Espresso.02.03.2012

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Po s t e I t a l i a n e s . p . a . s p e d . i n A . P. - D. L . 3 5 3 / 0 3 ( c o nv. i n l e g ge 2 7 / 0 2 / 0 4 n . 4 6 ) a r t . 1 c o m m a 1 - D C B R o m a - A u s t r i a - B e l g i o - F r a n c i a - G e r m a n i a - G r e c i a - L u s s e m b u r go - O l a n d a - Po r t o g a l l o - P r i n c i p a t o d i M o n a c o - S l o v e n i a - S p a g n a n 5 , 1 0 - C . T. S f r. 6 , 2 0 - S v i z z e r a S f r. 6 , 5 0 - I n g h i l t e r r a £ 3, 8 0

Settimanale di politica cultura economia - www.espressonline.it

N.10 anno LVIII 8 marzo 2012

FABRIZIO GATTI IN UN LOCALE DEL NIGUARDA TRA SACCHI CONTENENTI AMIANTO

INCHIESTA

CI RUBANO LA SANITA

È SIMBOLO DI ALTA QUALITÀ MEDICA. MA IL NIGUARDA DI MILANO CHE HA SCOPERTO L’INVIATO DELL’ESPRESSO È ANCHE LUOGO DI SPRECHI E DI INCURIE. ECCO IL SUO RACCONTO. CON UN’A PPENDICE SULLO STATO DI SALUTE DEGLI OSPEDALI ITALIANI VALANGA ROSA MILLE DONNE ALL A CARICA DEI VERTICI DELLE AZIENDE p.118

WIKILE AKS ESCLUSIVO: INTERVISTA A JULIAN ASSANGE p.44

PAL AZZO D’ORO DA CONTI A VERDINI UN MISTERIOSO ASSEGNO DA UN MILIONE p.52




Altan

il sommario di questo numero è a pagina 29 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 7


Piero Ignazi Potere&poteri

Non si può fare a meno dei partiti l cambio di tono e di stile apportato dal governo Monti alla politica italiana produce effetti a 360 gradi. Alcuni erano prevedibili altri assai meno. La delegittimazione dei partiti da parte degli esperti faceva parte degli esiti inevitabili. I de profundis intonati ai partiti peccano però di precipitazione. Per tre ragioni. La prima è che i partiti continuano a essere le strutture fondamentali attraverso le quali si articola e si aggrega il consenso. Certo, non esauriscono le modalità con cui i cittadini possono partecipare alle decisioni fondamentali. I referendum, le azioni dirette attivate dai movimenti sociali (ultimi esempi, gli Indignados e Occupy Wall Street), i blog e l’agorà elettronica sono forme aggiuntive ma non alternative alla politica praticata dai partiti. Finché non si arriverà all’elezione alle cariche politiche tramite sorteggio, modalità già sperimentata in Islanda due anni fa per nominare i 25 costituenti, o non si diffonderà la “democrazia deliberativa” - un processo decisionale fondato su una discussione approfondita, dialogica e “oggettiva” di un campione rappresentativo di cittadini - i partiti rimangono al centro della scena. Per mancanza di alternative. Ma non solo. La sopravvivenza dei partiti dipende anche dalla constatazione che oggi, contrariamente a quanto si dice, non sono più deboli rispetto a un tempo. Avranno meno iscritti e meno sedi ma dispongono in abbondanza di soldi, di personale, di competenze, di reti di relazioni, di strutture. E continuano a determinare o a influenzare le nomine in una pluralità di enti, commissioni, consigli. Grazie alle loro risorse materiali e alla loro penetrazione nella società civile i partiti mantengono il centro della scena. LA TERZA RAGIONE, più nobile se vogliamo, è che i partiti creano al loro interno uno “spazio di eguaglianza”: le differenze personali in termini di risorse economiche, di capitale culturale, di centralità sociale, che inducono uno squilibrio nelle relazioni tra le persone, si appiattiscono all’interno dei partiti. Le disegua-

I Il governo Monti ha avuto due effetti: l’oblio dei guasti di Berlusconi e la condanna delle forze politiche. Che invece restano le uniche strutture di aggregazione del consenso. E che sono più forti di quanto non sembri

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glianze sociali vengono riequilibrate consentendo anche a chi non è provvisto di risorse economiche di svolgere una funzione dirigente e di occupare cariche. Certo, questa funzione equalizzatrice è andata appannandosi negli ultimi decenni, in Italia come altrove. Si è riaffacciata una tendenza al neo-notabilato di cui, mutatis mutandis, il governo Monti rappresenta una incarnazione, seppure involontaria. Ma “l’autorità della democrazia”, come ha scritto recentemente il filosofo politico David Estlund, non si può fondare solo sulla competenza dell’esperto. POI IL GOVERNO MONTI ha avuto anche un effetto del tutto imprevisto, benché in linea con il nostro costume nazionale: l’oblio immediato dei guasti e delle responsabilità del passato. Il governo precedente, e più specificatamente il suo capo, vengono ogni giorno di più assolti da ogni manchevolezza e perdonati per le loro incapacità. Non solo. Tutta la classe dirigente del Pdl ripete all’unisono che Silvio Berlusconi ha fatto «volontariamente» un passo indietro per il bene del Paese pur disponendo della maggioranza e pur essendo stato “insediato” a Palazzo Chigi dal voto degli italiani. Ovviamente tutto ciò è falso come l’ottone: il Cavaliere è stato costretto alle dimissioni suo malgrado, dalla liquefazione della sua maggioranza, oltre che dal discredito interno e internazionale. Ma il clima da union sacrée per la salvezza della patria favorisce l’amnesia e consente ricostruzioni fantasiose come queste. L’ottima stampa di cui gode il governo Monti ha quindi un effetto paradosso: invece di rimarcare la distanza siderale tra il governo del bunga bunga e l’odierna serietà-seriosità dei professori, stende un velo sul passato. Ha ragione l’avvocato Mills: l’Italia è un Paese cattolico, e qui si perdona tutto. Insomma, dopo 100 giorni il governo Monti incide su più fronti: da un lato solleva e redime (il Cavaliere) e dall’altro condanna e affossa (i partiti). Per vie impreviste la buona stella sorge ancora ad Arcore. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 9


Michele Serra Satira preventiva

A Detroit arrivano gli operai italiani ome mai in Italia gli stipendi sono i più bassi d’Europa? Il mondo della politica e dell’economia sta mettendo a fuoco la questione. Governo Nello stile schietto ed essenziale di questo esecutivo, il livello salariale nel nostro Paese viene definito, senza mezzi termini, indecoroso. Sotto accusa, negli ambienti governativi, è la mancanza di dignità dei lavoratori italiani, che diversi membri dell’esecutivo rimproverano aspramente. «Con stipendi di quel livello», spiega il sottosegretario De Gubernatis, marchese di Rondò, rettore ad Harvard e presidente della banca De Gubernatis, «ci si autoesclude da ogni possibilità di contribuire al rilancio dell’economia. Mi chiedo con che faccia un salariato italiano riscuota, ogni mese, una busta paga così miserabile senza provare vergogna». Anche più esplicito è Mariolone Absburgo Lorena, 28 anni, arciduca onorario di Toscana, docente a Cambridge, tesoriere aggiunto a Fort Knox e attuale sottosegretario al Lavoro: «Dopo i bamboccioni e gli sfigati, anche gli operai pezzenti: questo è un Paese conciato da fare schifo! Come si fa a rilanciarlo?». Mario Monti Nei suoi due discorsi più recenti (ieri pomeriggio alla Bocconi, dove ha riunito il mondo della Borsa; e ieri sera in Borsa, dove ha riunito i suoi colleghi della Bocconi) il presidente del Consiglio si è soffermato a lungo sul problema dei salari bassi. «I più moderni strumenti di analisi», ha detto Monti, «ci dicono, senza tema di smentita, che i salari italiani sono molto bassi. Peraltro, anche volendo variare i parametri, e tenendo conto dell’indice di Grant, i salari rimangono ugualmente bassi. Per non lasciare nulla di intentato, con un attento lavoro di vaglio abbiamo sottoposto gli indici nazionali a un severo confronto con quelli europei e asiatici, e i salari italiani sono risultati veramente bassissimi». L’autorevolezza del premier è stata salutata da un

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Foto: P. Bossi / AGF

Per produrre la Fiat Barbecue alla Chrysler Marchionne vuole utilizzare nostri lavoratori. Con lo stesso salario degli americani. Ma pretende che la sera tornino a casa in Italia a spese loro

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lunghissimo applauso. Le signore hanno lanciato fiori. Berlusconi Ha attribuito la piaga degli stipendi da fame alla magistratura politicizzata, ai signori della sinistra e ai giornali a lui ostili. Polemicamente, si è offerto di pagare di tasca propria un aumento del 20 per cento a tutti i salariati del Paese, e di ospitarli tutti a cena a casa sua. Quando gli hanno fatto notare che ogni mese avrebbe dovuto elargire 700 miliardi di euro, ha detto di essere stato frainteso, si è offeso a morte e si è chiuso in un silenzio pieno di amarezza. Marchionne Propone di far lavorare a Detroit circa un milione di operai italiani per produrre in loco i due nuovi modelli: la Fiat Barbecue e l’Alfa Baseball, sulle quali corso Marconi confida per rilanciare l’immagine italiana nel mondo. Gli operai potrebbero godere dello stesso stipendio dei loro colleghi americani: 200 dollari mensili in più, oltre a buonipasto per i famosi hamburger della Chrysler, conditi con olio di camion e dunque molto più leggeri di quelli normalmente in commercio. Sindacati e governo si sono detti interessati all’ipotesi ma la trattativa si è arenata quando Marchionne ha posto come condizione che gli operai ogni giorno, a fine turno, rincasino in Italia a loro spese. Pd Dopo la diffusione degli impressionanti dati sui salari, il Pd, secondo autorevoli indiscrezioni, aveva preparato un durissimo comunicato, che cominciava con queste parole: «Ma dove accidenti è stata, in tutti questi anni, la sinistra italiana?». Appena riletta la prima riga, il comunicato è stato appallottolato per motivi di opportunità e si è passati alla fase propositiva. Per rilanciare l’economia e incidere concretamente sui salari, i lettiani propongono di allearsi con l’Udc, la sinistra di allearsi con Di Pietro e Vendola, Veltroni di allearsi con Monti, D’Alema di allearsi con il Pdl, Bersani di estrarre a sorte gli alleati. Solo i più spregiudicati propongono di allearsi anche con il Pd. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 11


Alessandro De Nicola Diverso parere

Bravo Monti guarda agli Usa l modello sociale europeo è finito» . Chi lo ha detto? Un candidato alle presidenziali Usa della destra repubblicana? Il ministro dell’Economia di Singapore? La guida spirituale dell’Iran, l’ayatollah Khamenei? No, il presidente della Banca centrale europea, l’italiano Mario Draghi. E quando la massima autorità economica del Continente, uso a misurare non solo le parole ma le sillabe, lo dice al “Wall Street Journal”, il più venduto e influente giornale finanziario del mondo, dobbiamo tutti fare una riflessione. Quel modello di alta spesa pubblica pagata dalle tasse e dal debito, rigidità del mercato del lavoro, vigoroso corporativismo, interventismo statale, sia sotto forma di regolamentazione che di proprietà di beni e imprese, è in coma da molto tempo ed era sopravvissuto solo grazie alle ricchezze accumulate nel passato e ad alcune riforme che nel corso degli anni si sono timidamente succedute in alcuni Paesi più che in altri. D’altronde, nell’ultimo ventennio le nazioni europee che più hanno incarnato i difetti ora elencati sono state Italia e Grecia e si è visto come è andata a finire. Per questo motivo uno degli atti migliori finora compiuti dal governo Monti è stata la sottoscrizione insieme ad altri 11 Stati europei, tra cui Gran Bretagna, Spagna, Polonia, Svezia, Olanda e altri Paesi “virtuosi” (nei comportamenti passati o nelle intenzioni future), di una lettera indirizzata alla Commissione e al Consiglio europei in cui si richiede un piano per la crescita da discutere al prossimo summit dell’Unione. I 12 CHIEDONO una serie di misure sensate e liberali, tra cui l’accelerazione dell’integrazione del mercato unico di energia e servizi (sempre osteggiata dalla Francia) rimuovendo le barriere regolamentari o derivanti dalla pianificazione nazionale; prudenza nell’elargire copiosi aiuti di Stato alle banche (che la Germania profonde alle sue Landesbank); creazione di un mercato unico digitale razionalizzando le norme sul copyright che oggi lo limitano. Sul mercato del lavoro si chiedono riforme incisive per rendere più «aperto e integrato» quello europeo e ridurre «il numero di profes-

I La lettera dei 12 governi europei, Italia compresa, è una ventata di aria nuova. Che può spostare il baricentro dall’asse francotedesco. E darci un’Europa più semplificata ed efficiente

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sioni regolamentate», non proprio il programma di Cgil e professionisti nostrani. DUE AUSPICI sono particolarmente significativi. Il primo è l’invito a stipulare accordi commerciali con India, Giappone, Canada, Sudamerica ed Europa dell’Est. E innovativo è l’appello per firmare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, un vecchio pallino britannico. Non può sfuggire il significato altamente politico di una simile richiesta: essere legati da un trattato di libero scambio implica legiferare insieme su alcune materie e adattare il proprio ordinamento a quello altrui. Vuol dire beneficiare dei servizi e dei prodotti degli Stati Uniti senza restrizioni ed esportarne altrettanto liberamente. Comporta la creazione di un legame multidimensionale tra le due sponde dell’Atlantico, politico-militare con la Nato ed economico grazie al trattato. Inoltre, significa annacquare la trazione franco-tedesca del processo di integrazione europea, creando un’intesa che veda assieme il Nord Europa, le nuove democrazie dell’Est, le isole britanniche e Italia e Spagna sul versante mediterraneo. Il secondo auspicio degno di nota è quello per un’Europa più semplificata. La lettera è chiara: «Dobbiamo sostenere e rendere più ambizioso il programma di ridurre il peso della regolamentazione europea», addirittura chiedendo alla Commissione di pubblicare ogni anno un rapporto che identifichi e spieghi il costo netto per le imprese delle normative emanate nell’anno precedente. Anche questo è un punto fondamentale: l’Europa dei padri fondatori è sì nata sulla speranza di un’unione politica ma sulla certezza dei benefici del libero scambio e della concorrenza. Un’Unione che legifera molto in dettaglio su svariati aspetti delle vita dei cittadini, in un contesto di controllo democratico non pieno (come si sa il Parlamento europeo non ha poteri paragonabili a quelli delle vere democrazie liberali), non è ciò che serve per migliorare l’economia del Continente. La lettera dei 12, insomma, se avrà un seguito, potrebbe rappresentare l’atto politico più importante del nostro governo di “tecnici”. adenicola@adamsmith.it 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 13


a cura di Gianluca Di Feo / Primo Di Nicola

Riservato

TONIATO ALLA CARICA | MASTRAPASQUA STOP | LEGA IN BICI | BRAMBILLA NON VUOLE | CRUMIRI ALLA CAMERA

Governo/1

Tutta colpa della Fornero «Una pazza» che mette in piedi una «manovra suicida», ovvero «scambiare la Cassa integrazione straordinaria con ammortizzatori sociali troppo generici». Parole non proprio lusinghiere (e alcune ancora più forti) pronunciate nei confronti del ministro Elsa Fornero da alcuni esponenti di primo piano del Partito democratico subito dopo il voto di fiducia al decreto Milleproroghe, la scorsa settimana alla Camera. Da un capannello in Transatlantico animato, tra gli altri, dal capogruppo Dario Franceschini, il suo vice Michele Ventura, dall’ex premier Massimo D’Alema e dall’ex segretario generale della Cisl Sergio D’Antoni, sono volate parole grosse contro il ministro. A scatenarle non è stata solo la riforma del mercato del lavoro, ma anche lo stop agli emendamenti ai decreti governativi invocato dal presidente della Repubblica. Senza questo strumento, infatti, i partiti rischiano di non poter più influire efficacemente sull’attività di un governo già dimostratosi molto incline alla decretazione

Governo/2 MINIMO RISERBO Nel vertice con le parti sociali di giovedi 23 febbraio, il ministro Elsa Fornero è andata su tutte le furie. Aprendo l’incontro, visto che la volta precedente, tramite sms, i cronisti erano stati informati in tempo reale sui contenuti dei colloqui, aveva raccomandato a tutti il massimo riserbo. Come non detto. Dopo cinque minuti, le agenzie già battevano le sue prime parole: «Vogliamo un accordo avanzato con le parti sociali». M.D.B.

d’urgenza. E anche su queste delicate questioni vertevano i commenti dell’autorevole capannello di onorevoli democratici. Che, preoccupati per una possibile crisi di

consensi del partito, non hanno trovato di meglio che prendersela con il ministro del Lavoro lasciandosi andare a quei giudizi molto tranchant. G.C.

IL MINISTRO DEL LAVORO ELSA FORNERO

Emergenti

Super Mastrapasqua

Foto: P. Tre - A3

Toniato non può mancare Resa dei conti all’Inps Anche ai servizi segreti. Non conosce più ostacoli l’ascesa di Federico Toniato, il giovane funzionario del Senato portato alla ribalta dal premier Mario Monti. Del presidente del Consiglio Toniato è ormai diventato un’ombra. A Monti, appena nominato senatore a vita, Toniato ha fatto da guida per i suoi primi passi a Palazzo. Lo ha assistito durante le consultazioni governative ed è stato ripagato con la nomina a vicesegretario generale di Palazzo Chigi. Nessuno ha avuto da ridire, tenuto conto della professionalità di Toniato. Qualche mugugno invece è stato provocato dalla sua presenza in una sede molto riservata: quella del Copasir, il Comitato per la sicurezza della Repubblica che controlla i servizi segreti. Alla sua prima audizione, Monti si è presentato infatti proprio con Toniato anche se, secondo alcuni parlamentari, il funzionario non pare averne titolo. P.D.N.

I super poteri del presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, fanno mugugnare la Corte dei conti. Antonio Ferrara, il magistrato delegato al controllo dell’ente, in una lettera a Mastrapasqua e al ministero del Lavoro analizza le “linee generali” dell’Inps per accorpare l’Inpdap e l’Enpals e mostra perplessità sull’accentramento di poteri a favore del presidente dell’Inps. Per il magistrato della Corte ci sono «anomalie derivanti dalla singolare configurazione di un organo monocratico, preposto a un duplice ruolo di rappresentante dell’Istituto e di organo di indirizzo e gestione», a scapito sia della direzione generale dell’ente sia del Civ, il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps. Il magistrato critica anche le «autodesignazioni nelle società partecipate». M.A. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 15


Riservato Authority sotto accusa

Santoro for president

LA LEGA VINCE IN VOLATA La Lega Nord si concede il bis ed è già sicura di tagliare il traguardo. Con il benestare del gran capo Umberto Bossi, molto soddisfatto dei successi mediatici dello scorso anno, l’ex sottosegretario agli Interni Michelino Davico, grande appassionato della bicicletta, ha già definito il calendario della seconda edizione del Giro di Padania. La manifestazione si terrà tra agosto e settembre alla vigilia dei Campionati del mondo di ciclismo e anche questa volta con la totale copertura televisiva da parte della Rai. Il giro ciclistico padano è considerato dai vertici del Carroccio «uno dei migliori spot elettorali della Lega» che, sulla bici , ha deciso di investire spingendo Davico, attraverso l’associazione sportiva Monviso-Venezia, a organizzare anche altre kermesse come il trofeo Laigueglia, classica d’apertura della stagione, il giro degli Appennini e quello del Lazio. Davico ha in serbo pure un’altra sorpresa: addirittura l’allestimento di una squadra nazionale padana dilettanti con la quale partecipare alle gare più importanti del calendario ciclistico. P. D. N. 16 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Dopo l’approvazione del Milleproroghe, il presidente della Repubblica ha rimproverato ai parlamentari di presentare emendamenti fuori tema ai decreti del governo. Il caso più eclatante è stato l’approvazione della responsabilità civile dei magistrati durante la discussione della legge comunitaria. Ecco il numero degli emendamenti presentati dai parlamentari ai provvedimenti più importanti dell’esecutivo Monti. Emendamenti Emendamenti Provvedimento presentati approvati Manovra Salva Italia 2.360 62 Comunitaria 155 * 75 CrescItalia liberalizzazioni 2.467 * Svuota carceri 1.600 23 Milleproroghe 3.763 143 Missioni internazionali 634 32 *L’iter di CrescItalia e della Comunitaria non è ancora terminato (ultimo aggiornamento 27/02/12)

Le authority continuano a destare dubbi sulla loro trasparenza: questa volta tocca a quella preposta a vigilare sui contratti pubblici (Avcp). Con la nomina da parte dei presidenti di Camera e Senato di due nuovi componenti, il consiglio è tornato al completo e il 22 febbraio ha potuto eleggere il proprio presidente, con solo due astensioni. Ancora una volta è Sergio Santoro a ricoprire l’incarico, ma della notizia non vi è traccia neppure sul sito dell’authority. Forse per evitare che sulla riconferma si scatenino Parlamento e procura. Sergio Santoro, ex capo di gabinetto di Alemanno, magistrato del Consiglio di Stato, è già stato oggetto di due interrogazioni da parte della deputata del Pd Raffaella Mariani. La prima in merito alla sua incompatibilità a ricoprire il ruolo di presidente PARLAMENTO IN CIFRE dell’authority e allo stesso tempo essere presidente del collegio arbitrale di un lodo, oggetto di un milioni di euro è l’ammontare dei esposto alla finanziamenti statali che le scuole procura della private riceveranno quest’anno. La cifra Repubblica. La è contenuta nella legge di stabilità dello seconda in merito scorso anno. Durante il suo iter, alla maxi parcella Tremonti propose la riduzione del fondo di 1.978.000 euro, di 250 milioni ma dovette rinunciare richiesta proprio a causa dell’opposizione di 200 dal collegio parlamentari del Pdl preoccupati arbitrale, che di danneggiare le scuole cattoliche, l’avvocatura dello secondo una loro stima destinatarie Stato ha ritenuto di oltre l’80 per cento delle risorse. non in linea con la normativa vigente. ANTONIO PREZIOSI. IN ALTO: IL SENATORE C. CO. MICHELINO DAVICO IN BICICLETTA

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CONTATTI POCO PREZIOSI Era stato lanciato come il programma interattivo di RaiRadio1, uno spazio costruito sull’interfaccia continuo con i social network. Il direttore, Antonio Preziosi, era fiero di aver partorito l’idea di un prodotto che avrebbe dovuto lanciare sul Web il suo canale. Ma a oltre cinque mesi dalla nascita, il profilo Twitter di “Prima di tutto” supera di poco i 100 follower. Un seguito troppo esiguo per poterlo definire successo mediatico, lontano dai numeri di altri spazi radiofonici come “Il volo del mattino” di Radio Deejay, per dire, seguito da oltre 237 mila appassionati. Anche i numeri del profilo ufficiale di RaiRadio1 non sono esattamente da fenomeno del Web: 2.100 follower seguono la prima radio del servizio pubblico, contro gli oltre 130 mila di un’emittente come Kiss Kiss. Poco cambia dirottando la ricerca su Facebook: i circa 600 “mi piace” assegnati a “Prima di tutto” sono davvero troppo pochi per uno spazio che dichiara di fare dei social network la sua mission. M.R.

Foto: A. Scattolon - A3

Giro di Padania

EMENDAMENTI, NO GRAZIE


Riservato

MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

Il congresso provinciale del Pdl di Lecco? Non si può fare. Michela Vittoria Brambilla non vuole. Non ha un buon rapporto con gli amministratori del territorio che non la tengono nella dovuta considerazione di “grande amica del Capo”. E soprattutto non vede di buon occhio la nomina a coordinatore provinciale vicario del quarantenne Mauro Piazza troppo indipendente da lei. Così l’ex ministro è andata da Berlusconi, i suoi argomenti sono stati convincenti e il congresso è stato rinviato, provocando la protesta di 150 dirigenti politici della Provincia contro imposizioni dall’alto e favoritismi da salotto. L. Q.

FISCO

Sorpresa in casa Tremonti Era la società di fiducia di Sogei, vale a dire il tempio dell’anagrafe tributaria che controlla gli affari fiscali degli italiani. E si era occupata pure della ristrutturazione dell’appartamento di via di Campo Marzio 24 a Roma. E cioè dell’immobile affittato per 8 mila euro al mese dal deputato del Pdl Marco Milanese all’ex ministro, e suo capo, Giulio Tremonti. Eppure al momento di pagare le tasse, era sempre un po’ pigra. Edil Ars, il consorzio edile guidato da Angelo Proietti che per una decina d’anni ha incassato commesse milionarie da Sogei finendo poi nel mirino della Procura di Roma e della Corte dei conti per la scarsa trasparenza delle procedure d’appalto, era morosa col fisco. Nel bilancio 2008, alla voce passivo, tra sanzioni e interessi, venivano indicati 1,6 milioni di debiti tributari. Una cifra che l’anno dopo si gonfiava fino a 2,5 milioni per poi raggiungere il debito record di 3,4 milioni nel 2010. M. D. B.

SCIOPERO AL RISTORANTE

Camera con crumiri Vittime collaterali dei tagli ai privilegi della politica, la scorsa settimana i camerieri del ristorante degli onorevoli hanno indetto uno sciopero che ha rischiato di mettere tutti a dieta. E l’amministrazione ha provveduto a sostituire gli scioperanti con dirigenti e interinali, facendo urlare allo scandalo molti parlamentari. L’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano (Pd) avrebbe voluto una presa di posizione ufficiale del suo gruppo, mai arrivata, e da ex sindacalista ha trovato insopportabile che venissero violati i diritti dei lavoratori nel «tempio della legge». Anche Fabio Evangelisti (Idv) si è appellato alla presidenza per difendere la causa dei camerieri, rimasti senza clienti dopo gli aumenti. Ma Montecitorio si è divisa in due correnti trasversali. Da una parte chi solidarizzava con gli scioperanti e disertava il ristorante. Dall’altra quelli che «stanno con i crumiri», pur di non rinunciare al pasto caldo servito in guanti bianchi. C. Co.

SUI BANCHI DEL SENATO

Rutelli al fianco di Lusi

Quando si dice la sfortuna. Francesco Rutelli, leader dell’Api, ha fatto il diavolo a quattro per imporre ai suoi senatori la massima lontananza possibile dall’ex amico Luigi Lusi, accusato di aver sottratto dai conti della Margherita parecchi milioni di euro. Con il tesoriere infedele, Rutelli ha rotto ogni rapporto. O meglio, avrebbe tanto voluto, visto che invece, suo malgrado, se l’è ritrovato compagno di banco. Dopo la sua espulsione dal Pd, infatti, Lusi ha aderito al gruppo misto, gli stessi scranni sui quali i senatori dell’Api siedono da tempo. G. C. 18 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Marco Damilano

TOP e FLOP TOP GIORGIO GORI «Sono tutti all’inseguimento di Monti, ma i partiti devono riprendersi in fretta l’onore perduto e la smarrita credibilità». A Palermo, dove si vota per le primarie del centrosinistra, il mago dei format tv aiuta il candidato di Renzi. E lancia l’appello ai leader: prima di spedirli sull’Isola dei famosi. FLOP MARCO SIMEON «Il potere non scrive lettere anonime». E neanche rilascia interviste, però. Il capo delle relazioni istituzionali Rai a 33 anni già studia da burattinaio ma scivola sulla vanità. Parla con il “Fatto” e s’imbroda: messaggi e padrinaggi («Ho sostenuto Lorenza Lei»). Licio Gelli ha dato una sola intervista (al “fratello” Maurizio Costanzo), Gigi Bisignani nessuna. Simeon continui ad apprendere. Dai grandi maestri. TOP MARIA ROSARIA ROSSI L’avevamo lasciata ad organizzare le notti berlusconiane a Tor Crescenza e i bunga bunga insieme a Emilio Fede. Ora la deputata del Pdl più vicina al Cavaliere si sente artisticamente cresciuta e prova con qualcosa di più intimo: il nuovo inno azzurro “Gente della libertà”.«È nato ad Arcore, in una pausa dell’attività politica». Quando si dice il talento. FLOP BEPPE SEVERGNINI «Tre programmi tv mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza: non posso, rispondo, l’ho promesso a Daria Bignardi». Quale impresa? Nobile al Polo? Nel deserto 40 giorni? Macché, una settimana senza mail e Twitter. Roba da Odissea: «Per resistere alle sirene della Rete mi tengo impegnato. Prendo cinque appuntamenti». Sempre meglio che lavorare.

Foto: G. Aresu - Agf, V. La Verde - Agf, D. Stefanini - Imagoeconomica, A. Scattolon - A3, M. L. Antonelli - Agf, S. Carofei - Agf

BRAMBILLA NON VUOLE RIVALI


Riservato Testimonial a sorpresa

UN ROMANO A PECHINO po della ricerca e della didattica. Un ruolo di primo piano, da pensionato di lusso non retribuito, che l’ex presidente del Consiglio alterna agli autorevoli incontri, tra gli stucchi dell’Alma Mater, con i diplomatici dei Paesi di numerose economie emergenti. L’ultimo in ordine di tempo è stato quello con l’ambasciatore in Italia della Cina, Ding Wei, invitato da Prodi e Dionigi a raccontare a imprenditori e studiosi bolognesi il modello di sviluppo pechinese. N. R.

Roth molto Riservato Il “Riservato” l’aveva previsto già a dicembre: la nomina del top manager cattolico Luigi Roth a commissario responsabile del padiglione Italia all’Expo 2015 avrebbe fatto discutere. E il 14 febbraio ecco la nomina, firmata dal premier Monti, e salutata «con soddisfazione» dal sindaco Pisapia, avallando una scelta preconfezionata da Berlusconi e dal presidente lombardo Formigoni. Proprio su questo pone l’accento un’interrogazione della deputata radicale Elisabetta Zamparutti: «Irrituale la scelta» di affidare a Roth il padiglione italiano, perché con l’amico Formigoni condivide uno «stretto legame politico-professionale». Formigoni sovrintende alla società di engineering Infrastrutture Lombarde, la stazione appaltante; e Roth, prima di presiedere Terna, è stato per anni a capo di Fondazione Fiera Milano, delle Ferrovie Nord, consigliere dei grandi ospedali pubblici milanesi e tanto altro. T. M.

Vinai o Vinacci? Su questi due nomi dalla assonanza alcolica, il primo, Pierluigi, membro del cda Carige e socio Opus Dei, il secondo, Giancarlo, manager quasi sconosciuto in città, il Pdl genovese si accapiglia per individuare l’avversario di Marco Doria alle elezioni comunali del 6 maggio. Lo scontro è l’ennesima puntata della lotta fra Scajola (pro-Vinai) e il senatore Grillo (pro-Vinacci), due colonne del Pdl ligure. Per ora sembra spuntarla il secondo, appoggiato dai ras locali. Ma l’ultima parola spetta ad Angelino Alfano, che potrebbe cambiare cavallo. Ammesso che Vinai accetti, visto che si è detto disponibile a candidarsi solo se appoggiato da tutto il centro. E l’Udc per ora sembra orientata su un proprio candidato, il senatore Enrico Musso. V. C.

FRECCE IN TRIBUNALE Dalle acrobazie in aria a quelle finanziarie, la carriera dell’ex comandante delle Frecce Tricolori, Vincenzo Soddu, rischia di concludersi con uno schianto in tribunale. La procura ha chiuso le indagini sul fallimento della sua compagnia aerea Myair. Secondo la Guardia di Finanza di Vicenza, nei conti c’era un buco da 200 milioni di euro, nascosto con abili stratagemmi finanziari, per un falso in bilancio da 900 milioni. Tra i 32 indagati figurano un ex ministro dei trasporti, il defunto Carlo Bernini, consulente nell’ultimo governo del ministro Gianfranco Rotondi; un ex arbitro nonché candidato per Forza Italia, Luigi Agnolin; fino a Vincenzo Nicastro, amministratore delegato di Ubs e in passato vice di Alessandro Profumo alla guida di Unicredit. R. B.

PALAZZO CHIGI/1

PALAZZO CHIGI/2

Tempi duri per i dirigenti della presidenza del Consiglio. Mario Monti prepara il taglio dei dipartimenti di palazzo Chigi. I capi dei 24 uffici sono stati tutti prorogati sino al 4 marzo. In questi giorni il premier li ha ricevuti tutti per incontri face to face. E ha già deciso che saranno spediti a casa coloro che sono in pensione ma hanno mantenuto l’incarico. Poi si procederà agli accorpamenti. In tutto, dovrebbero scomparire tra quattro e sei dipartimenti con un notevole risparmio: un capo dipartimento incassa infatti in media uno stipendio di 250 mila euro circa. V. D.

Dopo il taglio della connessione Internet dai computer a disposizione di giornalisti e operatori che non hanno una postazione pagata dalle proprie testate, in sala stampa a palazzo Chigi sono spariti anche i quotidiani fino a pochi giorni fa a disposizione dei giornalisti. A ricordare l’antica usanza, è rimasta solo una rastrelliera vuota, quella che ospitava le “stecche” su cui ogni giorno venivano fissati i quotidiani. Motivazione? La disposizione impartita agli uffici dal presidente Monti PALAZZO CHIGI, SEDE DELLA PRESIDENZA di limitare al massimo le spese per la DEL CONSIGLIO. IN ALTO: ROMANO PRODI convegnistica e la rappresentanza. G. C.

Monti taglia

20 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

...e ritaglia Foto: V. La Verde - Agf, C. Carino - Imagoeconomica

Il ruolo di testimonial gli calza a pennello. Definitivamente archiviata la lunga stagione della ricerca del consenso, Romano Prodi tra una conferenza e l’altra gira il mondo per tenere alta la bandiera dell’Università di Bologna. Tutto frutto dell’accordo, e dell’amicizia, con il rettore Ivano Dionigi, che gli ha assegnato l’incarico di rappresentarlo anche per apporre la firma in sua vece all’intesa strategica di collaborazione con la Nankai University, uno dei più prestigiosi atenei della Cina, per importanti progetti comuni nel cam-

CIN CIN GENOVA


Riservato Per chi suona la Campania La maglia nera spetta alla Campania: le spese certificate per i progetti legati al Fondo sociale europeo (programmazione 20072013) si fermano al 3,5 per cento su un totale di 1 miliardo e 118 milioni di euro a disposizione. Al secondo posto, per record negativo, la Sicilia cui sono destinati oltre 2 miliardi: in questo caso i pagamenti si attestano al 5 per cento. Ha ragione il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, che recentemente ha puntato il dito contro la mancata spesa di quei fondi: la maggior parte delle regioni italiane non è stata capace di utilizzare il denaro per combattere la disoccupazione. Sono più di 15 miliardi le risorse dedicate agli interventi del Fondo sociale europeo, ma le spese certificate in media non superano il 25 per cento. Uno spreco che riguarda soprattutto il Centro-Sud: l’Abruzzo, ad esempio, dei 316 milioni disponibili risulta averne spesi solo il 14,7 per cento . M.G.

QUANTI PUMA IN DONO A TRIPOLI Nel segno della tradizione andreottiana, l’Italia ricomincia ad armare la Libia. E lo fa regalando una lunga colonna di autoblindo Puma. La decisione è stata presa dal governo Monti con un comma infilato nel decreto sulle missioni all’estero. In questo modo si autorizza la cessione gratuita al governo provvisorio di Tripoli «di mezzi non più in uso alle forze armate italiane». E nei parcheggi dell’esercito ci sono lunghe file di autoblindo Puma, prodotte dall’Iveco alla fine degli anni Novanta: veicoli militari moderni che si sono rivelati inutili per le spedizioni in Iraq e in Afghanistan poiché non resistono alle mine e agli ordigni artigianali usati dalla guerriglia fondamentalista. Ora una parte sarà donata alle autorità molto provvisorie della Libia, Paese ancora in mano a bande e fazioni tribali: l’operazione costerà comunque un milione di euro ai contribuenti italiani. G. D. F. 22 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Denise Pardo Pantheon

Meno male che il papa c’è GUERRE SANTE. Meno male che c’è e ora dirottata a svolazzare sui rovi la Santa Sede. Sarà stata la Provvidenza del Cupolone. Tanto da costringere uno - chi se no? - a fare in modo che dei protagonisti a dare l’altolà all’uso l’incolmabile vuoto mediatico causa smodato dei paragoni volatili: «I corvi li l’uscita di scena di Silvio Berlusconi lasciamo nella boscaglia e nelle paludi», fosse riempito. Oddio! Neanche il più ha detto il cardinale Tarcisio Bertone. dotato dei profeti avrebbe puntato «Volino le colombe». un soldo sul fatto che le prodezze del E non si era mai sentito un segretario Cavaliere potessero essere sostituite di Stato che invece di ispirarsi ai sacri dalla guerra nell’evangelico ambientino testi cita Sanremo (“Vola colomba” cinto dalle Mura leonine. Eppure quello Nilla Pizzi, Festival di Sanremo 1952). che viene chiamato, a seconda dell’età IL CACCIATORE GEORG. È vero che dei titolisti il Vatican-gate o il Vati-leaks, proprio al Festival il pezzo forte del cioè l’epidemia di focosi veleni tra “sermone” di Adriano Celentano sono cardinali di altissimo rango, intrighi stati gli strali alla Chiesa e ai suoi giornali sinistri, fughe di carteggi con boom di teleascolti al seguito. E poi a dir poco luciferini, e persino l’ipotesi giorno per giorno: le paginate di Marco di un papacidio, regge alla grande Lillo. Il programma tv “Gli intoccabili” di il temibile confronto con il meglio del Gianluigi Nuzzi (con il libro “Vaticano spa” berlusconismo. Da papi al papa. stava già sul pezzo da un pezzo), ospiti IN PIEDI, LA CORTE. Morto il papa molto graditi, talpe e corvi. Gli editoriali politico, a furia di cercare il papa nero e e pezzi di Massimo Franco e Maria il papa straniero, alla ribalta delle prime Antonietta Calabrò. L’“Alta società” pagine è arrivato l’entourage del papa di Carlo Rossella su un ricevimento dei vero (Bertone, Bagnasco, Piacenza, principi Thurn und Taxis al Circolo della monsignor Viganò & C.). ll governo in Caccia di Roma per monsignor Inkamp. bianco e nero di Mario Monti, la caduta “Dagospia” in prima linea più che mai, dell’impero berlusconiano, la perdita di rivelatore della presenza nel nobile club potere di un pezzo di sistema con tanto di niente di meno che padre Georg, di gentiluomo di Sua Santità (Angelo il segretario di Sua Santità. Una peste Balducci e la cosiddetta “cricca”) hanno mediatica simile si scatena solo spalancato la porta santa - già socchiusa in occasione del conclave. A ogni morte a onor di verità- dell’unica corte (nel vero di papa, è il caso di notare. senso della parola) rimasta in piedi. OLTRE I GIARDINI. Ma in certe Da Palazzo Grazioli al palazzo apostolico. rappresentazioni, il Vaticano batte ko CANTA BERTONE. Mica il Cavaliere. Vuoi mettere IL CARDINAL BERTONE. grazie al “mouse” dei bravi lo spettacolare presunto vaticanisti. No, no. La nuova SOPRA: MANUEL BARROSO complotto per uccidere novella è che per il papa rispetto al Cavaliere la prima volta a scrivere, colpito odontoiatricamente rivelare, analizzare sono con un souvenir da turista? stati giornalisti-profani: Così si è passati dai inchiestisti-scoopisti giardini di Arcore e di villa strappati alle varie procure, Certosa ai giardini del notisti politici distratti Belvedere. Negli uni dal “Porcellum”. passeggiavano fanciulle in E cronisti mondani sottratti fiore. Negli altri pii e potenti alle orme di Maddalena alti papaveri del Vaticano. (Letta, questa volta). Per Con tutto il rispetto, e con non parlare dell’esplosione tutte le dovutissime-issime di fauna ornitologica (corvi distanze, Dio ci perdoni, e gufi citati a go-gò) finora in fondo si tratta sempre dedita al noir e all’horror di sottane.

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Foto: T. Kierok - Laif / Contrasto, A. Palma - A3, S. Caleo

FONDI EUROPEI


Marco Travaglio Carta canta

Viva l’Europa solo se fa comodo ino a tre mesi fa tutto ciò che veniva dall’Europa era cacca. Ora è vangelo. I pidiellini e i leghisti che, con l’aggiunta dei soliti franchi tiratori di centrosinistra, hanno votato alla Camera l’emendamento del padano Gianluca Pini sulla responsabilità civile dei singoli magistrati, dicono di averlo fatto perché «ce lo chiede l’Europa». Lo stesso Pini ha dichiarato che il suo capolavoro recepisce la sentenza della Corte di giustizia che «il 24 settembre 2011, come era logico, perché era palese, ha condannato l’Italia perché è uno dei pochissimi Stati del mondo occidentale che non permette a un cittadino che ha subìto un’ingiustizia o un danno da parte della magistratura di ricorrere contro questi signori». Balla sesquipedale: il 24 settembre 2011 la Corte Ue non ha emesso alcuna sentenza sull’Italia. Ne ha emesse due in altre date (24 novembre 2011 e 13 giugno 2006) in cui parla delle «responsabilità degli Stati membri», che devono risarcire i danni causati ai cittadini da manifeste violazioni del diritto comunitario da parte di un giudice: gli Stati, non i singoli giudici. Dopodiché gli Stati possono rivalersi sui giudici: proprio come già prevede la legge italiana. E solo quella, perché in tutti gli altri grandi Paesi i giudici godono di totale immunità nell’esercizio delle loro funzioni. Dunque non possono subire rivalse né dai cittadini né dagli Stati. ANZI LA RACCOMANDAZIONE N.12 del Consiglio d’Europa (17 novembre 2010) stabilisce che «i giudici non devono essere personalmente responsabili se una decisione è riformata in tutto o in parte», mentre ovviamente «fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie rispondono in sede civile, penale e amministrativa come ogni cittadino». Vedremo se il Senato correggerà l’asinata della Camera. Intanto la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per i respingimenti indiscriminati di migranti previsti dal trattato italo-libico: lo Stato dovrà risarcire con 15 mila euro a testa i 22 profughi che avevano fatto ricorso e probabil-

F

Foto: Maki Galimberti

Va di moda dire “ce lo chiede Bruxelles”. Per tagliare le pensioni o per riformare il mercato del lavoro. Ma anche quando non è vero. Come sulla responsabilità dei magistrati. E la regola non vale per l’anti-corruzione

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mente gli altri mille finora respinti in quel modo barbaro. E il danno crescerà se il governo Monti non ritirerà l’assurda decisione di confermare l’orrendo trattato, di cui quella pratica illegale è uno dei capisaldi. L’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni, noto giureconsulto, ha parlato di «sentenza politica di una corte politicizzata» (le toghe rosse europee). ORA, PER USARE UN ARGOMENTO caro ai fautori della responsabilità civile personale dei giudici, la domanda è semplice: chi paga? Maroni? Berlusconi? Bossi? Tutti insieme? Perché, per dirla col presunto onorevole Pini, bisogna consentire a «un cittadino che ha subìto un’ingiustizia o un danno da parte del Pdl e della Lega di ricorrere contro questi signori». Chissà perché gli italiani dovrebbero pagare gli errori di politici somari che legiferano contro il diritto internazionale. A quando una legge per la responsabilità civile dei parlamentari e dei ministri? «Ce lo chiede l’Europa». Che però piace solo quando fa comodo a lorsignori. Per tagliare le pensioni e cancellare l’articolo 18, la scusa è «ce lo chiede l’Europa». Ora l’Ocse vorrebbe addirittura imporci di togliere altre tutele ai lavoratori col posto fisso e di privatizzare la Rai (e perché non anche la Bbc inglese, France Tv, la Tve spagnola, la Rtf tedesca e così via?). E tutti zitti, anche se si tratta di competenze tipiche degli Stati nazionali. Se però l’Europa, nell’ottobre 2009 con il Gruppo di Stati europei contro la corruzione e poi il 12 gennaio 2012 con l’Ocse, ci chiede di allungare la prescrizione contro la corruzione e di ratificare la convenzione anticorruzione di Strasburgo 1999, sottoscritta dall’Italia e mai trasformata in legge dal nostro Parlamento, i nostri politici fanno orecchi da mercante. E pure i tecnici. Nell’opuscolo autocelebrativo dei primi 100 giorni del governo Monti la parola Europa compare dieci volte, le parole corruzione e prescrizione mai. Forse perché la prescrizione cancella ogni giorno 389 processi, compresi gli ultimi sei di Berlusconi. Il quale, ancora oggi, conta molto più dell’Europa. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 25


8 marzo 2012

L’altra copertina

Foto: A. Bernasconi, Imagoeconomica (3), Agf

NEI CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE DELLE SOCIETÀ QUOTATE IN BORSA SI PREPARA UNA RIVOLUZIONE SANCITA DA UNA LEGGE DELLO STATO: QUELLA CHE TUTELA L’ALTRA METÀ DEL CIELO. INFATTI (IL SERVIZIO È A PAG. 118) UN ESERCITO DI MILLE DONNE PRENDERÀ IL POSTO DI ALTRETTANTI UOMINI AI VERTICI DELLE AZIENDE. ECCO CHI SONO E COSA CAMBIERÀ. LA COPERTINA È INVECE DEDICATA ALLO SFASCIO DEL SISTEMA SANITARIO. L’INVIATO FABRIZIO GATTI (SERVIZIO A PAG. 34) CI RACCONTA COME PERFINO IL NIGUARDA DI MILANO, PUR RESTANDO SIMBOLO DI ALTA QUALITÀ SANITARIA, SIA ANCHE L’EMBLEMA DEGLI SPRECHI E DELLE INCURIE CHE DILAGANO NEGLI OSPEDALI ITALIANI

Settimanale di politica cultura economia - www.espressonline.it

ARRIVA LA VALANGA ROSA

LUCREZIA REICHLIN Consigliere Unicredit

N. 10 anno LVIII 8 marzo 2012

ALESSANDRA PERRAZZELLI Dirigente Intesa Sanpaolo

UN ESERCITO DI MILLE DONNE STA PER SCALZARE MILLE UOMINI DAI VERTICI DELLE AZIENDE. UNA RIVOLUZIONE PATRIZIA GRIECO Consigliere Ferretti Yacht

ANNA PUCCIO Consigliere Luxottica

MAL DI SANITÀ ECCO COME SPRECHI E INCURIE GOVERNANO GLI OSPEDALI p.34

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WIKILEAKS ESCLUSIVO: INTERVISTA A JULIAN ASSANGE p.44

ELISABETTA OLIVIERI Consigliere Snam

PAL AZZO D’ORO DA CONTI A VERDINI UN MISTERIOSO ASSEGNO DA UN MILIONE p.52

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Sommario 34

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Questa settimana 33 / MA ORMAI NON SI PARLA PIÙ DI TAV di Bruno Manfellotto

Primo Piano 34 / CI RUBANO LA SALUTE È un ospedale con servizi di eccellenza. Ma i reparti sono assediati da sporcizia e degrado. Ecco il lato oscuro del Niguarda di Fabrizio Gatti 41 / LE MANI SUGLI OSPEDALI Venticinque miliardi per battere il degrado. Ma spesso spesi per opere inutili o malfatte. Ecco la mappa degli sprechi di Daniela Minerva

WikiLeaks 44 / IRRIDUCIBILE ASSANGE Parla il leader del sito che ha sfidato la Casa Bianca e dice: colpiremo ancora colloquio con Julian Assange di Stefania Maurizi

Attualità 48 / VOGLIA DI QUIRINALE Monti resti premier. E sfida tra i leader per il Colle. È la tentazione dei partiti. Ma c’è un’ipotesi a sorpresa: prorogare Napolitano di Marco Damilano 52 / QUATTRINI A VERDINI Il coordinatore del Pdl incassa un milione dal senatore Conti. Ricavato da una operazione immobiliare ora sotto inchiesta di Lirio Abbate 56 / ARRIVANO I PADANO-MARONITI Più camicie verdi che colletti bianchi: con l’ex ministro una base di leghisti duri e puri di Roberto Di Caro

n. 10 - 8 marzo 2012

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63 / CHI HA UCCISO IL CAMPIONE Il tedesco Lang gareggiò nel ’36 con Owens e fu considerato un eroe olimpico. Un libro ne ricostruisce la morte. Misteriosa di Gianluca Di Feo 64 / IO, MIA MADRE E LE DONNE La forte figura materna. Gli amori giovanili. L’ex moglie. Le attrici. Il regista racconta il suo rapporto con l’universo feminile colloquio con Carlo Verdone di Gianni Perrelli

100 / MECENATE IN BIANCO Un magnate giapponese finanzia il restauro della Piramide Cestia di Marisa Ranieri Panetta

Mondo

106 / L’HI-TECH TI FA BELLA Mantenere vitale la pelle intervenendo sulle cellule dei tessuti cutanei di Raimonda Boriani

72 / SINDROME TEDESCA A PARIGI Sarkozy e Hollande hanno l’ossessione di Angela Merkel: sanno che, chiunque vinca, è con la Germania che dovrà fare i conti di Christine Ockrent 77 / MA ASSAD È GIÀ FINITO Politicamente il presidente siriano non ha futuro. Parla lo scrittore Khaled Khalifa di Alessandra Cardinale

Reportage 84 / IL CREPUSCOLO DEL GIAPPONE Ritorno a Fukushima un anno dopo. Per scoprire un Paese che non crede più in se stesso e da dove in molti vogliono fuggire di Pio D’Emilia

Cultura 94 / FENOMENALE WATSON Lo scopritore del Dna spiega quanto Dio e filosofia siano inutili. Contano solo i fatti colloquio con James Watson di Piergiorgio Odifreddi 98 / BALLA COI LITFIBA Un disco, il tour. E soprattutto, la riscoperta dell’impegno dei rocker fiorentini di Alberto Dentice

101 /ASPIRANTI EDITORI A LEZIONE Al festival “Libri come” corsi per imparare un mestiere difficile di Angiola Codacci-Pisanelli

Scienze

110 / TURISTI IN ORBITA Voli attorno alla Luna. Soste in hotel fluttuanti. E non solo. Sono i tour spaziali di Stefania Di Pietro 111 / SALUTE

Rubriche 7 / Per esempio di Altan 9 / Potere&poteri di Piero Ignazi 11 / Satira preventiva di Michele Serra 13 / Diverso parere di Alessandro De Nicola 15 / Riservato a cura di G. Di Feo e P. Di Nicola 18 / Top e flop di Marco Damilano 22 / Pantheon di Denise Pardo 25 / Carta canta di Marco Travaglio 43 / L’opinione di Ignazio Marino 81 / Senza frontiere di Soli Ozel 123 / Avviso ai naviganti di Massimo Riva 174 / La bustina di Minerva di Umberto Eco

8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 29


Sommario N. 10

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8 MARZO 2012

Speciale Auto 132 / QUATTRO RUOTE IN VETRINA La grande kermesse internazionale del Salone di Ginevra. Con 140 anteprime di Maurizio Maggi

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131

136 / LA VIRTÙ È NEL MEZZO Le case puntano su nuovi modelli di taglia media. A prova di crisi di Marco Scafati

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Tecnologia

Società

114 / SANITÀ 2.0 Condivisione di diagnosi e terapie. Tablet per monitoraggi costanti. E medici votati sul Web. Così la guarigione diventa digitale di Alessandro Longo

146 / NOTTURNO ITALIANO Tessuti preziosi. Dettagli regali. Un trionfo di nero. Torna una moda sfarzosa. Che guarda a Oriente. E ammicca ai ricchi di oggi di Valeria Palermi

Economia

154 / DIVINA DIANA Venezia celebra il mito della Vreeland. Direttrice di giornali, curatrice di mostre. Soprattutto, icona trasgressiva dello stile di Alessandra Mammì

118 / VALANGA ROSA Parte la scalata di mille donne ai posti di comando nelle società quotate. Ecco chi sono e come si preparano al grande salto di Camilla Conti 122 / QUELLA BANCA FA GOLA Ambizioso. Con amici bipartisan. Ecco il socio di Paolo Berlusconi che fa tremare la Fondazione di Cuneo di Luca Piana 124 / GIUNGLA RC AUTO A Napoli si spende il triplo che a Bergamo. Perché molte compagnie evitano il Sud di Corrado Giustiziani 126 / QUATTRO CONSIGLI PER SALVARE L’EURO L’aiuto finanziario della Bce. La crescita. Le regole antideficit. E magari una svalutazione. Un agenda per l’Europa di Alberto Alesina

Passioni 160 / Cinema 161 / Spettacoli 162 / Musica 163 / Arte 164 / Libri 167 / Design 168 / La tavola 169 / Viaggi 170 / Per posta, per email COPERTINA: foto di Massimo Sestini per L’Espresso

Per chi è già abbonato e vuole consultare on line lo stato del proprio abbonamento, basta registrarsi sul sito ilmioabbonamento.espresso.repubblica.it/custo mer/account/create Per acquistare gli arretrati dei prodotti editoriali abbinati a“L’Espresso”, si suggerisce di visitare il sito www.servizioclientiespresso.repubblica.it di scrivere all’indirizzo mail arretrati@somedia.it; di rivolgersi direttamente al proprio edicolante di fiducia o di telefonare allo stesso numero 199.78.72.78*

* Il costo massimo della telefonata da rete fissa è di € 0,1426 al minuto + 6,19 cent di euro alla risposta (IVA inclusa) 30 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

140 / PICCOLE E TRENDY Le monovolume sempre più accattivanti di Marco Scafati 143 / STILE SABAUDO La tradizione piemontese di car design fa scuola in tutto il mondo di Fabio Lepore

Questa settimana su www.espressonline.it WikiLeaks: il dossier completo su Stratfor e tutti i file in originale Il dossieraggio degli utenti di Facebook per conto di una multinazionale. Gli oscuri finanziatori del sito di Mark Zuckerberg. Le bugie per incastrare Julian Assange. Ma anche i rapporti tutt’altro che limpidi tra la Cia e le agenzie private di intelligence. Sul sito dell’Espresso, in esclusiva per l’Italia, il dossier completo a cura di Stefania Maurizi sugli ultimi documenti rilasciati da WikiLeaks e i file di Stratfor in versione originale.

L’ospedale fa schifo? Mandaci un video Armati di videocamera o telefonino, denunciate quello che non funziona negli ospedali della vostra regione. E mandate il vostro video al nostro sito.

Le locandine dei film impossibili

Abbonati e abbonamenti “L’Espresso” inaugura un nuovo servizio destinato a fornire ogni informazione agli abbonati vecchi e nuovi e a raccogliere suggerimenti e lamentele. Per abbonarsi, o per saperne di più sul proprio abbonamento, per segnalare disservizi o ritardi basta visitare il sito www.ilmioabbonamento.it o scrivere all’indirizzo mail abbonamenti@somedia.it o telefonare al numero 199.78.72.78* (0864.25.62.66 per chi chiama da telefoni pubblici, cellulari o non abilitati), dal lunedì al venerdì ore 9,00 - 18,00.

138 / SULLE ALI DI UNO SPOT Parla Olivier François, responsabile marketing del gruppo Fiat-Chrysler di Maurizio Maggi

Sean Hartter, graphic designer, si è divertito a trasformare le locandine originali di celebri film in una loro versione vintage e anarchica. Il risultato? Pellicole impossibili, anacronistiche e satiriche. La fotogalleria nella sezione Multimedia del nostro sito.

Che delizia la cucina d’Islanda I migliori chef di Reykjavik aprono le loro cucine per mostrare le potenzialità dei prodotti islandesi. È la tre giorni di “Iceland Food and Fun”, quando tutti i ristoranti della capitale hanno speciali menu di soli ingredienti dell’isola. Nella sezione Food&Wine del nostro sito.


Bruno Manfellotto Questa settimana

Ma ormai non si parla più di Tav icono le analisi dei servizi segreti che i no Tav della Val di Susa sono «determinati a resistere a oltranza» e che hanno in cantiere altre azioni clamorose. E non solo in Piemonte, come le diffuse proteste di questi giorni confermano. Ma soprattutto, aggiungono, la battaglia contro l’alta velocità per alcuni sta diventando il simbolo di un più generale mal di vivere indotto dalla crisi e dalle sue conseguenze: disoccupazione, precarietà del lavoro, degrado ambientale, aumento di prezzi e tariffe, riduzione dei servizi sociali. Così ogni occasione è buona per far esplodere la rabbia: l’apertura di una discarica, il tracciato di un’autostrada, un impianto di rigassificazione, la chiusura di una fabbrica (il Nimby Forum calcola che siano oggi 331 i progetti contestati). Si legge ancora: «La crisi può favorire la nascita di un articolato fronte di lotta capace di unire anime storicamente diverse». Non c’è da stare tranquilli. IL CASO HA VOLUTO CHE QUESTE note siano state diffuse nelle stesse ore in cui l’alta tensione folgorava Luca Abbà su un traliccio in Val di Susa, e ciò spingeva i manifestanti a un’ulteriore escalation di proteste: autostrade invase, treni bloccati a Pisa a Roma a Lecce, leader politici contestati in piazza evocando Gandhi e lasciando immaginare domani altri manifestanti sdraiati in strada e sui binari. Nel corso dei mesi la contestazione ha cambiato di qualità. I locali comitati anti Tav si sono assottigliati lasciando il posto a gruppi di diversa natura: dagli anarchici ai quali faceva riferimento Abbà, alle frange più estremiste protagoniste delle tristi minacce a Giancarlo Caselli. Le ragioni del mutamento di pelle? Dopo lunghe e pazienti trattative si è deciso che quella striscia di Val di Susa fosse attraversata quasi tutta in galleria: il treno non si vedrà e non si sentirà. E questo ha rassicurato molti valligiani facendoli desistere dalla protesta. Altri invece hanno abbandonato la battaglia perché, pur condividendone motivazioni e finalità, ne contestano violenze e minacce.

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Foto: Massimo Sestini

Non si può tornare indietro, quel treno si farà. E vabbè. Però le proteste continuano e continueranno. Perché quella valle in fermento è diventata il simbolo di ogni dissenso. Per questo la politica dovrebbe occuparsene

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In realtà ormai si parla di Tav per parlare d’altro, anche perché - com’è noto non si può fare più niente per fermare un progetto che impegna due Stati, Italia e Francia, e i rispettivi Parlamenti, e per il quale dall’altra parte della frontiera già si scava da tempo. La contestazione insomma non riguarda più solo un treno, ma ciò che quel treno rappresenta, un certo modello di sviluppo che si rifiuta alla radice e di cui la crisi ha evidenziato limiti e conseguenze: eccesso di finanza, bolla immobiliare, inaccettabili disparità sociali e retributive, invidia sociale, disoccupazione. Non solo. L’avvento di un governo tecnico sorretto dalla quasi totalità del Parlamento, ha messo nell’angolo le forze politiche, specie quelle ieri impegnate nel duro lavoro dell’opposizione. Con qualche conseguenza. La prima è il rischio di confondere in un unico pentolone Monti e la sinistra, i tecnici di governo e i politici che li sostengono, dando l’impressione che dinanzi alla crisi il necessario diventi ineluttabile. Così aumentano sfiducia nella politica e voglia di astensionismo: se non posso fare niente che voto a fare? La seconda riguarda la sinistra messa ovviamente in difficoltà. Le fasi di massimo antagonismo si sono manifestate, nelle forme più diverse, proprio quando questa ha fatto i conti con i suoi radicalismi. L’acme fu toccato negli anni Settanta quando l’avvicinamento del Pci a maggioranze di governo provocò la radicalizzazione di frange estreme politiche e sindacali. E oggi i servizi segreti segnalano il ritorno sulla scena di ex Br. CERTO, PARAGONI CON QUELLA lontana stagione sono improponibili, né la sinistra può fare marce indietro e rinunciare a un ruolo conquistato anche in anni di governo. Ma non si può nemmeno pensare che l’opposizione abbia i connotati della piazza, che il dissenso non meriti di essere ascoltato, che le proteste servano solo a ingaggiare continui bracci di ferro. Che insomma non si eserciti quotidianamente la faticosa ricerca del consenso. Che poi è l’arte della politica. Twitter@bmanfellotto 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 33


Tema del giorno I predoni della sanità

CI RUBANO

È l’ospedale più grande del Nord. Ha servizi di eccellenza. Ma i reparti sono assediati da sporcizia e degrado. E i fondi servono a finanziare progetti faraonici. Viaggio nel lato oscuro del Niguarda DI FABRIZIO GATTI - FOTO DI MASSIMO SESTINI PER L’ESPRESSO

la salute

anche oggi, tredicesimo turno di lavoro dentro l’ospedale di Milano Niguarda, le bucce di mandarino sono sempre lì. Ammucchiate all’angolo da tredici giorni, lungo il corridoio fra gli spogliatoi dei dipendenti e gli archivi delle cartelle cliniche. E sempre dov’erano tredici giorni fa, ritrovi immobile la lattina, i bicchieri di plastica del caffè buttati per terra, le macerie nascoste sotto i tubi dei gas medicali, due vecchi scarponi da sci, un ombrello rotto, il secchio per raccogliere l’acqua che gocciola dal soffitto, i posacenere pieni di cicche e i cestini dei rifiuti che ovunque traboccano come caraffe. Anche il guano non l’ha pulito nessuno. Le macchie sul pavimento, sul muro e sull’indicatore del-

E

LE DUE FACCE DEL NIGUARDA. A SINISTRA: LA PARTE NUOVA DELL’OSPEDALE. IN ALTO: UN SOTTERRANEO DELLA VECCHIA STRUTTURA 34 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

l’uscita d’emergenza sono sempre le stesse. Da tredici giorni. Anzi, nell’atrio sotto il centro clinico all’avanguardia sono perfino aumentate. Due piccioni hanno fatto il nido sul cornicione. Non fuori. Dentro l’atrio. E nessuno li manda via. Queste però sono piccole cose rispetto al resto. Nelle tre divisioni di Psichiatria a corto di infermieri hanno da tempo cestinato Franco Basaglia e uno dei doveri della legge 180. I pazienti vengono rinchiusi a chiave in reparto. Dicono che lo facciano per il loro bene. E sulla porta blindata di Psichiatria 3, comandata da un circuito elettrico, hanno appeso un cartello gentile come uno schiaffo. Una grande mano nera davanti al disegno di un volto urlante, un cerchio sbarrato rosso. E la scritta: “Vietato l’ingresso ai non addetti ai lavori – Unbefugten ist der Zutritt verboten”. Nessun riguardo per i ricoverati e i loro familiari. Come se il reparto di psichiatria sia 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 35


Tema del giorno I predoni della sanità

per forza un bunker o una galera. E poi, da quale protocollo medico è prevista la traduzione in tedesco? A metà del corridoio tra gli spogliatoi e gli archivi, trentacinque passi dalle bucce di mandarino ormai rinsecchite, da settimane decine di dipendenti camminano e respirano accanto a dieci sacchi da mille chili l’uno. Sono pieni di polvere di amianto. La finestra aperta innesca una corrente d’aria che spinge il pulviscolo ovunque. Altri sedici sacchi come quelli sono sparsi nei sotterranei dell’ospedale. Si risale in cortile. Il deposito per i rifiuti pericolosi del reparto Malattie infettive dimostra che non dappertutto vengono fatte le pulizie. C’è una sporcizia scandalosa. Come in quello all’ingresso di Ostetricia, pediatria e chirurgia pediatrica dove è allineata una fila di taniche di sostanze tossiche che dovrebbero essere rimosse ogni giorno. Il cartellino rivela che alcune sono abbandonate lì dal 2 novembre 2011. Eppure nella sede della cooperativa che ha in appalto la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri, capita di vedere dipendenti giocare a carte o dormire a gambe all’aria sui sedili dei piccoli trattori.

sente l’odore. Qui sotto la puzza di feci e urina è insopportabile. E questo è il tunnel che si affaccia a pochi metri dal deposito dei secchi e degli stracci con cui vengono lavate le camere dell’unità spinale, terapia intensiva, neurorianimazione e altri settori delicati. In tredici giorni nessuno rimuove gli escrementi. Nessuno disinfetta.

Malati dietro le sbarre

Cadaveri ammucchiati Nemmeno i bambini più sfortunati meritano un trattamento di favore. Per i piccoli che muoiono in reparto e devono essere conservati in cella frigorifera, non si sprecano posti. Questo è il più grande ospedale del Nord: 1.300 letti, 131 mila ricoveri all’anno. Ma di loculi refrigerati ce ne sono per quattro corpi soltanto. Così in attesa della sepoltura, racconta un dipendente, il bimbo «perché è più corto» viene sdraiato a contatto con un cadavere adulto sulla stessa piastra d’acciaio. Ai genitori non raccontano nulla. Per pietà. E poi ecco gli escrementi nei sotterranei. Non quelli di un cane randagio, come nel 2007 al Policlinico Umberto I di Roma. No, questi sono escrementi umani. Almeno una decina, proprio sotto gli ambulatori di reumatologia e di riabilitazione cardiologica. Da sopra non si

I rifiuti tossici del Niguarda. Un’infermiera si fa aiutare dal nostro inviato nel trasporto dei materiali pericolosi dell’ospedale

Non è in discussione la qualità dell’assistenza sanitaria. L’ospedale Ca’ Granda di Milano Niguarda è nell’elenco delle eccellenze europee. I trapianti, le ricerche di rilievo mondiale, gli ottimi risultati nelle cure. Ma la capacità e la pulizia garantita da medici e infermieri non la ritrovi fuori dei loro reparti. Proprio dove contano la trasparenza degli appalti, l’efficacia della gestione, il rispetto della buona amministrazione si raccoglie l’indecenza. Il modello lombardo che gestisce la salute ha il suo volto nascosto. Malati e parenti non possono vederlo. Bisogna lavorarci dentro per scoprirlo. Non è necessario un contratto di assunzione. Gli operai in appalto e subappalto esterno sono centinaia. Qui perfino i latitanti della ’ndrangheta venivano a incontrarsi, accompagnati da un archivista. Basta accodarsi. Una tuta blu da indossare, identica a quella degli addetti alla rimozione dei rifiuti. Scarponcini da lavoro. Guanti in lattice. E una telecamerina per filmare tutto. Si vede così il paziente di Psichiatria 3. È in piedi dietro la porta del reparto chiusa a chiave. Chiede di essere liberato. È un ragazzo dello Sri Lanka. La barriera blindata in quel momento è aperta. Ma arriva un uomo in camice bianco. Schiaccia un interruttore sul muro. E bisogna scansarsi. Le due ante si chiudono con un botto sulla sua debole voce. Dopo quattro giorni il ragazzo è ancora chiuso lì dentro, incorniciato dietro la finestra antisfondamento della porta blindata. Fine della speranza di uscire. E poi i sacchi di amianto nei sotterranei ridotti a latrina. La sporcizia. Gli operai che giocano a carte. Il collega che dorme. La

Le due foto in’alto: un uomo pedala in un corridoio del “vecchio” ospedale dove sono abbandonati a terra rifiuti infettivi; un ammalato trasportato da un reparto all’altro attraverso i sotterranei. Al centro: nei tunnel sacchi di amianto e l’ingresso della chiesa. Qui a fianco: un’altra immagine di degrado; Fabrizio Gatti con un contenitore di materiali pericolosi di scarto

I SACCHI DI AMIANTO ACCUMULATI NEI CORRIDOI DOVE PASSANO GLI INFER MIERI. MANCANO PERSINO LE SCOPE E I SECCHI PER PULIRE GLI ATRI 36 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

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Tema del giorno I predoni della sanità

confessione sui bambini e le celle comuni in obitorio. Gli escrementi. Tutto filmato. Benvenuti al Nord. Il volto ufficiale è quello che appare nel nuovissimo blocco Sud. Illuminato dai faretti, dai soffitti in cristallo, dalle vetrine dei negozi aperti dentro l’ospedale. È la “Shopping-gallery” inaugurata nel novembre 2010. L’hanno chiamata proprio così, con la scritta adesiva sui vetri. Sembra il duty-free di un aeroporto. Manca la farmacia. Ma puoi comprare caramelle, orologi di marca. Perfino biancheria sexy e perizoma. «Una struttura», sono le parole del direttore generale, Pasquale Cannatelli il giorno dell’inaugurazione, «nella quale si inserisce in modo armonico, funzionale e non invasivo una attività commerciale caratterizzata prevalentemente da servizi alla persona». Cosa se ne fa una pensionata milanese di un perizoma?

Il patto con le Coop Non si bada a spese quando c’è di mezzo la santificazione architettonica e commerciale del modello lombardo. Tanto che il soffitto della Shoppinggallery è una volta di vetro esposta al sole. Aria condizionata a manetta in luglio. Uno spreco di riscaldamento a gennaio. È il modello misto. Prestazione sanitaria pubblica. E gestione privata di quanto non è sanitario. Dietro a tutto questo c’è il patto a distanza tra il presidente della Regione, Roberto Formigoni e una parte del Pd: il compromesso storico tra i ciellini della Compagnia delle Opere e le imprese delle coop rosse. Il costo a carico dell’ospedale, della Regione e dello Stato è sintetizzato sul sito Internet della “Cmb - Cooperativa muratori e braccianti”, la capofila che guida la concessione di costruzione e gestione del nuovo ospedale: «Importo complessivo: un miliardo e 200 milioni di euro. Tempi di costruzione e gestione: 20072033. Posti letto: 1.350. Sale operatorie: 34». Un miliardo e 200 milioni. Dell’importo complessivo, più di 800 milioni costituiscono il canone da versare alla società di gestione in 27 anni.

Cioè Niguarda spende soldi pubblici per far funzionare ciò che è già suo. Pur avendo i suoi dipendenti, un ufficio tecnico, un proprio studio di progettazione e un buon dipartimento di ingegneria clinica.

Shopping first Il blocco Sud con gli impianti all’avanguardia e la Shopping-gallery l’hanno finito in anticipo. Il blocco Nord, tuttora in costruzione, sarà consegnato nel 2013. Una parte dei costi è anticipata dalla cordata della Cmb secondo le regole del project-financing. Gli anticipi però verrano rimborsati dall’ospedale. Con gli interessi. E in questo Niguarda già ci perde milioni, come sostiene un dossier dell’Ispettorato generale del ministero dell’Economia: al concessionario privato, è scritto, «viene restituito un importo molto più elevato di quello praticato per i mutui dell’epoca che si aggirava intorno al 4 per cento». È soltanto uno dei 47 vizi di illegittimità riscontrati nell’operazione dagli ispettori del ministero. L’azienda ospedaliera rinuncia agli incassi del parcheggio. E all’affitto degli spazi commerciali. Vanno tutti alla Progeni, la spa costituita apposta di cui la Cmb è socia di maggioranza. Progeni ora è il volto economico di Niguarda. Gestisce la manutenzione degli edifici, gli impianti, gli arredi, la lavanderia, la ristorazione, le pulizie e la raccolta dei rifiuti. Ma soltanto nei reparti nuovi. Hanno praticamente creato due ospedali. Quello a cinque stelle. E il vecchio Niguarda: l’ospedale amministrato dall’azienda pubblica che per pagare i canoni al gestore privato sta prosciugando le risorse per la manutenzione degli altri padiglioni. E si vede. Le facciate senza più intonaco sembrano mitragliate. Gli ascensori arrugginiti sono pezzi da museo. Nessuno rinnova i carrelli. E ogni pomeriggio i rifiuti vengono accumulati sul pavimento dei pianerottoli di reparto. Così a volte resta l’impronta dei liquami. Nel frattempo il fatturato di Progeni è passato dai 172 mila euro del 2008 ai 19 milioni 600 mila del 2010.

E trattandosi di una spa privata, nel blocco nuovo non si fanno più gare d’appalto. Diciannove milioni di fatturato. E nemmeno una scopa. Quanti euro costa una scopa? Ce ne vorrebbe una nuova, un po’ d’acqua e tanto disinfettante. Qui, nella baracca lurida sotto il reparto di Malattie infettive, chiunque potrebbe rubare una cassa di rifiuti e abbandonarla in un vagone della metropolitana. La porta l’hanno scassinata. Sul fianco delle casse, sopra la R su sfondo giallo, c’è un avviso che scatenerebbe il panico: “Materie infettive. In caso di danno o di fuga avvertire immediatamente le autorità di sanità pubblica”. La scopa appoggiata all’angolo è sporca e consumata. Lo spazzolone è peggio. Il pavimento, una schifezza. Davanti alla baracca, sul marciapiede e l’aiuola, svolazzano guanti in lattice, garze e cartacce vecchi di mesi. Nell’erba risplende un lenzuolo. Le infermiere scendono a lasciare i sacchi neri e le casse sigillate con i rifiuti infettivi. Entrano nella baracca. Poi risalgono nei reparti con le stesse ciabatte di gomma. Fanno lo stesso le colleghe di quasi tutti i padiglioni.

Cumuli di rifiuti Chissà se l’impresa che gestisce il subappalto dello smaltimento ha una scopa nuova. La cooperativa ha sede nel deposito dell’ospedale dove viene accumulato il materiale pericoloso. Le casse con i rifiuti sono sul rimorchio di un Tir, parcheggiato senza motrice. È pieno ma non parte. Altre centinaia sono accatastate sotto la tettoia. Tutto questo, a pochi passi dalla centrale termica e dalle cisterne di combustibile. Raccontano che la muraglia di casse di plastica sia cresciuta nelle ultime settimane. Da quando hanno deciso di ridurre le corse dei camion che le portano all’inceneritore. Prima i rifiuti venivano smaltiti tutti i giorni. Lo diceva ieri un dipendente: «Li trasferiscono a Reggio Emilia. Svuotano il contenuto nell’inceneritore e lavano le casse per rimandarle indietro. Adesso però il camion arriva solo una volta ogni tre

HANNO COSTRUITO NEGOZI DI BIANCHERIA SEXY MA CI SONO FACCIATE 38 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Nelle foto in alto: rifiuti abbandonati di fronte a un reparto nella parte vecchia; un negozio di intimo nella zona nuova. Al centro due immagini della parte vecchia: l’esterno e barelle lasciate nella sala ricreazione di medicina nucleare. Qui a fianco: deposito di rifiuti infettivi; i sotterranei

CHE CADONO A PEZZI E STANZE TROPPO PICCOLE PER GLI INTERVENTI 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 39


Tema del giorno I predoni della sanità

giorni». E la scopa? Meglio lasciar perdere. Oggi dei tre colleghi di turno, due giocano a carte sul tavolo del piccolo ufficio. Il terzo dorme sul trattore, con le gambe all’insù appoggiate al parabrezza.

nato di sacchi giganteschi. Non dovrebbero essere rimossi al più presto? «Ma sì, sono lì da quattro giorni», mente un muratore.

Niente acqua

Dentro i reparti non si vede un filo di sporco. Ed è un mezzo miracolo. Perché ogni mattina decine di dipendenti con i carrelli, un secchio e gli stracci partono dal deposito sotterraneo vicino al tunnel degli escrementi. Passano accanto a un altro cantiere per l’eliminazione dell’amianto. A volte fuori accorciano il percorso tagliando in mezzo al fango e alle erbacce. E quelle stesse ruote entrano poi nelle camere. Basta stare qui in mezzo a guardare. Proprio per le pulizie il direttore generale è sotto inchiesta. In cambio dell’appalto per i vecchi padiglioni, avrebbe ottenuto due appartamenti con lo sconto di 120 mila euro. Grazie agli imprenditori amici di Massimo Ponzoni, l’ex assessore di Formigoni in carcere per lo scandalo che lega politica, corruzione e ’ndrangheta. In una lettera ai dipendenti Cannatelli, esponente come Formigoni di Comunione e Liberazione, sostiene che la vicenda riguarda un contratto precedente al suo mandato. Ma è davvero così? L’attuale impresa, la Teknobrill, è tra i soci del “Gruppo servizi integrati”, nuova denominazione del Consorzio Santo Stefano: cioè una delle ditte che avrebbero finanziato Ponzoni. Certo, il direttore generale poteva non saperlo. E potrebbe non sapere cosa succede nel suo ospedale. In tredici giorni di lavoro quaggiù, tra escrementi, amianto e sporcizia, il suo volto rotondo non si è mai visto. ■

Qualcosa scricchiola pure nei servizi del blocco Sud. Le avveniristiche fotocellule che aprono i rubinetti si rompono. Niente acqua. Nessuno le ripara. Mancano le mascherine agli interruttori e i coperchi alle scatole elettriche nei bagni. Al piano -2, sotto i blocchi operatori, una cassa di medicinali citotossici è lì da giorni. Al settore C i carrelli dei rifiuti sono a pezzi. Per terra una siringa, boccette, carta, una grande macchia che sembra sangue. Al secondo piano, sul pianerottolo di terapia intensiva riservato al personale, è vietato fumare. Decine di mozziconi di sigaretta riempiono un bicchiere sul primo gradino. Altre cicche arredano il pavimento da giorni. Anche qui basterebbe una scopa. Le nuove camere hanno già fatto arrabbiare qualche cardiologo. Sono attrezzate. C’è di tutto. Ma le hanno progettate piccolissime. Quando ci sono due letti affiancati, un tavolino per letto, magari il supporto per la flebo, si fa fatica a far entrare un defibrillatore. E in cardiologia, dove una manciata di secondi può decidere la vita o la morte, non è un imprevisto da poco. E poi la questione della privacy. La palazzina è costruita in modo curioso. Basta avvicinarsi a una delle grandi vetrate dei corridoi. Si assiste a tutto quello che accade oltre le finestre delle camere di fronte. Proprio a tutto. Si torna sottoterra.Medicina nucleare è più o meno a metà strada del nuovo tunnel. Ed ecco una cassa con pezzi di circuiti elettronici da smaltire. Abbandonata contro il muro da 13 giorni. Lungo il percorso che accompagna i pazienti al laboratorio di radioterapia. Uno dei cantieri dove stanno raschiando l’amianto dai tubi è proprio da queste parti. Una quarantina di metri. Per questo il sotterraneo è dissemi-

Gli affari di Cl

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Scene di degrado nell’ospedale. Nell’altra pagina: ordine e pulizia nella zona nuova

I VIDEO DEL DEGRADO A NIGUARDA Gli addetti alle pulizie che giocano a carte invece di lavorare. I rifiuti abbandonati ovunque. I pazienti rinchiusi in psichiatria. Sul nostro sito le immagini esclusive dell’inchiesta di Fabrizio Gatti

Le mani sugli ospedali Venticinque miliardi. Per battere il degrado. Ma spesso spesi per opere inutili o malfatte. Ecco la mappa dello scempio. E chi ci guadagna DI DANIELA MINERVA E MICHELE SASSO ul piatto, venticinque miliardi. Più della metà degli ospedali italiani era già lì nel 1950, e per questo una legge del 1988 mette continuamente a disposizione soldi per ristrutturarli, adeguarli e modernizzarli. Perché se vengono meno il decoro dei luoghi, l’igiene, la macchina dello smaltimento dei rifiuti e, soprattutto, la funzionalità dei locali destinati a ospitare le apparecchiature hi-tech salvavita non si può più curare nessuno. E

S

di certo si mina la funzionalità di un sistema sanitario, il nostro, che è tra i migliori al mondo. Come si appesantisce il lavoro di migliaia di professionisti della sanità costretti a lavorare spesso in condizioni avvilenti. Il risultato è devastante: “Ci rubano la sanità” recita il nostro titolo di copertina. E colpevoli sono i politici e gli amministratori da loro nominati. Che gestiscono i soldi per mantenere le strutture. Così mentre la qualità della medicina italiana tiene, nonostante tagli e blocchi del turn over, a cedere sono le strutture. E, nonostante i tanti soldi a disposizione per rimetterle a posto, il panorama è desolante. Basti pensare che una buona parte di quei 25 miliardi non sono mai nemmeno riusciti a spenderli: lo rivela la Corte dei Conti che ha indagato sull’ultima tranche di 17 miliardi e scoperto che ne sono stati utilizzati circa il 40 per cento. Mentre oltre un miliardo è tornato nelle casse dello Stato perché i progetti che doveva finanziare sono finiti nel nulla. Colpa della ferraginosità delle procedure, ma colpa

soprattutto del fatto che ogni possibile appalto genera appetiti e per questo alimenta conflitti tali da paralizzare tutto. E a volte, è una fortuna. Perché andando a vedere come sono stati impiegati i soldi spesi abbiamo scoperto che, molte, moltissime volte, sono stati letteralmente buttati via. E altrettanto spesso sono stati solamente il volano per alimentare un business niente affatto interessato a garantire la salute degli italiani. SOLDI BUTTATI Accade tanto per insipienza quanto per permettere guadagni illeciti, ma è certo che milioni sono andati in fumo per colpa di errori di progettazione o pessima esecuzione dei lavori. Come a Bergamo: 500 milioni di euro per un ospedale che affoga. Sì perché è stato costruito sopra una palude. E l’acqua filtra nel cemento, nei parcheggi, nei tunnel. Allungando i tempi e i costi di costruzione del gigante da 36 sale operatorie e 1.200 letti, perché gli extra-costi per le opere di impermeabilizzazione e messa in sicurezza lievitano giorno dopo giorno. Come sono stati scelti i terreni a Bergamo? E

STRUTTURE MODERNIZZATE E CHIUSE IN PUGLIA. EDIFICI NUOVI CHE CADONO A PEZZI IN VENETO E LOMBARDIA. APPALTI INTERROTTI IN PIEMONTE 40 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

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Tema del giorno I predoni della sanità L’Opinione Ignazio Marino come sono stati scelti a Caserta? Da10 anni si aspetta il nuovo Policlinico universitario da mille posti, con un susseguirsi di appalti e ritardi, e un incongruo straordinario: a meno di 500 metri dai futuri reparti ci sono due cave di pietra che rendono il luogo tutt’altro che salubre. Kafkiana, come la storia dell’eliporto del Santissima Annunziata di Sassari: progettato, costruito e mai completato. La commissione tecnica ha stabilito che la piattaforma è in grado di reggere solo il peso di un piccolo elicottero. E quelli in

attività, normalmente impiegati per le emergenze, sono invece belli grandi. Insipienza? Non sempre però. La magistratura indaga al San Giovanni di Dio di Agrigento. Inaugurato nel 2004, cinque anni dopo è stato chiuso per gravi carenze strutturali: nei «pilastri portanti c’è più sabbia che cemento», secondo la perizia della Procura. Come a Giarre, nel catanese, dove la sabbia l’hanno scoperta i tecnici della Asl dopo una serie di crolli. Gli ultimi due in tre mesi: a novembre pioveva e dal tetto è caduto uno

Così l’Italia spende. Male Risorse e finanziamenti assegnati alle regioni, in euro

Valle d'Aosta 45.215.470 37.611.738 6.151.492 13.755.223

Provincia Aut. Trento 129.201.855 95.222.549 0 33.979.306

Lombardia 2.195.292.860 1.702.011.431 1.345.238 494.626.666

Piemonte 1.110.467.476 793.930.222 113.831.404 430.368.658

Emilia Romagna 1.035.237.794 739.896.214 0 295.341.580

Liguria 533.280.018 342.106.818 36.794.437 228.721.782

Abruzzo 378.980.391 121.245.868 1.545.498 259.280.021

Toscana 954.351.135 688.597.775 1.564.864 267.318.223 Sardegna 556.659.120 389.680.449 41.843.194 209.963.816

Umbria 164.126.271 59.165.302 0 104.960.969

Campania 1.802.638.025 1.110.258.899 610.430.164 1.302.809.290

Legenda Risorse assegnate alle regioni* Risorse utilizzate Finanziamenti revocati Risorse mai utilizzate

Lazio 1.331.017.153 755.755.137 125.341.512 700.603.529

TOTALE ITALIA 16.115.094.149 10.620.285.921 1.316.039.465 6.811.762.509

Sicilia 1.776.263.487 1.156.997.565 185.557.531 804.823.453

Provincia Aut. Bolzano 115.224.995 115.118.394 0 106.601 Veneto 1.099.158.771 878.289.496 82.204.931 303.074.205 Friuli Venezia Giulia 291.611.796 181.550.093 30.594.203 140.655.907 Marche 368.181.294 382.028.416 56.491.596 42.662.548 Molise 127.857.278 22.887.892 0 104.969.386 Puglia 1.259.585.497 671.629.690 14.912.625 602.868.432 Calabria 609.259.063 239.701.717 0 369.567.346 Basilicata 231.484.387 137.600.245 7.430.770 101.315.557

*dalle leggi succedutesi nel tempo. Fonte: Corte dei Conti 2011

strato di intonaco; e il 19 agosto scorso era toccato al controsoffitto del locale riservato al 118. Ma da tempo alcune zone del complesso ospedaliero sono chiuse al pubblico per la pioggia di calcinacci, così come diversi muri continuano a sbriciolarsi e molte pareti sono aggredite e scrostate dall’umidità. QUALCUNO CI GUADAGNA Il nuovo mantra dell’edilizia sanitaria è “project financing”: in cambio dei lavori la Regione versa un canone annuo e gli appalti e la gestione di beni e servizi è data alle società che hanno vinto le gare. Come accade al nuovo ospedale All’Angelo di Mestre costato 241 milioni versati da un network di imprese private. Ma la formula del project financing vuole che ora gli edifici siano di proprietà della regione Veneto, la quale si è impegnata a pagare per 24 anni un canone di 54,5 milioni. Insomma: a conti fatti L’Angelo sarà costato 1,3 miliardi di euro. Troppi anche secondo la Commissione sanità dello stesso consiglio regionale. E non proprio ben spesi, visto che le porte sono troppo piccole per il passaggio delle barelle e, già pochi mesi dopo l’apertura, c’erano infiltrazioni di acqua nel servizio di radioterapia. Anche a Verona, al nuovo ospedale di Borgo Trento, costato la ragguardevole cifra di 212 milioni di euro, hanno problemi di dimensionamento: gli ascensori sono così piccoli che non ci entrano le barelle ma ci sono ben 34 sale operatorie. «Troppe per farle funzionare tutte. Siamo nel centro di Verona, non si riescono a servire così tanti pazienti. E di certo non c’è il personale sufficiente», commenta Vincenzo D’Arienzo segretario provinciale del Pd. PRIMA SPENDO, POI DEMOLISCO Lo spreco più pacchiano è quello sotto gli occhi di molti cittadini pugliesi, abruzzesi, liguri, laziali. Insomma di tutte quelle regioni che hanno avviato recentissimamente un opportuno piano di riorganizzazione della rete, prevedendo la chiusura o la trasformazione di piccoli ospedali. Peccato che molti di essi fossero nuovi di zecca, appena inaugurati con sfoggio di tecnologie, sale operatorie, camere di degenza ben attrezzate. Come il Nuovo di Castellaneta dove sono stati spesi milioni per farne un moderno ospedale di riferi-

Un singolo organismo pienamente responsabile di controllare la sanità in Italia non c’è, benché i controlli vengano effettuati e il monitoraggio delle attività pure. Se ne occupa il corpo dei carabinieri dei Nas, che lavora con il ministro della Salute e c’è l’Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) che dal 1993 affianca il ministero nell’analisi della qualità delle prestazioni e dei costi della sanità. Poi ci sono le commissioni parlamentari d’inchiesta, quella sugli Errori e sulle cause dei disavanzi delle regioni e quella sull’Efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, che ha poteri d’indagine analoghi alla magistratura, e quindi è potenzialmente molto incisiva. Ma anche le regioni possiedono i loro organismi di sorveglianza con le Agenzie regionali per i servizi sanitari. I controlli allora ci sono, e a volte sono anche superflui perché alcune funzioni si sovrappongono e si ripetono con spreco di risorse umane, economiche e scarsa efficienza nel momento delle decisioni. La sicurezza e la qualità potrebbero,

invece, essere assicurate con maggiore efficienza attraverso l’istituzione di un unico organismo, indipendente dalla politica, che verifichi gli aspetti gestionali e clinici degli ospedali, accerti i requisiti anche delle strutture private, controlli la qualità e i risultati in termini di sopravvivenza, complicanze e ricoveri inutili e infine valuti il lavoro degli operatori sanitari. Una sorta di “Garante della salute”, che abbia anche il potere di sospendere le attività di un servizio inadeguato. Esistono esperienze molto positive di organismi indipendenti nel mondo anglosassone, a partire dalla Joint Commission americana, con funzioni di controllo e di affiancamento nel caso di situazioni anomale da correggere. In Inghilterra compiti simili li svolge il Nice (National Instituite for Health and Clinical Excellence) e l’ultimo esempio arriva dall’Australian Commission in Safety and Quality of Health Care. In Gran Bretagna alcuni anni fa si è arrivati alla diffusione di quell’atteggiamento detto “Blame

and Shame” (biasimo e vergogna) che rendeva sistematica la denuncia pubblica delle inadempienze di medici e amministratori che, con i loro errori, avevano arrecato un danno agli ammalati e alla collettività. Le denunce inducevano rabbia nell’opinione pubblica e forme di critica a volte anche violente che mettevano in seria difficoltà i professionisti colpiti da tale forma di ritorsione. Non credo che la caccia alle streghe sia una strategia costruttiva ma l’esperienza inglese è sintomatica di un clima di esasperazione che a volte si può instaurare nel momento in cui crolla la fiducia in un’istituzione. Anche per questo è urgente intervenire in Italia per aumentare la trasparenza nella sanità e puntare sulla verifica e sul rispetto delle regole. Il controllo sistematico dei risultati permetterebbe di limitare la discrezionalità e l’invadenza della politica per premiare i professionisti e le pratiche migliori e sanzionare chi non dimostra di essere in grado di offrire uno standard di cura adeguato, sia esso un amministratore o un operatore sanitario. Il governo Monti, anche attraverso decisioni controverse, sta dimostrando che il cambiamento è possibile, che non siamo solo il Paese dell’immobilismo e la sanità dovrebbe essere al primo posto nell’opera di miglioramento dei servizi e nell’utilizzo di risorse, essenziali per ognuno di noi ma non illimitate.

mento per la Puglia orientale e oggi è destinato a essere ridimensionato al ruolo di presidio. Come lo è il nosocomio di Conversano: ci avevano appena speso 7 milioni per adeguare le sale operatorie e riconvertire consultorio e cardiologia. E oggi per trasformarlo in un poliambulatorio serve un altro milione e mezzo. Storie come queste se ne trovano a decine da un capo all’altro della Penisola. In Liguria c’è lo scandalo Albenga, aperto nel 2008, un vero gioiello oggi destinato a diventare ambulatorio perché a pochi chilometri c’è il grande ospedale di Pietra Ligure, che sta, invece, cadendo a pezzi. E in Piemonte c’è la misteriosa scelta del governatore Roberto Cota di fermare i lavori del nosocomio di Valle Belbo, appaltato per 20 milioni di euro. I cantieri sono fermi dunque dal 2010 con uno spreco di circa 4 milioni di euro. Piccole cifre, forse, piccole realtà. Ma sono la trama di un puzzle demenziale che si traduce in un pessimo servizio ai malati Così ai calabre-

si, già umiliati dallo schiaffo dei sette ospedali per 180 mila abitanti della piana di Gioia Tauro - molti dei quali mai aperti o sequestrati dai Nas - è toccato assistere allo scempio di Rogliano dove erano riusciti a ristrutturare il vecchio nosocomio, realizzato due belle sale operatorie e ammodernato gli ambienti di degenza. È uno dei pochi presidi a norma della zona, ma verrà dismesso. IL MALATO PUÒ ATTENDERE Aspettare che si attivi la rete elettrica, ad esempio. Come a Ostia: il nuovo presidio ospedaliero, che serve 200 mila persone, è pronto da qualche mese. Ma manca il collegamento con la cabina elettrica e i sei mesi si avviano a diventare dodici mentre la struttura vuota deperisce. I collegamenti in rete devono essere un punto debole dell’edilizia sanitaria del Paese: anche a Ortona, in provincia di Chieti, il nosocomio da 200 posti letto ha inaugurato lo scorso luglio due nuove sale operatorie, costate 3 milioni di euro.

Che però non hanno mai funzionato perché il sistema di condizionamento è stato progettato male e ci vogliono altri 700 mila euro per renderlo operativo. Che mai arriveranno perché Ortona è entrato nella bad list di quelli da dismettere. È un girone infernale, tanto più orribile perché i milioni bruciano mentre i reparti ospedalieri crollano. E altri milioni servono a mantenerli in vita nel degrado, come accade al Vecchio Policlinico di Napoli: deve chiudere da almeno 15 anni. Coi pazienti della zona est della città dirottati all’Ospedale del Mare, in costruzione da 8 anni perché i cantieri sono sempre fermi: sia perché interviene la magistratura a fare chiarezza su qualche illecito; sia perché, semplicemente, mancano soldi. Ma di soldi ce ne devono essere da qualche parte se, in attesa della chiusura, al Policlinico già condannato a morte arrivano gli operai per rimettere a nuovo il padiglione per le cure materne e infantili. ■

Più controlli e sanzioni agli incapaci

AD AGRIGENTO I PILASTRI SONO DI SABBIA. A VERONA 34 SALE OPERATORIE IN PARTE INUTILIZZATE. E A OSTIA DA MESI SI ASPETTA L’ELETTRICITÀ 42 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

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Esclusivo WikiLeaks

I PROGETTI DEL FONDATORE

a libertà è un ricordo lontano, di quando poteva scomparire volando da un Paese all’altro con tutto il suo mondo chiuso in uno zainetto. Adesso vive da 15 mesi con un braccialetto elettronico che segnala ogni suo spostamento, quasi un contrappasso per chi vuole smascherare il volto moderno del controllo globale. Certo, ora Julian Assange è chiuso nell’angolo: tra pochi giorni rischia di venire estradato in una cella svedese, la sua organizzazione soffre per l’embargo delle carte di credito alle donazioni e per le pressioni di tutte le potenze. Ma gli occhi di Mister WikiLeaks, ancora più delle sue parole, fanno capire che non ha nessuna intenzione di arrendersi: pensa continuamente alla sua rivolta mediatica, una guerriglia che alterna rapide incursioni in cui lanciare milioni di documenti segreti a lunghe pause. È calmo, tremendamente concentrato sui suoi obiettivi e le sue ossessioni; allo stesso tempo però sa appassionarsi, indignarsi, ha un gusto dell’umorismo acuto e un profondo senso della giustizia. Per questo, più si accaniscono contro di lui, più lui pensa all’insurrezione che verrà. Ma l’uomo che ha fatto tremare la Casa Bianca non è né un duro, né il Peter Pan autistico e ostinato dipinto dai suoi avversari: il suo carisma, come ha scritto il “New Yorker”, nasce proprio dalle contraddizioni e dalla sua visione romantica, quasi da rivoluzionario ottocentesco. In un locale del centro di Londra, davanti a un cappuccino bollente, discute con “l’Espresso” della sua vita e del futuro della sua creatura. Con una convinzione: «WikiLeaks andrà avanti. Anche quando sono stato arrestato, è riuscita a non fer-

marsi diffondendo altri file top secret. È un’organizzazione robusta ma, ovviamente, se riuscissero a togliere di mezzo il fondatore e la persona più nota a livello pubblico, anche WikiLeaks subirebbe parecchi danni. Io credo che la struttura operativa del gruppo sia solida: anche senza di me, potrebbe sopravvivere per almeno un paio di anni. Forse non con lo stesso vigore, ma trasmettendo comunque l’immagine di un’istituzione che non si piega».

L

ASSANGE

Anche se dovessero arrestarmi, WikiLeaks continuerà a colpire. Grazie a una nuova rete. Parla l’uomo che sfida la Casa Bianca COLLOQUIO CON JULIAN ASSANGE DI STEFANIA MAURIZI 44 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Foto: A. Olmos - Eyevine / Contrasto, P. Souza - White House via CNP / Corbis, Esper - Polaris / Photomasi

Irriducibile

“Rolling Stone”, evocando uno spirito da Che Guevara, l’ha definita un «comandante ribelle sotto assedio». Si sente così?

«WikiLeaks ha contro una lista di entità potentissime, irritate per le cose che abbiamo smascherato sul loro conto negli ultimi due anni. Quei potentati stanno facendo di tutto per eliminarci: cause legali, manovre politiche, campagne mediatiche e il blocco delle donazioni. Ciascuno di questi problemi va affrontato singolarmente. Richiede moltissimo lavoro, ma ritengo che, ad oggi, noi abbiamo vinto: siamo riusciti a pubblicare la maggior parte del materiale più significativo che avevamo raccolto. L’impegno con le fonti che ce lo hanno inviato è stato rispettato. Ma detto ciò, gli attacchi contro di noi sono potenti e sempre in corso».

OBAMA SI È RIVELATO IL PERSECUTORE PIÙ DURO. NON CONOSCE GLI APPARATI MILITARI E QUINDI NON SA COMANDARLI mo creando un nuovo modello di protezione per le fonti come la rete “Friends of WikiLeaks” che permetterà uno scambio di informazioni ancora più largo e sicuro». WikiLeaks sta anche soffrendo per il blocco di finanziamenti. Come pensate di sfuggire all’embargo delle donazioni provenienti dalle carte di credito?

«Abbiamo fatto ricorso alla Commissione europea sette mesi fa. A Bruxelles dicono che stanno indagando e che non si sono dimenticati di noi: decideranno se

annunciare un’inchiesta formale. Nel frattempo siamo passati al contrattacco, iniziando una causa legale contro l’intermediario della Visa in Islanda. In alcuni casi sono stati i donatori stessi a fare causa alle carte di credito che hanno impedito di versare fondi per sostenere WikiLeaks. È successo per esempio in Colombia, perché i possessori di carte si sono sentiti violati nei loro diritti di associarsi liberamente a un’organizzazione». Le difficoltà nascono anche dalla scelta di caratterizzare WikiLeaks come una rete molto aggressiva, che pubblica tutto senza compromessi secondo uno schema inedito. Si è mai pentito di avere fatto di WikiLeaks un’organizzazione di guerriglia mediatica?

Dietro il successo di WikiLeaks c’è anche una sua invenzione: una piattaforma Internet sicura che garantiva l’anonimato a chi inviava documenti scottanti. Adesso questa casella sicura è stata smantellata. E siete sempre più nel mirino dei servizi segreti e delle aziende di sicurezza di tutto il mondo: una sorveglianza che tiene lontane le persone che vorrebbero consegnarvi dossier. Non temete che così poco alla volta le vostre rivelazioni diventeranno sempre più deboli?

«Se avessimo scelto di essere un’organizzazione che pubblica documenti come qualsiasi giornale, avremmo avuto tutti i limiti legali ed economici che hanno i giornali. Se quei vincoli alla possibilità di pubblicare atti segreti non fossero esistiti, non ci sarebbe stato bisogno di WikiLeaks: se ci siamo noi è perché da questo punto di vista le organizzazioni tradizionali hanno fallito. La colpa non è necessariamente loro, ma va cercata in questioni storiche che non possono essere facilmente rimosse. Noi vogliamo fare una cosa molto semplice: raccogliere, pubblicare e difendere informazioni che sono significative per la vita delle persone. Si potrebbe pensare che sia una questione elementare, invece è un’impresa difficile. Perché ancora oggi ci sono tante istituzioni e individui che traggono il potere dalla situazione di ignoranza sulle loro attività in cui viene mantenuta la gente».

«Abbiamo vari sistemi per raccogliere documenti: è una semplificazione credere che tutto dipenda dalla piattaforma Web anonima. E stia-

Trent’anni fa chi voleva far pubblicare i documenti segreti del Pentagono sul Vietnam si rivolse al “New York Times”. Oggi invece i dossier

BARACK OBAMA. A SINISTRA: JULIAN ASSANGE

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Esclusivo WikiLeaks

«Se oggi una fonte vuole davvero far uscire una storia ad alto rischio e va al “New York Times”, allora è pazza, a meno che non conosce il singolo giornalista come un buon giornalista. Andare dall’istituzione è insensato: abbiamo visto come censurano le storie ed espongono le fonti». Molti la criticano per il mistero con cui circonda il suo lavoro e quello di WikiLeaks. Per combattere il segreto che opprime le democrazie e alimenta i regimi, serve proprio un’organizzazione segreta?

«Questo non è vero: WikiLeaks usa il segreto per proteggere le fonti che inviano documenti. Non siamo la Cia, non uccidiamo, non schieriamo forze repressive o prendiamo soldi pubblici: possiamo permetterci il lusso morale di condurre attività che sono necessariamente segrete». Oggi la minaccia legale più grave contro WikiLeaks, che potrebbe coinvolgerla direttamente, è il processo a Bradley Manning: il soldato accusato di avervi passato i documenti più esplosivi, dai rapporti segreti dal Pentagono ai cablo del Dipartimento di Stato. Nelle udienze è emerso che i procurato-

AVEVAMO PRONTI I DOSSIER SULLA BANK OF AMERICA. MA IL VOLONTARIO CHE LI CUSTODIVA DICE DI AVERLI DISTRUTTI ri americani avrebbero le prove in grado di dimostrare che lei ha aiutato Manning a forzare le reti informatiche del Pentagono per prelevare i documenti...

«Gli avvocati di Manning durante le udienze preliminari hanno affermato che sia all’inizio del processo sia nel corso di esso il Dipartimento della Giustizia Usa e l’Esercito hanno fatto pressioni su Manning affinché coinvolgesse WikiLeaks e me personalmente. Anche la rete di attivisti che sostengono Manning e che gli hanno fatto visita nelle fasi più dure della prigionia a Quantico in Virginia, hanno detto che quella detenzione era una forma di tortura psicologica per estorcere una confessione. Ora quelle condizioni sono cambiate, sia grazie alle pressioni degli attivisti che alle nostre».

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molto di più dei banchieri». Ma nemmeno Mario Draghi, che è passato da Bankitalia alla Bce, sembra convincerli e nutrono maggiore fiducia nelle capacità di Giulio Tremonti. Per il resto, gli anni del governo Berlusconi vedono l’Italia retrocessa a nazione da barzelletta, con un fiorire di battute sulle “Burlescone Orgy”. Gli analisti commentano divertiti la presunta battuta sulla «Merkel culona? È puro spettacolo!». Stesso trattamento per le foto di Umberto Bossi con il medio alzato o per i progetti di Michela Brambilla di vigilare su come la stampa internazionale descrive l’Italia. Tutte cose che però contribuiscono a mandare a

Quindi conferma che avevate documenti sulla Bank of America?

«Come tutti i sistemi basati sulla coercizione, le autorità americane faranno affidamento su una serie di casi esemplari. E Manning è uno di questi casi. La cosa interessante è che sotto il presidente Obama gli Stati Uniti hanno incriminato più fonti di quanto è accaduto sotto tutte le altre amministrazioni Usa messe insieme. Questo può nascere da due ragioni. O il governo Usa sta diventando totalitario nella sua struttura. Oppure adesso fa cose che prima non osava per paura delle fughe di notizie e delle persone che si ribellano alla sua autorità. Io non ho una risposta, ma è qualcosa su cui vale la pena riflettere».

«Sì». Erano rilevanti?

Ma con George W. Bush e le misure emergenziali varate dopo l’11 settembre la vostra situazione sarebbe stata peggiore...

«No, anzi penso il contrario. L’amministrazione Bush sarebbe stata molto più cauta rispetto a Obama. Bush ha catturato persone e le ha rinchiuse a Guantanamo e in altre prigioni senza alcun pro-

Un paese da barzelletta L’Italia vista dagli occhi di una azienda di spionaggio privato offre uno spettacolo deprimente. E le mail interne degli analisti di Stratfor, l’azienda statunitense di valutazione strategiche berlusconiane, ciniche con Monti e Draghi. Adesso i carteggi interni di Stratfor oggetto due mesi fa di un attacco informatico da parte degli hacker di Anonymous sono stati diffusi da WikiLeaks e pubblicati in esclusiva italiana da “l’Espresso” e “Repubblica”. Alle menti di Stratfor, che hanno criteri spesso simili a quelli delle agenzie internazionali di rating, non piace nemmeno il professor Mario Monti: «Di norma gli accademici non fanno molto bene nel mondo reale, mi fido

MANIFESTAZIONE DI ANONYMOUS A LONDRA NEL 2011. IN BASSO: BRADLEY MANNING. SOTTO, DA DESTRA: MARIO DRAGHI; BERLUSCONI E PUTIN NEL 2010

Crede che il processo a Manning sarà equo o è convinto che verrà trasformato in un caso esemplare per mandare un messaggio a tutte le altre fonti che possono essere tentate di aiutarvi?

picco la credibilità del Paese. Perché dietro Stratfor c’è una rete di informatori inseriti nei governi, nelle diplomazie e nell’intelligence. Anche un ambasciatore italiano alla guida di sedi africane di primo piano si presta a collaborare con loro. E la loro attenzione si concentra spesso sull’asse Eni-Gazprom: l’unico caso al mondo in cui il colosso del gas moscovita non si fa pagare per investire all’estero. Perché? «È una

partnership squirrely». Ossia: “una strana coppia”. Figlia di un rapporto Berlusconi-Putin che ha reso l’Italia «una dépendance russa», mentre la diplomazia personale di Berlusconi suscita scetticismo aperto. Quando il premier offre la mediazione tra Russia e Usa sullo scudo missilistico, scrivono: «E che diavolo farà l'Italia? Li ubriaca?». S. Mau.

Foto: F. R. Conrad - The New York Times / Cpntrasto, L. bruno - Ap / Lapresse, P. Semansky - Ap / Lapresse, P. Tre / FOTOA3

vengono consegnati a WikiLeaks...

cesso. Ora il governo di Obama non si preoccupa nemmeno di catturarle, semplicemente le elimina con i droni e altri metodi e fa così anche con persone che hanno la cittadinanza americana. È una politica ancora più severa di quella di Bush. E perché avviene questo? Forse è una tendenza del governo o forse questo succede perché con i democratici al potere e i repubblicani all’opposizione, non c’è forza che possa arginare quello che fa l’Amministrazione in materia di diritti umani e civili. Se i democratici fossero stati all’opposizione, avrebbero contestato questi abusi per guadagnare un vantaggio politico». Quindi lei si aspettava una linea dura da Barack Obama? Eppure è uno dei pochi presidenti che non ha avuto rapporti con il complesso militare-industriale e che non viene dalla Cia.

«Sì, me lo aspettavo, anche se non immaginavo che sarebbe avvenuto a questa velocità. Prima che Obama fosse eletto aveva già cambiato idea sull’immunità alle compagnie telefoniche che avevano spiato illegalmente i cittadini: già allora ho pensato “questo non è un uomo di principio”. Leggendo i suoi libri si capiscono due cose. Il valore fondamentale è quello del compromesso, crede che sia una virtù. E il suo unico interesse è la situazione economica delle classi povere nere. Ma un politico che pone al primo posto il compromesso, quando arriva alla Casa Bianca scende a compromessi con le forze che gli stanno intorno: le più potenti sono quelle del complesso militare-indu-

striale. Forze che lui non sta comandando. Forse se fosse venuto da quell’apparato, probabilmente, ne avrebbe avuto una maggiore comprensione: invece Obama non lo conosce, non lo capisce e non lo può controllare». Un altro potere forte mondiale sono le banche. Voi avevate annunciato la diffusione di documenti su un grande istituto, ma non si sono mai visti...

«Probabilmente si riferisce a quelli sulla Bank of America?».

www.espressonline.it TUTTI I FILE SEGRETI SUL NOSTRO SITO Le mail interne con i segreti di Stratfor, l’agenzia privata di spionaggio, diffuse da WikiLeaks sono disponibili sul sito de “l’Espresso”. Sono documenti in cui gli analisti di Stratfor svelano retroscena sulla politica internazionale, la lotta al terrorismo, le società ombra che hanno contribuito a far nascere Facebook e il monitoraggio degli oppositori

«Avevamo fatto solo una valutazione preliminare, ma erano materiali che venivano da un membro dell’esecutivo della Bank of America. Uno dei nostri volontari, Daniel Domscheit Berg (l’ex portavoce che ha lasciato l’organizzazione in polemica furiosa con Assange, ndr.) che doveva custodirli, pare li abbia distrutti. Abbiamo trattato per un anno per riaverli, ma non ci siamo riusciti. Possiamo solo sperare che la fonte originale abbia ancora in mano qualcosa e decida di renderla pubblica». Lei poteva essere un brillante creatore informatico con una sua azienda nella Silicon Valley. Ma, come disse a “Der Spiegel”, ha scelto «di aiutare le persone deboli e fare a pezzi i bastardi». Crede ancora di avere fatto la scelta giusta?

«Oh, assolutamente sì! L’ultimo anno è stato veramente duro, ma in ogni caso noi siamo profondamente soddisfatti, perché siamo riusciti a realizzare le cose più importanti che avevamo promesso di fare: abbiamo vinto la parte più rilevante della nostra battaglia con il Pentagono e il Dipartimento di Stato e pubblicato le informazioni che volevamo diffondere. Questo è ciò che chiamo “fare a pezzi i bastardi”. E ne sono pienamente soddisfatto». Si narra che lei recentemente avrebbe chiesto a un agente dei servizi segreti non identificato: «Sarò mai più un uomo libero, rivedrò mai il mio Paese?». L’agente le avrebbe risposto letteralmente: «Sei fottuto». È una storia vera o una delle leggende su Assange?

«Sì, è vero. Ma noi di WikiLeaks abbiamo tre diverse fonti che parlano di un atto di incriminazione delle autorità americane nei miei confronti: ne eravamo a conoscenza prima che venissero rivelate le mail di Stratfor con la stessa informazione». Quindi tre fonti diverse sostengono che lei è «fottuto»?

«Sì (ride con un misto di nervosismo), ma la storia recente dimostra che non è facile vincere contro WikiLeaks». ■ 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 47


Attualità 2013 / LE GRANDI MANOVRE

VOGLIA DI QUIRINALE Monti resta premier e i big si sfidano per il Colle: è la tentazione dei partiti. Ma c’è un’ipotesi a sorpresa: prorogare Napolitano ll’appuntamento, il Big Game repubblicano, mancano ancora quattrocento giorni. Pochi, tanti? Dipende dai punti di vista. «Diciamolo chiaro, in un’altra epoca politica ora si parlerebbe solo di questo», ammette una vecchia volpe come Enzo Carra che di elezioni presidenziali da giornalista, da portavoce della Dc e da deputato ne ha seguite parecchie. E che il tema, in effetti, sia il pensiero fisso degli inquilini del Palazzo lo dimostra la gaffe di Pier Ferdinando Casini mesi fa

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nello studio televisivo di Lilli Gruber su La7, quando rispondendo a una domanda il leader dell’Udc si confuse: «Sa, io ho fatto il presidente della Repubblica...», per poi affrettarsi a correggere imbarazzato: «Volevo dire: il presidente della Camera. A certe cariche non si punta, sarebbe da sciocchi pensare di farlo». Ma intanto il lapsus di fronte alle telecamere aveva rivelato l’oggetto del desiderio. Il 15 maggio 2013 scadrà il mandato presidenziale di Giorgio Napolitano e nell’aula di Montecitorio si apriranno le urne per eleggere il dodicesimo presidente della Repubblica. Il rito più importante, il concla-

ve laico che nella storia repubblicana ha sempre coinciso con un periodo convulso. Di grandi manovre, di colpi bassi, di cavalli di razza stramazzati al traguardo, da Fanfani a Moro, da Forlani ad Andreotti, a Massimo D’Alema che nel 2006 provò a farsi designare candidato del centrosinistra e fu costretto a fare un passo indietro, a favore di Napolitano. Fino a poche settimane fa il percorso sembrava segnato. Il governo Monti avrebbe dovuto accompagnare i partiti fino al voto del prossimo anno, come suggerito dal capo dello Stato al momento di conferire l’incarico all’ex commissario europeo,

Foto: A3, F. Girardoni - Buena Vista

DI MARCO DAMILANO il 13 novembre: «Dopo questa esperienza la parola tornerà agli elettori senza che sia stata oscurata o confusa alcuna identità». E Mario Monti, già nominato da Napolitano senatore a vita, avrebbe avuto a quel punto tutte le carte in regola per essere scelto dal Parlamento appena eletto come nuovo presidente della Repubblica. Negli ultimi giorni, però, il refrain è improvvisamente cambiato. Il più rapido a intonare il nuovo ritornello è stato l’astuto Casini: «Monti nel 2013 riconsegnerà ai partiti e alla politica le chiavi del governo del Paese. Ma non è da escludere che i partiti le chiavi gliele riconsegnino, al termine

PIAZZA DEL QUIRINALE. A SINISTRA: IL PRESIDENTE GIORGIO NAPOLITANO

della campagna elettorale», ha detto l’ex presidente della Camera. Aggiungendo: «Non basteranno pochi mesi di armistizio. La Grande Coalizione deve proseguire anche dopo il voto del 2013». Prospettiva condivisa da più parti. Altro che parentesi, Monti deve restare dov’è, a Palazzo Chigi, nel 2013 e chissà per quanto. Perché è il miglior premier di tutti i tempi. Perché c’è bisogno di lui nei vertici internazionali, nei Consigli europei, per uscire dalla tempesta finanziaria. E per-

ché, conseguenza molto gradita a chi coltiva ambizioni quirinalesche, se il professore fosse riconfermato alla guida del governo lascerebbe libero il Quirinale. «Da assegnare a un politico», rivendicano nel Terzo Polo. E c’è già chi ipotizza il percorso di fine legislatura. Uno scioglimento tecnico delle Camere subito dopo l’estate, per andare a votare in autunno. Subito dopo nascerebbe il nuovo governo: un Monti-bis, con l’attuale maggioranza ma allargato a esponenti di partito. E si arriverebbe alle elezioni presidenziali del maggio 2013 con il premier saldamente a Palazzo Chigi. Così impegnato nel suo compito 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 49


Attualità

da non poter partecipare alla corsa al Quirinale, che spetterebbe invece ai politici maggiormente impegnati nella costruzione della grande coalizione governativa. Sul Colle più alto salirebbe così l’architetto di questa grandiosa costruzione. Il garante del governo tecnico non più chiamato a gestire l’emergenza ma a guidare il Paese per anni. L’amico di Monti. Le iscrizioni a questo concorso che porta in premio il Quirinale si sono aperte con inserimenti a sorpresa. Amico di Monti è certamente Casini, il più tenace sostenitore della necessità di andare avanti con l’esperimento della grande coalizione all’italiana anche nella prossima legislatura. Ma amico è anche Giuliano Amato, che nel resoconto sul suo ultimo viaggio a New York pubbli-

cato sul “Sole 24 Ore” ha riportato l’interesse americano per il futuro del premier: «La domanda che mi sono sentito fare è perché l’Italia, avendo trovato un primo ministro di questa qualità, possa lasciarlo tornare a casa tra un anno. Non ho risposto, ma ho condiviso lo spirito». Grande amico di Monti è Romano Prodi, che è stato suo presidente negli anni della Commissione di Bruxelles («il caro presidente Prodi», lo ha salutato il premier a gennaio in visita a Reggio Emilia) e che di recente lo ha festeggiato con particolare trasporto: «Il governo Monti ha compiuto cento giorni. Gli auguro che ne compia tanti altri». Ci tiene a segnalare la sua vicinanza al premier Massimo D’Alema, forte del suo incarico istituzionale al Copasir. E il presidente del Sena-

to Renato Schifani, che per sgombrare gli ostacoli sul cammino del decreto liberalizzazioni a Palazzo Madama si è trasformato in un sottosegretario aggiunto. Ma l’autocandidato più sfacciato è sceso in campo negli ultimi giorni. Ringalluzzito per la prescrizione nel processo Mills, Silvio Berlusconi ha ricominciato a far circolare la voce che per il Quirinale lui sarebbe disponibile. In pubblico il Cavaliere si è tramutato nel più caloroso sostenitore del governo tecnico, trascinando con sé Giuliano Ferrara, Daniela Santanché, Alessandro Sallusti, anti-montiani pentiti: «Il suo programma è in continuità con il mio». In privato è ancora più esplicito: con il Pdl in dissolvimento sarebbe illusorio sperare di vincere le elezioni, meglio

blindare l’attuale grande coalizione e proseguire con l’ex rettore della Bocconi dopo il 2013. Monti forever a Palazzo Chigi. E Silvio al Quirinale, naturalmente. Non c’è da stupirsi. Da tempo la presidenza della Repubblica non è più la pensione dorata di un notabile, ma il cuore del sistema, come ha scritto Eugenio Scalfari su “Repubblica” del 26 febbraio: «Durante la Prima Repubblica la scelta del capo del governo era affidata ai partiti. Nella Seconda Repubblica il sistema si avvicinò a quello presidenziale. Ora il premier è scelto dal capo dello Stato: il meccanismo adottato da Napolitano è quello che meglio corrisponde al dettato costituzionale e deve sopravvivere al governo Monti». Dopo la Prima Repubblica dei partiti di

DOPO LA SENTENZA MILLS IL CAVALIERE RIALZA LA TESTA. E MANDA AVANTI GLI AMICI A SOSTENERE LE SUE AMBIZIONI PRESIDENZIALI massa e la Seconda delle liste personali, ecco la Terza Repubblica, fondata sul Quirinale. Lo sbocco di quanto successo negli ultimi settennati, da Cossiga in poi, quando il Colle ha assunto un ruolo centrale. Fino al colpo di Napolitano, l’invenzione del super-professore a Palazzo Chigi con il voto di Pdl-Pd-Terzo polo. È lui, Re Giorgio, il regista dell’operazione Monti. Il protettore del governo tecnico. A costo di riservare sfuriate memorabi-

li al suo partito d’origine, il Pd, giudicato troppo freddo nel sostegno. E passano da lui, l’ottantaseienne presidente, gli scenari futuri. La possibilità di un secondo mandato presidenziale era stata immaginata già due anni fa da uno dei migliori amici del capo dello Stato, Rino Formica. E ora viene rilanciata: «Napolitano andrebbe riconfermato, per due anni. Il tempo di terminare la transizione», si spinge a dire l’ex ministro berlusconiano Gianfranco Rotondi. Un’idea semplice, in fondo: se è necessario prorogare Monti a Palazzo Chigi, perché non fare altrettanto con Napolitano al Quirinale? Sarebbe la prima volta: mai c’è stata una rielezione. Ma coerente con l’obiettivo: traghettare l’Italia verso la Terza Repubblica. Presidenziale. ■

GIULIANO AMATO Si è allenato in mezzo ai tricolori come presidente del comitato per le celebrazioni dei 150 dell’Unità italiana. È il prototipo del tecnico-politico che va tanto di moda. Nel 1992 entrò a Palazzo Chigi come premier socialista indicato da Craxi e ne uscì senza un partito. Nel 2006 fu eliminato per la corsa al Quirinale e lì per lì la prese sportivamente: «Se si chiude lo stomaco arriva la depressione. Invece io sto benissimo». Ma poi si lamentò: «Ho pagato l’handicap di non essere iscritto ai Ds». Oggi è sicuramente un vantaggio. 50 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

SILVIO BERLUSCONI È bastata la prescrizione nel processo Mills per ridare buonumore ai fans che già lo vedono sul Colle. «Berlusconi può puntare al Quirinale», esulta Paolo Guzzanti. «Farò il padre fondatore», spiega lui al “Corriere del Ticino”. D’accordo, i palcoscenici non sono più quelli di una volta, ma la voglia di tornare in gioco c’è. Mascherato da uomo di Stato, aplomb istituzionale, toni responsabili, un perfetto candidato presidenziale. Peccato che i sondaggi diano il Pdl a fondo. E che il processo Rubygate riporti lo Statista alla sua immagine di sempre.

ROSY BINDI «Se fossi stata un uomo sarei stata eletta presidente», si sfogò Anna Finocchiaro nel 2006. Sette anni prima l’aveva fatto Rosa Russo Iervolino, candidata dal Ppi per non bruciare Marini (fu poi eletto Ciampi). E nel ’92 Tina Anselmi al Quirinale sembrò la provocazione del settimanale “Cuore”. Anche in vista del 2013 il panorama dei candidati si presenta tristemente tutto al maschile. Se non fosse per la vice-presidente della Camera. Una figura istituzionale, simpatica anche agli avversari politici. E donna.

PIER FERDINANDO CASINI Il Favorito. Il candidato numero uno alla successione di Napolitano se Monti dovesse rimanere a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura. E infatti Pier, 56 anni compiuti a dicembre, si impegna su tutti i fronti: sostenere il Professore, ricucire con Berlusconi e con Alfano, evitare le crisi di nervi di Bersani, tenere buono Fini... Predicare l’unità tra sindacati e imprese, tra vecchi e giovani, tra laici e cattolici. Inseguendo il sogno di riportare un dc al Quirinale. Con un dubbio in fondo al cuore: che sia una cosa troppo grande per lui.

MASSIMO D’ALEMA «Con Monti, oltre Monti», ha dettato sulla rivista “Italianieuropei”. Cosa ci sia dopo Monti neppure lui lo sa, nel frattempo coltiva la sua immagine istituzionale. Da presidente del Copasir, eletto anche con i voti del Pdl, intende mettere bocca sulle nomine dei vertici dei servizi segreti. Il suo schema di gioco, un classico, prevedeva un centrista a Palazzo Chigi (Casini) e un ex ds al Quirinale, lui. Ora è tornato all’antico, grandi intese e un politico a vigilare sulla buona riuscita dell’inciucio: lui. Ma forse è una partita già finita.

Foto: AGF (8), Imagoeconomica (2)

Ho fatto un sogno

GIANNI LETTA A Terni per commemorare l’ex ministro Enrico Micheli l’hanno sentito autoelogiarsi: «Non parlo, non faccio interviste perché ho dato al mio impegno istituzionale un taglio di rigore e di operatività». Per poi menare inediti fendenti contro i professori alla Monti: «La sobrietà non l’hanno scoperta loro. E nessun tecnico senza visione potrà cambiare il mondo». Risentito e acido: segno che il governo Monti sta chiudendo con l’era di Letta. Che resta tuttavia il candidato più presentabile del Pdl.

MARIO MONTI Sarà determinante per la scelta del nuovo presidente: come eletto o almeno come grande elettore. In visita alla sua università, la Bocconi, ha giurato che tornerà presto per chiudere il suo quadriennio da presidente, nel 2014. Ottima mossa da candidato per il Quirinale in pectore: evitare di mostrare interesse al tema, simulare distanza siderale da tutto ciò che possa apparire come un’aspirazione presidenziale. A conferma che ormai il premier maneggia alla perfezione le regole e i riti della politica italiana. E le sue ipocrisie.

ROMANO PRODI «Lei potrebbe essere un ottimo leader cinese», si è complimentato in pubblico l’ambasciatore a Roma Ding Wei. «Forse avrei più fortuna che in Italia», ha replicato l’ex premier. Defilato in casa, dove ha mantenuto la promessa di fare il nonno, in perenne tour in Oriente (prossima tappa: le Filippine), il Professore è il candidato per il Quirinale preferito da Bersani e dalla sinistra. Senza escludere apporti moderati: con Gianni Letta, a Terni, c’è stato un insolito scambio di effusioni. «Dottor Letta». «Presidente Prodi». «Diamoci un bacio».

RENATO SCHIFANI “Gente che spera”, recita il nuovo inno del Pdl. Eccone uno: Renato Schifani, presidente del Senato. Si è ritagliato il ruolo di bodyguard di Monti nelle istituzioni, impegnato ad accelerare il cammino del decreto liberalizzazioni. E intanto spera. Spera di essere riconfermato al seggio più alto di Palazzo Madama nella prossima legislatura. Spera di arrivare alle presidenziali del 2013 come seconda carica dello Stato. E in un angolo remoto della coscienza spera che dal gioco dei veti incrociati alla fine spunti il suo nome. Troppe speranze, speriamo.

LUCIANO VIOLANTE Non è passato troppo tempo da quando al suo apparire a Montecitorio i berlusconiani abbandonavano l’aula e Bondi lo chiamava il «carnefice» del Pci-Pds per via di Tangentopoli. Oggi invece l’ex presidente della Camera è l’uomo chiave delle riforme: dà la linea al Pd e tratta con Pdl e Terzo Polo sulla legge elettorale, con l’obiettivo di restituire ai segretari il potere di fare i governi in Parlamento. Dalle mani pulite degli anni Novanta alle mani libere dei partiti di fronte agli elettori: bipolarismo addio. E Luciano for president. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 51


Attualità POLITICA E AFFARI

Quattrini a VERDINI C DI LIRIO ABBATE

i vorrebbe un amico. Uno di quelli che sono sempre pronti a mettere mano al portafogli, anche quando hanno il conto in profondo rosso. Un amico vero, pronto a scrivere nero su bianco che ti presterà dieci milioni di euro, anche se non li possiede. Ed è così voglioso di aiutarti che si impegna, nel caso non dovesse riuscirci, a regalarti quanto prima un milione. Uno che fa tutto questo senza chiedere nulla in cambio. È una fortuna rara quella capitata a Denis Verdini, parlamentare e coordinatore nazionale del Pdl, che ha potuto contare sulla dedizione di un suo compagno di partito, il senatore Riccardo Conti. Sì, proprio l’uomo che ha il dono del mattone magico tanto da comprare senza avere in cassa un euro - il palazzo d’oro di via della Stamperia, a pochi metri dalla Fontana di Trevi, e rivenderlo dopo poche ore facendo un guadagno secco di 18 milioni di euro. Un miracolo, ora finito nel mirino della magistratura romana che indaga per truffa e peculato. Soldi provvidenziali, però, perché hanno permesso a Conti di onorare l’insolito contratto firmato due mesi prima con Verdini e versargli un milione come penale per il prestito mancato. Non solo. Dopo quell’affare strabiliante, il senatore ha anche consegnato 750 mila euro alla figlia del suo padrino politico, il ras democristiano dei lavori pubblici Gianni Prandini. E donato un altro milione a una potente istituzione religiosa bresciana, la terra del suo collegio elettorale. Come un novello Signor Bonaventura, Conti distribuisce assegni a sei zeri, mentre è meno generoso solo con un soggetto non ancora identificato, al quale versa 150 mila euro. La girata non si legge chiaramente e quindi il nome del beneficiario è al momento ignoto. Su alcuni nomi e sulle ragioni di DENIS VERDINI. IN ALTO: RICCARDO CONTI. A DESTRA: GLI ASSEGNI DEL SENATORE PDL

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questi versamenti il senatore Conti contattato da “l’Espresso” tramite il suo assistente parlamentare - non ha voluto rilasciare dichiarazioni: «In questo momento il senatore preferisce non rispondere». Secondo quanto risulta ad ambienti bresciani, Conti avrebbe chiesto all’avvocato Franco Coppi di seguire la vicenda giudiziaria aperta dopo la vendita del palazzo di via della Stamperia all’ente di previdenza degli psicologi (Enpap). Attraverso una serie di documenti di fonte investigativa, “l’Espresso” ha potuto ricostruire i vari passaggi grazie alla copia del contratto e ai quattro assegni firmati da Conti. A mettere assieme i

tasselli aiutano anche alcune intercettazioni fatte in diverse inchieste sulla cricca, estratti conto e informative della Guardia di finanza. La cosa più sorprendente è forse il protocollo per il prestito da 10 milioni promesso da Conti a Verdini nel novembre 2010. Un momentaccio per il leader berlusconiano, bersagliato dalle inchieste sulla Cricca delle grandi opere e sulla P3 che pilotava i processi. In quel periodo, Fiamme Gialle e Bankitalia stavano controllando il Credito Cooperativo Fiorentino di Campi Bisenzio e accusavano il po-

litico, già presidente dell’istituto di credito, di averlo gestito in modo familistico. Proprio in quei giorni cupi, arriva l’impegno di soccorso di Conti. Il contratto di finanziamento, di cui “l’Espresso” ha preso visione, è un accordo che lascia allibiti anche i migliori operatori economici, perché alla fine, nel punto che riguarda la violazione degli impegni, si legge una clausola sorprendente: «La mancata erogazione da parte del soggetto mutuante della prima o della seconda tranche darà diritto a Denis Verdini di risolvere il contratto a mezzo di semplice raccomandata scritta. In tale ipotesi il soggetto mutuante sarà tenuto a corrispondere a Denis Verdini una speciale penale dell’importo di un milione di euro». Scritto e fatto. Quando Conti stipula il patto, le sue società non sembrano scoppiare di liquidità. Persino l’impresa usata per la compravendita d’oro dell’immobile alla fine del 2010 segnava un saldo in negativo per 2 milioni. Ma forse in quel periodo gli abboccamenti per l’affare del palazzo di via della Stampe-

Ma le vicende di Verdini alla guida del Credito Fiorentino sono ancora lontane dalla conclusione. Sul banchiere-politico grava un’inchiesta della Procura della Repubblica di Firenze relativa agli ammanchi della piccola banca toscana, arrivata sull’orlo del fallimento con un buco da 63 milioni di euro. Per definire il capo di imputazione nei

confronti di Verdini, i pm attendono la relazione conclusiva degli ispettori di via Nazionale. Per loro sarà importante capire se la cifra che Verdini ha ricevuto da Conti è effettivamente servita, come recitava il contratto, per alleggerire l’esposizione del deputato Pdl verso la banca che lui stesso amministrava.

Tiro a segno

Foto: A. Dadi - AGF, C. Carino - Imagoeconomica

Il coordinatore del Pdl incassa un milione dal senatore Conti. Ricavato da una operazione immobiliare ora sotto inchiesta

IL POLITICO FIORENTINO OTTIENE IL MAXI ASSEGNO ATTRAVERSO UN CONTRATTO CAPESTRO

L’ispezione di Bankitalia ha lasciato il segno. Avviata a fine febbraio del 2010 e durata tre mesi, ha spinto Denis Verdini a cercare il denaro per rattoppare la sua esposizione milionaria con il Credito cooperativo fiorentino, da lui presieduto fino al mese di luglio del 2010. Non è finita. A luglio dell’anno scorso, cioè dopo che Verdini aveva incassato un milione di euro dal conto del senatore Riccardo Conti presso la Banca cooperativa Valsabbina, è arrivata la sanzione dell’organo di vigilanza: 675 mila euro di multa agli ex amministratori. Di questi, 105 mila euro sono a carico dell’ex coordinatore del Pdl.

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Attualità DOPO LA VENDITA DEL PALAZZO D’ORO, CONTI ELARGISCE SOLDI ANCHE ALLA FIGLIA DI PRANDINI E A UNA FONDAZIONE RELIGIOSA ria erano già avviati. Di sicuro, però, Conti non versa i 10 milioni pattuiti. E un anno fa paga la penale di un milione, lecita e giustificabile fiscalmente. Versa i soldi a Verdini quasi in contemporanea con le somme ottenute dalla vendita dell’immobile romano. Ma una parte dei retroscena di questo pagamento sono finiti nelle conversazioni registrate dagli investigatori: intercettazioni realizzate per un’inchiesta che coinvolge Nicola Orazzini, ex direttore generale di Unipol banca, e amico di Verdini. Dai documenti che “l’Espresso” ha consultato, i due parlamentari sembrano quasi dei veggenti, in grado di anticipare il futuro e la disponibilità economica di Conti. Che il 31 gennaio 2011 acquista la palazzina in via della Stamperia per 26,5 milioni di euro da una società che fa capo a Massimo Caputi (immobiliarista e gestore di fondi ), e la rivende poche ore dopo per 44,5 milioni all’Enpap. Ma Verdini non è l’unico a condividere i vantaggi del fiuto imprenditoriale dell’ex democristiano Riccardo Conti. Fra gennaio e febbraio dello scorso anno dal conto corrente della Edizioni di storia bresciana, la holding immobiliare che fa capo al parlamentare lombardo, c’è un gran girare di assegni e bonifici bancari. Il primo è quello per Verdini, intestato a sua moglie Maria Simonetta Fossombroni: un milione di euro, che la donna incassa a febbraio. In precedenza Conti aveva staccato un altro assegno per la signora Verdini, dello stesso importo che reca la data del 31 dicembre 2010. Ma non risultava coperto (il conto aveva un saldo negativo di 2.165.176,86 euro) ed è stato ritirato e poi seguito da quello del 28 gennaio 2011 che Maria Simonetta Fossombroni mette all’incasso. Il secondo assegno da 150 mila euro che Conti firma a gennaio è quello a favore di un nome illeggibile. Nel terzo assegno il senatore bresciano scrive un importo da 750 mila euro e lo intesta alla Alexa immobiliare spa, una società che ha sede a Roma, di cui è unico amministratore Giovanna Prandini, 54 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

39 anni, di Brescia. È la figlia dell’ex ministro Giovanni Prandini: il padrone della Dc bresciana di cui Conti è stato segretario a inizio anni Novanta, chiamato in causa per numerosi filoni di Tangentopoli. Nel 1993 fu chiesta al Parlamento l’autorizzazione all’arresto di Prandini, accusato di aver incassato tangenti per almeno 25 miliardi di lire. Per lo stile e la spregiudicatezza era soprannominato “il texano”, ma anche “Prendini”. La figlia dell’ex ministro si rifà a uomini e cose della Dc, adesso è vicina al Pdl bresciano e a Comunione e liberazione. Alle elezioni europee ha sostenuto un esponente del Pdl come Mario Mauro, uno degli uomini più in vista al Nord di Cl. Il quarto assegno del senatore finisce ai responsabili della Fondazione opera per l’educazione cristiana di Brescia, ai quali dona un milione di euro. L’Opera è una fondazione di culto e religione, creata nel 1977, con lo scopo di «contribuire alla diffusione della fede cristiana nel campo della cultura, dell’educazione e dell’istruzione». Nel suo statuto si propone di sostenere attività rivolte all’approfondimento e alla diffusione della cultura cristiana, ed in questa prospettiva promuove borse

di studio annuali riservate a «giovani meritevoli per coerente testimonianza cristiana». Agisce sotto il patrocinio del vescovo di Brescia ed è considerata un punto di riferimento nei rapporti tra la Curia e il mondo dell’impresa locale di osservanza democristiana, sotto la regia del notaio Giuseppe Camadini, etichettato come il “Cuccia” di Brescia. Storie lombarde, lontane dai feudi toscani di Denis Verdini. Che spesso ha

Immobiliare Formez

DI GIANFRANCESCO TURANO

In Italia nulla si muove in fretta come gli immobili. La vicenda della sede del Formez Pa lo conferma. Gli uffici dell’ente che si occupa di formazione e assistenza alle amministrazioni pubbliche si trovano in viale Marx, nella zona nord-est di Roma. A ottobre del 2007 il Formez Pa firma un contratto d’affitto con il proprietario del tempo, l’immobiliare Monticelli, una società controllata 50/50 dalla famiglia Poli e dal gruppo Violante del costruttore Alberto e del figlio Massimiliano, produttore cinematografico. Due mesi dopo, il 28 dicembre 2007, Monticelli cede il palazzo all’immobiliare Viale Kant dei fratelli Davide e Mario Ciaccia, anche loro immobiliaristi di seconda generazione sulle orme del padre Romualdo. Nel 2007 i Ciaccia si stanno facendo strada nel calcio professionistico con la Cisco Roma, che fallirà nel 2011. L’immobile viene iscritto a bilancio per un valore di 13 milioni di euro. Una cifra evidentemente inferiore ai valori di mercato perché, appena sei mesi dopo, la sede del Formez passa di nuovo di mano a un prezzo quasi triplo. Il venditore è la Ciaccia Real Estate Trading, un’altra società dei costruttori calciofili che ha

sostituito l’immobiliare Viale Kant. Ciaccia Trading cede il palazzo alla Leasint del gruppo Intesa San Paolo sulla base di una valutazione di 33 milioni di euro. L’operazione è una classica “sale and leaseback”. Significa che chi vende si riprende subito l’immobile in leasing con la possibilità di riscattarlo alla fine dei 18 anni del contratto. A metà 2008, quindi, Viale Marx ha un proprietario che è Leasint, un locatario finanziario che sono i Ciaccia e un affittuario reale, il Formez, che paga poco più di 1 milione di euro all’anno. I Ciaccia sono contenti perché hanno realizzato una plusvalenza molto alta. Leasint è contenta per tre ragioni: ha imposto una rata di leasing proporzionata alla nuova valutazione, ha incassato un maxicanone di ingresso di oltre 7 milioni pagato dai Ciaccia e ha un locatario affidabile e puntuale. E il Formez? Il Formez è in una posizione strana. Nel contratto d’affitto si legge che entro tre anni dal 6 maggio 2008 l’ente può acquistare l’immobile. Occhio alle date. A maggio del 2008 il palazzo è ancora dei Ciaccia ma un mese dopo passa a Leasint con diritto di acquisto in mano ai Ciaccia. Non è chiaro quindi chi

potrà comprare viale Marx 15: i Ciaccia da Leasint o Formez dai Ciaccia? A dissipare la confusione ci pensa Marco Bonamico. L’allora direttore generale del Formez, uomo di Marco Milanese, è in ottimi rapporti con i Ciaccia tanto che il nome dei costruttori appare come sponsor sulle Bmw che Bonamico ama guidare nelle corse Gran Turismo. Con l’approvazione del presidente di Formez Pa Carlo Flamment, Bonamico propone che l’ente subentri nel leasing ai Ciaccia. L’operazione si chiude nel febbraio 2011, dopo che Bonamico è stato promosso amministratore delegato della Sogei. Formez Pa rimpiazza la Ciaccia Trading e le restituisce 6,6 milioni di canoni già versati a Leasint. La prelazione sull’acquisto passa così al Formez, anche se slitta dal maggio 2011 al 2026. Il Formez ottiene un’altra prelazione sull’edificio confinante, occupato da un altro ente pubblico (Digit Pa). Il prezzo è di 22,5 milioni di euro da versare alla Viale Marx srl, sempre dei Ciaccia. La seconda operazione, però, non va in porto. Secondo fonti del Formez, un consigliere dell’ente si oppone al doppio affare. È Andrea Monorchio, ex Ragioniere dello Stato.

giostrato milioni tra i suoi amici, sempre con la formula del prestito personale. A Marcello Dell’Utri, imputato con lui nel processo romano per la P3, aveva messo a disposizione un conto cor-

rente nella sua banca aprendogli i cordoni della borsa fino ad affidargli cinque milioni di euro. Dopo che la Banca d’Italia ha commissariato il Credito cooperativo fiorentino e imposto a Dell’Utri di coprire il buco (salvataggio ottenuto grazie a un bonifico di Silvio Berlusconi in un’operazione ritenuta sospetta e segnalata alla Banca d’Italia), è toccato a Maria Simonetta Fossombroni e a suo marito Verdini (conti separati ma unico capitale immobiliare) ripianare il “rosso” di quasi 9 milioni di euro. E anche in questo caso a salvare il coordinatore del Pdl è stato un altro senatore, uno dei più ricchi: Antonio Angelucci. Il re delle cliniche private romane, al quale piace girare per la capitale con la sua Ferrari di colore giallo seguito da scorta armata fatta da vigilantes, ha elargito ai coniugi Verdini una somma complessiva di 9 milioni 334 mila euro. Salvandoli. Angelucci non ha problemi di soldi e dal Lussemburgo sposta facilmente capitali. Con il suo collega di partito co-

munque si mostra cauto: a garanzia del prestito ottiene l’ipoteca della grande tenuta Villa Gucci, subito fuori Firenze, nella quale vive Verdini. Gli investigatori che hanno analizzato la vicenda si chiedono adesso in che modo il coordinatore del Pdl - che ufficialmente ha solo lo stipendio da parlamentare potrà pagare le rate per saldare il debito con il re delle cliniche. Milioni che vanno, milioni che vengono. Mentre il coordinatore si barcamena in queste cascate di quattrini, il partito gli ha appena affidato una missione di legalità: il segretario Angelino Alfano lo ha nominato commissario a Modena per scacciare i sospetti di infiltrazioni criminali nel Pdl locale. E anche lì, Verdini ha spiegato che lui preferisce risolvere le questioni tra amici, senza clamori: «Qui a Modena si è innestata una polemica che è diventata pubblica invece di rimanere all’interno del partito, e così con trasparenza è stato nominato il commissario nella mia persona per fare quello che si doveva fare privatamente». ■

IL SENATORE ANTONIO ANGELUCCI. A SINISTRA: DENIS VERDINI CON LA MOGLIE MARIA SIMONETTA FOSSOMBRONI. SOPRA: GIOVANNA PRANDINI, FIGLIA DELL’EX MINISTRO BRESCIANO

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Attualità LEGA / L’ULTIMA SFIDA In campo con Bobo

Arrivano i PADANO-MARONITI

ANDREA MASCETTI Esponente chiave dell’associazione celtico-varesina Terra Insubre, è accusato dal Cerchio magico di essere nel varesino il perno del sistema di potere di Maroni. Nel 2010, per difendere Terra Insubre, in un Consiglio Federale della Lega l’ex ministro degli Interni venne quasi alle mani con Reguzzoni

Più camicie verdi che colletti bianchi: duri e puri che sognano il ritorno alle origini e guardano all’ex ministro. Che con loro imita il Bossi degli esordi

IGOR IEZZI Giornalista a “la Padania”, ha ricoperto varie cariche nel movimento dei Giovani Padani ed è segretario provinciale della Lega a Milano. Convinto secessionista, quindici anni fa ha disertato il servizio militare e civile per non servire lo Stato italiano e un tricolore che non riconosce

EMANUELA MUNERATO Per la dichiarazione di voto alla Camera contro il governo Monti s’è rimessa la sua tuta arancione di quand’era operaia (e Rsu per la Cgil). Da Lendinara, Rovigo, è a lei che si appoggia Maroni nelle tappe venete del suo tour tra il popolo padano

DI ROBERTO DI CARO ncora non gli chiedono di autografare caschi, t-shirt, carte d’identità, nudi avambracci e floridi petti, come alla fine di ogni comizio capitava al Bossi degli anni eroici e della Lega allo stato nascente. Ma poco ci manca: la folla s’accalca, nessuno rinuncia a una photo opportunity con Bobo Maroni che per mezz’ora firma sciarpe e striscioni e una montagna di cartoline oculatamente distribuite poc’anzi in sala dai Giovani Padani. Foto di lui col pugno stretto e l’Umberto in maglione da anziano, testa contro testa come un affettuoso papà un po’ passatello, sul retro Obélix che forgia la Stella delle Alpi, la scritta Barbari sognanti e lo spazio per dedica e autografo. Bella pensata, le cartoline. È di Matteo Salvini, l’eurodeputato e consigliere comunale a Milano, voce di Radio Padania e volto fisso dei talk show: da ciò che si vede a una qualunque delle 400 kermesse di popolo padano cui Maroni è stato invitato appena Bossi e il Cerchio magico hanno provato a tappargli la bocca, un lunedì al Palazzetto dello Sport di Senago o la settimana dopo alla Camera di commercio di Parma, il trentottenne Salvini, legato all’ex ministro degli Interni, è ora anche il suo più fidato braccio operativo. Soprattutto, Salvini è amato dalle truppe d’assalto maroniane: gli agguerriti Giovani Padani, sempre schierati compatti, striscione “Cerchio, se sei magico, sparisci!”, tutti con braccia-

MANES BERNARDINI Avvocato, in Emilia è l’unico volto spendibile della Lega, così a ogni elezione presentano sempre lui. Nel maggio scorso, candidato del centrodestra alla carica di sindaco di Bologna, raggranellò un più che dignitoso 30 per cento

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letto o berretta dei Barbari sognanti. Ritmano gli interventi inneggiando a Maroni, e più d’una volta a Salvini. Vanno in sollucchero se Bobo proclama che «i nostri giovani hanno riscoperto l’entusiasmo e il profumo della lotta» o invoca il «ritorno alle origini, alla Lega che ho conosciuto, Bossi e io a scrivere sui muri la notte e la polizia a rincorrerci». Adorano sentirgli dire che «Roma è ormai per noi un posto di retroguardia», la resistenza è qui, comincia dai nostri sindaci, la Lega va da sola, il 51 per cento prendiamocelo al Nord, «se con Tosi vinciamo a Verona senza il Pdl si muove la valanga del nostro progetto egemonico sul Nord». Piccoli tabù infranti: «Stimo Berlusconi, è presidente del Milan», fischi, buuh, «non dovevo dirlo», ride. Lievi intoppi nella coreografia: suona il Va’ pensieIN ALTO: ROBERTO MARONI

ro ma paiono i calciatori con l’inno di Mameli, non sanno le parole, solo Bobo vanta di conoscerne tutte le strofe. Chi sono, dunque, questi reparti d’assalto maroniani, a cominciare dalle Bobotruppen, i duri e puri Giovani Padani, movimento giovanile della Lega? Una loro storia, romanzata e senza nomi perché «senza i marchietti dei cavalieri che fecero l’impresa, è più romantica, epica, spirituale», sta nelle 65 pagine anema e core di “Io, giovane padano”, dove i luoghi sono Repubblica del Nord e le date “VI Dip”, sesto anno dalla Dichiarazione di indipendenza della Padania (fosse sfuggito a qualcuno, era il 7 settembre 1997). «Siamo da sempre i pretoriani di Bossi, che alla tattica antepongono gli ideali e le ragioni del cuore», sbandiera Paolo Grimoldi, autore della citata storia del movimento e suo presidente federale. Loro sono «al 99,9 per cento con-

Foto: P. Tre - FotoA3, Varesepress - Genuardi, A. Cattaneo - Fotogramma, D. Bolzoni - Ansa, A. Casasolo - FotoA3, E. Grosso - Fotogramma

A

tro Reguzzoni», l’esponente di spicco del Cerchio, che accusano di voler stravolgere la loro organizzazione. Alla faccia dei bamboccioni, replicano dal Cerchio, Grimoldi ha 36 anni e due legislature alla Camera. E se questi cosiddetti giovani fanno la claque itinerante da un comizio all’altro di Maroni è perché sono tutti ben sistemati in Lega o nelle istituzioni: come Lucio Brignoli, 32 anni, al quale Grimoldi ha passato il coordinamento federale dei Giovani, ma che dal 2009 è anche capo di gabinetto del presidente della Provincia di Bergamo. Igor Iezzi, 36 anni, segretario provinciale del Carroccio a Milano, è invece giornalista della “Padania”, quotidiano decimato dai tagli e dagli esodi incentivati. Anche Iezzi, alle kermesse maroniane nella zona dei fan più determinati, sostiene che, se Bobo è stato costretto a buttarsi con veemenza nella mischia, «è tutta colpa delle scem-

PAOLO GRIMOLDI Già due volte deputato, a 36 anni resta il presidente federale dei Giovani Padani al 99,9 per cento contro Reguzzoni. Sua anche una storia molto romanzata del movimento: le date sono indicate “dalla Dichiarazione d’indipendenza della Padania”

piaggini di Reguzzoni e Rosi Mauro». La strategia è chiarissima: noi Barbari sognanti siamo la Lega tout court, quella del ritorno alle origini, e il Cerchio magico una specie di Banda dei quattro (l’ultima moglie di Mao e tre dirigenti del partito comunista cinese liquidati nel ’76 come “cricca antipartito”). Perché mai dovrebbe limitarsi a una corrente, l’ex ministro tornato barricadiero, quando ormai, salvo colpi di coda degli avversari, si sta prendendo la Lega per intero? Per questo, quando spulci nomi, storie e parabole politiche dei maroniani, inciampi in un’eterogenità inusuale nelle correnti di Pd o Pdl. Recita la vulgata

LAURA CALDAN Ventottenne assessora a Paderno presso Milano, guida da un anno i Giovani Amministratori Padani, Gap. Sta organizzando la nuova scuola quadri della Lega come Università della Padania

che «quella di Maroni è la Lega degli amministratori quarantenni competenti, capaci, spesso laureati, che i voti se li conquistano sul territorio»: gente tranquilla, pacata, che sa far di conto nei Comuni, lontana dai bollori secessionisti. Prototipo il sindaco di Varese Attilio Fontana, o il Flavio Tosi di Verona che si beccò una strigliata dal Capo perché si lasciò scappare che «al momento la Padania non esiste». Un profilo del genere, però, non quadra. Il citato Iezzi è uno che nel ’95 ha rifiutato il servizio militare e anche quello civile, ribadisce, «perché non servo l’esercito italiano, solo quello padano, quando ci sarà, e la mia bandiera è il Sole delle Alpi, non il tricolore». Accanito secessionista è quel Roberto Stefanazzi da Gallarate che, con largo anticipo sull’innamoramento di Maroni per Facebook (dove ora ha due pagine per raggiunto soprannumero di amici) incitava 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 57


Attualità CINQUECENTO SINDACI E CONSIGLIERI LEGHISTI UNDER 35 HANNO CREATO IL GAP. E SOSTENGONO LA SVOLTA

MATTEO SALVINI E, SOTTO, LEONARDO BORIANI

rendere più attuale il programma della Lega Nord. E stiamo preparando l’Università della Padania, facoltà di Istruzione, Lavoro e impresa, Cultura, Sicurezza del territorio». Una scuola quadri, ogni tanto la Lega prova a rifare le Frattocchie. Quando, in ottobre, il sindaco di Varese Attilio Fontana rischiò l’espulsione per aver protestato contro i tagli ai Comuni del governo Berlusconi-Lega, non è che i Gap si siano spesi per difenderlo: «Sentivamo che la questione sarebbe rientrata», si giustifica Caldan. Ma era una vita fa. «Io non avrei comunque cambiato posizione, piuttosto sarei tornato a fare l’avvocato», racconta Fontana. 59 anni, del leguleio ha il gusto della citazione tipo “de minimis non curat praetor” o “raglio d’asino non giunge in cielo”: «Sarò un vecchio romantico, ma Monti non ha contatto con la realtà, ragiona per numeri invece che di persone, strade, buche, scuole che crollano». Però niente sciopero fiscale, tentazione e onda montante in Lega anche tra i maroniani, se

Da una Padania all’altra

Uscirà on line a metà marzo “il Vostro”, finanziato da quattro imprenditori varesini (settori alimentazione, software e due comunicazione). Salvata a stento “la Padania” di carta con uscite incentivate e contratti di solidarietà, con il vecchio direttore Leonardo Boriani se ne sono andati via tre capiredattore e la responsabile marketing. Ora tutti a “il Vostro”, la “o” come un globo perché «saremo un quotidiano nazionale apartitico aperto al mondo, leggibile nelle lingue delle principali etnie presenti in Italia», anticipa un Boriani per nulla preoccupato di come il traduttore automatico trascriverà in albanese o in bengalese “casta” o “cerchio magico”. Apartitico ma maroniano? «Io sono legato a Maroni, col quale ho parlato del progetto, ma ognuno va avanti per la sua strada: lui si gioca la partita sul territorio, una serata dopo l’altra fino ai congressi, io facendo un quotidiano che fa parlare la gente». Una volta si diceva “compagno di strada”. «Ecco, giusto! In questo momento non interferiamo uno con l’altro. Ci sarà modo, più avanti...». 58 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

no poi come le tappa le buche per strada? Occhio, ragazzi, siam qui per governare e «diventare il partito di riferimento del Nord», mica per giocare all’antipolitica. Fuori Lombardia, l’Emilia è maroniana per via di Manes Bernardini, che nella corsa da sindaco di Bologna raggranellò il 30 per cento. Boss in Romagna è il telemaroniano Gianluca Pini, controverso per inchieste su evasione fiscale di due sue società e sul presunto incasso di 15 mila euro per favorire un candidato a un concorso notarile. Il debole Piemonte è in mano al presidente della Regione Roberto Cota, un po’ svogliato e un po’ dittatorello, attentissimo a non bruciarsi nella guerra interna. I veneti, invece, gelosi della loro Liga nata prima della Lega di Bossi, sono una polveriera. A parte il governatore Luca Zaia super partes senza sgarrare di un centimetro, qui o stai con Tosi (e Maroni) o con Gian Paolo Gobbo (e il Cerchio). Il primo mira a estromettere il secondo, segretario della Liga, al congresso entro giugno. Gobbo, e Bossi con lui, vogliono impedire che Tosi presenti anche una sua lista personale alle comunali di primavera, e il rischio è che su questo vada in frantumi il Carroccio, non solo a Verona. Ma Gobbo e Tosi duellano da una vita. Spaccati per province (vicentini magnagatti, veronesi tutti matti) e per occupazione di posti (durissimo lo scontro su una parentopoli alla multiservizi veronese Amia). E a colpi di espulsioni: Matteo Ferrari, marito della maroniana Emanuela Munerato, deputata-operaia per due suoi interventi a Montecitorio in tuta da lavoro, è stato cacciato dalla Lega per aver denunciato un consigliere regionale, leghista pro-Cerchio. Colpo Gobbo, alla lettera. ■

Foto: A. Dadi - AGF, P. Tre - A3

i leghisti contro «il clan di Gemonio», leggi i bossiani stretti a cominciare da moglie e figli. E la volta che Maroni e Reguzzoni quasi vennero alle mani durante un Consiglio federale sul caso Terra Insubre, associazione culturale celtico-varesina considerata un pezzo del sistema di potere di Bobo nella culla del Carroccio ma sconfessata da Bossi, che ha vietato la doppia tessera. Per i cerchisti, Andrea Mascetti, esponente chiave dell’associazione, è un fascista travestito da leghista, legato ai massoni, che guida la carica al remunerativo gioco delle consulenze dall’industria aeronautica alla sanità lombarda (così sul sito Velinaverde). Nelle recenti riallocazioni di vecchi personaggi in ombra, schierato con Maroni c’è persino Mario Borghezio, eurodeputato e impareggiabile gaffeur. Ma uno non è che se li può scegliere, i seguaci. E la Lega maronita dei “bravi amministratori”? C’è, c’è. I giovani, 500 sindaci e consiglieri sotto i 35 anni, si sono organizzati nei Gap, Giovani amministratori padani, omonimia forse involontaria con la sigla partigiana d’antan: «Governare localmente significa mediazioni, alleanze, tempi lunghi, non è che puoi sempre spaccar tutto», dice Laura Caldan, ventottenne assessora di Paderno Dugnano, in Lega dal liceo, indole riservata anche su Facebook, dei Gap coordinatore federale da un anno. L’ultimo incontro con Bobo? «Su come


DISCRIMINAZIONI

Attualità

Donne nel mirino Rinunciare ad avere figli. O perdere il lavoro. È la nuova emergenza femminile. Raccontata in un libro DI CHIARA VALENTINI A parole, è una scelta che tutti respingono. I fatti la confermano continuamente: “O i figli o il lavoro”. Non poteva essere più diretto, e tagliente, il titolo dell’ultimo libro della giornalista Chiara Valentini, in libreria, per Feltrinelli, dal 7 marzo. Un’indagine sulla difficoltà di conciliare lavoro e maternità, colma di storie e di emozioni. Un’analisi su quanto costi veramente diventare mamme. In Italia, più che in tutto il resto d’Europa. Qui di seguito un estratto dal primo capitolo.

ccellenza, provi a toccare qui, senta come si muove». Resta interdetto per un momento il vescovo in visita a un ospedale calabrese quando la giovane dottoressa, superato d’un balzo il gruppetto dei professori, gli afferra senza tanti complimenti la mano e se la posa sul pancione che spunta da sotto il camice bianco. «Lei difende la vita, ma non è vita questa? Eppure la vita di mio figlio vale proprio poco. Appena saputo che sono incinta mi hanno detto che ho chiuso, qui non potrò più tornare. Ma come faccio a mantenerlo?». Per ironia della sorte è proprio in un reparto maternità che lavorava Francesca, trentacinquenne con laurea e specializzazione impeccabili, finita come la maggioranza dei suoi coetanei in una catena di contratti a termine, che a ogni scadenza la tenevano con il cuore sospeso. Lei però, brava e instancabile, benvista dal primario, veniva riconfermata ogni volta. «Non mi sarei mai aspettata che proprio il mio bambino mi facesse mettere alla porta», mi racconta Francesca con la voce che trema dal risentimento. Sono già passati vari mesi da quella «sceneggiata epocale», come la definisce, di cui va piuttosto fiera, anche se i risultati pratici sono stati pari a zero: niente rinnovo del contratto e anche il vescovo sparito nel nulla. Il bimbo è nato e lei ha dovuto accontentarsi di un posto da assistente notturna in una modesta clinica

Foto: Corbis

E

privata della provincia, 900 euro in nero al mese, molti chilometri di strada da macinare tutti i giorni, niente ferie né assistenza sanitaria. «Ma poteva anche andarmi peggio, con un neonato a carico». È una frase che sentirò ripetere infinite volte, in questo viaggio nello spazio a rischio delle italiane che lavorano, e che vorrebbero continuare a farlo anche quando scelgono di diventare mamme. Invece poteva capitarle quel che è successo a Fiorella, 20 anni, commessa in un supermarket della periferia di Firenze, che non sentendosela più di scaricare la merce dai camion - attività che peraltro non le spettava - aveva comunicato alla direttrice di non poter più portare pesi perché incinta. Non l’avesse mai fatto. In un attimo si era ritrovata chiusa a chiave nel magazzino, con la dirigente che la insultava e la minacciava per costringerla a firmare le dimissioni. La ragazza aveva cercato di resistere, ma si era sentita male per lo spavento e aveva finito per scrivere il suo nome su un foglio bianco. Su consiglio di un’avvocata del lavoro, Marina Capponi, a lungo consigliera di Parità della Toscana, Fiorella aveva fatto causa. Solo dopo quattro anni passati fra mille difficoltà, un mare di spese e qualche lavoretto saltuario, era riuscita a ottenere una sentenza che condannava il proprietario a pagarle 90 mila euro di risarcimento. Ma non era ancora finita. L’uomo non voleva proprio saperne di versare quei soldi, anche a costo di danneggiarsi da solo. Dal suo punto di vista era un’ingiustizia intollerabile. Per costringerlo il tribunale aveva dovuto addirittura pignorargli il supermarket. Se possiamo dire che per Fiorella in qualche modo c’è stata una sorta di lieto fine, sia pure in ritardo, nessun lieto fine per Ro-

salba, infermiera in uno studio dentistico di Parma. Quando si era accorta di aspettare un bambino la ragazza non aveva avuto il coraggio di farlo sapere al suo datore di lavoro. Altre volte l’aveva sentito urlare contro collaboratrici rimaste incinte: «Sfaticate che pretendete di farvi i figli a spese mie». Per il terrore di perdere il posto Rosalba, in particolare difficoltà perché sola, senza un compagno, aveva continuato a lavorare fino a tutto il quinto mese, cercando di nascondere la gravidanza. Ma a pagarne il prezzo era stato il suo bambino, nato senza le dita delle mani e dei piedi. Come le spiegheranno i medici, è successo per le radiazioni degli apparecchi delle radiografie dentali, che lei aveva continuato a usare. E se è vero che il dentista non ne era direttamente colpevole, lascia senza parole che le abbia poi rifiutato le due ore di permesso giornaliero a cui ha diritto chi ha un figlio portatore di handicap. Quando Rosalba era rimasta incinta una seconda volta, prima l’aveva retrocessa da infermiera a donna delle pulizie, poi l’aveva addirittura licenziata. ■ 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 61


RIVELAZIONI

Attualità

Chi ha ucciso il campione Il tedesco Long gareggiò nel 1936 con Jesse Owens e fu considerato un eroe olimpico. Un libro ne ricostruisce la morte. Misteriosa DI GIANLUCA DI FEO u come sia morto manca la certezza, perché pochissimi degli uomini che combatterono al suo fianco sono sopravvissuti: gli altri furono uccisi in combattimento o massacrati senza pietà dopo la resa dai soldati americani il 14 luglio 1943. E anche il suo nome è incluso in quell’elenco di italiani e tedeschi dati per dispersi ma in gran parte ammazzati a freddo dai fanti statunitensi, che avevano eseguito alla lettera l’appello del generale Patton a «non fare prigionieri». Così per la prima volta comincia a chiarirsi il mistero sulla fine di Ludwig “Luz” Long, l’atleta tedesco diventato il simbolo universale della sportività. Nelle Olimpiadi di Berlino del 1936 Long, biondo e ariano, sfidò il nero Jesse Owens nel salto in lungo. Il suo rivale aveva già fallito due salti: un altro errore e l’oro sarebbe stato certo. Invece il tedesco andò dall’avversario e gli suggerì di anticipare lo stacco: consiglio accolto dall’americano con una prestazione da primato. Davanti allo sguardo infuriato di Adolf Hiltler, il saltatore biondo fu il primo ad abbracciare il vincitore e congratularsi con lui: immagini che ancora oggi in tutto il mondo incarnano lo spirito di De Coubertin. Luz e Jesse diventarono amici ma il tedesco pagò a caro prezzo il suo fair play: allo scoppio della guerra fu mandato al fronte senza riguardi e morì in Sicilia. Le notizie sulla sua fine erano sempre state vaghe, nonostante gli onori tributati dal Comitato Olimpico Internazionale

Foto: Popperfoto - Getty Images

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anche in occasione dei giochi del 2000. Adesso gli studi di Andrea Augello, senatore del Pdl ed ex sottosegretario di Palazzo Chigi, aprono un primo spiraglio sulla sorte dell’atleta. Ormai da cinque anni il parlamentare si dedica alla ricostruzione storica dei massacri di prigionieri italiani nel luglio 1943: soldati che, contrariamente ai luoghi comuni sullo sbarco in Sicilia, difesero strenuamente il fronte nella zona di Gela mettendo in crisi gli americani. Adesso con la nuova edizione di “Uccidete gli italiani”, che Mursia manderà nelle librerie la prossima settimana, l’opera è praticamente completa. Con risultati sorprendenti. Incrociando resoconti e documenti inediti, il senatore ha individuato i nomi di 68 italiani e quattro tedeschi ammazzati dopo la resa. Di alcuni ha recuperato anche le foto: ventenni che scherzano duellando con le baionette. Quei ragazzi fino all’ultimo hanno difeso il piccolo aeroporto di San Pietro, poco lontano da Caltagirone, facendo perdere la testa ai reparti d’assalto di Patton. Erano avieri palermitani e romani, mitraglieri bresciani e toscani: tra loro anche Sergio Stauble, un asso dei bi-

plani da caccia. Dopo avere alzato le mani, furono lasciati in mutande, fatti marciare senza scarpe sotto il sole, poi messi in fila e abbattuti a raffiche di mitra. Il caporale Long con la sua compagnia dell’antiaerea germanica ha combattuto al fianco degli italiani, bloccando l’avanzata statunitense. E dopo la resa almeno quattro dei tedeschi sono stati fucilati assieme agli italiani. Secondo un testimone Long sarebbe stato ferito prima, durante la battaglia: il commilitone avrebbe tentato di caricarselo sulle spallle e poi lo avrebbe abbandonato ancora vivo. Come è morto? Il corpo è stato sepolto assieme alle vittime dei massacri. E Giuseppe Giannola, l’unico superstite degli eccidi ancora in vita, fu colpito tre volte dopo essere stato preso prigioniero: nonostante fosse già ferito, gli spararono al petto nel tentativo di finirlo. Giannola denunciò i crimini degli americani nel 1947: per oltre mezzo secolo nessuno gli ha creduto. Ora spera che almeno sia reso onore alla memoria dei suoi compagni, con un cippo che ricordi i “fantasmi di San Pietro” rimasti senza nome dal giorno della strage. ■

LO STUDIO DEL SENATORE AUGELLO SVELA I MASSACRI DI PRIGIONIERI IN SICILIA NEL ’43

LUDWIG” LUZ” LONG, A SINISTRA, CON JESSE OWENS AI GIOCHI DI BERLINO DEL 1936 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 63


L’intervista

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CARLO VERDONE

Io, mia madre e le donne

olti oggi cercano di sfuggire alle difficoltà della vita rifugiandosi nella fantasia. Io invece la realtà la sfido, impegnandomi a esplorare nei dettagli la società contemporanea. Con l’ambizione di adattare poi ai toni ironici ma anche malinconici della commedia le problematiche della modernità. E al centro delle mie riflessioni c’è molto spesso la donna, che si conquista la priorità perché negli ultimi decenni la sua dimensione è molto cresciuta, mentre quella dell’uomo è rimasta ferma e soffre sempre più di inadeguatezza». Nel salotto del suo superattico romano sulle pendici del Gianicolo Carlo Verdone prende spunto dall’uscita del film “Posti in piedi in paradiso” (di cui secondo tradizione è regista e insieme protagonista) per ripercorrere il rapporto personale con l’universo femminile. Un po’ tormentato nella sfera privata, fertilissimo come fonte di ispirazione creativa. «La donna per me è tutto. Non saprei scovare definizione più calzante. Nasce dalla devozione per la più sacra delle icone femminili, la Madonna, perfino la mia religiosità che pure oggi metto spesso in discussione perché la Chiesa con tutti i suoi intrighi attuali è diventata una sorta di Confindustria della fede. Anche in questo mio ultimo lavoro che descrive in chiave umoristica la débâcle di tre uomini espulsi dalle rispettive famiglie e costretti dai problemi economici a convivere, è una cardiologa svampita ma lucida, interpretata da Micaela Ramazzotti, la figura che finisce per imporsi. È una donna che va alla ricerca con il lanternino di amori sbagliati ma dotata di una sua saggezza. È lei che, riponendo una grande fiducia nei giovani, suggerisce la chiave per risolvere una delicata situazione fra un genitore e sua figlia. E a introdurre nel finale un orizzonte di speranza. Quei padri sventurati non rimarranno soli, al loro fianco resteranno i loro ragazzi con un occhio indulgente sugli errori che hanno commesso».

Doppia uscita “Posti in piedi in Paradiso”, l’ultimo film-commedia diretto e interpretato da Carlo Verdone (in uscita in questi giorni) e prodotto da Aurelio e Luigi De Laurentiis, prende spunto dalle difficoltà di tre padri separati che, travolti dai problemi finanziari, si adattano a vivere sotto lo stesso tetto senza neanche conoscersi. Altri interpreti: Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Marco Giallini, Nicoletta Romanoff, Diane Fleri. “La casa sopra i portici” è un libro di Carlo Verdone (curato da Fabio Maiello per le edizioni Bompiani, da pochi giorni in libreria) che è un ritratto di famiglia. La storia è ambientata nell’appartamento romano di Lungotevere dei Vallati, davanti a Ponte Sisto, dove il regista è cresciuto e vissuto per più di 30 anni fino al suo matrimonio. Uno spaccato d’epoca in cui il racconto dei primi flirt si intreccia con la scoperta degli intellettuali che frequentavano la casa dei genitori, l’amore per la musica va di pari passo con le prime esperienze nel mondo del cinema. Emozioni, gioie ed inevitabili dolori si avvicendano in tanti racconti sparsi negli anni.

La forte figura materna. Gli amori giovanili. L’ex moglie. Le attrici. Il regista racconta il suo rapporto con l’universo femminile

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COLLOQUIO CON CARLO VERDONE DI GIANNI PERRELLI

Ancor prima dell’uscita il film ha però suscitato risentite reazioni proprio dal mondo femminile. Prenderebbe troppo la parte degli uomini che precipitano nelle ristrettezze dopo le sentenze di divorzio.

«Non riuscirei mai ad andare contro le donne. Il soggetto non prende posizione contro di loro o contro le decisioni dei tribunali. È la cronaca di un disagio vissuto dai tre protagonisti maschili, un po’ sfortunati ma anche un po’ cialtroni, finiti nei guai non per colpa delle loro partner». Ma com’è, fuori dallo spettacolo, il suo approccio personale con il mondo femminile?

«Da adolescente ero portato a fare amicizia più con le ragazze che con i ragazzi. Nel ’68, quando avevo 18 anni, sentivo che era-

no più avanti. E questa percezione nel tempo non è cambiata. Nasce da qui quel senso di inadeguatezza che mi sono trascinato fino al termine degli anni Settanta quando ho diretto il mio primo film, “Un sacco bello”. Avevo difficoltà incredibili a fidanzarmi. Poi non riuscivo a mantenere i rapporti. Ricordo che con un mio primo filarello andavo a ballare al Piper. Ma le gonne di lei diventavano ogni settimana più corte e io diventavo sempre più geloso. Lo smacco più bruciante lo vissi a 25 anni. Successe che un’assistenza alla regia mi portò un mese fuori Roma e mi staccò temporaneamente dal mio amore dell’epoca. Guadagnavo 80 mila lire a settimana e li risparmiai tutti per comprare un anello. Al ritorno diedi

Foto: M. Sestini

CARLO VERDONE. A SINISTRA: TRE SCENE DEL SUO NUOVO FILM “POSTI IN PIEDI IN PARADISO”

appuntamento alla fidanzatina davanti a piazza del Popolo. Quando arrivò vidi che aveva una faccia strana. “C’è qualcosa che non va?”, mi informai. “Carlo”, rispose in tono contrito, “è meglio che te lo dica subito. Mi sono innamorata di un altro”. Per sciogliere un po’ la tensione, aggiunse: “Non so cosa fare, in fondo ti ho detto la verità”. Trattenendo i lucciconi le proposi di accompagnarla a casa con il mio Vespino 50. Durante il tragitto nessuno proferì più parola. Poi tornai col magone a casa, scesi dallo scooter e andai a piedi verso ponte Sisto e gettai il pacchettino con l’anello da 250 mila lire nel Tevere. Infine telefonai alla mia migliore amica. “M’ha lasciato, sto male”. E lei: “Ma vieni da me

che te faccio la carbonara”. Dopo cena mi diffidò dal ricadere in tentazione. “Basta, non la chiamare più. Era ’na stronza. E c’aveva tre anni e mezzo più de te”. Mi sono poi rifatto coi primi successi professionali. Di colpo hanno ripreso a chiamarmi tutte quelle che mi avevano mandato in bianco. “Sono Cecilia, complimenti. Sai, non avevo capito che c’erano certe cose dentro di te”. E io: “Sì, sì eccome no…”. Non ho più dato confidenza alle ex che mi avevano strapazzato pensando a tutte le notti che non avevo dormito per colpa di qualche Cecilia». Neanche il suo matrimonio ha avuto un epilogo felice.

«Gianna, la mia ex moglie, è una donna

che ho veramente amato. Mi ha dato una figlia e un figlio speciali, con cui ho fatto fantastici viaggi quando mi sono reso conto che avevo dato di più alla professione che alla famiglia. Lei ha saputo infondermi sicurezza. Era e resta la mia migliore alleata. Una persona che c’è sempre. La prima che chiamerei se un giorno mi ritrovassi sull’orlo di un burrone». Lei fa la radiografia del costume nazionale da 30 anni. Come si è trasformato il rapporto di coppia?

«L’eros ha purtroppo schiacciato il sentimento. Ci hanno fatto credere che il sesso è il motore della vita e ci hanno sprofondato nella pornografia. Basta cliccare cinque o sei lettere sul computer e vedi le peggiori abiezioni. Questo è un vero disastro sociale. Gli uomini, alzando il dosaggio dell’eccitazione, rischiano ormai l’impotenza. Il mio farmacista mi ha svelato che il Viagra è acquistato per l’80 per cento dai ragazzi fra i venti e i trent’anni. Io avevo già fiutato il rischio in “Viaggio di nozze”, un film del ’95. Dopo che Ivano e Jessica hanno sperimentato il “famolo strano” non sanno più che dirsi. La donna nel frattempo è stata trasformata in un oggetto nella pubblicità, al cinema, in televisione. Tante mie amiche carine non sono mai riuscite a tenersi un posto per più di sei giorni perché alla fine della settimana il padrone saltava loro addosso. I peggiori esempi vengono dall’alto. Carlo Giovanardi che si indigna per l’amore lesbico non ha mai letto le cronache dei festini della Sardegna o di Arcore? Non si è mai scandalizzato per le olgettine? Si è imposta la tirannia dell’esibizionismo. Si è sdoganato tutto. È offensivo, ha ragione il ministro Fornero. Il pubblico è stufo di silicone. Vuole più naturalezza, più verità. Ma non è facile uscire dal tunnel. A partire da metà degli anni Novanta hanno cominciato anche a sfasciarsi le coppie. Le donne che hanno perso parte dell’energia femminista lamentano che non riescono a trovare più uomini con le palle, in grado di affrontare le responsabilità. Nessuno più accetta l’idea che tener saldo un rapporto è un lavoro che richiede impegno e applicazione. La via d’uscita diventa così l’ansiolitico». Uno scenario apocalittico.

«Ma forse non irreversibile. Ho fiducia nelle nuove generazioni. Noto che difendono meglio i loro rapporti. Anche se 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 65


L’intervista

abusano dei social network, una panacea a volte inutile contro la solitudine. Cosa significa avere centinaia di amici virtuali quando si sa che nella vita reale si può al massimo contare su una decina di persone veramente fidate? Io non sono né su Facebook né su Twitter anche se ci sono molti account che portano abusivamente il mio nome. È una cultura che forse per ragioni anagrafiche sento estranea. Ma provo molta curiosità per il mondo dei giovani, cerco di scambiare la mia esperienza con la loro vitalità. E più li contatto più mi accorgo che molti riscoprono con piacere la tenerezza di quel mondo in bianco e nero che ogni tanto rimpiango». La tenerezza. Un sentimento più femminile che maschile.

«In tutti gli uomini, come insegna la psicanalisi, c’è anche una parte femminile. La mia si manifesta soprattutto nel senso di protezione che so esercitare nei confronti dei familiari e degli amici. Penso di averla ereditata da mia madre Rossana, professoressa liceale di lettere con la passione del pianoforte. La donna più importante della mia vita. Amorevole, spiritosa, colta ma anche ansiosa. Io mi ritengo un suo clone maschile. In un 66 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Lei cosa chiede a un’attrice?

«Di lasciarsi guidare. Rilassati, dico, e persuaditi che hai davanti una persona che pensa più a te che a se stesso». Con quale attrice si è trovato più in sintonia?

«Forse Claudia Gerini, la Jessica di “famolo strano”. Avevamo lo stesso occhio quando esploravamo il mondo coatto.

LA MIA TENEREZZA SI MANIFESTA SOPRATTUTTO NEL SENSO DI PROTEZIONE VERSO AMICI E FAMILIARI

Due anime gemelle. Anche con Margherita Buy è nata un’intesa straordinaria. Ma alla fine direi con tutte. Ho solo bei ricordi». Se potesse scritturare una star internazionale?

«Senz’altro Meryl Streep, un’attrice veramente completa, che ho avuto il privilegio di conoscere». Lei ha sempre manifestato una sorta di venerazione per Fellini. Le donne che proponeva sullo schermo hanno in qualche modo influenzato la sua visione femminile?

«Le donne di Federico erano esclusivamente sue. Grandi, grosse, materne. Io preferisco modelli femminili più filiformi. Direi più moderni». L’evoluzione della figura femminile negli ultimi decenni è stata fedelmente registrata dal cinema?

«Direi di sì. C’è un abisso fra Sophia Loren che piaceva tanto agli italiani negli anni Cinquanta e Rooney Mara che mi ha fatto recentemente innamorare alla proiezione di “Millennium”». Donne e politica. Dalle ministre devote al sultano alle tecniche supercompetenti.

«A me sembra che siano già passati cinque anni dalla caduta di Berlusconi. Dal tramonto di un’epoca in cui alle donne si ordinava solo di obbedire. Anche la politica deve rispettare un suo copione. E quello più corretto impone a chi dirige la vita pubblica di agire molto parlando il meno possibile. Fornero, Severino e Cancellieri mi pare che si avvicinino ai modelli di rispettabilità della Iotti e della Anselmi. O, su scala internazionale, a quello di Indira Gandhi». La sua Roma. La vede come una donna?

«Sì, è una grande madre capace di abbracciare tutti con i suoi colonnati. La sua anima è un po’ quella di sora Lella, un omaggio personale non solo alla mia città natale ma pure alla grande commedia italiana del dopoguerra. Ma oggi Roma è in preda alla sciatteria anche se io voglio illudermi che sia rimasta uguale ammirandola dall’alto di queste terrazze. Il romano può al massimo descriverla attraverso le solite cartoline. Solo chi arriva da fuori ha lo sguardo fresco per cercare di interpretarla. Gli unici che l’hanno capita fino in fondo sono stati Federico Fellini e Ennio Flaiano, due geni che venivano dall’Adriatico». ■

Foto: Olycom (2)

CARLO VERDONE CON I FIGLI GIULIA E PAOLO

ambiente in cui dominava il matriarcato era a lei che mi veniva spontaneo confidare i segreti. Mio padre Mario, critico e letterato, era una figura un po’ più austera. Quando si chiudeva a scrivere nel suo studio nessuno poteva alzare il volume della radio. Ma un po’ tutta la mia crescita è stata scandita da importanti figure femminili. Le tate che venivano dalla campagna, ci parlavano in dialetto, si inventavano favole in cui il re era di Alatri, la principessa di Frosinone, l’orco di Palestrina. E naturalmente mia sorella Silvia, la moglie di Christian Di Sica con cui ha scelto di vivere in totale simbiosi. Da ragazza era un po’ aggressiva perché si sentiva un po’ schiacciata da me e mio fratello Luca. Ma ci siamo sempre voluti molto bene. E infine la misteriosa dama di compagnia che io chiamavo zia Lina. Lina Ferrari, una elegante e benestante signora di Vicenza, con i capelli bianchi raccolti in uno chignon, che non si è mai ben capito come fosse capitata da noi. Mi portava a vedere i film storici, mi comprava la cioccolata. Ero talmente affezionato a lei che la sua morte fu un autentico trauma. Un capitolo che avevo completamente rimosso, affiorato da una lettera scovata in un baule dove risulta che ero stato addirittura visitato da uno psichiatra e che mi era stata diagnosticata una “melancholia oscura”, cioè uno stato di depressione. Sono pagine che illustro nella “Casa sopra i portici”, un libro (appena uscito) che è la storia della mia famiglia e dell’appartamento dove ho vissuto il periodo migliore della mia vita».



n. 10 - 8 marzo 2012

Mondo POLITICA

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ANALISI

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OPINIONI

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AFRICA

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ASIA

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AMERICA

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EUROPA

Repubblicani Usa di Antonio Carlucci

Spot avvelenati

Algeria

Il Paese del gas muore di freddo Camion cisterna presi d’assalto. Strade bloccate dai cittadini. Code davanti ai rivenditori dove si attendono anche due giorni per conquistare una bombola. L’Algeria che scalda col suo gas gli altri Paesi (primo fornitore per l’Italia e secondo per l’Europa dopo la Russia) è rimasta al freddo dopo l’ondata di gelo che ha portato la neve anche nella capitale (evento rarissimo). La causa? La carenza di bombole, unico mezzo per riscaldarsi in un Paese dove la maggior parte dei villaggi non sono collegati alla rete di distribuzione. L’opposizione e la stampa puntano il dito contro le autorità. «Sono più interessate a realizzare gasdotti verso l’Europa e a esportare bombole verso i Paesi arabi che ai bisogni della popolazione algerina», scrive “Liberté”. E gli abitanti della Cabilia: «O tutti i villaggi saranno allacciati alla rete del gas o sarà l’inferno. Chi non è in grado di gestire il Paese si deve dimettere!». Laura De Santi

Foto: R. D'Elia - Corbis

Africa Un fiume di denaro, oltre 20 milioni di dollari solo a gennaio. E spesi quasi esclusivamente per costruire spot televisivi per mettere in cattiva luce l’avversario. È la novità della campagna per le presidenziali 2012 degli Stati Uniti. I quattro contendenti alla nomination del Partito Repubblicano stanno utilizzando in modo massiccio i SuperPac, comitati politici che non controllano direttamente ma che servono gli interessi di Mitt Romney, Rick Santorum, Newt Gingrich e Ron Paul. I SuperPac, resi legali da una sentenza della Corte Suprema in tema di libertà di manifestazione del pensiero, non hanno vincoli nella raccolta di fondi né nei soggetti che agiscono come finanziatori. Appoggiano apertamente un candidato, ma senza che questi possa essere chiamato a rispondere direttamente del loro operato. Rom-

ney con Restore Our Future, Gingrich con Winning Our Future, Santorum con Red, White and Blue, Paul con Endorse Liberty hanno stravolto le regole della competizione: perché i loro SuperPac si dedicano esclusivamente a produrre spot televisi per denigrare e mettere in cattiva luce l’avversario nella corsa alla nomination. E più andrà avanti la battaglia, più i messaggi saranno duri e più alta la spesa. Alla fine anche Barack Obama, che aveva annunciato di non voler avere anche lui un SuperPac di supporto, si è dovuto piegare e ha dato il via alle attività di Priorities Usa Action che ha raccolto in poco tempo 4,5 milioni di dollari. L’esordio? Uno spot contro Mitt Romney per ricordare come lui fosse a favore del fallimento dell’industria dell’auto americana.

Salvare i neonati Lo avevano promesso nel 2010 al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che era salito a Padova per feteggiare i 60 anni dell’ong: aiuteremo ancora di più il Continente Nero. E Medici con l’Africa Cuamm ha mantenuto l’impgegno. Grazie all’aiuto di quattro Fondazioni bancarie (Cariplo, Cariparo, Cariverona e Compagnia di S. Paolo) ha dato vita al progetto “Prima le donne e i bambini”. Obiettivo dichiarato: raggiungere la cifra di 125 mila parti assistiti in 5 anni in Angola, Etiopia, Tanzania e Uganda. In Angola, per fare un esempio, muoiono di parto 4 donne ogni 275 (in Italia 4 ogni 100 mila), e 130 bambini ogni mille (da noi 3 ogni mille). DA SINISTRA RON PAUL, RICK SANTORUM, MITT ROMNEY E NEWT GINGRICH, I QUATTRO CANDIDATI lE ’ spresso | 71


Mondo LA CORSA ALL’ELISEO

Sindrome tedesca

A PARIGI

Sarkozy e Hollande hanno l’ossessione di Angela Merkel. E cercano di attenuare il rancore dell’elettorato contro il rigore della Germania: sanno che con Berlino dovranno fare i conti

uno promette di essere intransigente, l’altro dice che non è disposto ad alcun compromesso. Il primo non si stanca di ripetere che l’asse francotedesco resta d’importanza vitale e che il suo primo viaggio, dopo le elezioni presidenziali, lo condurrà a Berlino. Il secondo, continua a dire che la Germania è un modello ed è ormai tempo che la Francia ne tragga ispirazione. Entrambi cercano di attenuare il rancore dei

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loro seguaci verso l’inflessibilità dei tedeschi sulle questioni europee. La crisi economica e finanziaria li mette di fronte alla stessa evidenza: quale che sia la propensione di Parigi ad attribuirsi il ruolo più lusinghiero, chi conduce la danza è sempre la signora Merkel. Spetta ai due candidati trarne le conseguenze e convincere i francesi che la loro interpretazione è la migliore. Nel pieno della campagna elettorale per la conquista dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy e François Hollande hanno un’ossessione comune: la Germania.

Il fenomeno non è nuovo. I tormenti della storia e i torrenti di sangue versato da entrambe le sponde del Reno, come pure lo spirito e l’essenza stessa della costruzione europea contribuiscono, più ancora della vicinanza geografica e dei legami economici, a rendere i rapporti franco-tedeschi il cuore pulsante del Continente. De Gaulle e Adenauer, Giscard d’Estaing e Helmut Schmidt, Kohl e Mitterrand che si tengono per mano a Verdun rappresentano altrettanti simboli che hanno lasciato un segno profondo nella nostra memoria storica. Nonostante la famosa battuta di quest’ultimo, prima della riunificazione («Amo talmente la Germania che preferisco averne due»), la coppia franco-tedesca è da oltre mezzo secolo il pilastro dell’Unione. In questa storia coniugale, le diversità di orientamento politico non sono mai state d’ostacolo: Giscard, il conservatore, sempre avaro di elogi, considerava il socialista Schmidt come un suo pari; Mitterrand e Kohl hanno scambiato, di buon accordo, l’euro contro l’unificazione e a Chirac non è rimasta altra scelta che un’intesa con Schroeder. L’ex cancelliere socialista, che in seguito ha fatto la sua fortuna con l’amico Putin, è oggi osannato non già da Francois Hollande, che fatica a trovare la sua anima gemella a Berlino, ma da Nicolas Sarkozy.

Foto: Sipa - Olycom, G. Galazka - Contrasto

DI CHRISTINE OCKRENT

Da quando l’ha ricevuto all’Eliseo, lo scorso gennaio, il presidente francese non cessa di cantare le sue lodi: nel 2000, quando Lionel Jospin lanciava la settimana lavorativa di 35 ore, il leader socialdemocratico tedesco avviava nel proprio Paese un ciclo di riforme e una serie di misure di austerità che spiegano in gran parte il successo attuale della Germania. Ecco perché, secondo l’Eliseo, è il caso di imitarla, riducendo il costo del lavoro, au-

NICOLAS SARKOZY. A SINISTRA: CARLA BRUNI TRA IL PREMIER FRANÇOIS FILLON E JEAN-FRANÇOIS COPÉ, SEGRETARIO DELL’UMP, IL PARTITO DI SARKÒ

mentando l’Iva, finanziando in modo diverso la spesa sociale e concludendo accordi sulla competitività all’interno delle imprese anche a costo di abbassare i salari. Ma rendendo omaggio a questa politica, Sarkozy dimentica semplicemente che Schroeder, attuandola, ha perso le elezio-

ni a vantaggio di una signora che risponde al nome di Angela Merkel... Di fronte alla cancelliera tedesca, Hollande, per il momento, fa lo smargiasso. Pur non avendo nella sua bisaccia alcuna soluzione miracolosa per risolvere la crisi dell’eurozona, il candidato socialista continua a ripetere che con lui le cose cambieranno, che la signora Merkel avrà del filo da torcere, sarà costretta a rinegoziare il patto di rigore che sta imponendo ai 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 73


Mondo

suoi partner e verrà persuasa a introdurre misure complementari per la crescita. In realtà, l’Europa non cessa di avvelenare e anche di dividere la sinistra francese. Primo segretario del suo partito all’epoca del referendum sul trattato costituzionale, Hollande, favorevole al “sì”, non aveva potuto impedire a Laurent Fabius di far campagna per il “no”. La scorsa settimana, durante l’Assemblea nazionale, il partito socialista si è rifiutato di approvare il “Meccanismo europeo di stabilità”, frutto di una laboriosa ricerca del consenso all’interno dell’eurozona: alcuni hanno votato contro, altri si sono astenuti. La spiegazione fornita, con evidente imbarazzo, da Pierre Moscovici, responsabile della campagna elettorale ed ex ministro degli Esteri, è stata questa: se avessimo votato a favore, «avremmo indebolito la nostra credibilità nei confronti di Angela Merkel» nel caso in cui un nuovo presidente socialista fosse stato in grado di imporle una rinegoziazione del trattato. In Francia la destra è ancora per la maggior parte colbertista, legata al ruolo dello Stato nell’economia, e sempre allergica

ANGELA SOSTERRÀ SARKÒ. MA, PUR ESSENDO PIÙ POPOLARE DI QUANTO SI CREDA, È DIFFICILE POSSA MIGLIORARNE L’IMMAGINE al liberismo, a differenza degli altri Paesi europei. Alfiere della “discontinuità” all’inizio del suo mandato, Sarkozy ha sempre oscillato fra un interventismo tradizionale e un velleitario laissez-faire, mentre la sinistra, impregnata di cultura marxista, ha rifiutato a lungo la svolta socialdemocratica decisa dalla Spd a Bad Godesberg fin dal 1959. Anche se questo termine a volte è loro sgradito, dopo più di 50 anni i socialisti francesi hanno scelto, con François Hollande, un candidato che vuole promuovere la crescita attraverso il rilancio dell’industria, creare una banca per aiutare le piccole e medie imprese e imprimere un nuovo dinamismo all’amministrazione pubblica senza però gonfiar-

ne i ranghi. Il suo unico nemico, come ha proclamato nel primo discorso solenne della sua campagna elettorale, è «il mondo della finanza» che, a causa dei suoi errori e dei suoi eccessi, ha aggravato le disuguaglianze e trascurato le esigenze dell’economia reale. Sarkozy non dice molto di diverso quando se la prende con i banchieri e resuscita l’idea di una tassa sulle transazioni finanziarie, dimenticando che in origine la Tobin tax era stata concepita per finanziare l’aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri e non il debito di quelli ricchi. Il paradosso della campagna elettorale in corso sta nei vincoli imposti dalla crisi: fra Hollande e Sarkozy, al di là delle diversità di stile e di temperamento e nonostante il logorio del potere e la sete di conquista, non ci sono grandi differenze nella diagnosi. Il margine di manovra è stretto, quali che siano gli slanci retorici e le promesse che li accompagnano. Alcuni dei rimedi annunciati sono gli stessi: si dovranno aumentare le tasse e ridurre le spese. Resta da stabilire quali siano le misure per assicurare il rigore di bilancio e quali invece i provvedimenti

FRANÇOIS HOLLANDE DURANTE UN COMIZIO E, SOTTO, LA COMPAGNA VALÉRIE TRIERWIELER

necessari a rilanciare la crescita. Ed è qui che entra in gioco la Germania, che ha imposto le proprie scelte ai partner europei: innanzitutto una severa austerità, seguita poi da misure per la crescita. La cura, sostengono i tedeschi, è stata efficace per noi, ma nonostante le sofferenze i risultati oggi si vedono. Chi si ricorda che nel 2005 la Germania aveva il tasso di disoc-

cupazione più alto d’Europa? Ma oggi l’Europa meridionale è colpita da una recessione di cui Berlino non vuole tener conto. E il Sud comincia in Francia. Incrinato dai colpi violenti della crisi e dall’indebolimento strutturale dell’economia francese, l’asse Parigi-Berlino non genera più la stessa dinamica politica. Checché ne dica, Sarkozy è stato costretto ad accettare la linea

tedesca, anche se in contropartita ha ottenuto soltanto qualche ammorbidimento del rigore della Banca centrale europea. E la maldestra proposta tedesca, all’ultimo vertice di Bruxelles, di mettere la Grecia sotto tutela, solleva forti dubbi sulla capacità della Germania di esercitare da sola o quasi la leadership politica dell’Unione. La signora Merkel si è impegnata a far campagna a fianco del presidente uscente e rifiuta di ricevere il suo rivale. Ma pur essendo più popolare di quanto si creda in Francia, dove incarna a suo modo la virtù della costanza attribuita ai tedeschi, c’è da dubitare che possa contribuire a migliorare l’immagine di un presidente poco amato e incalzato dalla crisi, che nelle ultime settimane del suo mandato sta promettendo tante di quelle riforme da far venire le vertigini ai suoi sostenitori più accaniti. L’annuncio di questa notizia ha rallegrato i partigiani di Hollande: la Merkel è di destra, Sarkozy pure, ed ecco riemergere la vecchia geografia politica. Anche a prescindere dalla crisi, è molto più comodo quando si è in campagna elettorale. traduzione di Mario Baccianini

dal 2005 a “Direct 8”, i francesi hanno cominciato a conoscerla e riconoscerla veramente da quando la campagna presidenziale è cominciata. E per chi avesse ancora dei dubbi, la sua partecipazione il 25 gennaio scorso al “Grand Journal” di Canal Plus, una delle trasmissioni più seguite in Francia, ha regalato forza alla sua notorietà, malgrado tutto ancora fragile: subito dopo la partecipazione televisiva il Twitter di Valérie ha registrato Valérie Trierweiler, nata 600 nuovi iscritti. Massonneau, ha due grandi Ma chi è dunque quella che rivali: si chiamano Carla BruniSarkozy e Ségolène Royal. Della potrebbe diventare la nuova prima potrebbe prendere il posto première dame? Per essere una giornalista, è estremamente tra poco, dell’altra lo ha preso riservata. Ad Angers, nella Loira, già da tempo. La compagna di dove è nata, si ricordano molto François Hollande incuriosisce bene di lei: sapeva ciò che i media francesi e il pubblico voleva, diventare giornalista per quell’aria di riserbo che politica. Il suo carisma naturale la caratterizza, dietro la quale lo ricordano anche al liceo: nasconde un carattere aveva successo tra i ragazzi determinato e volitivo. grazie al viso un po’ Pur facendo televisione 74 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

aristocratico e ai capelli biondi. La madre lavorava come cassiera alla pista di pattinaggio di Angers. Il padre, morto negli anni Ottanta, era un invalido di guerra che adorava leggere e aveva una biblioteca fornitissima. Il nonno possedeva una banca. La famiglia viveva in una strada dal nome frizzante, rue de Champagne, e l’effervescenza a casa non mancava visto che Valérie ha cinque tra fratelli e sorelle. Quando si trasferisce a Parigi, dopo aver frequentato la Sorbona, non deve aspettare molto per realizzare il suo sogno. Inizia a scrivere per il settimanale “Profession politique”. Nel giro di un paio d’anni arriva la grande occasione con l’assunzione a “Paris Match”, che cambia la sua vita non solo professionalmente: vi incontra infatti Denis Trierweiler, filosofo alsaziano e segretario di

redazione del settimanale. Diventerà il suo secondo marito. Del primo, Franck, un amore di gioventù, non è rimasta gran traccia. Da Trierweiler Valérie impara molto. Hanno tre figli e ne prende il cognome, che non lascia nemmeno dopo il divorzio. Negli anni ’80 il destino con una certa malizia comincia a tessere la tela dei grandi incroci: quando la giovane reporter conosce François Hollande ha appena 23 anni e segue il partito socialista per il giornale. Lui ne ha 34, è deputato ed è sempre molto disponibile con i cronisti. Dà del tu a chi gli dà del tu e del lei a chi gli usa la forma di cortesia. Valérie racconta: «Gli ho dato del lei fino all’ultimo minuto». In che contesto temporale si colloca questo “ultimo minuto” è difficile da stabilire. Professionalmente iniziano a conoscersi, a stimarsi, si crea una certa complicità. Nel 1992 l’intreccio si infittisce: Valérie

Foto: Rea - Contrasto, Photoshot - Sintesi

Il meraviglioso mondo di Valérie DI ALESSANDRA BIANCHI intervista con una collega il ministro dell’Ambiente e cioè Ségolène Royal, moglie di Hollande. Le coppie Hollande e Trierweiler cominciano a simpatizzare e a frequentarsi. Come del resto accadde a Sarkozy e alla seconda moglie Cécilia: quando si conobbero, erano entrambi sposati e si frequentavano con i rispettivi partner. Gli dei dell’Olimpo si divertono a mischiare le carte. Nel 2006 il feeling tra François e Valérie diventa all’improvviso - o forse inevitabilmente perché da tempo ne hanno creato le basi - amore. Vissuto, come sempre succede in queste situazioni, con sensi di colpa, paure, lotte per non cedere. Valérie ammette: «Abbiamo cercato di resistere, io ero sposata, lui impegnato e in più politico». Ma non ce l’hanno fatta ad allontanarsi. Nonostante i quattro figli di lui e i tre di lei, le

complicazioni politiche del caso (il derby in famiglia tra Hollande e la Royal per chi doveva sfidare Sarkozy nel 2007). Nonostante “Paris Match”, che toglie Valérie dalla politica e le affida le pagine culturali. E nonostante Ségolène, per riconquistare il suo uomo, prenda addirittura in esame l’idea di sposarlo dopo che l’aveva escluso perché «terribilmente borghese». L’unione con Valérie viene ufficializzata da Hollande nel 2010 con questa formula regalata a “Galà”, giornale glamour: «È la donna della mia vita. È una fortuna straordinaria poter essere felice nel privato. Questa fortuna può sfuggire, io invece l’ho afferrata». Dopo avergli cambiato la vita, Valérie gli cambia anche l’immagine. Di colpo appare dimagrito, con un viso più asciutto, grazie anche alla proibizione della mousse al cioccolato di cui è ghiottissimo. Appare anche molto più

combattivo, liberato dall’immagine di uomo pacioso che lo contraddistingueva. Le capacità di Valérie sono messe al servizio dell’impresa più importante: aiutare François a diventare presidente e lei première dame, quello che sarebbe potuta essere Anne Sinclair prima degli scandali di Dominique Strauss-Kahn. È lei che controlla tutte le dichiarazioni, interviene se alcuni articoli non le sono piaciuti. Sacrifica anche la carriera visto che a “Direct 8” non fa più più programmi politici ma una trasmissione di stampo culturale, “Itinéraires”. A “Paris Match” le hanno chiesto di mettersi in aspettativa durante la campagna per le presidenziali. E lei ha accettato di buon grado: «Così posso stare con François, lo accompagno nei suoi viaggi, altrimenti in questo periodo non ci vedremmo mai. Anche quando è a casa lavora e scrive

discorsi». Nonostante le opportunità straordinarie che la vita le ha regalato, Valérie ci tiene a sottolineare che è rimasta la ragazza semplice di quando studiava al liceo di Angers e sognava di diventare giornalista. «Leggo, pratico sport, faccio la spesa, guardo la tv con i miei figli. Come tutti. È importante restare con i piedi per terra». Un modello? La moglie di Lionel Jospin. Valérie racconta che quando andò da lei nel 1994 per intervistarla, madame Jospin le aprì la porta dicendole: «Buongiorno, sono Silvyane Agacinski, farò tutto ciò che posso per la campagna presidenziale, preparo il caffè, sono filosofa e scrivo». Il modo di fare franco e spiritoso conquistò Valérie, che forse inconsciamente ne prese nota. Sapendo che un giorno l’insegnamento le sarebbe potuto tornare utile. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 75


SIRIA

Mondo

SOLDATO DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE AGITA LA VECCHIA BANDIERA DELLA SIRIA. SOTTO: KHALED KHALIFA

Ma Assad è già finito Politicamente non ha futuro. E il popolo che resiste in modo pacifico vincerà. Parola di un grande scrittore

COLLOQUIO CON KHALED KHALIFA DI ALESSANDRA CARDINALE

ari amici, scrittori e giornalisti in tutto il mondo, in Russia e in Cina, voglio informarvi che nel mio Paese è in atto un genocidio». Sono le prime parole di una lunga lettera scritta da Khaled Khalifa, la penna più illuminata e censurata dal regime siriano, autore de “L’elogio dell’odio” (Bompiani). Khalifa, che da quasi un anno assiste insieme a milioni di siriani al «massacro di uomini, donne e bambini da parte dell’esercito di Bashar al-Assad», non ha mai smesso di lavorare, ha deciso di rimanere nella sua casa di Damasco e di non andare a Parigi o New York dove pure avrebbe trovato un sicuro asilo. Va all’estero di tanto in tanto solo per qualche conferenza. «So che la scrittura non fermerà le armi, i carri armati e i missili che cadono sulle città e uccidono migliaia di civili», dice a casa sua nella capitale siriana, «ma rimango qui anche se la situazione è drammatica e ri-

C

schia di peggiorare». Lo sguardo fisso alla televisione per seguire le ultime notizie “ufficiali” e sui canali alternativi per avere informazioni su quanto il regime occulta circa una carneficina per cui si contano ormai migliaia di vittime. Il referendum per la nuova Costituzione è passato con l’89 per cento di “sì” sul 54 per cento di votanti. L’opposizione lo ha contestato: troppo poco e troppo tardi la modifica grazie alla quale sarà introdotto il multipartitismo e il limite di due mandati per il presidente (ma a partire dal 2014, quando scadrà il mandato di Bashar al-Assad al potere dal 2000). Troppo poco e troppo tardi, secondo lo scrittore, anche le nuove sanzioni varate dall’Unione europea: «La comunità internazionale è da biasimare, sta temporeggiando in attesa di vedere come andrà a finire. Ma si rischia di fare tardi». Khaled Khalifa, partiamo da Bashar al-Assad. L’opposizione lo considera politica8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 77


Mondo

mente già morto. Lei è dello stesso parere?

«Sì, sono d’accordo. Assad è politicamente morto e non durerà a lungo anche se venisse aiutato dall’esercito russo. Oltre a lui i nemici del popolo siriano sono i membri del regime e gli apparati della polizia e dell’esercito che hanno deciso di usare le armi per reprimere una rivoluzione pacifica e di compiere un genocidio. Ma anche Russia e Iran sono ormai percepiti come alleati del regime e penso che in futuro avranno molte difficoltà a proteggere i loro interessi in Siria». Come definirebbe quanto sta succedendo ormai da quasi un anno nel suo Paese?

«È guerra in gran parte delle città in rivolta. Una guerra che spazza via ogni traccia di vita: i militari sparano e bombardano indiscriminatamente le case e i civili, comprese donne e bambini. Sparano anche sui giornalisti stranieri perché non vogliono testimoni. Ma le assicuro che la determinazione e la volontà del popolo di abbattere il regime non è stata spezzata e mai lo sarà. La mia gente sta combattendo a mani nude, con canzoni e preghiere, il massacro perpetuato dal regime. Da quando Aleppo (città natale dell’autore, ndr) è entrata nel conflitto, l’unica zona sicura è il quartiere Qalb Dimash, il cuore di Damasco, che misura non più di qualche chilometro quadrato. Ma nelle altre zone la si-

La Primavera vincerà COLLOQUIO CON OLIVIER ROY DI GIGI RIVA In Siria non ci sarà un intervento militare dell’Occidente e la sola soluzione, dopo Bashar al-Assad, sarà un governo di coalizione che comprenda tutti gli attori politici dell’attuale opposizione e non solo. Ne è convinto Olivier Roy, 62 anni, orientalista e politologo francese, titolare della Cattedra Mediterranea al Robert Schuman Center for Advances Studies di Firenze, una vita dedicata al Medio Oriente di cui è tra i massimi esperti mondiali. Roy ha chiuso i lavori del convegno internazionale “A un anno dalla Primavera araba, la transizione difficile”, organizzato a Torino dal Centro per la pace in Medio Oriente e da Paralleli, Istituto Euromediterraneo del Nord-Ovest (gli interventi sono disponibili sul sito www.cipmo.org). Nel vasto mondo arabo, avverte lo studioso, Damasco non è un’eccezione e sarebbe sbagliato considerarla tale: «Quel regime non è il solo che ha deciso di resistere. Lo ha fatto lo Yemen. Lo ha fatto il Bahrein dove pure c’è stato un forte intervento militare. E lo fatto naturalmente la Libia, dove gli insorti hanno vinto grazie a una rivolta armata». Bashar al-Assad, dal suo punto di vista, non ha molte alternative: «Non sa dove andare, non ha un luogo di esilio sicuro e lui e la sua famiglia saranno sicuramente perseguiti dal tribunale internazionale. Per questo è

deciso a battersi fino alla fine e lancia il chiaro messaggio di essere determinato a uccidere». Pesa, naturalmente, il precedente del 1982 quando il padre Hafez represse nel sangue, nel giro di pochi giorni, una sollevazione sunnita, al prezzo di migliaia di vittime (le stime variano tra 10 e 38 mila). Un blitz, solo, durissimo, mentre stavolta la carneficina è endemica e dura ormai da un anno. Un presidente espressione di una minoranza (quella alauita) riesce a mantenersi in sella per così lungo tempo massacrando il suo popolo perché ha un apparato che è andato consolidandosi nel tempo e che ha cooptato altre fette della popolazione: «La borghesia cristiana è pro-regime, in parte anche i curdi. Il sistema ha razionalizzato il terrore e lo pratica con estrema professionalità». Trovando dunque sulla sua strada una resistenza flebile e che avrà bisogno di molto tempo per organizzarsi: «Non è come in Libia dove bastò mandare armi, uomini dei servizi segreti, qualche istruttore, e appoggiare il tutto con l’aviazione». Qui ci sarebbe bisogno di mettere i piedi sul terreno, sporcarsi le mani in un’avventura né facile né priva di rischi. Il Pentagono ha calcolato che sarebbero necessari 75 mila uomini solo per mettere in sicurezza i depositi di armi chimiche, un numero

di soldati di poco inferiore a quelli impiegati attualmente in Afghanistan. Quindi, al di là delle parole dure di un Sarkozy o di un Obama dopo l’uccisione di cronisti di quei Paesi a Homs, uno scenario impraticabile: «In Francia e negli Stati Uniti si vota. Come spiegare, ad esempio, all’elettorato americano che si è appena lasciato l’Iraq per entrare nella confinante Siria?». E Washington è la sola capitale con la forza d’urto necessaria per un intervento vincente: «Lo potrebbe attuare solo se fosse messa in pericolo l’esistenza di Israele. Ma gli stessi israeliani non sanno se sia meglio mantenere al potere Assad o rovesciarlo». Quanto agli europei, la loro capacità militare è stata esaurita dalla campagna di Tripoli e non hanno né militari né mezzi. In via del tutto ipotetica, la coalizione contro Damasco potrebbe essere così composta: «Sostegno finanziario del Qatar, appoggio politico e logistico della Turchia, esercito degli Stati Uniti». Ma è solo un’ipotesi di scuola. Più praticamente: «Ci sono troppe cose che non sappiamo. Qual è la reale forza dei Fratelli musulmani in Siria? E quella dei salafiti? E quali tensioni interne ci sono tra le varie comunità? I curdi vorrebbero poi l’indipendenza per unirsi ai fratelli

separati che vivono nei Paesi circostanti? Più probabile che, in una prima fase, dopo la caduta del regime, si mettano tutti insieme in una coalizione che abbia l’obiettivo di eleggere un Parlamento, varare una nuova Costituzione e gestire la delicata fase post Assad». Si parla di migliaia di morti in Siria e suona tragico. Però Olivier Roy conserva un ottimismo di fondo sugli esiti della Primavera araba e vede un meccanismo in moto verso un futuro migliore dell’intera area: «Intanto è sparito l’islamismo come ideologia politica. Il che non vuol dire che sono spariti gli islamisti. Ce ne sono ancora, come del resto ci sono ancora comunisti in Italia. Ma sono entrati nel gioco democratico e della gestione del potere su posizioni conservatrici nei costumi e liberali in economia. Non sono stati eletti per applicare la sharia. Dovranno piegarsi alla realtà dell’amministrazione e la loro base non è rivoluzionaria, è composta da gente pia che vuole la democrazia ma anche l’ordine». Cita un esempio egiziano. «Un deputato salafita si è alzato per invitare i colleghi alla preghiera. Il presidente dell’assemblea, che pure è un fratello

tuazione è molto grave e va peggiorando: non ci sono medicine e ospedali in grado di far fronte all’alto numero di feriti, il riscaldamento non funziona e così le linee telefoniche. Homs è la città con più problemi, paga il prezzo di essere stata l’epicentro della rivoluzione pacifica».

Come si sta comportando la comunità internazionale?

troveranno i mezzi per dimostrarsi all’altezza degli scontri».

russi, puntano molto all’associazione SiriaLibia. Cosa ne pensa?

«La comunità internazionale non entrerà in gioco seriamente fino a quando non sarà chiaro chi, tra i rivoluzionari e il regime, è prossimo alla vittoria. Solo allora si muoverà. In questo momento discutere di sanzioni o punizioni non ha alcun senso. Non vedo alcuna volontà della comunità internazionale di aiutare il popolo siriano e chiedere ad Assad di lasciare il potere».

Lei sostiene che l’opposizione in Siria è meno organizzata di quella in Egitto. Perché?

«È ridicolo. La stampa russa assomiglia molto a quella siriana: tentano di seminare il germe della paura dicendo che la Siria rischia di diventare come la Libia. La differenza tra i due scenari è sostanziale: in Siria c’è una rivoluzione pacifica che viene oppressa con brutalità e violenza».

MILITANTI DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE SIRIANO NELLE VIE DI DAMASCO. A DESTRA: BASHAR AL-ASSAD. IN ALTO: OLIVIER ROY

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Foto pag 78-79: T. Munita - Nyt / Redux / Contrasto, Corbis (2)

«In verità credo che Russia e Cina abbiano letto e interpretato male quello che sta succedendo nel mio Paese. La linea politica adottata dal governo russo è una riproduzione della mentalità sovietica che verrà sconfitta un’altra volta. In secondo luogo, il veto è legato allo scambio di favori e d’interessi personali tra l’élite al potere in Siria e quella in Russia».

Foto pag 77: T. Munita - Nyt / Redux / Contrasto, B. Cannarsa - Opale / Luzphoto

Perché Russia e Cina hanno posto il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza in cui si chiedeva ad Assad di farsi da parte?

Qual è la sua opinione sull’Esercito di liberazione siriano?

«Per ora mi fido dell’Esercito di liberazione. Sono ex soldati, in gran parte disertori, che si sono rifiutati di sparare contro i civili inermi e stanno mettendo a rischio la loro vita. Sono uomini valorosi e coraggiosi. Non sono molto organizzati e dispongono di armi leggere rispetto all’esercito regolare, ma credo che presto

«La situazione politica in Egitto ha permesso agli egiziani uno spazio di manovra che da noi non è mai esistito. Il mio popolo è stato obbligato a saltare alcune tappe intermedie necessarie per poter mettere in piedi e organizzare una grande rivoluzione. Anche il ruolo del regime e dell’esercito è diverso nei due Paesi. C’è però un aspetto positivo: la maggior parte dei leader all’opposizione si trova dentro il Paese e non all’estero. Ci sono molti giovani rivoluzionari che stanno combattendo per una Siria democratica. Riad Seif, Araf Dalila e Burhan Ghalioun sono tra le persone di cui ho più stima». I media siriani, ma anche quelli

musulmano, gli ha risposto: siamo tutti religiosi non c’è motivo per questa esibizione della fede». Viene fatto in modo ricorrente un parallelismo tra i Fratelli musulmani e quella che è stata la Democrazia cristiana in Italia. Roy tende a precisare: «Semmai il paragone regge con la destra della Democrazia cristiana. Ma piuttosto le analogie vanno ricercate coi Tea Party americani. Come quelli sono per la censura, il controllo dei costumi e l’ordine morale. Sono contro l’aborto non perché lo dice la religione, ma perché difendono la cultura della vita, contro l’alcol perché danneggia i giovani, contro la pornografia come lo sono i cristiani. Ma accettano Costituzione e Parlamento». Tutto sta a capire come si concilierà, questa visione della società, con le istanze dei giovani di piazza Tahrir. Lo studioso francese fa un distinguo: «In Tunisia esiste una fetta veramente laica della popolazione. In Egitto nessuno è veramente laico, nemmeno i ragazzi della piazza. La questione non è democrazia contro religione. Ma come si professa la propria religiosità. Ci sono giovani salafiti democratici che chiedono di poter vivere il rapporto con l’Islam come lo desiderano». Dunque, conclude Roy, il problema non è secolarizzare la democrazia, ma radicarla. Permettere che le istituzioni funzionino. Ci vorrà tempo, ma avverrà.

Ricorda momenti così drammatici nella storia del suo Paese?

«No. La Siria è in questo momento un libro ricco di storie eroiche e di determinazione che rimarranno scolpite nella coscienza collettiva non solo del mio Paese ma anche in quella del mondo». Cosa teme di più e cosa spera per il Paese?

«Spero che il regime venga abbattuto prima che la Siria sia trascinata in una guerra civile. Le spaccature all’interno dell’esercito di Assad sono in aumento. Questa è la mia paura e al tempo stesso la speranza: non voglio vedere il mio Paese spaccato da un conflitto interno». ■ 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 79


Mondo Soli Ozel Senza frontiere

Perché la Russia rischia a Damasco a combinazione fra le rivolte arabe e il ritiro americano dall’Iraq ha trasformato il panorama politico e strategico del Medio Oriente. È ormai chiaro che la transizione verso una regione più stabile e verso sistemi politici anche solo un po’ più efficienti nei paesi in cui è avvenuto un cambiamento di regime è tutt’altro che compiuta. LA QUESTIONE DIVENTA ancor più complicata a livello regionale a causa dell’intreccio delle rivolte arabe con i molteplici problemi dell’Iran, con il suo programma nucleare, le sue manovre strategiche e le sue tendenze religiose. Gli eventi drammatici che si stanno svolgendo in Siria riflettono le dinamiche di questa nuova situazione del Medio Oriente. L’Iran resta aggrappato al più prezioso alleato che gli resta in quest’area, mentre la Russia, che vorrebbe tornare a svolgere un ruolo di primo piano come ai tempi della guerra fredda, cerca di sfruttare la crisi siriana per dimostrare che è una potenza con cui bisogna fare i conti. Mosca inoltre vuol continuare ad avere accesso alla città portuale di Tartous, la sua unica base nel Mediterraneo. Ma proprio nel momento in cui i russi cercano di rinverdire il prestigio di un’epoca passata, le potenze occidentali sono sfinite dalla lotta contro le crisi economiche. Gli Stati Uniti sono troppo occupati nella campagna per le prossime elezioni presidenziali e preferiscono agire dietro le quinte o non esercitare alcuna guida, mentre Francia e Gran Bretagna, le due uniche potenze europee dotate di un orientamento strategico e di una capacità militare, sembrano aver sparato le loro ultime cartucce in Libia. Così, per quanto le potenze occidentali possano dispiacersi per la triste sorte dei siriani che sfidano coraggiosamente la dittatura sanguinaria di Damasco,

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non c’è nessuno pronto ad accorrere in loro soccorso. A differenza dei libici, i ribelli siriani sono per lo più abbandonati a se stessi. Il regime di Assad si è rivelato molto più resistente, risoluto e compatto di quanto si potesse pensare in un primo momento. Per contro, l’opposizione appare disorganizzata, debole e poco credibile agli occhi di buona parte della popolazione siriana. Questa situazione senza via d’uscita ha messo in luce le difficoltà della Turchia dimostrando che la Siria è un caso molto complicato per la politica estera di Ankara e ha rivelato i limiti delle sue capacità e dei suoi margini di iniziativa autonoma nella politica regionale. Negli ultimi dieci anni la Turchia ha investito molto nel regime siriano. I rapporti economici fra i due paesi sono migliorati notevolmente sfociando in riunioni congiunte fra i rispettivi governi. Così, quando la crisi siriana è scoppiata, il governo turco, che si era schierato con l’opposizione, era quasi sicuro di poter indurre Assad ad assumere un atteggiamento ragionevole e a modificare gradualmente il sistema pur rimanendone alla guida. DOPO OTTO MESI di incessanti quanto vani tentativi per spingere il dittatore sulla via delle riforme e della conciliazione, Ankara ha finito per invocare un cambiamento di regime chiedendo ad Assad di farsi da parte. Ma la sua scarsa influenza

Mosca sogna di nuovo un ruolo di primo piano ma l’eccessiva vicinanza ad Assad potrebbe rivelarsi un boomerang

Se ne parla su www.espressonline.it

sul paese vicino, nonostante le ripetute sollecitazioni, raccomandazioni e lusinghe ha smentito la pretesa della Turchia di svolgere un ruolo di potenza regionale capace di garantire gli equilibri locali. IN REALTÀ, LA TURCHIA si trova stretta fra l’incudine e il martello. Molte delle parti in causa si aspettano che faccia qualcosa, in quanto paese membro dell’Alleanza atlantica con la più lunga frontiera con la Siria. Durante la sua recente visita a Washington, il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, si è reso conto che l’amministrazione Obama non ha piani per la Siria e aspetta che sia Ankara a prendere l’iniziativa. Ma se da un lato la Turchia è nettamente schierata con i ribelli e ha interrotto (forse in modo troppo incauto e precipitoso) qualsiasi dialogo con il regime di Assad ospitando sul proprio territorio il Consiglio nazionale siriano e il Libero esercito siriano, dall’altro non è disposta ad agire unilateralmente o a prendere iniziative senza una legittimazione internazionale. E cerca di costruire una coalizione di volenterosi, con il contributo della Lega araba e dell’Organizzazione della conferenza islamica. Realisticamente, le opzioni possibili per la Turchia sono limitate. Può assumere la guida di missioni umanitarie e se necessario aprire le sue frontiere a chi cerca di sfuggire alla brutalità del regime siriano. Potrebbe anche tentare, una volta concluse le elezioni in Russia, di convincere Mosca a modificare la sua posizione autolesionista e far pressioni su Assad per costringerlo a lasciare il potere. La Turchia si trova oggi di fronte a una duplice sfida: creare un’ampia coalizione in grado di influenzare un cambiamento di regime senza ricorrere a un intervento militare e controllare il corso degli eventi per non esserne spazzata via. traduzione di Mario Baccianini 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 81



Reportage

IL CREPUSCOLO DEL GIAPPONE

Ritorno a Fukushima a un anno dallo tsunami e dalla emergenza nucleare. Per scoprire un Paese che non crede più in se stesso. E dove molti hanno un sogno: andarsene in cerca di un futuro migliore DI PIO D’EMILIA FOTO DI PIERPAOLO MITTICA

Un animalista in cerca di animali abbandonati a Odaka Fu, all’interno della “No-Go-Zone” 84 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

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Reportage

Un supermercato devastato dai ladri a Futaba City. I prodotti contaminati hanno invaso tutto il Giappone. Sotto: un abitante si prende le ultime cose care prima di lasciare per sempre la sua casa a Tomioka City. A sinistra dall’alto: il signor Matsumoto, ex membro della Yakuza, prega sulla tomba di famiglia dove vorrà essere sepolto anche se sta all’interno della zona di esclusione; sul pullman che una volta al mese riporta le persone evacuate a casa per controllare che tutto sia in ordine

La paura adesso riguarda i cibi contaminati che hanno invaso i negozi a causa degli scarsi controlli. Una psicosi che ha fatto crollare i consumi

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Reportage

Mikiko Kobaiashi, membro dell’associazione “Animal Forest”, monitora i cigni in un lago artificiale contaminato a Fukushima. In inverno ne arrivavano a centinaia e costituivano un’attrattiva turistica per migliaia di persone

Dentro la zona contaminata sono scomparsi gli animali. E ai comunicati rassicuranti della societa di gestione dell’impianto di Fukushima ormai non crede più nessuno

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Reportage

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on solo ci hanno ingannati, non solo ci hanno abbandonato. Continuano a prenderci in giro, a mentire, a procurare danni enormi al business e al tessuto sociale. Cosa aspettiamo per fare la rivoluzione?». Seiji Murata, allevatore di Fukushima, è diventato una sorta di simbolo della resistenza popolare contro un’autorità centrale che sembra aver abbandonato al suo destino la parte del Paese che più ha sofferto i danni della triplice tragedia (terremoto-tsunami-emergenza nucleare, per un totale di circa 30 mila vittime) dell’11 marzo 2011. Ritorno a Fukushima un anno dopo. Per scoprire che, in 12 mesi, è scomparso quel Giappone commovente, dignitoso, capace e solidale che aveva impressionato il mondo. La dignità è rimasta, il resto è stato inghiottito da inefficienze, bugie, calcoli politici che hanno segnato la fase successiva all’emergenza, quella ugualmente importante della ricostruzione. Seiji Murata è un pionere dell’agricoltura biologica e dell’agriturismo, niente affatto un rivoluzionario, a dispetto dei proclami. Proprio per questo le sue parole pesano ancora di più. La sua azienda si trova all’interno della “zona proibita” di 20 chilometri. Da vent’anni alleva le pregiate mucche wagyu. Per entrare nell’area più a rischio radioattivo bisogna aggirare, in qualche modo, il divieto di accesso che, paradossalmente, viene fatto rispettare con maggior rigore adesso che nei mesi successivi alla catastrofe. Nonostante il governo abbia annunciato che la radioattività è praticamente inesistente. Il che è solo parzialmente vero se a distanza anche di 70 chilometri dalla centrale i picchi sono ancora molto elevati e particolarmente pericolosi (fino a oltre 300 microsievert). Noi entriamo nell’area infet-

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ta come «ospiti non identificati» nel furgone di Murata, la cui faccia è così conosciuta al check-point che nessuno si preoccupa di controllare chi e cosa trasporti. L’allevatore confessa: «È vero, fino a quando è stato possibile abbiamo nutrito il nostro bestiame con foraggio contaminato e perfino macellato illegalmente». La zona proibita è tutta ricoperta di neve. Ma qua è la emerge il verde, il colore simbolo di Fukushima, irriducibile e caparbio come i suoi abitanti. Negli ultimi mesi, la “zona maledetta” ha ripreso lentamente a vivere. Per modo di dire. Molti abitanti sono tornati. Magari non stabilmente, come molti, soprattutto gli anziani, ancora sperano di fare. Ma per controllare le loro case, i loro campi, i loro negozi. Naoko Takahara, che assieme al marito e alla madre ultranovantenne non ha lasciato la sua casa di Namie, a pochi chilometri dalla centrale, è sempre qui. Più in forma che mai: «Mia madre è addirittura migliorata, se l’avessimo spostata, sarebbe morta. Di crepacuore». In effetti, degli 826 ultra settantenni della zona proibita fatti trasferire ne sono deceduti, in appena tre mesi, 77, il triplo rispetto all’anno precedente. La strada statale che conduce alla centrale, l’unica a essere sta-

ta in qualche modo rappezzata dopo lo sconquasso del terremoto, è un viavai di camion, furgoni, mezzi di soccorso, autobus che trasportano operai e impiegati verso l’impianto. All’interno del quale le radiazioni sono ancora molto alte. Se gli umani cercano, in qualche modo e faticosamente, di riappropriarsi del territorio, anche correndo dei pericoli, chi sembra averlo abbandonato, almeno momentaneamente, sono gli animali. Stando al primo studio scientifico sull’argomento pubblicato dalla rivista americana “Environment Pollution”, animali selvatici, insetti e uccelli sono praticamente spariti. I primi ad andarsene sono stati corvi e cornacchie. Mentre la maggior parte delle specie migratorie, quasi fossero dotate di un contatore naturale, hanno saltato la sosta da queste parti. La Tepco, società che gestisce la centrale, porta di tanto in tanto qualche giornalista nel centro operativo e propina, con sprezzo del ridicolo, un filmato in cui si tessono le lodi dell’energia nucleare «pulita, economica e sicura». Ai suoi comunicati non crede ormai più nessuno. Ha annunciato che è stato raggiunto il cosiddetto “cold shutdown” (spegnimento a freddo) senza avere ancora l’idea di dove

sia finito il nocciolo fuso. Ha giustificato la preoccupante e improvvisa risalita della temperatura nel reattore numero uno con il cattivo funzionamento di una sonda e pare impossibile possa gestire la fase di dismissione e messa in sicurezza dei reattori (ci vorranno almeno 30 anni). Nonostante incapacità e fallimenti, la Tepco ha avuto il coraggio di aumentare le tariffe del 17,5 per cento e continua a offrire cifre indecenti agli evacuati, per tentare di ridurre i rischi di una class action che, prima o poi, la seppellirà sotto uno tsunami di risarcimenti. Fosse poi solo l’area di Fukushima. L’onda lunga delle inefficenze sta facendo male a tutto il Giappone. Paese da dove, chi può, fugge. Come Michio Watanabe, in fila davanti all’ufficio visti dell’ambasciata brasiliana: «Non ce la faccio più. Sono 60 anni che corro senza fermarmi. Me ne vado. Spero di essere ancora in grado di dare un futuro decente alla mia famiglia». Michio ha un’avviata azienda agricola nell’isola di Kyushu, nel sud dell’arcipelago, a quasi 2 mila chilometri da Fukushima. Il suo business non è stato danneggiato dalla catastrofe. Ma ora la paura dei cibi contaminati sta diventando sempre più diffusa e purtroppo fondata,

ANIMALI CURATI; UN CHECK-POINT ALL’INGRESSO DELLA ZONA PROIBITA E FOTO DI KORIYAMA. SOTTO: LA DEVASTAZIONE A ODAKA-KU; LA CENTRALE ESPLOSA; NAOKO SAITO, 73 ANNI, SI È RIFIUTATA DI LASCIARE CASA; UNA SERRA PER L’AGRICOLTURA BIOLOGICA; CARCASSE DI ANIMALI

visti gli incredibili ritardi e la sciatteria con la quale le autorità hanno gestito uno degli aspetti più tragici, per il suo impatto psicosociale, dell’emergenza nucleare: la contaminazione alimentare. La paura che un prodotto contaminato possa danneggiare irrimediabilmente la salute dei loro bambini sta infatti avvelenando la vita di migliaia di mamme. Il caso di Watanabe non è isolato. Migliaia di cittadini chiedono visti oltre che per il Brasile, per l’Argentina, l’Australia, il Cile. C’era una volta il Giappone. Stavolta non lo dicono gli “esperti” americani, gli europei arroganti e invidiosi, i cinesi e i coreani. E nemmeno gli ancora numerosi comunisti locali, i “no global”, i sempre meno impegnati intellettuali. Stavolta sono gli stessi giapponesi a essere, chi più chi meno, convinti che il Crisantemo è appassito. E quel che è peggio, tranne poche, eroiche eccezioni, si stanno arrendendo. Come Marco Scardigli, imprenditore italiano, amministratore delegato

di una importante azienda di moda. «Sono oltre vent’anni che vivo qui, con moglie e tre figli, ho resistito a tutte le sirene, e l’anno scorso non sono scappato. Ma ora me ne vado. La mia azienda va anche bene, ma non mi fido più del governo, delle autorità, del mondo imprenditoriale. Questo è un Paese fermo, immobile, incapace di cambiare e capace di mentire». Secondo il “Mainichi”, quotidiano timidamente progressista, la testardaggine con cui il governo, pressato da una lobby che non bada a spese pur di restare a galla, continua a difendere la scelta nucleare ricorda quella dei militari durante la guerra. E non è solo una questione di numeri negativi: calo della produzione, calo dei consumi, invecchiamento della popolazione, precarizzazione del mercato del lavoro e, per la prima volta in 31 anni, interscambio commerciale in rosso. È una questione di “ki”, di spirito combattente che sta venendo a mancare. Prima responsabile, la politica. In questo marasma il Parlamento che fa? Si accapiglia su questo problema: potranno le femmine della famiglia imperiale mantenere il loro status, una volta uscite da corte per sposare un borghese? L’emergenza nucleare può attendere. ■

La politica si è dimenticata dell’emergenza e in Parlamento si discute dello status delle donne della famiglia reale

8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 91


n. 10 - 8 marzo 2012

Cultura FENOMENALE WATSON: PARLA IL PADRE DEL DNA

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LITFIBA ORA E SEMPRE

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MECENATE IN BIANCO

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EDITORI A LEZIONE

Grandi ritorni

Sul palco con gli Who

Festival di cinema

Godard in viaggio sulla COSTA CONCORDIA

Festival da non perdere nel mese di marzo per i cinefili d’Italia. SARDEGNA Con Vincent Cassel protagonista di “Notre tour viendra”, debutto di Romain Gavras, figlio di Constantin Costa-Gavras, e “Film Socialism”, viaggio nel Mediterraneo con Patti Smith che Jean-Luc Godard girò nel 2010 sulla Costa Concordia, si apre la prima edizione dell’Across the Vision Film Festival (8-11 marzo) tra Cagliari, Iglesias e il Parco del Sulcis a Carbonia. ROMA Il meglio della cinematografia dei Paesi francofoni al Francofilm (16-23 marzo), organizzato dall’Institut Français - Centre Saint-Louis. In gara anche il fantasy rumeno “Europolis” di Cornel Gheorghita e “Le refractaire” di Nicolas Steil, sui cittadini del Lussemburgo che, dopo l’annessione al Terzo Reich, si rifiutarono di combattere al fianco dei tedeschi. REGGIO EMILIA Oltre quaranta pellicole dall’Estremo oriente, al 10° Asian Film Festival (16-24 marzo). Premio alla carriera al regista giapponese Shinya Tsukamoto, con una retrospettiva dei suoi lavori. MILANO Al Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina (19-25 marzo), 50 nazioni, 80 tra film, documentari e video. Nella sezione “E tutti ridono…”, le più divertenti commedie d’Africa, Asia e America Latina selezionate da Gino e Michele. FIRENZE In attesa del suo primo film hollywoodiano, “Snow Piercer”, il divo sudcoreano Song Kang-ho sarà l’ospite d’onore del 10° Florence Korea Film Fest (23-31 marzo), insieme ai registi Song Il-gon con il suo “Always”, Jun Jai-hong, allievo di Kim Kiduk, Kim Han-min, con il kolossal “War of the Arrows”, e Lee Jun-ik. In programma 32 film, con l’anteprima nazionale del cartone animato “Leafie, a hen into the wild” con la gallina in fuga di Oh Seong-yoon. Daniela Giammusso

Era il 1969 quando gli Who, al massimo della popolarità, si lanciarono in un progetto ambizioso: la rock opera “Tommy”, storia di un ragazzo sordo, muto e cieco che diventa un mago del flipper e trova la strada per tornare alla normalità. Quel doppio album, divenuto nel 1975 un film per la regia di Ken Russell, viene riproposto dal vivo da Roger Daltrey, il cantante della leggendaria formazione britannica. Tra i musicisti che lo accompagnano spicca il nome di Simon Townshend, fratello del chitarrista degli Who, Pete, che pur non essendo della partita non ha fatto mancare il suo sostegno al vecchio sodale: «Roger ha il mio appoggio incondizionato, il mio cuore e il mio spirito sono con lui e con la band. È meraviglioso sentire come hanno saputo reinterpretare le vecchie canzoni degli Who». Una scenografia di grande impatto, ricca di video, accompagnerà ogni sera brani come “Pinball Wizard”, “See Me Feel Me”, “I’m Free”, “The Acid Queen”. Il tour di “Tommy” prenderà il via il 9 marzo a Padova per proseguire a Genova, Torino, Trieste, Firenze, Roma e Milano. Roberto Calabrò

Protagonisti

Soyinka a Pordenone Sarà il nigeriano Wole Soyinka, poeta, drammaturgo, premio Nobel nel 1986, il protagonista della diciottesima edizione di Dedica, a Pordenone dal 10 al 24 marzo. Alla lettura di testi - anche inediti dello scrittore, si succederanno: una mostra fotografica di Akintunde Akinleye, fotografo vincitore di numerosi premi, una conferenza-spettacolo sulla cultura orale africana a cura di Marco Baliani, e un recital di poesie dell’autore protagonista. Sono poi in programma performance teatrali e un incontro di Soyinka con gli studenti, oltre a un appuntamento dedicato a bambini e ragazzi con la lettura di fiabe nigeriane. Enrica Murru

IN ALTO: UN’IMMAGINE DEL “FILM SOCIALISM” DI JEAN-LUC GODARD lE ’ spresso | 93


Cultura

FENOMENALE Dio è superato, la filosofia è dannosa, i fisici speculano... Dialogando con il matematico, il padre del Dna antepone i fatti alle parole e critica persino i suoi ricchi finanziatori COLLOQUIO CON JAMES WATSON DI PIERGIORGIO ODIFREDDI

Foto: M. Ferrero - Agf

Watson

S

e Einstein è stato l’icona scientifica della prima metà del Novecento, Watson e Crick lo sono stati della seconda. Dei tre, l’unico ancora vivo e vegeto è James Watson, che quando fece nel 1953 la scoperta della struttura a doppia elica del Dna non aveva che 25 anni. L’essere salito sul piedistallo più alto così giovane, e il possedere un carattere schietto e provocatorio, l’hanno reso fin da subito un “enfant terrible”. Per sessant’anni le sue prese di posizioni sulle questioni più disparate hanno, a seconda dei casi e delle disposizioni di chi ascoltava, divertito, interessato, stimolato, seccato o infuriato. Probabilmente lo faranno anche le risposte a questa intervista, in cui Watson, ormai non più “enfant”, ma sempre “terrible”, non edulcora le sue opinioni su argomenti controversi, che vanno dalla religione alla politica. Lei ha ricevuto un’educazione religiosa?

«Mia madre era formalmente cattolica. E mia nonna, che viveva con noi, lo era devotamente. Io ho fatto la prima comunione e la cresima. Poi ho preferito sfruttare la domenica per andare a osservare gli uccelli con mio padre, invece che in chiesa con mia madre». Suo padre era ateo?

Ancien terrible

A dieci anni vinceva quiz radiofonici, a 15 era all’università, a 25 ha scoperto la struttura del Dna, aprendo la strada alla comprensione di come le informazioni viaggiano da un gene all’altro dentro gli organismi viventi. Oggi, a 85 anni, James Watson è ancora in piena attività sia come scienziato sia come polemista: ogni sua presa di posizione fa notizia, da quando nel 1992 lasciò il progetto Genoma perché contrario alla commercializzazione dei geni, alle scivolate omofobe e razziste - subito smentite - di alcune interviste recenti. Tra i libri più noti ricordiamo “La doppia elica”, “Dna. Il segreto della vita” e l’esilarante autobiografia “I geni del genio. La doppia elica, le ragazze e un fisico di nome Gamow”. 94 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

«Sì, dall’adolescenza. Per questo la fede non ebbe un grande impatto nella nostra famiglia. Non ricordo che ci siano mai state discussioni sulla religione: veniva considerata come qualcosa di sorpassato». Non è mai stato intrigato, come il giovane Darwin, dall’argomento del Disegno intelligente?

«No, mi è sempre sembrato un vuoto gioco di parole». Ma lei crede che ci sia un ordine nell’universo?

«Beh, ovviamente ci sono le

leggi di natura. Per quanto mi riguarda, ci sono sempre state e sempre ci saranno: l’assunzione che rimangano valide è continuamente confermata induttivamente, e le cose funzionano».

sono bisogni e responsabilità, ma non diritti». Lei sembra più sensibile all’evoluzione biologica, che a quella culturale.

«Dico solo che le leggi sociali non sono leggi di natura. Non si chiede da dove derivano Prendiamo il quinto comanqueste leggi di natura? damento, “Non uccidere”: PIERGIORGIO ODIFREDDI. «Io penso semplicemente A SINISTRA: UN RITRATTO l’istinto naturale di sopravviche ci sono domande che RECENTE DI JAMES WATSON venza ci spinge a violarlo, non hanno risposta, e che sia quando qualcun altro sta per inutile stare a parlarne. Da quando ho la- uccidere noi. Non bisognava forse uccidesciato l’università, dove mi avevano fatto re Hitler? Io non sono nemmeno contrastudiare un po’ di logica e di filosofia, e rio alla pena di morte per i criminali bioleggere Aristotele, Agostino e Tommaso, logicamente antisociali, nel senso di ho smesso di pensare a queste cose». sprovvisti di sentimenti di empatia: in fonLa filosofia non le è mai interessata? do, non soddisfano i requisiti necessari «No. E meno che mai la filosofia della per meritare la pietà umana». scienza. Sono naturalmente interessato Ad esempio? alle sue ricadute etiche e morali, ma que- «Beh, anche i banchieri, al giorno d’oggi, sto è un altro paio di maniche. Ad esem- che rimangono ricchissimi anche dopo la pio, mi piacerebbe sapere se certe caratte- crisi, e non hanno nessun sentimento di ristiche comportamentali, come l’altrui- colpa per il male che ci hanno fatto. Non smo o l’egoismo, sono determinate dai ge- si può avere empatia per gente così: mani. E da quali, in particolare». gari non arriverei alla pena capitale, ma Solo dal punto di vista genetico,o anche evo- certo al confino alle Isole Aleutine, su nelluzionistico? l’Alaska, che sono una delle zone più ino«I due aspetti sono legati, ovviamente: un spitali degli Stati Uniti». gene viene selezionato se produce un van- Lei sembra favorevole a un’etica sociale, più taggio evolutivo. Ed è interessante capire che individuale. Ma non è proprio ciò che la quale sia il vantaggio collettivo offerto dai religione serve a instaurare? comportamenti altruistici, che a prima vi- «Sia chiaro, io non ce l’ho con gli indivista appaiono individualmente svantag- dui religiosi. È difficile avercela con gente giosi. Naturalmente, l’altruismo non è che è stata bistrattata così a lungo: pensiauniversale: ci si preoccupa molto dei pro- mo ad esempio a cosa hanno fatto ai prepri famigliari, meno dei propri amici, me- ti la Rivoluzione Francese e quella Russa. no ancora dei conoscenti, e poco o niente D’altra parte, è comprensibile che si sia degli altri. C’è una gerarchia nella lista di potuti arrivare a un estremo, come reaziocoloro che sentiamo di dover aiutare, e la ne al fatto che prima si fosse andati a quellista varia a seconda delle persone: può es- lo opposto. Non dico che si possa provasere più o meno lunga, e arrivare a inclu- re piacere quando qualcuno viene amdere anche gli animali». mazzato, ma si può pensarla in entrambi La sua li include? i modi: non mi sembra che si tratti di uno «Non direi. Non capisco bene cosa ci si dei grandi dilemmi morali umani». guadagnerebbe, ad esempio, a concedere Ma esistono dei grandi dilemmi morali? diritti agli scimpanzé, come qualcuno ha «Certo. Come trattare la disuguaglianza, proposto. A dire il vero, trovo ridicola ad esempio: che rientra, come dicevo pril’idea stessa dei diritti umani». ma, non tra i diritti, ma tra i bisogni umaAnimali, vuol dire. ni. Io sono favorevole ad aiutare i biso«No, umani. Da dove derivano, questi di- gnosi, ma a volte si fa confusione. Le Naritti, se non si crede all’esistenza di Dio? zioni Unite si preoccupano dei diritti Cose come il cibo, la salute o l’istruzione umani, ma se guardiamo come questi

PER I BANCHIERI CHE HANNO PROVOCATO LA CRISI NON VORREI LA PENA CAPITALE: PERÒ LI MANDEREI AL CONFINO IN ALASKA 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 95


Cultura

Abbiamo parlato delle relazioni fra individui, ma ci sono anche relazioni fra le società.

«Quelle sono più difficili da trattare: con gli individui ci si può identificare, ma con le culture è più difficile. Ad esempio, se vengo in Italia, mi sento più o meno a mio agio: a parte certi aspetti, come mangiar cena a mezzanotte. Ma se vado in Giappone o in Egitto, trovo molto più difficile adattarmi: non che mi dispiacciano i giapponesi o gli egiziani, ma non mi piacciono. Forse il gap culturale è troppo grande, ed è difficile provare empatia per cose come il fondamentalismo islamico». Lei diceva che non ce l’ha con gli individui religiosi. Ma contro le religioni organizzate.

«Le religioni sono tentativi di aiutare la gente a capire il mondo. Ma oggi abbiamo rimpiazzato il Dio Sole con il Sole, e ci siamo appunto liberati di Dio. Rimane naturalmente l’ordine universale, ma non l’idea che qualcuno stia a sentire le nostre preghiere, o che ci sia una vita dopo la morte. Nel caso migliore, questo significa che le religioni sono diventate anacronistiche. Nel caso peggiore, può anche spingere al suicidio». Tutte le religioni sono ugualmente dannose?

«Quelle monoteistiche, sicuramente. Le altre non saprei: non ho mai avuto nessun vero contatto con il buddhismo o l’induismo, per poterle giudicare». Il buddhismo in generale, e il Dalai Lama, sembrano avere rispetto per la scienza.

«Non saprei. Ma posso immaginarmi che, essendo come sono, se vivessi in Tibet mi sentirei comunque molto oppresso dalla religione anche lì. Preservare una religione solo perché esiste, non è necessariamente una buona idea. Non si può assumere che tutte le culture siano uguali, e tutte ugualmente degne di essere preservate, benché dirlo non suoni politically correct. Anche tra le culture cristiane, alcune sono più dannose di altre». Ad esempio?

«La Chiesa d’Inghilterra è stata abbastanza benigna. La Chiesa di Roma molto meno, e ha ficcato il naso nelle faccende umane molto di più. Il mantra della multiculturalità dice che dobbiamo rispettare tut-

WATSON (A DESTRA) E FRANCIS CRICK NEL LORO LABORATORIO DI CAMBRIDGE NEL 1953 CON UN MODELLINO DELLA DOPPIA ELICA DEL DNA

te le culture, ma io trovo difficile rispettarne qualcuna. I selvaggi della giungla esistono, ma non vorrei che i miei figli fossero educati da loro. La multiculturalità è solo un modo di dire che niente è meglio o peggio. Invece, si può dire, o no, che la Svezia è organizzata meglio della Grecia? O che il mondo non dovrebbe essere tutto come Napoli? Pretendere che tutto sia uguale, quando non lo è, è una forma di ipocrisia. E a me non è mai piaciuto fare l’ipocrita. A volte la verità può far male, a chi la dice e a chi la sente; bisognerebbe evitare di dirla, in tal caso? Non credo ci sia una risposta unica. Non c’è bisogno di dire a qualcuno che è brutto, anche se lo è. Invece bisognerebbe dire agli americani che stanno vivendo al di sopra dei propri mezzi, e che stanno indebitandosi troppo per mantenere un livello di vita che non si meritano». Anche il denaro può diventare un tipo di religione, no?

«Oggi è diventato più importante di tutto. Una volta si trattava di una divinità incarnata, avendo un corrispettivo in oro. Ma ora è diventato trascendente, perché il nuovo oro è l’informazione. Comunque, i ricchi sono troppo ricchi, e troppo egoisti. Quando mi capita di incontrarli, nella mia posizione, il mio istinto è di tagliar loro la gola. Ma la caduta degli dèi può dare dei buoni frutti: nel 1929 ha portato alla previdenza sociale, e oggi potrebbe portare al servizio sanitario nazionale». Ma non sono i ricchi a finanziare la ricerca?

«Solo alcuni, e sempre in maniera completamente sproporzionata alla loro ricchezza. Io ho sempre dato il 20 per cento dei miei guadagni, per ripagare in parte ciò che avevo ricevuto; in fondo, avevo più denaro di quanto mi serviva per vivere. I ricchi invece danno solo le briciole di

della sua ricchezza, in seguito agli scandali sessuali. Inoltre, la sua dottrina non è conforme al benessere dei giovani cattolici. I quali, ad esempio, non vogliono avere rapporti non protetti, o figli con malattie genetiche. Il risultato è che essi non seguono i consigli dei preti: questi predicano, e quelli non stanno a sentire».

altro che distrarre da domande alle quali possiamo veramente pensare e rispondere. È una perdita di tempo intellettuale. La filosofia era importante prima della scienza, ma dopo…».

Negli Stati Uniti non c’è un bacio della morte tra religione e politica, come qui in Italia?

«Ma no! Il cancro è il cancro, non c’è nessuna interpretazione filosofica da dare».

«Oh, certamente, anche se da voi è peggio. Da noi i non credenti sono stimati fra il 18 e il 19 per cento, e le previsioni dicono che fra vent’anni arriveranno al 30 per cento. E tra i giovani, le percentuali sono maggiori. Per questo Obama ha citato anche i non credenti nel suo discorso di inaugurazione presidenziale, assieme ai vari tipi di credenti. Si può sperare di raggiungere il 50 per cento, attraverso l’educazione, ma il rimanente 50 per cento non raggiungerà mai il grado di sofisticazione necessaria a rendere improbabile il concetto di una vita dopo la morte, ad esempio».

«Quei problemi sono troppo complicati. Non li capiscono nemmeno i fisici, immaginiamo i filosofi. Studiarli è tempo sprecato. E lo sono anche le cosiddette questioni filosofiche della scienza, tipo l’interpretazione dei molti mondi della meccanica quantistica. Intanto, sono cose che non si possono decidere: qualcuno può scriverci libri, diventare famoso, farsi credere profondo, ma la realtà è che la conoscenza del mondo non avanza di un centimetro. Quando si arriva al punto in cui non si possono fare esperimenti, la scienza si ferma e rischia di finire. Coloro che si interessano di fisica fondamentale diventano vulnerabili alle speculazioni astratte. Le “grandi questioni” puzzano troppo spesso di religione, e si finisce troppo spesso per non sapere di cosa parlino. Ci sono cose importanti che non possiamo conoscere? Forse. Ma se non possiamo conoscerle, perché preoccuparsene? Meglio semplicemente evitarle».

Lei quindi crede, come Darwin, che ci sia un legame fra conoscenza e ateismo.

ciò che hanno, quando le danno».

suno ha il potere che aveva Hitler».

Pensa che ci dovrebbe essere una tassa per la ricerca?

Non sono stati i religiosi a opporsi alle ricerche genetiche, negli anni Settanta?

«No. Negli Stati Uniti abbiamo l’istituzione della filantropia, che voi non avete in Italia. Ma quasi tutte le donazioni vanno alle religioni, di ogni tipo: ebraica, mormone, cattolica…».

«No, erano gli intellettuali di sinistra. La religione non c’entrava, era la politica».

Come guardano alla scienza i fondamentalismi religiosi degli Stati Uniti?

«Nella maggior parte dei casi non guardano per niente, per mancanza di interesse. A volte i leader religiosi hanno idee balzane, ma vanno poco lontano, perché nes-

E oggi, con l’opposizione alle ricerche sulle staminali?

Foto: Spl - Contrasto

supposti diritti sono rispettati nelle nazioni che spesso votano a loro favore, ci accorgiamo dell’ipocrisia di certi discorsi».

«Certamente, e molto forte! Non ho nessuno amico che creda in Dio, non uno». Deduco che Francis Collins, che è stato direttore del Progetto Genoma dopo di lei, non sia un suo amico, visto il libro che ha scrito sulla scienza e la religione.

«Lì c’è lo zampino della Chiesa cattolica. E forse non dovrei dire altro, in Italia: sarebbe come frustare un cavallo morto».

«Io l’ho trovato orrendo. Quella stupidaggine, ad esempio, di voler far credere che Einstein era religioso. Per dirla in due parole, Collins o è stupido, o è disonesto».

Se fosse morto,non sarebbe un problema. Invece, qui sembra che galoppi.

Einstein diceva di credere nel Dio di Spinoza: cioè, la Natura.

«Negli Stati Uniti la Chiesa cattolica ha perso un’enorme parte del suo potere e

«Io evito l’intera faccenda. Mi sembra irrilevante, e non sono interessato. Non fa

La filosofia? Non solo la religione?

«No, anche la filosofia. E la sua idea che la verità arrivi dalle parole, invece che dai fatti». Non pensa che la filosofia possa essere utile nell’interpretazione dei fatti scientifici?

Pensavo alla meccanica quantistica.

Bisogna ammettere, però, che la religione può offrire consolazione nei confronti della morte. Lei non ne ha paura?

«Trovo inutile pensarci. Tra venticinque anni sarò sicuramente morto, ma tra cinque forse no. E allora mi concentro su ciò che posso fare in questi cinque anni. Della morte in sé, posso solo sperare che arrivi velocemente: ad esempio, con un colpo, che mi faccia passare senza troppo soffrire dal funzionamento al nulla. Se rimanessi incapacitato, non vorrei continuare a vivere. Ma del nulla successivo, non mi importa niente». ■

CI SONO DOMANDE CHE NON HANNO RISPOSTA. SEMPLICEMENTE, LE EVITO. E MI CONCENTRO SULLE QUESTIONI CHE POTREMMO RISOLVERE 96 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 97


Cultura

BALLA COI DI ALBERTO DENTICE

S

ono tornati a riprendersi il posto che gli spetta sulla scena rock italiana Piero Pelù e Ghigo Renzulli, mente e cuore dei Litfiba. Alle spalle hanno vent’anni di battaglie uniti sul fronte del palco sfornando album che bene o male hanno fatto la storia del rock tricolore, poi altri dieci anni di litigi e separazione. E ora eccoli di nuovo insieme con “Grande Nazione”: «Un disco politico, o se vogliamo “anarcoide”», lo definisce Pelù, «che interpreta il rock come strumento di denuncia». Insomma, proprio adesso che «l’Italia si desta con una pietra in testa» come dice la canzone che dà il titolo all’opera, Piero e Ghigo suonano la sveglia. Recuperano lo spirito punk che covava sotto le ceneri e riportano a temperatura di fusione quel mix di impegno e divertimento che costituisce il loro marchio di fabbrica per riconnettere il popolo dei Litfiba e quello degli indignados. La musica cambia come cambiano le generazioni. Difficile tenerle insieme. Ma i due hanno dimostrato di esserne capaci. E adesso dopo il successo di “Grande Nazione”, arriva il tour italiano. Partenza il 2 marzo dal Mandela Forum di Firenze, il 6 a Milano, a Roma il 10. Breve pausa poi si riparte il 13 aprile da Treviso facendo tappa nelle principali città italiane per concludersi il primo maggio all’Arena di Verona. Seguirà un tour europeo. Baffetti da pirata alla Jack Sparrow, pantaloni in pelle, modi garbati, Pelù ci accoglie nel suo ufficio al centro di Firenze dove presto arriva anche Ghigo. Messe da parte le incomprensioni, tra i due sembra tornato l’affiatamento di un tempo. Mai così uniti eppure così diversi. Nel 98 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

LITFIBA PIERO PELÙ (A SINISTRA) E GHIGO RENZULLI. NELL’ALTRA PAGINA: LA COPERTINA DELL’ALBUM

carattere, nel modo di ragionare e di affrontare la vita. Piero con i suoi modi da guascone e la forza dell’istinto. Ghigo il tessitore delle trame sonore, prudente, riservato. Diversi i manager di oggi, diversi i primi amori musicali: Pelù è un fan di Iggy Pop e dei Ramones, Renzulli un patito di Deep Purple e Led Zeppelin. Opposte le scelte di vita: il cantante è un metropolitano incallito, il chitarrista ha

scelto di vivere in campagna. Per non dire degli hobby: il primo aggiusta vecchie biciclette, il secondo è un patito della pesca sportiva. Eppure con tutta evidenza è questa diversità a generare la tensione da cui nasce il rock dei Litfiba nonché la rinnovata alchimia che ha prodotto “Grande Nazione”. Dieci tracce di rock potente, che fotografano una Grande Nazione consapevole di essere caduta in basso, costretta ora che è finita la “Fiesta tosta” («Soldi facili, sesso, droga e Gesù Cristo oh mamma! / Siamo più felici sull’orlo del

Foto: D&A cesurala

Con un nuovo disco parte il tour della “reunion” di Piero e Ghigo. Una esplosione di rock, rabbia e impegno

disastro») a fare i conti con austerità e recessione. «Siamo consapevoli che la musica non può cambiare il mondo, al massimo le coscienze, e sarebbe già un grande risultato», commenta Pelù: «Ma sappiamo anche che, al contrario, il nostro modo di essere artisti è influenzato da quel che accade attorno a noi». Con la crisi globale, musica e politica sono tornate a intrecciarsi con una forza che evoca i fantasmi del punk nell’Inghilterra della Thatcher. Canzoni che parlano di corruzione della politica, che denunciano l’ingiustizia, l’avidità delle banche, la disperazione dei giovani senza lavoro e senza futuro. Lo fanno i giornali tutti i giorni. Lo ha fatto da par suo anche Bruce Springsteen nell’ultimo album. Ma per una band o un cantante, lo si è visto a Sanremo, il rischio della celentanata è sempre in agguato. «Lo spirito della canzone di protesta, quello dei canti anarchici, fa parte di questo nuovo album», replica Renzulli: «E del resto la critica al sistema e all’ingiustizia appartiene al Dna del rock, da Woody Guthrie ai Clash». È chiaro però che ci vogliono una bella faccia tosta e l’ironia giusta per celebrare l’anniversario dell’Unità d’Italia denunciando a gola spiegata, come fa pelù in “Grande Nazione, «Centocinquantuno anni di mafie e di massoni, / centocinquantuno anni di raccomandazioni». «Resta il fatto che non esiste un Paese così corrotto e colluso con le mafie come l’Italia», prosegue il frontman dei Litfiba: «Difficile affrontare certi argomenti sentendosi liberi e soprattutto senza annoiare». Questione di linguaggio: “Tutti buoni” è un pezzo che punta il dito sulle bugie della casta («Che spaccia promesse / ma solo in tempo di elezioni») e si conclude citando il Totò di “Vota Antonio… vota Antonio”. «E pensare che ho dovuto discutere a lungo con Ghigo per convincerlo, lui

temeva che Antonio Di Pietro si offendesse…», commenta Pelù. Sono spunti che confermano differenze di vedute e di atteggiamento tra i due. La replica è decisa: «Io mi occupo della parte musicale, i testi li scrive Piero, ma in ogni caso devo approvare quello che dice». Se la forza di Ghigo resta quella di uno stile chitarristico originale che ha saputo rinnovarsi grazie a una continua ricerca dei suoni, le armi di Pelù - oltre alla voce dal timbro inconfondibile e lo stile che ha fatto scuola - sono l’autoironia e una fisicità da vero animale da palcoscenico. Certo in giro c’è tanta rabbia e frustrazione e a cavalcare populisticamente l’onda dell’indignazione si rischia di gettare benzina sul fuoco. «Tranquilli, non è nostra intenzione fare esplodere sommosse popolari. La nostra idea è prima di tutto quella di divertirci e far divertire, altrimenti si farebbe un altro mestiere. Non desideriamo che la gente esca fuori dal concerto con la voglia di spaccar tutto: piuttosto con qualche idea in più su come affrontare questa situazione drammatica». Non aspettatevi però maxi schermi o effetti speciali come capita di vedere sempre più spesso. Su questo pun-

to Ghigo e Piero hanno idee chiarissime. «Il nostro sarà un allestimento molto semplice ed essenziale. Non vogliamo invitare la gente al concerto per guardare la tv . Della televisione ne abbiamo abbastanza. Il nostro è un tour tutto suonato dove ognuno è regista di se stesso, un tour fatto per ballare, scatenarsi e riflettere. Un consiglio: portate le scarpe da ginnastica!» Il tour dei Litfiba parte dalla natìa Firenze, città amministrata da Matteo Renzi, il sindaco rottamatore additato da Jovanotti con un modello per la rinascita del centrosinistra. Condividete il suo entusiasmo? Pelù storce il naso: «Dopo le cene con Veltroni e le serenate a D’Alema, consiglierei a Lorenzo di fare più attenzione prima di schierarsi. Ciò detto, il sindaco non ha saputo mantenere le promesse fatte in campagna elettorale. A Firenze ha messo una pietra tombale sulla cultura, le scuole sono un disastro, per non parlare delle piste ciclabili. Povero Renzi: ha tanto da fare con le gite ad Arcore e con la Tav che perforerà Firenze nonostante il No dei comitati di protesta, che non ha proprio il tempo per occuparsi seriamente della città». ■

Rissosi, irascibili, inseparabili I Litfiba nascono a Firenze nel 1980, in quel rinascimento che fondendo punk, new wave e talento produsse le prime etichette indipendenti e i fermenti più originali. Il legame della band con la città è sempre stato profondo. L’enigmatico nome è la trascrizione del codice telegrafico: L (sigla di chiamata), IT (Italia), FI (Firenze) e Ba (che sta per via dei Bardi 32, sede della sala prove). Oltre ai fondatori Federico “Ghigo” Renzulli e Piero Pelù, nella band originale ci sono Antonio Aiazzi, Francesco Calamai e Gianni Maroccolo. Si fanno notare con “Desaparecidos” (’85). Seguono “17 Re” nell’86 e “Litfiba 3” nell’88. Nel 1990, mentre Tondelli già li definisce dei “classici”, la band perde il batterista Ringo De Palma, vittima di una overdose. Negli anni Novanta incidono quattro album ispirati agli elementi: “El Diablo” (fuoco), “Spirito” (aria), “Terremoto” (terra), “Mondi sommersi” (acqua). Successo enorme: quasi un milione di copie e tournée in tutta Europa. Poi la crisi: nel 1999, dopo il deludente “Infinito”, Renzulli e Pelù si separano. Pelù incide con Jovanotti e Ligabue un singolo di successo, “Il mio nome è mai più”, e un album meno felice, “Né buoni né cattivi”. Renzulli, proprietario del marchio Litfiba, tenta di tornare in pista con varie formazioni. Nel 2008 Elio dedica ai Litfiba la canzone “Tornate insieme”. Invito accettato: il 2009 è l’anno della “reunion” seguita da un tour e da un album “live” in cui Ghigo e Piero rivisitano i vecchi successi. È in questo tour che prendono forma le canzoni che finiranno nel nuovo album “Grande Nazione”.

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Cultura

Mecenate in bianco Un milione di euro per la Piramide Cestia. Così un magnate giapponese la riporterà al colore originale. Il suo preferito

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DI MARISA RANIERI PANETTA

on si può dire che sia stato un colpo di testa: prima di donare un milione di euro per il restauro della Piramide Cestia, a Roma, l’industriale giapponese Yuzo Yagi ha fatto bene i suoi conti. Ma una botta in testa l’ha presa davvero quando è entrato per la prima volta nel monumento. La meraviglia davanti agli affreschi gli ha fatto alzare la testa troppo velocemente, tanto che ha finito per sbatterla contro il soffitto del cunicolo di passaggio. A ottobre 2010 la visita, e il colpo di fulmine per il sepolcro incastonato nelle mura aureliane accanto a Porta San Paolo. In questi giorni è arrivata la firma: Yagi, presidente della Yagi Tsusho Limited, un colosso nel commercio dell’alta moda e degli accessori, ha formalizzato l’accordo per la donazione alla Soprintendenza. Il dono che il mecenate fa a Roma - e che la neosoprintendente Mariarosaria Barbera accoglie come «un buon auspicio per la tutela della città» - è in realtà un regalo di compleanno alla sua azienda per festeggiare i quarant’anni di attività in Italia. E un investimento pubblicitario, grazie al quale Yagi lega il suo nome a un monumento ben riconoscibile di quella Roma archeologica che i giapponesi amano alla follia. La storia inizia poco più di un anno fa, quando l’industriale, che è anche professore di Programmi e Studi Internazionali all’università del Michigan e Commendatore della Repubblica italiana, è arrivato a Roma per scegliere il monumento 100 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Tribuno e faraone La grandiosa sepoltura del pretore Caio Cestio rappresenta l’unica testimonianza di quel gusto orientale che scoppiò a Roma dopo la conquista dell’Egitto di Cleopatra. Dalla strada sembra più piccola della realtà: si devono scendere molti gradini per apprezzarla in tutta la sua grandezza. Alta 36,40 m, con il lato di base di quasi trenta, la Piramide fu costruita tra il 18 e il 12 avanti Cristo per accogliere le ceneri di Caio Cestio, pretore e tribuno della plebe. Un’iscrizione racconta che i lavori, per disposizione testamentaria, durarono 330 giorni. I sepolcri monumentali esistenti nell’antica Roma erano tanti ma sono andati distrutti. La piramide invece si è salvata perché nel terzo secolo dopo Cristo è stata incorporata dalle Mura Aureliane che l’hanno protetta. In opera cementizia - una mescolanza di calce, sabbia e pietre - è ricoperta da lastre di marmo lunense, la pietra bianca di Carrara. A causa della legge contro il lusso varata poco prima della costruzione, la tomba non conteneva ricchi corredi. La cella sepolcrale fu violata nel Medioevo, quando fu costruito il cunicolo con cui ancora oggi la si raggiunge. Le pareti, restaurate nel 2001, conservano affreschi di grande valore storico (che in queste pagine “l’Espresso” mostra per la prima volta dopo il restauro). Essi costituiscono il più antico esempio della pittura detta del “terzo stile”: sul campo bianco spiccano pannelli separati da decorazioni verticali (“candelabre”), figure di Ninfe e vasi per riti purificatori. In alto, agli angoli della volta a botte, quattro Vittorie alate reggono nelle mani una corona e un nastro; al centro uno spazio bianco indica il luogo in cui doveva apparire l’apoteosi di Caio Cestio, il tribuno che volle essere sepolto come un faraone.

da restaurare. Attraverso la nostra ambasciata a Tokyo aveva preso contatti con il ministero con una finalità precisa: il suo contributo doveva riguardare l’archeologia e possibilmente il restauro della facciata di un edificio. Poi è venuto lui stesso a Roma per vedere i monumenti proposti dalla Soprintendenza. E il 27 otto-

bre del 2010 “l’Espresso” si è unito al piccolo gruppo - che comprendeva, tra gli altri, la responsabile della Piramide Rita Paris e il responsabile della valorizzazione dei beni culturali Mario Resca - che ha accompagnato l’aspirante mecenate a visitare i possibili destinatari del dono. Il percorso è iniziato proprio dalla Pi-

ramide. Stefano De Caro, che era allora direttore generale dei Beni archeologici, ha raccontato in inglese la storia dell’edificio. Yagi - 70 anni ben portati, come sempre vestito di bianco dalla testa ai piedi - ha fatto qualche domanda, ha chiesto precisazioni, poi è entrato nella stanza funeraria, bianca come l’esterno della piramide ma decorata con affreschi semplici ed eleganti. Seconda tappa del percorso è stata la tomba di Cecilia Metella sulla via Appia, un altro mausoleo famoso del primo secolo avanti Cristo. Si è parlato a lungo dell’importanza di questo sito e della “regina” delle strade romane, mentre Yagi, come in precedenza, osservava con attenzione ogni dettaglio. Poi, tutti in macchina, per una colazione a Capo di Bove con specialità gastronomiche romane. Solo allora l’industriale, fino a quel momento assorto e di poche parole, si è lasciato andare a sorrisi e a foto ricordo sul prato. Nel pomeriggio i suoi collaboratori hanno chiarito costi, tempi e metodologie dei restauri. Pochi mesi dopo in Giappone arriva il terremoto, e per qualche mese di Yuzo Yagi si perdono le tracce. Sembrava un’occasione perduta, e invece la Piramide aveva fatto breccia nel suo cuore. Perché è un monumento insolito per Roma, ma anche per un altro motivo: il bianco è il colore preferito dell’industriale, e grazie al restauro il marmo che ricopre l’edificio tornerà a splendere. Oggi le lastre di marmo, che sono solo appoggiate sull’opera cementizia sottostante, sono sporche di smog e piene di fessure che hanno provocato deformazioni, infiltrazioni d’acqua e la crescita di piante infestanti. I lavori, che saranno diretti dall’architetto Maria Grazia Filetici, dureranno 18 mesi e si aggiungeranno a quelli in corso per dotare l’area di un nuovo accesso, di servizi igienici e apparati didattici. La Fondazione Italia-Giappone provvederà invece alla pubblicazione delle varie fasi dell’intervento in modo da mettere in evidenza il nome di chi ha finanziato i lavori. E chi, in un prossimo futuro, visiterà la Piramide Cestia potrà così leggere, oltre alle iscrizioni che riguardano Cestio e quella del papa Alessandro VII che promosse uno scavo, il nome del mecenate che nel 2012 è arrivato in suo soccorso da quasi 10 mila chilometri di distanza. ■

MARCO BALIANI. A SINSTRA: YUZO YAGI, MECENATE DELLA PIRAMIDE CESTIA, TRA DUE IMMAGINI DEI DIPINTI INTERNI AL MONUMENTO

ASPIRANTI EDITORI A LEZIONE

Al festival “Libri Come” incontri con gli scrittori. E corsi per imparare a pubblicarli DI ANGIOLA CODACCI-PISANELLI

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ette conferenze che valgono un corso professionale. Il cuore di “Libri Come”, il festival letterario in arrivo al Parco della Musica di Roma, sono i laboratori dei “Mestieri del libro”. Che stanno al mestiere di editore un po’ come l’ormai famosa Scuola per librai di Venezia sta a quello di venditore di libri. Si comincia lunedì 5 marzo con un incontro a tre su “Come si apre una casa editrice”: una sfida che i conferenzieri - Marco Cassini di minimum fax, Tommaso Cenci di 66thAnd2nd e Alessandra Gambetti di Lantana - hanno affrontato in anni recenti riuscendo a lanciare, in piena crisi del libro, tre case

editrici di qualità. Una volta nato l’editore, bisogna trovare gli editor che sappiano come riempire di collane la neonata casa editrice: dal 6 all’8, con curatori come Nicola Lagioia di minimum fax, Benedetta Centovalli di Nutrimenti e Giovanna De Angelis di Fanucci, si approfondisce il lavoro di chi cura collane di narrativa italiana e straniera o di saggistica. Gli ultimi tre incontri, fino al 9 marzo, sono dedicati alla traduzione (con Simona Cives e Ilide Carmignani), all’impostazione dell’ufficio stampa (con Alba Donati dell’agenzia Davis & Franceschini e Nicola Attadio di Laterza) e alla cura della grafica dei volumi (Riccardo Falcinelli di minimum fax e Maurizio Ceccato di Hacca). Gli incontri sono a pagamento (10 euro) e su prenotazione. Alcuni purtroppo sono in contemporanea tra di loro. Mentre chi aspira a diventare un addetto ai lavori si impegna ad imparare il mestiere nelle salette del Garage dell’Auditorium, i “lettori forti” si divideranno tra le sale principali, che ospitano la parte più spettacolare del festival. A partire da Massimo Cacciari (“Doppio ritratto. San Francesco in Dante e Giotto”) per arrivare alla chiusura con Tzvetan Todorov (“Come sarà il futuro della democrazia”), tra l’8 e l11 marzo si alterneranno una quantità di romanzieri e saggisti italiani e stranieri tra i quali è molto difficile scegliere: Carlos Ruiz Zafón e Peter Sloterdijk, Giorgio Faletti e Francesco Guccini, Clara Sánchez e Andrea Camilleri, John Banville e Jonathan Coe... Noi scegliamo Marco Baliani, che domenica alle 20 si presenta al pubblico in veste di “Gran lettore”: l’autobiografia letteraria di uno dei personaggi più poliedrici della cultura italiana di oggi. Attore cinematografico e regista teatrale, romanziere e ora anche lettore di audiolibri (Bassani e Kapuscinski per Emons), il creatore dell’indimenticabile “Pinocchio nero” sta portando in questo periodo in tournée la sua ultima scommessa, che come al solito unisce passione per il teatro e per la lettura: il “Furioso Orlando” con Stefano Accorsi dal poema di Ludovico Ariosto. ■ 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 101



n. 10 - 8 marzo 2012

Scienze COSMESI: IL TRIONFO DELL’HI-TECH | TURISMO SPAZIALE

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PROTESI D’ANCA

Farmaci on demand Il primo dispositivo

Dottor Microchip Ci lavorano da 15 anni, e finalmente ora possono dire di essere molto vicini alla meta. Robert Langer e Michael Cima, bioingegneri del Mit, hanno infatti appena pubblicato su “Science Traslational Medicine” i dati relativi alle prime sette donne cui è stato impiantato un microchip per la somministrazione giornaliera di un farmaco contro una grave forma di osteoporosi per un anno intero. Il rilascio è stato modulato in base a una valutazione fatta dai medici, a distanza, attraverso un computer o un telefonino e il risultato è stato molto positivo: le donne hanno mostrato segni di miglioramento e valori di farmaco del tutto simili a quelli che si ottengono quando la terapia viene assunta in modo tradizionale, con un’iniezione giornaliera. Il chip, brevettato dalla start up MicroChips degli stessi Langer e Cima, è il primo che dispensa farmaci on demand e solo tramite connessioni wireless, e sta suscitando un interesse enorme per diversi motivi. Può infatti contenere fino a 400 dosi di farmaco e, se in questo caso il principio attivo era solo uno, già si pensa di mettere a punto assortimenti di molecole

Interviene l’Aifa

Foto: M. S. Brauer, M. Harris - Gettyimages

Attenti al botulino

per esempio per le persone anziane, che molto spesso devono assumere più terapie in un giorno e non sempre riescono a farlo al meglio. Inoltre potrebbe migliorare molto la terapia di patologie croniche come quelle cardiovascolari, la sclerosi multipla e il cancro, assicurando anche a chi ha una mobilità compromessa la giusta assunzione di cocktail di farmaci. Infine il chip, grande quanto un pacemaker, si inserisce con una procedura in anestesia locale che non dura più di mezz’ora. I primi chip potrebbero essere sul mercato entro cinque anni. Agnese Codignola

Ricerca & vulcani

Due italiani a Baekdu DI GIUSEPPE TANELLI La montagna di Baekdu è un grande cono vulcanico di 2.700 metri ai confini fra la Corea del Nord e la Cina. È la magica montagna coperta di nevi e di foreste che racchiude il Lago del Cielo - che riempie una caldera profonda 850 metri e del diametro di 5 km (10 volte più grande del Vesuvio) - dove coreani e manciù pongono l’origine dei loro popoli. La grande caldera del vulcano si è formata durante una eruzione del X secolo, e da allora più o meno ogni cento anni il vulcano si desta. L’ultima eruzione è del 1903 e da tre anni ci sono deboli segnali sismici che il Baekdu si stia svegliando di nuovo. Gli scienziati nordcoreani ne stanno monitorando le attività e hanno richiesto la collaborazione scientifica del nostro Paese per quanto riguarda le indagini sulla composizione dei gas emessi dal vulcano. Comprendere questo aspetto è fondamentale per la previsione delle attività vulcaniche, e in Italia ci sono centri di eccellenza internazionali all’avanguardia in questo genere di ricerche. Due geologi, Orlando Vaselli, direttore del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze e Antonio Caprai, dell’Istituito di Geoscienze e Georisorse del Cnr, assistiti dalle nostre autorità diplomatiche a Pyonyang, stanno raggiungendo il Baekdu, rispondendo alla richiesta elle autorità nordcoreane. professore di Georisorse all’Università di Firenze

Cari medici, quando si tratta di tossina botulinica per uso estetico dovete usare maggiore cautela. Evitando ÒpunturineÓ in siti diversi da quello approvato in Italia (cio• tra le sopracciglia, e in pazienti con meno di 65 anni), e informando adeguatamente dei rischi insiti nel trattamento. é la raccomandazione che arriva direttamente dall’Agenzia Italiana del Farmaco e conferma autorevolmente quanto scritto da Òl’EspressoÓ (ÒBotox nemico per la pelleÓ, uscito sul numero 4, 2012): raccomandazione necessaria, se • vero, come si legge nella nota informativa dell’Agenzia, che la tossina botulinica Ç• usata impropriamente anche per altre tipologie di rughe con il conseguente rischio di esporre i pazienti a trattamenti per i quali non • stata dimostrata la sicurezzaÈ. Dunque no alle iniezioni intorno alle labbra e agli occhi, sul collo, sulla fronte. PerchŽ, continua la nota, IL LAGO NEL CRATERE DEL BAEKDU. SOPRA: ROBERT Çl’uso della tossina in zone delicate del viso, nelle quali non sono stati effettuati studi LANGER E MICHAEL CIMA COL LORO MICROCHIP specifici, pu˜ esporre i pazienti a seri rischiÈ. Elisa Manacorda lE ’ spresso | 105


Scienze ANTIAGE

L’HI-TECH ti fa bella

Identikit della pelle Dall’esterno verso l’interno la pelle è composta da tre strati. Il più superficiale, l’epidermide, è costituito a sua volta da diversi strati, espressione di un continuo processo dinamico. Le cellule dell’epidermide si chiamano cheratinociti, e si rinnovano continuamente, garantendo così una protezione sempre efficace di fronte alle aggressioni esterne. I melanociti, invece, sono le cellule che difendono la pelle dall’azione dei raggi solari, attraverso la produzione di melanina, il pigmento che dà l’effetto dell’abbronzatura. Tra epidermide e derma, lo strato sottostante, si trova la giunzione dermo-epidermica, che mantiene coesi i due strati e permette lo scambio di sostanze nutritive e ossigeno provenienti dal sangue. Nel derma, infatti, si trova un complesso sistema di vasi sanguigni, oltre a svariate strutture specializzate. Come quelle del tessuto connettivo fibroso, le cui fibre di collagene ed elastina formano una maglia che dà elasticità ed estensibilità alla pelle. In più, una vasta rete di nervi e recettori nervosi sensoriali che raccolgono gli stimoli tattili. Poi ghiandole sudoripare, il cui sudore aiuta l’organismo a liberarsi delle tossine e regolare la temperatura, infine ghiandole sebacee che, grazie al sebo prodotto, mantengono la pelle elastica e morbida. Lo strato più profondo è rappresentato dall’ipoderma, il cui grasso funge da riserva energetica e da cuscinetto che dà corposità alla pelle. R.B.

Molecole studiate per intervenire sui segnali biochimici che regolano la vita delle cellule del tessuto cutaneo. E mantenerlo sano e vitale. È la nuova rivoluzione della cosmesi. Scientifica DI RAIMONDA BORIANI

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sappiamo che se utilizziamo molecole studiate in modo razionale, ossia in funzione di specifici recettori cellulari, il prodotto può agire dall’esterno e manifestare effetti profondi, proprio attraverso la trasmissione di segnali biochimici». Ecco, allora, cosa si prepara per la nuova stagione, alla vigilia del Cosmoprof 2012, l’appuntamento più importante del settore previsto a Bologna dal 9 al 12 marzo. Maggiori difese Uno degli obiettivi della nuova cosmetica biomolecolare è quello di aumentare la capacità di difesa della pelle, per renderla più adattabile alle diverse sollecitazioni esterne. Già nel 2006 il team del Shiseido Research Center di Yokohama, in Giappone, aveva scoperto il ruolo della proteina Serpin b3: quando aumenta, la pelle è meno capace di fare da barriera agli agenti esterni. Questo accade perché essa penetra all’interno dei nuclei cellulari, e favorisce

la propagazione del danno, dall’epidermide alle cellule del derma. Per frenare l’effetto domino, Shiseido, nel nuovo Ultimate Regenerating Serum, ha condensato in microcapsule veicolanti un’alta concentrazione di Skingenecell 1P, un principio attivo studiato per disinnescare il meccanismo favorito dalla Serpin3. E rafforzare così le difese contro lo stress cellulare. Interruttore genetico Un’altra proteina, il fattore Nrf2, è nel mirino delle ricerche della Divisione di Biologia Cutanea, Ricerca e Sviluppo The Estée Lauder Companies. Ne parla Nadine Pernodet, direttore esecutivo. «Si tratta di una proteina presente in ogni cellula, ma si attiva mag-

A SINISTRA: RIELABORAZIONE GRAFICA DELLA RETE DI FIBRE DI COLLAGENE

Foto: E. Asla - Gallerystock.com, S. Gschmeissner - Gettyimages

a biologia molecolare scrive le leggi della comunicazione cellulare. La cosmetologia le traduce nella nuova parola d’ordine dell’antiage: la bioattivazione cutanea. Obiettivo dei prodotti di nuova generazione capaci di sfruttare le scoperte della biomedicina per mantenere la pelle sana e vitale. Utilizzando diverse tecnologie messe a punto nei laboratori di punta delle grandi maison. I nuovi cosmetici, spiega Andrea Bovero, chimico farmaceutico esperto di cosmetologia, direttore scientifico dell’Istituto Internazionale Scienze del Benessere, «prevedono un’azione mirata a livello delle diverse linee cellulari del tessuto cutaneo. Se una volta sembrava fantasia l’idea che i cosmetici applicati in superficie portassero effetti in profondità, oggi

giormente laddove l’organismo è esposto a inquinamento, raggi Uv e altri fattori dannosi per la pelle. In questi casi, la proteina riconosce il pericolo e stimola la cellula a utilizzare le proprie capacità rigenerative». In presenza di situazioni stressanti il fattore proteico attiva oltre 200 geni che a loro volta attivano la produ-

zione di diverse molecole e mettono in moto i meccanismi di autodifesa della pelle, proteggendola dall’invecchiamento precoce. Per questo, i laboratori Estée Lauder hanno messo a punto un prodotto, di derivazione naturale dal bambù nero, che attiva proprio la proteina Nrf2. Cosmesi rigenerativa Le rughe non so-

no altro che traumi, cicatrici più o meno profonde della pelle. E per questo la cosmetica si avvale di quanto la medicina ha realizzato nella rigenerazione della pelle senza cicatrici. È il caso di Regenessence (3.R), dei laboratori Giorgio Armani, che traggono ispirazione dal lavoro di Peter Lorenz, direttore dello Scarless Skin Repair Laboratory, della Standford University. Lorenz ha identificato un enzima, LOX-L (Lisil Ossidasi-Like), in grado di promuovere la costruzione di micro-collegamenti tra le fibre elastiche. E proprio sfruttandone le proprietà, la nuova crema, ricca di un estratto naturale di una pianta mediterranea, capace di stimolare la sintesi dell’enzima chiave, incrementa turgore ed elasticità cutanea. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 107


Scienze

Come usare i cosmetici

MA LA NOTTE NO DI ANTONINO DI PIETRO

Quante volte capita di leggere o di ascoltare pubblicità di cosmetici antiaging che suggeriscono l’uso di creme superattive che rigorosamente devono essere applicate la sera, la motivazione è che «durante la notte la pelle ripara i danni che subisce durante il giorno». Da qui un fiorire di “creme da notte” ricchissime di principi attivi che dovrebbero cicatrizzare e resuscitare le cellule che durante il giorno vengono ferite o uccise dal tempo che passa. Ma come si può pensare che la pelle per rimediare ai danni che avvengono durante il giorno debba aspettare la notte per ripararli? È come se io alle otto del mattino, radendomi, mi facessi un taglietto sul viso e questo taglietto continuasse a sanguinare fino a sera,

RICERCATORE AL LAVORO AL COSMETIC RESEARCH CENTER SHISEIDO IN GIAPPONE

Sinergie di nuova generazione Una strategia antiossidante è ancora la via maestra di gran parte dei trattamenti antiaging, soprattutto in fatto di fotoprotezione. Skinceuticals, che per prima ha brevettato l’utilizzo di vitamina C in forma pura e stabile, propone la sinergia di molecole antiossidanti, combinate in diverse concentrazioni: floretina, vitamina C e acido ferulico. Phloretin Cf Gel ne ottimizza l’efficacia con una particolare formulazione “siero-in-gel”, in grado di garantire l’integrità della soluzione fino al contatto con la pelle e rilasciare gli attivi in modo controllato, migliorando penetrazione e tollerabilità. Sempre dagli Stati Uniti, dal marchio apripista nell’utilizzo degli alfaidrossiacidi (Aha), Neostrata, arriva un altro booster di principi attivi sinergici, in linea col nuovo trend di questa classe

molecolare. Sono i poli-idrossiacidi complessi, il cui capostipite è l’acido lattobionico, che sommano alla tipica azione esfoliante, quella idratante e cicatrizzante. In SynerG Formula 15.0 (Skin Active Cellular Restoration), un’inedita associazione di acido maltobionico e gluconolattone, entrambi poli-idrossiacidi di nuova generazione, stimolano la rigenerazione nel profondo, con un’azione protettiva nei confronti del metalli. Target specifici & multitasking Del retinolo ormai conosciamo bene la potente azione contro il foto-aging, in quanto riduce la degradazione delle componenti strutturali del derma ad opera dei raggi Uva. Tuttavia la sua azione è mal sopportata dalle pelli sensibili. Per renderlo più tollerabile, la ricerca La Roche-Posay ha creato il retinolo a liberazione

Che un buon massaggio o la crema giusta facciano bene, lo sappiamo. Ma i benefici sono quantificabili? Il benessere è un’area fluida ed impalpabile, difficile da ingabbiare in statistiche. Eppure, «per soddisfare i bisogni dei nuovi consumatori, ottenere trattamenti efficaci e risultati visibili, il processo di sviluppo deve partire da valutazioni oggettive», sostiene Andrea Bovero, chimico farmaceutico esperto di cosmetologia, direttore scientifico dell’Istituto Internazionale Scienze del Benessere (Isbe): «Col progetto di ricerca Isac (Integrated Sensorial Approach in Cosmetics) abbiamo individuato alcuni parametri psico-fisiologici come indicatori 108 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

dell’efficacia dei trattamenti beauty & wellness». Lo studio ha arruolato 44 donne, di età compresa tra 30 e 50 anni, e valutato la correlazione tra la variazione di parametri fisiologici e psicologici prima e dopo un trattamento estetico. E lo ha fatto analizzando pressione del sangue, frequenza cardiaca e ritmo respiratorio, come parametri fisiologici, ansia e autostima, come psicologici. «I risultati dimostrano che dopo un trattamento estetico c’è una diminuzione dell’ansia e un aumento dell’autostima, correlati in modo significativo con una normalizzazione dei valori di pressione sanguigna, ritmo cardiaco e respiratorio», conclude Bovero. R. B.

Foto: laif - contrasto, P. Hebeisen - Gallerystock.com

Meno ansia, più autostima

progressiva. Che, a contatto con gli enzimi cutanei, viene scissa in retinolo e acido linoleico: il primo agisce sulle rughe, il secondo preserva la funzione barriera della pelle. Un’azione due in uno, per dare turgore nel profondo e luminosità in superficie, viene da Neovadiol Lumiere di Vichy: una BB cream (Blemish Balm) multifunzionale che coniuga skin care e make up. Nel profondo un’associazione di peptidi e zuccheri vegetali stimolano la liberazione dei fattori di crescita tissutali e la sintesi dei glicoamminoglicani (GAG), restituendo densità e turgore.

In superficie, particelle di madreperla regalano al viso una sfumatura rosata naturale. Quella di una carnagione giovane e sana. Dai fotoni ai neuroni I ricercatori del Centro di Ricerca sulla Pelle Beiersdorf di Amburgo, uno dei più grandi d’Europa, hanno messo a punto dei modelli tridimensionali capaci di mantenere anche in vitro molte caratteristiche presenti nella pelle naturale. «Questi modelli ci permettono di studiare l’infiammazione dovuta all’esposizione ai raggi ultravioletti e di andare a verificare in che modo principi attivi anti-infiammatori, come il nostro Licochalcone, riescono a contrastarla», spiega Stefanie Conzelmann, Lab Manager del Dipartimento di Ricerca sulla Pelle - Beiersdorf. Una futura applicazione per la ricerca cosmetica è l’integrazione di neuroni nella pelle ricostruita, così da per-

in attesa che la notte finalmente lo chiuda e rimargini la ferita. Ma la verità è che la nostra pelle, infatti, ripara i danni nello stesso momento in cui questi avvengono. Se una cellula viene distrutta, immediatamente scattano tutti quegli eccezionali meccanismi di riparazione che madre natura ha previsto per farci sopravvivere bene il più a lungo possibile. Forse allora per aiutare la nostra pelle a restare giovane avrebbe più senso applicare le creme più ricche di principi attivi durante il giorno, quando le cellule, aggredite e rovinate dalla luce e altri agenti esterni, ne hanno realmente bisogno. E la sera, invece di affaticare la pelle rimpinzandola di principi attivi da digerire e assimilare, applicare una crema più leggera, calmante e idratante, per far finalmente riposare le cellule dopo una pesante giornata di stress.

mettere di valutare l’azione di principi attivi anti-prurito e anti-dolore. Il centro di Amburgo, tra l’altro, coordina il network “AgeScreen”, sostenuto dal ministero dell’Istruzione e della Ricerca tedesco, che mette insieme scienziati di università e industrie. Tra i progetti più interessanti c’è quello chiamato “biofotonica”. Allo studio, un particolare telaio ottico per misurare l’elasticità cellulare. «Si utilizzano due raggi laser opposti che, deformando le cellule, permettono il calcolo delle loro proprietà elastiche con un elevato grado di precisione. Si tratta di un sistema progettato per la diagnostica clinica e la ricerca di principi attivi farmaceutici, oltre che per lo sviluppo di prodotti anti-invecchiamento più efficaci in grado di agire in modo mirato sulle fibre nervose della pelle», racconta Conzelmann. ■

DECINE DI PRINCIPI ATTIVI PROMETTONO DI RIATTIVARE PROCESSI VITALI COMPROMESSI DALL’INVECCHIAMENTO 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 109


Scienze SPAZIO

Salute Scienze Quando operare

TURISTI IN ORBITA

Soggiorni sulla stazione spaziale. Voli attorno alla Luna. Soste in motel fluttuanti. Per tour a centinaia di chilometri dalla Terra DI STEFANIA DI PIETRO

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Aerospace il brevetto: elastico e ultraresistente, il Vectran è in grado di sostenere l’impatto di micrometeoriti che rimbalzano completamente sulla sua superficie». Le stazioni di servizio gonfiabili saranno poste a circa duecento chilometri dalla Terra, e sono progettate per rimanere in orbita non meno di cinque anni. Dopodiché cominceranno a scendere gradualmente fino a bruciare nell’impatto con l’atmosfera. Staffette spaziali low cost e biglietti dell’ultimo minuto per voli circumlunari saranno disponibili entro il 2015 attraverso vere e proprie agenzie di viaggi spaziali. La Space Adventures è una compagnia che dal 2001 ad oggi ha già spedito in orbita sette persone. Con la collaborazione dell’Agenzia Spaziale Russa, è possibile effettuare a pagamento, e dopo valide misure di controllo, un passaggio sulla navicella Soyuz, con una permanenza di qualche giorno sulla stazione internazionale Iss. Il pacchetto è anche prenotabile presso il sito della Space Adventures , ma la disponibilità di posti è limitata a solo due passeggeri l’anno. Non è da meno la referenziata società texana Armadillo Aerospace, che si occupa soprattutto d’attività di supporto spaziale, rivolgendo i suoi obiettivi verso un possibile ritorno sul nostro satellite. Con il suo razzo Mod, la compagnia si è aggiudicata il secondo posto nella Northrop Grumman Lunar Lander Challenge, una competizione tra aziende private con l’obiettivo di realizzare un razzo in grado di muoversi con disinvoltura sulla superficie lunare per offrire al pubblico un’indimenticabile avventura celeste. ■

Protesi d’anca Chirurgia soft

SUBITO A CASA Nella stragrande maggioranza dei centri chirurgici italiani le persone operate per la sostituzione dell’anca con una protesi restano ricoverate fino a dieci giorni dopo l’intervento. Con grande disagio per i pazienti e i loro famigliari, giacché il più delle volte si tratta di persone anziane, e con grande dispendio di soldi. Ma molti studi dimostrano che non è indispensabile, soprattutto se il paziente non ha altre malattie che potrebbero metterne a rischio la salute e il recupero post operatorio. I chirurghi dell’Hospital for Special Surgery di New York hanno pubblicato, su “HSS Journal”, quanto hanno scoperto analizzando il destino di circa 300 pazienti operati tra il 2004 e il 2008, metà dei quali dimessi dopo due giorni (con un programma che prevedeva fisioterapia e farmaci in caso di bisogno) e metà dopo non meno di quattro: dopo un anno, tra i due grup-

pi non c’erano significative differenze nel tasso di complicanze e di nuovi ricoveri dovuti alla protesi. In assenza di specifiche ragioni (per esempio malattie cardiovascolari o trombosi), non sembrano dunque esserci reali motivi per trattenere una persona operata di anca in ospedale per più di qualche giorno. E in futuro le cose potranno ancora migliorare. Le protesi oggi sono per lo più di titanio e ancora troppo spesso causa di infezioni e complicanze che comportano nuovi ricoveri, interventi, terapie. Per questo si punta a materiali bioplastici che facilitano la crescita spontanea dei tessuti. Come quello presentato su “Lancet” dai chirurghi dell’Università del Missouri e consiste in uno scheletro di policaprolattone, una plastica biodegradabile già impiegata in altre protesi, idrossiapatite, un minerale presente nelle ossa e nei denti, e

Inquinamento e immunologia

L’eredità di Seveso DI ALBERTO MANTOVANI

Foto: NYT - Contrasto, Stockfood - Olycom

primi a proporre mete orbitanti so- to due anni e sarà in grado di compiere nuno stati gli ingegneri della compa- merosi voli nell’arco di una sola giornata. gnia britannica Virgin Galactic: la «Lo abbiamo creato come un velivolo che SpaceShipTwo è la prima navicella possa funzionare come un aereo commerper voli suborbitali che promette di ciale. Molta attenzione è stata posta su trasportare sei viaggiatori e due piloti fi- motori e carburanti per tenere bassi i cono a 110 chilometri di quota: il modulo sti di operatività e ammortizzare l’impatsarà trascinato per 16 km dalla nave ma- to sull’ambiente», continua l’ingegnere. dre White Knight 2 per poi funzionare solMa, come per i viaggi su strada, per tanto grazie ai suoi razzi, che lo spingeran- rendere più piacevoli quelli spaziali non no fino a 110 km. «La coppia di veicoli si potrà fare a meno di aree di sosta ben WK2 e SS2 rappresenta la punta di dia- attrezzate. A questo sta provvedendo Bimante della tecnologia aerospaziale com- gelow Aerospace, una compagnia statumerciale privata», spiega Burt Rutan a capo del progetto. Ma non saranno i soli vettori targati Virgin. La flotta completa sarà costituita da sei veicoli e già 300 aspiranti turisti hanno versato un totale di 40 milioni di dollari di caparra per assicurarsi la prenotazione di uno dei primi voli: quello di inaugurazione sarà effettuato alla fine del 2012 dal deserto californiano di Mojave, tra Los Angeles e Las Vegas, e per vestire i panni dell’astronauta serviranno 200 mila dollari, 145 mila euro circa. Ma se il progetto Virgin sembra in dirittura d’arrivo, altre iniziative promettono GRAPHIC DELL’ALBERGO SPAZIALE BIGELOW emozioni spaziali. Per chi ha poco tempo la risposta sarà nitense che ha progettato il primo motel Lynx, della compagnia aerospaziale cali- orbitante da lanciare con un piccolo razforniana Xcor Aerospace. Al prezzo di 95 zo. «I prototipi dell’albergo galleggiante mila dollari a biglietto, questo piccolo jet - Genesis I e Genesis II - gravitano già da biposto trasporterà un solo turista per più di tre anni, ma per il nuovo modulo volta, in compagnia del pilota, in un volo saranno utilizzati materiali più flessibili e suborbitale a 60 chilometri d’altezza. «Il ultraresistenti, come il Vectran, una spejet partirà da una pista di decollo simile a ciale fibra tessile, fatta di carbonio, che quella degli aerei di linea e atterrerà dopo una volta in orbita tende a gonfiarsi e ren25 minuti in discesa circolare», spiega Jeff de la struttura non facilmente perforabiGreason, direttore della Xcor. Lynx è na- le», spiega il vice presidente Jay Ingham. to dopo un lavoro di progettazione dura- «È stata la Nasa a venderne alla Bigelow

I percorsi della scienza sono spesso tortuosi. Un esempio è rappresentato dall’incrocio inatteso fra gli studi di immunologia e quelli sugli inquinanti ambientali (la diossina in particolare) ed il rapporto fra dieta, immunità e malattie, che hanno gettato nuova luce sul ruolo benefico del consumo di frutta e verdura. Emblematica è la tragica vicenda della fuoriuscita di diossina da una fabbrica nei pressi di Seveso nel 1976: un disastro ambientale che, paradossalmente, ha avuto anche un risvolto di conoscenza. Gli studi che ne conseguirono, mirati a chiarire il modo in cui la diossina intossica l’organismo, hanno infatti consentito di svelare il ruolo ed il meccanismo di azione del recettore con cui questa sostanza interagisce: AhR (Aryl Hydrocarbon Receptor). I recettori sono interruttori di cui sono dotate le nostre cellule, che regolano la funzione e le risposte del sistema immunitario. Sorprendentemente, tre studi recenti

A causa dell’invecchiamento della popolazione, del sovrappeso e del buon esito (in generale) dell’intervento, le richieste di sostituzione dell’anca sono in aumento: oggi si stima che in Italia se ne facciano non meno di 70 mila l’anno. La sostituzione diventa necessaria quando la cartilagine che ricopre la testa del femore e le permette di scorrere nella cavità che la contiene (l’acetabolo) si consuma e causa sfregamento delle due parti: un attrito che provoca dolore, deformazione e perdita di mobilità. Quando i farmaci non bastano più si sostituisce la testa del femore con un emisfero di titanio e si ricostruisce l’acetabolo con una cuffia di plastica (polietilene), ceramica o metallo. Le protesi vengono poi fissate con un cemento o sfruttando la ricrescita dell’osso sulla superficie e negli anfratti dell’innesto. L’intervento pu˜ essere totale (sostituzione della testa e della cuffia), parziale (solo la testa) o di revisione. Il paziente incomincia a camminare con le stampelle dopo 2-4 giorni e in genere recupera del tutto dopo 3-6 mesi.

Transforming growth factor 3, un fattore di crescita che favorisce lo sviluppo di nuova cartilagine. Negli animali la protesi così assemblata funziona: dopo quattro mesi si vede una cartilagine nuova di zecca e indistinguibile da quella perduta. Agnese Codignola

pubblicati sulle prestigiose riviste scientifiche (“Science”, “Nature”, “Nature Immunology”) hanno rivelato che il recettore della diossina ha un ruolo fondamentale nel sistema immunitario a livello dell’intestino. Nel tratto gastrointestinale esiste un sistema immunitario specializzato, che costituisce una prima linea di difesa nei confronti dei patogeni. Il recettore AhR è presente nei linfociti localizzati nella mucosa che riveste il tratto intestinale - che sostituiscono un sistema di difesa specializzato a contatto con il mondo esterno - ed è fondamentale per il corretto sviluppo e funzionamento di queste cellule dell’immunità. Ad accendere questo interruttore è una sostanza presente in alcune verdure, che attivando AhR promuove il buon funzionamento del sistema immune intestinale. Questa scoperta è solo la punta di un iceberg: si attende l’identificazione di altre molecole con funzioni simili nella frutta e verdura fresche. direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas e docente all’Università di Milano

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n. 10 - 8 marzo 2012

Tecnologia SPIONAGGIO

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GADGET

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MONTAGGI DIGITALI

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MEDICINA

Non solo cyber

Intelligence

L’FBI PROVA CON FACEBOOK LA SEDE DELL’FBI DI QUANTICO, IN VIRGINIA

Da tempo governi e agenzie investigative stanno fiutando con interesse i social media. Anche se più con l’ingordigia dell’affamato catapultato nel Bengodi che con la finezza del buongustaio. L’idea è comunque quella di rastrellare informazioni a 360 gradi attraverso opportuni vagli. L’Fbi ad esempio ha appena pubblicato un bando rivolto alle imprese per la realizzazione di una app che, mescolando gli aggiornamenti dei social media e Google Maps, crei un sistema di allerta visivo in tempo reale

di tutto quello che succede nel mondo. Per i super poliziotti americani i social media, considerati “una fonte primaria di intelligence”, segnalano nel modo più rapido l’emergere di pericoli, crisi o situazioni inaspettate. E dunque la app dei federali dovrà monitorare, attraverso specifiche parole chiave, Facebook e Twitter; tradurre automaticamente i tweets stranieri selezionati in inglese; e mostrare vari livelli di minaccia attraverso degli alert di diverso colore posizionati sulle Google Maps. Carola Frediani

Robotica

Foto: L. Lanzano - Ap / Lapresse

Un automa alla casa di riposo Sembra un grosso peluche, ma ha una faccia tonda e piatta di silicone, dove spiccano i due occhietti e una bocca stilizzata. Si chiama Babyloid ed è l’ultimo ambizioso esperimento giapponese di robotica che dovrebbe tenere compagnia agli anziani. Il robottino infatti reagisce, come una sorta di tamagotchi evoluto, alle azioni delle persone. Attraverso i suoi molteplici sensori, che rilevano luce, pressione, accelerazione, temperatura, è in grado, a seconda del-

la situazione, di sorridere, di piangere, di addormentarsi se cullato. I led rossi e blu che si accendono sulle sue guance simulano contentezza o infelicità. Inoltre il peluche-droide può emettere oltre 100 suoni infantili. Il suo creatore, il professore Masayoshi Kanoh della Chukyo University, sostiene di averlo testato in una casa di riposo e di aver constatato un miglioramento dei pazienti depressi che interagivano con il tecno-infante per 90 minuti al giorno. C.F.

Più fotoritocco per tutti DI ALESSANDRO GILIOLI Nei primi anni Novanta, quando uscirono le prime versioni di Photoshop, ci sembrò quasi una magia poter creare in casa montaggi digitali di ogni tipo, “falsificando” quel reale che prima pensavamo eternato nella sua verità con uno scatto. Vent’anni dopo, il miracolo del fotoritocco è passato dai computer agli smartphone, per i quali escono continuamente nuovi programmi di alterazione - anche in pochi secondi - delle fotografie che abbiamo catturato. Si tratta di software semplici, economici, ancora piuttosto grezzi ma sempre più popolari: da Percolator a Interlacer, da Synthcam a True HDR, fino agli effetti cromatici molto basici inclusi in Instagram. Il loro risultato, seppur nelle diverse declinazioni, è comunque la manipolazione di un’immagine appena scattata (o di qualsiasi altra memorizzata nel proprio telefonino) che poi di solito viene spedita via mail o pubblicata su un social network, nei blog etc. Il tutto ha conseguenze ancora incerte ma forse in parte immaginabili. La prima è che si va creando una nuova forma artistica popolare, il fotomontaggio di massa in mobilità: e c’è chi (come l’americano Brian Roberts, noto su Instagram come “Doctor Popular”) ha già inaugurato la moda degli incontri pubblici con dozzine di persone per strada, tutte a fotografare, ritoccare, ricolorare e condividere in tempo reale. La seconda è che se negli ultimi dieci anni ci siamo abituati a considerare “autentica” una foto scattata e subito inviata da un telefonino (magari durante un evento pubblico, una catastrofe naturale etc) ora dovremo iniziare a dubitarne ancor prima che inizi a rimbalzare sui social media e nella Rete in genere. Un bene? Un male? Chissà. Come sempre, comunque, la rivoluzione digitale aiuterà a esercitare - allo stesso tempo il divertimento e lo scetticismo. www.piovonorane.it lE ’ spresso | 113


Tecnologia ASSISTENZA VIA INTERNET

SANITÀ 2.0

Condivisione di diagnosi e terapie. Tablet per monitoraggi costanti. E medici votati via Web. Così la guarigione diventa digitale COLLOQUIO CON SOUMITRA DUTTA DI ALESSANDRO LONGO nternet ci curerà. Un tablet si occuperà di noi quando saremo malati o anziani. Uno smartphone ci terrà in contatto con i medici. Sul Web condivideremo le nostre esperienze mediche con gli altri pazienti. E così non solo affronteremo meglio la malattia, ma anche contribuiremo alla ricerca di una cura. «È il fenomeno della sanità 2.0, che si sta diffondendo in tutto il mondo. Il paziente partecipa in modo più attivo alla cura, grazie a nuove tecnologie», dice Soumitra Dutta, che è docente dell’Insead (una delle prime business school al mondo, con campus in Francia, Israele, Emirati Arabi Uniti, Singapore) ed è considerato uno dei massimi esperti di innovazione nell’economia della conoscenza. Su questo tema, ha curato uno studio recente per il World economic forum. Secondo Dutta, la prossima innovazione che travolgerà le nostre vite sarà appunto la sanità 2.0. Nel bene e nel male. «Tutti i nostri dati medici e genetici saranno facilmente disponibili e alimenteranno, nei prossimi anni, il rischio “Grande Fratello”. Occorrerà diventare consapevoli della rivoluzione in corso, per dirigerla verso il meglio».

I

«Sì, ci sono eccessi. E il rischio di essere sviati. Ma il fenomeno ormai è valutato con serietà dalla comunità medica mondiale. Inevitabile, visto che il 63 per cento della popolazione americana usa Internet per trovare risposte sulla salute. Ci sono community di pazienti con decine di migliaia di iscritti da 40 Paesi nel mondo, come Patient like me (150 mila utenti) e eCancerhub, dove i pazienti dialogano fruttuosamente tra loro e con i medici». Con quali vantaggi?

«Tanti. Questi siti stanno cambiando il modo in cui viene offerta l’assistenza medica. Capita di essere un paziente italiano che scopre, da un altro utente, di una cura praticata in Australia. Che magari il suo medico non conosceva. Negli Usa i pazienti stanno dando voti ai medici sui siti, che funzionano così anche da guida alla scelta. Queste community sono fatte in modo da dare informazioni strutturate e pertinenti. Conducono per mano verso le risposte e i contatti giusti, evitando così il rischio di fuorviare l’utente. È indubbio, insomma, che Internet sta riequilibran-

do i rapporti di forza tra pazienti e medici, costretti a nuove sfide e a tenersi sempre aggiornati». Ma i medici sanno adeguarsi alla novità?

«Alcuni lo stanno già facendo. Lo si è visto al recente Insead Healthcare Italy Alumni Forum 2011, dove Eugenio Santoro, dell’Istituto Ricerche Farmacologiche Mario Negri, ha descritto come i medici europei e americani partecipano alle community on line. Oggi a farlo è il 16 per cento dei medici Usa, ma alla fine del 2012 saranno un terzo del totale. I ricercatori sono ancora più avanti: la nuova tendenza è l’open data. Condividere informazioni, tramite le nuove tecnologie, per inventare nuovi farmaci». La filosofia di Internet - apertura,condivisione di informazioni - a beneficio della salute.

«Esatto. E i primi frutti sono arrivati tra il 2010 e il 2011. Un progetto condiviso tra istituzioni mediche e sanitarie americane, con università e gruppi no profit, ha portato a passi avanti nella cura dell’Alzheimer. I partecipanti hanno condiviso dati di diagnosi su questa malattia. Era la prima volta che capitava. La ricerca medica è stata sempre mol-

Sarà uno smartphone a curarti

In che modo la sanità 2.0 è già realtà? O è ancora qualcosa di futuribile?

Foto: T. Pannell - Corbis

«Le faccio un esempio, che è un po’ la superficie di un fenomeno più ampio e profondo di quello che appare. Un “sintomo”, direi, tanto per restare nel tema: i milioni di utenti che vanno su Internet per informarsi su una malattia e condividere informazioni con altri».

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Sì, in Italia lo fanno già 16 milioni di persone,secondo il Censis. Ma spesso trovano informazioni fuorvianti e molti medici sconsigliano di analizzare un sintomo tramite il Web…

CONTROLLARE PRESSIONE, GLICEMIA E BATTITO CARDIACO Vari apparecchi portatili, collegati a uno smartphone, permettono di controllare i propri valori di pressione e frequenza cardiaca, e di mandare i risultati al proprio medico via rete mobile: iHealth Bp3, Pressione Sangue.

iBGStar Diabetes Manager per iPhone tiene invece sotto controllo la glicemia (dati raccolti con tecnologia elettrochimica dinamica). GRAVIDANZA Ci sono applicazioni (come Pregnancy Dashboard) per cellulari smartphone che registrano i movimenti del feto, ne rivelano la posizione e poi le contrazioni dell’utero prima della nascita. Tutti dati utili al ginecologo. Gli smartphone vanno collegati a sensori da appoggiare sulla pancia.

MONITORAGGIO COSTANTE INVISIBILE Da tempo ingombranti sensori ed elettrodi permettono di tenere sotto controllo, sempre, i propri dati medici, ma la nuova frontiera è farlo tramite tatuaggi semi-invisibili e temporanei. È una tecnologia microelettronica che incorpora sensori in miniatura. Monitora frequenza cardiaca o l’attività cerebrale. Può inviare i dati via wireless. Adesso questi tatuaggi sono usati per tenere sotto controllo i malati cronici, ma in futuro potrebbero essere applicati a chiunque, per scopi di prevenzione.

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Tecnologia

n. 10 - 8 marzo 2012

Che genio quella lente a contatto Una lente a contatto che analizza i livelli di glucosio presenti nel liquido lacrimale e trasmette i dati in modalità wireless a uno smartphone. Una manna per i malati di diabete che così potranno fare a meno di pungersi più volte al giorno con un ago per calcolare la quantità di zuccheri nel sangue. Si chiama Functional Contact Lens e la sta realizzando un team composto da ricercatori Microsoft e dell’Università di Washington. I singoli elementi, sensori e antenne incorporati nella lente per estrapolare e trasmettere le informazioni, sono già pronti; si lavora adesso per risolvere problemi come quello della bio-compatibilità del dispositivo. Per Desney Tan, di Microsoft, la Fcl rappresenta il primo passo per arrivare a trasmettere agli occhi informazioni sull’ambiente circostante senza bisogno di ingombranti ausili esterni come gli occhiali per la realtà aumentata; il preludio di un mondo in cui reale e virtuale saranno fusi fra loro. Dove, per esempio, verranno forniti ragguagli sugli oggetti in vendita senza bisogno di cartelli, o si verrà a conoscenza dell’identità di chi ci cammina accanto soltanto guardandolo. «Le possibilità», afferma Tan, «sono infinite». Federico Guerrini

to chiusa, in nome del business dei brevetti sui farmaci. È partito poi qualche mese fa un analogo progetto per la ricerca sul Parkinson. Alla fine del 2011, la multinazionale farmaceutica Eli Lilly ha lanciato una piattaforma Web aperta per trovare nuovi farmaci contro la tubercolosi, che è un’emergenza nei Paesi poveri. La piattaforma dà risorse informatiche che consentono ai ricercatori di analizzare molecole da cui possono nascere farmaci. Molti ricercatori hanno molecole ma non gli strumenti giusti, trovandosi in aree poco sviluppate».

ovunque si trova a tutti i dati medici su un paziente. Lo fanno anche al Niguarda di Milano e al Gemelli di Roma. Gli stessi strumenti permettono di fare le prime diagnosi a distanza: una foto di un sintomo può essere inviata al medico in un ospedale lontano. E con gli smart phone si possono inviare all’ospedale anche i file di una radiografia. Altri strumenti permettono di controllare l’iride o analizzare il suono della tosse e poi, sempre collegati a un cellulare, di mandare i risultati ai medici».

Quali saranno le tecnologie protagoniste della prossima rivoluzione della sanità?

«Le conseguenze estreme si vedranno però man mano che cresce l’intelligenza distribuita. Le tecnologie permettono già ora di prendere i dati genetici di una persona e dei familiari, e di dire quante probabilità si hanno di avere certi pro-

«Tablet e smartphone, con applicazioni. L’idea è sempre quella di facilitare la circolazione delle informazioni. Un medico, con un’applicazione, può accedere

GADGET CHE CONTROLLANO LO STILE DI VITA Ci sono apparecchi tascabili come Bodybug che calcolano le calorie assunte dai cibi e consumate con l’attività fisica, monitorando la traspirazione del corpo, le variazioni di temperatura corporea, il movimento. Applicazioni iPhone come MealSnap calcolano le calorie dei cibi fotografati.

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E poi?

TEST GENETICI FAI-DA-TE Alcune aziende, come deCODEme in Islanda e 23andMe negli Usa, permettono a chiunque di analizzare il proprio Dna e scoprire il proprio fattore di rischio nei confronti di certe malattie. Basta inviare loro un campione della propria saliva. Ma secondo uno studio dell’Erasmus University Medical Centre di Rotterdam i risultati hanno ancora ampi margini di miglioramento.

QUOTE ROSA IN BORSA

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FIAT E VOLKSWAGEN

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RCAUTO NEL SUD

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A forza di promettere poltrone per assicurarsi voti, Giorgio Squinzi, l’imprenditore che il presidente uscente Emma Marcegaglia fortissimamente vuole come suo successore al vertice della Confindustria, rischia di trovarsi già bella e fatta la squadra che l’accompagnerà in caso di vittoria. In pole position c’è Aurelio Regina, numero uno di Unindustria, l’associazione tra gli imprenditori di Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo. Alle sue spalle fanno capolino i presidenti di tre Confindustrie regionali: Andrea Tomat (Veneto), Gaetano Maccafer- GIORGIO SQUINZI CANDIDATO ALLA PRESIDENZA CONFINDUSTRIA ri (Emilia Romagna) e Ivan Lobello (Sicilia). Ma, in base al manuale Cen- Massolo. Ma c’è anche chi sussurra il nocelli rivisitato in chiave confindustriale, me del deputato Pdl Raffaello Vignali, ex uno strapuntino dovrebbero assicurarse- presidente della Compagnia delle Opere, lo anche tre ex: Diana Bracco (Assolom- il braccio imprenditoriale di Cl, che si sta barda), Antonella Mansi (Toscana) e dando molto da fare per Squinzi. In viaAlessandro Laterza (Bari). le dell’Astronomia arriverebbe pure, coPer quanto riguarda il toto-nomine me assistente del presidente, il direttore nella struttura, la direzione generale po- di Federchimica, Claudio Benedetti, che trebbe andare al direttore di Assolom- lascerebbe il posto all’assistente della barda, Antonio Colombo, o al segretario Marcegaglia, Giancarlo Coccia. generale della Farnesina, Giampiero Stefano Livadiotti

Di qui può sorgere il Grande Fratello dei dati medici. E chi si rifiuta di condividerli verrebbe visto con sospetto, come se avesse chissà quale malattia da nascondere.

«Sì, il pericolo è la perdita della privacy. Di finire tutti sotto una lente d’ingrandimento che analizza la nostra salute, facendoci subire le conseguenze di una sfortuna genetica o di un SONNO MIGLIORE cattivo stile di vita. È ineviUn’applicazione per iPhone tabile però che i dati vengae per Android che si chiama no aggregati, una volta che Zeo Sleep registra ed elabora finiscono in mobilità». La soluzione, allora, per evitare il pericolo?

«Nuove regole comuni: oggi la normativa sulla privacy differisce molto tra Usa ed Europa. E poi dovremo imparare che i nostri dati medici stanno diventando più accessibili e meglio distribuiti, grazie alle nuove tecnologie. E quindi condividerli con prudenza, in modo affidabile. Perché alla fine questa rivoluzione contribuisca a sopprimere le malattie, non la nostra libertà personale». ■

IL CASO GOLA

Manuale Cencelli all’Eur

blemi di salute. Immaginiamo di aggiungervi le informazioni sullo stile di vita (fumi, sei sovrappeso?) e i dati medici (pressione, glicemia, passate operazioni chirurgiche…). Tutto è ottenibile in automatico: tramite sensori collegabili (e in futuro integrabili) in un cellulare. Alcuni software permettono di analizzare tutta questa mole di dati e ti danno una carta d’identità medica, per curarti meglio o per prevenire. Oppure per valutare i costi di un’assicurazione sanitaria».

le fasi del sonno, consigliando come migliorarlo. Un materassino gonfiabile (Touch Free Life Care) creato dalla californiana Los Galatos monitora la qualità del nostro sonno, con sensioni che rilevano le variazioni di pressione per stabilirne la causa.

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Confindustria Squinzi in azione

Sondaggio

Per il manager l’art. 18 è da bocciare

Foto: P. Scavuzzo - AGF

SOUMITRA DUTTA

Economia

Alzare il costo del lavoro precario per renderlo meno appetibile per le imprese; introdurre il contratto unico per i giovani; concedere sconti fiscali alle aziende che assumono giovani, donne e ultracinquantenni. Sono le proposte dei manager italiani al governo per riformare il mondo del lavoro, emerse da un sondaggio realizzato da AstraRicerche per conto di Manageritalia, organizzazione con 35 mila iscritti in 9 mila società. Dall’indagine, che

ha coinvolto 840 dirigenti e quadri aziendali, emerge anche un giudizio negativo sull’articolo 18. Il 35,2 per cento degli interpellati si dichiara “molto” favorevole alla sua abolizione. Sommato al 29 per cento che è “abbastanza” d’accordo, si arriva al 64,2 per cento. Bisogna comunque puntare anche sulla lotta al lavoro nero e riformulare il sistema di ammortizzatori sociali, prevedendo il salario minimo garantito solo per chi è

COME SALVARE L’EURO

La cifra della settimana

514.545 lavoratori interinali Nel 2011 il numero dei lavoratori interinali (in affitto) è tornato ai livelli del 2006, non distante dal massimo del 2007

Fonte: Ebitemp

Rotaia sicura In Piazza della Croce Rossa, sede delle Ferrovie dello Stato capitanate da Mauro Moretti, stanno ancora gongolando per una tabella allegata alla relazione annuale dell’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (Ansf) pubblicata a fine febbraio. I dati dell’Ansf diretta da Alberto Chiovelli parlano chiaro: da un confronto europeo emerge che nel 2011 gli incidenti sulla rete italiana sono stati inferiori rispetto al valore medio di Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Infatti il numero di incidenti ponderato sui milioni di treni per chilometro (il rapporto utilizzato all’Ansf) fa segnare 0,369 per la Rete ferroviaria italiana (Rfi) delle Fs, rispetto a un valore medio di 0,385. Tra sette tipi di incidenti vagliati dall’Ansf, solo in un tipo Rfi supera i valori medi. M.A.

disposto a seguire corsi di formazione e ad accettare un eventuale reimpiego a livelli più bassi e in altre zone geografiche rispetto a quelle in cui ha perso il posto. E la cassa integrazione? Solo per le aziende con effettive prospettive di crescita, non per quelle decotte. Interessante la stilettata rifilata ai “padroni”: per il 75 per cento degli interpellati, infatti, gli imprenditori non sono in grado di realizzare una svolta culturale, nel segno della collaborazione e della partecipazione, capace di migliorare il modo di lavorare in azienda. M.M. lE ’ spresso | 117


Economia RIVOLUZIONE IN BORSA Parte la scalata di mille donne ai posti di comando nelle società quotate. Ecco chi sono e come si preparano al grande salto DI CAMILLA CONTI

L’effetto delle quote nei consigli d’amministrazione… 2.500 2.000

1.000

ia il doppio petto, largo al tailleur. Un esercito di mille donne sta per cacciare altrettanti uomini accomodati fino a oggi nei consigli d’amministrazione di Piazza Affari. La prima tornata di nomine scatta tra pochi mesi. Tutti gli organi sociali in scadenza dal 12 agosto di quest’anno - dice la legge - vanno rinnovati riservando una quota pari ad almeno un quinto dei propri membri al genere meno rappresentato: le donne. A regime, la rappresentanza verrà poi elevata a un terzo dei componenti degli organi. Tradotto in numeri, dovranno essere inserite nei board delle società quotate almeno 469 donne. Ma quando alla fine del prossimo triennio la norma si farà più stringente ne serviranno altre 351. Significa dover rintracciare circa 700 consigliere e 200 sindaci già entro la fine del 2015. Una rivoluzione, considerando che oggi è rosa solo l’8 per cento degli amministratori. E c’è chi gioca d’anticipo come Unicredit, che punta a rispettare il quinto di consiglieri donna già con la prossima assemblea, l’11 maggio. Ma ci sono abbastanza signore con i requisiti richiesti? I maschi dubitano e per questo fanno resistenza. Ma le lobby sono in grado di produrre liste per tutte le poltrone. Il reclutamento passa prima dai cacciatori di teste. Egon Zehnder è in missione per conto di Assogestioni, l’organismo che predispone le liste di minoranza in assemblea. Heidrick&Struggles e Beyond International, su 2.300 curriculum

V

hanno già avviato la selezione di 1.700. «Ma attenzione a non seguire i vecchi schemi», avverte Tiziana Del Vecchio di Management Search, ricordando che oggi su 23 donne presenti nei board delle 40 quotate al Ftse Mib, solo 15 non hanno legami di parentela con la proprietà o comunque non sono state chiamate per appartenenza a noti gruppi imprenditoriali. Gli azionisti devono invece puntare su donne di valore come è successo a Pisa, dove Gina Giani è stata chiamata tre anni fa dai colleghi maschi al timone della Sat, la società che gestisce l’aeroporto. Nel marzo 2009, alla scomparsa del numero uno Pier Giorgio Ballini, il cda all’unanimità l’ha nominata direttore generale e due mesi dopo anche amministratore delegato. O come nel caso di Patrizia Grieco che ha portato la sua esperienza di amministratore di Olivetti in dote nel cda di Ferretti Yacht. Un’altra ad donna è Donatella Treu del Sole 24 Ore. Perché il problema di genere non si risolve aggiungendo un posto a tavola alle mense dei poteri. Va cambiata la cultura, da entrambe le parti della barricata. «Bisogna ancora capire», sottolinea Roberta Marracino di McKinsey, «quali saranno gli effetti non solo sull’area di governo e controllo societario ma anche in tutta la parte operativa di prima e seconda linea che sta sotto l’amministratore delegato. E come attivare una serie di iniziative aggiuntive, che esulano dalle quote: ci sono ancora distorsioni da correggere nelle aziende, a cominciare dai pregiudizi impliciti, che riguardano le valutazioni dei

VALANGA ROSA

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Numero donne in entrata 820

1.500

500

Attuale presenza di donne 182

Numero uomini in uscita 820

Numero uomini a regime 1.708

0

…e nei collegi sindacali 800 700

Numero uomini in uscita 219

600 500 400 300 200 100

Numero donne in entrata 219 Attuale presenza di donne 50

Numero uomini a regime 517

0

manager e il gap salariale. Il problema parte da lontano se già all’università alla domanda relativa sulle attese di stipendio le ragazze si aspettano mediamente il 15 per cento in meno dei ragazzi». L’8 febbraio la Consob ha stabilito le regole per garantire la realizzazione delle quote rosa negli statuti con una decisione a favore del genere meno rappresentato: in primo luogo prevedono l’arrotondamento della quota per eccesso all’unità superiore. In pratica, in un consiglio d’amministrazione di 11 persone, la “quota di un terzo” riservata alle donne è pari non a tre, ma a quattro membri. «Questa regola porterà già al primo rinnovo almeno una donna nei collegi sindacali, che di solito sono composti di tre persone», spiega Livia Amidani Aliberti, fondatrice della Aliberti Governance Advisors. In secondo luogo, le liste di minoranza non hanno l’obbligo di presentare candidature femminili. Una regola apparentemente contraddittoria, ma che si può DALL’ALTO, IN SENSO ORARIO: ANNA PUCCIO, PATRIZIA GRIECO, LUCREZIA REICHLIN 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 119


Economia

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Per legge o per moral suasion

Figlie d’arte Vincerà il merito o prevarrà il privilegio dinastico di mogli, figlie, sorelle e “amiche di”? Le quote rosa in Italia rischiano, infatti, di sbiadire nel gran calderone del capitalismo familiare, dove proprietà e gestione tendono a confondersi. Uno studio della Consob ha evidenziato che nel 47,3 per cento dei board in cui sono presenti donne, vi sono legami familiari con l’azionista di maggioranza. E che sulle 173 posizioni di consigliere occupate da donne, oltre la metà (94) appartengono alla famiglia azionista di riferimento o di controllo della società. Non solo. Dove c’è almeno un consigliere donna il cda si incontra 11 volte l'anno, meno di quanto avvenga quando il consiglio è di soli uomini. Se il consigliere donna appartiene alla famiglia che controlla l'azienda, le convocazioni del cda crollano: meno di 8 volte l’anno. I 79 consiglieri femmine senza legami con gli azionisti si concentrano nelle società maggiori. Ma anche fra le big non mancano le golden girl, tutte casa e azienda. Le più note? Azzurra Caltagirone, Marina, Barbara ed Eleonora Berlusconi, le sorelle Jonella e Giulia Ligresti. Si stanno affermando due giovanissime figlie d'arte, Veronica Buzzi e Giada Tronchetti Provera (rispettivamente nel cda di Buzzi Unicem e Camfin). Nel board della Roma è entrata Benedetta Navarra, avvocato, figlia del costruttore Claudio, consigliere giallorosso negli anni ’80. Fuori da Piazza Affari fa esperienza la trentenne Clementina Montezemolo, figlia di Luca e di Barbara Parodi Delfino: siede nei cda delle cassaforti di famiglia, la Fi.Svi srl, e Fi.Svi Holding.

modare una donna su tre. Le quotate che, come prassi, rinnoveranno i propri organi nella primavera del 2012 non saranno quindi ancora soggette alle nuove norme. C’è però chi si è già mosso, come Atlantia che ha cooptato fra i consiglieri indipendenti Monica Mondardini amministratore delegato del Gruppo L’Espresso (editore di questa testata). Qualche apertura è attesa nella galassia Agnelli che deve rinnovare il consiglio di Exor, Fiat spa e Fiat Industrial attual-

Nell’Unione europea solo il 12 per cento dei membri dei cda delle grandi imprese quotate sono donne e solo il 3 per cento sono amministratore delegato. Appena 23 società europee, tra quelle quotate in Borsa, hanno sottoscritto l'impegno volontario di portare la quota delle donne nei consigli al 30 per cento entro il 2015 e al 40 entro il 2020. Il primo Paese europeo a introdurre le quote rosa (pari al 40 per cento) è stata nel 2006 la Norvegia. Diversa la strada intrapresa dalla Germania, che sta provando con la “moral suasion”: il governo ha invitato le società a raggiungere, entro il 2015, il 20 per cento di presenza femminile. In caso contrario, una legge introdurrà una quota obbligatoria. Anche Olanda e Belgio hanno ritenuto di disciplinare la diversità di genere mediante semplici "raccomandazioni". Spagna e Francia hanno invece introdotto uno specifico obbligo di legge al fine di far rispettare l'equilibrio tra i generi nella composizione degli organi delle società quotate. Il Parlamento francese, in particolare, ha approvato l'8 febbraio una legge pro quote rosa nell'alta funzione pubblica: il 40 per cento dei posti di alti funzionari nel settore pubblico e nei consigli di amministrazione deve diventare femminile entro il 2018. Quanto all’Inghilterra, lo scorso 25 febbraio un report commissionato da Cameron ha raccomandato di assegnare alle donne almeno un quarto delle poltrone delle grandi compagnie britanniche entro il 2015. ALESSANDRA PERRAZZELLI. A SINISTRA: CLEMENTINA MONTEZEMOLO

mente orfana di donne in cda. Luxottica aumenterà la rappresentanza femminile già con l’assemblea del 27 aprile: dal board uscirà Sabina Grossi, madre dei due figli ultimogeniti di Leonardo Del Vecchio, sostituita da Elisabetta Magistretti che siederà a fianco di Anna Puccio chiamata al posto di Gianni Mion. Prendono invece tempo alle Generali, anche se dopo l’addio di Ana Botin, nel board triestino è rimasta solo una donna (Paola Sapienza) su 18 componenti. «La legge è temporanea e serve per creare un sistema che si auto-perpetua, non è un’imposizione perenne», ricorda Anna Gervasoni, direttore generale dell’Aifi, l’associazione del private equity dove le donne in posizione di vertice si contano sulle dita di una mano. «Qualcosa però sta cambiando: al master che dirigo all’Università Cattaneo di Castellanza, quest’anno per la prima volta l’aula è divisa a metà tra maschi e femmine». «L’importante è scardinare un mondo chiuso come quello della finanza che vive di cooptazione e si autoalimenta», afferma Rosalba Casiraghi, già membro del consiglio di sorveglianza di Intesa e del cda del nuovo Fondo Strategico della cassa Depositi e Prestiti, ma soprattutto fondatrice di Nedcommunity, l’associazione che raccoglie e forma gli amministratori indipendenti: «Quando la metà degli amministratori delegati saranno donne, allora saremo a posto». ■

Il who’s who delle Lady finanza Signore già avvezze ai cda, stelle emergenti pronte a farsi spazio, regine delle associazioni “rosa” pronte a passare da lobbiste a dirigenti. Ecco chi sono LA DECANE Elisabetta Magistretti

Foto: Imagoeconomica (8) Foto pag.118-119: A. Bernasconi, S. Oliverio - Imagoeconomica, A. Paris - Imagoeconomica

spiegare con un esempio: per un cda di 5 persone, la maggioranza presenta una lista di 5 nomi, fatta di quattro uomini e al quinto posto una donna. Senza candidati di minoranza, passano tutti e 5. Ma con la presentazione di una lista di minoranza, il quinto nome “rosa” sarebbe saltato, scaricando sulla stessa minoranza l’onere di rispettare la quota femminile per non perdere il diritto alla poltrona. Ora questo gioco è stato scardinato. L’avanzata delle manager nei posti di comando non sarà comunque traumatica per i colleghi maschi. Secondo i calcoli di Aliberti si tratta di un flusso di circa 100 donne l’anno, spalmato nell’arco di due trienni. Questo consentirà di evitare il fenomeno delle “golden skirts”, le gonnelle d’oro, come sono state chiamate in Norvegia - il primo paese a imporre le quote - le manager che hanno accumulato anche dieci incarichi per rispettare il termine stretto di due anni. Il regolamento Consob è stato una prima vittoria. Lo sanno bene le centrali operative delle lobby in gonnella che stanno affilando le armi per la caccia alle poltrone. Le eminenze rosa si moltiplicano e fanno squadra. «L’ombrello dell’associazione spinge la carriera, l’isolamento non paga. Ma chi vuol portare la palla in rete deve essere bravo, non ci sono santi e vale anche per le donne», spiega Alessandra Perrazzelli, dirigente di Intesa Sanpaolo nonché presidente di Valore D, che harealizzato per le socie un kit di formazione al ruolo di consigliere. Pwa sta invece portando avanti il progetto Ready for Board Women in collaborazione con l’Osservatorio sul Diversity Management di Sda Bocconi: «La lista dei nomi è disponibile gratuitamente nel sito di Pwa», sottolinea l’avvocato Romina Guglielmetti, membro dell’advisory board del progetto, che punta a un dossier di profili aggiornato periodicamente. Anche se il grosso dei cambi di poltrone avverrà nel 2013 con il rinnovo di una novantina di società, chi presenta i conti al 30 giugno di quest’anno dovrà adeguarsi per essere pronto all’esame sulla governance di fine anno. Partendo dai collegi dei sindaci perché la regola dello zero virgola che vale uno fa subito acco-

ex capo dell’InternaI Audit di Unicredit, poi nei cda di Gefran, Pirelli, Mediobanca, è candidata a entrare nel board di Luxottica. Lucrezia Reichlin cattedra alla London business school, è consigliere indipendente in UniCredit. Si fa il suo nome per la presidenza. Laura Iris Ferro

psichiatra, ha fondato la società

biotech Gentium quotandola al Nasdaq. Dal 2011 è presidente del Pio Albergo Trivulzio. IN ASCESA Maria Elena Cappello

Stefania Chiarruttini consulente della Procura di Milano per il processo Parmalat, membro dell’organismo di vigilanza di Mediobanca e fresca di nomina nel consiglio Bpm. Gettonata per i ruoli di risanatrice.

Chiara Pizzamiglio bocconiana, è diventata tesoriere di Telecom Italia nel 2004. Dal 2010 occupa una poltrona nel cda della controllata Telecom Italia Capital Sa.

numero uno di Nokia Siemens Networks Italia, è al culmine di una lunga carriera nelle tlc ma ha anche un’esperienza da imprenditrice.

Laura Cioli chief operating officer di Sky Italia. È stata amministratore delegato ad interim della filiale tricolore.

Lorenza Pigozzi portavoce dei vertici di Mediobanca (dal 2003 dirige l’ufficio comunicazione e relazione esterne di Piazzetta Cuccia), dal novembre scorso è nel cda della controllata Chebanca.

Elisabetta Olivieri ingegnere meccanico, ex amministratore delegato alla Sirti. Oggi è consigliere di Snam Rete Gas e occupa una poltrona nel cda Atm, in quota rosa della giunta Pisapia.

Barbara Cominelli direttore pianificazione di Tenaris Dalmine fino al 2010, è capo pianificazione e outsourcing management di Vodafone. Premiata donna manager 2009 da Federmanager.

Anna Doro Tempestini dal 2010 responsabile dalle funzioni di governance e controllo di Barclays. Si è fatta le ossa nello studio Clifford Chance e nelle banche Citi e Salomon Brothers.

FRA LOBBY E POLTRONE Lella Golfo

promotrice della legge Golfo-Mosca sulle quote rosa, deputata del Pdl e fondatrice e presidente della Fondazione Marisa Bellisario. Rosalba Casiraghi

già membro del consiglio di sorveglianza di Intesa e del cda del Fondo Strategico della Cassa Depositi e Prestiti, ha fondato Nedcommunity, associazione che raccoglie gli

amministratori indipendenti per formare consiglieri “senza casacche”. Alessandra Perrazzelli dirigente di Intesa Sanpaolo, consigliere di amministrazione di Atm ma anche presidente di Valore D, l’associazione di grandi imprese nata per promuovere la leadership femminile in azienda. Simona Scarpaleggia ex presidente dell’associazione Valore D, dal 2007 al 2010 ha diretto il retail di Ikea Italia. Poi, ha fatto carriera e da due anni ha preso il timone di Ikea Svizzera. In dote porta l’esperienza in una

multinazionale ma anche i contatti accumulati alla guida dell’associazione. Anna Puccio

ha lavorato alla Microsoft e alla Procter&Gamble, ex amministratore delegato di Sony Ericsson Italia. Oggi siede nel board di Buongiorno, ma sta per entrare nel consiglio di Luxottica al posto di Gianni Mion. È socia fondatrice del Comitato Pari o Dispare. Livia Aliberti commercialista, esperienza in Consob, fondatrice della Aliberti governance advisors.

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Economia CREDITO E POLITICA

Quella banca fa

GOLA

Ambizioso. Con amici bipartisan. Ecco il socio di Paolo Berlusconi. Che fa tremare la Fondazione di Cuneo DI LUCA PIANA

N

PAOLO BERLUSCONI. IN ALTO: GIANLUIGI GOLA

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in città lo rincorrono da due anni, relative alla sua rumorosa salita al vertice di Ubi Banca, quarto gruppo creditizio italiano, che comprende la Popolare di Bergamo, il Banco di Brescia e la cuneese Banca Regionale Europea (Bre). La vicenda ha inizio il 22 febbraio 2010 quando la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, primo azionista italiano di Ubi con il 2,2 per cento, conferma ufficialmente nel consiglio di gestione del gruppo il suo rappresentante, Piero Bertolotto, storico uomo di fiducia dei cuneesi per i rapporti con i big di Ubi, dal presidente Corrado Faissola al consigliere Giovanni Bazoli. Passano venti giorni, però, e la Fondazione si rimangia la nomina, dirottando Gola sulla poltrona. Che cosa è successo? Sulla questione si dibatte da due anni, tra denunce alla magistratura, interrogazioni parlamentari (l’ultima è di febbraio) e infuocate sedute in consiglio comunale. Dove la Fondazione è un argomento bollente,

viste le ricche donazioni sul territorio. Le polemiche, in effetti, hanno fatto emergere un discutibile intreccio di interessi. Lo racconta, ad esempio, una sentenza emessa di recente in favore del senatore Giuseppe Menardi, ex Pdl poi finiano ora Responsabile, uno dei critici più accaniti del commercialista-editore. Gola l’aveva querelato al vicino Tribunale di Saluzzo per uno scritto nel quale Menardi ricostruiva una serie di informazioni che il giudice Alberto Boetti, nell’ordinanza di archiviazione, ritiene «non contestate». In sintesi: nell’anno precedente la sua nomina in Ubi, una società di famiglia di Gola versa 200 mila euro nelle casse di un’azienda informatica in difficoltà di proprietà di Ezio Falco, presidente della Fondazione CariCuneo, diventandone azionista. Ope-

Ubi sotto assedio C’è un onorevole che tenta la scalata al vertice di Ubi Banca. Si chiama Giorgio Jannone, Pdl, amministratore delegato delle Cartiere Pigna: ha costituito l’associazione Azionisti Ubi, è di Bergamo ed è critico nei confronti dell’attuale dirigenza. Da un anno la sua associazione raccoglie aderenti, organizza incontri con i sindacati e cerca consensi. Tra gli ultimi, quello della Compagnia delle Opere: ma il leader bergamasco della Cdo, Rossano Breno, pur contattato, ha preferito bussare alla porta del gruppo storico di governo della banca. Ed è stato ricompensato con un posto nel consiglio di amministrazione della controllata Popolare di Bergamo. Jannone ha invece trovato alleati nell’altra associazione costituitasi in contrasto con i vertici Ubi, la “Tradizione in Ubi Banca”, nata all'interno della partecipata cuneese Bre. Obiettivo comune: dare uno scossone agli attuali equilibri in vista dell’assemblea di aprile, in un istituto in cui si vota con il sistema delle popolari “una testa un voto”. «Nei dati che ho a disposizione non vedo la robustezza della banca rivendicata dall’amministratore delegato Victor Massiah», dice Jannone. E, anche se non vuole ancora annunciare sorprese in assemblea, chiede a gran voce di contare. Rosella del Castello

Foto: F. Cavassi - AGF

on indossa gli occhiali da sole a colazione e, almeno in pubblico, non calza pantofole in raso arabescato. A Cuneo, però, il commercialista Gianluigi Gola a qualcuno ricorda un po’ Flavio Briatore, uno dei suoi conterranei più noti alle cronache. Gli abiti non c’entrano: Gola, 47 anni, banchiere in ascesa ed editore in affari sempre più stretti con Paolo Berlusconi, è solito mostrarsi in vestito grigio. In una città dove il basso profilo è un dovere, il suo stile non passa tuttavia inosservato. E chi lo conosce racconta, con un filo d’invidia, di macchinone con autista, di memorabili feste di compleanno, di gite a Montecarlo per il Gran Premio, dov’è solito fare da anfitrione ai suoi ospiti. In queste settimane, al di là del gossip, la carriera di Gola è sulla bocca di tutti per due motivi diversi. Il primo è recentissimo: a fine gennaio ha rilevato da Paolo Berlusconi una serie di riviste, dal mensile “Espansione” al “Giornale delle Assicurazioni”, dando in cambio al fratello di Silvio il 10 per cento della sua casa editrice, il Polo Grafico, che pubblica l’edizione piemontese del quotidiano “il Giornale”. Il secondo motivo riguarda le polemiche che

razione che per il giudice suscita «perplessità», in quanto all’epoca Gola aveva un delicato ruolo di controllo sulla Fondazione, come presidente del collegio sindacale. A rendere più opaco il quadro, si aggiunge la denuncia fatta in questura un anno fa dallo stesso Bertolotto. I soldi arrivati a Falco sarebbero in parte usciti dalle tasche di un costruttore, socio di Gola. Il quale era stato incaricato dalla Fondazione di fare alcuni lavori edili. Cercato da “l’Espresso”, Gola non si è reso disponibile. Falco, invece, respinge il sospetto di essersi fatto condizionare e, senza entrare nei fatti specifici, ripete la sua posizione. E cioè che Bertolotto è stato allontanto per il venir meno del rapporto di fiducia: avrebbe effettuato da solo alcune nomine che andavano concordate in Fondazione. E il Tesoro, in un’ispezione effettuata con Giulio Tremonti ministro, non ha avuto da obiettare. La Fondazione, però, resta un nervo scoperto e i comportamenti dei protagonisti vengono vivisezionati. Qualche tempo fa Gola si è precipitato in una filiale Bre per aiutare «un amico», come l’ha definito lui stesso, che voleva incassare degli assegni scoperti (lo ha scritto il settimanale “ViverMeglio”), in una giornata confusa che ha visto accorrere anche i carabinieri. Mentre hanno destato sorpresa i nomi di due soci della sua Paper-One, che ha comprato le riviste di Berlusconi: Pierfranco Risoli, uomo d’affari in area Pd, e Luca Delfino figlio di Teresio, ex sottosegretario Udc. A Cuneo quest’ultimo dettaglio sembra confermare l’esistenza di un establishment trasversale, che va dal berlusconiano Gola a Falco. Il quale, in città, si era affermato negli anni Novanta con una lista civica di centro-sinistra, alla quale appartiene anche l’attuale sindaco Alberto Valmaggia. Ora, però, alle primarie di novembre ha vinto un candidato fuori dai giri, Gigi Garelli, osteggiato sia da Valmaggia sia da pezzi del Pd. Se Garelli si imporrà alle elezioni, c’è l’attesa che possa fare piazza pulita di un potere che dura da troppi anni. In municipio c’è una lapide che ricorda come i cuneesi, nella storia, abbiano resistito a ben sette assedi, dalla guerra franco-spagnola del Cinquecento alla Resistenza. Ora, però, gli assedianti da sconfiggere non circondano le mura. Sono all’interno, e occupano poltrone. ■

Avviso ai naviganti Massimo Riva

Se la Volkswagen venisse in Italia C’ERANO UNA VOLTA IN EUROPA due

grandi aziende automobilistiche che facevano la parte del leone soprattutto sul mercato delle vetture più popolari. La prima, tedesca, a prevalente controllo pubblico. La seconda, italiana, privata - anzi, privatissima perché sotto la guida azionaria di una singola famiglia - ma che non disdegnava aiuti pubblici sotto ogni forma, diretta o indiretta. La crisi economica più recente, esplosa nel 2008, ha messo entrambe in serie difficoltà per la robusta caduta della domanda di automobili. I dirigenti dell’una e dell’altra sono stati costretti a darsi parecchio da fare per evitare grossi guai e però seguendo percorsi assai diversi. I tedeschi hanno scelto di accrescere i loro investimenti, puntando tutto sul versante dell’offerta sul mercato di modelli nuovi o comunque rinnovati. Gli italiani hanno preso la strada opposta, tagliando sia gli investimenti sia l’offerta. E quando l’incubo di un fallimento pareva fin troppo vicino hanno fatto la brillante trovata di uscire dai confini dell’Europa per andare negli Usa a salvare - con il sostanzioso contributo del governo di Washington - la Chrysler e insieme a essa quel che restava del capitale della famiglia Agnelli. La mossa americana si è rivelata anche rapidamente vincente ma ha comportato il danno collaterale di un semiabbandono dei mercati europei e di quello italiano in particolare. Scelta giustificata col fatto che, mentre negli Usa la domanda di automobili apriva buone prospettive di vendite, nel vecchio continente il calo degli acquirenti rendeva inutile l’impegno a offrire nuovi prodotti sul mercato. Cosicché, senza volerlo, la ritirata del gruppo italiano ha creato condizioni

ancora più favorevoli al successo della strategia dei tedeschi che hanno prepotentemente allargato le loro quote di mercato tanto in Europa che altrove nel mondo. Il risultato di questi percorsi divergenti è oggi sotto gli occhi di tutti. La tedesca Volkswagen ha annunciato un preconsuntivo 2011 con un utile di 16 miliardi pari a circa il 10 per cento del fatturato: un record straordinario. Mentre la Fiat, pur potendosi gloriare del successo americano, è costretta a definire essa stessa un peso morto la sua presenza produttiva soprattutto in Italia. Tanto che il suo boss, Sergio Marchionne, si è spinto a dichiarare che o si riusciranno a vendere negli Usa molte vetture prodotte in Italia oppure egli si vedrà costretto a chiudere almeno due dei cinque impianti ancora semiaperti nel paese. Annuncio sorprendente perché riporta al nodo cruciale dei modelli di auto. L’unica e reale novità Fiat che esce ora dagli stabilimenti italiani è la Panda allestita a Pomigliano. Davvero Marchionne immagina di invadere il mercato Usa con la Panda? Avrebbe fatto più presto a dire che la Fiat intende ritirarsi dall’Italia per concentrarsi negli Usa, come in fondo sognava già di fare l’avvocato Agnelli. Ma poiché Fiat e produzione d’auto sono in Italia la stessa cosa ciò significa che il paese rischia di perdere presto un’industria manifatturiera di peso, non solo occupazionale, assai rilevante. La morale della favola è che forse il premier Monti farebbe bene a correre in Germania per chiedere a Herr Piech, il lungimirante capo di Vw, che cosa gli serve per aprire qualche stabilimento a casa nostra. Le paghe tedesche, oltre tutto, sono il doppio di quelle italiane. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 123


Economia ASSICURAZIONI

GIUNGLA

Benvenuti al Nord Costo di RcAuto in euro per una VW Golf 1.9 TD di nuova immatricolazione, massimale 2.500.000 euro, guida libera

RcAuto

Conducente uomo, 45 anni, classe di merito 14 ALLIANZ UNIPOL ZURICH

A Napoli si spende il triplo che a Bergamo. Anche perché molte compagnie preferiscono evitare il Sud DI CORRADO GIUSTINIANI

U

minato accettano di stipulare la polizza Rc pura e semplice, senza furto, danni e altre garanzie. A Napoli Unipol e Zurich praticano tariffe quasi identiche. Se questo confronto è lo spaccato di quanto avviene in Italia, verrebbe il sospetto che le tariffe del Sud servono a finanziare gli sconti praticati non solo a Bergamo, ma in varie altre città del Nord. Le compagnie di assicurazione che operano nell’RcAuto fuggono dal

1.062,50

1.234,72

1.058,11

Latina

2.039,00

1.927,89

2.349,96

Foggia

2.159,00

2.252,14

3.195,71

Napoli

2.869,00

3.461,44

3.500,00

Fonte: Sindacato nazionale Agenti

Mezzogiorno: secondo una stima dello Sna, il Sindacato agenti di assicurazione, oltre 1.500 agenzie sono andate perdute, lasciando ai margini più di 1.000 professionisti e un indotto di oltre 5 mila operatori dipendenti e collaboratori subagenti. Molte compagnie, poi, nel Mezzogiorno non hanno mai messo piede. Su un totale di 61 imprese RcAuto, soltanto 24 operano con agenzie in tutto il territorio nazionale.

Foto: S. Pellecchia - prospekt

n automobilista maschio, di 45 anni, classe di merito 14, che voglia assicurare una Golf 1,9 diesel, se risiede a Bergamo se la cava con 1.000 euro e spiccioli, ma già a Latina deve sborsare il doppio. A Foggia la tariffa sale ancora e a Napoli triplica, come mostra la tabella che pubblichiamo nella pagina a fianco. Da Latina in giù, poi, le tre compagnie che abbiamo esa-

Bergamo

A fare le spese di tutto questo sono gli automobilisti meridionali, costretti a pagare polizze d’oro, a parità di classi di merito. Minor presenza sul posto significa minor concorrenza e quindi libertà di applicare aumenti tariffari senza il rischio di perdere clientela. Non c’è indice di maggior sinistrosità che giustifichi una forbice così esagerata. Che la minor concorrenza sia una causa dei rincari lo ha sottolineato anche

l’Autorità Antitrust, nel suo Rapporto sul settore presentato il 12 ottobre scorso al Senato. Comparando Palermo e Roma, risulta che, a parità di frequenza dei sinistri (elevata), il minor numero di compagnie presenti nel capoluogo siciliano rispetto alla capitale, comporta un tasso di crescita dei premi quasi triplo. L’Antitrust ha poi confrontato due città del Mezzogiorno, Bari e Reggio Calabria, dove la crescita dei premi è risultata del 30 per cento maggiore rispetto alla città pugliese proprio a causa della minor presenza di operatori. Sempre l’Antitrust ha inflitto nel 2011 una multa di 450 mila euro all’Ina-Assitalia, per avere disdettato decine di migliaia di polizze in Campania, Puglia e Calabria a utenti considerati non redditivi, senza spiegare loro il perché e senza inviare l'attestato di rischio. In cambio di un rinnovo contrattuale la compagnia avrebbe preteso un forte aumento offrendo, anche in questo caso, la sola garanzia responsabilità civile auto. Ma le multe lasciano un po’ il

tempo che trovano: le compagnie le ricaricano sulle tariffe. Stesso effetto avranno le 14 istruttorie avviate dall’Isvap, l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni, contro altrettante compagnie che pretendevano premi annui fino a 8.500 euro per eludere l’obbligo a contrarre che la legge prevede anche a carico delle imprese. Le prime sei si sono concluse con sanzioni per complessivi 6 milioni di euro. Se le compagnie tradizionali lasciano il Sud, quelle telefoniche lo evitano: da varie zone del Mezzogiorno è tuttora impossibile ottenere un preventivo, formando il numero verde di imprese fra le più più pubblicizzate, mentre via computer non si riescono a compilare tutti i dati. Finti incidenti e truffe varie non possono essere l’eterno movente per rendere il sistema tariffario sempre meno mutualistico. La verità, secondo l’Autorità Antitrust, è che le compagnie non dedicano energie sufficienti per scovarle, come avviene invece in Francia e nel Regno Unito. ■


Economia Alberto Alesina Qui Harvard

Quattro consigli per salvare l’euro stata un fallimento la moneta unica? Oppure le difficoltà dell’euro sono passeggere e l’unione monetaria rimane un’ottima idea? Per dare risposte intelligenti a queste domande la prima cosa da fare è evitare gli slogan: ne abbiamo sentiti tanti fin dalla nascita dell’euro. Prima di tutto i proclami di quegli europeisti ingenui e irritanti secondo cui qualunque passo verso più integrazione in Europa, con più Paesi possibile, era sempre e comunque una meraviglia. Dall’unificazione dei regolamenti sulla pesca all’agenda di Lisbona, alla moneta unica, alla Costituzione europea con centinaia di articoli dettagliatissimi cui 27 o più Paesi dovevano tutti aderire. GRAN PARTE DI TUTTO CIÒ (a cominciare dalla fallita Costituzione europea) era solo retorica, quasi innocua, a parte per la perdita di tempo. L’euro, invece, è ben più di retorica. Secondo questa logica, l’euro aveva quindi soprattutto un significato politico e rappresentava un passo necessario verso gli Stati Uniti d’Europa. Le considerazioni economiche erano giudicate secondarie tanto che questo atteggiamento ha portato a sorvolare su aspetti importanti. Degli slogan si è abusato anche sul fronte opposto. Per esempio, quando si dice che tutti i mali dell’Italia, dal prezzo del caffè nei bar, alla crescita asfittica, alla disoccupazione giovanile, all’immigrazione clandestina, sarebbero colpa dell’euro, fonte massima di tutti i mali. Non sarebbe colpa di questo o quel governo o di sindacati conservatori, di imprenditori che non innovano, di evasori incalliti, di lobby potenti. No, se le cose in Italia vanno male, è tutta colpa dell’euro: se solo avessimo la nostra vecchia lira da svalutare saremmo in paradiso.

È

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L’aiuto finanziario della Bce, più attenzione alla crescita, regole antideficit e magari una svalutazione... Agenda essenziale per il futuro del vecchio continente Parliamo seriamente. La moneta unica ha dei vantaggi e degli svantaggi. Per funzionare richiede politiche adeguate e una certa uniformità delle economie dei Paesi membri. Le difficoltà di oggi derivano dall’aver ammesso nell’Euro-area Paesi che sarebbero dovuti rimanere fuori, in primis la Grecia, ma anche il Portogallo. E poi dall’aver sottovalutato la posizione fiscale, difficile fin dall’inizio, di un Paese come l’Italia. Forse ci avrebbero dovuto far “sudare”, fiscalmente parlando, molto di più prima di ammetterci. Ma le decisioni su chi includere nell’euroclub furono basate più sulla politica che sulla logica dell’economia. MA ANDIAMO CON ORDINE. Quali sono i costi e i benefici della moneta unica? I benefici derivano dal facilitare gli scambi commerciali e costruire un mercato comune molto grande per dare spazio alle esportazioni dei Paesi membri. Si obietterà che un mercato unico senza barriere doganali non richiede necessariamente una moneta unica. Ma di sicuro quest’ultima elimina costi di transazione, di protezione finanziaria contro l’instabilità dei cambi. Il secondo beneficio deriva dalla stabilizzazione a livelli bassi del tasso d’inflazione. Paesi come

l’Italia non riuscivano a fermare il tasso di crescita dei prezzi. Ricordiamoci che livelli d’inflazione di più del 10 per cento in Italia erano la norma. Paesi a moneta debole si sono ancorati a un tasso d’inflazione che ha fermato la spirale prezzi-salari. Terzo, si è evitato il rischio di svalutazioni competitive tra un Paese e l’altro, una specie di guerra delle monete con effetti nulli nell’aggregato ma con un effetto inflazionistico per tutti. Quarto, e collegato ai punti precedenti, il crollo dei tassi ha ridotto gli oneri per interessi sul debito. Poiché il rischio di cambio è sparito con la moneta unica, nel primo decennio di vita dell’euro i tassi di interesse sul nostro debito sono scesi quasi ai livelli di quelli tedeschi; pertanto, sebbene il rapporto con il Pil fosse altissimo, il debito italiano è diventato sostenibile. I COSTI DELLA MONETA UNICA previsti fin dall’inizio erano due. Primo, la perdita di sovranità sulla politica monetaria nazionale, che assicurava più flessibilità quando era necessario adeguarla a esigenze cicliche nazionali. Secondo, dato che la moneta unica per definizione elimina la possibilità di svalutare la moneta di un Paese rispetto alle altre, la correzione degli squilibri di produttività era delegata all’aggiustamento dei salari nominali. Che sarebbero potuti salire solo in funzione della produttività perché altrimenti, con un’unica moneta, si sarebbero creati grossi squilibri tra i Paesi. Gli europeisti convinti predicavano che proprio per questo (l’impossibilità di svalutare) si sarebbe creato nei Paesi membri uno stimolo a riformare i mercati del lavoro per renderli più flessibili, legando più strettamente l’andamento dei salari a quello della produttività. Ciò non è successo. Forti divergenze nella produttività del lavoro tra i Paesi membri rimangono un fattore di ri-

schio per l’euro, un problema che nel medio periodo è forse ancor più difficile da risolvere che non gli attuali squilibri fiscali. I quali derivano da una conseguenza negativa non prevista della moneta unica: la caduta dei tassi di interesse sui titoli di tutti i Paesi membri al livello di quelli tedeschi ha spinto molti Paesi a indebitarsi in modo eccessivo. Grecia, Spagna e Portogallo hanno accumulato debiti esteri anche prima della crisi finanziaria del 2008-09 che ha dato il colpo di grazia. Nel nostro Paese i governi, invece di iniziare quelle riforme fiscali e strutturali che avrebbero ridotto drasticamente il rapporto debito-Pil, si sono adagiati sul fatto che il debito costava poco. La Banca centrale europea (Bce) non poteva trattare diversamente il debito di Paesi diversi. Quindi il debito greco era “uguale” a quello tedesco e la Bce si comportava come se il ripudio del debito (default) di un Paese membro fosse impossibile. I mercati ci hanno creduto e non richiedevano premi al rischio per nessun Paese. Quando il problema Grecia è esploso gli investitori si soni svegliati, tardi e troppo bruscamente e a quel punto l’effetto-contagio e gli spread sono esplosi. Ecco che altre due debolezze della costruzione della moneta unica si sono appalesate. La prima, più specifica, riguarda la pessima gestione della crisi greca. Si tratta di un Paese piccolo, il cui Pil è circa il 2 per cento del totale dell’area euro. In qualche modo la sua crisi si sarebbe dovuta arginare sul nascere con un default ordinato. Invece per mesi si è trascinata una telenovela di “salvataggi” che poi fallivano. Un balletto di passi avanti e indietro che nulla ha fatto se non creare panico nei mercati, spaventati anche dalla indecisione e confusione di una mediocre leadership europea. IL SECONDO PROBLEMA, più fondamentale, è che i Paesi membri dell’area euro sono molto restii a delegare prerogative fiscali a enti sovranazionali. Innanzitutto perché la politica di bilancio è il fulcro critico della politica tout court. Con le tasse e con la spesa pubblica si premiano gli amici e si puniscono i nemici, si creano alleanze all’interno di una generazione o tra una generazione e un’altra. È il pane quotidiano della politica, e nessun governante nazionale se ne priva facilmente. Lo abbiamo visto con il fallimento del Patto di stabilità, ignorato da Francia e Germania non ap-

pena dava loro fastidio. Inoltre perché una politica fiscale sovranazionale implica dei trasferimenti di risorse da un Paese all’altro, per esempio dalla Germania alla Grecia o all’Italia. Al di là di tutte le ingegnerie finanziarie, di fondi salva-Stati e di altre diavolerie questo è il punto che rende fragile la costruzione dell’euro. Quanto è disposto il cittadino del Paese X a trasferire al cittadino del Paese Y? Realisticamente nel medio periodo la risposta è “ben poco”. Ecco perché non sono molto fiducioso su soluzioni europee alla crisi fiscale. I Paesi indebitati devono farcela in gran parte da soli. Come rispondere allora alle due domande iniziali? La moneta unica è stata una scommessa rischiosa che può ancora funzionare. Molto probabilmente la Grecia, e forse il Portogallo, ne usciranno e svaluteranno ma il resto della costruzione rimarrà in piedi. Servono però alcune cose. Primo, un continuo supporto al sistema finanziario da parte della Bce perché le banche possano continuare non solo a comprare titoli pubblici ma anche a sostenere l’economia. Se poi nel breve periodo la Bce acquistasse ancora titoli pubblici faciliterebbe l’aggiustamento. Secondo, serve la volontà dei singoli membri di seguire politiche fiscali prudenti senza pesare troppo sulla crescita. È possibile, riducendo la spesa pubblica e quindi il peso fiscale dello Stato, e anche con riforme che facilitino competizione e flessibilità. TERZO, L’ADOZIONE di regole fiscali di comportamento per i Paesi membri può aiutare ma non è un toccasana. Regole che impediscano l’accumularsi di deficit eccessivi possono servire a governi ben intenzionati, anche se non impediranno a governi male intenzionati a violarle. Quarto, se i Paesi con crescita della produttività minore non si rimboccheranno le maniche anche dopo essere usciti dalla crisi fiscale, la coesistenza con Paesi più produttivi rimarrebbe difficile. Infine una svalutazione dell’euro non sarebbe male: favorirebbe le esportazioni. Nel complesso è una strada ardua ma percorribile. Un abbandono della moneta unica avrebbe effetti economici nel breve periodo difficili da prevedere. Sicuramente innescherebbe un altro caos finanziario. Nel lungo periodo sarebbe una sconfitta politica per l’Europa di dimensioni gravissime.

Se ne parla su www.espressonline.it

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Cisitalia 202, il progetto realizzato dagli studenti di design dello Ied di Torino

SPECIALE AUTO

Il mondo si sfida a

GINEVRA

È IL SALONE PIÙ INTERNAZIONALE CHE ESISTA, CON PRODUTTORI DA TUTTI I PAESI. CHE PRESENTERANNO 140 ANTEPRIME. ECCO I MODELLI A PROVA DI CRISI A CURA DI MAURIZIO MAGGI


Speciale Auto Salone di Ginevra

Quattro ruote in vetrina La rassegna svizzera è la più globale che ci sia. In mostra 140 anteprime tra modelli di taglia media, ipertecnologiche orientali, decappottabili e coupé superlusso DI MAURIZIO MAGGI

e marche europee giocheranno in casa, anche se geograficamente parlando il campo è neutro, non disponendo la Svizzera di alcun costruttore domestico né di fabbriche d’auto. Tuttavia, la rassegna di Ginevra, che lunedì 6 marzo apre i battenti per la 82esima volta, è la più internazionale che ci sia, in termini di partecipazione da parte dei produttori. Nella sfida tricontinentale in corso sul mercato mondiale, dove si comprano sempre più macchine anche se l’Occidente viaggia da qualche anno a scartamento ridotto, in forma smagliante sul mercato ci sono l’Asia che non ti aspetti - la Corea del Sud del gruppo Hyundai-Kia, mentre il Giappone tira il fiato per le conseguenze dello tsunami di un anno fa e del rallentamento dell’ex numero uno globale, la Toyota - e quel pezzo d’Europa che non conosce il significato della parola crisi, rappresentanto dalla triade del teutonico segmento cosiddetto premium, oligopolisticamente dominato da Audi, Bmw e Mercedes. L’industria americana, in rapida risalita dopo la crisi che ha rischiato di stenderla definitivamente, e i 3 tradizionali produttori generalisti del Vecchio Continente, da Volkswagen a Fiat, passando per i francesi di Citroën, Peugeot e Renault, si presentano a Ginevra in differenti condizioni di salute. Molti di loro, anche se magari a livello globale crescono e seguitano a macinare utili, sul fronte interno europeo sudano le proverbiali sette camicie, com’è normale quando sulle prime pagine dei giornali non si fa che parla4 re di recessione e debiti pubblici a rischio. Nonostante per le quattro ruote in genere il clima non sia dei migliori, tuttavia nei padiglioni del “Salon internationale de l’automobile” fioccheranno, come sempre, vagonate di anteprime. Addirittura 140, tra assolute e continentali, secondo gli organizzatori (che sperano di migliorare le 700 mila presenze del 2011). «Forse troppe, visti i chiari di luna. La mia impressione è che parecchie case abbiano sviluppato prodotti a raffica credendo che, a questo punto, la crisi economica fosse già alle spalle», dice Carlo Cavicchi, direttore del mesile “Quattroruote”. Sulle rive del Lago Lemano, dunque, il morale sarà al-

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1. BMW SERIE 6 GRAN COUPÉ. 2.OPEL MOKKA. 3. MINI CLUB VAN CONCEPT. 4. MERCEDES SL 63 AMG. 5. MITSUBISHI OUTLANDER. 6. LANCIA FLAVIA CABRIOLET. 7. AUDI TT RS COUPÉ

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Speciale Auto Salone di Ginevra

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1. ALFA ROMEO GIULIETTA TCT. 2. SMART 3.0. 3.VOLKSWAGEN UP!. 4. HYUNDAI I30 WAGON. 5. JAGUAR XF SPORT BREAK. 6. NISSAN INVITATION. 7. TOYOTA YARIS HYBRID. 8. PEUGEOT 208

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to. Tra prototipi e vetture pronte per la commercializzazione, il pubblico potrˆ probabilmente pensare di aver speso bene i 16 franchi (13,27 euro) del biglietto. Le regine del Salone. Le candidate a superstar di Ginevra sono molte, quasi tutte concentrate tra i 4 e i 4 metri e mezzo di lunghezza. Ci sono modelli che, per lÕazienda che li lancerˆ, appaiono di fondamentale importanza, perchŽ si inseriscono nella fascia pi• importante della propria gamma. é il caso, per la Fiat, della 500L. Ne parla con grande entusiasmo il gran capo del merketing del gruppo italo-americano, Olivier Fran•ois, nellÕintervista a pagina 138, in cui svela a ÒlÕEspressoÓ il debutto, sulla Cinquecentona, del nuovissimo motore bicilindrico da 105 cavalli. Cos“ comÕ• di estrema importanza la 208 per la Peugeot. LÕerede della 207 • una delle poche vetture del segmento B (quello della Punto) a rimanere sotto i 4 metri. Il suo look • aggressivo, e nella pattuglia dei motori arrivano per la prima i tre cilindri. Anche la B-Max, la monovolume senza il montante di casa Ford, attirerˆ lÕattenzione. Tuttavia, • pi• probabile che lÕinteresse della critica si concentri sul gruppetto di medie (descritto nel servizio a pagina 136) che comprende tra le altre la nuova Audi A3, la trasformatissima Mercedes Classe A e la Volvo V40. Tutte pi• sfrontate, nel carattere e nellÕaspetto, delle macchine che si apprestano a mandare in pensione. Del tutto inedita, anche nel nome, la Opel Mokka. Gemella della Buick Encore (che sarˆ venduta negli

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Usa), • una compatta simil-Suv dalla linea simpatica, che dovrˆ dare un poÕ di sprint alla marca tedesca del gruppo Gm. E pure unÕaltra crossover, la Kuga della Ford ha un avatar a stelle e strisce, la Great Escape. Il vento dell’Oriente. Dalla premi•re della concept Invitation, destinata a sostituire la Note in casa Nissan, fino alla versione ibrida della piccola Yaris, che rafforza lÕassoluta leadership della Toyota nel campo della doppia motorizzazione elettrico/termica, sono parecchie le novitˆ in marcia dal lontano Oriente in direzione Ginevra. Per restare alle marche giapponesi, anche la Mitsubishi si farˆ notare con la nuova generazione del crossover Outlander, che a dispetto della faccia cattiva punta su mo8

tori dallÕimpatto ambientale contenuto e, dal 2013, sarˆ venduto anche nella versione plug-in ibrida, che promette una autonomia piuttosto estesa in modalitˆ elettrica. La Mazda farˆ invece debuttare il prototipo di una berlina della classe media, Takeri, col sistema in grado di sfruttare lÕenergia della frenata per trasformarla in potenza da usare poi per alimentare le componenti elettriche dellÕauto. Mentre la Honda svelerˆ la concept che prelude alla futura Cr-V, esponente dellÕala sobria delle Suvcrossover, in pratica quelle macchine che sembrano fuoristrada ma si usano sempre sullÕasfalto. Per˜ gli occhi di tanti, compresi i manager delle case europee e statunitensi, saranno ben aperti sugli stand delle coreane. é stata vistosa lÕimpennata delle vendite di Hyundai e Kia, nel mercato Usa in ripresa e in quello europeo in affanno, e adesso ogni mossa degli uomini di Seul viene esaminata al microscopio. Al Salone, gli atout delle due mar-

che saranno rispettivamente la i30 nella versione Wagon e la CeeÕd a 5 porte. Un altro brand sudcoreano, SsangYong, punta su un prototipo che promette bene: lÕXIV-2, infatti, • un crossover a metˆ strada tra la Suv e la coupŽ decappottabile. Pur appartenendo alla Gm, • molto coreana pure la Chevrolet (che ha rilevato le attivitˆ della Daewoo): la chicca dello stand della marca yankee • la versione familiare della Cruze. Glamour e cavalli. LÕofferta abbonda, per chi pensa allÕauto con spirito edonistico senza troppo preoccuparsi dellÕargomento-prezzo. A Ginevra 2012 abbondano decappottabili, coupŽ e bolidi ipervitaminizzati. CÕ• grande attesa per il ritorno dopo una vita di una Lancia scoperta, affidato alla Flavia Cabrio su base Chrysler, mentre la collega di gruppo, lÕAlfa Giulietta, sfodera il tecnologico cambio automatico/sequenziale Tct. Grande battaglia tra le tedesche di lusso, con la versione AMG della Mercedes SL 63, la GrancoupŽ cabrio della Bmw (che ora mette sotto il cofano delle prestazionali versioni ÒMÓ anche i potenti turbodiesel) e tre Audi bellicose: la TT Rs plus, la Rs Avant e la A6 allroad. La Lamborghini presenterˆ un esemplare unico di Aventador scoperta, la supercar sportiva decappottabile pi• estrema della storia del marchio emiliano. Il prezzo • top-secret ma supererˆ sicuramente il milione di euro ed • giˆ in corso un braccio di ferro tra esotici miliardari per aggiudicarsi il costosissimo pezzo da collezione. Chiusura in bellezza con la Ferrari pi• potente di sempre, la F620 Gt spinta dal 12 cilindri di 6,3 con 720 cavalli di potenza massima. Con i soldi necessari per il suo superbollo si potrebbe riempire il garage di utilitarie in tre anni. ■

In Italia tutti chiedono gli incentivi. Tranne la Fiat

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A Sergio Marchionne, il capo del gruppo Fiat-Chrysler, gli incentivi per stimolare l’acquisto di macchine nuove non interessano affatto. Ai boss italiani delle case costruttrici estere che importano auto in Italia (e complessivamente detengono il 70 per cento del mercato) invece sì, eccome. Per Gaetano Thorel, presidente di Ford Italia, ci vorrebbe un programma di incentivi alla rottamazione da 700-800 euro per auto, legati alle emissioni di anidride carbonica delle vetture, senza eccessive disparità di trattamento economico basato sulla tecnologia adottata (auto ibride, a metano, a Gpl,

elettriche pure). In ogni caso, una iniziativa per favorire il ricambio del parco auto dev’essere lanciata alla svelta. «Va bene anche se il contributo è basso, perché può diventare strutturale e restare in vigore magari anche tre anni. Oppure, la durata può essere collegata al raggiungimento a precisi obiettivi numerici nell’ambito del rinnovo del parco circolante». Prima ci si sbarazza delle auto vecchie e inquinanti, prima gli incentivi finiscono. A favore dell’aiuto di Stato, piccolo ma di lungo termine e strutturale, si schiera il direttore di Hyundai Italia, Fabrizio Longo. Da Detroit a Seul un solo grido: incentivi! 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 135


Speciale Auto Tendenze

fosse un normale software. Aggiornamento di diversa natura, che forse si potrebbe anche definire piccola rivoluzione, nella Volvo che ormai parla cinese essendo stata comprata nel 2010 dalla Geely. E che a Ginevra presenta quella V40 che, potenza della via di mezzo, in un solo colpo le permette di sostituire sia la pi• piccola (e alquanto sfortunata, al botteghino) C30 sia le pi• grandi S40 e V50. E questo grazie ad un’auto che • di tutto un po’: hatchback, wagon, crossover. Ognuno ci vedrˆ quel che vuole vederci, e in fondo proprio questa potrebbe essere la sua forza. Insieme naturalmente alla nuova piattaforma e all’inedita famiglia di motori modulari che porterˆ in dote. Appare invece pi• definita, se non altro nel nome C4 Aircross che ne tradisce le attitudini, la proposta Citro‘n di crossover compatto. Parente stretta della Mitsubishi ASX, la vettura francese avrˆ tre motori: il 1.6 a benzina e il 1.6 HDi turbodiesel, entrambi da 115 Cv. Il top di gamma sarˆ invece un 1.8 a gasolio che di cavalli ne avrˆ 150. Sarˆ disponibile con due o quattro ruote motrici e cambi manuali o automatici giˆ dalla prossima primavera, ma soprattutto avrˆ sembianze accattivanti. Quelle che erano mancate alla precedente C-Crosser, che non verrˆ certo ricordata come un blockbuster. Come invece • stata e potrebbe di nuovo essere, almeno nelle speranze dei coreani, la Kia cee’d, in anteprima a Ginevra nella sua variante a cinque porte. Non potendo pi• contare sull’effetto sorpresa di un prezzo accessibile e di una garanzia biblica, la scelta • stata quella di farla un po’ pi• grande (ma sempre di una lunghezza canonica, ovvero 4,26 metri) e un po’ pi• bella. Rispetto al passato, infatti, ha linee pi• sofisticate, dettagli pi• curati sia all’interno che all’esterno, come ad esempio il taglio dei fari anteriori: non si teme di compiere reato di lesa maestˆ, affermando che somigliano vagamente all’imprinting Audi. Del resto, in questo calderone di forme e stili, di veritˆ assolute ce ne sono poche. Tranne quella che, come sempre, la virt• continua a stare nel mezzo. ■

AUDI A3. A LATO: VOLVO V 40 E IL CONCEPT DELLA MERCEDES CLASSE A. IN BASSO, DA SINISTRA: KIA CEE’D 5 PORTE; CITROËN C4 AIRCROSS

La virtù è nel mezzo Le grandi case puntano su nuovi modelli di taglia media. A prova di crisi. Ma senza rinunciare a comfort, lusso e tecnologia. Per chi non si accontenta della citycar DI MARCO SCAFATI l giusto, l’equilibrio, la virt•? Stanno nel mezzo, a metˆ strada tra il difetto e l’eccesso. Lo sosteneva Aristotele nell’Etica Nicomachea: la lezione dei classici c’• chi l’ha recepita meglio, e chi invece sui banchi di scuola dormiva o scarabocchiava distrattamente su un foglietto. Tra i primi, sicuramente gli svizzeri. Che da una vita non stanno nŽ di qua nŽ di lˆ, ma sempre ÒtraÓ. Anzi, spesso al di sopra. Dunque non stupisce che, tra le altre cose, da pi• di cent’anni facciano un salone dell’auto a prova di crisi. L’unico, nel panorama mondiale, che • sempre luccicante e fedele a se stesso anche quando fuori tira una brutta aria. Il fatto curioso poi, • che quest’anno la politica della Òvia di mezzoÓ sia debordata dalle menti agli oggetti. Ma s“, le macchine, vere protagoniste dello show. Tra le novitˆ in riva al lago Lemano ce ne sono di significative, nŽ grandi nŽ piccole ma di taglia media: tutte ad affollare quello spazio, diventato improvvisamente angusto, che parte dai quattro metri e venti e non arriva ai quattro e cinquanta. Non importa se si tratti di berline, monovolume, suv o crossover, il vero must sembrano le misure, che contano se non sono eccessive. Per˜ neanche troppo sacrificate. PerchŽ va bene che non gira un euro e la benzina • arrivata alle stelle, dunque non • pi• tempo di macchinoni. Ma per darsi un contegno una citycar a volte non basta. Figli del downsizing, dunque, ma non necessariamente anche dell’austeritˆ. Almeno stando alla lezione dei costruttori tedeschi

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cosiddetti premium, che riescono a infarcire di lusso e tecnologia un’auto anche se non • grande e grossa come un’ammiraglia, e a guadagnarci bene. Potenza del blasone, ma anche della capacitˆ di rinnovarsi. Succede cos“ che, per la nuova Classe A, la Mercedes decida di percorrere una strada nuova, smettendo i panni morbidi di una monovolume in favore di quelli pi• casual e sportivi di una hatchback: cofano imponente, muso grintoso, fianchi scolpiti, posteriore rialzato e muscoloso. Tra la terza generazione e le due che la precedono c’• una specie di Abisso Laurenziano, anche se il listino non dovrebbe essere tanto diverso da quello noto. E pazienza se parte della domanda potrebbe decidere di orientarsi sulla pi• rassicurante Classe B, l’unica rimasta a presidiare il ÒfortinoÓ delle familiari compatte con la Stella sul cofano: nelle strategie di Stoccarda c’• anche quella di dare una bella svecchiata alla propria clientela, e gli ultimi modelli proposti vanno proprio in questa direzione. E poi in fondo, nonostante il divario nel look, Classe A e B continueranno a dividere piattaforma produttiva (col pianale a trazione anteriore), parco motori e componentistica. Un effetto immediato, tuttavia, la metamorfosi della compatta tedesca lo avrˆ di certo: andare a scontrarsi con avversarie inedite, che nondimeno parlano la stessa lingua. Si tratta della Bmw Serie 1, la cui variante a tre porte arriverˆ alla fine dell’anno, e soprattutto dell’altra star che verrˆ svelata alla kermesse svizze-

ra: l’Audi A3. E qui si apre un mondo, perchŽ pi• che la terza generazione di un’auto nata nel 1996 questo modello • uno spartiacque. Tra il vecchio e il nuovo corso del gruppo Volkswagen, si potrebbe azzardare. PerchŽ porta al debutto nel segmento C la piattaforma modulare MQB (acronimo di Modularer Querbaukasten) del colosso di Wolfsburg. Di cosa si tratta? In parole povere, di un pianale che consentirˆ di variare a piacere passo e dimensioni di modelli diversi, dotandoli con disinvoltura ora di una trazione anteriore o integrale, ora di sistemi ibridi o elettrici. Il tutto con tempi ridotti all’osso e permettendo un’ampia condivisione della componentistica nonchŽ, cosa altrettanto importante, una cura dimagrante di almeno 40 chili su ogni auto. Che moltiplicati per tutti gli esemplari delle 60 proposte future del gruppo tedesco, tra cui Seat Leon, Skoda Octavia, Vw up! e Passat, e la futura generazione di Golf che arriverˆ al prossimo salone di Parigi, faranno raggiungere numeri da capogiro. Insomma, una base per tutte le stagioni e per tutti i segmenti, dalle citycar alle berline. La A3, tuttavia, ha anche altre armi da usare, che potremmo definire a prova di futuro. Su tutte, un sistema di ÒinfotainmentÓ che gestirˆ tutte le funzioni classiche e non grazie a un potente processore abbinato ad un motore grafico 3D: per visualizzare qualsiasi informazione come mai era successo prima, essere sempre connessi e interfacciarsi con qualsiasi tipo di smartphone. In pi•, altra novitˆ, la possibilitˆ di aggiornare facilmente l’intero sistema come

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Speciale Auto Strategie

Sulle ali di uno spot È sua l’idea dell’operazione pubblicitaria con Clint Eastwood al Superbowl. L’ultima di una lunga serie. Al salone il responsabile marketing del gruppo Fiat-Chrysler punta sulla 500L COLLOQUIO CON OLIVIER FRANÇOIS DI MAURIZIO MAGGI uno dei numeri due del gruppo Fiat-Chrysler. Nella partita del marketing, però, è lui a dirigere l’orchestra. Olivier François è, per esempio, il regista della doppia partecipazione pubblicitaria durante il Superbowl, la finale del campionato di football americano, l’evento televisivo più seguito al mondo. Lo spot con Clint Eastwood, quest’anno, è stato visto da 115 milioni di persone e in 15 milioni sono andati a guardarselo la mattina dopo su YouTube. Ed è stato sempre lui, il manager parigino, a far viaggiare i premi Nobel per la pace, come il Dalai Lama e Mikhail Gorbaciov, sulle macchine della Lancia e della Chrysler.

È

Dottor François, avete già capito quanto vi farà vendere di più, negli Stati Uniti, il grande impatto delle vostre pubblicità trasmesse in televisione durante il Superbowl nella serata del 5 febbraio scorso?

«Sarà un’onda lunga, com’è capitato nel 2011 con il rapper Eminem e lo slogan “Imported from Detroit”, lanciato sempre durante la finale del football. Comunque, dopo il messaggio di Clint, sono triplicate le intenzioni di acquisto di vetture Chrysler

Poeta del brand Parigino, 50 anni compiuti a ottobre, figlio dell’economista William François, Olivier François ha studiato economia e ha iniziato a lavorare nell’industria dell’auto nel 1990, occupandosi di marketing alla Citroën. Per la marca francese è poi stato general manager in Danimarca e, dal 2001 al 2005, in Italia. Nel 2005 è entrato alla Fiat come capo delle vendite. Da allora un crescendo di incarichi, spesso trasversali e dal 2009 anche transcontinentali, dopo la nascita dell’alleanza con Chrysler. Ora è responsabile del brand Fiat e del marketing di tutto il gruppo italo-americano e membro del Group executive council, una sorta di comitato centrale. Non ama il rugby e neppure il calcio, non ha hobby. Adesso. Quando era alla guida della Citroën in Italia, infatti, scriveva poesie d’amore. Come le 56 del libro “Eclissi smemorate”, pubblicato in Italia dall’editore Petra in tiratura limitata. Cinquecento copie, vendute a 28 euro, con tanto di compact disc con tutte le poesie recitate in italiano.

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sul più importante sito per comprare macchine on line, Edmonds.com, e il sito della stessa Chrysler ha registrato un incremento del traffico dell’82 per cento. E, grazie all’altro spot, quello della 500, su Google sono schizzate del 3 mila per cento le richieste con il nome “Fiat”. Dopo il successo dell’anno scorso, in tanti ci avevano consigliato di non riprovarci. Quella di Eminem poteva essere stata una “botta” di fortuna, che interpretava la voglia di rivincita della Detroit capitale dell’auto Usa. Abbiamo voluto estendere, nello spot con Eastwood, il messaggio all’intera nazione, dando voce allo spirito americano. È andata benissimo. Lo conferma il fatto che è stata considerata la migliore pubblicità del settore auto sia dagli utenti di YouTube che dai lettori di “Usa Today”, il più popolare quotidiano su scala nazionale». OLIVIER FRANÇOIS ALLA PRESENTAZIONE DELLA PANDA. IN ALTO: UNA PANDA. NELL’ALTRA PAGINA: JENNIFER LOPEZ AL VOLANTE DELLA 500

Esiste qualche evento comparabile, in Europa, su cui avete pensato di intervenire dal punto di vista pubblicitario?

«No, non c’è niente del genere. Però abbiamo fatto anche in Europa delle iniziative che non puntavano a promuovere il prodotto ma il valore della marca, per accrescere il senso di vicinanza tra il cliente e i contenuti emozionali del brand. Come nel caso del manifesto della 500 o del matrimonio tra Lancia e il Festival del cinema di Venezia». Ora parliamo di macchine. Qual è la punta di diamante della squadra Fiat che sta per scendere in campo al salone di Ginevra?

SPESSO LE VETTURE CHE SI RIVOLGONO SOPRATTUTTO AL PUBBLICO DELLE FAMIGLIE NON EMOZIONANO. LA 500L FA ECCEZIONE

«Il pezzo forte è senz’altro la 500L, il nuovo modello della gamma 500, che sarà esposta per la prima volta a livello mondiale e debutterà sul mercato nel prossimo autunno. La 500L allargherà di sicuro il potenziale pubblico di una macchina che piace. Il suo asso nella manica è la capacità di coniugare concretezza e coolness. Spesso le vetture che si rivolgono soprattutto al pubblico delle famiglie non emozionano. Questa invece, glielo assicuro, è davvero capace di trasmettere forti emozioni. E sarà la prima a montare un motore di estremo interesse». Quale motore?

«Presenteremo come novità assoluta il TwinAir da 105 cavalli, il bicilindrico a benzina che rappresenta perfettamente la fusione tra il desiderio di divertirsi e il rispetto per l’ambiente. Un motore pimpante ma che emette solo 106 grammi al chilometro di CO2». A proposito di ecologia. Sul fronte dell’auto elettrica e ibrida, sinora, il gruppo Fiat non ha mostrato un grande entusiasmo...

«Non è vero. A me risulta che è già pronta la 500 elettrica per il Nord America, che arriverà nel 2013, e che in Europa la Punto è l’unica vettura del suo segmento a offrire addirittura quattro motorizzazioni ecologiche». E quali sarebbero queste motorizzazioni verdi?

«La Punto può funzionare a metano, col Gpl e dispone del TwinAir da 85 cavalli e del diesel MultiJet di ultima generazione, garantendo così il miglior risultato tra le prestazioni e le emissioni della sua categoria».

Chrysler. Quando valuteremo che si tratta di un’opzione che economicamente può stare in piedi, la proporremo al mercato. Perché ogni tecnologia deve garantire un ritorno economico». Ci sono però dei modelli ibridi che hanno ottenuto ottimi risultati, come la Prius della Toyota, che ha superato abbondantemente il milione di unità, anche se nel giro di parecchi anni.

«Esatto, nel giro di parecchi anni. La sua domanda contiene già la mia risposta».

La nuova Panda ha debuttato da poco e in molti mercati sta per essere introdotta. La concorrenza nel segmento A è sempre più agguerrita, crede che la Panda ripeterà il successo della seconda generazione?

«L’abbiamo disegnata così - più bella, confortevole e moderna - proprio per darle la possibilità di confermarsi. Sono certo che ce la farà». Una delle idee-guida di Sergio Marchionne è la “contaminazione” tra i marchi Chrysler e Lancia. Sta avanzando, il virtuoso contagio?

«Il primo esempio è stato la Thema, innovativa nella qualità e nella sostanza. Lancia mancava di profondità di gamma, Chrysler aveva bisogno di una iniezione di eleganza da parte della storica e glamour marca italiana, sulla via di un lusso... abbordabile. Quando usciranno le prime auto effettivamente disegnate a quattro mani, la svolta si percepirà, eccome». Molti capi delle marche estere sperano che il governo ripristini gli incentivi all’acquisto di auto nuove. Lei che ne pensa?

«La vera domanda da porsi è se sia meglio un antidolorifico o la guarigione. In un mercato come quello italiano, basato sulla mera sostituzione ciò che serve è una ripresa della domanda spontanea e come tale redditizia».

E sull’ibrido? Ammetterà che sul tema siete tiepidi.

Al salone di Detroit, all’inizio di gennaio, Marchionne ha detto che, al 90 per cento, il suo successore alla guida del gruppo Fiat-Chrysler sarà uno dei 22 membri del Gec, il Group executive council, che è un po’ il vostro stato maggiore. Lei fa parte del Gec: si sente tra i potenziali candidati?

«La tecnologia ibrida ce l’abbiamo già, sviluppata dalla

«Assolutamente no». ■ 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 139


Speciale Auto Sfide

Speciale Auto Ecocar

Brividi elettrici In Italia la rivoluzione verde può attendere. I nuovi modelli si moltiplicano, ma solo gli incentivi potranno fare la differenza DI STEFANO VERGINE

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Piccole e trendy Prima erano tozze e squadrate. Ora le monovolume fanno a gara a quale è più accattivante. Dalla Fiat alla Ford DI MARCO SCAFATI n tempo erano tozze e squadrate, in pratica dei frigoriferi su quattro ruote. Oggi invece da bruchi si sono trasformate in farfalle e fanno a gara a quale è più trendy. Parecchie monovolume, nonostante mantengano prerogative di spazio, modularità e sicurezza, non hanno più intenzione di sacrificarsi davanti allo specchio e sfornano linee accattivanti e, per certi versi, all’avanguardia. E qualcuna attinge a piene mani da una tradizione che ne moltiplica l’appeal. È il caso della “cinquecentona”, la Fiat 500L (L come “large”, visto che è lunga 4,14 metri, larga 1,78 e alta 1,66) destinata a monopolizzare riflettori e flash al salone di Ginevra. Innanzitutto perché più di un elemento del muso della 500, che ha fatto innamorare generazioni di italiani, verrà trapiantato sulla nuova nata. E poi perché a guardarla è veramente un bell’oggetto. Più simile al fashion insolito di una Mini Countryman che all’equilibrato seppur innovativo rigore di una familiare tipo Toyota Verso, a dirla tutta. E anche per questo nel mirino potrebbe mettere la crossover di Oxford oltre che avversarie, per così dire, d’ordinanza. Certo, con l’Idea e la Multipla uscite di produzione, dunque fuori dai giochi, e la Musa che ormai i suoi anni li ha tutti, alla 500L toccherà tenere botta da sola in una fascia di mercato dove anche il minimo dettaglio può fare la differenza tra tonfo o successo: e il prezzo d’attacco, che dovrebbe aggirarsi sui 16 mila euro, potrebbe essere una discriminante.

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auto elettrica più venduta in Italia nel 2012 potrebbe essere, a sorpresa, la Nwg Zero. City car prodotta dal gruppo Tazzari, viene commercializzata dalla Nwg di Prato, azienda specializzata nei piccoli impianti solari. Più dei 140 chilometri di autonomia e dei 100 chilometri all’ora di velocità massima, la miglior freccia nell’arco della vetturetta a due porte è il prezzo: 26 mila euro, batteria al litio inclusa. Un salasso, rispetto a un’equivalente mini-utilitaria a benzina o diesel, e invece poco tra le auto che marciano con la corrente. Da quando è stata messa in commercio, a inizio anno, l’hanno richiesta in 250. Una cifra che nel campo delle quattro ruote a zero emissioni è da bestseller. Nel 2011, il pallottoliere delle immatricolazioni è infatti arrivato a quota 296. Con pochissimi punti di ricarica sparsi lungo la Penisola e l’assenza di incentivi sostanziosi e generalizzati (che in altri Paesi europei superano talvolta i 5 mila euro), l’Italia dispone di una delle flotte più striminzite del Vecchio Continente, dove Francia e Germania dominano con più di 2 mila auto per ciascuna e la Grecia è il fanalino di coda visto che non ha neanche un veicolo elettrico in strada. Se a livello continentale le preferite sono state la Mitsubishi iMiev e la Peugeot iOn, in testa alla classifica tricolore 2011 c’è la Citroën C-Zero. Costo, aspetto e prestazioni c’entrano poco. Le tre auto sono infatti gemelle, nate dal progetto sviluppato dalla casa giapponese. L’anno scorso si potevano acquistare a prezzi simili, intorno ai 35-36 mila euro. «ll nostro successo è dipeso probabilmente dalla disponibilità immediata del prodotto», spiegano alla Citroën. I numeri restano comunque bassi. Di Czero nel 2011 ne sono state vendute 89, per lo più ad aziende o enti pubblici, come il Comune di Roma o il gestore di telefonia Wind. Sulle 89 auto messe su strada dalla casa francese solo quattro

Oltre all’apparenza e a un listino congruo, tuttavia, ci vorrà anche parecchia sostanza. A quella ci hanno pensato gli ingegneri del Lingotto usando il pianale della futura Punto, costruendoci attorno cinque posti (che nel 2013, sulla versione extralarge, diventeranno sette), e portandola al debutto previsto dopo l’estate con un parco motori che è lo stato dell’arte della casa di Torino: il 1.3 Multijet a gasolio, il 1.4 a benzina ed il bicilindrico 900 turbo Twinair. Il fatto che Fiat punti forte su questo modello, del resto, è anche testimoniato dagli investimenti: per lo stabilimento serbo di Kragujevac, dove la 500L vedrà la luce, è stato speso quasi un miliardo di euro. Che di questi tempi poco non è. A scommettere su un’altra monovolume, che anziché sul fascino vagamente rétro si gioca tutto sull’innovazione tecnologica, è la Ford. La B-Max si contenderà la ribalta svizzera proprio con la 500L: rispetto a questa è leggermente più corta (4,06 metri) e ha linee forse più conservative, tuttavia porta in dote un sistema di apertura delle portiere rivoluzionario che su una familiare potrebbe veramente fare la differenza. Niente montanti centrali, ci credereste? Le porte posteriori sono scorrevoli e non ne hanno bisogno. Il risultato è un’accessibilità ovviamente mai sperimentata prima, specie per chi si deve accomodare dietro. Ma le novità di questo modello non si esauriscono nell’architettura, seppur inedita. Dal momento che a comprarla sarà, nella maggioranza dei casi, un padre di famiglia, non potrà non preoccuparsi delle economie d’esercizio. A tenere sotto controllo i conti, in questo periodo di aumenti matti dei carburanti, aiuterà di sicuro il nuovo motore 1.0 tre cilindri a benzina Ecoboost, disponibile nelle due varianti di potenza da 100 e 125 cavalli. Per chi invece vuol restare nonostante tutto fedele al gasolio, ecco il 1.4 e il 1.6, rispettivamente da 70 e 95 cavalli. C’è da scommetterci: la sfida con la 500L sarà una delle più pepate sul mercato italiano e non solo. ■

sono andate a privati. Proporzioni simili anche per i concorrenti. Anche le iOn Peugeot le hanno comprate quasi tutte da imprese: Sorgenia, Banca Intesa, Roberto Cavalli, Europecar. La iMiev è quarta, in Italia. «I privati tentennano per colpa del prezzo, ritenuto ancora troppo elevato, per la scarsità delle colonnine di ricarica», commentano i rappresentanti della marca nipponica. Una spinta al business arriverà forse dalla diminuzione dei prezzi di listino. La C-Zero, che all’esordio costava 35 mila euro, è scesa a 28.300 euro. Più o meno come la Peugeot iOn, da 36 a 30 mila euro. Sul fronte dei costi pare più aggressiva la politica Renault. Dal dicembre scorso, la Regie ha messo in commercio ben tre modelli totalmente elettrici: oltre a Kangoo e Fluence è arrivata anche Twizy, una specie di scooter a quattro ruote a 8.500 euro (batteria esclusa). Nonostante gli sforzi dei costruttori e le dichiarazioni d’amore degli automobilisti interpellati nei sondaggi, solo con gli incentivi le cose potrebbero cambiare decisamente. Il bonus di 5 mila euro ipotizzato in una proposta di legge che da tempo giace in Parlamento permetterebbe di portarsi a casa una C-Zero a poco più di 23 mila euro o una Nwg Zero a 21 mila. La differenza con una city car diesel o benzina resterebbe notevole, ma qualche ambientalista in più potrebbe farsi affascinare dalla prospettiva di andarsene in giro senza inquinare. Sostiene Pietro Menga, presidente della Commissione italiana veicoli elettrici: «Dai sondaggi emerge che l’1 per cento dei guidatori comprerebbe un’auto elettrica, potenzialmente si parla dunque di 20 mila veicoli. Poiché però in Italia non ci sono ancora efficaci incentivazioni, credo che quest’anno le immatricolazioni di vetture a emissioni zero saranno tra i 5 e i 10 mila». Pochine, in assoluto. Un trionfo rispetto alle 296 dell’anno scorso. ■ SOTTO: NWG ZERO. ACCANTO, DA SINISTRA: MITSUBISHI I-MIEV; RENAULT TWIZY. NELL’ALTRA PAGINA, DALL’ALTO: FORD B-MAX; FIAT 500L

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Speciale Auto Design

Stile sabaudo La tradizione piemontese del car design fa scuola in tutto il mondo. Tra grandi nomi e piccole imprese che non si arrendono DI FABIO LEPORE

NUCCIO, LA CONCEPT CAR DELLA CASA BERTONE. A LATO: CAMBIANO, LA NUOVA BERLINA SPORTIVA DI PININFARINA

opo Doha, ora si fa rotta su Ginevra. Archiviata la missione al Qatar motor show di gennaio, i car designer piemontesi puntano sul salone svizzero per rafforzare presenza e visibilità sul mercato internazionale. Il leit motiv scelto da Pininfarina è il lusso abbinato alla sostenibilità ambientale: il modello di punta della casa torinese è infatti la nuova Cambiano, berlina sportiva a propulsione elettrica dal carattere anticonvenzionale, anche nella disposizione delle portiere. «Il suo tratto distintivo è la doppia anima, a metà strada tra sedan e coupé», dice Fabio Filippini, direttore design di Pininfarina:«Dal lato del conducente si presenta con una sola porta, mentre dalla parte del passeggero ci sono due portiere con apertura a libro, senza montante centrale. Una soluzione che fa correre il pensiero a una pietra miliare della nostra storia, la Florida II del ’57». Si chiama invece Nuccio, come il maestro di stile dell’antica maison, la concept car che la Bertone, nell’anno del centenario, presenta in anteprima mondiale proprio a Ginevra. La supercar porta alle estreme conseguenze il concetto della monovolume “cab forward”, con l’abitacolo in posizione molto avanzata, inventato da Bertone nel 1967 con la Carabo, poi affinato con la Stratos Zero e entrato in produzione nel 1973 con la Lamborghini Countach. Première golosa anche allo stand dell’Italdesign di Giorgetto Giugiaro, ora di proprietà del gruppo Volkswagen. Di certo si sa che farà bella mostra di sé una simpatica versione della up!, la compatta che ha appena debuttato anche in Italia. La chicca ginevrina è stata battezzata “azzurra sailing team” e nelle intenzioni di Giugiaro e Walter de Silva, il gran capo dello stile del gruppo di Wolfsburg, viene immaginata come mezzo ideale per spostarsi nelle città di mare. Il progetto, realizzato da I.Dea. Institute per la SsangYong, è identificato dalla sigla XIV-2: un Suv

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allo Speciale ha collaborato Emanuele Coen

compatto a tre porte, con tetto apribile scorrevole, evoluzione in chiave sportiva della cinque porte svelata nel 2011 a Francoforte. «Se andrà effettivamente in produzione», sottolinea il direttore design di I.Dea. Institute, Jun-Ho Choi, «basterà un comando per garantire alla vettura l’apertura automatica totale o parziale del tetto». Oltre alle grandi case, tuttavia, in Piemonte esistono anche le “palestre” dove si formano gli stilisti di domani. Il progetto realizzato per Ginevra dagli studenti dell’Istituto europeo di design di Torino è la coupé sportiva Cisitalia 202 E. L’originale a cui si ispira, la fortunata 202 GT del 1947, è oggi esposta come “scultura in movimento” al MoMa di New York. «Una particolarità del nuovo modello», spiega Luca Borgogno, il lead designer Pininfarina che ha coordinato il progetto assieme al progettista della Maserati Luigi Giampaolo, «si trova nella parte frontale e in quella posteriore, dove le aree cromate hanno una doppia funzione. Estetica, per ricordare la vecchia vettura, ma anche pratica, perché, grazie ai led al loro interno sostituiscono i tradizionali fari». Ora, però, la partita si gioca soprattutto verso l’estero. «Il settore dell’automotive si sta confrontando con due grandi aree d’influenza: una italo-americana e una italo-tedesca», spiega Leonardo Fioravanti, presidente dell’Anfia, l’associazione nazionale delle industrie automobilistiche, e del suo gruppo carrozzieri, «ma in questo contesto la specializzazione del car design è un valore tutto italiano, estremamente apprezzato nel resto del mondo». Secondo gli ultimi dati (2010) di Camera di commercio di Torino e Anfia, sono circa 140 le imprese piemontesi strettamente legate al design e all’engineering dell’auto. La forte concentrazione della specializzazione nell’area torinese è tuttora un fatto unico in Italia e in Europa, dove le aziende del settore sono state travolte dalla crisi che ha investito i grandi carrozzieri, oppure sono state internalizzate dai gruppi automobilistici. E adesso è il momento di sfondare in Oriente, sostiene Fioravanti: «Le nostre qualità si possono tradurre in fatturato in Cina, India e Paesi arabi avanzati». ■ 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 143


n. 10 - 8 marzo 2012

Società IDEE

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STILI DI VITA

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PERSONAGGI

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MODE

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TALENTI

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TEMPO LIBERO

Architettura

Foto: S. Ryan - The New York Times / Contrasto

Le forme dei sogni

Nel mondo dell’inglese Thomas Heatherwick niente è scontato. Dal 1994, quando ha fondato lo studio che porta il suo nome, ha contribuito a rendere il mondo un posto più bello (e più folle) dove vivere. Per farsene un’idea basta pensare al padiglione del Regno Unito all’Expo 2010 di Shanghai, la Seed Cathedral, ricoperto da 60 mila bacchette in fibra ottica trasparente sensibili al vento. Del resto, non ci si poteva aspettare altrimenti da chi ha creato il Millennium Bridge, che attraversa il Tamigi. O il provocatorio Rolling Bridge di Paddington, il ponte sul Grand Union Canal di Londra che al passaggio delle navi si arrotola su se stesso e si trasforma in una scultura urbana. «Heatherwick Studio esiste per trasformare l’incredibile in realtà», recita il sito del team di designer. Un assaggio di questa magia è in arrivo al Victoria&Albert Museum di Londra, con la mostra “Heatherwick Studio: Designing The Extraordinary” (dal 31 maggio, vam.ac.uk), un viaggio tra i capolavori del gruppo. Strutture primordiali, co-

Una bolla per dessert Basta con la conta delle calorie davanti alla scelta del dessert. Al ristorante Alinea di Chicago ne hanno creato uno indubbiamente light: un palloncino commestibile, ripieno di elio. E se il balloon è fatto di zucchero, il filo al quale è legato altro non è che un filamento ottenuto da una mela disidratata. Può sembrare assurdo ma è solo un nuovo esempio della cucina molecolare: sperimentare, rielaborando le pietanze secondo nuovi metodi di preparazione, servendosi anche della chimica e di ingredienti insoliti. Così una “bolla” d’elio diventa dessert. Con tanto di consigli dello chef, Grant Achatz, per gustarlo: «Basta appoggiare le labbra sul palloncino e mangiarlo aspirando anche l’elio contenuto oppure, semplicemente, bucarlo con lo spillo usato per tenerlo fermo nel piatto e mangiarlo». Qualunque sia il modo scelto, il dolce, di certo, non lascerà appesantiti. Nicola Perilli

me il caffè sulla spiaggia di Littlehampton, maxi-conchiglia a effetto lamellare, vincitrice del West Sussex County Council Design & Sustainability Award, e progetti visionari come la Bei-Teesside Power Station, fonte di energie verdi. Fino al tempio a Kagoshima: commissionato dalla setta buddista Shingon-Shu, è una nube dai contorni morbidi come i drappeggi delle tuniche dei monaci. Micol Passariello

MI VESTO CON IMPEGNO

LA STILISTA KATHERINE HAMNETT. IN ALTO: SEED CATHEDRAL; GRANT ACHATZ COL SUO TEAM

Con le sue scelte per una moda responsabile fin da tempi non sospetti, la stilista londinese Katharine Hamnett si è guadagnata un posto d’onore nella storia della moda. Oggi la Coop la arruola per una collaborazione creativa in linea con il mantra etico della designer, nota per le “magliette parlanti” su temi come droga e guerra. Il cuore del progetto è una collezione in cotone biologico: dall’8 marzo sarà sugli scaffali di 1.400 punti vendita Coop. Due giorni prima, a Milano, alla Stazione di Porta Garibaldi, i capi saranno interpretati da ballerini. E studenti dell’Accademia delle Belle Arti scatteranno foto alla gente disposta a “mettere la faccia” sulle t-shirt (vestosolidal.it). Enrico Maria Albamonte lE ’ spresso | 145


Società Fashion 1. PIZZI E TRASPARENZE DA ALBERTA FERRETTI. 2. IPERFEMMINILE LO STILE GUCCI. 3. JIL SANDER LANCIA IL ROSA. 4. LO STILE DARK DI FENDI. 5. PRADA E I SUOI PEZZI SOVRAPPOSTI

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Tessuti preziosi. Dettagli regali. Un trionfo di nero. Torna una moda sfarzosa. Che guarda a Oriente. E ammicca ai ricchi di oggi DI VALERIA PALERMI 146 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Foto: Ansa, Reuters - Contrasto (2), Afp - Getty Images, Ap - LaPresse

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ono tempi cupi, ma da lì non si vede. Anzi: dalle passerelle, il mondo sembra un gran bel posto. Ricco, soprattutto. Perché quello osservato a Milano, dove si sono appena chiuse le sfilate della moda femminile del prossimo autunno/inverno, è un mondo che non conosce crisi. “Richistan”, lo aveva chiamato con fortunato neologismo qualche anno fa

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Robert Frank del “Wall Street Journal”: il pianeta senza frontiere abitato dai ricchi di tutto il mondo, multilingue e globale. Mondo mai definitivo, mai formattato una volta per sempre, perché le economie dei Paesi sono instabili, e i ricchi di ieri sono i nuovi poveri di oggi. I ricchi d’oggi sono invece russi, malesi, brasiliani, e ovviamente cinesi e indiani. Questi ultimi, secondo il report “The world in 2050” del colosso bancario 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 147


Società

HSBC, vedranno nei prossimi decenni il proprio Pil moltiplicarsi di oltre 8 volte, piazzandosi in terza posizione sul podio dopo Cina e Stati Uniti. I cinesi, secondo la stessa fonte, saranno invece la prima potenza economica mondiale. La moda registra: per esempio invitando una designer di Shanghai, Uma Wang, a sfilare a Milano, a Palazzo Reale; per esempio lanciando in Cina piattaforme di commercio on line, come fa Net-à-porter con l’acquisizione di Shouke Limited. Previsioni come quella di HSBC appaiono a volte azzardate, ma non c’è dubbio che la bussola della ricchezza guardi ad Oriente. E lì guardano anche gran parte degli stilisti italiani: perché mai stagione della moda è stata più opulenta, più ricca e preziosa. E accadono curiosi fenomeni: per esempio, la mutazione del tempo. Che ne è stato dell’abbigliamento destinato alle ore del giorno, del lavoro, della vita normale? Quasi sparito. Mi-

1. BIANCO DA SPORTMAX. 2. GOTICO DA VERSACE. 3. L’ELEGANZA DI SALVATORE FERRAGAMO. 4. GIORGIO ARMANI PUNTA SULLE TINTE PIÙ SEXY. 5. TRASPARENZE DA ETRO. 6. LA GRAZIA BLUEGIRL 7. EFFETTO BOSCO DA ANTEPRIMA. 8. LO CHIC MISSONI. 9. LA MORBIDEZZA DI AIGNER. IN BASSO: FAUSTO PUGLISI; BEYONCÉ

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riam si sveglia a mezzanotte, le creature che sfilano, invece, nel tardo pomeriggio, ed è già ora di abiti da cocktail, già tempo di prepararsi per cena, o per inviti glamour per i quali indossare un abito da sera. Ecco allora le tante zarine, le madonne coperte di gioielli, le cappe trapuntate d’oro, i ricami preziosi, i tessuti mirabili, i decori oversize, le croci bizantine, lo sfolgorio della maglia di metallo, le trasparenze, gli omaggi all’imperatrice Teodora, i mantelli, gli strascichi, le pellicce, i cristalli e le perle e le gemme a impreziosire abiti già preziosi. Pensati per i nuovi ricchi del mondo, che potranno permettersi quella sinfonia opulenta che sta diventando molta moda italiana. Opulenta come le bellezze che hanno fatto scattare più flash in questi giorni, Monica Bellucci da Dolce & Gabbana e Naomi Campbell da Roberto Cavalli. E notturna: per lo splendore cupo del nero trionfante in ogni collezione. Perché è

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Foto: R. Tecchio (4), Olycom (3), Reuters - Contrasto, P. Santambrogio

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Da Messina alla scoperta dell’America

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«Il confetto è hard», e ride. Il concetto, in realtà, era più elaborato: «Il punto di colore scelto da Raf Simons per la collezione Jil Sander era pericoloso, però è così bravo che il risultato è straordinario». Ma Fausto Puglisi quando parla di moda si appassiona, e nella foga sintetizza. Ha ragione di farsi prendere dall’entusiasmo: è il suo momento d’oro. Ha presentato la nuova collezione a Milano, e tutti vogliono il giovane stilista, dai giornalisti ai buyer. Piace la sua moda, che racconta una femminilità combattiva e sofisticata. «Non amo il civettuolo. Mi piacciono le donne forti, capaci di “charme discret”, il fascino discreto della borghesia. Catherine Deneuve in “Belle de Jour”». A credere in lui per primi sono stati Dolce & Gabbana, quando lo vollero per il progetto Young Designers dello spazio Spiga 2, e la fashion icon Anna Dello Russo, sua convinta sostenitrice. Una mano gliel’ha data il vestito malizioso cucito sulla perfezione di Belen per Sanremo, ma Puglisi ha una strada più lunga alle spalle. Storia molto italiana: comincia con una valigia. La riempie a 18 anni, lui messinese con la febbre della moda, per New York. «Un emigrato vero», sorride: «Doveva essere New York. Entravo da Saks, in negozio, con cinque vestiti fatti in Sicilia, e pensavo di vendere. Ero ingenuo ma cocciuto. La mia è

l’America vista con gli occhi di un ragazzo del Sud che sogna. Non ho mai aspirato a Parigi, alle maison, a Dior: sono cresciuto con “Magnum P. I.”, “Miami Vice”, “Starsky e Hutch”. Con la Pfeiffer e De Niro. Era il mio Nuovo Cinema Paradiso. Non sono mai diventato americano, però ci ho passato anni bellissimi». L’America ha ricambiato. A Fausto Puglisi ha dato opportunità spettacolari, lui le ha colte: l’incontro con la stylist Patty Wilson apre la collaborazione con Whitney Houston e David LaChapelle; con Arianne Phillips, stylist di Madonna. Un’escalation: dai primi capi per Maxfield passa a vestire Jennifer Lopez, Britney Spears, Kylie Minogue. Beyoncé si innamora di uno dei suoi abiti “Gladiatore”, Katie Perry lo sceglie per i Grammy Awards, Madonna per disegnare gli abiti per Nicky Minaj e M.I.A. nello show durante la finale del Super Bowl. «Con lei si lavora notte e giorno. È capace di dirti, “Quel colore lo voglio del 3 per cento più scuro”, e ha ragione». American Dream, insomma. «Ma dalla Sicilia non me ne sono mai andato. Sono sicilianissimo, mi porto dentro il Mediterraneo. La Sicilia per me non è pizzo nero, è eroica, è Ulisse, è Scilla e Cariddi. È mio nonno che mi porta in giro per le botteghe di Messina, i

suoi amici coi cappelli a falda larga, mia madre con la pelliccia di giaguaro, che ho rotto per fare dei pantaloni a Madonna. È il sud, il mare: non da fiordi, quello di Palermo. È una dimensione umana esasperata. Anche nel male. Pensando a certi quartieri potrebbe nascere una collezione, e ci vorrebbe Bruce Weber a fotografarla». Tinte forti. Come i temi della collezione: metallo, ricami cristallizzati, nero, guaine, filo d’oro. «Adoro i colori primari. Piacciono a bambini e imperatori. Non amo le mediazioni: il mare non ha mezze misure, la moda non è sussurro. La bellezza è violenta, come il desiderio». V. P.

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Foto: Afp - Getty Images (3), Ansa, R. Tecchio (3), Reuters - Contrasto, LaPresse, Olycom (5), Fotogramma, R. Rocchi

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il colore che tutti gli altri contiene, che tutti gli altri cancella. Perché non si è mai vista una Regina della Notte che non fosse coperta dalle sue tenebre. Sono creature avvolte di neri veli, neri chiffon, neri pizzi e velluti, quelle che ossessioneranno il prossimo inverno. Prendi il nero di Gucci: una carezza noir, l’ha chiamato Frida Giannini, direttore creativo del marchio. Dark glamour: romanticismo cupo e affascinante, fatto di tinte caravaggesche, marsine da uniforme e cappe, lunghi abiti drammatici. E quando non c’è il nero, ci sono colori che al nero aspirano: verdi boschivi, carnali viola e burgundy. Anche Alberta Ferretti riveste di nero le sue creature, solitamente sognanti, di una nuova assertività romantica, ossimoro che a lei è riuscito benissimo. Ha disegnato uno stile che mischia canoni maschili e femminili, e il risultato è un nuovo power dressing a sorpresa, dalla più romantica degli stilisti italiani. Nero perfino sulle fanciulle in fiore di Blugirl: per la sera vogliono black dresses gioiello, pieni di virtuosismi tecnici tra piume, strass, ruches. Nero da John Richmond e per le uscite finali, sensuali, di Ermanno Scervino: abiti lunghi fatti di solo pizzo. Nero da Prada, per una collezione più bella di sempre, che nelle parole stesse di Miuccia è omaggio al piacere della moda. E puro piacere è questo stile fatto di pezzi sovrapposti, nero su nero, cappotti senza maniche sopra gonne a loro volta sovrapposte a pantaloni, e il risultato è l’equilibrio assoluto. Da Prada, una volta di più, il ri-

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1. IL RIGORE DI JOHN RICHMOND. 2. I PIZZI DI LES COPAINS. 3. GIANFRANCO FERRÈ SCEGLIE IL GRIGIO. 4. ERMANNO SCERVINO MESCOLA LE TINTE. 5. IRONIA DA ANGELO 12 MARANI. 6. SPUNTI ANIMALIER DA JUST CAVALLI. 7. DETTAGLI PREZIOSI DA DOLCE & GABBANA . 8. TAGLI DA KRIZIA. 9. AVVOLGENTE BOTTEGA VENETA. 10. EFFETTO GIALLO PER MOSCHINO. 11. ANTONIO MARRAS MISCHIA I TESSUTI. 12. KRIZIA ANDROGINA E FEMMINILE

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gore sa suscitare desiderio. Accade anche da Armani. Che le star le veste per gli Oscar, da Penelope Cruz a Gorge Clooney, e alle donne normali risparmia l’iperdecorativismo e regala il suo “easy chic”: senso della misura, un vestire insieme androgino e femminile, pantaloni sottili e bluse di seta, e il piacere di colori come l’arancio, il fucsia, il rosso tibetano. Perché è una stagione felice, questa, della moda italiana. Per la chiarezza dei temi: il militare, il maschile/femminile, il massimalismo, il gusto per il décor. Felice per i momenti di bellezza che ha regalato. Come l’ultima collezione di

Qualità e creatività. Gli stilisti affrontano la crisi Come vedono il futuro stilisti e amministratori delegati delle griffe presenti a Milano? Quando finirà la crisi? Ecco le loro risposte. 1. QUAL È L’IDEA FORTE DELLA NUOVA COLLEZIONE? Angelo Marani: L’accostamento dei materiali: il patchwork fatto di maglia, tessuti, stampe, broccati e velluti ben accostati. La silhouette è grafica e contemporanea. Rocco Barocco: Iperfemminilità al maschile: giacca, cravatta, pullover. La parte alta del corpo riprende il guardaroba dell’uomo. Dalla vita in giù, gonne svasate 150 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

e tacchi alti. Ermanno Scervino: Una sartorialità basata su nuovi volumi e ricerca. Giacche, piumini e cappotti in crespo o in lana doppiati con neoprene. Krizia (Mariuccia Mandelli): Una moda divertente, il plissé. I colori caldi: rame, cioccolato, curry e senape. La figura allungata come nei quadri di Piero Pizzi Cannella. Jeans neri spalmati lucidi e ghette di mongolia. Anteprima (Izumi Ogino, designer): Abiti semplici mai noiosi e qualità dei tessuti: alpaca, lana, seta lucida. 2012 Les Copains (Alessandro dell’Acqua, stilista): La maglieria, lavorata come fosse

un tessuto. Tutto è tricot: dai cappotti ai golfini, al cardigan. Colori dal grigio antracite al nero. Iceberg (Paolo Gerani, direttore creativo): Ho pensato a Marianne Faithfull enfatizzando un modo di vestire sopra le righe. Ho abbinato pelle e maglia, pantaloni stretti e stampe in seta. Aigner (Sibylle Schoen, CEO): Forme rigide e materiali fluidi. Una collezione ispirata agli anni Trenta, ai quadri di Tamara de Lempicka con una tavolozza di blu, rosa, uva e nero. Borse e gioielli dalle linee semplici. Laura Biagiotti: Ho immaginato i fasti di Bisanzio, la corte dell’Imperatrice Teodora.

Gemme, pietre e borchie diventano ricami su tuniche di cashmere. Alcune stampe di seta, sugli abiti lunghi plissé, riproducono il pavimento di San Marco a Venezia. Alviero Martini Prima Classe (Antonella Memo, ad): Puntiamo sul coordinato. Tessuti e colori elaborati in un total look. Il tweed di lana è ricreato sulla stampa,

A. MARANI

E. SCERVINO

KRIZIA

i jacquard di seta ricreano il pellame con giochi di lucido e opaco. 2. LA RIPRESA: DOPO L’ESTATE O DOVREMO ASPETTARE IL 2013? Angelo Marani: Le mie esportazioni sono aumentate del 18 per cento, in Italia le vendite sono calate del 4. La nostra

ANTEPRIMA

LES COPAINS

ICEBERG

AIGNER

manifattura è apprezzata nel mondo. Nei luoghi di villeggiatura dove ho boutique, Marbella, Santorini, si rivedono ucraine e russe disposte a spendere. Rocco Barocco: Fino a quando gli operai avranno difficoltà ad arrivare a fine mese la ripresa non ci sarà. Serve un ritorno di fiducia. A Milano, nel negozio di via della

L. BIAGIOTTI

A. MARTINI

ROCCO BAROCCO

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Raf Simons per Jil Sander, elogio alla grazia perturbante di donne che non dimenticheremo. O la bellezza impossibile della sfilata di Bottega Veneta, la sofisticatezza delle donne di Massimiliano Giornetti per Salvatore Ferragamo, l’esplosione della voluttà barocca di Dolce & Gabbana, l’energia gotica di Donatella Versace. E la luminosità dell’ispirazione di Gabriele Colangelo, giovane che è ormai una certezza, che disegni il proprio brand o reinventi con passione Genny. Nessun desiderio resterà insoddisfatto. Siamo nell’era dell’instant gratification, del resto, e nessuna attesa è sopportabile. Perfino i tempi tra sfilata e acquisto si accorciano, saltando fasi prima impensabili: da Burberry e Jil Sander si guarda la sfilata on line e si ordinano subito i capi. Il desiderio per la moda si fa come quello erotico: impaziente, furibondo, imperioso. Col senso di Alessandra Facchinetti per la moda ecco l’operazione Uniqueness: collezione che non conosce stagioni, perché è sempre di stagione, la guardi, la desideri, la ordini, la ricevi in 24 ore, la indossi. Forse è per soddisfare questa impazienza che gli stilisti diventano figurine da scambiare tra i grandi gruppi del lusso. A Milano non si è fatto che parlare del loro avvicendarsi. Via Raf Simons da Jil Sander, dove torna la stilista che aveva dato il nome al brand. Ma per dove? Dior? Yves Saint-Laurent? Di sicuro da YSL esce di scena il direttore creativo Stefano Pilati. Il successore (Hedi Slimane?) sarà rivelato dopo le sfilate di Parigi. Alla prossima puntata. ■

Spiga ho buoni risultati, a Roma e Napoli, invece, no. Ermanno Scervino: Meno male che vendiamo all’estero. La Germania dà ottimi segni, non va male in Francia e Gran Bretagna. Il mercato italiano è fermo, la gente è spaventata e per ora non vedo inversione di tendenza. Krizia: Basta piangersi addosso. Esportiamo in tutto il mondo, ci sono già stati momenti di crisi, il Giappone ha sofferto e ora si sta riprendendo. Supereremo la crisi con qualità e idee. Anteprima: Il nostro brand è globale, appartiene al gruppo Fenix basato a Hong Kong. Il 50 per cento della produzione è 152 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Il piacere dei contrasti

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1. ICEBERG A TUTTO COLORE. 2. TRUSSARDI GIOCA SUI CONTRASTI. 3. NERO DA ALVIERO MARTINI 1A CLASSE. 4. LO STILE FAY 5. ELEGANZA DI AGNONA. 6. LAURA BIAGIOTTI PUNTA SUI DETTAGLI

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realizzata in Cina, il 30 è made in Italy, il 20 fatto in Giappone. Prendiamo il meglio da questi tre Paesi: è la chiave per riuscire. 2012 Les Copains: Stiamo girando l’angolo. La griffe funziona bene in Giappone, Cina, India e Brasile, soprattutto nei department store. Iceberg: Non credo in una ripresa immediata. Il 2013 sarà ancora un anno difficile. Apprezzo le riforme che sta facendo il governo Monti, vanno nella giusta direzione. Mi piacciono i modi equilibrati del nuovo premier. Aigner: Siamo una griffe tedesca. La situazione economica è migliorata rispetto a due, tre anni fa, ma non abbiamo

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raggiunto ancora i livelli di prima della crisi. Ma i mercati si riprenderanno. Laura Biagiotti: Le nostre boutique monomarca in Italia sono un barometro. Ho rivisto le compratrici ricche, le principesse arabe che negli ultimi tempi compravano solo a Parigi e Londra. Ce la faremo puntando su qualità estrema e attenzione ai costi. Alviero Martini Prima Classe: L’Italia è ancora il nostro mercato di riferimento, la situazione è instabile ma vogliamo chiudere il 2012 in crescita. Il Far East ci dà grandi soddisfazioni, in particolare la Cina, Hong Kong, Corea e Giappone. Puntiamo anche sul Medio Oriente.

Foto: R. Tecchio (3), LaPresse

Società

Sono i contrasti la chiave di lettura delle collezioni di accessori. Qualche esempio? La francesina Burwood proposta da Church’s (church-footwear.com) in vitello scamosciato ma decorata da cristalli (A), o lo stivale alto allacciato in suede con ricami “made in Italy” di ispirazione boho-rock anni ’70 (M) visto da Jimmy Choo (jimmychoo.com); il modello Cluana (Q) di Santoni (tel. 0733 281904, santonishoes.com) in pitone dipinto a mano profilato in pelle di canguro color fondente. Per non parlare dell’abbinamento décolleté classica di camoscio rosso rubino con il tacco a farfalla in ABS dipinto a mano (B): di Alberto Guardiani (tel. 02 796385, albertoguardiani. com) battezzata Flutterby Shoe. Sparito il plateau, specie per la sera, torna la scarpa classica: in vernice rossa (O) da Fratelli Rossetti (tel. 0331 552226, fratellirossetti.com); in winter denim con tacco stiletto (G) da Stuart Weitzman (tel. 02 76317846, stuartweitzman.com); a punta tonda, in suede e pelle, con dettagli di ispirazione inglese e impermeabile grazie alla tecnologia Amphibiox (F) da Geox (tel. 0423 2822, geox.com); elegante, in pelle metallizzata (H) da Casadei (tel. 02 62690172, casadei.com). Forse ispirati al revival degli anni ’20, che riporterà sullo schermo la versione in 3D del “Grande Gatsby”, lo stivaletto in camoscio color tamarindo (P) Gianvito Rossi (tel. 02 76317941, gianvitorossi.com) e il sandalo intarsiato con fiocco in raso nero collezione O Jour (I) di Giorgia Caovilla (tel. 049 0993665, ojour.it). Lo stile Daisy piace in casa Giorgio Armani (tel. 02 723181, armani.com): la clutch in vitello effetto cavallino stampato zebra (C) con chiusura laccata fuxia ne è un esempio. Stessa stampa ma modello pratico da giorno, per la shopping (N) di Furla (tel. 051 6202711, furla.com), in vitello e nappa rosso lipstick. Le borse con la tracolla la fanno da padrone: formato pochette quella di Gabriele Colangelo (D) per Borbonese (tel. 02 97379911, borbonese.com) in pitone, camoscio e nappa patchwork, che prende spunto dai tappeti tibetani, per il modello rigido (L) di Rodo Firenze (tel. 02 84961950, rodo.it), abbinata ai manici (E) da Tod’s (tel. 02 772251, tods.com) che propone un modello icona, la Miky Bag, in tinte tenui. Antonia Matarrese

3. COME SI POTREBBE AIUTARE IL SISTEMA MODA? Angelo Marani: Non si dovrebbe mortificare chi produce con tasse eccessive. I governi europei, più che la finanza, dovrebbero sostenere chi porta avanti una politica industriale e manifatturiera. Rocco Barocco: Il governo Monti mi dà fiducia, all’estero è rispettato. Mi aspetto una lotta più incisiva alla contraffazione che fa perdere al Made in Italy milioni di euro. Ermanno Scervino: Politici, alle sfilate, si vedono raramente. Il governo dovrebbe promuovere il settore, interessandosi all’artigianato in agonia. Una brava sarta

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(e le italiane sono le migliori) guadagna sui 2 mila euro al mese. Poche ragazze vogliono imparare il mestiere. Krizia: Al governo chiedo senso di responsabilità e meno tasse alle imprese. Anteprima: In Giappone il governo non ci aiuta. In Italia siete messi meglio ma il Paese che sostiene nel modo giusto la moda è la Francia. 2012 Les Copains: Non emergono nuovi stilisti. Il presidente Monti dovrebbe aiutare le nuove leve incentivando l’amore per i mestieri artigianali. Iceberg: Un bel taglio agli sprechi, specie nella sanità. Non sopporto le auto blu. Gli imprenditori chiedono rigore e concretezza.

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Aigner: Francia e Italia hanno sempre sostenuto la moda. Servirebbero più aiuti locali e azioni mirate. Laura Biagiotti: Ci vorrebbe maggior sostegno alle piccole e medie imprese, cuore della moda italiana. Una pianificazione mirata. Mettiamoci tutti a un tavolo di lavoro: governo e imprenditori. Alviero Martini Prima Classe: Bisognerebbe semplificare le norme di importazione di Paesi come Brasile e Cina, chiedendo loro di diminuire i dazi doganali. Si dovrebbero snellire le procedure: la Cina pretende l’esecuzione di test sulle materie prime di ogni singolo prodotto che vendiamo. Eleonora Attolico


Società Eventi

DIANA

Venezia celebra il mito della Vreeland. Direttrice di giornali, curatrice di mostre. Soprattutto, icona trasgressiva dello stile

DI ALESSANDRA MAMMÌ

HARPER’S BAZAAR E VOGUE. A DESTRA: MIA FARROW PER RICHARD AVEDON; AUDREY HEPBURN PER CECIL BEATON; PENELOPE TREE BY AVEDON

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Foto: James Karales

DIVINA

abito non fa il monaco ma ti può far diventare direttore di “Harper’s Bazaar”. O almeno così si narra: del giorno in cui Carmel Snow (allora direttore del celebre fashion magazine) vide al St. Regis Diana Vreeland danzare con vestito Chanel di merletto bianco e tra i capelli boccioli di rosa. Sebbene con la sua aria legnosa e androgina non dovesse far l’effetto di una fanciulla in fiore, il giorno dopo Snow le telefonò, le confessò di essere stato colpito dal suo stile e le chiese se voleva lavorare con lui alla migliore (era il 1933) rivista di moda del mondo. Cominciò così, si dice. Ma in realtà cominciò prima. Da una famiglia abbastanza internazionale, colta e ben imparentata dove nel 1903 nacque Dania Dalziel, una bambina che non si poteva proprio dire bella. Il cognome Vreeland arriva dopo, nel 1924, da un marito banchiere che si aggiunge a una mamma americana discendente di George Washington e a lontani cugini de Rothschild. Nonostante tanto pedegree Diana non era esattamente ricca. Ma decisamente elegante. «L’eleganza è innata e non ha niente a che fare con l’essere ben vestiti», diceva. E queste parole più che un’opinione erano un mantra. Solo lei poteva permettersi di dire che è meglio indossare i maglioni al contrario perché fanno più piatta. Solo lei aveva il coraggio di portare due riccioloni inamidati da giudice del Settecento ai lati di un viso lungo e cavallino. Solo lei con tintissimi capelli nero corvino, rossetto scarlatto e pomelli rossi sulle guance di ottantenne s’imponeva come un’icona e non come una vecchia pazza.

E una donna che resta un’icona per quasi un secolo, si merita un riflessione seria. E una mostra seria. Come la prima antologica su tanto personaggio che sta per aprire a Palazzo Fortuny a Venezia, per esempio. “Diana Vreeland after Diana Vreeland” (10 marzo- 26 giugno) a cura di Judith Clark e Maria Luisa Frisa, tentativo non agiografico di scomporre e ricomporre le tante facce di una figlia di quel Novecento folle, inventivo, scatenato, eccessivo e mai noioso. Un tutto Vreeland dagli anni Venti al boom economico quando lei, che da “Harper’s Ba-

zaar” era passata a dirigere “Vogue”, fu licenziata in tronco perché i tempi stavano cambiando. Fu una delle rivoluzioni del Sessantotto ad aver spodestato Diana Vreeland dal suo trono. E forse non una di quelle rivoluzione di cui vantarsi. Per questo forse se ne è parlato poco. Certo la straripante personalità di Diana non era la migliore testimonial dell’avanzata del prêt-à-porter e dello street style. Se ai tempi le chiedevano cosa pensasse del modo in cui veste la maggior parte della gente, lei rispondeva sincera: «La maggior parte della gente non è qualcosa a cui uno pensa». E son frasi che si pagano quando esplodono i consumi di massa. Ma lei che colpa ne aveva? Aveva esordito nel 1936 su “Harper’s Bazaar” con una molto elitaria rubrica di consigli per

gli acquisti, “Why don’t you...”. Ovvero: perché non acquisti un cappotto da sera trasparente? Perché non metti sulla testa una bombetta? Perché non tieni in mano un bouquet di fiori come se fosse una bacchetta magica? Aveva reinventato l’immagine della modella andando a cercare donne dai volti imperfetti, corpi ossuti, creature che catturano lo sguardo per la loro personalità non per l’adesione ai canoni. Da Twiggy a Benedetta Barzini, da Veruschka a Barbra Streisand. Aveva dettato a Jacqueline Kennedy il suo look da first lady, trasformandola in una dea dello stile. Aveva chiamato Andy Warhol a disegnare scarpe per le pagine della rivista intuendo, ben prima di Leo Castelli, che quello strano ragazzo avrebbe fatto strada. E poi aveva messo sotto sopra la stessa idea di magazine, che veniva cubisticamente scomposto in doppie pagine, layout avanguardistici, copertine con montaggi alla Rodchenko. «Prima di lei il fashion editor metteva cappelli in testa alle signore della buona società. Diana invece partiva dalla straordinaria galleria della sua immagina8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 155


Rivoluzione al Metropolitan Nel nome di Diana il 10 di marzo a Venezia, i “fashion curating” più importanti del mondo si radunano in convegno organizzato alla (e dalla) Università dello IUAV insieme al London College of Fashion e al Centre for fashion Studies di Stoccolma. L’occasione è la mostra “Diana Vreeland after Diana Vreeland” al Fortuny disegnata e pensata per racchiudere in fascinosi cabinet, i simboli e i simulacri del suo pensiero e del suo stile. Ma soprattutto per studiare finalmente la meno nota rivoluzione museale messa in atto dalla Vreeland negli ultimi anni della carriera, quando come consulente del Metropolitan firmò alcune fra le mostre più spettacolari del Novecento. In suo nome per la prima volta si riuniranno i più grandi curatori di mostre di moda del mondo: Harold Koda (curatore del Met), Aikiko Fukai (direttore del Kyoto Costume Institute), Kaat Debo (direttore del MoMu di Anversa), Alexandra Palmer (storica della moda) Amy de la Haye (London College of Fashion), Stefano Tonchi (direttore di “W”) e Maria Luisa Frisa artefice di tanta Vreeland operazione.

zione. Non seguiva la moda, la moda seguiva lei». Parole di Richard Avedon che avendo cominciato la carriera come fotografo di “Harper’s Bazaar” molte cose imparò e altrettante ne subì dalla signora Vreeland. Ma evidentemente dopo il giro di boa degli anni Settanta “non seguire la moda” per un fashion editor non era più una qualità. Non a caso dall’eccentrica Vreeland in pochi anni si passò al trionfo di bon ton congelato sotto l’educato caschetto di Anne Wintour. Ma come a tutti i miti viventi una carica onoraria non poteva essere negata. E così a Diana fu offerto l’incarico di consu156 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

lente per Costume Institute del Metropolitan Museum. Una di quelle cose che se non si è Diana Vreeland, possono seppelllire per sempre un individuo. Ma lei era Diana Vreeland. E non si lasciò sfuggire l’occasione di rivoluzionare non solo il dipartimento, ma l’intero museo organizzando esposizioni di moda che furono epocali nei temi e cambiarono la scrittura visiva delle mostre (non solo di moda). La Vreeland meno conosciuta che dal 1973 al 1987 mette in scena 12 rassegne (la prima dedicata a Balenciaga, l’ultima a Saint Laurent e nel mezzo i costumi di Hollywood, la donna ame-

ricana, il gusto della Russia) è quella che ci farà davvero scoprire Fortuny, mettendo l’accento sul presunto viale del tramonto per dimostrarci che fu invece un tempo di rinascita. Tutto quello che questa donna mise in scena in quindici anni dalle luci ai colori, dai percorsi alle invenzioni, ridisegnò la grammatica dell’esporre abiti e corpi. Fece segare tutti i seni ai manichini per renderli più astratti. Su consiglio di Robert Mapplethorpe ne fasciò con calze colorate le teste per renderli più divertenti. Creò strani piedistalli per i vestiti secondo il principio che DIANA VREELAND, un museo non è una DOVIMA E RICHARD vetrina e un abito in AVEDON PER un museo merita la HARPER’S BAZAAR, 1955; TWIGGY NELLA stessa attenzione di PRIMA COPERTINA un’opera d’arte. Mise AMERICANA, 1967 in pratica una teoria dei colori tutta sua, che doveva modulare sensazioni e sentimenti nel percorso. E diede indicazioni non semplicissime alle maestranze. Gli ordini erano: riprodurre il rosso dei berretti di bambini nella pittura del Rinascimento.Tre timbri di viola diversi: lavanda, orchidea, viola chiaro di luna. Un verde tavolo da biliardo, che non fosse però preso da un tavolo da biliardo ma rappresentasse l’essenza di tutti i tavoli da biliardo possibili. Volevano metterla nel cimitero degli elefanti? Ecco che la Vreeland con un elefante apre la mostra su Hollywood e ci mette sopra il manichino di Marilyn. “Genial” grida il mondo internazionale dell’arte e della moda. Diana aveva scritto un altro capitolo nel suo libro delle invenzioni. Con lei era nata la figura del “Fashion exhibition curator”. Mestiere a sé e non tra i più facili, perché a dar vita all’abito appeso in un museo ci vuole molta immaginazione. La sua che non è mai venuta meno, fino alla fine. «Spero di morire in una città con un buon sarto, un buon calzolaio e qualcuno forse che sia interessato a “quelque chose d’autre”. Ma mi preme soprattutto il calzolaio». In questo è stata accontenta. Morì a New York, il 2 agosto del 1989. ■

Foto: Richard Avedon

Società


Passioni CINEMA

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SPETTACOLI

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ARTE

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MUSICA

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LIBRI

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MODA

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DESIGN

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TAVOLA

n. 10 - 8 marzo 2012

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VIAGGI

Mostre

Cavaliere Laetitia Non capita tutti i giorni di vedere un Cavaliere cos“ affascinante: Laetitia Casta, undici anni dopo essere stata scelta come modella per il busto della Marianna, simbolo della Repubblica, • appena stata nominata Cavaliere delle Arti e delle Lettere dal ministro della Cultura FrŽdŽric Mitterrand. E per lÕattrice • un momento dÕoro. Una mostra a lei dedicata • in corso alla Maison europŽenne de la photographie di Parigi fino al prossimo 25 marzo (aperta dal mercoled“ alla domenica): 33 fotografie tratte dal libro ÒLaetitia CastaÓ (edizioni Xavier Barral) esaltano la bellezza della modella attraverso un particolare lavoro fotografico in bianco e nero. La fotografa • Dominique Issermann, che ha lavorato con i nomi pi• importanti della moda, da SaintLaurent a Chanel. La Issermann ha ritratto Laetitia sullo sfondo delle Terme di Vals, in Svizzera. Un risultato di grande sensualitˆ dove il nudo della Casta • valorizzato in tutto il suo splendore. In attesa di rivederla al cinema: • in uscita ÒArbitrageÓ, con Richard Gere e Susan Sarandon. Alessandra Bianchi A DESTRA: LAETITIA CASTA IN UNA FOTO IN MOSTRA A PARIGI

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Passioni Cinema

Spettacoli Passioni

LUI, LEI E IL CANCRO. IN “50 E 50” UN GIOVANE COMBATTE CON LUCIDITÀ E IRONIA

ALTRI FILM Knockout Resa dei conti

di Steven Soderbergh, Usa e Irlanda, 2011, 93’

★✩✩✩✩

Mallory Kane deve morire. Libera professionista dello spionaggio, è diventata scomoda, e dopo averla usata la Cia ha ordinato di eliminarla. Molti ci si impegnano, ma la signora ha lo scatto fulmineo

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BALLA CON JAGO L’evento della settimana segnalo ai devoti ballettofili: il ritorno in Italia della Límón Dance Company, la compagnia fondata nel 1946 dal danzatore e coreografo di origine messicana José Límón (morto nel 1972), uno dei personaggi più rappresentativi della modern dance americana. Tre saranno le serate, decisamente eccezionali, che vedranno coinvolta una delle realtà tra le più significative della danza internazionale, oggi sotto la direzione artistica di Carla Maxell, già stella della compagnia. La prima serata, il 10 marzo al Teatro Duse di Bologna, sarà a scopo benefico, per sostenere la Fondazione Hospice Maria Teresa Chiantore Seràgnoli Onlus. La compagnia sarà poi in scena a Siena (11 marzo, Teatro dei Rinnovati) e a Lucca (13 maggio, Teatro del Giglio). L’occasione è prelibata poiché saranno presentati dei famosi classici di Limón quali “There is a time” (1949),

Il film di Roberto Escobar

TRAGEDIA LIGHT

to com’è di reminiscenze del greco antico. D’altra parte, ci si deve abituare. Intanto, lo dovrà ripetere a Rachael, e poi a Kyle. A sua madre, invece, per qualche tempo eviterà di ripeterlo: diventerebbe ancora più pesante, con quel suo intromettersi continuo. Adam neppure riesce a disperarsi. È questo il segno del suo crudele disorientamento. Rachael insiste per non lasciarlo solo. Lo curerà e lo assisterà, gli promette, e senza badare a quanto le costerà in tempo e in sofferenza. Lo stesso gli assicura Kyle, con maggior sincerità. Ma lui sa che cosa lo attende. Non c’è amore che lo possa consolare, né amicizia. Ancor meno lo consolano le sedute di sostegno psicoe i colpi proibiti di Gina Carano, “solida” campionessa di arti marziali ora passata al cinema. Denso di scazzottate, ripetitivo, déjà vu. Povero Soderbergh.

logico cui si lascia sottoporre solo per sfidarne e smascherarne l’inutilità patetica. Tutto questo Levine e Reiser riescono a raccontare sorridendo, e facendoci più d’una volta sorridere. In “50 e 50” il tragico si esprime con pudore e sottovoce, qua e là intrecciandosi con il comico, come succede nella vita. E come succede nella vita, alla fine Adam si trova fronte a fronte con se stesso. Steso su un letto operatorio, non c’è chi possa vivere quel momento con lui, e tanto meno per lui. D’altra parte, questo gli ha insegnato la “cosa” oscura e dal nome impronunciabile: per quanto tocchi morire da soli, sono gli altri che danno significato alla vita. ★★★✩✩

Arrivederci Umberto Fa brutti scherzi la memoria . Umberto Bindi - il genovese per il quale Nanni Ricordi inventò il termine “cantautore” per sottolineare che le canzonette potevano essere una forma d’arte - ne aveva pochissima.

Un giorno questo dolore ti sarà utile

di Roberto Faenza, Usa e Italia, 2011, 98’

★★✩✩✩

Il giovane James (Toby Regbo) è in bilico sul crinale che separa i sogni di un adolescente sensibile e il prosaico realismo di una vita borghese, troppo borghese. Preso fra una madre gallerista e mangiauomini e un padre affarista e femminiere, il suo rifugio è una nonna rimasta bohémienne. Com’è difficile crescere, anche se in un nido dorato nel bel mezzo di Manhattan. Tratto con diligenza da un romanzo di Peter Cameron.

ispirato all’“Otello” di Shakespeare. La Pavana del Moro è un prodigio nella sua struttura, semplice e perfetta. Quattro danzatori: Otello, Jago e le loro mogli, danzano la “THERE IS A TIME”. SOTTO: “L’ECO DI UMBERTO”. NELL’ALTRA PAGINA, DALL’ALTO: tragedia di “50 E 50”: “UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARÀ UTILE” (A DESTRA); “KNOCKOUT” Shakespeare “Chaconne” (1942, assolo su musica di muovendosi con un sublime distacco, Bach) e “Dances for Isadora” (1971), intrecciandosi con eleganza, raccontando decisamente prezioso nella sua i grandi temi della tragedia: amore, evocazione di Isadora Duncan, che resta infamia, gelosia, morte. Potremmo forse una delle coreografie di massimo impatto parlare di uno dei trionfi dell’intelligenza emotivo. Sarà in scena anche “The pura nell’ambito dell’arte più emozionata Moor’s Pavane” (1949), capolavoro e emozionante: la danza, naturalmente.

Teatro di Rita Cirio

Foto: C. Barius, G. Ansald

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27 anni, Adam (Joseph Gordon-Levitt) scrive programmi per una radio di Seattle, dove lavora fianco a fianco con Kyle (Seth Rogen), il suo miglior amico fin dai tempi del liceo. Rachael (Bryce Dallas Howard), la sua ragazza, gli vuole bene. Così almeno lei sostiene. Quanto a sua madre Diane (Angelica Huston), se gliene volesse un po’ meno a lui non dispiacerebbe. È tutta qui la vita del protagonista di “50 e 50” (“50/50”, Usa, 2011, 100’), in questo normalissimo intrecciarsi di relazioni. A completarla manca però il fatto che un giorno gli dicono che ha il cancro. Potrebbe essere un dolciastro, lacrimevole, insopportabile “cancer movie”, questo girato dal trentacinquenne Jonathan Levine e scritto da Will Reiser (anche sulla base dell’esperienza personale). Invece, la storia di Adam ha la leggerezza della commedia, e insieme la verosimiglianza della vita. La “cosa” che sta dentro di lui come una promessa di morte è oscura e incomprensibile al pari del suo nome. Il medico che gli ha dato la notizia lo ha pronunciato con l’indifferenza del tecnico, e con il compiaciuto senso di superiorità del suo ruolo. Ma lui trova difficile ripeterlo, ir-

Danza di Vittoria Ottolenghi

Molta per quella sua musica raffinata e non di rado portata a slanci sinfonici che eseguiva lui stesso al pianoforte. Assai meno per le parole, spesso aggiunte da collaboratori. A un festival di Sanremo primi anni ’60, come i bambini a scuola, per timore di dimenticare le parole le scrisse sul palmo della mano che, durante l’esecuzione, portava spesso davanti al viso, per dare un’occhiata agli appunti. Ma quell’ ingenuo espediente doveva costargli caro, scambiato come fu per ostentazione di anelli e modi da omosessuale in un’Italia omofoba e forse non ancora pronta per quella musica colta. “L’eco di Umberto”, teatro-canzone di Gian Piero Alloisio, racconta la breve vita felice e di successo del Bindi di “Arrivederci”, “Il nostro concerto”, “La musica è finita” e di “You ‘r My World” cantata anche da Tom Jones e Dionne Warwick, e quella assai più lunga e solitaria di un grande che, ormai dimenticato e povero, non rinuncia a comporre musiche

EROTISMO D’ESSAI Nagasi Oshima, il più trasgressivo cineasta giapponese, è stato il primo a iscrivere un film hard core tra quelli d’essai: “L’impero dei sensi” (1976), vittima della censura in molti Paesi. Eros e thanatos sono al centro, due anni dopo, de “L’impero della passione”, dove è mitigato l’erotismo ma non mancano scene mirabili. I due titoli sono ora riproposti in Blu-ray dalla RVH nelle versioni integrali. F. T.

sempre sorprendenti e mai pubblicate. Registra su nastri casalinghi Bindi, ma per fortuna il lavoro di ricerca di Alloisio ha messo in salvo tutto quello che ha trovato, spartiti, testi, diari, foto, musicassette, 300 brani inediti. Così nello spettacolo Alloisio e la sua band (Mario Arcari, Barbara Bosio, Dino Stellini) ogni tanto cedono la scena all’Autore e alle sue registrazioni artigianali e tenere, alle sue parole, alla sua musica eseguita per noi come in anteprima su un pianoforte già un po’ scordato. Una serata insieme vintage , preziosa , affettuosa, a cui è bello dire e augurare “Arrivederci”. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 161


Passioni Musica

Arte Passioni

Lirica di Giovanni Carli Ballola

ART BOX

LIVIDI SIGILLI Che cosa manca al bravissimo Franz Schmidt (1874-1939) autore del “Libro con Sette Sigilli”, oratorio biblico del 1937 ripescato dall’Accademia di Santa Cecilia in uno dei suoi eventi più intriganti? Estranei alle avanguardie novecentesche, Schmidt, Zelminsky, Schreker, Pfitzner, Korngold ed altri compositori di area tedesca e da 110 e lode, dopo breve rinomanza spariranno di scena in significativa coincidenza coll’apogeo della Trimurti dodecafonica e del sacrario di Darmstadt. Una radice comune sostanzia le pagine di questi ragguardevoli “Kapellmeister”, ed è l’attaccamento genetico a un lessico romantico più o meno aggiornato nell’intento di tenere il passo con competitori del calibro di Hindemith o Richard Strauss. Così le ombre di Schumann, Mendelssohn, Liszt, Brahms si contendono il lungo

di Alessandra Mammì

prologo di Giovanni che apre quest’ambiziosa Apocalisse, due ore di musica magnificamente scritta nella quale senti che manca qualcosa: la stessa che mutatis mutandis era mancata al bravissimo Mercadante in lizza con Bellini, Donizetti e Verdi. Talora, però, il nostro Kapellmeister si guarda attorno e si avvede che i tempi sono mutati. Ed ecco percussioni e xilofoni modernisti commentare l’apertura del quarto sigillo, quello del cavallo livido color di morte. Ecco un coro a cappella alla Messiaen invocare, immoto e sillabato, la misericordia di Dio, dopo averne con effettismo spettacolare celebrato la grandezza. Ammirevoli Leopold Hager al podio dell’orchestra e Ciro Visco a capo del co-

Giocando col fuoco Aurelio Amendola. “Combustion”. Fino al 24 marzo. Galerie Sapone. Nizza. Nella foto a sinistra non brucia nessuno. C’è solo il fuoco dell’arte sulla superficie di un cellotex che crea le prime combustioni di Alberto Burri. E mentre il maestro brucia, un giovane fotografo scatta. Era il 1972 e lì fu sigillata un’amicizia che durò tutta la vita e fu immortalata una performance ante litteram. Perché se è vero che per il grande artista umbro quel che contava era l’opera finita, è evidente che però non gli sfuggì la potenza del gesto. Quello catturato dalle immagini esposte a Nizza e pubblicate nel bel catalogo-libro con testi di Bruno Corà (ed.3Arte). Silenzio parla Abramovic. Marina Abramovic “The artist is present”. Best Documentary Panorama. Berlino. La Grande Madre della Performance invece ha vinto il premio miglior documentario al Festival di Berlino. Nonostante ci fossero molti diplomati cineasti, la performance che nel 2010 ha messo in fila New York è riuscita a bucare lo schermo e a colpire al cuore i giurati del Festival. Eppure, in quell’esperimento c’era solo lei, seduta, zitta, immobile per ben tre mesi a sfidare il pubblico in un dialogo fatto di energia, complicità, sguardo, silenzio interiore. Insomma tutto quello che ci manca.

ro ceciliano e dei solisti in un tour de force tra i più impegnativi dell’Accademia romana. LEOPOLD HAGER. SOTTO: I KRAFTWERK. A DESTRA, DALL’ALTO: BURRI, “COMBUSTION”, FOTO DI AMENDOLA; OLDENBURG, “MEN’S JACKET WITH SHIRT AND TIE”; LEGORRETA, CAMINO REAL HOTEL

Architettura di Massimiliano Fuksas

KRAFTWERK AL MOMA

MESSICO A COLORI

Cd rock di Alberto Dentice

Brasiliani si diventa DUETTO LIVE. Caetano Veloso e David Byrne non si erano ancora mai esibiti insieme, ma tra i due artisti è sempre esistita una sintonia profonda. Byrne con le sue incursioni nel folclore brasiliano di “Rei Momo”. Mentre Veloso ha spesso e volentieri reso omaggio alla grande pop song americana. Così l’uscita del “Live at Carnagie Hall”, il concerto registrato dai due nel 2004 a New York, conferma un’affinità che finalmente ha potuto esprimersi. Sono in tutto 18 brani: sette di

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Caetano solista, sei dell’ex Talking Heads e cinque duetti. Un live incantevole che si apprezza come un buon rum d’annata. Grazie anche alla complicità di fuoriclasse come Jaques Morelenbaum al violoncello e Mauro Refosco alle percussioni. ANIMA ROCK. Da sempre in bilico tra teatro e letteratura, un percorso consacrato fra l’altro dallo spettacolo “La canzone di Nanda” dedicato alla Pivano e “The Beat Goes On”, il milanese Giulio Casale torna sulla scena musicale con un

nuovo album, “Dalla parte del torto”. Dodici brani in cui oltre agli inevitabili riferimenti a Gaber e al teatro canzone del quale Casale è stato ed è un raffinato interprete, viene fuori inaspettata anche la sua anima rock. TALENTO D’ANGELO. Difficile voltare pagina e reinventarsi senza negare il passato. Soprattutto quando si è stati baciati da un devastante successo popolare come è capitato a Nino D’Angelo ai tempi di “Nu jeans e na maglietta”. Ma ‘o guaglione tiene “a capa tosta” e talento da vendere. Come dimostra l’album “Tra terra e mare” l'ultimo esempio della sua rinascita artistica. Fin dalla poesia d’introduzione, “L’alba”.

Foto: Musacchio&Ianniello, S. Hoerhager - Dpa / Corbis

Una performance musicale e artistica. I Kraftwerk, mitica band electropop, dal 10 al 17 aprile saranno protagonisti al Moma di New York di otto sere in cui suoneranno i loro primi album con proiezioni in 3D: otto diversi show in cui suoni, androidi e “visuals” si armonizzeranno come già successe alla Biennale di Venezia del 2005. Una consacrazione per la band di Düsseldorf che anticipando l’impatto della tecnologia sulla vita ha influenzato arte, hip-hop e dance music. A. Rin.

Era il 1968, Città del Messico ospitava le Olimpiadi mentre era scossa da oceaniche manifestazioni di studenti, come gran parte delle capitali del mondo. Ci fu una repressione sanguinosa con morti e feriti, l’esercito aprì il fuoco contro i giovani manifestanti. Contemporaneamente, era in costruzione l’Hotel Camino Real prossimo alla Avenida de los Insurgentes, la grande arteria che attraversa la capitale. L’autore era l’allora trentasettenne architetto Ricardo Legorreta che, dopo un’iniziale formazione con J. Villagrán García alla Universidad nacional autónoma de Mexico, aprì due studi, uno a Città del Messico e un altro a Los Angeles. Il suo vero e ascoltato maestro fu Luis Barragán, architetto dotato di un grandissimo talento che ha coniugato la passione per l’architettura moderna con la grande tradizione e l’attenzione al paesaggio messicano e ai suoi colori. Legorreta andò oltre l’ispirazione europea dei suoi maestri. Attraverso il sud della California, l’Arizona, il Nuovo Messico, unì architettura e monumenti costruiti dalla

natura, le faglie rosse dei deserti, i tramonti vividi con le loro ombre inattese. Legorreta ha costruito molto e le influenze che sfiorarono le sue architetture sono molteplici: dalla cultura islamica alle tessiture spagnole, dai Maya e gli Aztechi alla cultura indigena. Opere importanti sono equamente sparse sui territori di confine da lui amati: il Museo de los niños a Città del Messico nel 1993, nel ’94 la biblioteca dell’Università a Monterrey, l’anno seguente un’altra biblioteca a San Antonio nel Texas. E ancora, il centro residenziale Pueblo Legorreta a Santa Fe nel 2001. Un grande. Scomparso il 30 dicembre del 2011.

Arte

Cultura in vendita DI GERMANO CELANT

Oggi i luoghi privilegiati dell’arte sono diventati territori di consumo e la visione incantata dell’artefatto si è mutata in disincanto mercantile, sempre più legato a esibizioni spettacolari e a una continua escalation delle sue valutazioni economiche. Una realtà che serve per attrarre nuovi clienti ed è stata anticipata da Claes Oldenburg (1929) quando nel 1961 trasformò il suo studio a New York in un negozio, “The Store”, in cui al pubblico di strada venivano offerti sculture e oggetti, a forma di cibo o di vestiti, acquistabili direttamente. Questo desiderio di far coincidere la cultura alta con quella bassa, di massa, evidenzia l’equivalenza tra arte e merce così come l’importanza del punto di vendita. È l’annuncio della catena di centri commerciali, quelli creati dal sistema del mercato delle gallerie e delle case d’asta e trasformati in cattedrali del consumo insieme ai musei. E se questi sono l’habitat finale di un pellegrinaggio, dove il feticcio arte è idolatrato, secondo Oldenburg è giusto che lo stesso artista si crei il suo luogo sacro, come il “Mouse Museum” del 1972 (al mumox, Vienna, fino al 28 maggio). Un contenitore architettonico disegnato sulla figura stereotipata di Micky Mouse, il nostro Topolino, al cui interno - separate da un plexiglas così da evocare un panorama o un teatro - sono raccolte figure e cose trovate per strada o acquistate - gli hot dogs, il frullatore, il gelato, il cucchiaio, il dentifricio - che compongono l’universo iconografico dell’artista. Il risultato è una macchina del vedere che mette precocemente in evidenza come la ricerca artistica oggi si sia trasformata in una produzione sovrabbondante di beni effimeri capaci di sedurre e di creare trappole museali per lo “sciame” dei suoi consumatori. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 163


Passioni Libri

Libri Passioni Il libro di Mario Fortunato

La storia di Giuseppe Berta

IPNOTICO SIMENON

TORNIAMO ALL’ARSENALE ziano, ha avuto agio di conoscere da vicino. Ne rintraccia le origini e la prima impronta nel grande cantiere dell’arsenale di Venezia, dove già nel Rinascimento la capacità di combinare i saperi e le competenze produttive si mescolava con l’attitudine al calcolo dei costi. Nella nostra storia imprenditoriale, Brunetti riscontra un intreccio di culture e comportamenti in grado di suscitare una visione del mondo e degli affari che non è solo economica. La chiave del successo sta però nell’associare al saper fare artigianale e alla visionarietà tipica dei grandi mercanti le tecniche manageriali. La crisi finanziaria ripropone oggi la necessità di recuperare

Il romanzo di Gianluca Di Feo

BABAR ASSASSINO Un serial killer che uccide usando armi della seconda guerra mondiale. E si firma “Babar l’elefantino”, il nome di battaglia di un partigiano irriducibile impegnato a risolvere una questione privata rimasta in sospeso dal 1944 tra maquis, nazisti, piloti americani e una serie di traffici senza tempo né confini. “Pessime scuse

per un massacro” è la nuova sfida per “Les italiens”, la squadra di poliziotti francesi creata da Enrico Pandiani, che dopo tre libri adesso diventano grandi. Il commissario Jean Pierre Mordenti dice ancora di essere «un cane randagio che cerca di

In viaggio con il jazz Le migrazioni non mescolano solo il sangue dei popoli, ma anche cultura e musica. E il jazz in particolare non sarebbe quello che conosciamo oggi se non avesse preso il meglio dagli spostamenti - quasi mai volontari, sempre dovuti a povertà o guerra - delle popolazioni di ieri e di oggi: da un continente all’altro, ma anche da un quartiere all’altro delle grandi metropoli. Lo racconta Stefano Zenni, tra massimi esperti di jazz in Italia, in una conferenza intitolata “Storia del jazz: una prospettiva globale” (Università di Milano Bicocca, 12 marzo). Con l’ausilio di mappe, cartine e con numerosi esempi da ascoltare Zenni disegna una nuova visione di questo movimento musicale, intimamente legato alla migrazione di individui e di strumenti musicali, di libri e dischi. A. C. P.

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Al lettore a cui occorresse inaspettatamente di venire colto da un’improvvisa sfiducia nei confronti del romanzo (l’ipotesi non è poi tanto peregrina, viste le innumerevoli cavolate che si pubblicano di continuo), consiglio un antidoto infallibile: un racconto del grande, dell’impareggiabile Georges Simenon. Per esempio, quello appena uscito da Adelphi, “Il destino dei Malou” (traduzione di Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio, pp. 200, € 18). È una storia pubblicata la prima volta nel 1947, ma conserva ancora tutto il suo smalto, neanche fosse stata scritta ieri. Ci sono passaggi in cui quasi non ci si dà ragione di quanto Simenon sia bravo, nel descrivere la vita di una provincia francese depressa e deprimente, i cui protagonisti sono figure irrisolte di un’eterna commedia sociale che, replicandosi in tragedia, è sempre

e perseguire l’equilibrio fra le componenti economiche. Anche per l’impresa vale l’indicazione di «più sobrietà nei consumi e maggior ricerca di sostenibilità» nei confronti degli interlocutori, siano essi i lavoratori, i fornitori, i clienti, l’ambiente. L’ARSENALE DI VENEZIA. A DESTRA: UN RITRATTO DI GEORGES SIMENON

farsi un pedigree» ma ormai è stato arruolato dalla Rizzoli, con una bella edizione in brossura, e - come recita la copertina - prova a saltare dal noir al romanzo. Una metamorfosi ancora incompleta, e forse bisogna rallegrarsene perché la carica del noir resta formidabile, con un intarsio di ironia, musica, alcolici, femmes fatales, misteri, sparatorie e citazioni degni dei migliori testi del genere. Dalla sua Torino Enrico Pandiani, 56 anni, ha messo a segno quattro libri francesissimi in poco più di due anni, senza sbagliare un colpo sin dall’esordio pirotecnico. Il commissario Mordenti spiega: «Mi capita di trovarmi nel pieno di un’inchiesta muovendomi a tentoni come se mi fossi svegliato proprio in quel momento. Quando poi ogni pezzo va a finire al suo posto sono il primo a esserne sorpreso». Forse è per questo che il lettore resta incatenato alla trama per tutte le 379 pagine.

uguale e sempre diversa a ogni latitudine. Certo, sconsiglierei la lettura di questo libro a chi fosse di umore plumbeo già per conto proprio. Il colore della storia è infatti così irrimediabilmente grigio, soffocante, senza vie d’uscita, che potrebbe scatenare pensieri funesti a non finire anche sul proprio destino, oltre a quello dei componenti di sesso maschile della stirpe eccentrica e bacata dei Malou. E temo che non basterebbe neanche il finale vagamente positivo, in cui il giovane Alain va incontro a un domani di sicuro non roseo ma accettato e consapevole, per sfuggire alla malìa di questo libro ipnotico e rarefatto. E temo non basterebbe anche perché, sfortunatamente, la chiusa è forse l’unico punto debole di una storia altrimenti perfetta.

Il saggio di Paola Pilati

CAMBIARE TIMONIERE Foto: T. Anzenberger - Anzenberger / Contrasto, W. Karel - Sygma / Corbis

Nell’epoca della globalizzazione si tende spesso a guardare al sistema economico e ai suoi soggetti come se non contassero le specificità dei loro percorsi e le dinamiche particolari che ne hanno scandito l’evoluzione. Ma la convergenza verso il mercato mondiale non cancella affatto le identità e le culture presenti nell’organizzazione economica, con un effetto di indistinta omologazione. Lo documenta bene Giorgio Brunetti, decano degli studi sulle imprese e il management, in un libro singolare (“Artigiani, visionari e manager. Dai mercanti veneziani alla crisi finanziaria”, Bollati Boringhieri, pp. 148, € 14,50), che si colloca a metà tra testimonianza e riflessione. Brunetti ripercorre i luoghi e le tappe lungo i quali si è svolta la sua carriera di docente e di consulente aziendale, ritrovando in essi alcuni dei caratteri in cui si è espressa l’imprenditorialità italiana, specie quella del NordEst, che l’autore, vene-

Messaggio urgente ai passeggeri di terza classe del transatlantico Europa: scendete, scappate, e cambiate il biglietto per l’Australia, la Nuova Zelanda o l’America Latina. Al “Titanic Europa” - titolo dell’ultimo libro di Vladimiro Giacché, economista e banchiere proveniente da studi di filosofia manca poco per sbattere contro il suo iceberg: provocando non solo il fallimento del progetto euro, ma la depressione profonda dell’intero continente, con il rischio che ricompaiano i peggiori fantasmi del secolo scorso. Catastrofismo? Niente affatto. Il saggio di Giacché (Aliberti Editore) si iscrive in un filone di pensiero che ha poca fortuna sui giornali (se non sotto la forma colorata e spettacolare del movimento Occupy Wall Street), vale a dire l’analisi senza timori reverenziali di come i governi e le autorità internazionali preposte hanno reagito alla crisi mondiale, e dei rimedi adottati. Come un’indagine su un cittadino al disopra di ogni

sospetto, il libro indaga su due insospettabili: il mercato, e l’austerità. Due “idee-zombie”, come le definisce l’autore, che continuano a circolare - e a influire sulle classi dirigenti nonostante abbiano dimostrato il loro effetto nefasto. La terapia dell’austerity «ha fatto cadere in recessione Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia; eppure il medico che ha peggiorato le condizioni del paziente incolpa il paziente dell’inefficacia della cura, e gliene prescrive una dose maggiore». Quanto al mercato, i governi gli ubbidiscono come soldatini, nonostante mille dimostrazioni del suo fallimento. Cambiare rotta? Si può. Con un passo sul piano delle regole (fare della Bce una banca centrale a tutti gli effetti) e uno sul fonte dei poteri democratici: cambiando il timoniere.

Come dire

Bando allo stupore DI STEFANO BARTEZZAGHI L’acuto critico televisivo Antonio Dipollina si è accorto che i telecronisti sono abituati ad abbreviare i nomi polisillabici e complicati dei calciatori (per esempio Ibra da Ibrahimovic) eppure riluttano a farlo nel caso dello juventino Estigarribia. Dipollina non ha avuto bisogno di spiegare perché il nomignolo “Estiga” sarebbe improponibile. È chiaro a tutti che “Estiga” è pericolosamente vicino a un’abbreviazione di “E sti cazzi” che da qualche anno è certamente l’esclamazione di turpiloquio rituale che domina sulle altre. È l’equivalente discorsivo della rubrica di Cuore “E chi se ne frega”. L’origine è romanesca, il significato letterale non c’è o è irrilevante, il senso dell’affermazione è: «Pensi di stupirmi?». Il paradigma è questo: A. «Mi è morto il gatto»; B. «Sti cazzi». Ma dato che l’umorismo romanesco viene riprodotto con la stessa deludente approssimazione della pronuncia romanesca, “sti cazzi” viene impiegato anche a sproposito né sono chiari a tutti i suoi rapporti con l’altra tipica esclamazione romanesca di andante turpiloquio, che è “me cojoni” (che per alcuni significherebbe addirittura “i miei testicoli” anziché, correttamente, “mi coglioni, mi prendi in giro, vuoi far gioco della mia supposta credulità»). Romani quanto possono esserlo due liguri, sia pure già contigui a Ilary Blasi, i comici Luca e Paolo hanno abbondato in “E sti cazzi” in un’edizione di Sanremo in cui tutti hanno abbondato in turpiloquio. È stato in definitiva un Festival di sti cazzi; in sintesi estrema, un Festicazzi. Il significato dato dai due comici era però deformato: A. «Le tasse sono aumentate». B. «E sti cazzi!»: non più «chi se ne frega» ma, al contrario, «e me lo dici con il tono di chi dà notizie del tutto prive di interesse?». Quando Luca e Paolo si vanteranno al bar con gli amici per aver detto «E sti cazzi» sul palco dell’Ariston, sappiamo già come risponderanno i loro amici. Anagramma: E sti cazzi t’ (=) azzittisce. 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 165


Design Passioni

IL RELAX È FLESSIBILE Per il gusto di costruire: Superoblong è un sistema componibile di sedute a quote differenziate con l’imbottitura interna in piuma e il rivestimento sfoderabile in tessuto o pelle. Design Jasper Morrison. Cappellini (cappellini.it).

Accoglienza extralarge Il divano tradizionale rivisitato in chiave moderna da Paola Navone con nuove proporzioni e la ricerca di tessuti particolari. Rivestimento sfoderabile disponibile anche in pelle. Oliver è un divano due posti prodotto in due misure: 172x104, h. 88 cm e 212z104, h. 88 cm. Divani&Divani by Natuzzi (divaniedivani.it).

Caldo tessuto In offerta fino a Pasqua, Rexia, sofà a tre posti è in tessuto sfoderabile e lavabile. Realizzato interamente in Italia e garantito quindici anni. Poltrone&Sofà (poltronesofa.com).

Due al posto di uno

Nostalgia anni Settanta

Unica nel suo genere, la soluzione a castello del divano-letto Double, ideale per risolvere il problema dello spazio. Una solida struttura in acciaio trasforma questo divano in un letto a castello resistente e sicuro con tanto di scaletta e sponda. Ditre Italia (ditreitalia.com).

Dubuffet è componibile a piacere con elementi dalle linee tondeggiante ispirate agli anni Settanta. Qui nella versione tre posti, è disponibile in tessuto, pelle o alcantara. Design Rodolfo Dordoni. Minotti (minotti.com).

Terapia del colore Dune è un progetto di Ora Ito composto da divano, poltrona fissa e girevole. Il design delle sedute divide graficamente a metà l’imbottito. La struttura è in multistrato di legno e il rivestimento è disponibile in tessuto o pelle. Frighetto (estel.com).

Lusso antico L’icona delle dormeuse in produzione dal 1920: Vesta ha la struttura in faggio e il rivestimento in Pelle Frau®rifinito con profili che ne sottolineano la forma. Disponibile in diversi colori e finiture. Poltrona Frau (poltronafrau.it).

a cura di Margherita Helzel 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 167


Viaggi Passioni

Fra caruggi e resort

La Tavola di Enzo Vizzari

PALADINO DEL GUSTO

I

n attesa che Palermo si svegli dal torpore che da anni ha investito i suoi ristoranti (due, tre, non di più le tavole consigliabili), meglio uscire dalla città se si cerca qualche idea e qualche piatto che si scostino dalla routine. A Bagheria, dopo l’immancabile visita alla sempre affascinante (ma un po’ délabré) Villa Palagonia e ai suoi bei “mostri”, oltre al superclassico Don Ciccio con l’infallibile repertorio “uovo sodo e zibibbo, bucatini con le sarde, polpettone con piselli”, c’è un nuovo indirizzo più che raccomandabile. Giusto a metà strada e a poche decine di metri dai “mostri” e da Don Ciccio, da un paio d’anni è attiva una delle cucine più fresche e promettenti dell’ultima generazione di ristoranti siciliani. Non è il miglior ristorante dell’isola, come qualcuno, sprezzante del ridicolo, ha recentemente proclamato, ma dai Pupi si mangia molto bene e inequivocabilmente

siciliano, al di là degli stereotipi della sicilianità di maniera. Una trentina di coperti, arredo di studiato design sui toni del grigio e del nero, una coppia di vita e di lavoro con lei svelta e sorridente che guida la sala e lui, autodidatta, che stupisce con un repertorio di piatti nei quali - oltre alla scontata qualità dei prodotti - colpisce l’originalità dell’ispirazione e l’incisività

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I PUPI Bagheria (Pa), via del Cavaliere 59 tel. 091 902579 chiuso: domenica sera, lunedì www.ipupiristorante.it guide@espressoedit.it

WHISKY IN CUCINA

Malto show

A marzo e ad aprile in alcuni ristoranti del circuito Jeunes Restaurateurs d’Europe sarà possibile provare il Talisker 10 years old abbinato ai piatti degli chef. L’appuntamento con “Talisker Pairings d’Autore” rappresenta un nuovo modo di gustare il nobile single malt torbato, dal corpo pieno e dai sentori di acqua marina, perfetto con ostriche, pesce crudo, ma anche cotechino e cacciagione. L’idea segue la tradizione scozzese dell’abbinamento cibo-whisky, con la variante della creatività italiana. Fino al 14 marzo nei ristoranti JRE verranno offerti assaggi fuori menu da abbinare al whisky; dal 15 marzo al 30 aprile si potranno scegliere piatti concepiti per il Talisker (malts. com). Come i gamberi marinati e patate al whisky, caviale di tartufo e cavolo nero di Marco Stabile dell’Ora d’Aria di Firenze e il petto di faraona affumicato con legno di quercia, purea di topinambur, carciofi e scalogno confit di Francesco Sposito di Taverna Estia, Brusciano (Na). Fabrizia Fedele CREMINO ALL’AMARENA. A DESTRA: DESERTO DI NEGEV. SOPRA: UN PIATTO DI FRANCESCO SPOSITO; POECYLIA RESORT. NELL’ALTRA PAGINA: LO CHEF TONY DE I PUPI

CUORE DI CILIEGIA

Altre tavole TIPICOATIPICO Imperia, Calata Gian Battista Cuneo 37 tel: 0183 274942 chiuso: domenica sera e lunedì Ultimo arrivato in una delle zone più suggestive della città, il ristorante sembra ricavato nella stiva di una nave. Ricca offerta di molluschi e crudi di pesce, con particolare attenzione a ricette influenzate dalle diverse tradizioni mediterranee, soprattutto mediorientali. Essenziale la carta dei vini. Il menu varia di giorno in giorno, con prezzi intorno ai 70 euro.

dei sapori. Anche il più fiero nemico del crudo di pesce non potrebbe non apprezzare la declinazione dei cinque assaggi, dallo scampo al tonno, accompagnati da cinque oli differentemente aromatizzati. Dopo il saporito e armonico scampo in tempura avvolto in guanciale dei Nebrodi su spuma di lenticchie, è un gran piatto - certo il migliore fra i miei assaggi - il raviolo liquido “all’anciova” (all’acciuga) con mollica caramellata: idea, tecnica e meraviglioso equilibrio nel gusto. E il livello non cala con gli spaghetti alla chitarra al cacao amaro, ricci, ricotta di bufala e nocciole, né con gli involtini di pescespada alla carbonella. Identità (siciliana), fantasia, precisione nelle cotture, nelle consistenze, negli accostamenti. Anche nei dolci, con il fine cannolo caldo con gelato di malvasia. I vini sono appropriati, il servizio puntuale, il conto non dolcissimo ma equo: due menu a 55 e 65 euro, alla carta intorno ai 50. Ad maiora.

Foto: N. Hilger - Laif / Contrasto

TRADIZIONE SICILIANA SENZA MANIERISMI. A BAGHERIA UN NUOVO INDIRIZZO CHE COLPISCE PER ORIGINALITÀ

OSTERIA DI MONTEVERDE Roma, via Pietro Cartoni 163 tel: 06 53273887 chiuso: sabato a pranzo Una post-trattoria in bilico tra due parti di un quartiere culinariamente in decollo dove, prima di calligrafia e strizzate d’occhi, nel piatto viene il sapore. Si tratti di animelle, baccalà (patate e pecorino), o robusti ma centratissimi gnocchi con spuntature. Con il piacere di vini rari e birre giuste. E del conto, fermo a quota 35.

È come una madeleine dell’infanzia: un panetto di cioccolato bicolore da gustare a merenda con il pane. Loro ci hanno abbinato il dolce-amaro delle ciliegie di Romagna, creando un cremino fondente e al latte con le amarene affogate all’interno: golosità che ha conquistato i palati di grandi e piccini, oltre ai giurati dell’Academy of Chocolate 2011. Gli artefici sono i fratelli Manuele e Fabio Gardini, di Forlì: figli d’arte, con le mani nel cioccolato dal 1980, che nel mondo della pralineria si sono fatti conoscere un decennio fa con il marchio “L’Artigiano”.

Ora hanno allargato la gamma dei prodotti, continuando a esaltare il legame con la loro terra, dopo il cioccolato al sale dolce di Cervia e la crema al Sangiovese passito. E tra le novità Gardini la crema spalmabile al caffè: questa volta Gianduia si è innamorato dei chicchi tropicali. (gardinicioccolato.it). Gigi Padovani

Scalinate, caruggi, le case antiche del centro storico. La dolcevita a Carloforte, nella Sardegna sud-occidentale, è fatta di piccole cose, ancora autentiche. Si possono fare esperienze di pesca turismo, immersioni e passeggiate nell’Oasi Lipu per osservare gli uccelli che vivono lungo la scogliera. Con la bella stagione si può prendere il sole a Cala Fico e Capo Sandalo, oppure raggiungere La Caletta, dove bere l’aperitivo in attesa dello spettacolare tramonto. La migliore cucina carlofortina, con pasta fresca e pesce, si assaggia al Tonno di corsa, ricavato all’interno di una vecchia casa. Per dormire, invece, c’è il Poecylia, resort nascosto nella macchia mediterranea, con quattro suite arredate con quadri, fotografie e opere collezionate dai proprietari durante i loro viaggi nel mondo (doppia in b&b 140 euro, tel. 333 7629790, www.poecyliaresort.it). Luisa Taliento

Luoghi da scoprire di Giovanni Scipioni

Gerusalemme da meditare Puoi decidere di andare in Israele per un contatto con la natura o con la spiritualità, puoi immergerti nel mar Morto o attraversare la Galilea, puoi scendere nel deserto di Negev per abbandonarti nel «silenzio completo e totale e ritrovare equilibrio» (Amos Oz) e puoi scegliere tra Tel Aviv che si diverte e Gerusalemme che prega. Gerusalemme inoltre ha un rapporto speciale col deserto. Secondo Abraham Yehoshua questa città ha sempre intrattenuto un dialogo con la metafisica del deserto. «La metafisica non è solo intellettuale, ma anche geografica. Si tratta di un aspetto caratteristico di questa città, della sua visione religiosa». È il disegno di una città e di un paese, la personale geografia emozionale dello scrittore. Scendere a Gerusalemme e attraversare il suo deserto è uno dei modi migliori per conoscere questa terra. Ma, arrivato a Gerusalemme, dovrai varcare la soglia del Museo d’Israele. Soprattutto per l’originale architettura di ristrutturazione affidata alla matita del newyorkese James Carpenter. Un nuovo ingresso con un nuovo padiglione in vetro che riprende le linee della struttura modernista degli edifici originali, una nuova utilizzazione degli spazi, una ridefinizione del percorso di visita. Una struttura che non ti aspetti e che non stravolge il vecchio progetto di Alfred Mansfeld, ricco di edifici cubici dei villaggi del Mediterraneo. Il deserto come luogo di riflessione interiore e spirituale sulle orme dell’esperienza di Yehoshua; il museo come luogo di riflessione storica e architettonica. Due momenti del viaggio come conoscenza.

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Lettere PER POSTA

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PER E-MAIL

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LE OPINIONI DEI NOSTRI LETTORI

Calabrò va al risparmio In relazione all’articolo “Carissimo Calabrò” (“l’Espresso” n. 9) si precisa che l’interlocuzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con la Ragioneria generale dello Stato è stata attenta e minuziosa e ha condotto a una valutazione positiva del bilancio, esaminato posta per posta. L’incremento di spesa per il 2012 è dovuto soprattutto all’obbligo, imposto dalla legge finanziaria, di riversare alle altre Autorità 9,8 milioni di euro per finanziarne il disavanzo; finanziamento al quale si era fatto fronte negli anni precedenti facendo ricorso, in gran parte, all’avanzo di amministrazione. Una volta esaurito, con l’anno 2012, il finanziamento ad altre Autorità, il bilancio dell’Agcom tornerà naturalmente in equilibrio. MARIO CALDERONI, responsabile Ufficio stampa Agcom

Incurabile Policlinico Il complesso degli acceleratori lineari cui si riferisce l’articolo “Incurabile Policlinico” (“l’Espresso” n. 9) è stato autorizzato con provvedimento della Asl competente ai sensi della normativa regionale. L’autorizzazione è stata rilasciata, a seguito di sopralluogo dei tecnici della Asl, con parere favorevole della competente Commissione regionale per le radiazioni ionizzanti, sulla base di ipotesi ampiamente cautelative riferite alle persone che possano trovarsi presenti nell’immediate vici-

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nanze dell’istallazione. Dai controlli periodicamente effettuati dalle competenti figure aziendali (Fisica sanitaria ed Esperto qualificato, utilizzando strumentazione appropriata e tarata secondo le normative tecniche vigenti) sono stati confermati i valori di dose all’esterno della schermature in calcestruzzo previste dal progetto, nel completo rispetto delle indicazioni fornite dalla normativa, con valori attesi dell’ordine del decimo del limite di dose annuo previsto per la popolazione. I valori di dose attesi in corrispondenza del soffitto dell’acceleratore, attualmente coperto dal manto erboso sopraelevato e non frequentato, sono superiori di un fattore da 2 a 3 di quelli previsti per il piazzale calpestabile, sempre nei limiti stabiliti dalla legge. Per quanto attiene gli aspetti botanici rilevati, oltre a precisare che sulla base della letteratura disponibile non sono ipotizzabili effetti dannosi per le piante legati all’assorbimento di dosi, soprattutto di questa entità, di radiazioni ionizzanti, si fa presente che la parte più rovinata del manto erboso si trova in corrispondenza del corridoio che separa i due bunker degli acceleratori e non sopra i soffitti, l’effetto potrebbe più verosimilmente dipendere da una sofferenza del manto erboso dovuta all’esiguo spessore di terra sottostante (circa 20 cm). LUIGI FRITTELLI, Esperto qualificato ELISABETTA DI CASTRO, responsabile della Fisica medica e sanitaria

Pisapia shocking N. 10 - 8 MARZO 2012

Risponde Stefania Rossini stefania.rossini@espressoedit.it

Democrazia immatura Cara Rossini, si dice che una democrazia può fregiarsi dell’appellativo di “matura” quando si prende cura dei più deboli. Ora, la mia famiglia è composta da due sole persone, vale a dire dal sottoscritto (50 anni, un lavoro che mi tiene fuori casa per tutta la giornata) e da mio fratello (46 anni, down, invalido grave e quindi con necessità di assistenza continua). Vive con noi, da anni, una bravissima assistente (non mi piace chiamarla badante) la quale grava pesantemente sulle finanze famigliari, in cui l’esiguità dell’assegno di accompagnamento è quasi una barzelletta. Mi saprebbe indicare dove trovo, nelle tonnellate di editti, riforme e bandi proposti in una ventata new age dal nuovo esecutivo, la dovuta attenzione per i problemi di coloro che sono veramente i più deboli in questa società? Ahimè, speravo di arrivare rapidamente, ma con fatica, alla pensione per potermi finalmente prendere cura di mio fratello, ma questa mi è stata allontanata seccamente in un colpo. E cosa dire del provvedimento che giace ormai da tempo sepolto in Senato che concederebbe la riduzione di 5 anni dell’età pensionabile a chi si trova nelle mie condizioni? Manca la copertura economica? Peccato che in quel conto non vengano considerate le enormi risorse profuse dalle famiglie che assolvono la parte dello Stato a titolo gratuito. Temo che dovremo rimandare di molto il momento in cui potremo considerarci “maturi”. Giuseppe Salmoiraghi Lei ha ragione a sentirsi abbandonato. Un invalido grave cambia la vita di una famiglia. Lo fa nel presente per il grande impegno di cura che comporta, ma rende penoso anche il pensiero del futuro con l’inevitabile domanda: «Che ne sarà di lui quando non ci sarò più?». La tutela, anche finanziaria, delle istituzioni, è quindi indispensabile. Quella che lei chiama la new age del nuovo governo si è finora occupata di invalidi soltanto per stanare gli imbroglioni che ricevono una pensione senza averne titolo. Impresa sacrosanta, ampiamente pubblicizzata nei telegiornali dove abbiamo visto ciechi totali che guidano la macchina e paraplegici che passeggiano, ma che rischia di oscurare il problema degli invalidi veri. Perché non destinare, ad esempio, le somme recuperate all’istituzione di un fondo nazionale per la non autosufficienza? Sarebbe un buon segnale di inversione di tendenza, magari insieme all’accelerazione del disegno di legge (n. 2206 del 2008) che avvicina i familiari alla pensione e che giace in un Senato in altre faccende affaccendato.

Altre lettere a Stefania Rossini e la rubrica “Preciso che” su www.espressonline.it 170 | lE ’ spresso | 8 marzo 2012

Lettere

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Il Fondo anticrisi deliberato dalla giunta milanese (Pisapia shocking su “l’Espresso” n. 7) è costituito da un complesso di misure rivolte a cittadini e imprese in una particolare momento di crisi economica. I finanziamenti del fondo derivano in buona parte dalla ridestinazione di residui di un precedente fondo approvato nel 2010, dal precedente consiglio comunale. La giunta milanese ha quindi ridestinato i residui sulla base di criteri che abbiamo ritenuto in grado di soddisfare i bisogni dei cittadini. Va letta in questo modo la decisione di allargare ai nuclei conviventi, così come definiti dalla legge nazionale sull'anagrafe, la parte (minoritaria) del fondo destinata ad agevolazioni per l’ac-

quisto o l’affitto dell’abitazione principale. Una parte rilevante di questo fondo (circa 2,5 milioni) è stata effettivamente rivolta a sostenere “stage di qualità”, stabilizzazioni e nuove assunzioni. Misure di questo genere, in un momento come quello che sta vivendo il nostro paese, non ci sembra possano essere considerate “ingiuste” o fumose. Allo stesso modo il Fondo ha previsto misure di sostegno rivolte direttamente a quelle imprese che, in questo momento di crisi, stabilizzino i propri lavoratori o ne assumano di nuovi evitando dispersioni di capitale umano e competenze. Questa misura, in particolare, è frutto di un accordo con la Camera di Commercio di Milano che ha raddoppiato i fondi messi a

disposizione dal Comune. Non si tratta quindi di “sussidi a pioggia”, ma di interventi ben mirati, per altro condivisi con le parti sociali e discussi con le forze politiche presenti a Palazzo Marino. CRISTINA TAJANI, assessore Politiche del Lavoro, Sviluppo economico, Università e ricerca Comune di Milano

Sui sussidi a pioggia e sulla loro sostanziale inefficienza non viene presentata una seria analisi costi-benefici ma solo descritta l’ampia consultazione tra le parti sociali alle quali si è detto: ci sono soldi da spendere, come li allochiamo? Il problema era di non spenderli. Sui nuclei conviventi, poi, non c’è una virgola sulla mia obiezione di sostanza che gli aiuti vanno agli

individui e non a mal definite formazioni sociali, bensì il richiamo a leggi e commi. ALESSANDRO DE NICOLA

Sciumé smentisce Perego Dall’articolo “C’è uno spallone dal Governatore” (“l’Espresso” n. 9) apprendiamo che Alberto Perego avrebbe dichiarato di «lavorare tuttora come fiscalista con lo studio Sciumé e associati». Segnaliamo che tale affermazione non corrisponde al vero poiché mai Perego ha collaborato con Sciumé & Associati nel corso della ormai quasi quarantennale attività dello studio. GIULIANO SOLLIMA, Sciumé & Associati

“L'Espresso” si è limitato a pubblicare la deposizione di Perego. (P. B.)


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N. 10 - ANNO LVIII - 8 MARZO 2012 TIRATURA COPIE 410.900

In edicola la prossima settimana Capossela

Classica

All’una Antonio e 35 circa Vivaldi Istrionico, ironico, trasversale, Vinicio Capossela sembra un marziano atterrato nella canzone italiana. «I suoni fanno da sfondo al mio mondo immaginario... pieno di guai, affollato di guitti stralunati, strade chiassose e vecchie macchine», racconta Vinicio. Un universo che inizia a prendere forma con il suo disco d’esordio, “All’una e trentacinque circa”. Undici canzoni che già rendono unica la sua cifra stilistica, dallo swing della title-track a ballate delicate come “I vecchi amori” e “Scivola vai via”, alla malinconia di “Una giornata senza pretese”. Un album che nel ’91 vale a Capossela la targa Tenco per la migliore opera prima, come ci raccontano Ernesto Assante e Gino Castaldo nel libretto inedito di 60 pagine che attraverso testi e fotografie ripercorre la straordinaria avventura artistica di Capossela. Roberto Calabrò

Le “Quattro stagioni” di Antonio Vivaldi sono un’opera di riferimento nella storia musicale: apprezzati per l’uso innovativo che Vivaldi fa degli archi, per il suo talento nell’inventare nuovi timbri e accattivanti disegni ritmici. Ciascun concerto de "Le quattro stagioni" si divide in tre movimenti, dei quali due, il primo e il terzo, sono in tempo di Allegro o Presto, mentre quello intermedio è caratterizzato da un tempo di Adagio o Largo, secondo uno schema che Vivaldi ha adottato per la maggior parte dei suoi concerti. Ogni concerto si riferisce ad una delle quattro stagioni: “Primavera”, “Estate”, “Autunno”, “Inverno”. Ne sono interpreti per “l’Espresso” il violinista Franco Gulli, pupillo di Joseph Szigeti, e Riccardo Chailly, sul podio dei Filarmonici di Bologna L.Q.

Sabato 3 marzo 2° Cd + libretto di 60 pagine a 9,90 euro più l’Espresso o Repubblica

Venerdì 9 marzo quinto Cd a 2 euro in più con l’Espresso + Repubblica

I PREDONI DEL BIG RIVER

ZAGOR A COLORI L’opera di Gianluigi Bonelli su Zagor, creazione del figlio Sergio, segna un ulteriore arricchimento per lo Spirito con la Scure. Sgominato Nakawa (“La lancia spezzata”), in “Le colline fumanti”, Zagor scopre una città di pietra dove il tempo si è fermato. Fondata due secoli prima dal duca di Condè fuggito dalla Francia, la città ha mantenuto costumi e

abitudini del XVII secolo. Tra duri contrasti politici Paul Kennebec lotta con il dispotico duca e l’arrivo di Zagor e Cico agevola la fine del tiranno. Qui Gianluigi Bonelli echeggia le ambientazioni della sua “altra” creazione del 1948, quella oscurata e cancellata dal successo di Tex: Occhio Cupo, alias Carlo Lebeau. Antieroe vissuto lo breve spazio di sei puntate, Occhio Cupo è un aristocratico francese del Diciottesimo secolo bandito dal suo paese, Zagor qui ne riporta in vita le atmosfere. Oscar Cosulich

Giovedì 8 marzo a 6,90 euro in più con l’Espresso o Repubblica

Il libro è in edicola a 9,90 euro in più con l’Espresso o Repubblica

Il partigiano della parola

GIORGIO BOCCA Venerdì 9 marzo 7° Dvd a 9,90 euro in più con l’Espresso + Repubblica

Concerto. Canzoni impopolari

CELESTINI Venerdì 9 marzo Dvd a 7 euro in più on l’Espresso + Repubblica

Il Caffè dell’Arte CRISTINA ACIDINI RACCONTA

MICHELANGELO Lunedì 5 marzo nono cofanetto a 12,90 euro in più con l’Espresso o Repubblica

L’inglese per il lavoro

SPEAKNOW! FOR WORK 8 marzo 2012 | lE ’ spresso | 173


Umberto Eco La bustina di Minerva

neutrini non vanno più veloci della luce. O almeno ce lo dice “Science”: l’errore stava in una banale connessione in fibra ottica tra il ricevitore Gps e il computer usato per calcolare il tempo impiegato dai neutrini a viaggiare dal Cern di Ginevra al Laboratorio del Gran Sasso. Però leggo anche che si è intenzionati a ripetere l’esperimento per vedere se sia davvero vero che non era vero. Vedremo. Se i neutrini non sono più veloci della luce mi colpisce scoprire che gli spinaci di cui si nutriva Popeye (Braccio di Ferro) non contengono tutto il ferro di cui si diceva. La persuasione che Popeye dovesse la sua forza al ferro contenuto negli spinaci aveva fatto crescere, specie presso i bambini, il consumo di questo ortaggio del 33 per cento, a tal punto che i coltivatori e venditori di spinaci avevano eretto statue in onore di Popeye a Crystal City (Texas), a Chester (Illinois), a Springdale e ad Alma (Arkansas). Ora un articolo di Sergio Della Sala e Stefania de Vito su “Query” mi rivela che, secondo una tabella del Dipartimento dell’Agricoltura degli Usa, cento grammi di spinaci contengono 2,7 milligrammi di ferro mentre cento grammi di fegato di pollo ne contengono 11,63. Pertanto, se Braccio di Ferro avesse inghiottito fegato di pollo con la stessa ingordigia con cui tracannava il contenuto di un barattolo di spinaci avrebbe potuto prendere Superman per una caviglia e lanciarlo in orbita. IL FATTO SAREBBE che - secondo una tesi sostenuta a lungo, e nota in ambiente scientifico come “Spides” (Spinach Popeye Iron Decimal Error Story) - Segar, l’autore di Popeye, credeva al ferro degli spinaci a causa di una virgola messa male. Si diceva che nel 1870 tale dottor von Wolff aveva pubblicato una tabella in cui la virgola decimale appariva nel posto sbagliato, e l’errore era stato corretto solo nel 1930 (salvo che Segar non lo sapeva). Però pare che anche questa ipotesi sia falsa. Non solo, ma i filologi ci dicono

I I miti nascono e crescono in modo strano. Dai neutrini del Cern alla verdura preferita da Braccio di ferro, spesso non resistono alle verifiche. Come per la lingua perfetta di Adamo. Che in realtà era poliglotta

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che nei fumetti di Popeye non si era mai affermato che gli spinaci contenessero ferro, bensì che contenevano vitamina A, e si veda in proposito, tra gli innumerevoli testi che potreste trovare su Internet, l’articolo del dottor Mike Sutton, (“Spinach, Iron and Popeye”) sullo “Internet Journal of Criminology” del 2010 (1-34). La storia non è irrilevante, visto l’affare miliardario che ne era conseguito: l’episodio ci dice come possano nascere e crescere i miti. ALTRE SPIGOLATURE. Leggo sullo stesso numero di “Repubblica” in cui si dice che i neutrini sono praticamente delle tartarughe, un vasto dibattito sulla necessità del multilinguismo (con articoli di Stefano Bartezzaghi e Maria Novella De Luca). Direte che è ovvio, ai giorni nostri, ma per lungo tempo si era ritenuto che per superare la Babele delle lingue fosse necessario inventare una lingua veicolare universale, e molte ne sono state proposte (alcune ottime come l’Esperanto), salvo che alla fine si è imposta una lingua naturale come l’inglese. Ora questa idea di una lingua universale nasceva da un altro mito millenario, e cioè che fosse esistita alle origini una lingua di Adamo, una lingua perfetta, che era andata perduta con lo scandalo della torre di Babele. Da cui la ricerca spasmodica di questa lingua perduta, o di qualcuna che la sostituisse. Ora sappiamo che di lingue perfette non ne esistono e che le lingue nascono per crescita spontanea a seconda dei paesi. Però c’è una bella storia raccontata da un pensatore arabo dell’XI secolo, Ibn Hazm. Esisteva all’inizio una lingua data da Dio, ma questa lingua comprendeva tutte le lingue, che solo dopo si sarebbero separate. Il dono di Adamo era dunque il poliglottismo, e per questo tutti gli uomini sono capaci di comprendere la rivelazione in qualsiasi lingua sia espressa. Ecco un bel mito per incoraggiare il multilinguismo. E cominciando presto, dall’età in cui si diventa multilingui senza fatica.

Se ne parla su www.espressonline.it

Foto: G. Harari

Gli spinaci non sono più veloci della luce



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