben oltre cento; è una pianta poco fertile e raramente produce semi. Diffusa nella Valle delle Rose, tra Karlovo e Kazanlak, in Bulgaria, emana uno squisito profumo, aromi delicati di note legnose, sensazioni di miele ed effluvi balsamici. LA ROSA GALLICA è molto antica, conosciuta persino dai Greci e dai Romani; pare sia originaria dell’Europa centrale e dell’Est: molto resistente, ama terreni fertili e ben drenati e comunque è facile da coltivare. Non è molto spinosa ewww.f i rami sono ricoperti da una fitta trama di setole. Il suo profumo è speziato di pepe rosa e di incenso; odora di ebano, di ambra grigia, di alga e di terra. LA ROSA DAMASCENA, detta “Marocchina”, è diffusa in Bulgaria, Turchia e Marocco. Viene considerata la Regina delle Rose con 36 petali per ogni fiore, e più di 400 diverse sostanze aromatiche dall’odore inconfondibile, pur essendo molto delicato. L’olfatto è ricco e complesso, di agrumi come limone, arancio e pompelmo; fruttato di mela verde; note di erbe aromatiche, verbana e camomilla; aromi balsamici e marini; sensazioni di Cognac e Rhum.

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Ma allora possiamo comprendere che non è esauriente dire che un vino odora di rosa: il Barolo può sviluppare un odore di rosa canina, così come il Chianti o il Sangiovese di Romagna; la Freisa d’Asti può profumare di rosa damascena, così come il Moscato e il Gewürztraminer; il Syrah può esprimere sensazioni di rosa Gallica; in un Cesanese possiamo percepire la rosa Centifolia; uno Chardonnay elevato in barrique nuove acquisisce quelle note mielate e burrose proprie della rosa Mosqueta. “Ogni rosa pregna di intenso profumo, narra, quella rosa, i segreti del tutto” (Rumi): non si riesce a non subire il fascino della profonda essenzialità di questo fiore, sia esso in un olio, sia esso in una infusione, sia esso in un calice di vino. E allora, “in nome della rosa” soffermiamo sempre in nostro senso olfattivo su questo meraviglioso universo, e scopriamone la bellezza e l’anima.

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UNO, NESSUNO E CENTOMILA: I MILLE VOLTI DEL VINO

UNO, NESSUNO E

CENTOMILA: I MILLE VOLTI

DEL VINO C a r l o t t a

P i r r o

Per applicarlo all’argomento vino, abbiamo mutuato uno dei titoli più famosi del grande Luigi Pirandello, che per sua stessa dichiarazione lo ha definito il romanzo più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita.

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UNO, NESSUNO E CENTOMILA: I MILLE VOLTI DEL VINO

Non esiste un uomo uguale a un altro. Non esiste un vino uguale ad un altro. Talmente tanti e diversi sono i fattori che contribuiscono a “fare vino” che ogni bottiglia di questo nettare straordinario risulta unica nel suo genere. Non sono solo il clima, il terroir, l’ambiente a fare la differenza, ma soprattutto la mano dell’uomo: quel sapere antico riposto negli angoli delle famiglie che se lo tramandano di padre in figlio, di nonno in nipote. E così il vino diventa espressione di un territorio, assume le vesti dell’interpretazione di quel produttore, si fregia del vessillo di quella contrada. Orbene, tutta questa diversità va valorizzata, va incentivata, ma soprattutto va protetta. Ma da chi? E perché? La ragione è che come in tutte le cose c’è chi vuole sfruttare la poesia di questo prodotto per appropriarsene senza fatica, chi vuole approfittarsi del prestigio di un territorio senza farne parte, senza amare quel territorio, ma solo mosso dalla bramosia del profitto. Una forma di pirateria del vino. Si è da sempre sentita l’esigenza di tutelare il legame del vino con il territorio da cui proviene, pensiamo alla creazione, in Francia, del Comitato Nazionale delle Denominazioni d’Origine dei Vini e delle Acqueviti, divenuto poi nel 1947 l’Institut National des Appellations d’Origine des Vins et des Eaux-de-vie. L’istituzione di organismi di questo tipo ha creato i presupposti, in alcune zone, per identificare determinati fazzoletti di terra da cui proveniva il vino di qualità, l’eccellenza vinicola, sistema questo che ha poi trovato definitiva consacrazione nella tutela legislativa del sistema delle Appellation francesi. Da noi le cose, come in molti settori, sono cambiate lentamente a partire dai primi anni del novecento per emulazione dell’esempio francese, attraverso un malriuscito tentativo di proteggere la tipicità dei vini che si concretizzò nelle Leggi n. 562 del 1926, n. 1164 del 1930 e n. 1266 del 1937. La vera svolta normativa ci fu però nel secondo dopoguerra, probabilmente grazie anche alla necessità di rilanciare l’economia italiana e alla spinta del legislatore europeo. Fu così recepito in Italia il Regolamento del 1962, implementato in Italia con il d.P.R. n. 930 del 15 luglio 1963 con rubrica “Norme per la tutela delle denominazioni di origine dei mosti e delle uve”: si trattava della prima organica definizione della materia vinicola in Italia, in cui si distinguevano i vini da pasto da quelli di qualità prodotti in determinate Regioni. In questa sistemazione organica si cercava di conferire un primissimo concetto di tracciabilità, cercando di ancorare le qualificazioni geografiche attribuite ad un vino alla corrispondente zona di produzione, anche con la menzione del vitigno. A questo provvedimento seguirono, poi, nel 1966 i primi riconoscimenti delle Denominazioni di Origine Controllata (DOC) legate a terre di grandi vini che hanno fatto la storia dell’enologia italiana: Brunello di Montalcino, Barolo, Barbaresco, Vernaccia di San Gimignano, cui seguirono nel 1980 le Denominazioni di Origine Controllata e Garantita (DOCG). 52


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UNO, NESSUNO E CENTOMILA: I MILLE VOLTI DEL VINO

Seguì la svolta della Legge n. 164/1992 che introdusse, accanto alle già presenti DOC e DOCG, il tertium genus delle IGT: categoria che andava a identificare dei vini per così dire diversi da quelli di qualità prodotti in regione determinata. Soltanto che questo intervento legislativo fu al centro di numerosissime critiche nel settore enologico: questo perché se da un lato aveva avuto il merito di far crescere notevolmente il numero di vini a denominazione, dall’altro veniva accusato di non riuscire ad attribuire l’effettiva qualità dei vini all’interno della denominazione che andava così ad abbracciare vini tra loro molto diversi. Fu questo il periodo in cui prestigiosi produttori, con polemico coraggio, autodeclassarono i loro vini portandoli da DOCG a IGT, con l’intento di denunciare l’incapacità del legislatore di valorizzare le qualità tipiche delle singole vigne, con disciplinari a maglie troppo larghe in fatto di rese, sistemi d’impianto e di allevamento delle viti. Ed è qui che si colloca la necessità dei produttori virtuosi italiani, l’essenza stessa della valorizzazione del terroir di cui l’Italia ha bisogno, a prescindere dai successivi interventi normativi che, sulla scia delle decisioni del legislatore comunitario, nel tempo hanno modificato il nome ed il numero delle categorie delle denominazioni (da DOC e DOCG a DOP e da IGT a IGP) in nome di una sorta di rivoluzione dettata dalla riforma europea dell’Organizzazione Comune di Mercato. Il nostro Paese ha bisogno di elevare e nobilitare la sua produzione, in nome di una tradizione millenaria, visto che le prime barbatelle piantate sul nostro territorio, come anche oltralpe, portano la firma dei legionari romani che le avevano in dotazione come “pacchetto di sopravvivenza” insieme al famigerato sacchetto di farro per ricevere nutrimento e sussistenza. In questa direzione virtuosa si muove il decreto recentemente firmato dalla Ministra alle Politiche agricole Teresa Bellanova, di concerto con i Ministri Dario Franceschini (Beni Culturali) e Sergio Costa (Ambiente), interamente dedicato alla viticoltura eroica, che rende concreto un risultato atteso da tempo, in seguito all’articolo 7 comma 3 del Testo Unico del Vino dove la vite e i territori viticoli vengono considerati patrimonio culturale. Tale valorizzazione dei vitigni storici ovvero eroici avverrà grazie allo stanziamento di specifiche risorse finanziarie di cui la viticoltura eroica potrà godere proprio per realizzare interventi di gestione della vigna con pratiche tipiche del territorio, quali ad esempio il consolidamento delle strutture con tecniche tradizionali come i muretti a secco o i ciglioni. Inoltre l’impianto di vitigni autoctoni, la promozione e pubblicità delle uve e dei vini riconducibili alla “viticoltura eroica o storica” potrà essere tutelata anche mediante l’uso di un marchio nazionale. Questo farà sì che anche il consumatore più distratto sarà reso edotto delle caratteristiche specifiche di quel prodotto e sulle difficoltà intrinseche alla produzione per l’ottenimento di quel vino che si accinge a comprare. 54


Come egregiamente evidenziato anche nei recenti “Stati Generali” organizzati dal Premier Conte, il vino costituisce una grande opportunità del nostro Paese, rappresentando la cultura italiana al pari dell’architettura, della poesia o della letteratura. Investire con convinzione nel vino, anche con l’insegnamento, vorrebbe dire sviluppare il made in Italy con riflessi positivi per l’intera economia nazionale, magari utilizzando anche una parte dei fondi europei destinati al nostro Paese. L’Italia ha quindi una missione importantissima da portare avanti: quella di dare voce ai numerosi produttori virtuosi che svolgono con passione ed impegno il loro lavoro, dando voce ad un territorio e facendosi portabandiera nel mondo di un prodotto di qualità che da “bevanda alimento” è assurta al ruolo di eccellenza, di lusso, di prodotto di qualità emblematica espressione del made in Italy, non replicabile se non in quella determinata regione o zona, con quelle condizioni pedoclimatiche particolari e con l’aiuto di quel sapere antico tramandato di nonno in nipote e che deve essere preservato e custodito nel tempo.

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NEL REGNO DEL BELLONE

NEL REGNO DEL BELLONE A n t o n e l l a

P o m p e i

Già conosciuto dagli antichi Romani, Plinio lo descrive come un vitigno “tutto sugo e mosto”, è molto diffuso nel Lazio, specie nella provincia di Roma, e un po’ in tutta l’Italia Centrale. Il Bellone, quando è ben fatto, è una piccola perla.

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NEL REGNO DEL BELLONE

Nel Lazio si fa il vino fin dalla notte dei tempi. Condizioni storiche e sociali non hanno fatto corrispondere, ad una grande diffusione della vite e ad una gran quantità di vino prodotto, un adeguato livello qualitativo, ma questa è una situazione in continua evoluzione, che oggi si presenta diversa e diversificata. Negli ultimi 10-15 anni, un numero sempre maggiore di aziende e di vignaioli ha deciso di orientare la propria produzione verso una qualità che sia specchio fedele del suo territorio. Un territorio baciato da Dio, con il suo clima mite e temperato, la preziosità dei terreni vulcanici, i diversi microclimi, il ruolo di volano termico esercitato dai numerosi Sopra, una veduta del

laghi, quasi tutti vulcanici, e l’influsso benefico portato dagli oltre 300 km di costa.

famoso ponte che collega

Non ultima, la ricchezza ampelografica, con la presenza di tutti i più importanti vitigni

Ariccia ad Albano Laziale.

internazionali e, soprattutto, di un numero consistente di vitigni autoctoni che stanno

disegnando con caratteri netti l’identità vitivinicola dei vari territori della regione, basti pensare al successo del Cesanese degli ultimi anni e all’evoluzione qualitativa del Frascati. A sud dei Castelli Romani, nel lembo nord-occidentale della provincia di Latina, si insinua un’area che negli ultimi anni sta facendo parlare di sé per produzioni di vini sempre più interessanti e spesso di elevata qualità, frutto di ricerca, di sperimentazioni e di scelte concrete di valorizzazione dell’elemento naturale e del genius loci. Parliamo delle colline intorno alla cittadina di Cori, in provincia di Latina, regno indiscusso dell’altro eccellente vitigno autoctono a bacca nera laziale, il Nero Buono, detto anche Nero Buono di Cori. Una zona coperta di vigneti, regno anche del Bellone, vitigno a bacca bianca, per molti anni relegato a piccole produzioni familiari e grossolane che oggi sta conoscendo una seconda vita. Spesso vinificato in purezza, con il tramonto definitivo dell’uso delle botti e felicemente sperimentato nella spumantizzazione, sia Charmat sia Metodo Classico, con sorprendenti risultati. Percorrendo la strada che attraversa le colline coresi, incontriamo una distesa di vigneti, che appartengono a due aziende rappresentative del territorio, Cincinnato e Carpineti, che vinificano il Bellone sia fermo che nella versione spumante. Cincinnato è una cantina cooperativa di 250 soci che allevano le loro vigne secondo criteri aziendali condivisi, improntati alle basse rese, all’alta densità per ettaro e alla continua ricerca della qualità attraverso la sperimentazione. Così, ai soci conferitori, le uve vengono pagate non secondo la quantità, ma in base alla loro qualità. Nazzareno Milita, presidente della cantina e socio conferitore, ci racconta che proprio grazie all’esperienza trentennale e alla ricerca si è arrivati, per il Bellone fermo, al definitivo abbandono delle botti, che era già andato progressivamente diminuendo negli anni. Quest’anno, l’azienda ha presentato il Korì, un nuovo spumante millesimato non dosato a base di Bellone, che va ad affiancare gli altri due spumanti, uno Charmat e un Metodo Classico Brut Millesimato. Due le versioni ferme: Castore, il bianco di 58


entrata, piacevole e immediato, e l’Enyo, prodotto con le uve

Bianco Igt da uve allevate su suoli vulcanici raccolte a settembre,

migliori dei vigneti più vocati.

sottoposte a pressatura soffice e fermentazione svolta in acciaio a

Il Korì Metodo Classico Pas Dosé 2016 arriva da una sosta sui lieviti

temperatura controllata. Il Capolemole ha un profilo aromatico

di oltre 36 mesi. Colore dorato brillante, perlage fine e abbondante,

improntato ai profumi di agrumi, frutti esotici e fiori bianchi. In

continuo. Intenso ed elegante nei profumi di burro, crosta di pane,

bocca è fresco, immediato e piacevole, dal finale molto sapido

sesamo, frutta matura ed erbe aromatiche, seguiti da ricordi minerali

e minerale. Anche Marco Carpineti ha sperimentato il Metodo

e inconsuete folate di resina. Sorso fresco, elegante, ricco e cremoso,

Classico in questa zona, non solo da uve Bellone ma anche da

lungo finale che ripropone la morbidezza e note balsamiche.

Nero Buono. Lo spumante Kius, Brut Metodo Classico da uve

L’azienda di Marco Carpineti, sempre a Cori, produce vini dal

Bellone, arriva da un affinamento sui lieviti per circa 24 mesi.

1994 secondo i principi dell’agricoltura biologica. Accanto ai

Colore giallo paglierino con riflessi dorati, profumi fruttati con

rossi da Nero Buono, con il Bellone si produce il Capolemole, un

note di lievito, gusto fresco e sapido, di buona persistenza.

Curiosità

Nella zona di Anzio e Nettuno, in provincia di Roma, prende il nome di Cacchione. A Olevano e a San Vito Romano è conosciuto come Uva Pane, ma anche come Arciprete, Zinnavacca e Pacioccone. Concorre a far parte del disciplinare della Doc Frascati e della Docg Frascati Superiore, delle Doc Nettuno e Marino. Più spesso viene oggi utilizzato come monovitigno. Le scelte stilistiche orientate verso la vinificazione in purezza hanno trovato nel Bellone un buon alleato, che grazie alla sua struttura e al buon nerbo acido, ne hanno spinto la sperimentazione in versione spumante, con ottimi risultati.

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L’intervista Annamaria Bernardini de Pace

E l v i a

G r e g o r a c e

Annamaria Bernardini de Pace, perugina di nascita, proveniente da una famiglia di giuristi di lunga tradizione, è un famoso avvocato divorzista del foro di Milano.

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L’intervista

Ritratto di Bob Krieger

Esplosiva, estroversa, di bell’aspetto Annamaria Bernardini de Pace è l’indiscussa tigre del foro. Possiede il potere profetico di Cassandra, incarna la forza della vita di Giunone e lo spirito guerresco di Atena. Nasce a Perugia da genitori leccesi, discende da una famiglia di avvocati, è amante del bello. Arreda personalmente i suoi studi di Milano, Roma, Padova, Bergamo e Ameglia (La Spezia) privilegiando il colore amaranto forse per il significato che dà all’amicizia, ai valori in cui crede, ai rapporti interpersonali che ha l’abilità di costruire, l’empatia che la contraddistingue. Amaranto è anche il nome della pianta sacra “che non appassisce” proprio come lei che come il buon vino più va avanti con gli anni e più ammalia le persone e si lascia assaporare alla vista, poi al naso e infine al palato. Per uno strano gioco del destino mentre l’amaranto è offerto come augurio foriero di rapporti duraturi Annamaria “pone fine ai matrimoni” più noti del lungo Stivale. Alla domanda a quale divorzio avrebbe voluto partecipare risponde: “Silvio Berlusconi e Veronica Lario, con me avrebbe vinto lui…” Avvolgente come il ventre materno che lei stessa ha voluto evocare nell’architettura della sua abitazione milanese, accoglie tutti. Restituisce ai propri assistiti dignità e identità. Sebbene le sue parcelle non siano economiche certamente le merita tutte perché si dedica ai clienti con amore e professionalità, non conosce orari. Allegra, libera, esiste come se avesse poco più di trent’anni, sostiene che il grande amore debba ancora arrivare. Vive la vita come se fosse un’opera d’arte un poco alla Gabriele D’Annunzio ma quello più meditativo che descrive la sua terra abruzzese ne I Pastori, i cui versi cita a memoria. Le aggradano le opere del catanzarese Mimmo Rotella, figura di spicco della Pop Art internazionale del quale possiede alcuni capolavori. Eredita il nome dalla nonna paterna e l’orgoglio dal padre che le insegna a vivere a testa alta senza lasciarsi abbattere o condizionare dagli altri. Legata alle figlie Francesca e Chiara assieme ai nipoti ne indica i pregi, riconoscendo la loro bravura nell’essere madri. Adora il contatto fisico e ciò che le è mancato maggiormente durante il lockdown è stato l’abbraccio. 61


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Quando ha deciso che sarebbe diventata un avvocato?

Lei ha diverse pubblicazioni, è legata a qualche libro in particolare?

In realtà è stato un caso. Sebbene provenissi da una famiglia di

Ovviamente i testi sono come i figli, l’amore è rivolto a ciascuno

giuristi avevo deciso di iscrivermi al corso di Lettere Classiche.

di loro ma un paio forse sono stati innovativi come Mamma non

Durante l’immatricolazione, però, incontrai un ragazzo che mi

m’ama che ha spezzato lo stereotipo di madre perfetta. Molte nostre

affascinò molto e, per lui, scelsi la facoltà di Giurisprudenza.

insicurezze, alcuni nostri problemi derivano da madri che non sono

Avemmo un flirt, dopo poco tempo mi sarei sposato con il mio

state esemplari e la mia carriera da divorzista ne ha incontrate tante.

professore di Diritto Romano, padre delle mie figlie. Il mio

L’altro è Diritti Diversi pubblicato da oltre dieci anni che affrontava il

amore per la cultura classica restò presente durante la nostra

tema dell’omosessualità. Se fosse stata letta bene la Costituzione ci si

relazione… Le citazioni più belle e più erotiche le abbiamo

sarebbe resi conto che non era necessario che fosse approvata la legge

scambiate in lingua Latina.

Cirinnà. Mi piace anche dare i titoli ai miei libri… Sono mie creature.


L’intervista

Da chiunque è descritta come una donna sincera, da dove nasce la necessità di dover dire sempre la verità? Frequentavo la terza elementare presso la scuola Corridoni di Milano. Un pomeriggio con una mia compagna, mosse dal desiderio di truccarci, decidemmo di contornare gli occhi con la matita copiativa, a un certo punto ci rendemmo conto che non se ne andava più… Utilizzammo tonico, acqua di rose ma la semplice riga a poco a poco si dilatava in una sorta di livido. Il giorno successivo la maestra mi chiese che cosa mi fosse accaduto e le risposi che ero scivolata sbattendo sul termosifone e nell’intento di rialzarmi colpì anche l’altro occhio. L’insegnante capì, palesemente, che si trattasse di una bugia e mi guardò in modo deplorevole. Mi sentii talmente in colpa che decisi di non mentire più. Non sarei stata neanche credibile. Anche come avvocato esalto le verità buone e non nascondo le verità cattive. Si parla molto di femminicidio, Lei è un’esperta a riguardo. Cosa ne pensa? Esiste troppo buonismo, garantismo esagerato, un politicamente corretto che spingono personaggi inutili a ergersi a cavalier serventi di donne incapaci di difendersi. In realtà non è così. È Vero, esistono uomini brutali con le proprie compagne, ma ci sono anche tristi fatti di cronaca che narrano di uomini che uccidono la propria prole o donne che avvelenano i propri coniugi. Sbaglia chi non rispetta la vita altrui uomo o donna che sia. Anche il gentil sesso, di sovente, commette errori accettando uomini violenti atti a maltrattare fisicamente e psicologicamente pur di avere qualcuno al proprio fianco e quando affermo ciò sono ingiustamente aggredita. Esiste un concorso di colpe. Sono 63


L’intervista

stata la prima in Italia a realizzare uno studio di sole donne quando prima la figura femminile era considerata di contorno. Ricordo ancora i miei genitori che lavoravano insieme e sebbene mia madre “galoppasse” i meriti li ha ottenuti mio padre. Erano altri tempi. Ho sostenuto sempre le donne, specialmente sul lavoro, ho offerto loro delle opportunità, non tutte sono state in grado di coglierle e soprattutto non tutte le hanno meritate. Lei è notoriamente nota come una brava cuoca, cosa cucina meglio? Gli spaghetti, in tutti i modi. Sono legata alla Genovese, piatto borbonico che preparavo per mio padre, anche dopo il matrimonio. Il fatto di dover scegliere la carne migliore, il dover tagliare finemente la cipolla, il far uscire da casa gli odori della cucina ti spingono a capire che ci vuole tempo e amore nel preparare i piatti. Questo condimento assieme alle tagliatelle fatte a mano da me è una coppia vincente. Quando si parla di profumi e ricordi che cosa le viene in mente? La bresaola assaggiata a Chiavenna, il sapore dei formaggi di capra, la gustosità del Bitto, la pasta semicotta e semidura del Casera per poi ritornare alle origini e dal cielo grigio della provincia di Sondrio sostare in Puglia e assaggiare la frisella condita con pomodorini, capperi, cipolla, un filo d’olio e origano il cui profumo mi inebria e fa tornare bambina. In alcune Sue interviste si parla di un Suo prezioso frigorifero, esiste davvero? Sì, è un regalo di mio genero Giuliano. Di oro e tempestato di swarovski nel quale custodisco caviale e Champagne… In genere Ruinart Rosé e Cristal. Quali sono i Suoi vitigni preferiti? Adoro la finezza della Ribolla gialla, il bouquet del Gewürztraminer e mi tuffo nel passato con il Negroamaro che collego a episodi lieti della mia esistenza. Esiste una bottiglia da stappare il giorno del matrimonio e una il giorno del divorzio? Sì, una sola bottiglia Inno alla gioia (Primitivo di Manduria) della cantina Don Camillo… Il matrimonio dura poco. Abbinamento perfetto? Una fetta di capocollo e un calice di Negroamaro. Citazione sul vino? Il vino è un amante passionale che non è possibile abbandonare. 64


Hotel Rome Cavalieri, 18 Settembre 2020

Grand Opening

Fondazione Italiana Sommelier | www.bibenda.it


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SVOLTA GREEN E ENOTURISMO: NUOVE OPPORTUNITÀ

Svolta Green

e Enoturismo: NUOVE OPPORTUNITÀ A n n a 66

L o r e n a

F a n t i n i


Superato il periodo desolante dell’isolamento, il rapporto con la natura sarà completamente ripensato e consentirà nuove occasioni: questo sarà l’obiettivo delle giovani generazioni.

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SVOLTA GREEN E ENOTURISMO: NUOVE OPPORTUNITÀ

Dopo il periodo di confinamento tra le mura domestiche dovuto al lockdown, l’epoca post-covid 19 si sviluppa sulla rinascita del rapporto uomo-natura dettata da una maggiore attenzione sui temi della sostenibilità ambientale, dell’economia circolare e dell’agricoltura Made in Italy. Secondo una recente ricerca sul settore agroalimentare, il 91% delle famiglie è disposto ad acquistare più alimenti di produzione italiana per l’affidabilità dei prodotti e per sostenere i nostri agricoltori e l’87% degli italiani crede che grazie all’agricoltura ci saranno nuovi posti di lavoro soprattutto per i giovani. Il rapporto con la natura sarà completamente ripensato e questa sarà la mission delle future generazioni. L’elevata social reputation dell’agricoltura tra gli italiani, crea un marcato ottimismo sulla ripresa economica di questo settore. Ogni produttore dovrà offrire prodotti aderenti a ciò che il mercato ora si aspetta. Per l’agricoltura italiana perdere il treno della Green Economy sarebbe una follia perché forse è la naturale evoluzione dei nostri prodotti agroalimentari e denominazione d’origine, IGP, IGT, DOP, DOC e in generale dell’Italian Food Style. La qualità di ciò che mangiamo è divenuta un fattore rilevante nella scelta del cibo, quest’ultimo è visto come uno strumento attraverso cui prendersi cura del proprio corpo. Prediligiamo quindi la scelta di Orfeo, personaggio della mitologia greca che godeva di un rapporto simpatetico con il mondo naturale comprendendo intimamente il ciclo di decadimento e di rigenerazione della natura, invece che di Prometeo, il titano amico dell’umanità e del progresso che indirizzava gli uomini verso la civiltà. Tutte le vicende mitiche che lo vedono protagonista sono legate a suoi tentativi di favorire l’uomo, a volte anche con l’inganno, nei confronti della natura o degli dei. Non è più il tempo di dominare la natura ma esserne compagno, un richiamo ancestrale verso la terra di cui l’uomo ne è figlio indiscusso. Il territorio in cui viviamo si è modellato nel corso dei millenni della sua storia evolutiva e l’umanità ha contribuito a configurarlo attraverso un continuo confronto con gli elementi naturali da cui l’ambiente costruito ha costantemente preso ispirazione. Il turismo enogastronomico gode in questo momento di una meritata rinascita, il punto di svolta per il viaggiatore attento all’ambiente e alla sostenibilità. Per noi sommelier e wine lovers il rapporto con la natura è vitale, ci piace viaggiare per conoscere i territori vitivinicoli andando alla ricerca di tutte le prelibatezze locali. Il vino è cultura e amore e chi ama il vino ama la natura, poter visitare una cantina, degustare un calice nei vigneti, visitare il territorio inoltrandosi nella sua storia è come un sogno ad occhi aperti. 68


Le cantine di solito nascono in contesti paesaggistici mozzafiato incorniciati da borghi deliziosi. Viaggiare attraverso il territorio italiano è scoprirne l’identità attraverso gusti, sapori e odori. Tutto ciò ci arricchisce culturalmente e al ritorno da un viaggio siamo anche più felici. Molti sono i produttori che da nord e sud Italia aprono le porte delle loro cantine per raccontarci storie uniche sui loro vini, passeggiando tra i filari al tramonto e degustando calici della loro produzione. I viaggi enogastronomici sono adatti in tutti i periodi dell’anno, il paesaggio muta in forme e colori seguendo i cicli stagionali della natura ed è sempre una meravigliosa scoperta e un’occasione di relax. Non ci resta che partire, anche per brevi soggiorni per godere di tanta beltà in assoluta sicurezza. 69


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M a r i a

LA DOC FRIULI AQUILEIA

T e r e s a

G a s p a r e t

LA DOC FRIULI AQUILEIA 70


Millenni di tradizione per i vini amati dalla corte imperiale romana.

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LA DOC FRIULI AQUILEIA

Aquileia, cittadina friulana patrimonio dell’umanità dal 1998, conosciuta per la presenza di uno dei siti archeologici più importanti al mondo, è stata protagonista di prim’ordine nella storia dell’impero romano, tale da essere considerata la “seconda Roma”. La città, per la sua posizione geografica e con l’intersezione delle maggiori strade di collegamento commerciale come la via Postumia, la via Iulia Augusta, costituiva il fulcro del commercio. Oggi si direbbe punto nodale d’import-export. Inoltre, costituiva il punto di partenza delle strade che si diramavano verso il Bacino Danubiano e la Via dell’Ambra che giungeva in Italia dal Mar Baltico. Aquileia ebbe un forte sviluppo come naturale apertura al mare. Divenne, infatti, oltre uno sbocco dei principali traffici marittimi del Mediterraneo che risalivano l’Adriatico fino al suo porto fluviale, anche “...un deposito di vini perché solo da lì e per via fluviale si potevano raggiungere le legioni assetate, risparmiando sui costi dell’assai più lungo tragitto da Roma” (da Roma Caput Vini di G. Negri e E. Petrini ed. Mondadori) I numerosi ritrovamenti di antichi scritti, anfore, bicchieri documentano la presenza della vite e la commercializzazione del buon vino, sin dall’epoca Romana, per imbandire le tavole imperiali con i vini provenienti da questo territorio. Un vino, in particolare, aveva una sua “nicchia”: il Pùcinum, come testimoniato da Plinio il Vecchio, che lo collocava tra i “vina generosa del mondo antico”; era celebrato anche dai Greci con il nome di Pictaton ed è menzionato in altri antichi scritti come Racimulus Fuscus. Sicuramente si tratta dell’attuale Refosco dal Peduncolo Rosso… a noi piace pensarla così. Oggi Aquileia, priva dei fasti di allora ma non di fascino, è una delle Doc della Regione Friuli Venezia Giulia. Riconosciuta nel 1975, si estende su un lembo di terra pianeggiante in provincia di Udine che dalla Laguna di Grado prosegue a nord verso Aquileia e Cervignano del Friuli, fino a raggiungere la fortezza di Palmanova, sito Unesco. Le caratteristiche pedoclimatiche di quest’area sono estremamente favorevoli allo sviluppo ottimale della vite e consentono di ottenere vini di ottima qualità. Il clima, temperato e asciutto, è caratterizzato da importanti escursioni termiche, la vicinanza del mare lo rende ventilato d’estate e mite d’inverno, le montagne circostanti formano una barriera di protezione naturale dai venti freddi provenienti da nord. Il terreno di origine alluvionale è di natura argillosa e sabbiosa, ricco di detriti minerali di diversa composizione con marne di differenti intensità e colorazioni oscillanti dal giallo al bruno, molto variabili anche all’interno di uno stesso vigneto. La varietà di terreno in stretto legame con il clima, permette di ottenere vini dall’impronta elegante e con caratteristiche ben specifiche: nelle zone più calde spiccano per colore e alcolicità, nelle zone più fresche per acidità e profumi intensi e avvolgenti e nelle aree più asciutte per struttura e corpo. 72


Nella Doc Friuli Aquileia, che annovera una quindicina di comprensori comunali, si producono vini rossi e bianchi da vitigni autoctoni come il Refosco dal Peduncolo Rosso, Friulano, Verduzzo Friulano, Malvasia Istriana e da vitigni internazionali quali Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Riesling, Sauvignon, Traminer Aromatico, Chardonnay, Mßller Thurgau. Al turista eno-appassionato che raggiunge questa bella città friulana, si consiglia di percorrere la ciclabile che collega Palmanova a Grado per godere dell’incantevole paesaggio ricco di storia, tradizioni e natura incontaminata; magari facendo qualche sosta nelle aziende vitivinicole, spesso dotate di agriturismo, dove poter sorseggiare qualche calice di vino accompagnato dai prodotti tipici del territorio. Senza tralasciare una visita alla bella, imponente e unica Basilica di Aquileia dedicata alla Vergine e ai Santi Ermacora e Fortunato, risalente al IV secolo d.C., con i suoi maestosi mosaici che danno una testimonianza sulla cultura gastronomica a quei tempi.

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Bibenda 84 duemilaventi

PROFESSIONI STRAORDINARIE

PROFESSIONI STRAORDINARIE L’approccio al vino, per chi intende diventarne conoscitore, emoziona e affascina come l’inizio di un’avventura in un mondo sconosciuto e misterioso.

F e d e r i c o

S o r g e n t e

Scoprire che quando i bicchieri, trasformandosi in calici, illuminano un insieme di colori dissolti in profumi che a volte ti riportano a ricordi lontani, coinvolgendoti in un caleidoscopio di sensazioni inebrianti, è il viatico verso una nuova dimensione. Questa è l’emozione che ha suscitato in me il vino quando ho capito dove stavo addentrandomi. Bello, bellissimo! È chiaro che, affinché tutto ciò si possa inserire in un perimetro di oggettività ben definito, deve esserci una chiara metodologia. E qui la scoperta. Dopo anni di professione medica (sono un chirurgo), la mia linea di condotta è stata sempre dedicata all’analisi semeiologica e alla sintesi elaborativa dei dati che devono concludersi sempre con un giudizio diagnostico. 74


Ma l’analisi oggettiva e soggettiva dei colori, degli aromi, dei

Scoperta affascinante e significativa: l’esercizio analitico/sintetico

sapori, che trasportano in quel mondo emozionale che è il vino,

segue lo stesso itinerario sia per il medico che per il sommelier.

non presuppone, con concentrazione e conoscenza, la medesima

Ciò non è tutto anzi .... esiste un’altra comunanza essenziale:

metodica per una corretta analisi tale da portare ad una sintesi e

l’intuito.

quindi ad esprimere un giudizio?

Per raggiungere indeterminati risultati, fondamentale è avere come

La solitudine professionale del medico è simile alla solitudine del

compagno del ragionamento l’intuizione. O, meglio, il cuore.

sommelier nella sua attività interpretativa dei dati: è identica la

Esperienza, passione, amore, intuito che, certo senza accomunarle,

metodologia con ovvie, evidenti ed imprescindibili differenze;

senz’altro avvicinano in modo singolare queste due professioni

però stessa procedura d’indagine.

straordinarie. 75


Distillati &... M a s s i m o

B i l l e t t o

L’argomento più dibattuto degli ultimi vent’anni è senza dubbio quello relativo ai cambiamenti climatici. Nessun essere umano dotato del minimo sindacale di ragionevolezza può negare che effettivamente qualcosa sia mutato. Quanto poi tutto ciò sia completamente legato al devastante impatto umano sui cicli della natura, o sia frutto di questa e altre concause, è motivo di discussione senza fine, che potrà forse trovare risposta solo tra millanta generazioni. O, probabilmente, mai. È peraltro accertato da fonti storiografiche e scientifiche che clima, fenomeni meteorologici fuori stagione, temperature anomale prolungate e alterazioni, taglino trasversalmente ogni era. Pochi sanno del “minimo omerico” dell’800 a.C., o che fino al tardo Medioevo in Inghilterra vi era una diffusa e fiorente viticoltura, che nello stesso periodo la Groenlandia era solo marginalmente interessata dalla presenza di ghiaccio perenne, che tra il 1400 e l’inizio del 1500 nel Nord Europa si riteneva che le elevate temperature estive fossero un efficacissimo e devastante veicolo di propagazione delle malattie infettive dell’epoca. Negli anni Settanta del XX secolo, l’astronomo americano John Allen Eddy ha ripreso, approfondito e valorizzato autorevoli studi di un secolo prima, all’epoca non sufficientemente considerati, in merito alle dinamiche delle macchie solari e alla loro influenza sul clima terrestre.

Distilleria Villa de Varda Via Rotaliana 27/a 38017 Mezzolombardo (TN) Tel. +39 0461 601 486 info@villadevarda.com

Grappa Vecchia Riserva Vibrazioni

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Stradivari, Maunder, la grappa e l’estro armonico della natura Tra il tardo Medioevo e la metà dell’Ottocento, la Terra ha vissuto una Piccola Era Glaciale, che ha coinciso con la modifica di colture e di vegetazioni spontanee.

Va detto che il nostro pianeta, tra il tardo Medioevo e la metà dell’Ottocento, ha vissuto il fenomeno cui è stato posto il nome di Piccola Era Glaciale, che ha coinciso con abbassamenti progressivi medi delle temperature globali, l’abbassamento dello zero termico, la modifica di colture e di vegetazioni spontanee. Il punto più significativo degli studi di Eddy è rappresentato dal porre in evidenza le osservazioni contenute in un saggio pubblicato nel 1893 da Edward Walter Maunder, che rilevava come, tra il 1645 e il 1715, anni devastanti sotto il profilo climatico, le macchie solari erano sostanzialmente scomparse, riducendo al minimo la loro attività, con la parallela semi-glaciazione di buona parte dell’emisfero settentrionale del pianeta. Un arco temporale di circa settant’anni che, in relazione ai livelli bassi di temperature raggiunti, è stato definito il “Minimo di Maunder”, cioè il periodo più freddo della Piccola Era Glaciale. Antonio Stradivari, il più straordinario liutaio della storia, nasce nel 1644, proprio in coincidenza con l’avvio del Minimo di Maunder. La finezza, la profondità, l’intensità del suono dei violini di Stradivari sono celeberrimi tra i musicisti e i cultori della musica classica di tutto il mondo. Sul perché della superiorità delle opere del liutaio cremonese, la storia è densa di aneddoti e di leggende. Ciò che è fuori discussione riguarda la maestria dei trattamenti dei legni da parte del Maestro, un vero innovatore in tal senso; la sua modifica dell’inclinazione del manico che tendeva a conferire maggiore tensione alle corde; soprattutto, la scelta della materia prima. Nessuno potrà mai provare, come qualcuno sostiene, se egli avesse realmente la capacità di parlare e di ascoltare gli alberi; certamente l’abete rosso della Val di Fiemme, il legno prediletto da Stradivari, che andava a scegliere personalmente tronco per tronco, aveva (e ha) caratteristiche tali da risultare una base formidabile per la risonanza dei suoni. Cosa ha a che fare tutto ciò, al di là della mera coincidenza temporale, con il Minimo di Maunder? Nei vari percorsi di ricerca intrapresi per tentare di comprendere il vero “segreto” della superiorità stradivariana, sono state messe a confronto le modalità di crescita e di evoluzione degli anelli degli abeti rossi durante il Minimo di Maunder e i decenni successivi al suo termine. È stata evidenziata un’incredibile e mai ripetuta compattezza del legno, una regolarità millimetrica della sua crescita anno per anno, la pressoché totale assenza in esso di qualsivoglia imperfezione. In sintesi, la materia prima che fa la differenza, in questo caso grazie al concorso del freddo estremo, che proprio in Val di Fiemme raggiunse nell’epoca descritta uno dei minimi assoluti. In tempi moderni, c’è chi ha saputo riprendere la storia dell’abete rosso, la sapienza di Stradivari e dell’armonia tra maestria artigiana, purezza di suoni e magia della natura, riunendo tutto ciò in un distillato di incredibile valore organolettico. L’estro armonico della natura è stato trasposto nelle cantine di Villa de Varda, in una bottiglia sapientemente chiamata “Vibrazioni”, invecchiata in botti di abete rosso della Val di Fiemme. L’assaggio di questo unico ed eccezionale prodotto riesce a trasformare i nostri recettori gustativi in un sesto senso dotato di capacità uditive. L’intensità e la profondità delle frequenze di Stradivari si tuffano nel bicchiere, creano le onde sonore che si fanno dinamismo e infinita persistenza all’assaggio. Come per Stradivari, anche nel lavoro del giovane e bravissimo Mauro Dolzan, fiero conduttore della distilleria, riscontriamo una summa di tecnica, storia e ricerca che si traducono in emozione pura.

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i r o t t u d o r p i n o c A tavola C i n z i a

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B o n f Ă


Siamo entrati nelle cucine di alcuni produttori di vino chiedendo loro di raccontarci una propria ricetta alla quale sono particolarmente legati.

IL PRODUTTORE Questo mese ci troviamo in terra umbra con l’azienda Scacciadiavoli, nata nel 1884 per volere del principe Ugo Boncompagni Ludovisi. Attualmente di proprietà della famiglia Pambuffetti che l’acquistò nel 1954, è una delle più antiche aziende del territorio di Montefalco. Il suo nome deriva dal soprannome dato a un esorcista che viveva un tempo in un borgo a confine con la proprietà, che utilizzava il vino rosso del luogo per scacciare i dèmoni. Si narra che un giorno questi, dopo aver fallito ogni rimedio classico di esorcismo, ad una giovane donna apparentemente “impossessata” fece bere tanto di quel vino che questa, una volta ripresasi, fu liberata dal demonio. Nel tempo, anche il borgo dove l’esorcista era vissuto fu chiamato Scacciadiavoli, così come il territorio della zona con la proprietà del principe e la cantina annessa. Liù Pambuffetti, che fa parte della quarta generazione della famiglia, ci propone un piatto creato durante il lockdown, grazie allo chef Giuseppe Casellati in collaborazione con la scuola di cucina di Foligno con l’idea di realizzare una ricetta fresca e innovativa rispetto a quelle della tradizione, con la peculiarità di essere molto semplice e riproducibile anche dai meno esperti in poco tempo.

SASHIMI SALAD CON MAIONESE DI WASABI Ingredienti per 4 persone • 200 gr. di cetrioli • 100 gr. di carote • 40 gr. di ravanelli • 10 gr. di coriandolo • 200 gr. di salmone fresco • 1 uovo • 4 gr. di wasabi • 20 gr. di uova di salmone • 1 dl. di olio di semi • 0,5 dl. di Olio EVO • sale e pepe q.b. Preparazione 1. In un contenitore alto mettere un uovo intero, aggiungere 1dl d’olio di semi a filo mentre frulliamo con un frullatore a immersione. Mentre monta la maionese aggiustare di sale, qualche goccia di wasabi e qualche goccia di aceto bianco. Se risultasse troppo fitta o grassa diluire con un po’ di acqua calda. 2. Pulire le carote e affettarle obliquamente. Pulire i cetrioli, tagliarli in tronchetti di 5 cm, poi con il pelapatate formare delle sfoglie roteando lo stesso mentre usiamo l’utensile. Tagliare sottili anche i ravanelli e immergere tutte le verdure in acqua e ghiaccio. Sfogliare il coriandolo. 3. Con 200 gr di filetto di salmone precedentemente abbattuto ricavare delle lamelle sottili a seconda della grandezza dello stesso. 4. Sgocciolare le verdure croccanti, condire con sale, pepe, olio d’oliva. Dividere in quattro piatti. A parte, condire leggermente il salmone con del wasabi disciolto nell’Olio EVO e ridistribuire sui piatti. Cospargere di maionese fluida e guarnire con 20 gr di uova di salmone.

L’ABBINAMENTO Liù suggerisce come abbinamento al sashimi il Brut Rosé 2014, uno spumante Metodo Classico versatile, realizzato con sole uve Sagrantino situate a 400 metri slm ed esposte a Nord. Il fatto di essere esposte a Nord è un valore aggiunto per la produzione di spumanti, perché l’uva risulta più acida e non idonea per il Montefalco Sagrantino. Scacciadiavoli è l’unica azienda a produrre spumanti a base Sagrantino. La vendemmia, rigorosamente svolta a mano, avviene nella prima decade di settembre. Le uve vengono sottoposte a pressatura soffice entro sei ore dalla raccolta. Prima fermentazione lenta a temperatura controllata per conservare gli aromi primari, poi presa di spuma e maturazione sui lieviti secondo il Metodo Classico per 48 mesi. In questo spumante, le nobili uve di Montefalco si dimenticano della loro tipica ruvidità donando un’energia gentile al palato. Rosé estemporaneo dal colore rosa salmone, vivo e profondo con perlage minuto e costante. Il naso è intarsiato da note tostate di nocciola e di pan brioche, poi si lascia andare a sensazioni di bavarese al lampone, ribes rosso e chicco di melograno. Chiude con una vena minerale di gesso. Assaggio energico, intenso e cremoso distratto da lieve astringenza tattile che arricchisce il sorso completandolo. Richiami minerali e fruttati in chiusura.

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Bibenda 84 duemilaventi

QATAR, UN NUOVO INIZIO

QATAR, UN NUOVO INIZIO Ci siamo appassionati alle avventure di Luigi Ferraro, da noi affettuosamente soprannominato lo chef con la valigia. Lo seguiamo ormai da anni nei suoi spostamenti da un capo all’altro del mondo, mai seduto sugli allori, nonostante i successi raccolti, preferendo sempre nuove sfide.

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Luigi Ferraro, chef italiano di origine calabrese in giro per il mondo

origine americana, da quasi trent’anni nella “famiglia Four Seasons” e

ormai da anni, dallo scorso Gennaio si è trasferito nello Stato del

il nostro conterraneo Luigi Ferraro, Executive Sous Chef.

Qatar, nella moderna e incantevole Doha, dove ha iniziato la

Sono ormai anni che Luigi ha deciso di portare all’estero le sue

sua nuova avventura lavorativa come Exexutive Sous Chef per il

solide tradizioni italiane, perché la sua voglia di evadere, scoprire

re-opening del favoloso Four Seasons Hotel, una delle strutture

e viaggiare è pari al suo amore per la cucina, per lui fonte di vita

alberghiere più belle e sfarzose di Doha e di tutto il Medio Oriente.

e di espressione. Ha deciso di viaggiare e lavorare per scoprire il

La riapertura, prevista per marzo, è stata ovviamente posticipata

più possibile le ricchezze dell’immenso patrimonio culinario; per

in seguito al lockdown che ha coinvolto praticamente tutto il

esplorare con occhi diversi, più curiosi e mente aperta questo

mondo. Finalmente, a luglio si sono riaperte le porte del Four

infinito mondo di sapori, profumi e odori.

Seasons Hotel Doha, con oltre 200 meravigliose stanze, 57 suites

Così, ottenuto il diploma presso l’istituto alberghiero, vive la sua

e ben dieci ristoranti di lusso dove oltre alle consuete preparazioni

prima esperienza a Sharm el Sheik. Da quel momento non si

internazionali, si possono gustare piatti di cucina araba, italiana,

fermerà più: Stoccarda, Bangkok, Londra, Parigi, George Town,

francese, giapponese, thailandese, cinese, indiana.

San Pietroburgo, New York, Bangaluru, Mauritius. Dopo 5 anni

In cucina, il team è composto da oltre 100 cuochi provenienti da tutte

vissuti a Mosca, si sposta nella capitale indiana, New Delhi, presso

le parti del mondo, alla regia c’è l’Executive Chef Ahmad Sleiman, di

l’elegante e lussuoso Shangri-La Eros Hotel, dove rimane per quasi


dell`industria alberghiera, il suo obiettivo è stato lavorare in una compagnia che fosse il top dei servizi, del lusso e della buona cucina. E con l’ingresso nella grande famiglia due anni; poi poco più di un anno presso il bellissimo, sfarzoso e

Four Seasons Hotel questo ambizioso obiettivo è stato raggiunto.

suntuoso Shangri-La Barr Al Jissah Resort and Spa, nel Sultanato

La sua cucina rappresenta il suo punto di vista, la sua prospettiva,

dell’Oman sulle rive del Golfo di Oman, poi il trasferimento nel

sui viaggi, sulle esperienze che vive, che ha vissuto, che “assaggia”

prestigioso Intercontinental Regency Bahrain, business hotel di

e impara a conoscere; perché la sua è una cucina che è un misto

lusso nel cuore di Manama, capitale del Regno del Bahrain, dove

di sapori e profumi dei luoghi in cui ha vissuto e lavorato,

ha ricoperto la carica di Executive Sous Chef per circa un anno e

sapientemente fusi a quelli della sua cucina italiana.

mezzo prima di arrivare al favoloso Four Seasons Hotel di Doha.

La sua originalità, basata sui gusti del “made in Italy” è sempre

Quella di Luigi Ferraro nel mondo albergiero è stata un’ascesa meri-

molto apprezzata e ricercata, per cui il suo viaggio alla ricerca

tata e guadagnata con tenacia e fatica, sin da quando cinque anni fa

di nuovi “gusti” ha solo trovato per un po’ un bel posto in cui

decise di lasciare il mondo della ristorazione per entrare nel mondo

sostare, per esprimersi, farsi conoscere e amare. 81


Bibenda 84 duemilaventi

DUE CALICI DI CHAMPAGNE

DUE CALICI DI

Champagne

M a n l i o

G i u s t i n i a n i

Breve incursione nella produzione di Boulard-Bauquaire, vignaiolo indipendente.

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La Maison de Champagne Boulard-Bauquaire fu fondata agli

e a Trépail nella parte Est della Montagne de Reims troviamo

inizi degli anni ’60 a Cormicy, villaggio a nord-ovest della città di

ancora lo Chardonnay, uve che consentono di ottenere delle

Reims. Coltivatori da oltre 8 generazioni, solo nel 1980 elaborano

cuvée originali con qualità regolari nel tempo.

la loro prima Cuvée. La tradizione Champenoise oggi viene portata

La viticoltura eco-sostenibile e la bio-diversità è la base della

avanti da Christophe e da sua moglie Christiane che riescono a

filosofia di lavoro che consente di rispettare la tradizione e

coniugare con la modernità un gusto unico e complesso.

di ottenere allo stesso tempo prodotti di altissima qualità. In

La Maison si estende su una superficie di circa otto ettari con

vigna non vengono impiegati pesticidi, si pratica l’inerbimento

vigneti che si trovano in differenti Terroir, lo Chardonnay e il

e tutte quelle pratiche organiche che consentono il rispetto del

Pinot Noir li troviamo a Cormicy ed Hermonville nel Massif de

suolo e del sottosuolo e hanno permesso la certificazione Haute

Saint Thierry, il Meunier a La Neuville aux Larris nella Vallée

Valeur Environnemental (HVE). Produzione di circa 70.000

de la Marne, a Monthurel nell’Aisne è coltivato il Pinot Noir

bottiglie annue. 83


Bibenda 83 duemilaventi

DUE CALICI DI CHAMPAGNE

Champagne Brut Vieilles Vignes Da un’enclave di Vecchie Vigne, 3500 piante di Chardonnay piantate nel 1943 nel terreno gesso-marnoso, sabbioso e argillo calcareo di Trépail, nella parte est della Montagna di Reims. Chardonnay 100%, con un 50% di Vini di Riserva. La fermentazione alcolica viene svolta in acciaio, con l’utilizzo parziale della fermentazione malolattica. Affina per circa 30 mesi sui lieviti, e dopo il dégorgement viene dosato a 7 g/l., con una produzione di 3.500 bottiglie in Edizione speciale e limitata con bottiglia dodecanale 12 sfaccettature. All’olfatto frutta bianca con una punta di agrumato di litchi e un fondo di mandarino, leggera nota ossidativa, nota di brioche e frutta secca, mandorla. Attacco in bocca rinfrescante leggermente salino, champagne delicato, rotondo al palato con una persistenza aromatica delicata ma lunga.

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Champagne Brut Carte Noire Assemblaggio di 50% Pinot Noir e 50% Meunier, con il 50% di vini di riserva di vendemmie precedenti, provenienti da vigne di 30/40 anni su un suolo limo argilloso-sabbioso. La fermentazione alcolica viene svolta in acciaio con l’utilizzo della fermentazione malolattica. Affina circa 30 mesi sui lieviti, e dopo il dégorgement viene dosato a 7 g/l. Produzione di 9.000 bottiglie. Un Blanc de Noirs per coloro che ricercano la potenza e l’eleganza. All’olfatto intenso, profondo, sentori di frutta gialla, mela, lampone, mora selvatica, note agrumate e citrine di limone, sentori di lieviti e di boulangerie, note erbacee e muschiate, su un fondo di sottobosco. Teso e verticale al palato, con una buona freschezza, di grande sapidità con una nota di acqua marina, e un finale lungo con sentori di coquillage.



Bibenda 84 duemilaventi

PROSECCO ROSA?

PROSECCO ROSA? F .

b u s a t o

e

R .

D ’ A l e s s a n d r o

Nuovo e sconvolgente fenomeno figlio del cinismo del marketing che non arretra di fronte a niente.

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Durante il periodo di recente clausura legato all’emergenza Covid,

dei consumatori è convinto di averlo già bevuto negli ultimi due

è passato in modo quasi inosservato l’ennesimo scempio ad una

anni, ed è stata questa una delle molle che ha spinto il consorzio a

delle denominazioni già più bersagliate di tutti i tempi: il Prosecco.

portare avanti quest’altra importante modifica al disciplinare che

È arrivato il via libera da parte del Ministero delle Politiche Agricole

già in passato aveva sradicato letteralmente il concetto di terroir

nello scorso mese di maggio, per inserire nel disciplinare della Doc

dal vino Prosecco, permettendo di produrre una versione di questo

(per fortuna solo quella) anche la versione rosé!

vino dalla provincia di Vicenza fino a quella di Trieste.

Fortunatamente, il Consorzio del Valdobbiadene Docg non ha

Il fenomeno è di portata mondiale, ormai sono circa mezzo miliardo le

seguito la stessa strada, però a pensarci bene si parla di numeri

bottiglie prodotte e al momento questa crescita non sembra rallentare.

da capogiro e business ragguardevoli che stanno attirando fior

Aggiungiamoci che è ammesso già il quindici percento di vitigni

fior di investitori anche stranieri e gruppi importanti di négociant

internazionali oltre ad altre uve che normalmente possono essere

manipulant - come si definiscono più correttamente in Francia

utilizzate (Pinot Grigio, Pinot Bianco, Pinot Nero e Chardonnay)

- per accaparrarsi qualche ettolitro di questo ricercatissimo vino.

forse per dargli un tocco ancora più internazionale, o sarà stato solo

Proprio così. Perché negli Stati Uniti il settantacinque per cento

per accontentare gli amici produttori che avevano già a dimora


ettari di vigneto che così hanno acquisito molto più valore? Ammettendo anche il caso del rosé, non era forse meglio prevedere di inserire del Raboso o del Refosco, almeno per cercare un seppur improbabile legame con la storicità? Resta il dubbio. La cosa che ancor più fa riflettere è la motivazione: “negli Stati Uniti sono convinti di averlo già bevuto…” È come se una grande firma della moda realizzasse dei capi o borse o accessori con gli stessi crismi, linee e tessuti di quelli contraffatti da abili falsari, e che decidesse magari di vendere i propri articoli ad un prezzo più basso solo perché li hanno visti sui teli stesi per terra nelle piazze o nelle spiagge. Siamo ai confini della realtà. Ancor più avvilente è che il concetto stesso di qualità sia finito in coda a tutto il resto, con la motivazione che almeno è potuto diventare un fenomeno mondiale, al momento. Ma tra qualche anno? Chi spiegherà al produttore di Cartizze, con i suoi sessanta quintali per ettaro, che il suo vino a quindici euro si fa fatica a venderlo? È il marketing, bellezza! Definirla miope e opportunistica cupidigia forse era troppo lunga. 87


CrUc i BENDA P a s q u a l e

P e t r u l l o

in arte Petrus

Prosegue la serie dei giochi di Bibenda tutti ispirati al mondo del vino scaturiti dalla penna del nostro enigmista preferito.

Orizzontali 1. Vitigno a bacca nera della Spagna detto Garnacha 9. “... Ansonica” vino DOC prodotto nel Livornese 12. Pubblica Amministrazione 14. Vino del Vercellese 16. Nel Garda e nel Lario 17. Il Gibson che ha diretto il film “La passione di Cristo” 18. Quando finisce nel pagliaio non si trova più 19. Emittente televisiva musicale italiana 21. Soffia fortissima a Trieste 22. Inizio di vendemmia 23. Società in breve 25. Cultivar di olivo coltivata in tutto l’agro del Nord Barese 27. Imposta Regionale sulle Attività Produttive 29. Rosso secco a DOCG della Valpolicella 31. Forte esplosivo (sigla) 33. Vino della Tenuta San Guido 35. Isola dell’Arcipelago Maltese 88

36. 38. 39. 40. 42. 43. 44. 45. 46. 49. 52. 53. 54. 55. 56. 57.

Comune della Gironda famoso per lo Château Pétrus Comuni a Letizia e a Paola Quello Grande attraversa Venezia Essere turbato da pene d’amore Grazioso, piacevole Mie in fondo Dio supremo dei Sumeri Veste monastica Gli angoli di 90 gradi Coccodrillo americano L’arcipelago con capitale Apia Metodo di rifermentazione controllata in grandi recipienti detto anche Martinotti Prime in trattoria ... de Janeiro in Brasile Contrario di over Quantità trascurabile.


CrUc i BENDA

48. La ti greca 50. Bagna Olten 51. Il verso del corvo e della cornacchia 52. Il Rubini del cinema (iniz.) 53. Compact Disc 54. Ultime di venti.

C A N T E T I N A R S V O C C A M A S S I C R O L I M A R A N U T I C C H A U N D E

S P A E S A T O

E L A A M T V O R A R O N A I A L A C E T O A I M A R M R I

C A N A A N

G A R A N T E

B A P R M E B O R T I N A E T N O Z N A I N C A O T Z I

C R A T O L O A L A

21. Mutano i sogni in bisogni 23. Disorientato 24. Nell’ipotesi in cui 25. Centro Addestramento Cinofili 26. Infuso molto in uso 28. Un malanno che dà l’affanno 30. L’undici rossonero 32. Una Marilù dello schermo 34. Sacro Romano Impero 35. Firma per avallo 36. Precede omega nell’alfabeto greco 37. Lavorano nelle fabbriche 39. La biblica Terra Promessa 41. Rosso DOCG ...di Castagnole Monferrato 42. Capoversi di articoli di legge 45. Giganteschi autocarri 47. Il sangue nei prefissi

A L I G A T A G O V E I R A S P O M S P A I E R E S A M R I O

Verticali 1. Piante da cui si producono il pulque, il mescal e la tequila 2. Birra a bassa fermentazione 3. Andato per Brancaleone 4. Le doppie in boccetta 5. Associazione Italiana Sommelier dell’Olio 6. Le gemelle dell’anno 7. Treno ad Alta Velocità 8. Nell’erba e nelle verdure 10. La capitale di Cuba 11. La Refaeli top model (iniz.) 12. Cultivar di olivo del Foggiano 13. Punta... nel Grossetano 15. Svuotato di senso etico 17. Vitigno a bacca bianca originario dell’Abruzzo 20. “Nero di ...” prodotto da un vitigno autoctono pugliese

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Informazioni da Fondazione

Questa rubrica riassume alcune novitĂ , eventi, attivitĂ , notizie, momenti che hanno vista impegnata la Fondazione Italiana Sommelier in lungo e in largo nel paese.

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MICHELE CHIARLO E LE SUE STRAORDINARIE INTERPRETAZIONI DEL TERRITORIO di ARIANNA BROCCHETTI

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Informazioni da Fondazione

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Fondata nel 1956 da Michele Chiarlo, la cantina rappresenta una

Si tratta di una realtà familiare, giunta alla quarta generazione,

delle realtà enologiche più importanti del Piemonte, in grado di

che si tramanda di padre in figlio la passione per il mondo del

interpretarne l’essenza.

vino e un grande patrimonio di esperienze. Tra i primi negli

Michele Chiarlo, di origine contadina, promise al padre Pietro

anni Ottanta a sperimentare il diradamento, Michele Chiarlo

di studiare e di impegnarsi al massimo per la valorizzazione della

ha un’idea precisa del vino: grandi bottiglie nascono da un’at-

Barbera e del territorio. Sogno realiz-

tenzione meticolosa e costante per

zato e promessa mantenuta, attraver-

ogni aspetto della vinificazione che

so l’acquisizione negli anni ’80 di due

parte dal vigneto, passa per la canti-

grand cru di Barolo, il Cerequio e il

na e interessa ogni aspetto del vino:

Cannubi, e di due territori altamen-

la sostenibilità, l’arte, la cultura, le

te vocati per la produzione di Barbe-

visite in azienda e l’ospitalità.

ra negli anni ’90. Oggi questa perla

L’arte gioca un ruolo fondamentale

enologica si estende su 150 ettari di

e si respira in diversi aspetti: fonda-

vigneti, con 30 ettari di grand cru, 10

mentale l’incontro con il grande arti-

di Nebbiolo e 20 di Barbera.

sta Giancarlo Ferraris, che dagli anni

Al centro della filosofia produttiva

’80 disegna le etichette.

dell’azienda ci sono il vigneto e la

Nel 2003, un patto deciso con diversi

tradizione. Le viti sono considerate

artisti ha portato alla realizzazione

come le persone, curate e rispettate in tutte le fasi della vita.

dell’Art Park La Court, uno dei primi esempi italiani di land art

È un’azienda “tradizionale” dal punto di vista stilistico, sotto il pro-

tra i vigneti: un meraviglioso museo a cielo aperto che si estende

filo della valorizzazione dei terroir di Langhe e Monferrato, vengo-

su venti ettari di uno dei più rinomati cru di Barbera d’Asti

no vinificati, in purezza, esclusivamente vitigni autoctoni: Barbera,

e coniuga arte, terra e cultura del vino. Inoltre è sede di una

Nebbiolo, Cortese e Moscato provenienti da vigneti situati nelle

mostra permanente di immagini di fotografi famosi, dedicate alla

più storiche e prestigiose aree delle Langhe e del Monferrato.

vendemmia. Grande attenzione è rivolta anche all’ambiente.


La degustazione | Michele Chiarlo I vini interpretano fedelmente i territori dai quali provengono attraverso la riconoscibilità del vitigno, con uno stile che coniuga eleganza, equilibrio, complessità e longevità.

CRU ROVERETO Si estende per 250 ettari in una zona una volta appartenente alla Liguria, limitrofa all’Appenino, influenzata dai venti marini. Terreni di marne scure, ciottolose, simili a quelli di Bordeaux. Qui il Cortese ha nella delicatezza e nella finezza le sue caratteristiche fondamentali, con una spina dorsale di acidità e un potenziale di grande longevità, anche di 10-15 anni.

Gavi Rovereto 2018 Ottima annata. Vinificazione classica, 10% di criomacerazione, lieviti indigeni, nessuna fermentazione malolattica. 6 mesi in acciaio sui propri lieviti con bâtonnage, 6 mesi in bottiglia. Tonalità paglierino con qualche bagliore oro/verde che lo impreziosisce. È un vino che sussurra, sfoggiando un’eleganza data da un sentore gessoso, fumé, di iodio: è un vino che respira il mare. Esprime aromi di pesca e albicocca fresca, con tracce di agrume, qualche tocco prezioso di anice e un accenno di erba di sfalcio. L’eleganza si riscontra anche nella freschezza del sorso, impostato su un timbro di zest di limone. Corpo asciutto e sottile, imperniato sulla freschezza, vira su toni vegetali e si arricchisce di sapidità, che sigla il finale conferendogli piacevolissima persistenza.

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Informazioni da Fondazione

La degustazione | Michele Chiarlo

CRU NIZZA È un territorio molto importante, con 18 comuni e più di 70 produttori, in cui storicamente la Barbera riesce ad avere capacità espressiva e longevità importanti, grazie al suolo, ricco e fertile, fatto di marne limose e sabbiose particolarmente idonee per l’espressività del vitigno.

Nizza Cipressi 2017 Annata siccitosa, ottima per la Barbera. Le uve provengono da vigneti di 25 anni. Il terreno è stato lavorato per dare ossigeno alle radici, sono state lasciate le foglie a proteggere i grappoli da un’eccessiva insolazione e la raccolta delle uve è stata precoce. È stato effettuato un diradamento rigoroso e non sono stati lasciati più di 200 gr di uva per pianta. Un anno in botte grande. Colore elegantissimo nella sua pienezza, non impenetrabile, rubino con orlo porpora, che lascia trasparire una bellissima luce. Impatto olfattivo opulento, con sensazioni di ciliegia carnosa, un’idea finissima di erbe aromatiche, alloro, dragoncello, una spolverata di pepe, cenni di tostatura, tabacco, refoli di pepe rosa e cannella, un’idea di viola appena colta. Nel finale respiro balsamico di menta, canfora ed eucalipto. Morso tannico, poi spazio alla freschezza agrumata e all’alcol che dona equilibrio al sorso, chiude con una nota saporita e un ritorno di ciliegia e menta.

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Nizza La Court Riserva 2015 Vigna con più di 45 anni. Rese basse, meno di un kg di uva per pianta, fermentazione metà in barrique e metà in grande tino; dopo un anno assemblaggio, decantazione naturale, nessuna filtrazione, maturazione di 18-24 mesi. Grande concentrazione cromatica e aromatica. Il profumo evoca una passeggiata nel bosco in autunno: è un tripudio di foglie secche, bacche di ginepro, sensazioni di felce, mirtillo, ribes; poi accenni di grafite, liquirizia, tabacco da pipa, un’idea di ceralacca e un soffio balsamico di eucalipto e menta. Tannino coeso, grintosa acidità, finale appena ammandorlato. Nizza La Court Vigna Veja Riserva 2013 Le uve provengono dalla vigna più vecchia, piantata nel 1964, che si estende su un ettaro. Viene prodotta ogni 4-5 anni, solo 1500 bottiglie e 150 magnum. La veste cromatica mantiene la sua concentrazione con un viraggio verso il granato. Lo spettro olfattivo assume un carattere bruno, di prugna e mora; si ripropongono le sensazioni autunnali che ci riportano verso l’humus, ampliate da delicati sentori di spezie, incenso, legni aromatici. Al palato spicca la vivacità della Barbera, una freschezza lasciata intatta dal tempo, più integrata nel sorso, calibrato dal calore alcolico e dalla delicata tannicità, a donare rotondità ed equilibrio appaganti.

Michele Chiarlo Strada Nizza-Canelli 14042 Calamandrana (Asti) Tel. 0141 769030 info@chiarlo.it www.chiarlo.it 95


Informazioni da Fondazione

La degustazione | Michele Chiarlo

CRU FACET Siamo a Barbaresco in una vigna di un ettaro di più di 50 anni, confinante con Asili. Lo stile di vinificazione è classico ma non ultra-tradizionale: la fermentazione avviene in tini da 40 hl, malolattica in tino e maturazione di 18 mesi in botte da 20-25 hl.

Barbaresco 2016 Grandissima annata, in cui il corredo tannico e la complessità garantiscono longevità. La veste cromatica ha la trasparenza tipica del Barbaresco. Il naso fa pensare a un bosco primaverile, con toni di rosa canina, fragoline, muschio, tabacco e ceralacca. Assaggio vellutato, compatto, coeso ed esuberante; emergono freschezza, fragranza, con ritorni coerenti con l’olfatto.

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CRU CEREQUIO Un posto magico a cavallo tra La Morra e Barolo, a un’altitudine di 300-480 metri slm. Viene soprannominato “la riviera delle Langhe”, perché in questa conca non si verificano mai gelate. La matrice territoriale ha una prevalenza di magnesio, con scarso apporto di calcare e tufo. Questa composizione dei suoli gli conferisce note molto differenti dagli altri Barolo.

Barolo Cerequio 2015 Manto granato, bordo trasparente. Bouquet prorompente e seducente, di sottobosco estivo, sensazioni di fragolina matura, ribes, rosa canina, liquirizia, in una cornice di incenso, cera, tabacco bruno e chinotto. Il tannino per un attimo frena il sorso, poi lascia spazio alla freschezza, alla balsamicità, agli apporti fruttati e floreali, in una persistenza di diversi minuti. Barolo Cerequio 2010 Naso stratosferico, coinvolgente, travolgente: canfora, eucalipto, menta, eleganti accenti di goudron, ceralacca, frutta matura, gelatina di fragola, liquirizia, cipria, tamarindo. Al sorso l’impatto tannico è vitale ed esuberante, poi il vino sfoggia equilibrio e pienezza, che si stemperano lentamente in una ventata amplissima di note balsamiche, fragoline, spezie, ceralacca, liquirizia e tartufo.

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Giallo, bianco, rosso, rosato. Da qualunque colore parti,

parti Dal profumo, arriverai al gusto.

70° corso di Qualificazione professionale per sommelier / lunedÏ 9 novembre 2020


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DIRETTORE

Franco M. RICCI

Caporedattore centrale Paola SIMONETTI

Hanno collaborato a questo numero

Foto

Carlo ATTISANO, Cinzia BONFÀ,

© shutterstock.com

Massimo BILLETTO, Arianna BROCCHETTI,

© Exploria pag. 90

Anna Lorena FANTINI, Maria Teresa GASPARET,

© Enzo Massa pag. 92, 95

Manlio GIUSTINIANI, Elvia GREGORACE,

© Giulio Morra pag. 93

Luca GRIPPO, Paolo LAUCIANI, Salvatore MARSILLO, Barbara PALOMBO,

Consulenti dell’Editore

Pasquale PETRULLO, Carlotta PIRRO,

Fabrizio CASADIO Internet

Antonella POMPEI, Maurizio SAGGION,

Pierluigi DEL SIGNORE Medicina

Vincenzo Paolo SCARNECCHIA,

Stefano MILIONI Editoria

Daniela SCROBOGNA, Federico SORGENTE.

Carlotta PIRRO Legislazione Barbara TAMBURINI Enologia

Grafica e Impaginazione

Gianfranco VISSANI Cucina

Fabiana DEL CURATOLO

BIBENDA per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino

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Anno XIX

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n. 84

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Settembre 2020

> Direzione, Redazione e Amministrazione 00136 Roma - Via A. Cadlolo, 101 - Tel. 06 8550941 - Fax 06 85305556 >

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> Iscrizione al Registro Operatori della Comunicazione al n° 9.631 L’analisi sensoriale, che evidenzia la qualità dei vini di tutte le nostre recensioni, viene effettuata con metodo e scuola di Fondazione Italiana Sommelier. Bibenda, la rivista nata nel 2002 su progetto grafico originale di Bets Design S.r.l., Roma. Altre Pubblicazioni di Bibenda Editore | BIBENDA il Libro Guida ai Migliori Vini, Grappe e Oli | L’Arte del Bere Giusto / Il Gusto del Vino / Il Vino in Italia e nel Mondo / Abbinare il Vino al Cibo / Il Dizionario dei Termini del Vino (sono i testi del Corso di qualificazione professionale per Sommelier riconosciuto in tutto il mondo) | Ti Amo Italia (la pubblicazione in inglese su Vino e Cibo italiani) | Il Quaderno di Degustazione del Vino | Bibenda 2020 Ti Amo Italia del Vino (Edizione Speciale per il francobollo dei 20 anni).


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