Po s t e I t a l i a n e s . p . a . s p e d . i n A . P. - D. L . 3 5 3 / 0 3 ( c o nv. i n l e g ge 2 7 / 0 2 / 0 4 n . 4 6 ) a r t . 1 c o m m a 1 - D C B R o m a - A u s t r i a - B e l g i o - F r a n c i a - G e r m a n i a - G r e c i a - L u s s e m b u r go - O l a n d a - Po r t o g a l l o - P r i n c i p a t o d i M o n a c o - S l o v e n i a - S p a g n a € 5 , 1 0 - C . T. S f r. 6 , 2 0 - S v i z z e r a S f r. 6 , 5 0 - I n g h i l t e r r a £ 3, 8 0
Settimanale di politica cultura economia - www.espressonline.it
FACEBOOK BOOM IL SOCIAL NETWORK ARRIVA A UN MILIARDO DI FAN p.98 CAMERE SPRECONE COME I PARLAMENTARI USANO I SOLDI PER I PORTABORSE p.28
N. 6 anno LVIII 9 Febbraio 2012
CARCERI D’ORO
ESCLUSIVO
NEANCHE UN SOLDO PER NUOVE PRIGIONI. MENTRE MINISTRI E DIRIGENTI DELLA GIUSTIZIA SPENDONO IN AUTO BLU, CASE DI LUSSO, SUPERCONSULENZE VATICANO SEGRETO BERTONE NELLA BUFERA DOPO IL CASO VIGANÒ p.36
Altan
il sommario di questo numero è a pagina 24 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 7
Massimo Cacciari Parole nel vuoto
L’eredità pesante della demagogia uanto sia arduo risalire la china di un ventennio dominato dalla “politica come demagogia”, è quotidiana esperienza di questo governo (politico quant’altri mai, essendo sostanziale espressione della massima carica dello Stato). Quando per un’intera generazione le promesse si sostituiscono ai programmi, la prassi politica si commisura ai tempi delle scadenze elettorali e l’analisi sociale si riduce alla lettura dei sondaggi, ciò non è segno soltanto della “miseria” di idee e di uomini: è il nostro stesso linguaggio che minaccia di “catastrofizzare” in un magma di quasi-parole, di esclamazioni, di moti del sentimento oppure, peggio, di aggrapparsi a poche convinzioni, altrettanto semplici che vuote, refrattarie al confronto, esclusive, fermissime nella certezza di rappresentare la vox populi o il mitico “bene comune”. UNA POLITICA DEMAGOGICA non sarebbe neppure concepibile in un “contesto comunicativo” diverso. C’è una profonda “complicità” tra il demagogo e la tendenza in noi forse innata di rifuggire dalla fatica di conoscere, di comprendere, di esprimere motivatamente e responsabilmente idee e intenzioni. Il demagogo non è colui che seduce e guida: è essenzialmente chi segue e “serve” le peggiori inclinazioni del suo popolo, chi a priori ne asseconda e giustifica i desiderata. Così questi vent’anni, alla faccia di tutte le radicali “inimicizie” che hanno messo in scena e delle reciproche “demonizzazioni”, sono stati l’incarnazione della pigrizia: nulla vi è stato fatto, nulla risolto, nulla progettato seriamente, nulla tenacemente perseguito se non, appunto, la demolizione delle capacità denotative del linguaggio politico, lo svuotamento di tutti i suoi terminichiave. La demagogia vive in un contesto di
Q Se per vent’anni le promesse si sostituiscono ai programmi il paese va verso la decadenza. Vincono lobby e interessi particolari. Una società si regge solo se tra i cittadini esistono dialogo e solidarietà
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“irresponsabilità”. E cioè in un contesto sociale in cui nessun interesse specifico “risponde” a interessi diversi, in cui ciascuno ritiene fermamente di far mondo a sé. Anche l’interesse più legittimo si rappresenta come esclusivo, esattamente come il privilegio più iniquo. E ciò disfa il tessuto sociale. La società che si esprime in questi giorni nei confronti delle misure governativo-europee (a prescindere dal loro valore e dalla loro efficacia) non è una società ma una somma di diversi, disparati e incomunicabili interessi. Viene meno l’idea di reciprocità e relazione, anni luce prima di quella, ben più impegnativa, di solidarietà. La vita si rinserra all’interno di lobby e corporazioni, la cui azione è rivolta alla propria tutela o a pressanti richieste di interventi a spese del prossimo. UNA SOCIETÀ NON È RIDUCIBILE alla competizione tra burocrazie politiche e sindacali, tra i diversi organismi cui danno vita le sue potenze economiche, tecniche, scientifiche. Una società può reggersi soltanto se i cittadini avvertono tra loro una relazione che in qualche modo precede e condiziona ogni loro scelta individuale. O altrimenti “società” diviene una vuota astrazione, un puro artificio. I regimi demagogici, proprio anche attraverso la retorica, che è sempre, per sua natura, irresponsabile, su Valori, Tradizioni, Identità tendono sempre a condurre a un tale esito. E una volta qui sprofondati è difficile far ritorno alla luce. Ma è necessario, ancor più per quei milioni di giovani che aspettavano l’Europa della conoscenza e della innovazione, e che stanno vivendo quella della disoccupazione di massa, del precariato e della crisi del Welfare. Se essi finiranno col disperare che esistano rapporti di reciprocità e colloquio nel nostro Paese, potremo allora concludere: «Il gioco è fatto». E noi lo abbiamo voluto. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 9
Michele Serra Satira preventiva
Anche la mafia farà la fattura l governo Monti sta studiando la mossa definitiva per il risanamento dell’economia italiana: la riforma liberale della malavita, fin qui sfuggita a ogni modernizzazione. Cambio della guardia La classe dirigente mafiosa, formata in prevalenza da vecchi buzzurri semianalfabeti che vivono in canottiera nascosti negli ovili, non è più presentabile, e verrà dunque sostituita da boss tecnici, in grado di rappresentarci in Europa senza farci vergognare. Telecamere nascoste hanno ripreso un summit segreto nel quale il nuovo commissario alla ’ndrangheta spiega ai boss come si mangia con le posate e comunica, in perfetto inglese, le nuove disposizioni sul traffico di droga e sul calcio-scommesse. I boss non capiscono una parola ma annuiscono per non sfigurare. Toccante la sequenza nella quale l’anziano padrino Imperipoti, in segno di collaborazione, accetta di togliere dal centro della tavola la testa mozza del rivale. Semplificazione Le principali famiglie mafiose di Palermo sono state esautorate. Giovani quadri bocconiani stanno razionalizzando il settore. La riscossione del pizzo, che impiegava migliaia di estorsori dequalificati, è ora effettuata con un personale ridotto a un terzo, altamente professionale. «Prima andavano in sette o otto in ogni negozio», spiega una fonte governativa riservata, «e gridavano tutti insieme gesticolando. Alcuni erano così idioti che spendevano i soldi del pizzo, appena incassati, nello stesso negozio, per il puro gusto di sembrare facoltosi clienti. Da quando ci siamo noi, basta un solo estorsore per controllare un’intera via, e gli resta anche il tempo per un paio di rapine nei negozi del quartiere accanto». Meritocrazia Gli incapaci assunti solo perché parenti: che prezzo hanno dovuto pagare, le mafie italiane, alla piaga del familismo? L’ultimo scandalo, a Platì, ha avuto per protagonista il nipote del boss Papiroti: incaricato di scavare un covo sotto la villetta di famiglia, è entrato con la ruspa in soggiorno di-
I
Foto: P. Bossi / AGF
Stretta del governo sulla malavita organizzata. Giovani bocconiani razionalizzeranno il settore. Per le partite di cocaina si dovrà emettere lo scontrino fiscale. Semplificata la procedura per aprire una cosca
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struggendo la casa. D’ora in poi si potrà entrare nelle cosche e nelle ’ndrine solo con regolare concorso. Due anni di praticantato presso una famiglia malavitosa nel Casertano o nell’hinterland milanese, oppure un Erasmus in Colombia o in Messico, precederanno l’abilitazione professionale vera e propria. «Non possiamo più permetterci», si legge in uno studio riservato di Bankitalia, «che un comparto da 150 miliardi di euro all’anno sia gestito da cialtroni che parlano come le comparse di Gomorra e spendono metà del fatturato per comperarsi Rolex grossi come sveglie». Stile La sobrietà e l’understatement del nuovo governo stanno contagiando, come in un circolo virtuoso, anche i malavitosi. Il boss Salvio Crapoloni, che nei summit della malavita mondiale raccontava barzellette volgarissime e posava nelle foto di gruppo mostrando scherzosamente i genitali, è ormai ritenuto impresentabile anche dai suoi parenti stretti, che l’hanno rinchiuso per sempre nell’ovile di famiglia sulle Madonie. Stretta fiscale Il blitz della Guardia di Finanza nei covi della Locride ha dato i suoi frutti: le partite di cocaina vendute con lo scontrino fiscale sono improvvisamente triplicate, e un paio di vecchi rapimenti sono stati finalmente messi in regola emettendo regolare fattura. «La vergogna dei rapiti rilasciati in nero è ormai alle nostre spalle», ha commentato con soddisfazione il presidente della Confsequestri calabrese. Liberalizzazioni La licenza per aprire una cosca o una ’ndrina non può più essere appannaggio di pochi fortunati. Da oggi bastano l’autocertificazione e una marca da bollo da 40 euro, e ogni cittadino, purché non incensurato, può aprire la sua attività malavitosa. Grandi benefici previsti per i consumatori: grazie alla concorrenza, le tariffe del pizzo dovrebbero scendere almeno del 20 per cento e il prezzo della cocaina sarà finalmente alla portata anche dei calciatori delle serie inferiori. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 11
Luigi Zingales Diverso parere
Troppo scandalo sui soldi di Romney iù spietato di Wall Street, arricchitosi alle spalle dei poveri lavoratori che ha licenziato». A descrivere così Mitt Romney, il favorito alla nomination repubblicana per le prossime elezioni presidenziali americane, non è la sinistra più estrema, ma Newt Gingrich, il suo rivale conservatore. Non stupisce tanto la spregiudicatezza di Gingrich (nella sua vita ha fatto di peggio) quanto il successo che questa strategia ha conseguito. Nella primaria del Sud Carolina Gingrich ha stravinto ribaltando i pronostici. Anche la base repubblicana, quindi, è sensibile ai toni populisti. La ricchezza di Mitt Romney, stimata tra i 190 e i 250 milioni di dollari, invece che un merito, si è trasformata in una colpa. IN ITALIA QUESTO NON SORPRENDE. La tradizione cattolica ha sempre visto la ricchezza, anche quella accumulata onestamente, come un peccato. «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago», recita il Vangelo di San Matteo, «che un ricco entri nel regno dei Cieli». Alla tradizione cattolica si somma quella marxista, per cui la ricchezza nasce sempre da una forma di sfruttamento. In America, invece, la tradizione calvinista dominante ha sempre visto il successo economico come una manifestazione della predestinazione divina. Fino a poco fa la ricchezza (propriamente accumulata) era un titolo di merito. Che cosa è cambiato? In parte questo è dovuto al modo in cui Romney si è arricchito. Pochi negli Stati Uniti obiettano alla ricchezza accumulata da innovatori come Steve Jobs, il rimpianto fondatore di Apple. Tutti conoscevano Steve Jobs perché creava beni di consumo. Ma chi sa cosa ha creato Mitt Romney, che lavorava nel “private equity”? In genere i fondi di private equity acquistano, gestiscono e rivendono imprese. Molti in questa industria fanno i soldi in maniera opportunista, sfruttando le occasioni giuste per comprare e vendere, senza aggiungere alcun valore. Altri invece aggiungono valore. Mitt Romney fu tra questi. La sua idea geniale fu quella di applicare la consulenza aziendale al mondo del-
P In America cambia la percezione della ricchezza. E così il candidato repubblicano è al centro di polemiche anche se guadagnò rilanciando piccole imprese. Cosa si dirà allora di Passera se un domani dovesse entrare in politica?
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le piccole imprese in crescita. I consulenti aziendali sono famosi per dare consigli agli altri, senza assumersi alcun rischio. Quando era manager di Bain Capital, Mitt Romney capì il valore aggiunto dalla consulenza aziendale. A questo scopo convinse i colleghi di Bain & Co di cimentarsi con le piccole imprese, non in cambio di parcelle astronomiche, ma in cambio di partecipazioni azionarie nelle imprese stesse. Se le idee funzionavano, il prezzo delle azioni saliva e i consulenti creavano profitto dai loro consigli. Se invece le idee non funzionavano, lavoravano di fatto gratis. L’idea ebbe immediato successo e fu poi copiata da tutti i rivali in private equity. Questo rigetto di Romney, però, ha cause più profonde della mancanza di familiarità con il private equity. La prima causa è la perdita di fiducia in un benessere diffuso. In America la disuguaglianza di ricchezza veniva accettata perché era vista come un passo necessario per la crescita. Poco importa se alcuni diventano ricchi, purché anche gli altri beneficino della crescita. Purtroppo nell’ultimo decennio gran parte della crescita è finita ad arricchire la parte più ricca della popolazione. Il 50 per cento degli americani guadagna meno oggi in termini reali di quanto guadagnasse dieci anni fa. LA SECONDA CAUSA di questo cambiamento di attitudini è che gli americani hanno perso fiducia nell’equità delle regole del gioco. Il salvataggio delle banche da parte del governo e gli scandali finanziari hanno minato la fiducia degli americani in un sistema capitalista dalle regole ben definite. Il sistema sembra taroccato e chiunque vinca in questo sistema è sospettato di aver barato. Se questo accade nella patria del capitalismo, ci viene da domandarci cosa succederà in Italia. Potrà mai un ex banchiere come Corrado Passera, che non ha certo alle sue spalle il record di successi di Mitt Romney, entrare in politica? Se le scelte di investimento effettuate da Romney sono passate al setaccio, cosa ne sarebbe di quelle di Passera? Più si impegna in politica e più spazio ci sarà per i non meno pericolosi Gingrich di casa nostra. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 13
Riservato
a cura di Gianluca Di Feo / Primo Di Nicola
Riservato
La cittadinanza per gli immigrati è uno degli argomenti più dibattutti. Secondo le ultime rilevazioni Istat, gli stranieri residenti in Italia sono 4.859.000, pari all’8 per cento della popolazione. In molti, a cominciare dal presidente della Repubblica e dal presidente della Camera, chiedono di rivedere le regole per l’acquisizione della cittadinanza, stabilite da una legge del 1992 che prevede il solo “ius sanguinis” e non lo “ius soli”. In questa legislatura sono tante le proposte di legge presentate in Parlamento sulla questione, nessuna ha raccolto il consenso necessario per essere approvata
CANCELLIERI VERSUS GNUDI | CANNONI INUTILI | CAPPON DECLASSATO | OLIVI PROMOSSA | UNA BRUNA PER BERSANI | LEGA D’EVASIONE
L’amica del Diavolo
ROBERTO MARONI CON LA SUA EX PORTAVOCE ISABELLA VOTINO. NELL’ALTRA PAGINA: CLAUDIO CAPPON
L’amica del Diavolo rossonero: anche nella diretta di “Ballarò” del 24 gennaio a coprire le spalle di Roberto Maroni ha provveduto la sua storica portavoce Isabella Votino. La dottoressa dopo l’addio al Viminale era tornata nello staff del gruppo parlamentare leghista. Poi è arrivata la nomina a sorpresa: Adriano Galliani l’ha assunta come re-
sponsabile relazioni istituzionali del Milan Calcio. Un ingaggio annunciato alla vigilia del voto parlamentare sull’arresto di Nicola Cosentino che ha visto Maroni opporsi alla linea Pdl. E nonostante il nuovo incarico, l’ex ministro e la manager berlusconiana continuano a fare coppia nei programmi tv e nelle cene romane. G. D. F.
L’omaggio di Berlusconi
O per me o per Benito Silvio Berlusconi ha sempre rivendicato il rispetto per le persone, che lui dice di mettere al primo posto. Al capezzale dell’ex parlamentare pdl Benito Paolone, uno dei leader storici della destra siciliana, ha tenuto fede a questo principio. Si è recato a Catania per un’ultima visita a Paolone poche ore prima della sua morte per un male incurabile. E nella stanza il Cavaliere ha trovato schierati due parlamentari del suo partito: il senatore Pino Firrarello e il deputato Vincenzo Gibiino. Berlusconi li guarda e li saluta, poi si avvicina ai familiari di Paolone. A loro domanda se i due parlamentari fossero precedentemente già venuti a far visita o, invece, quel giorno si trovassero lì solo perché era arrivato lui. Capito che Firrarello e Gibiino non si erano visti prima, un risoluto Cavaliere si avvicina ai due e con cortese fermezza li accompagna personalmente alla porta, per poi tornare al capezzale di Paolone. B. C. 14 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
CHi SE NE OCCUPA DI PIÙ DEPUTATI SENATORI
Ministri contro
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Zittire gli Gnudi Anna Maria Cancellieri contro tutti. È stato un consiglio dei ministri di battaglia quello di venerdì 27 gennaio per la responsabile dell’Interno: si discuteva del decreto sulla Semplificazione. La titolare del Viminale ha prima contestato alcune modifiche al Tulps (Testo unico di pubblica sicurezza) con le quali si eliminavano le autorizzazioni per l’apertura di sale da ballo togliendo poteri a questori e prefetti nei permessi che regolano le licenze per le discoteche. Ma la “liberalizzazione” dei dancing è passata nonostante l’opposizione del Viminale. Poi duro scontro con il ministro del Turismo Piero Gnudi che aveva presentato una norma per destinare a fini turistici gli immobili «sequestrati o confiscati alla criminalità organizzata». La Cancellieri ha fatto notare che lo Stato può disporre di un bene confiscato e non di quelli solo sequestrati: in questo caso le hanno dato ragione. Gnudi a quel punto ha abbandonato la riunione di governo con la Cancellieri visibilmente soddisfatta. V. D.
Ddl Ordini del Giorno Interrogazioni
Roberto DI GIOVAN PAOLO (Pd) Giuseppe VALDITARA (Api-Fli) Luciana SBARBATI (Udc) Silvia DELLA MONICA (Pd) Roberto DELLA SETA (Pd) Anna Maria SERAFINI (Pd) Esteban Juan CASELLI (Pdl) Emanuela BAIO DOSSI (Api-Fli) Raffaele LAURO (Pdl) Lucio MALAN (Pdl)
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0 diventati legge 0 accolti 9 risposte dal governo
PARLAMENTO IN CIFRE
1.432 milioni di euro è il costo del decreto con il quale il governo ha rifinanziato per il 2012 le missioni militari all’estero (1.364 milioni) e gli interventi di cooperazione allo sviluppo (68 milioni). Rispetto allo scorso anno diminuiscono sia la spesa complessiva (- 66 milioni rispetto al 2011) che il costo delle missioni militari (- 87 milioni rispetto il 2011). Aumentano invece le risorse per la cooperazione (+ 21 milioni rispetto il 2011)
Sprechi semoventi Mentre si discute del superjet F35, altre costose manovre avvengono nei bilanci militari. L’Esercito vuole un nuovo semovente: un cannone da 120 millimetri su scafo blindato a otto ruote motrici. Il progetto di Iveco e Finmeccanica ha trovato la benedizione dello Stato Maggiore. Ma i nostri reparti hanno già 70 semoventi cingolati Pzh dello stesso calibro, appena consegnati e mai utilizzati in missione: sistemi modernissimi, pagati poco meno di mezzo miliardo di euro. Che bisogno c’è di acquistarne altri? G. D. F.
Gianclaudio BRESSA (Pd) Isabella BERTOLINI (Pdl) Fabio PORTA (Pd) Gino BUCCHINO (Pd) Souad SBAI (Pdl) Marco FEDI (Pd) Aldo DI BIAGIO (Fli) Giuseppe ANGELI (Pdl) Ricardo A. MERLO (Udc) Andrea SARUBBI (Pd)
COME LE CAMERE AFFRONTANO IL TEMA ATTI PRESENTATI ITER
SAN MARINO
Titano in Fiamme Foto: D. Scudieri - Imagoeconomica, A. Dadi - Agf
Tra politica e affari
Vendette Rai
NON PASSA LO STRANIERO
Menti criminali protette a San Marino. L'operazione “Criminal Minds” delle Fiamme Gialle è diventata un caso politico nel Titano. Le prime denunce sulla centrale del malaffare, che univa nei traffici d’ogni genere camorristi e malavitosi albanesi, sono state insabbiate dalla magistratura e dalla gendarmeria della piccola Repubblica. Ora, dopo la retata ordinata dai giudici italiani che ha smascherato la gang e i suoi legami sanmarinesi, l’inchiesta è stata riaperta. E il governo locale è intervenuto convocando d’urgenza i vertici di procura e gendarmeria per dare spiegazioni sulle omissioni. G. D. F.
TAGLIO AL CAPPON In molti lo danno come prossimo amministratore delegato della Rai, plenipotenziario del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera in viale Mazzini. Ma tanta rinnovata popolarità non ha fatto alzare le sue quotazioni presso l’attuale direttore generale Lorenza Lei in corsa per il rinnovo del mandato. Anzi. A Claudio Cappon, ex dg di viale Mazzini, è stata tagliata la stanza (ma non lo stipendio faraonico). Una messa in castigo che lo ha precipitato dall’ottavo al secondo piano (stanza 279), quello riservato ai trombati eccellenti. Al suo posto uno dei consiglieri più ascoltati da Lei, Carlo Nardello, che si sarebbe già pentito dell’incauto innalzamento. L. C.
Tendenza Fornero
Elsa sempre in piedi Sarà pure un ministro, ma Elsa Fornero in Parlamento non rinuncia all’abitudine di parlare in piedi come faceva dalla sua cattedra da professoressa universitaria. Quando, nella commissione Lavoro della Camera, è andata ad illustrare per la prima volta le linee programmatiche del suo dicastero, il ministro del Lavoro si è alzato in piedi. A quel punto il presidente della commissione, Silvano Moffa di Popolo e Territorio, le ha fatto notare che per tradizione in commissione si parla da seduti. «Vede, ministro, questo è un luogo di confronto, non un palco per comizi politici», ha detto Moffa. Ma Fornero lo ha gelato: «Mi dispiace, ma io sono abituata a parlare in piedi», ha chiuso, continuando il suo discorso tra lo stupore dei deputati. B. C.
Costi della politica
Neanche a parlarne No, di parlare dei costi della politica e dei relativi tagli la Casta non ha nessuna intenzione. È stata respinta dai capigruppo di Montecitorio la richiesta avanzata da Sandro Oliveri dell’Mpa di tenere nell’Aula di Montecitorio una «seduta specifica, con forte rilevanza mediatica, sul tema dei costi della politica». Alla richiesta, avanzata dal deputato agrigentino del movimento del governatore siciliano Raffaele Lombardo al presidente della Camera Gianfranco Fini, si è associato anche Benedetto Francesco Fucci del Pdl. Ma quando Fini ha posto il tema alla conferenza dei capigruppo si è levato un “no” unanime. Per cui niente seduta speciale sui costi della politica. B. C.
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Riservato
Palazzo Chigi
Tutto il potere a Betty Polemiche, malumori e invidie per l’ascesa a palazzo Chigi di Betty Olivi, storica segretaria particolare e braccio destro di Mario Monti. Dopo un confronto serrato, un vero braccio di ferro con la struttura interna, la Olivi ha ottenuto l’incarico di capo ufficio stampa e portavoce del presidente del Consiglio. Scelta, quella di Monti, che ha deluso il sottosegretario all’Informazione, Paolo Peluffo, e ha provocato il trasloco di numerosi componenti del vecchio ufficio stampa di palazzo Chigi nei locali della presidenza del Consiglio dislocati al piani superiori della Galleria Sordi: la Olivi vuole il pieno controllo sul suo ufficio. E con i giornalisti si sta rivelando un vero osso duro: nonostante il ruolo di portavoce, è abbottonatissima. S. An.
UNA BRUNA PER BERSANI Qualcuna l’ha ribattezza la nuova Serracchiani. Dopo l’abbraccio caloroso di Pier Luigi Bersani, al termine del suo intervento all’assemblea del Pd, per Bruna Dini, 46 anni, imprenditrice versiliese, si è aperto un futuro politico. Ha commosso i democratici raccontando le difficoltà della sua azienda edile (aveva 200 dipendenti, ora ne ha uno e forse sarà costretta a chiudere i battenti) e già imperversa sui talkshow politici. Su Facebook poi c’è chi la invita a Modena a mangiare il culatello e chi gli offre pizza e birra. Piace il suo stile poco politichese («Oltre al mare e ai gatti la mia passione è il lavoro») e la sua fedeltà a Bersani. E soprattutto le sue critiche al sindaco di Firenze Matteo Renzi. Una pasdaran di Bersani nella Toscana del Rottamatore, insomma. Volto nuovo, ma senza eresie. M. La.
Riciclati e contenti
La manda Sacconi L’assunzione di un nuovo responsabile delle relazioni esterne all’Inps decisa dal presidente Antonio Mastrapasqua, non è passata inosservata. Anzi, ha provocato la presentazione di un’interrogazione parlamentare. Il fatto è che la neoassunta si chiama Claudia Marin e fino a qualche settimana fa era la portavoce di Maurizio Sacconi, cioè di colui che, in quanto ministro del Lavoro, a partire dal 2008 e fino a poche settimane fa, ha controllato l’Inps e lo stesso Mastrapasqua. Per sgombrare i dubbi e paventando improprie raccomandazioni, il senatore dell’Idv Elio Lannutti, autore dell’interrogazione, chiede al governo se l’assunzione sia stata effettuata rispettando il criterio del merito e «con selezione ad evidenza pubblica visto che numerosi altri professionisti aspiravano all’incarico». P. D. N. 16 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
Marco Damilano
Confindustria
TOP e FLOP
BOMBASSEI SBAGLIA LANCIA
TOP ROSY BINDI «Non andrò dagli Sgommati», dichiara la Pasionaria del Pd. Saggia decisione, perché a furia di vedere in tv ministri che si tirano le torte in faccia e governatori che discettano con i pupazzi, l’intera politica si è ridotta a una triste sfilata di palloni. Sgonfiati. FLOP GIULIO TREMONTI Riassume la sua biografia nella copertina dell’ultimo libro: «Ha avuto diversi incarichi pubblici, in Italia e all’estero». Tutto qui. Il ministero dell’Economia? Mai esistito. Il governo Berlusconi? Boh! Stessa rimozione opera il cardinale Scola con Cl e Formigoni: «Mi sono estranei da vent’anni». Arriveranno anche le memorie del comandante Schettino? Spiegherà di non essere mai salito su una nave. E userà il titolo di Tremonti. “Uscita di sicurezza”. TOP STEFANO DI TRAGLIA Primi magnifici risultati della seducente campagna adesioni ideata dal responsabile comunicazione del Pd, quella dei manifesti che recitano “Conosci Farouk? Conosci Eva?”: «Potrei iscrivermi al Pd», annuncia Vittorio Feltri al “Fatto”. Oh, che bell’acquisto, complimenti! Sperando che non arrivi mai il momento di chiedere: «Conosci Silvio?». FLOP GIOVANNI MARIA VIAN Pur di sminuire lo scandalo in Curia svelato dal programma “Gli Intoccabili”, il direttore dell’“Osservatore” offre un bel ritrattino del Vaticano: «Un piccolo mondo dove le chiacchiere e i pettegolezzi sono all’ordine del giorno». Prossimi passi: cambiare la testata in “Lo Spifferatore Romano”. E affidare la direzione a Alfonso Signorini. Unicuique suum. A ciascuno il suo (gossip).
La corsa alla presidenza di Confindustria, che si concluderà il 23 maggio, è partita e a quanto pare un candidato già tenta di aggiudicarsela utilizzando qualche curioso stratagemma. È il caso di Alberto Bombassei. Mercoledì 25 gennaio, al termine dei lavori del consiglio di giunta che ha nominato i tre saggi incaricati di sondare la base associativa, l’attuale vicepresidente di Emma Marcegaglia, indicato tra i favoriti, esce dall’ingresso di viale dell’Astronomia e si incammina in tutta fretta per raggiungere la sua auto di servizio. Intercettato e seguito sul piazzale di Confindustria dai giornalisti a caccia di notizie, Bombassei punta dritto verso la Lancia Thema presidenziale, con autista, parcheggiata in attesa della Marcegaglia. Il patron di Brembo apre per un attimo la portiera e si accorge subito dell’errore esclamando: «Ma questa non è la mia macchina». Risate dei presenti mentre un cronista spiritoso, punzecchia Bombassei: «Quanta fretta presidente, aspetti almeno qualche mese». M. D. B.
Ritorni Foto: D. Scudieri - Imagoeconomica, M. Chianura - Agf, S. Carofei - Agf (2), Tania - A3, P. Tre - A3, P. Scavuzzo - Agf, A. Scattolon - A3
BETTY OLIVI, CHE CON MARIO MONTI HA GIÀ LAVORATO A BRUXELLES, È LA NUOVA PORTAVOCE DEL PREMIER. NELL’ALTRA PAGINA: UN VOLO DI STATO E, SOTTO, ILONA STALLER
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Cicciolina salvaci tu Un rientro in politica in vista per Cicciolina? Sembrerebbe di sì. Il movimento Giovani Insieme per Corigliano Calabro vorrebbe candidare la pornostar ungherese a sindaco della città di 40 mila abitanti in provincia di Cosenza. «La nostra», dicono i giovani del grosso centro della piana di Sibari, «non è una provocazione, ma una precisa volontà di candidare l’onorevole Ilona Staller a sindaco di Corigliano, visto il disastro fatto dai politici nella nostra città ormai sfasciata da tutti i punti di vista». La Staller, ex deputato radicale, dal suo canto ha annunciato di essere pronta a creare un movimento politico nazionale. B. C.
Il governo perde quota Il giro di vite sugli aerei blu non è indolore. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, da quando ha cominciato ad applicare la nuova circolare che limita al massimo l’uso dei velivoli del 31mo stormo dell’Aeronautica militare di stanza a Ciampino, è oggetto di un assedio quotidiano. Ci sono ministri, ma anche altre alte cariche dello Stato, che continuano a chiedere di spostarsi sugli aerei di Stato. La risposta è sempre la stessa: «Prendete i voli di linea». Con postilla: «Del resto, per andare a Milano perfino il premier Monti si muove in treno». S. AN.
Manifesti
Affissioni democratiche Una norma «fuori luogo», ammettono dal Pd, quella sulla sanatoria per i manifesti abusivi, eliminata dal decreto “milleproroghe” per ovvie ragioni di opportunità su volontà degli stessi democratici che pure l’avevano proposta con il Pdl e che Idv, Api e Radicali hanno contrastato ferocemente. Ma per il futuro il problema resta e riguarda trasversalmente amministratori e tesorieri di tutti i partiti da sempre alle prese con gli abusi legati alle affissioni elettorali. Per questo al Pd stanno studiando una nuova legge per i manifesti in grado di evitare la necessità di altre sanatorie postume non in linea con l’era Monti. M. C.
IL SINDACO NON SENTE REGIONE La Veronelli Viaggi di Como si è aggiudicata un appalto da 500 mila euro dalla Regione Lombardia per «il servizio complementare di agenzia viaggi per la prenotazione di mezzi di trasporto speciali e a noleggio necessari all’attività dell’amministrazione regionale». Peccato che l’appalto si è svolto senza bando di gara e con precedura negoziata e a vincerlo è stata l’unica società che ha partecipato. A chi è toccato questo “favore” da mezzo milione di euro? Proprio alla società comasca in cui il sindaco Pdl di Como Stefano Bruni è presidente del consiglio di amministrazione e socio al 7,5 per cento. M. S. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 17
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UN FARMACISTA CONTRO TUTTI
Non ci sono né Federfarma né altri organismi centrali dietro l’unica iniziativa di comunicazione - campagna stampa e sito Web - contro il decreto sulle farmacie. L’iniziativa Equaliberalizzazione è partita grazie all’impegno personale di Andrea Garrone, farmacista in quel di San Germano Chisone, in provincia di Torino. Il quale è sì anche vice-presidente di Federfama Piemonte per l’area rurale, cioè per gli esercizi non cittadini, e dell’Associazione Titolari di Farmacie sempre della provincia di Torino, ma qui ha fatto tutto da solo, aggregando una cinquantina di colleghi in giro per l’Italia. Non si può dire che sia una presa di posizione politica perché il vulcanico farmacista dal cognome deamicisiano è anche sindaco di Pramollo, comune montano sempre del Piemonte con meno di 250 anime, ma eletto in una lista civica. Garrone è valdese e se si mette in testa un’idea la porta avanti fino in fondo. Ha anche scritto a “Ballarò” protestando per la satira di Maurizio Crozza sulla categoria. Ma non ha ottenuto risposta. Vi. P. 18 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
La piroetta di Bersani sulle intercettazioni
C’È DI BELLA ALLE TASTIERE MUTAZIONE ERETICA. Tra le evoluzioni BELL’ANTONIO. Poi c’è Antonio Di Bella, della specie in movimento, è d’uopo chansonnier e da molto tempo. Proprio segnalare la mutazione, più eretica il direttore di RaiTre? Certo: è paroliere, di altre, di alcuni organismi mediatici. compositore, canta in pubblico e lancia Sopravvissuti a fatica al Cavaliere nell’etere i suoi brani nel programma operaio, al professore da Sanremo, radio “Caterpillar”. Vari i temi affrontati: all’avvocato deputato, adesso tocca gli Usa (“Mambo per Obama”), metabolizzare i giornalisti che l’informazione televisiva (“Ragazza cantano, ballano, strimpellano del Tg”), lo sport (“Inter”). e vedono, prevedono, NOTE AL DENTE. Ma la sua vena stra-vedono, insomma magheggiano artistica mostra un debole per gli affari perfino negli studi dello show-biz. di cuore dei professionisti. Ecco strofe Il fenomeno fa ben temere l’emergere de “Il dentista innamorato”: «Sei (e nei casi più acuti l’emergenza) di neo come un nervo devitalizzato, ti farei evoluzioni del genere, di terrorizzanti dei ponti d’oro, il mio amore sarà emulazioni. Le metamorfosi incisivo, sogno un viaggio in giornalistiche sono stupefacenti più Brasile, il tuo costume è un filo di quelle dei dinosauri, perché in fondo interdentale». Poi voilà “Amore e i dinosauri continuavano a fare solo ingegneria”: «So traforare i monti» i dinosauri. I giornalisti non solo. (che fa, allude?), « e inventare VERDE USIGNOLO. Non Merola, l’interruttore per accendere l’amore». piuttosto Apicella. Per esempio, che E pure la rumba del commercialista: amasse cantare era noto. «Paragone? «L’amore è un dare avere, con Un usignolo». Gianluigi Paragone, vice la partita doppia puoi avere direttore RaiDue, leghista non più una coppia. Vorrei un paradiso fiscale, ortodosso evoluto in leghista amore, favole esentasse». Nonostante maroniano, un usignolo? Sì e non il canale notoriamenterosso, ancora è più un segreto. Perché il giornalistaestranei dall’ispirazione del direttore conduttore, anchor di “L’ultima parola” le classi operaie. A quando la lambada su RaiDue ha mollato gli argini del del tornitore, la macarena del ritegno, abbracciato la chitarra e - in carpentiere, il cha cha cha del trasmissione - zufola, minatore? GIANLUIGI PARAGONE, intona, gorgheggia Giorgio MAGO CERASA. Nulla CONDUTTORE DI “L’ULTIMA Gaber (“Mi fa male il in confronto al mago PAROLA” mondo”, segnala il noto sito Cerasa, neo metamorfosi Telebaldoria), interpreta giornalistica al di là dai Francesco Guccini (“Dio confini della fantasia, di è morto”) e stressa l’ugola Claudio Cerasa, redattore con “Chi ruba ai capo del “Foglio“, inventore supermercati”. della mini rubrica, strepitosa I Paragone, come i Barzini, sul linguaggio vendoliano, sono una dinastia e hanno “Nichi ma che stai a dì ?”. il soul nel sangue: l’usignolo Cerasa Potter, modello è figlio di Luigi, giornalista ectoplasma-ologramma, from Benevento, già è la nuova attrazione delle interprete di un cd di “Invasioni barbariche” della canzoni napoletane. L’idea babbana Daria Bignardi. gli è venuta dopo aver Lo stregone giornalistico ha sentito in un convegno un il compito di prevedere futuri giapponese cantare “O sole scenari politici gettando qua mio”. Contaminazioni e là pittoresche espressioni dell’atomica Apicella come «orgasmo liberale» . (al secolo Mariano)? Claudio, ma che stai a fà?
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avvero commoventi i maneggi del “Messaggero”, edito da Francesco Gaetano Caltagirone, per maritare Pdl, Pd e Udc sull’altare dell’ennesima “riforma della giustizia”. Quasi un’intervista al giorno: prima Casini (genero di Caltagirone), poi Alfano, Violante, Bersani e infine la ministra della Giustizia Paola Severino (ex avvocato di Caltagirone). Denominatore comune:le solite intercettazioni. Il fatto che Caltagirone, proprio grazie alle intercettazioni dell’estate 2005 sulla scalata Unipol-Bnl appoggiata da lui e dal vertice Ds, sia stato condannato in primo grado insieme a Giovanni Consorte, è puramente casuale. L’intervista più stupefacente è quella di Bersani, che solo un anno fa era sulle barricate contro la “legge bavaglio” di Alfano, e oggi cinguetta a distanza con Alfano sulle intercettazioni perché «c’è una situazione nuova: il voto comune in Parlamento sulla mozione sulla giustizia». Come se in Parlamento il gruppo maggioritario non fosse sempre il Pdl. Domanda: «Lei è disposto a disciplinare le intercettazioni?». RISPOSTA DI BERSANI: «Certo. Facciamo una cosa civile, senza pregiudizi, che non strozzi l’informazione, che metta a monte la liceità di quel che può essere pubblicato salvaguardando il diritto alla privacy, impedendo il coinvolgimento di persone che non c’entrano con le indagini». Esempio: la telefonata fra il capitano De Falco e il comandante Schettino nella notte del naufragio. Il primo non è indagato, il secondo sì: che si fa, si pubblicano solo le frasi di Schettino e quelle di De Falco no? Si dirà: ma De Falco fa una splendida figura. Appunto: se uno si comporta bene, non ha nulla da temere dalla pubblicazione delle sue parole. E la privacy è già tutelata dalla rigorosissima legge del 1996: già oggi chi la viola (pubblicando notizie private prive di interesse pubblico) è punito dal Codice penale. Bersani cita fantomatici «paesi più avanzati» in cui «un uso così vasto delle intercettazioni non sarebbe possibile». Quali paesi? Gli Usa o la Gran Bretagna, che intercettano molto più che in Italia, per giun-
D Solo un anno fa il capo del Pd era sulle barricate contro la “legge bavaglio” di Alfano. Ora cinguetta con lui. Ed è disposto a disciplinare la materia purché si faccia «una cosa civile»
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«In Veneto evadiamo poche tasse: invito i veneti a evadere di più». Parola di Roberto Marcato, vicepresidente leghista della provincia di Padova. Il blitz dell’Ufficio delle Entrate a Cortina è stato il classico coltello rivoltato nella piaga di chi l’ufficio delle tasse l’ha sempre visto con il binocolo. Marcato ha avuto però il merito di dichiarare in tivù quello che pensano molti veneti, e cioè che al Nord si evade “poco” per consentire al Sud di «evadere il 100 per cento, perché lì ti sparano in testa se vai a controllare». Caso isolato? Macché. Luciano Cagnin, senatore leghista, ha affermato: «Ha ragione, lo Stato manda sul lastrico migliaia di famiglie venete e 50 nostri imprenditori hanno già compiuto il gesto estremo». Peccato che la maggior parte l’abbia fatto mentre governava la Lega, che allora se ne stava zitta. G. Sb.
Denise Pardo Pantheon
Foto: C. Minichiello - Agf, Begotti - Olycom
CON LA LEGA SI EVADE
Marco Travaglio Carta canta
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ta a opera di servizi segreti, polizie ed enti pubblici, senza il controllo della magistratura che in Italia è obbligatorio? Lo sa Bersani che nel 2007 il Parlamento dispose un’indagine conoscitiva sul fenomeno delle intercettazioni e concluse col voto di tutti i partiti, compreso il suo, che «le garanzie assicurate dal nostro sistema legale al cittadino non hanno l’eguale presso alcun’altra democrazia occidentale»? IL SEGRETARIO PROMETTE anche «norme che riducano drasticamente la corruzione». Proposito lodevole, per un leader che fino a un anno fa aveva come capo della sua segreteria Filippo Penati. Ma quelle norme sono già scritte nella convenzione anticorruzione del Consiglio d’Europa siglata a Strasburgo da tutti gli Stati membri nel 1999, sotto il governo D’Alema: purtroppo né quel governo (Bersani era ministro dei Trasporti), né quello di Amato (Bersani ancora ai Trasporti), né il Prodi-2 (Bersani allo Sviluppo economico), né naturalmente quelli di Berlusconi ratificarono il trattato. «Per 15 anni», tuona Bersani, «sui giornali abbiamo mangiato pane e giustizia e poi alla resa dei conti è il settore dove meno ci sono state riforme. Basta… È intollerabile che in 20 anni l’arretrato della giustizia penale si sia raddoppiato e non si sia messa mano alla giustizia». Ma l’arretrato aumenta proprio perché di “riforme” se ne son fatte troppe (oltre 100 dal ’94 a oggi): solo che erano sbagliate. Quelle ad Berlusconem sono note. Ma il centrosinistra, nei 9 anni (su 18) in cui ha governato, ha depenalizzato di fatto l’abuso d’ufficio e i reati fiscali; ha rallentato vieppiù i tempi dei processi, con l’incompatibilità fra gip e gup (così i carichi di lavoro sono raddoppiati) e con un quarto grado di giudizio tra le indagini e l’udienza preliminare (il “deposito degli atti”); e, dulcis in fundo, ha varato l’ordinamento giudiziario Mastella, che ha svuotato le Procure del Sud, ha annientato i pool antimafia e ora sta smembrando pure quelli specializzati in reati finanziari e sicurezza sul lavoro. Ce n’è abbastanza per tremare, alla promessa di una nuova “riforma della giustizia”. Anzi, alla minaccia. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 19
Alberto Alesina Qui Harvard
Il rigore per legge è un’illusione i parla sempre più spesso di regole di bilancio per evitare il ripetersi di crisi fiscali quali quelle che stiamo vivendo oggi. Per esempio nelle ultime settimane di agonia il governo Berlusconi lanciò in extremis l’idea di un vincolo di bilancio in pareggio nella Costituzione. Chiaramente era una mossa disperata per salvare un governo in disfacimento, ma il problema rimane. Servono regole di bilancio? E se sì, chi le può far rispettare? Cominciamo dalla prima domanda. Le regola più semplice è appunto un vincolo di bilancio in pareggio: semplice da applicare e verificare, ma inadeguata. Infatti, durante le recessioni è perfettamente naturale e corretto avere dei deficit di bilancio, da compensare poi nei periodi di crescita sostenuta. Un vincolo di bilancio in pareggio impedisce questo naturale aggiustamento ciclico del bilancio pubblico. Si potrebbe allora concepire un vincolo di bilancio in pareggio corretto per il ciclo. Ottima regola, ma come mettersi d’accordo su come fare la correzione ciclica? Ne sentiremmo di tutti i colori! Il momento di accumulare surplus per compensare i deficit non arriverebbe mai. Lo abbiamo visto quando i paesi europei negli anni precedenti alla crisi accumularono deficit anche quando l’economia andava relativamente bene presentandosi poi già indeboliti fiscalmente quando la crisi finanziaria è esplosa. Un’altra proposta è di richiedere un bilancio in pareggio escludendo spese per investimenti pubblici. Un’idea che a me non piace per due motivi. Primo, la mancanza d’infrastrutture non è il principale dei problemi europei, anzi. Secondo, con questa scappatoia molte spese verrebbero in qualche modo riclassificate come “investimenti”. Anche in questo caso ne sentiremmo delle belle! INSOMMA REGOLE SEMPLICI (bilancio sempre in pareggio) sono relativamente facili da applicare, ma inefficienti. Regole più flessibili si prestano a distorsioni e raggiri dettati dalle esigenze politiche.
S
Foto: Franco Cavassi / AGF
Con il patto di stabilità l’Unione europea ha cercato in passato di imporre ai governi nazionali una disciplina fiscale. Non c’è riuscita. I due paesi che per primi hanno violato le norme fissate furono Germania e Francia. E Bruxelles non mosse un dito
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Ammesso che ci si metta d accordo su di una regola, rimane poi il problema di chi debba farla rispettare. L’Unione europea ha cercato in passato con il patto di stabilità di imporre regole fiscali ai governi nazionali. Non c’è riuscita e non credo che ci riuscirà mai. I due paesi che per primi hanno violato il patto di stabilità furono Germania e Francia, l’Unione europea non mosse un dito. I governi nazionali soprattutto dei paesi più forti, non saranno mai disposti a delegare il loro controllo di bilancio. L’alternativa proposta dai tedeschi è di introdurre regole di bilancio nelle legislazioni nazionali, ma qui si ripresenta il problema di cui sopra. Quali regole? E chi le farebbe rispettare a un governo sovrano? Quanta contabilità creativa ci si inventerebbe? C’è invece un caso in cui regole di bilancio potrebbero essere molto utili: quelle applicate a governi locali, come regioni e comuni. In questo caso con appropriati meccanismi di controllo e di “punizioni” il governo centrale può far rispettare le regole. Inoltre problemi di ciclicità del bilancio sono irrilevanti dato che gli ammortizzatori sociali non sono gestiti dagli enti locali quindi una semplice regola di bilancio in pareggio facilmente verificabile non crea problemi. Gli Stati americani (tutti tranne il Vermont) hanno regole di bilancio in pareggio (più o meno flessibili) e sono servite così come hanno funzionato le regole di bilancio per i nostri Comuni. LA CONCLUSIONE sembra esser questa: regole di bilancio in pareggio per enti locali funzionano. A livello di governi nazionali è difficile imporre regole se non c’è la volontà politica di mantenere il rigore fiscale. Regole nazionali possono essere utili a governi che abbiano la volontà di essere rigorosi, per resistere agli “attacchi alla diligenza”, ma difficilmente riusciranno a contenere governi irresponsabili. L’Unione europea deve smettere di pensare di poter dettare per legge il rigore fiscale. È una pericolosa illusione. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 21
9 febbraio 2012
L’altra copertina L’ALTRA COPERTINA DI QUESTA SETTIMANA È DEDICATA A FACEBOOK, IL COLOSSO DI INTERNET. PRESTO SARÀ QUOTATO IN BORSA E RAGGIUNGERÀ UN MILIARDO DI UTENTI NEL MONDO. DIVENTANDO COSÌ IL PIÙ GRANDE COLLANTE SOCIALE DEL PIANETA (SERVIZIO A PAG. 98). LA STORIA DI COPERTINA, INVECE, TOCCA UN TEMA DELICATO: LE CARCERI. QUI UN FIUME DI SOLDI VIENE UTILIZZATO PER SPRECHI SCANDALOSI. RICCHE CONSULENZE, AUTO BLU, RISTRUTTURAZIONE DI APPARTAMENTI E COSÌ VIA. MENTRE DIETRO LE SBARRE LA VITA DEI DETENUTI È SPESSO UN INFERNO (SERVIZIO A PAG. 54)
Settimanale di politica cultura economia - www.espressonline.it
N. 6 anno LVIII 9 febbraio 2012
Mark Zuckerberg
IL PADRONE DEL MONDO
Foto: Corbis Outline
LO SBARCO IN BORSA. UN MILIARDO DI UTENTI GLOBALI. È IL MIRACOLO FACEBOOK, IL SITO CHE CI HA CAMBIATO LA VITA CAMERE SPRECONE COME I PARLAMENTARI USANO I SOLDI PER I PORTABORSE p.28
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CARCERI UN FIUME DI DENARO SPESO TRA AUTO BLU E CONSULENZE p.54
VATICANO SEGRETO BERTONE NELLA BUFERA DOPO IL CASO VIGANÒ p.36
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n. 6 - 9 febbraio 2012
Sommario
Questa settimana su www.espressonline.it In diretta dall’Italia al tempo della crisi L’impatto nella vita dei cittadini delle manovre di Monti. L’insofferenza verso la casta dei politici. Le difficoltà dei partiti a ritrovare identità e appeal. Ogni giorno nel nostro sito gli aggiornamenti, le analisi, i blog e i retroscena sull’attualità italiana.
Inchiesta esclusiva: tutte le ombre nel boom dell’azzardo on line
54 INFORMATION TECHNOLOGY
28
88
-2,7 +0,8
BENZINA
106
ZIONE
MEDIA 2011
GASOLIO
-13,8
GPL
AZIONI
DICEMBRE 2011
-5,9 MEDIA 2011
-16,9
GAS
DICEMBRE 2011
GO E IONATORI
TELEVISORI E MONITOR 1
-6,3 MEDIA 2011
NETTEZZA URBANA
-8
SPESA FAMILIARE
-6/7
COOP DI CONSUMO
-8,5 NATALE 2011 MILANO
VARIAZIONI MENSILI RISPETTO AL DICEMBRE 2010
Fonte: ministero Sviluppo, Coop, Raee, Autostrade, Assinform
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Questa settimana
Primo Piano
Dossier
Scienze
27 / SE VOLTAIRE ENTRASSE IN CARCERE di Bruno Manfellotto
Inchiesta
36 / LA VIA CRUCIS DI BERTONE Il caso Viganò. Il flop sul San Raffaele. Va in crisi il potere del segretario di Stato di Sandro Magister
88 / OCEAN CHECK-UP Tre anni di navigazione per studiare le acque del pianeta. Ecco cosa si è scoperto di Agnese Codignola
28 / I FURBETTI DEL PORTABORSE Lo Stato paga ai parlamentari oltre 3.500 euro al mese per l’assistente. Ma c’è chi li intasca, chi assume la moglie... di Primo Di Nicola
39 / LOMBARDIA CONNECTION Scoperto un legame nelle inchieste su due consiglieri regionali arrestati. Hanno preso soldi dallo stesso imprenditore di Michele Sasso
54 / GALERA SPRECONA Detenuti reclusi in celle vecchie e sporche. Mentre ministri e dirigenti spendono allegramente di Lirio Abbate
33 / DATE A GIARDA LE FORBICI Allargare le competenze del ministro sulla spending review di Innocenzo Cipolletta 34 / DUE MILIARDI DALLO STATO AI PARTITI Dopo lo scandalo Lusi, siamo andati a vedere come funzionano i rimborsi elettorali. Scoprendo che continua a crescere il peso dei contributi pubblici di Piero Ignazi e Eugenio Pizzimenti
Rubriche 7 / Per esempio di Altan 9 / Parole nel vuoto di Massimo Cacciari 11 / Satira preventiva di Michele Serra 13 / Diverso parere di Luigi Zingales 14 / Riservato a cura di G. Di Feo e P. Di Nicola 16 / Top e flop di Marco Damilano 18 / Pantheon di Denise Pardo 19 / Carta canta di Marco Travaglio 21 / Qui Harvard di Alberto Alesina 76 / Senza frontiere di Minxin Pei 109 / Avviso ai naviganti di Massimo Riva 146 / La bustina di Minerva di Umberto Eco
24 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
Attualità
Mondo 62 / ATENE NON CI STA PIÙ L’Europa chiede nuovi sacrifici. Ma i greci dicono che ne hanno già fatti abbastanza di Gigi Riva
92 / L’ALTRUISMO SPIEGATO AI ROBOT Automi progettati per evolversi di Giovanni Sabato 94 / SALUTE
Tecnologia
40 / C’ERA UNA VOLTA IL PDL Scontri interni. Attacchi ad Alfano. Il partito è alla resa dei conti di Marco Damilano
66 / LE ULTIME AMAZZONI In Estonia c’è l’unico corpo paramilitare d’Europa. Formato da donne di Christian Benna
98 / UN MILIARDO SU FACEBOOK Nel 2012 il sito di Mark Zuckerberg sfonderà anche questo muro. Diventando il più grande collante sociale del pianeta di Alessandro Longo
43 / LA VERSIONE DI OSCAR Scalfaro è stato il primo presidente a veder crollare una Repubblica di Michele Ainis
Reportage
Economia
68 / È ANCORA PIAZZA TAHRIR Ecco come i ragazzi del Cairo si stanno organizzando per contrastare gli islamisti di Federica Bianchi
106 / 2012, L’ANNO DEL GRANDE DIGIUNO Consumi giù: e anche telefoni e trasporti registrano un pericoloso segno meno di Roberta Carlini
Cultura
110 / IL SACCO DI SIENA Come ha fatto la Fondazione Mps a bruciare il suo patrimonio? Un testimone racconta di Luca Piana
44 / E LA NAVE RESTÒ SOLA Svuotare, spostare, rottamare. Il futuro della Concordia è un rebus. Da 200 milioni di Maurizio Maggi 46 / VIETATO TOCCARE IL GOVERNATORE Rifiutò di firmare una grave diagnosi a Lombardo. Ora rischia il licenziamento di Riccardo Bocca 48 / CASA AGNELLI IN CONTROPIEDE Andrea gestisce la squadra sotto l’ala del cugino John. Perché lo scudetto è vitale di Gianfrancesco Turano 52 / ANTONELLO SCATENATO Monti. Berlusconi. Alemanno. Gli immigrati. Il cantautore racconta la sua vena politica di Gianni Perrelli
78 / L’ARCHITETTURA È DONNA Francine Houben costruisce grattacieli e musei. E contesta le archistar di Enrico Arosio 82 / CLASSICA ANZI ETERNA I grandi compositori interpretati da celebri direttori d’orchestra. Con “l’Espresso” di Riccardo Lenzi 84 / SANREMO ROCK I Marlene Kuntz, la più famosa band indipendente, partecipa al Festival nazional popolare. E il suo leader spiega perché colloquio con Cristiano Godano di Alberto Dentice
113 / C’È UN MARCHIONNE A MERIDIANA La cura del nuovo manager sotto accusa di Alberto Brambilla e Stefano Vergine 114 / A NOI IL MALUS A LORO IL BONUS Le assicurazioni alla prova liberalizzazioni di Corrado Giustiniani
Società 118 / L’ARTE DELLA FUGA Gli italiani non rinunciano alle vacanze nemmeno con la crisi. E sfruttano la Rete di Emanuele Coen
118 124 / COPPIA D’ASSI Lauren & Lauren, i nomi nuovi del jet set di Antonio Carlucci 126 / MAISON MARGHERITA Ambasciatrice di stile. Icona della Rete colloquio con Margherita Missoni di Valeria Palermi
Passioni 130 / Cinema 131 / Spettacoli 132 / Musica 133 / Arte 134 / Libri 136 / Moda 138 / La tavola 139 / Viaggi 140 / Motori 142 / Design 144 / Per posta, per email
Un fatturato che raddoppia ogni anno. Tra pocker, bingo e casinò. Le bische on line sembrano aver conquistato gli italiani. Tanto che ci si sono buttate aziende di ogni tipo, da Poste Italiane fino a quelle di Berlusconi. Ma le zone d’ombra sono molte e, nonostante le precauzioni, l’illegalità prospera. E la criminalità organizzata ringrazia.
Chiacchiere, frappe e altre golosità in maschera: la parola allo chef Ogni paese ha le sue tradizioni, ma spesso a cambiare sono solo i nomi dei dolci: stracci, chiacchiere, bugie, frappe. Prelibatezze leggere, croccanti nastri di pasta, fritti e ricoperti di zucchero, semolato o a velo, piccoli bigné ripieni di ricotta, crema e cioccolato. Nelle nostre videoricette lo chef Luca Landi spiega passo dopo passo come preparare i dolci di Carnevale a regola d’arte. Lo speciale nella sezione Food&Wine del nostro sito.
Donne e uomini divisi sugli autobus: la fotogalleria da New York a Tokyo Che sia contro le molestie sessuali o in nome di precetti religiosi, la separazione sui mezzi pubblici tra le vetture destinate agli uomini e quelle alle donne è un fenomeno in crescita in tutto il mondo, da New York a Tokyo, passando per Rio de Janeiro. La fotogalleria nella sezione Multimedia del nostro sito.
COPERTINA: foto di Getty Images - Foto A3
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* Il costo massimo della telefonata da rete fissa è di € 0,1426 al minuto + 6,19 cent di euro alla risposta (IVA inclusa) 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 25
Bruno Manfellotto Questa settimana
Se Voltaire entrasse in carcere crive un lettore a “l’Espresso” che governi e parlamento non si occupano dello scandalo di carceri disumane per una semplice ragione: delle patrie galere, in fondo, non interessa a nessuno anche perché, sotto sotto, molti italiani, molti elettori - spiega quel lettore - si augurano che il carcerato resti dietro le sbarre e sia trattato male, magari peggio, perché altro non merita. Di fronte a un così agghiacciante sospetto viene alla mente quello che disse due anni fa il deputato leghista Gianluca Buonanno dopo il suicidio di un detenuto, e cioè che se altri avessero seguito il suo esempio non sarebbe poi stato tanto male... Se le cose stessero davvero così, è ancora più encomiabile l’impegno di chi si batte contro carceri stipate come pollai da detenuti in attesa di giudizio, immigrati e tossicodipendenti. Il pensiero corre a Marco Pannella che con i suoi ripetuti scioperi della fame e della sete - sfidando il suo corpo e allo stesso tempo la reiterazione di un gesto radicale che può diventare malsopportata routine - mette la sua vita a disposizione di una battaglia di civiltà. E naturalmente il pensiero va anche a Giorgio Napolitano che in questi anni non ha perso occasione per spingere governi e parlamento ad affrontare una realtà divenuta insostenibile con parole come queste: «Una situazione che ci umilia in Europa e ci allarma per la sofferenza quotidiana».
S Privilegi, auto blu, sprechi, consulenze agli amici degli amici. L’ennesima casta di apparato cresce a spese nostre e di detenuti che vivono in cella stipati come polli. Se da questo si misura il tasso di civiltà di un paese...
Foto: Massimo Sestini
DEL RESTO, VENERDÌ 27 GENNAIO,
inaugurando l’anno giudiziario a Catania, è stato lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino a ricordare - evocando Voltaire senza citarlo - che è proprio dallo stato delle carceri che si misura il tasso di civiltà e democrazia di un paese. Se prendessimo questo principio alla lettera, l’Italia precipiterebbe nel fondo di ogni classifica, appunto, di civiltà e democrazia. Lo dicono i numeri e ciò che può vedere chiunque visiti un penitenziario. Mentre il Parlamento ignorava il problema e si occupava di leggi ad personam e di cancellare il falso in bilancio, le carSe ne parla su www.espressonline.it
ceri si sovraffollavano anche in conseguenza della nuova legislazione sugli immigrati, sul possesso di stupefacenti e sui termini di prescrizione. Così, secondo un rapporto dell’associazione Antigone, le prigioni italiane rinchiudono oggi almeno 26 mila persone in più di quante ne potrebbero sopportare; più prudente, ma poi non tanto, il ministero della Giustizia che ha calcolato in 44 mila 218 il numero accettabile di detenuti e in 67 mila 593 quelli che realmente vi sono ospitati: almeno 23 mila di troppo. Evidenti condizioni di invivibilità provocano morti precoci - quasi 600 dal 2009 a oggi - e un’ondata di suicidi: 72 nel 2009, 66 sia nel 2010 che nel 2011, quattro già nel primo mese del 2012. E NEPPURE QUESTO BASTA. “L’Espresso” ha svolto una sua inchiesta (è a pag. 54) e, a fronte della realtà che abbiamo appena riassunto, ha anche scoperto un’incredibile voragine di sprechi, privilegi, investimenti mancati, auto blu, consulenze e appartamenti a ministri, politici e amici degli amici. Roba anche qui da casta e da cricca - che sembra aver avuto come unico scopo quello della propria comoda conservazione e non lo svolgimento del proprio dovere - per di più in un ambito che esigerebbe per mandato non solo quella sobrietà divenuta proverbiale al tempo di Monti, ma soprattutto un quotidiano impegno morale e civile. Niente di tutto questo. Qui l’inefficienza sfocia nella mala amministrazione se non nel malaffare, il dovere sociale nel tornaconto personale, l’impegno nella negligenza. Mentre le carceri esplodono. Questo governo - come spiega a pag. 58 Ignazio Marino che tanto si è battuto per questa storica conquista ha avuto il coraggio di chiudere finalmente gli ospedali psichiatrici giudiziari, quelli che una volta si chiamavano più crudamente manicomi criminali. Speriamo che ora trovi la forza e le risorse per affrontare finalmente lo scandalo delle carceri. Che umilia questo paese e lo regredisce al grado zero della civiltà. Twitter@bmanfellotto 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 27
Inchiesta
CASTA / IL PARLAMENTO
C RENATO SCHIFANI. A SINISTRA: GIANFRANCO FINI
PORTABORSE
Lo Stato paga ai parlamentari oltre 3.500 euro al mese per l’assistente. Ma c’è chi se li intasca. Chi assume la moglie. E chi li versa al partito. Mentre ai collaboratori vanno solo le briciole. Spesso pure in nero DI PRIMO DI NICOLA 28 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
Foto: U. Battaglia - Luzphoto, A. Tosatto - Contrasto
I furbetti del
i sono quelli che non ce l’hanno, come il deputato del Pdl Simone Baldelli, e che i soldi del fondo per il portaborse se li mettono direttamente in tasca: «Sono vicecapogruppo alla Camera e non ho bisogno di assistenti personali», spiega: «Se mi serve qualcosa, mi affido ai collaboratori che lavorano per il gruppo». Ci sono gli altri che invece ce l’hanno, li contrattualizzano, ma con compensi da fame. È il caso di Soaud Sbai, parlamentare del centrodestra eletta in Pu-
glia, che di collaboratori ne na tre , uno dei quali, Nicola Nobile, pagato appena 500 euro al mese. E ci sono quelli, come il presidente della Camera Gianfranco Fini, già dotati di uno stuolo di segretari e collaboratori a carico del bilancio di Montecitorio, che non avendo bisogno di altri assistenti i soldi li destinano interamente al proprio partito: «Per un movimento politico nuovo come Futuro e Libertà», chiarisce, «è una risorsa importante visto che non percepisce neanche un centesimo di finanziamento pubblico». Ecco tre casi dalla giungla dei portaborse, assistenti, segretari, portavoce ed esperti dai titoli e incombenze tra le più strane e variegate, per i quali gli eletti ricevono ogni mese una ricca prebenda. Soldi in abbondanza, 3.690 euro per i deputati, 4.180 per i senatori (e vai a capire il perché di questa differenza) che dovrebbero consentire di stipulare contratti di lavoro regolari e soprattutto adeguatamente compensati. Invece, sia a Montecitorio che a Palazzo Madama le cose vanno in maniera del tutto diversa, con molti casi di lavoro in nero e compensi prossimi alla fame. Una vera macchia per il Parlamento che Fausto Bertinotti , ex presidente della Camera, nel 2007 provò a cancellare imponendo ai deputati il deposito di regolari contratti per concedere agli assistenti gli ambiti accrediti e i relativi badge per l’ingresso al palazzo di Montecitorio. Risultato? Un clamoroso fiasco, visto che ad avere depositato i contratti con i portaborse sono stati solo 236 su 630. Un andazzo che, sotto la spinta delle lamentele e delle denunce di alcuni assistenti (vedi scheda a pag. 32) ha spinto l’ufficio del lavoro di Roma ad aprire un’inchiesta, acquisire documenti e contratti da Camera e Senato e a convocare gli stessi portaborse. Le risultanze dell’ispezione dovrebbero arrivare entro tempi brevi, nel frattempo Fini e Renato Schifani, il presidente del Senato, hanno annunciato novità importanti sul trattamento degli assistenti che, sulla scorta di quanto succede al Parlamento europeo, a partire dalla prossima legislatura, grazie anche ad una apposita leggina, dovrebbero essere pagati direttamente dal Parlamento previo deposito dei regolari contratti. Ma sinora non si è visto niente. La legge per i portaborse è ancora allo studio mentre l’unica cosa certa è che i parla9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 29
Inchiesta
SOLDI AI VERTICI
Certo, sarebbe bello in epoca di invocata trasparenza, di tagli ai servizi e di grandi sacrifici richiesti ai cittadini, se i soldi stanziati per uno scopo preciso, come quello dell’assunzione di un assistente, venissero restituiti quando non sono
utilizzati. Invece, ai vertici delle due Camere, tra coloro che si avvalgono di personale stipendiato direttamente dal Parlamento e che non hanno bisogno di altro personale (presidenti e vicepresidenti di Camera e Senato, segretari d’aula, questori, presidenti di commissioni, capigruppo), le cose vanno in maniera diversa. Come nel caso del presidente del Senato Schifani che a “l’Espresso” spiega di dedicare («Nel pieno rispetto dell’attuale disciplina», puntualizza) una parte del fondo «a tutte le iniziative politiche e culturali che il parlamentare assume sul territorio quale rappresentante della nazione», mentre un’altra parte, «mediante ritenuta diretta sul proprio conto corrente», viene dal presidente del Senato versata al Pdl. Come se i partiti non ricevessero già dallo Stato, attraverso i cosiddet-
Assistenti in carriera Poi ci sono quelli che ce la fanno: i portaborse che riescono addirittura a conquistare lo scranno parlamentare. Tra gli assistenti, quelli che hanno scalato più facilmente gli alti vertici istituzionali sono sicuramente i portavoce dei politici di grido. Sandra Zampa, deputato dal 2008 per il Pd, dopo una lunga carriera all’agenzia Dire è stata assunta come addetta stampa da Romano Prodi. Due anni al seguito del candidato premier, due anni da capoufficio stampa a palazzo Chigi, posto blindato in lista e via, alla Camera. Schieramento diverso, stessa sorte per Roberto Rao, storico portavoce di Pier Ferdinando Casini. Rao ha avuto la massima visibilità e le migliori relazioni durante il quinquennio in cui il suo datore di lavoro è stato presidente della Camera. Ancora due anni di purgatorio durante il governo Prodi e, nel 2008, il posto in lista, Udc in Veneto. Pierdomenico Martino dal 2008 è deputato del Pd, dopo essere stato giornalista parlamentare e caporedattore a “Europa”, quotidiano della Margherita e, soprattutto, avere ricoperto l’incarico di capo ufficio stampa del Pd e di portavoce dell’ex segretario Dario Franceschini. La sua elezione, però, ha fatto discutere non poco perché Martino viene additato come uno dei prodotti tipici della legge elettorale “porcata”,
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ti rimborsi elettorali, cifre da capogiro ad ogni tornata elettorale. A MAL PARTITO
Sono infatti molti i parlamentari che destinano una parte del fondo alla forza politica di appartenenza. Gli eletti nel Pd e nell’Udc staccano ogni mese un assegno di 1.500 euro, 800 versano mediamente i parlamentari del Pdl, molto di più quelli della Lega. Spiega Massimiliano Fedriga, deputato del Carroccio: «Non ho un collaboratore a Roma, il servizio mi viene fornito dal gruppo parlamentare». E i soldi dei portaborse? Al partito, al quale versa circa 3 mila euro al mese, come tutti i colleghi lumbard. E non è finita. A Trieste, «dove sono coordinatore provinciale», aggiunge Fedriga, «usufruisco invece dei servizi di una società di comunicazione con una persona che mi segue e che rilascia regolare fattura». VIVA LA SCUOLA
ovvero un paracadutato nelle liste siciliane del Pd pur avendo sempre vissuto e operato a Roma. Di nuovo nel centrodestra, stavolta nel Pdl, con Luca D’Alessandro, anche lui portaborse di lungo corso e membro dello staff di Paolo Bonaiuti dal 2002. Dal novembre 2003 è stato capoufficio stampa di Forza Italia e poi del Pdl. È diventato parlamentare il 7 novembre del 2011 al posto di un collega deceduto. Anche Deborah Bergamini è deputato per meriti di collaborazione: dopo una breve carriera in tv, che l’ha portata fino alla redazione di Londra di Bloomberg, Bergamini ha conosciuto Berlusconi durante un’intervista, diventandone in breve (1999) collaboratrice e approdando insieme a lui nel 2001 a palazzo Chigi. Nel 2002, però, Bergamini ha abbandonato la carriera di consigliere politico per approdare in Rai, dove ha ricoperto vari incarichi, fino a rimanere impigliata in un’inchiesta giudiziaria per presunti favori a Mediaset. Lasciata la Rai il 31 gennaio 2008, è proclamata deputato il 22 aprile dello stesso anno. Tornando nel Pd, c’è anche il caso di Luciana Pedoto, storica assistente dell’ex ministro dell’Istruzione e leader della corrente popolare Beppe Fioroni, anche lei deputato eletto nel 2008 per volere e imposizione del “capo”. Giorgio Caroli
Al partito, ma non solo. Confessa Beatrice Lorenzin, deputata berlusconiana del Lazio: «Ho un assistente parlamentare che pago a fatica. E la ragione è presto detta: con i soldi del plafond della Camera finanzio la mia scuola di formazione politica e molte attività sul territorio, per le quali sono arrivata persino a dover andare a comprare i gazebo all’Ikea. Comunque», aggiunge la Lorenzin, «il mio collaboratore ha un contratto co.co.pro che mi è stato indicato dagli uffici della Camera, dove l’ho anche depositato». Il compenso? «Prende sui mille euro al mese, più bonus». Neanche Linda Lanzillotta, esponente dell’Api rutelliana spende tutto il fondo disponibile per pagarsi il portaborse. Attualmente, Lanzillotta dice di avere una giovane assistente, con contratto a tempo determinato e contributi previdenziali pagati. Sul trattamento economico non aggiunge di più anche se, afferma, «certamente non spendo tutto il contributo per l’assistente». Dove finiscono allora gli altri denari? Una parte, afferma, va all’attività di «documentazione ed elaborazione per il lavoro parlamentare»; il restante all’associazione Glocus di cui è presidente. SULLA CRESTA DELL’ONDA
Simone Baldelli non è il solo a mettersi in tasca tutti i soldi dei portaborse. A fare la cresta ci sono anche altri personaggi molto conosciuti. Come Andrea Ronchi, ex ministro per le Politiche comunitarie, da poco riapprodato nel Pdl: «Non ho collaborato-
SUAD SBAI. A DESTRA: PIERO LONGO E SIMONE BALDELLI. SOPRA: LUCIO MALAN
Foto: P. Tre - A3, A. Dadi - Agf (2), D. Scuderi - Imagoeconomica
mentari dovranno rendicontare al massimo il 50 per cento del fondo erogato dalle Camere. Sul resto tutto rimarrà come prima. Già, ma come sono andate sinora le cose? Come si regolano gli onorevoli con questo fondo? Lo utilizzano davvero per assumere un assistente? Che tipo di contratto scelgono e quanto li pagano? “L’Espresso” ha interpellato un centinaio di parlamentari. Non tutti hanno risposto. Le spiegazioni fornite offrono comunque uno spaccato interessante sugli usi e gli abusi del fondo per i portaborse.
ri, faccio tutto da me», giura: «La mia attività è prevalentemente di livello europeo, investo in viaggi legati all’attività politica». O della levatura di Angelino Alfano. Il segretario del Pdl ha due collaboratori storici, un segretario particolare e una portavoce. Fino a qualche mese fa, cioè sino a quando è stato ministro della Giustizia, i due erano pagati direttamente dal ministero. Diventato segretario del Pdl, sono invece passati a carico del partito. Quando divenne Guardasigilli, inoltre, Alfano annunciò anche la chiusura del suo storico ufficio di Agrigento: «Per non rischiare contatti con ambienti strani», disse. Morale: senza spese sul territorio e con i collaboratori pagati prima da via Arenula e poi da via dell’Umiltà, Alfano ha potuto intascarsi comodamente l’intero ammontare del fondo. ALLA FAME
Anche quando va bene, cioè nei casi in cui contrattualizzano i portaborse, deputati e senatori non si rivelano però molto generosi. Rita Bernardini, deputata radicale che negli ultimi anni ha fatto le pulci al bilancio della Camera denunciandone sprechi e spese pazze , dice di avere due contrat-
ti depositati alla Camera. Uno di consulenza con l’avvocato Alessandro Gerardi, pagato 1.200 euro lordi, che per un legale non è certo un granché; l’altro, a progetto, con Valentina Ascione, compensata addirittura con meno: appena 900 euro lordi mensili. «Ma è tutto in regola», spiega l’onorevole, che rivela di aver superato brillantemente l’esame dell’Ispettorato del lavoro a cui ha inviato i contratti. Ciononostante, non prende bene l’intrusione de “l’Espresso”: «Ma perché non chiamate anche chi fa battaglie sulla legalità e poi non ha nessun collaboratore?». CARISSIMA MOGLIE
Molto generoso con i portaborse è invece il senatore del Pdl Lucio Malan che alle due persone assunte nella propria segreteria in questa legislatura devolve in pratica l’intero importo del fondo per gli assistenti. Ma la ragione c’è: una, Maria Termini, è la moglie; l’altra, Ilenia, è la nipote dell’amata consorte. Ma per carità, nessuno scandalo a sentire Malan, che si giustifica dicendo di avere assunto la signora nel 2006 su richiesta del gruppo parlamentare di Forza Italia di cui era di-
pendente. Volendo il gruppo sfoltire i ranghi, aveva chiesto ai propri senatori di assorbire qualche segretaria. Malan ha preso la consorte («Bravissima») e successivamente, la di lei nipote, di cui ha sempre rivendicato la grande professionalità PORTABORSE-SHARING
E poi dicono che i parlamentari non hanno fantasia. Per risparmiare, in molti si sono inventati il portaborse-sharing, l’assistente condiviso. A illustrare l’innovazione è il senatore democratico Roberto Della Seta che racconta di avere due contratti depositati. Uno con una collaboratrice in esclusiva, Sonia Pizzi; l’altro con Daniele Sivori, collaboratore a metà con il collega Francesco Ferrante, eletto in Umbria. Entrambi gli assistenti hanno un contratto a tempo determinato fino alla scadenza della legislatura, spiega Della Seta. Quanto al guadagno, portano a casa appena mille euro lordi al mese. Davvero poco, considerando che nel caso della Sivori lo stipendio è pagato a metà dai due senatori. VIRTUOSI
Sono quelli che affermano di impiegare le risorse erogate dalle Camere in9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 31
Inchiesta Spesa pubblica Innocenzo Cipolletta teramente per il portaborse. Qualcuno, anzi, fa di più. Ermete Realacci, storico ambientalista democratico, ha due collaboratori contrattualizzati, Matteo Favaro e Francesca Biffi. La somma dei loro compensi, parola dell’onorevole, sarebbe addirittura superiore a 3.600 euro lordi. «Esattamente, spendo di più di quello che mi danno alla Camera». Realacci ha poi un altro giovane che lavora per lui a Pisa, suo collegio elettorale: a costui vanno invece solo 300 euro netti al mese. Anche Barbara Pollastrini ha due collaboratori con regolare contratto a progetto. Uno dei due, Ettore Siniscalchi, giornalista, spiega che l’onorevole versa 1.300 euro netti a ciascuno di loro. Calcolando tutti i costi, compresi quelli contributivi, i due assistenti finiscono per far spendere alla Pollastrini più dei 3 mila 600 euro erogati per i collaboratori dalla Camera: «Proprio così», dice Siniscalchi, «l’onorevole ci rimette».
ne a progetto o a partita Iva, dice. Sui dettagli, a cominciare dagli importi dei compensi, preferisce sorvolare, inutile insistere: «Scusatemi, non ho tempo, sono in palestra». Beato lui. DESAPARECIDOS
CI VUOLE L’AVVOCATO
MICHAELA BIANCOFIORE E PIERLUIGI MANTINI
senza fornire altre spiegazioni su questa fantomatica “commissione”. Aggiunge il senatore: «A fine mese la collega rilascia regolare fattura anche per l’attività di mia assistente parlamentare. Lavora a Padova, non è necessario che venga a Roma, non mi serve ancora che mi si porti la borsa. Lei deve tenere i rapporti politici con
la base e fungere da segreteria politica». Altro caso da manuale quello di Pierluigi Mantini, deputato eletto nel Pd ma passato all’Udc, professore universitario e avvocato residente a Milano. Mantini confessa con candore di avvalersi, per la sua attività parlamentare, dei ragazzi del suo studio legale. Li tie-
Foto: A. Casasoli - A3 (2)
Veri maestri nell’arte di arrangiarsi con i portaborse sono gli avvocati-parlamentari, anche quelli di grido. Tra questi, il senatore Piero Longo, con Niccolò Ghedini storico difensore di Silvio Berlusconi. «Certo che ce l’ho», dice Longo: «Il mio collaboratore parlamentare è una collega di studio, l’avvocatessa Anna Desiderio». Una collega di studio? «Non c’è niente di strano, il rapporto è passato al vaglio della commissione del Senato ed è stato ritenuto congruo», spiega Longo
Sono i parlamentari che, agganciati telefonicamente, accettano a malincuore di rispondere cercando comunque di tagliare la conversazione con vaghe promesse di continuare successivamente. Qualche caso: Ignazio Abbrignani, deputato del Pdl: «Ho un collaboratore con contratto depositato». Tipo di contratto? Retribuzione? «Non lo so, se ne occupa il mio commercialista. Glielo chiedo, la richiamo». Entro breve? «Sì sì, certamente…». Stiamo ancora aspettando. Peppino Calderisi, ex radicale, eletto nelle liste del Pdl: « Sono impegnato...», «richiami...». Lo abbiamo fatto, non ha più risposto. Colomba Mongiello, senatrice democrarica: «Sono nel traffico, richiamatemi». Dopo più di un’ora il telefono squilla ma la senatrice nemmeno risponde. Michaela Biancofiore, altra berlusconiana. Dice di avere un collaboratore nel collegio di Bolzano, con un contratto a tempo indeterminato. Non dice il nome, né la retribuzione: «Non lo vengo certo a a dire a voi quanto pago i miei collaboratori». E a Roma, com’è organizzata? «Sto per fare un contratto ad un assistente». Di che tipo? «Non ho tempo, arrivederci...». hanno collaborato Giorgio Caroli, Cristina Cucciniello e Michela Giachetta
Noi sfruttati di Montecitorio Superlavoro, orari impossibili, vessazioni, pagamenti in nero. A volte il difficile rapporto tra parlamentari e portaborse finisce in liti fragorose sbarcando anche in tribunale. È il caso di Liliana, addetta stampa di Francesco Barbato, il deputatoanticasta dell’Idv, famoso per avere registrato in aula le confessioni del collega Antonio Razzi. Liliana, licenziata la scorsa estate per «carenza di attività politica», è riuscita alla fine a chiudere la questione con una transazione privata prima che l’intera faccenda finisse davanti al giudice del lavoro. Anche Vincenzo Pirillo, collaboratore di Domenico Scilipoti (ex Idv, ora nei Responsabili), «stufo di essere sfruttato», 32 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
ha minacciato di recente di trascinare il suo parlamentare in tribunale. «Per un anno ho lavorato dalle nove del mattino alle undici di sera, sabato compreso», ha raccontato. «E la domenica c’erano i convegni e i comizi in Sicilia, senza pernottamento né rimborso spese. Prendevo 600 euro al mese, versati quasi sempre con assegno bancario firmato dal deputato e motivati come pagamento di contratti a progetto». Altro parlamentare balzato agli onori della cronaca, Antonio Razzi: anche lui ex Idv, anche lui come il suo amico Scilipoti pesantemente accusato dal proprio ex assistente. Massimo Pillera, ora giornalista a Trani, ha infatti chiesto
al suo ex assistito Razzi (che respinge gli addebiti) la bella somma di centomila euro. A motivare la richiesta di rimborso e indennizzo, Pillera ha portato oltre 2 anni di lavoro in nero (dal 2006 al 2008), pagato in contanti sotto forma di rimborsi spese forfettari bimestrali: «Ho girato in lungo e in largo con Razzi», rivela, «ho lavorato sette giorni su sette, sempre con la promessa che nel 2008, dopo la sua rielezione nel partito di Di Pietro, sarebbe arrivato anche il contratto regolare». Invece, niente. A trionfare in tribunale è stata invece l’ex assistente di Gabriella Carlucci, deputata del Pdl da poco transitata nell’Udc, che dalla parlamentare ha
ottenuto circa 10 mila euro a titolo di indennizzo. Lezione servita: la Carlucci ha adesso alle sue dipendenze due collaboratori in piena regola, con contratto a orario e paga concordati. Ancora peggio potrebbe andare a Giuseppe Lumia, senatore del partito democratico, che si è visto citato da un suo ex collaboratore, Davide Romano, al tribunale del lavoro di Palermo. Astronomica la richiesta di indennizzo chiesta all’ex presidente della commissione antimafia: 368 mila euro per 8 anni di mancate retribuzioni, per i danni morali e materiali e per i contributi non versati. G.C.
Date a Giarda le forbici DOPO AVER “SALVATO L’ITALIA” CON UN
consistente (ma necessario) aumento delle tasse, averla “liberalizzata” in alcuni comparti per farla crescere e averla “semplificata” (si spera), il governo Monti deve ancora ridurre la spesa pubblica, al di là di quanto ha già fatto con le pensioni. Questo è un obiettivo necessario per due evidenti ragioni: 1) garantire un permanente e reale controllo della finanza pubblica, 2) liberare risorse per dare un sostegno immediato, ancorché temporaneo, alla domanda interna. Le liberalizzazioni possono aiutare un paese a crescere quando c’è una fase espansiva, ma in fase di recessione, come l’attuale, servono poco. Per cercare di uscire dalla recessione la via è quella di sostenere i redditi dei disoccupati con nuovi ammortizzatori sociali. Di questo il ministro Fornero sta discutendo con le parti sociali, ma per farlo servono soldi. Da qui la necessità di rivedere la spesa pubblica per eliminare quella che non serve (o serve poco) e per concentrare risorse dove c’è urgenza. Una simile operazione non può essere fatta con tagli indiscriminati, come ha fatto Tremonti, nella speranza che la macchina burocratica, una volta “affamata”, si sarebbe ristrutturata da sola. Non è così che funziona. I tagli orizzontali degradano i servizi, impediscono il funzionamento dell’amministrazione pubblica e generano un debito sommerso che poi esploderà rigonfiando la spesa pubblica. Occorre lavorare sui singoli capitoli di spesa, riorganizzando la macchina burocratica, eliminando quei servizi e quelle funzioni che non hanno più ragione di essere e rafforzandone altri. Faccio un esempio: il governo ha proposto di ridurre i tempi per i cambi di residenza, così da poter dare
rapidamente i relativi certificati in tempi reali. In molti altri paesi non esiste il certificato di residenza, come non esistono i certificati di nascita, di cittadinanza, lo stato di famiglia o quant’altro. Abolire molti certificati e il loro uso è più efficace che cercare di accelerarne la produzione, magari utilizzando tecnologie sofisticate e costose. Per conseguire un simile obiettivo, serve tempo, determinazione e autorevolezza. Non si può lasciare questo compito a una commissione che studi e faccia proposte. Bisogna dare a un ministro la delega specifica con il compito di varare le misure amministrative necessarie e di presentare gli eventuali provvedimenti legislativi connessi. Il governo ha la persona adatta a questo scopo: Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento. Giarda ha la competenza per questa missione. È stato per diversi anni sottosegretario al Tesoro con il compito di vigilare sul bilancio, che conosce alla perfezione. È un professore universitario senza interessi e con una forte reputazione. Ha la competenza, il garbo e la fermezza necessaria. Ha già l’incarico di fare una spending review per individuare dove poter risparmiare nella spesa pubblica. Manca a Giarda la delega specifica che gli dia l’autorità nei confronti dei colleghi ministri per raccogliere le informazioni e procedere alle misure di taglio della spesa pubblica. Senza questa delega, ogni esortazione a ridurre la spesa pubblica rischia di rimanere sulla carta. Nessuna amministrazione procederà da sola a risparmi che necessariamente incidono sulle proprie strutture e sulle proprie competenze. Ci vuole un ministro che lo faccia e, ovviamente, un governo che lo sostenga. icipoll@tin.it
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Analisi
CASTA / I CONTI IN TASCA
Fantasmi alla cassa Lo scandalo di Luigi Lusi, il tesoriere della Margherita che si è appropriato di 13 milioni del partito, ha riproposto alla ribalta i partiti-fantasma, quelle forze politiche senza rappresentanti in Parlamento, che hanno continuato a incassare rimborsi elettorali. Con la Margherita, che nel 2011 ha riscosso soldi delle regionali del Molise (37.163 euro) e negli anni precedenti le annualità dei rimborsi (oltre 20 milioni solo alla Camera) per le politiche del 2006, hanno riscosso anche i Ds (circa 35 milioni dal 2006 al 2010), scioltisi nel 2007 per fondare il Pd con la Margherita. Altri partiti- fantasma passati alla cassa, Rifondazione, Udeur, An e Fi (anche dopo la nascita del Pdl), Comunisti italiani e persino lo Sdi, l’ultima costola del vecchio Psi.
DUE MILIARDI Dopo lo scandalo Lusi, siamo andati a vedere come hanno funzionato i rimborsi elettorali dal ‘94 a oggi. Scoprendo il peso sempre crescente dei contributi pubblici DI PIERO IGNAZI E EUGENIO PIZZIMENTI orreva l’anno 1974 ed era scoppiato un ennesimo scandalo, quello dell’Unione Petrolieri. Tutti i partiti concordi decisero che era necessario introdurre forme di finanziamento pubblico. Da allora, tra referendum abrogativi schivati o elusi e nuovi interventi legislativi, i partiti non hanno mai smesso di essere foraggiati dallo Stato. E l’ultima vicenda, quella del tesoriere della Margherita Luigi Lusi accusato di avere usato a scopo personale 13 milioni di fondi pubblici, dimostra che anche gli scandali non hanno mai smesso di tenere banco. Se prendiamo come data simbolo il 1994 - anno del grande cambio del sistema partitico, ma anche della introduzione della nuova normativa che, in linea con il referendum del 1993 sulla vecchia legge del finanziamento pubblico, ha in sua vece introdotto il “rimborso elettorale” per ogni tipo di elezione - vediamo che le quote versate dallo Stato sono costantemente aumentate e ammontano a oltre 2 miliardi: 2.217.126.664 euro. Addirittura, con la legge 51/2006 i rimborsi vengono versati per tutti i 5 anni della legislatura indipendentemente dal fatto che essa si interrompa prima. Le elezioni anticipate del 2008 sono state un grande affare per i partiti. In questi 17 anni come si sono finanziati i partiti? Qual è il peso dell’autofinanziamento rispetto ai contributi dello Stato? Ci sono differenze tra i partiti? E
C
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si notano variazioni nel tempo? A queste domande si può fornire un prima risposta analizzando i bilanci che i partiti, per legge, devono pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale alla fine di ogni anno. Ovviamente queste cifre non dicono tutto ma quanto meno forniscono informazioni chiare su tre punti importanti: 1) il contributo del tesseramento sul totale delle entrate; 2) il peso delle altre fonti di finanziamento “autoprodotte” - distinte in due grandi categorie: le donazioni di enti e privati e, soprattutto degli eletti da un lato, e le entrate derivanti da iniziative del partito, dai festival ai gadget, alla stampa, dall’altro; 3) la rilevanza del contributo statale. Su un punto non c’è alcun dubbio: tutti i partiti vivono essenzialmente di finanziamento pubblico. Con poche variazioni ma con qualche sorpresa (tabella a fianco). A prima vista sembra ribaltata l’immagine che vedeva i partiti di sinistra, eredi dei partiti di massa, avvalersi prevalentemente del contributo delle tessere, e Forza Italia, simbolo del partito “leggero” (o, più spregevolmente, di plastica) disinteressarsi del tutto del tesseramento. Addirittura, il Pds-Ds sembrerebbe privo di tesserati in quanto i contributi degli iscritti sono nulli nel periodo Pds e ridottissimi nel periodo Ds e Pd. La realtà è ben diversa e dipende dalle regole di destinazione dell’importo delle tessere previste dai vari statuti. Fino agli anni 2000 nel Pds-Ds tutto l’introito derivante dal tesseramento rimaneva a livello locale
e quindi non contabilizzato nel bilancio del partito. In seguito, viene destinata al centro la quota simbolica di 1 euro ad iscritto. Questa la vera ragione del peso così impalpabile delle quote di iscrizione nel Pds-Ds. Il quadro di Forza Italia sembra invece quello di un partito dipendente dai propri iscritti per la sopravvivenza finanziaria. Anche qui la realtà è un po’ diversa. Intanto nel caso di Forza Italia, contrariamente al Pds-Ds, i contributi del tesseramento vanno tutti al centro. E poi il bilancio di Fi sembra un elettrocardiogramma impazzito: vi sono voci che si azzerano un anno per passare a cifre iperboliche l’anno dopo. In pochi anni si passa dai 3 mila euro di tessere del 1995, che riflettono il disinteresse assoluto per la creazione di un partito “tradizionale” nei primi passi di Fi, ai 10 milioni del 1998 quando si celebra il primo congresso. Il tesseramento porta alle casse del partito cifre analoghe fino al 2003, per poi avviarsi in una rapida china discendente. A questa altalena nel tesseramento se ne affianca un’altra sui contributi dello Stato, che presentano enormi variazioni da un anno all’altro. Ciò dipende dalla decisione di inserire in bilancio tutto il finanziamento che spetta al partito per i cinque anni di legislatura subito il primo anno, sguarnendo quindi la voce del contributo pubblico negli anni successivi. A causa di queste manovre contabili sembra che in certi anni Fi viva solo delle tessere. Ad esempio, nel 2003 il contributo pubblico contabilizzato è solo di 1.3 milioni (a fronte degli 88 dell’anno prima) facendo quindi pesare l’introito delle tessere (10 milioni) per il 72 per cento dell’intero bilancio 2003. La realtà è un po’ diversa anche se Fi non disdegna affatto l’autofinanziamento fornito dai tesserati. Anche altri partiti presentano cifre in
Foto: Olycom
dallo Stato ai partiti
altalena nei vari anni. Nel Ccd-Udc i contributi delle tessere subiscono variazioni telluriche (e difficili da spiegare): nel 1999 gli introiti dal tesseramento schizzano ad 1 milione contro i 300 mila dell’anno precedente e di quello successivo, nel 2004 sono 3.7 milioni contro 150 mila dell’anno dopo, e nel 2007 addirittura 4 milioni contro i 100 mila dell’anno successivo. Quando questi picchi si incontrano con anni in cui non vengono contabilizzate che le briciole dei rimborsi elettorali, ecco che i post-democristiani del Ccd-Udc sembrano i più militanti e più indipendenti dal finanziamento pubblico. Certo, a essere maliziosi si può ricordare che in due casi su tre i picchi dei contributi delle tessere coincidono con gli anni congressuali, 1999 (congresso gennaio 2000) e 2007. Quanto detto per i post-democristiani moderati vale anche per quelli di centrosinistra. Il Ppi e poi la Margherita presentano bilanci con variazioni di difficile interpretazione. Le tessere del 2003, ad esempio, apportano 4,6 milioni alle casse della Margherita, cifra che sale addirittura a 8,4 milioni nel 2005, mentre negli anni precedenti e successivi le entrate scendono a pochi spiccioli. Apparentemente ciò significa che in un anno il partito attira quasi un milione di iscritti e in in quello successivo poche decine di migliaia. Montagne russe “inspiegabili”… Molto più uniformi, pur nelle loro diverse tradizioni ideologiche sono i bilanci di Rifondazione comunista, An e Lega. Non si registrano clamorose variazioni
L’AULA DI MONTECITORIO
da un anno all’altro nelle varie voci. Tutti segnalano una tendenza costante, soprattutto nell’ultimo decennio, ad avvalersi in misura sempre maggiore dei contributi dello Stato. La Lega si differenzia dagli altri in quanto è il partito meno dipendente dal finanziamento pubblico: il Carroccio mostra un rapporto paritario tra autofinanziamento complessivo e contributi statali nel periodo 1994-2010. Tuttavia più che il tesseramento, che nel bilancio della Lega pesa poco più del 5 per cento, e con una tendenza al calo negli ultimi anni, incidono i proventi dai
contributi volontari extra-tessere: questi ammontano a ben il 31 per cento, la quota più alta tra tutti i partiti (solo il Pds-Ds vi si avvicina con il 28 per cento). Nonostante una ripresa del tesseramento nel 2010 e un ulteriore incremento dei contributi volontari (più di 10 milioni), il peso del finanziamento pubblico è aumentato moltissimo a partire al 2005: da allora copre quasi i 2/3 delle entrate. Anche Rifondazione, nonostante qualche sussulto, ha progressivamente perso capacità di autofinanziamento, fortemente accentuato dopo la débâcle elettorale e politica del 2008. Lo stesso andamento vale anche per An. ■
Bilanci sotto la lente Incidenza percentuale dei rimborsi elettorali sul totale delle entrate (1994-2010) LEGA AN FI CCD-UDC PPI-DL PDS-DS PRC 1994 47,5 83,5 88,4 0 88,7 46,2 56,9 1995 27,3 70,1 84,8 68,1 77,3 53,3 57,2 1996 42,0 65,9 76,2 78,5 73,2 53,0 52,9 1997 46,1 86,1 57,6 73,4 84,2 57,3 72,9 1998 42,3 77,0 56,8 84,3 40,3 55,2 67,4 1999 43,0 76,4 66,9 60,3 66,9 64,1 64,3 2000 40,8 82,1 59,7 82,2 82,6 58,3 62,7 2001 41,1 73,6 76,7 6,6 76,0 67,3 57,4 2002 38,1 81,1 87,1 55,3 90,2 74,3 62,7 2003 40,2 75,9 8,8 49,3 74,1 76,7 57,6 2004 47,9 79,0 81,8 35,0 94,4 81,5 76,1 2005 55,6 89,0 80,0 95,2 75,3 80,4 77,0 2006 53,4 80,9 90,1 82,8 87,4 83,0 68,0 2007 56,2 90,5 6,0 37,3 92,0 87,4 58,2 2008 63,6 88,5 96,2 86,0 99,4 97,2 73,2 2009 58,9 76,0 89,4 2010 61,7 87,1 87,2 TOTALE 50,6 81,7 80,8 73,8 83,4 71,0 67,4
PDL 4,6 71,0 69,9 44,4
PD 95,5 91,9 89,3 93,6
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Primo Piano SCONTRO NELLA SANTA SEDE
n Vaticano non ci si combatte con camion e forconi, ma a colpi di carte. Sabato 28 gennaio il consiglio dei ministri della curia romana, presente il papa, ha dedicato una parte della sua riunione a studiare come mettere un argine alle fughe dei documenti. Ed erano passati solo tre giorni dall’ultima clamorosa fuga: un blocco di lettere confidenziali scritte a Benedetto XVI e al cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone dall’allora segretario del governatorato della Città del Vaticano, oggi nunzio a Washington, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Quelle lettere, più altre carte scottanti che minacciano anch’esse di uscire allo scoperto sulla stampa o in tv, sono un atto d’accusa contro una persona su tutte: quel cardinale Bertone che ha introdotto la citata riunione dei capidicastero di curia spiegando lui come elaborare e pubblicare i documenti della Santa Sede senza più gli infortuni che ne hanno costellato la storia recente. Ci vogliono, ha detto, più competenza, più collaborazione, più fiducia reciproca, più riservatezza. Benedetto XVI ascoltava in silenzio. Gli veniva in mente la peggior prova di malgoverno curiale da lui patita da quando è papa: la valanga di proteste che lo investì non per sua colpa all’inizio del 2009 dopo la revoca della scomunica a quattro vescovi lefebvriani tra i quali uno che negava la Shoah. Dopo quell’incidente, in una lettera aperta ai vescovi di tutto il mondo, papa Ratzinger non esitò a scrivere che gli era venuto più sostegno da «amici ebrei» che da tanti uomini di Chiesa e di curia più interessati a far terra bruciata attorno al papa. E nel finale citò questo terribile monito dell’apostolo Paolo: «Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri». Di morsi, nelle lettere di Viganò ce ne sono in abbondanza. Prima come direttore del personale della curia vaticana, poi come segretario del governatorato, questo settantenne prelato lombardo ha aggredito molte cose che non funzionavano e si è fatto un gran numero di nemici. Quando, per cominciare, impose a tutti in curia una tessera elettronica di identificazione e localizzazione, la rivolta in difesa della vita privata si levò universale, ma lui
I
DI BERTONE
Il caso Viganò. Il flop sul San Raffaele. Il protagonismo in politica estera. E le difficoltà sulle finanze vaticane. Perché si ridimensiona Oltretevere il potere del segretario di Stato DI SANDRO MAGISTER
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Foto: G. Giansanti - Contrasto, M. Chianura - Agf
LA VIA CRUCIS
tenne duro. Bertone stava allora dalla sua invadere il loro campo. Il contrasto tra la parte. Anzi, assicurò a Viganò, passato al segreteria di Stato e la Cei è ormai il ritorgovernatorato, la vicina promozione a nello obbligato di ogni analisi dell’azione governatore dello Stato della Città del Va- politica della Chiesa in Italia. ticano e a cardinale. Sono nomine che soMa anche con Benedetto XVI Bertone lo il papa può fare, ma che Bertone usa oltrepassa di frequente la linea. Ratzinger amministrare in proprio con disinvoltura, ne sperimentò le doti quando entrambi come fossero cosa sua. Una volta, ad erano nella congregazione per la dottrina esempio, garantì con tale granitica sicu- della fede. Al dinamico salesiano dava da rezza a monsignor Rino Fisichella la sua sbrogliare le matasse più intricate: dal sepromozione a numero due della congre- greto di Fatima alle bizzarrie del vescovo gazione per la dottrina della fede che que- africano Emmanuel Milingo. E in ensti preparò il trasloco e congedò il proprio trambi i casi Bertone sembrò cavarsela segretario, salvo poi scoprire che il nomi- con successo, anche se poi alla lunga ennato dal papa era un altro. trambi gli riesplosero in mano: nel caso di L’invasione di campo è una nota co- Fatima con l’accusa mai sopita di aver testante dell’operato del cardinale Bertone, nuta nascosta una parte del segreto e nel gran tifoso di calcio. Nell’autunno del caso di Milingo con la fuga rocambolesca 2006, da poco nominato segretario di del personaggio dal confino in cui BertoStato, si mise subito in azione per rifare a ne l’aveva relegato. Sta di fatto che nomisuo piacimento il vertice della conferen- nando Bertone segretario di Stato Beneza episcopale italiana. Pur di impedire al detto XVI pensò di avvalersi della sua sincardinale Angelo Scola di succedere al cera devozione e del suo instancabile attipresidente uscente Camillo Ruini, Berto- vismo per fargli svolgere quei compiti prane candidò a nuovo presidente un uomo tici di gestione da cui lui, il papa teologo di secondo piano a lui docile, l’arcivesco- e dottore, voleva tenersi lontano. Bertone vo di Taranto, il cappuccino Benigno Pa- accettò entusiasta, ma interpretò il compa. E tanto martellò la cosa che la stam- pito a modo suo. Il papa viaggiava poco? pa nazionale in coro la diede per fatta. E lui si mise a girare il mondo al suo poMancava solo il “placet” di Benedetto sto. Il papa se ne stava chino sui libri? E XVI, al quale soltanto spettava la nomi- lui si mise freneticamente a tagliar nastri, na e che invece scelse l’arcivescovo di Ge- a incontrare ministri, a benedire folle, a tenova, Angelo Bagnasco. Ma Bertone non ner discorsi ogni dove e su tutto. rientrò affatto nei ranghi. Il giorno dell’insediamento del nuovo presidente della Cei, il 25 marzo 2007, indirizzò a Bagnasco un messaggio di saluto - scritto tutto di testa sua, di nascosto anche dal papa - nel quale rivendicava alla propria persona, in quanto segretario di Stato, la “guida” della Chiesa italiana per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche. Tra i vescovi fu una sollevazione. E da allora non li ha più abbandonati il sospetto che Bertone PAPA RATZINGER. A SINISTRA: IL CARDINALE TARCISIO BERTONE riprovi ogni volta ad
SALE IL CARDINALE NICORA: SUA LA LEGGE ANTIRICICLAGGIO PER RIUSCIRE A ENTRARE NELLA LISTA DEGLI STATI TRASPARENTI
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Primo Piano
CASO FORMIGONI
Guerra di spie DI STEFANO LIVADIOTTI
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LOMBARDIA CONNECTION
Scoperto un legame nelle inchieste su due consiglieri regionali arrestati. Hanno preso soldi dallo stesso imprenditore DI MICHELE SASSO
a Brescia o dalla Brianza, ma la strada dei soldi sospetti porta sempre al Pirellone. Con un primo elemento che sembra indicare l’esistenza di un sistema del malaffare nella Regione Lombardia: una rete in grado di pagare politici diversi per garantire il sostegno agli affari più opachi. Come “l’Espresso” è in grado di rivelare, la procura di Monza ha individuato una pista che collega gli ultimi due scandali che fanno vacillare il potere del governatore Roberto Formigoni. Un legame che unisce Massimo Ponzoni, consigliere regionale e uomo forte del Pdl in Brianza arrestato due settimane fa, e Franco Nicoli Cristiani, vicepresidente del parlamentino lombardo e leader del partito a Brescia finito in cella a novembre. Entrambi hanno ricevuto quattrini dalla stessa società, utilizzata in Brianza per
D Foto: G. Aresu - Agf, Scarpiello - Imagoeconomica, E. D’Agostino
Col risultato che la segreteria di Stato “L’intelligence vaticana e quel prelato al lavoro”: la pubblicazione, sul “Giornale” del lavora più per l’agenda di Bertone che per 5 febbraio 2011, di un sibillino articoletto firmato dal misterioso “GAL” segna l’avvio il papa. E nella sua agenda il cardinale indella manovra conclusa sette mesi dopo con la defenestrazione del segretario fila, sempre di testa sua, operazioni anche generale del governatorato, Carlo Maria Viganò, che prima di venire esiliato negli molto ambiziose e azzardate. L’ultima ha Usa denuncerà in una lettera al Papa (finita su tutti i giornali) di essere vittima di avuto per obiettivo la conquista del San un complotto ordito per bloccare la sua opera di pulizia nella struttura cui fanno Raffaele, il polo ospedaliero d’eccellenza capo tutti gli appalti e le forniture dello Stato più piccolo, ricco e potente del mondo creato a Milano dal discusso sacerdote (puntando di fatto l’indice sul primo ministro, Tarcisio Bertone, e sul suo entourage). Luigi Verzé e schiacciato da un miliardo Nel trafiletto si accusava l’arcivescovo di voler appaltare all’esterno il lavoro della e mezzo di euro di debiti. Per salvarlo e sofisticata centrale di sicurezza del Papa. Fin dall’inizio la vicenda si era dunque annetterlo alle proprietà della Santa Seintrecciata con le trame del servizio segreto Vaticano («il migliore e più efficace al mondo», secondo un esperto come il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal), de, Bertone ha compiuto all’inizio della che era peraltro subito entrato in azione: la stessa sera del 5 febbraio una manina scorsa estate una mossa fulminea. Ha era intervenuta sulla rassegna stampa confezionata per il pontefice (come già lanciato un’offerta di 250 milioni di euavvenuto nei giorni del caso-Boffo), facendo sparire l’articolo. Che, solo poche ro, messi a disposizione dall’Istituto per ore dopo, un’altra manina, di sponda opposta alla prima, si era però premurata le Opere di Religione, la banca vaticana, di depositare in fotocopia sullo scrittoio del Papa. e da un industriale di Genova suo amico, Il mezzo chilometro quadrato racchiuso nelle mura vaticane, disseminato di Vittorio Malacalza. E per molti mesi l’ofmicrospie e telecamere, è da sempre il luogo più controllato al mondo (come ha ferta è rimasta l’unica sul campo, senza confermato la montagna di intercettazioni ambientali e telefoniche esibita nel corso contendenti, impegnando il Vaticano a del processo interno cui è stato sottoposto Viganò). E i primi a saperlo sono proprio tenervi fede. i suoi inquilini eccellenti: non è un caso se, quando sono in vena di confidenze, gli Ma in Vaticano, al vertice, il papa non alti prelati trascinano regolarmente gli interlocutori in lunghe passeggiate nei era affatto d’accordo. Il San Raffaele è un giardini (che comunque non sfuggono all’occhiuta vigilanza: nella tessera da esibire ospedale nel quale si praticano e si proall’ingresso in Vaticano c’è un chip in grado di tracciare nel dettaglio ogni visita). gettano biotecnologie contrarie al magiE lo stesso Benedetto XVI comunica con i suoi attraverso un cellulare criptato. stero della Chiesa. Per non dire dell’anL’intelligence, affidata all’ex agente del Sisde Domenico Giani, risponde a Bertone, nessa Università Vita-Salute, nella quale che in questi anni ne ha favorito il potenziamento, ma che deve poi averne perso tengono cattedra dei docenti in plateale il completo controllo. La presenza, nel carteggio diventato di dominio pubblico, contrasto con la visione cattolica, da Rodi un’informativa sulla questione dell’Ici (firmata dal capo dello Ior, Ettore Gotti berta De Monticelli a Vito Mancuso, da Tedeschi, e non in possesso della Cei) aveva infatti accreditato fin da subito Emanuele Severino a Massimo Cacciari, il sospetto che le carte in grado di mettere in difficoltà il primo ministro vaticano venissero dai suoi stessi uffici. Un sospetto che s’è trasformato in certezza da Edoardo Boncinelli a Luica Cavallitra chi ha avuto per le mani i documenti. Sui quali è ben visibile il timbro di ricezione Sforza, tutti già sul piede di guerra per didella segreteria di Stato. Un banale errore? O una trappola nella trappola? fendere la loro libertà d’insegnamento. L’ordine di Benedetto XVI fu quindi da subito: non comprare. Ma era degli Stati con i più alti standard di corcome se parlasse a dei sordi. Bertorettezza e trasparenza nelle operazioni. ne lasciava fare al suo fiduciario, il Lo scorso novembre in Vaticano c’è stamanager ospedaliero Giuseppe ta la visita di sette ispettori di Moneyval, Profiti, vero stratega dell’operaziol’organismo internazionale di controllo ne, che tutto voleva tranne che ridelle misure antiriciclaggio. E l’esame ha nunciare al San Raffaele. Provviimposto modifiche ancor più restrittive denzialmente, a fine anno arrivò alle leggi vaticane, che il cardinale Nicoun’altra offerta, più alta, di 405 mira ha immediatamente introdotto ma che lioni di euro, da parte di un gruppo ancora non sono state rese pubbliche. Tra ospedaliero concorrente, quello di queste c’è la facoltà per l’Aif non solo di Giuseppe Rotelli, e il Vaticano poispezionare ogni operazione di qualsiasi MONSIGNOR VIGANÒ tè ritirarsi dal gioco. ente collegato con la Santa Sede, compreCon quante macerie, però, atsi lo Ior e il governatorato, ma anche di torno a Bertone. Anche alcuni che gli era- no le ragioni del papa. Sul versante am- punire ogni singola violazione con multe no stati vicinissimi non lo seguono più. ministrativo e finanziario, in Vaticano si fino a 2 milioni di euro. Bertone fece di Malacalza è infuriato per quello che con- ridisegnano i poteri. Ed è l’esperto e taci- tutto perché alla testa dell’Aif fosse nomisidera un voltafaccia ai suoi danni. Etto- turno cardinale Attilio Nicora la nuova nato dal papa non Nicora ma un suo fire Gotti Tedeschi, il banchiere che pro- stella, nella sua qualità di presidente del- duciario, uno dei pochissimi che gli sono prio Bertone aveva voluto a capo dello l’Autorità di Informazione Finanziaria rimasti vicini, il professor Giovanni MaIor, dopo l’iniziale disponibilità ha fatto creata in curia un anno fa per consentire ria Flick. Nemmeno questa gli è riuscita. muro contro l’acquisto, sposando in pie- l’ingresso del Vaticano nella “white list” La sua parabola è alla fine. ■
Primo Piano
foraggiare alcuni esponenti chiave del centrodestra e - secondo i giudici - trasformare i terreni agricoli in centri commerciali. Operazioni contestate alla Mediaservice di Filippo Duzioni che avrebbe fatto avere a Ponzoni e ai suoi complici ben 700 mila euro. Adesso però i pm di Monza e le Fiamme Gialle accusano lo stesso Duzioni di aver versato altri 200 mila euro a Franco Nicoli Cristiani e alle associazioni che lo sostenevano per la campagna elettorale del 2010 in cui si impose con oltre 15 mila voti. Non solo. Gli investigatori stanno lavorando su un terzo pagamento di 160 mila euro a favore della Spas, un’azienda di forniture mediche posseduta dal solito Nicoli Cristiani. Il politico bresciano avrebbe spiegato che con quel denaro sono stati comprati materiali ortopedici prodotti dalla sua Spas e poi donati alla Asl di Brescia: un modo apparentemente nobile di fare propaganda elettorale. Ma, contattata da “l’Espresso”, Rachele Nicoli Cristiani, figlia dell’ex vicepresidente lombardo e amministratrice dell’impresa di famiglia, dice che la donazione «non risulta nella contabilità storica». Adesso i magistrati dovranno capire le ragioni di tanta generosità da parte di Duzioni e verificare l’esistenza di eventuali contropartite. Ma già adesso Mister Mediaservice risulta avere versato oltre un milione ai due capi territoriali del Pdl, in gran parte per le elezioni del 2010: un vero investimento, vanificato dall’irruzione delle inchieste. Una montagna di quattrini che sta alimentando le
tensioni politiche nella storica maggioranza lombarda, tanto da spingere Umberto Bossi a chiedere le dimissioni di Formigoni: «Ne arrestano uno al giorno». Il governatore si difende: «La giunta non ha nulla da rimproverarsi. Ponzoni è accusato di qualcosa che non riguarda la sua attività in Regione, ma quella di imprenditore». Ma a preoccupare Formigoni ora sono anche gli sviluppi di altre istruttorie. Quelli attesi sui fondi neri del San Raffaele gestiti dal suo compagno di yacht Piero Daccò. E quelli dell’indagine sui finanziamenti versati a uomini di Comunione e liberazione in stretti rapporti con lui. I conti svizzeri dove sono finite le mazzette di Finmeccanica e quelle dello scandalo petrolifero Oil for Food sono intestati a persone che abitavano con lui nella dimora milanese dei Memores Domini, la cerchia più alta di Cl. “L’Espresso” ha rivelato che la residenza in questione appartiene a Salvatore Ligresti, immobiliarista con grandi interessi in Regione. «Vivo in una casa di Ligresti», ha confermato Formigoni, «come lo sono la maggioranza delle case a Milano, e pago un affitto altissimo senza alcuna agevolazione». ■ LA DIMORA DEI MEMORES DOMINI E FRANCO NICOLI CRISTIANI. IN ALTO: ROBERTO FORMIGONI
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Attualità LA CRISI DEL CENTRODESTRA
C’ERA UNA VOLTA IL PDL Gli scontri interni.
Gli attacchi ad Alfano. Il rebus alleanze al voto di primavera. È resa dei conti nel partito DI MARCO DAMILANO erano una volta Milano e Palermo, casse di risonanza per il verbo forzista, granai inesauribili di voti per il partito berlusconiano, capitali del Nord e del Sud a simboleggiare un potere smisurato che, come quello napoleonico, si estendeva da un capo all’altro della Penisola, dalle Alpi al Mediterraneo. Ed ecco, ora, cosa succede in questo gelido inverno del Cavaliere. A Milano, al termine della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, i notabili cittadini assistono allibiti a una scena che ha dell’incredibile. Il governatore Roberto Formigoni, il Celeste, capo indiscusso del Pdl lombardo e ciellino
C’
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doc, prova a farsi accompagnare all’uscita, davanti alle telecamere, dall’arcivescovo della città, il cardinale Angelo Scola, suo amico da sempre, nato a Lecco come lui e tra i fondatori di Comunione e liberazione. Ma don Scola, come lo chiamano ancora nel movimento fondato da don Giussani, abile come un politico di razza, non ha nessuna intenzione di farsi riprendere in compagnia di Formigoni, in disgrazia per i continui scandali nel consiglio regionale lombardo. E con uno scatto da giaguaro si smarca dall’abbraccio, cambia direzione lasciando il governatore in solitudine. Mille chilometri più a Sud, nella Palermo governata da più di un decennio dai berluscones nelle loro varie reincarnazioni (Forza Italia prima, Pdl poi), si tiene un
vertice politico davvero bizzarro: quello tra Gianfranco Miccichè, possibile candidato sindaco per Palazzo delle Aquile, e un partito suo potenziale alleato. Solo che Miccichè, tra i forzisti della primissima ora, artefice dello storico cappotto
contro la sinistra nel 2001 (quando il centrodestra in Sicilia conquistò 61 collegi a zero), non è più il leader del Pdl, è uscito dal partito e si è messo in proprio con Grande Sud. E di fronte a lui, a rappresentare il Pdl, si siedono cinque coor-
dinatori provinciali, con cinque linee e cinque idee diverse. Conclusione della riunione: Miccichè si candiderà a sindaco probabilmente da solo. E il Pdl, nella roccaforte palermitana in cui vivono il segretario Angelino Alfano e il presidente del Senato Renato Schifani, rischia di non arrivare neppure al ballottaggio. «Non esistono più», commenta Miccichè. «Mi toccherà sostituirli». Le elezioni amministrative per i berlusconiani sono una débâcle annunciata. All’improvviso nessuno vuole più allearsi con il partito azzurro. A Como e a Monza la Lega mollerà i berlusconiani e correrà da sola, per non parlare di Verona, dove il sindaco leghista uscente Flavio Tosi andando alle urne con una sua lista civica potrebbe polverizzare i voti del Pdl. Ma
SILVIO BERLUSCONI CON ANGELINO ALFANO. A SINISTRA: OSCAR LUIGI SCALFARO; GIORGIO NAPOLITANO
anche nelle regioni del Sud, per esempio a Lecce, Brindisi e Taranto, l’isolamento dei berlusconiani è totale, ovunque il Terzo polo di Pier Ferdinando Casini rifiuta di allearsi con un partito dato per spacciato. Nel quartier generale di via dell’Umiltà nessuno può giurare davvero che il Cavaliere parteciperà alla campagna elettorale. E le amministrative della primavera 2012 potrebbero trasformarsi in quello che fu il voto nelle grandi città nel 1993 per la Dc di Mino Martinazzoli: il rompete le righe, lo scioglimento del partito. Quel che resta del Pdl lo si è visto nell’ultimo fine settimana. Quando dal primo 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 41
Attualità Michele Ainis
IL CONGRESSO DEL PDL. SOTTO: IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO MARIO MONTI
casa, quanto al futuro dell’Italia, beh, sarà per un’altra volta. «Per forza», spiega un deputato del Pdl: «Non sarebbe stata una manifestazione del Pdl a difesa di Berlusconi, ma di Denis Verdini contro Alfano». La piazza pro-Silvio si sarebbe rapidamente tramutata in un girotondo degli ultras berlusconiani, chiamato a urlare il suo dissenso contro il segretario del Pdl, troppo remissivo con il governo Monti. Magari ricopiando il grido di Nanni Mo-
DIETRO GLI ATTACCHI ALLA FIGURA DI SCALFARO SI INTRAVEDONO I MALUMORI PER IL RUOLO GIOCATO DA NAPOLITANO 42 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
PERCHÉ QUELLA LONTANA PRESIDENZA, dalla quale ci divide ormai un ventennio, continua a suscitare odi e passioni? Il giudizio su Scalfaro lo emanerà la storia. Ma l’ombra del suo settennato al Quirinale (1992-1999) s’allunga fino ai nostri giorni: almeno in questo caso il futuro dipende dal passato. Sta di fatto che lui fu il primo presidente della Repubblica a veder crollare una Repubblica; Napolitano potrebbe essere il secondo. Insomma la sua esperienza è senza precedenti, ma può ben costituire un precedente. Anzi: magari si sta ripetendo proprio adesso, sia pure in altre fogge. Da qui gli opposti esorcismi. Eppure Scalfaro era salito al Colle per ripristinarvi la normalità costituzionale, dopo il biennio di fuoco dell’ultimo Cossiga. All’inizio degli anni Novanta ne aveva criticato le troppe esternazioni, giacché «il colloquio diretto del capo dello Stato con il popolo finirebbe per passare sopra il Parlamento»; e infatti tutto il suo messaggio d’insediamento fu un inno alla centralità parlamentare. Successe tuttavia l’opposto. Come osserva Mario Fiorillo (“Il capo dello Stato”, Laterza 2002), un uomo che all’esordio inalberava una concezione minimale del suo ruolo si è poi trasformato, in pochi mesi, nel presidente con il più alto tasso d’interventismo nell’esperienza repubblicana.
Ma a forgiare le presidenze sono le stagioni, gli accidenti della storia. E Scalfaro si è trovato suo malgrado a navigare in mare aperto, fra i vortici d’una crisi di sistema, in quel tempo di passaggio dove non valgono più le vecchie regole, mentre le nuove non sono ancora scritte. Sicché ha incarnato i panni del “reggitore dello Stato”, offrendo un corpo fisico alla teoria costituzionale di Esposito e di Schmitt: quando gli altri poteri s’avvitano in una spirale senza uscite, è al presidente che tocca riaccendere il motore. In quella spirale, c’era allora un Parlamento infilzato dalle inchieste giudiziarie (205 deputati su 630), una nuova legge elettorale che sancì l’avvento del maggioritario (dopo il referendum Segni del 18 aprile 1993), il funerale di tutti i vecchi partiti (Dc, Pci, Psi, Msi, Pri, Pli, Psdi). Così Scalfaro sciolse due volte le assemblee legislative durante il suo mandato. In un caso (gennaio 1994), a dispetto della stessa maggioranza parlamentare, configurando così lo scioglimento come potere autonomo del capo dello Stato. Dei sei governi che nominò strada facendo, la metà (Amato nel 1992; Ciampi nel 1993; Dini nel 1995) furono governi del presidente, posti sotto la sua tutela, per usare un’espressione dello stesso Amato. Nel marzo 1993 rispedì al mittente il decreto Conso sul
finanziamento illecito ai partiti, affermando le proprie competenze sulle competenze normative del governo; un precedente poi emulato da Napolitano, quando rifiutò la controfirma (febbraio 2009) al decreto legge per Eluana. Insomma Scalfaro ha fatto da apripista, da pesce pilota. Probabilmente portando allo scoperto una vocazione presidenzialista già iscritta nella Carta del 1947, come diceva Paolo Barile. Dopo di lui i suoi successori hanno profittato di quest’abito più largo, svestendo la livrea da maggiordomo cucita addosso al presidente dalla prima Repubblica. E oggi a palazzo Chigi c’è un altro governo tecnico, mentre là fuori divampa la crisi dei partiti, ormai al 4 per cento di fiducia popolare. Magari in questo caso Napolitano avrà atteso gli eventi, invece Scalfaro li ha condizionati. Ma la domanda, ieri come oggi, è sempre una: quali regole nel tempo della crisi? Scalfaro adottò le regole della prima Repubblica per allevare la seconda. Ribadì il primato delle assemblee rappresentative, contro l’investitura diretta del governo sancita dalle nuove leggi elettorali. Applicò la Costituzione scritta a scapito della nuova Costituzione materiale, benché lui stesso in quei frangenti contribuisse a plasmare la seconda. Da qui un perenne elemento di frizione, da qui la ferita ancora aperta nel centrodestra, quando nel gennaio 1995 il governo Dini tradusse in un voto di fiducia il “ribaltone”. Può darsi che un altro ribaltone ci aspetti dietro l’angolo. E allora saranno le regole della seconda Repubblica a generare la terza Repubblica prossima ventura. In Italia il vecchio afferra sempre alle caviglie il nuovo. michele.ainis@uniroma3.it
difende i suoi... «Macchè, Angelino lavora diciotto ore al giorno», lo difende Napoli. «Il problema è che sosteniamo Monti, ma diamo l’impressione di masticare amaro ogni volta che il governo fa qualcosa. Di questo passo la nostra gente non saprà più cos’è, questo Pdl». A confermarlo c’è lo Spazio Azzurro, lo sfogatoio on line dei militanti. «Tredici milioni di italiani hanno votato per il Pdl per impedire di essere governati dalla sinistra e si ritrovano con un governo voluto da un comunista. Fine del Pdl», scrive Pasquale Relvini. «Datemi un solo motivo per con-
tinuare a votare Pdl», strepita Zanvit. E Fabiana: «Il Pdl sta implodendo, se alle amministrative ci sarà la catastrofe ci sarà bisogno di un partito vero». Il paradosso è che a pensarla così è lo stesso Alfano. Nel Pdl cominciano a sospettare che tanta arrendevolezza nasconda una strategia. Troppo intelligente, il giovane Angelino, per pensare di poter guidare un Pdl così ridotto da qualche parte. Meglio, forse, lasciarlo andare a sbattere contro uno scoglio. E poi darsi da fare per costruire un nuovo partito di centro con Pier Ferdinando Casi-
ni. Un auto-affondamento, per chiudere con la stagione berlusconiana e salvare il suo futuro politico. Con il pericolo, però, di far fare alla nave Pdl la fine della Concordia e di restare nella memoria come il capitano Schettino del centrodestra. Berlusconi, lui, la nave l’ha già abbandonata da tempo. «Ci sentiamo una volta a settimana e non parliamo mai di politica», racconta Miccichè: «Silvio è contento di non aver distrutto il partito da lui fondato con la sua uscita da Palazzo Chigi, ma ora a salvarlo tocca agli altri. Se ne sono capaci». ■
La versione di Oscar
retti, indirizzato esattamente dieci anni fa in piazza Navona contro i capi del centrosinistra: «Con questi dirigenti non vinceremo mai (più)». «Un qualche scollamento lo vedo anch’io», ammette il vicecapogrupo alla Camera Osvaldo Napoli. Un eufemismo per dire che tra Alfano e il coordinatore organizzativo siamo alla resa dei conti. Con il duro Verdini deciso a far valere il suo potere nel partito cavalcando il malcontento della base che non approva l’appoggio a Monti e che reclama la fine del governo. E Alfano? Da che parte sta il buon Angelino? Sul segretario del Pdl si raccolgono nel suo partito commenti acidi e racconti terribili. Come quello sulla lite furibonda con Mario Pepe, capo dei peones della Camera, davanti alla buvette di Montecitorio. «Non sei andato a votare in giunta per dire no all’uso delle intercettazioni a carico di Saverio Romano. Non ti permettere mai più», l’affronta gelido Alfano. «Non ti permettere tu, torna a fare il segretario di Berlusconi!», replica il piccolo Pepe di fronte a un esterrefatto Fabrizio Cicchitto. Alfano non mette mai piede nella sede del partito di via dell’Umiltà, malignano gli uomini di Verdini. «Uno per cui la politica è fare un bel discorso e via», accusano. «Uno che pensa solo a se stesso. Uno sfaticato». E perfino tra i fedelissimi c’è chi si lamenta: Alfano è troppo distaccato, non trova il tempo di parlare con nessuno, non lavora a costruirsi una rete, non
Foto pagina 40-41: D. Scudieri - Imagoeconomica, M. Chianura - Agf, A. Benedetti - Corbis. Foto pagina 42-43: S. De Grandis - Prospekt, M. Chianura - Agf
partito italiano (almeno per ora) sono arrivati attacchi alzo zero contro la memoria dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, scomparso poche ore prima. Il silenzio di Silvio Berlusconi. L’assenza dei suoi uomini ai funerali. L’uscita dall’aula nei consigli comunali di Roma e di Bologna dei rappresentanti del Pdl al momento delle commemorazioni ufficiali. E i titoli del “Giornale” contro Scalfaro, considerato «il peggior presidente», «un moralista spregiudicato». Una sollevazione contro un ex capo dello Stato, fuori dalla politica attiva da molto tempo e per di più defunto, così plateale da apparire sospetta: da far immaginare che più che del passato si volesse parlare del presente. Si scrive Scalfaro, ma si pensa a Giorgio Napolitano. I due presidenti accomunati dall’aver convinto Berlusconi a sloggiare da Palazzo Chigi, sia pure con metodi diversi di persuasione e in una situazione politica e internazionale profondamente mutata. Ma attaccare il presidente in carica, Re Giorgio, non si può, Arcore non vuole. Meglio prendersela con Scalfaro che non può più difendersi, e pazienza se lo stile non è esattamente modello Westminster. Né il coraggio. Il fattore Quirinale spacca il partito, diviso tra resistenza e resa all’esperimento Monti. Come si è visto in occasione della manifestazione convocata per sabato 4 febbraio per l’esultanza del “Giornale”: «In piazza per Silvio. Il Pdl pronto a portare 20 mila persone all’esterno del tribunale di Milano», chiama alle armi il quotidiano di Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti il 31 gennaio. «Lì si deciderà il futuro dell’Italia», spiega l’editoriale in prima. E invece, in poche ore, da Roma arriva il contrordine: la marcia su Milano non si farà, il popolo di Silvio può restare a
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Attualità IL DISASTRO DEL GIGLIO
E LA NAVE restò sola Svuotare. Spostare. Rottamare. Non inquinare. Il futuro della Concordia è un rebus. Da 200 milioni di euro DI MAURIZIO MAGGI otrebbe costare anche 200 milioni di euro, ci vorrà almeno un anno di tempo dall’inizio dei lavori e saranno impegnati senza sosta oltre 200 specialisti soltanto nelle squadre di demolitori/recuperatori, senza contare cioè gli addetti ai pontoni, ai rimorchiatori e i guardiacosta. Liberare l’isola del Giglio dalla megacarcassa della Concordia incagliata sulle rocce dal 13 gennaio sarà un’impresa complicata e onerosa. Sul tappeto ci sono tre ipotesi: tappare le falle e rimorchiarla; tappare le falle, asportare alcuni ponti superiori e rimorchiarla; farla a pezzi sul posto. «Il primo scenario è il più allettante ma anche il più difficile da realizzarsi, visto che c’è poca acqua sotto la nave e ciò rende problematico poter applicare eventuali cassoni di spinta. Il terzo scenario è sicuramente il più devastante; segarla sul posto, con le catene o con le fiamme ossidriche, e il più pericoloso per l’ambiente, perché potrebbe finire in mare di tutto», sostiene Vincenzo Ruggiero, ex ufficiale della Marina, già docente di ingegneria navale a Genova, dov’è titolare di uno studio navale, e consulente per il ministero dell’Ambiente e della Protezione civile nei principali casi di recupero relitti della storia recente, dal naufragio della Seagull nel canale di Sicilia (1974) all’asportazione delle ultime 100 tonnellate di gasolio ancora imprigionate nella petroliera Haven nel golfo di Genova (tre anni fa). «Solo per rimuovere quel carburante ci vollero 5 milioni di euro: nella Concordia il gasolio è 25 volte tanto, e questo già fa capire a che tipo di spesa andiamo incontro», aggiunge il super-esperto. Ruggiero è convinto che l’opzione inter-
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Rimborso record
media sarebbe la più semplice: «Dopo aver tamponato le falle, si tagliano e si asportano 6-7 dei 18 ponti della nave, quelli più facili da raggiungere, si riporta l’imbarcazione in posizione di galleggiamento e la si porta via». Ma chi sceglierà il sistema per rimuovere la nave? La Costa sta predisponendo il capitolato per la ciclopica opera e le poche società specializzate al mondo affilano le armi: sarà la vincitrice della gara a fare la proposta, che dovrà poi essere accettata dal comitato tecnico-scientifico creato dalla Protezione civile per monitorare passo passo la vicenda. In prima fila c’è l’olandese Smit Salvage. Rappresentata in Italia dalla Cambiaso Risso di Genova, la Smit già si è occupata, insieme alla Neri di Livorno, di mettere in sicurezza la Concordia e, in 28 giorni lavorativi continuativi (condizioni meteo permettendo) dovrà svuotare i serbatoi di gasolio della nave da crociera. Dice papale-papale il capo delle operazioni Smit, Max Iguera: «È il più grosso caso di recupero della storia: chi sarà incaricato
avrà un’enorme visibilità. Se ce la farà, entrerà nella leggenda. Se le cose dovessero non filare per il giusto verso, si brucerà». Negli uffici della Titan di Jacksonville, in Florida, così come in quelli di Copenaghen della Svitzer (che appartiene al colosso danese Maersk) e dell’altra americana Resolve Marine di Fort Lauderdale, sempre in Florida, frotte di ingegneri fanno notte sfornando calcoli e simulazioni per prepararsi alla tenzone. Un drappello di uomini della Titan è arrivato in avanscoperta sui moli del Giglio a pochi giorni dal naufragio. Su richiesta del capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, che è anche il commissario per l’emergenza Concordia, il costruttore della nave, la Fincantieri, e il Rina, il registro navale, hanno dichiarato che l’imbarcazione, sdraiata sul lato sinistro, è da considerarsi stabile se non intervengono eventi meteo straordinari. Quindi, incrociando le dita, il dibattito si va concentrando sulle modalità di rimozione dell’ex condominio navigante. Anche se è impossibile azzardare cifre precise
Foto: C. Folgoso - M. Sestini, B. Lewin - Redux / Contrasto, P. Cito - Ap / LaPresse
Il naufragio della Costa Concordia darà vita al più grande rimborso da parte delle assicurazioni in campo marittimo. La nave, che l’americana Carnival (proprietaria della Costa) ha a bilancio per 490 milioni di dollari, è stata assicurata per 510 milioni (circa 400 milioni di euro) per la parte “scafo e macchinari”. A sganciare l’enorme somma - visto che la nave finirà verosimilmente rottamata - sarà un centinaio di compagnie di assicurazione e riassicurazione. Tra cui Generali, che ha definito “limitato” il proprio impegno. Più precisa Hannover Re, che prevede oltre 10 milioni di dollari di perdita. Un’altra partita la giocherà il club P&I, la mutua assicurazione partecipata dagli stessi armatori che copre i danni a passeggeri e ambiente. Fioccheranno i contenziosi dei clienti e molto dipenderà dai danni all’ambiente: la copertura P&I contro l’inquinamento è di un miliardo.
sull’impegno economico necessario, le stime degli addetti ai lavori ballano tra i 100 e i 200 milioni, con la sensazione che si andrà a finire nella parte più alta della forchetta. Se la Costa stabilirà che la Concordia, una volta messa nelle condizioni di essere rimorchiata, dovrà comunque essere destinata alla rottamazione, che ne sarà della ex regina dei mari? «Sarà probabilmente trasportata sulle spiagge di Vietnam, Bangladesh o India. Non esistono cantieri demolitori per navi di queste dimensioni, in Italia», dice ancora Ruggieri. Nell’indiana Alang Bay, vero e proprio cimitero per relitti navali, e in molte altre zone del Far Est che si sono “specializzate” nel business le norme di sicurezza e igiene sono naturalmente assai più lasche di quelle europee. Pure per Paola Gualeni, docente di Statica della nave dell’Università di Genova, andrebbe evitata la demolizione sul posto. In ogni caso, ritiene che l’operazione richiederà un impegno ingegneristico di altissimo livello. «Ora il peso della nave non è sostenuto solo dalla cosiddetta
“spinta di Archimede” ma anche dalla reazione di incaglio. Dopo averla liberata dal gasolio e dopo aver rattoppato le falle, andrà sollevata per far sì che riprenda a galleggiare. Con i palloni o con le gru, o saldando dei cassoni al lato che è fuori dall’acqua. Sarà comunque una sfida complicata, perché le sue condizioni di equilibrio si modificheranno continuamente. Le tecnologie per portarla a ter-
mine ci sono, pensi alle gru impegnate nelle piattaforme offshore e capaci di sollevare migliaia di tonnellate, ma tutto va calcolato con la massima precisione». E senza quindi farsi forzare dalle naturali pressioni degli abitanti dell’isola, ovviamente per nulla felici di convivere per almeno dodici mesi con la Concordia sdraiata sotto costa. Ammesso che la lunga opera di pompaggio delle 2.300 tonnellate di gasolio fili per il verso giusto, intanto, ci si continua a preoccupare per le altre sostanze ancora a bordo, molte delle quali sicuramente inquinanti. «Come la tonnellata di candeggina, che a contatto con l’acqua di mare forma i tramoletani, sostanze che in alcuni casi possono rivelarsi cancerogene anche per l’uomo, mentre i 600 chili di grassi per la manutenzione dei motori, depositandosi sul fondo, causerebbero una carenza d’ossigeno per i pesci», sottolinea Vittoria Polidori, responsabile della campagna Toxics dell’associazione ambientalista Greenpaeace. Sulla Concordia c’erano anche 50 litri di insetticidi e molti detergenti concentrati, che a contatto con l’acqua possono divenire assai dannosi. Senza dimenticare i rifiuti hi-tech: computer, cellulari, modem, stampanti. «Tutta roba ricca di pvc e ritardanti di fiamma a base di bromo, capaci di effetti altamente nocivi per la tiroide e il sistema nervoso dell’uomo». Un motivo in più per sperare che la Concordia non venga sbriciolata davanti al Giglio, con l’inevitabile spargimento di veleni nelle azzurre acque della perla (a rischio) del Tirreno. ha collaborato Stefano Vergine
LA CONFERENZA STAMPA DI DUE DIRIGENTI DELLA SMIT SALVAGE SUL RECUPERO DEL CARBURANTE DELLA COSTA CONCORDIA. A DESTRA: VINCENZO RUGGIERO. SOPRA, DA SINISTRA: IL RIENTRO IN PORTO DI ALCUNI TECNICI; LO SMALTIMENTO DI UNA NAVE IN BANGLADESH
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Attualità POLITICA E SANITÀ
VIETATO TOCCARE il governatore
Rifiutò di firmare una diagnosi di grave patologia per Lombardo, allora nel mirino dei giudici. Ora il medico rischia il licenziamento DI RICCARDO BOCCA
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controlla con cent’occhi quella cartella clinica. Ed ecco, pure, la sorpresa contro cui dice di avere sbattuto: «Nel fascicolo, il collega di reparto aveva certificato che il governatore era affetto da aneurisma all’aorta ascendente». Patologia grave, spiega Lomeo, «a volte fonte di danni che uccidono». Ma in quel momento, il problema più imbarazzante è un altro: «Dai controlli documentali, ho visto che l’aorta del governatore era in condizioni normali, senza tracce di aneurisma». E se non bastasse, «dalla cartella di Lombardo mancava un ecocardiogramma al quale il collega sosteneva di averlo sottoposto, e che invece avrei più avanti scoperto risalire al 23 gennaio 2010». Questo, dice Lomeo, è il motivo per cui s’è deciso a tenere quasi due mesi quei documenti dentro un cassetto: «Non serviva un genio a intuire che, con quella diagnosi, Lombardo avrebbe eventualmente potuto evitare il carcere». Più complesso, invece, era scegliere cosa fare: «Se turarsi il naso e firmare la scheda di dimissione», o alzare la testa e segnalare i suoi dubbi. «Potendo», dichiara Lomeo, che non vuole atteggiarsi a eroe, «avrei subito strappato quelle carte. Ma non sarebbe servito, perché il reparto le aveva trasmesse ai vertici dell’ospedale». Così, alla fine, il primario prende carta e penna, e scrive il 13 luglio 2010 ai vertici del nosocomio. «Dica se non sono stato chiaro...», sorride nervoso mentre estrae quel foglio da una borsa di documenti. E in effetti è inequivocabile, e grave, il messaggio rivolto ai suoi superiori: «Avendo esaminato con at-
tenzione gli esami eseguiti», inizia, «non ho rinvenuto l’esame ecocardio del quale si fa menzione in cartella» e «ritengo che la diagnosi di aneurisma dell’aorta non corrisponda alle effettive condizioni del paziente». Dopodiché Lomeo precisa di avere «ritenuto giusto informare le Signorie Vostre con discrezione, perché possiate prendere i provvedimenti che ritenete opportuni». Ma le comunicazioni non finiscono qui: Lomeo, in parallelo, informa i magistrati di Catania, riassumendo il caso e dichiarandosi disponibile per chiarimenti. «Sapevo», dice il primario, «che avrei scatenato un terremoto di polemiche. Ma non avevo previsto la violenza con cui mi avrebbe colpito». Una bufera, oggi al centro di indagini, che parte dal reparto di Chirurgia vascolare del Cannizzaro, sette medici e una ventina di letti, e tocca la cima della politica regionale. Anche perché Lomeo, a Catania, non è un primario di secondo piano. In curriculum vanta un periodo di attività al famoso Texas heart institute of Houston e una carriera in patria che lo ha portato a diventare coordinatore siciliano dei chirurghi vascolari. «Naturale», commentano gli infermieri del Cannizzaro, «che la sua ribellione abbia fatto scalpore». Infatti le reazioni scattano immediate: «Il 28 luglio 2010», dice Lomeo, «mi ha scritto il direttore generale Francesco Poli: non per lodare il mio scrupolo, bensì per attaccarmi ad alzo zero».
In sintesi, Poli nega esistano anomalie nella pratica Lombardo: «Esaminata la cartella», garantisce, «il ricovero risulta conforme alle procedure, e contenente la documentazione sanitaria riferita». Di più: secondo Poli, la segnalazione di Lomeo è «speciosa, vacua e inutile». E allargando il discorso al comportamento del primario, il direttore lo cataloga «non confacente con il rapporto fiduciario tra l’azienda e un direttore di unità operativa». Al punto che gli annuncia «formale diffida da inserire nel fascicolo personale». Ora, per inquadrare al meglio i caratteri in campo, va detto che Lomeo da ragazzo è stato un campione di sci nautico e rugby. Dunque ha familiarità con tensione e scontri. Eppure «il pasticciaccio Lombardo mi ha levato il sonno», dice, «perché è stato il punto più caldo della mia lotta contro la decadenza del Cannizzaro». Anni pesanti che documenta con abbondanza di carte:
Foto: F. Cavassi - Agf, O. Scardino, A. Parrinello
l documento che ha stravolto la vita di Alberto Lomeo, 61 anni, primario di chirurgia vascolare all’ospedale Cannizzaro di Catania, arriva sul suo tavolo la mattina del 20 maggio 2010. È quello che i medici chiamano “sdo”, la scheda ospedaliera di dimissione dei pazienti. Un atto di assoluta delicatezza che viene prima compilato dal medico di reparto, e poi controfirmato dal suo superiore. «In quell’occasione», ricorda Lomeo, «l’attenzione era moltiplicata per mille». La scheda del paziente, infatti, non appartiene a un cittadino qualunque, bensì al governatore della Sicilia Raffaele Lombardo: «Si riferiva, per la precisione, a un ricovero in day hospital datato 17 maggio 2010, di cui peraltro nessuno in ospedale mi aveva informato». Strano, fa notare, data l’importanza del personaggio politico. «E altrettanto curiosa», aggiunge, «è la coincidenza con le notizie sul governatore che circolavano in quel periodo». Il dottor Lomeo, che per la prima volta ripercorre qui i dettagli della sua tormentata vicenda, si riferisce allo scoop pubblicato cinque giorni prima del ricovero del governatore: “Mafia, chiesto l’arresto di Lombardo”, titola il 12 maggio 2010 “la Repubblica”. A seguire, un articolo riferisce che i magistrati ipotizzano legami tra il numero uno della Regione e Cosa nostra. «Si teorizzava il concorso esterno in associazione mafiosa», dice Lomeo. «E anche se il procuratore capo catanese, Vincenzo D’Agata, ha subito smentito la prospettiva delle manette, girava voce che Lombardo potesse finire in cella». Ecco, dunque, la ragione per cui Lomeo
L’OSPEDALE CANNIZZARO. A SINISTRA: RAFFAELE LOMBARDO. SOTTO: IL PRIMARIO ALBERTO LOMEO, CHE RACCONTA LA SUA VICENDA IN UN VIDEO NEL SITO
cronache che vanno dalla carenza di personale alle condizioni critiche dei ferri chirurgici. «Ogni giorno il reparto s’indeboliva», dice il primario, «e intanto Poli diventava un punto di riferimento del governatore». Per questo la moglie di Lomeo, quando vede il marito contrastare Poli, e in parallelo Lombardo, si agita. «Una sera», ricorda il primario, «ha scandito queste parole: “Così ti farai sparare...”». Che non per forza, precisa lui stesso, significa ricevere pallottole in corpo, ma «entrare nel mirino di poteri che ti eliminano dal gioco». Una regola che il primario ben conosce, ma sceglie di ignorare: «Sull’aorta di Lombardo so di avere ragione», dice. Sia per i
controlli svolti di persona, sia per due esami ai quali si è sottoposto: «L’ecocardiogramma sopra citato del 23 gennaio 2010, quattro mesi prima del famoso day hospital, mostrava che l’aorta era a posto». E altrettanto tranquillizzante è una Tac del primo agosto 2011, allorché i medici riscontrano «una modesta ectasia (cioè dilatazione)», non paragonabile per gravità all’aneurisma. Da qui, parte quella che il primario definisce «una crociata morale». Ma anche un incubo che esplode il 17 ottobre 2011, quando Poli informa Lomeo che è partito l’iter del suo licenziamento: «Nove pagine», dice il primario, «dove mi accusava sia di “reiterata violazione di canoni deontologici, disciplinari e amministrativi”, sia di “inosservanza dei doveri di lealtà e buona fede”». Parole che lo offendono, a caldo: «Ma come, mi sono detto: io che ho svolto 3.500 interventi di chirurgia cardiaca e altri 2.500 di chirurgia vascolare, devo subire un simile trattamento?». No, si risponde Lomeo. E il 4 novembre 2011 presenta una vera denuncia - non più una semplice segnalazione - alla Procura di Catania, ripercorrendo «l’ultimo anno al Cannizzaro, compresa la questione Lombardo». È scontato, dicono i colleghi di Lomeo, che questa sfida finisca male. «L’indagine promossa da Massimo Russo, assessore alla Sanità della giunta Lombardo, ha stabilito che la diagnosi di aneurisma del governatore è perfetta». E ora sta arrivando la sentenza di tre garanti, ai quali il Cannizzaro ha chiesto di stabilire se il primario debba essere licenziato. «L’errore», sostiene lui, «è stato smettere di lavorare all’estero e tornare in Sicilia». Adesso, scuote la testa, «è tardi per recriminare». ■
L’ospedale: un danno grave Nella polemica che ha per protagonisti Alberto Lomeo e i vertici dell’ospedale Cannizzaro di Catania, il direttore generale Francesco Poli ha sempre contrapposto al primario di Chirurgia vascolare una fermezza totale. Nell’avvio del procedimento per licenziare Lomeo, per esempio, lo accusa di avere sollevato «problematiche rivelatesi inesistenti», e di avere causato all’azienda con il caso Lombardo «un grave nocumento all’immagine». Danno evitabile, a detta di Poli, visto che «gli esiti dell’indagine interna» hanno certificato «l’infondatezza» della questione. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 47
Attualità CALCIO E AFFARI / UN LIBRO INCHIESTA
CASA AGNELLI in contropiede
DI GIANFRANCESCO TURANO È in libreria “Fuorigioco” di Gianfrancesco Turano, che racconta il potere in Italia attraverso dieci ritratti di presidenti di club di serie A. Ecco un estratto del capitolo su Andrea Agnelli, dalla primavera 2010 numero uno della Juventus. La squadra bianconera è campione d’inverno 2011-2012 dopo una serie di stagioni deludenti e forti perdite finanziarie. 48 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
a Juventus è una storia di famiglia. Nessuna squadra in serie A e nessun club di primo piano al mondo hanno un legame così antico con la proprietà. Gli Agnelli sono i padroni della società bianconera dal 1923. Circa novant’anni e parecchi scudetti dopo, alla guida della Juve c’è ancora un Agnelli, Andrea, unico maschio della sua generazione a portare il cognome del capostipite. Il trentaseienne presidente dello
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Juventus Football Club è un rappresentante del ramo cadetto della famiglia. Questa situazione ha una conseguenza sostanziale sulla gestione del club: per finanziare la Juventus - com’è accaduto con l’aumento di capitale da 120 milioni di euro deciso a giugno del 2011, dopo quattro anni di disastri sportivi e finanziari - Andrea Agnelli deve avere l’autorizzazione del cugino John, detto “Jaki”, più giovane di quattro mesi. E magari anche quella di Lapo, tifoso ap-
Foto: F. Monteforte - AFP / Getty Images, F. Alfero - Sync / AGF
Andrea gestisce la Juve sotto l’ala protettrice del cugino Jaki, maggiore azionista. Perché lo scudetto è vitale per la famiglia
passionato. La Juventus dunque non è dente della Fiat in sostituzione di Luca solo una storia di famiglia, ma è la sto- Cordero di Montezemolo. L’importanria di un rapporto dialettico, spesso di za dell’incarico nella fase di integraziocontrapposizione, fra due gruppi. Da ne con il gruppo Chrysler, le tensioni una parte l’Avvocato e adesso i suoi ni- sindacali in fabbrica con i referendum poti. Dall’altra il Dottore, Umberto, e sul contratto a Pomigliano d’Arco e a adesso i suoi figli. Mirafiori, infine la lunga lite sull’erediGuidare la Juve con successo è consi- tà del nonno che ha contrapposto la maderata la premessa per guidare il grup- dre Margherita a due colonne portanti po Fiat con successo. Anche perché la del gruppo come Gianluigi Gabetti e Fiat è stata per decenni l’azionista di- Franzo Grande Stevens, hanno dissuaretto della squadra, prima di passare il so il giovane Elkann da un impegno dicontrollo alle finanziarie Ifi-Ifil, spari- retto nel club di calcio. te nel 2009 per essere incorporate da Nel maggio del 2010 si è insediato AnExor, attuale proprietaria dei bianco- drea, amatissimo dai tifosi perché neri con il 60 per cento e della Fiat con Agnelli di fatto e di nome, ma soprattutil 30 per cento. to per il suo legame esibito con l’epoca Nei vari riassetti del potere familiare in cui i bianconeri vincevano in campo e guidare la Juve è rimasto il rito di pas- i dirigenti distribuivano agli arbitri saggio per eccellenza, che solo per l’ul- schede sim svizzere e slovene per evitare tima generazione è stato affiancato da che i colloqui più imbarazzanti fossero un periodo alla catena di montaggio intercettati. sotto anonimato in mezzo agli operai La nomina di Andrea, per una volta, italiani o polacchi. È un classico: il non ha comportato una separazione coprincipe gentile si traveste da plebeo sì netta fra i due rami del potere familiaper conoscere e alleviare le sofferenze re nella Juve. I due cugini, Andrea e Jadel suo popolo. La Juve no, non c’entra ki, hanno moltiplicato le visite pastoracon la gentilezza. Alla Juve bisogna vin- li congiunte al centro sportivo di Vicere e basta, vincere comunque. O il popolo si inquieta. ANDREA AGNELLI. IN ALTO A SINISTRA: UNA FASE Gli equilibri di potere attuali DI GIOCO TRA JUVENTUS E ROMA sono la conseguenza del trauma del 2006 quando, al termine del processo sportivo di Calciopoli, la Juventus è finita per la prima volta in serie B per illecito sportivo a causa delle operazioni dietro le quinte di Giraudo, amministratore delegato e azionista del club con il 3,6 per cento, e di Luciano Moggi, direttore generale. Dopo il ritorno in serie A, alla fine del 2009 i risultati sportivi sono stati giudicati insoddisfacenti. Il gruppo dell’Avvocato ha dovuto fare un passo indietro. Cobolli Gigli è stato ringraziato ed esonerato. Blanc lo ha seguito qualche tempo dopo con l’accusa di «incapacità» da parte di Andrea Agnelli. Prima che il figlio di Umberto venisse eletto alla guida del club, per un periodo si è parlato di John Elkann alla presidenza. Ma Jaki è diventato presi-
Rebus Libia Nel marzo del 2011, durante la sua visita con Jaki Elkann al salone dell’automobile di Ginevra, Sergio Marchionne ha smentito che la famiglia Gheddafi o fondi di investimento libici, in particolare la Libyan Investment Authority (Lia) creata nel 2006, siano ancora azionisti del gruppo Fiat. Ma i veicoli degli investimenti somigliano alle vie del Signore e, come Marchionne può insegnare, sono infiniti. È possibile che il clan nordafricano abbia soltanto frazionato la sua quota al di sotto del minimo del 2 per cento con obbligo di segnalazione. Sulla fedeltà della Lafico alla Juve, invece, non ci sono dubbi. La partecipazione è rimasta ben visibile anche dopo la fine della guerra civile. L’ingresso nel club di calcio è arrivato a ridosso del secondo acquisto di azioni Fiat, nel febbraio del 2002, e a spingere fu l’ingegner Sa’adi Gheddafi, uno dei figli di Muhammar e ospite a Tripoli della Supercoppa italiana Juventus-Parma proprio nel 2002, con foto ricordo dopo il match abbracciato a Giraudo e ai bianconeri vincitori. Sa’adi aveva il sogno di giocare in serie A per coronare una carriera folgorante nel campionato libico, dove i difensori svenivano di fronte ai suoi dribbling e i portieri si inchinavano al sinistro letale di colui che, fra i vari incarichi, era capitano della Nazionale e presidente della locale Federcalcio. Il suo sogno Italia è diventato realtà e Sa’adi ha fatto la sua trafila nei club di serie A amici del sistema Triade. Come azionista nella Triestina e come centrocampista offensivo nel Perugia di Luciano Gaucci e nell’Udinese di Gianpaolo Pozzo. A Perugia come a Udine, albergatori, ristoratori e commercianti ricordano ancora con affetto le spese faraoniche del clan di Sa’adi. Meno piacevoli le memorie dei connazionali di Sa’adi: l’ingegnerecalciatore sotto mandato di cattura Interpol dopo la caduta del regime di Tripoli, è accusato dell’omicidio di un allenatore che l’aveva criticato e di avere retto con il terrore e le minacce il calcio libico. All’aumento di capitale della Juventus deciso a fine 2011 la Lafico non ha potuto aderire a causa del blocco dei fondi del clan Gheddafi da parte dell’Unione europea.
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Attualità
novo dove la squadra si allena. Il loro intento è di mostrare la coesione della famiglia nei momenti di difficoltà sportiva ed economica, come dopo il bilancio 2010-2011, chiuso con una perdita record di 95,4 milioni di euro, la più grave nella storia del club. Una perdita in stile Moratti, con 141 milioni di euro investiti nel calciomercato in due anni. La governance della società di calcio riflette la cogestione Elkann-Agnelli. Quindi, d’accordo la cogestione del club e l’intesa cordiale fra i rami della famiglia, ma nell’accomandita, in fabbrica e in campo comandano gli Elkann. Al contrario di quanto predicava Enrico Cuccia, in casa Agnelli le azioni si contano e solo dopo, semmai, si pesano. Nella spartizione delle responsabilità fra i cugini, Jaki segue le vicende delle fabbriche a Torino, Belo Horizonte, Detroit o Tychy, e magari spiega all’amministratore delegato Sergio Marchionne perché la Exor debba destinare 81 milioni di euro a Del Piero e compagni mentre nell’industria automobilistica gli investimenti si riducono e la battaglia globale per la sopravvivenza si gioca sulla pelle dei lavoratori. Macchine e pallone hanno in comune la caratteristica di essere capital intensive, cioè richiedono l’investimento di moltissimo denaro per essere efficienti e, magari, redditizie. È significativo che la famiglia Agnelli sia stata più volte tentata di cedere il settore auto mentre non ha 50 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
mai parlato di vendere il club, sebbene negli anni il consumo di risorse economiche del calcio sia diventato abnorme. Basti pensare che circa un quarto dell’ultimo finanziamento Exor alla Juventus (poco più di 18 milioni di euro sugli 81 dell’aumento di capitale) proviene dalla cessione, a metà del 2011, del palazzo di
EXOR VENDE UN PALAZZO STORICO PER SOTTOSCRIVERE L’AUMENTO DI CAPITALE DELLA JUVE. E CON I MORATTI È RISSA SU CALCIOPOLI
corso Matteotti 26 a Torino dove hanno vissuto Gianni con i fratelli e le sorelle e che, in seguito, è stata la sede del gruppo Fiat per decenni. Corso Matteotti, venduto con una considerevole plusvalenza, vale sette milioni in meno rispetto ai 25 milioni spesi per Diego, presunto campione brasiliano acquistato durante la gestione di Cobolli Gigli e rivenduto a 19 milioni. Il senso di appartenenza ha portato il presidente della Juventus a una contesa legale per recuperare lo scudetto cancellato nel 2005-2006. La riconquista della gloria passata è diventata importante quanto i campionati a venire ed è centrale nella gestione di Andrea. La lotta per la restituzione dei titoli cancellati dalla giustizia sportiva è una battaglia nello stile della vecchia Juve, fatto di vittorie e arroganza. Il concetto di base della rivendicazione è che Calciopoli ha coinvolto tutti. Del sistema avrebbe beneficiato anche l’Inter, che si è vista premiata con uno scudetto assegnato a tavolino, il primo vinto da Massimo Moratti. Andrea Agnelli ha affermato che le accuse rivolte al suo club erano infondate e che i fatti non sussistevano. «Semmai dovessero emergere comportamenti penalmente rilevanti sarebbero da ascrivere a Moggi personalmente». ha dichiarato il presidente. In altre parole, se Moggi non era un manovratore di arbitri, la Juve ha diritto agli scudetti. Se lo era, la Juve ha diritto ugualmente agli scudetti perché la colpa delle manovre non è della Juventus ma di Moggi, una sorta di scheggia impazzita che agiva all’insaputa del suo diretto superiore (Giraudo, condannato per gli stessi reati di Moggi) e, a maggior ragione, degli azionisti. Agnelli ha poi aggiunto, riecheggiando un collega in rossonero, che la colpa di Calciopoli è dei giornali, perché «rivelare intercettazioni coperte da segreto è un reato». Insomma, se i giornali non avessero denunciato che la procura federale stava dormendo sulle suddette intercettazioni, la procura avrebbe continuato a dormire, come hanno diritto di fare tutti gli enti stanchi, e l’Inter non si sarebbe impadronita di campionati altrui. ■
Foto: Olycom, A. Conti - ContrastoAlbe
LA SUPERCOPPA ITALIANA 2002 A TRIPOLI CON SAADI GHEDDAFI A DESTRA. SOTTO: MASSIMO MORATTI
L’intervista
VENDITTI
Antonello scatenato Monti. Berlusconi. Alemanno. Le proteste dei giovani. L’immigrazione. Il cantautore racconta la sua vena “politica”. Dal disco al tour
ANTONELLO VENDITTI ALLA PROTESTA DEGLI STUDENTI NEL 2010. A SINISTRA: UN RITRATTO
so. Perché, nonostante i suoi limiti, è ancora il partito più vicino ai valori del volontariato sociale. Se fossi un leader politico cercherei però di restituire l’anima alla sinistra. Che tornerà ad essere se stessa quando i capi alle feste dell’Unità riprenderanno a salutare i cuochi anziché gli sponsor. Occorre indicare orizzonti precisi. Non tutto è perduto. Giro molto l’Italia. E gli studi che ho alle spalle, fino a una laurea in legge e a una specializzazione in filosofia del diritto, mi aiutano ad andare dentro le sue radici. Così vedo che alcune aree reagiscono meglio di altre al degrado. Torino, che ha una sua anima misteriosa ma sento che mi vuole bene. Alcune zone dell’Emilia e della Romagna. Le Marche. La Puglia».
COLLOQUIO CON ANTONELLO VENDITTI DI GIANNI PERRELLI oma stavolta non c’è. Resta per me il luogo dell’anima ma la sua bellezza non aiuta a scrivere, ti costringe solo a descriverla. E io invece, in questo album, ho avvertito il bisogno di accendere la fantasia. Di approfondire i sentimenti in tempi in cui Twitter liquida tutto in pochi secondi. Di spargere con una fotografia in movimento semi di speranza in molti campi, dal celeste al terreno». Antonello Venditti ricostruisce il Dna di “Unica”, l’ultimo disco che precede una tournée (debutto nella capitale l’8 marzo, giorno in cui è nato), nel giardino della sua casa di Trastevere, dove in un angolo ha ricavato una succursale della curva Sud. È qui che si gode davanti a un megaschermo con pochi selezionatissimi amici le partite della Roma. La romanità trasuda dai dettagli. «In questa finestra creativa è stata però più forte la spinta sociale. Il mondo del lavoro, l’emigrazione, la condizione della donna che è la più grande delle speranze perché è capace di sacrifici che gli uomini nemmeno riescono a sognarsi. Ho dedicato l’album agli studenti di architettura che l’anno scorso andai a confortare sui tetti e che come colonna sonora della protesta avevano scelto “Sora Rosa”, la mia prima canzone. “Allora canta”, li incito, “la libertà (intesa come democrazia) ritornerà”. In “Oltre il confine” cerco di interpretare le aspirazioni delle masse che premono alle nostre porte e che cercano “la libertà con l’aiuto di Allah”. In “La ragazza del lunedì” ho infi-
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E la sua Roma?
non intende ancora mollare». Forse quel refrain è stato scritto troppo presto. Berlusconi potrebbe anche tornare.
«Penso di no. È stato per molto tempo la proiezione nazionale del sogno americano. Poi si è trasformato in un incubo italiano. Gli riconosco il merito di aver rotto gli antichi rituali. Ma alla lunga è stata la politica a cambiare lui. E il suo flop è stato più sociale che finanziario. Per me chi sostiene che con la cultura non si mangia non può neanche definirsi umano». Forse svanisce Berlusconi. Ma non scompare il berlusconismo.
«Sì, questo resta un Paese di furbetti, arroccati nei serbatoi delle rispettive corporazioni. Negli ultimi 30 anni c’è stata in
Foto: G. Di Napoli - LuzPhoto, A. Cristofari - A3
ne prefigurato la caduta di Berlusconi. “Silvio”, recita il refrain, “che farò senza di te? Mi riprenderò la vita che ho vissuto insieme a te”. Sentivo che stava per farsi da parte anche se non immaginavo come. Non mi veniva proprio in mente che il suo posto potesse esser preso da una figura così agli antipodi. Mario Monti è un signore che sa bene le lingue, veste austero, non racconta le barzellette. Oggi il suo indice di gradimento è soprattutto estetico. Piace agli italiani perché è il contrario della teatralità berlusconiana che ha perso fascino. In concreto, però, pensavo che il cambio avrebbe prodotto effetti più incisivi. Oggi ci sentiamo un po’ più sollevati ma mi accorgo, dopo il caso Cosentino, che la Casta
Italia una mutazione antropologica. Favorita anche dalle reticenze di una generazione come la mia che negli anni Sessanta voleva cambiare il mondo ma poi si è adagiata. Cresciuta in seguito con l’esplosione di modelli televisivi basati sul mito dell’immagine e della sessualità che ha travolto le ideologie. L’Italia è diventata un Paese provinciale. Un piccolo mondo antico che stenta a comunicare con l’esterno perché quasi nessuno sa le lingue. Una specie di deserto spirituale, dove conta molto la piccola astuzia e dove l’economia è falsata dal patto fra corrotti e corruttori. Sopravvivono sì grandi qualità ma sono considerate obsolete». Come se ne esce?
«Io voto Pd, senza neanche turarmi il na-
«La sua luce oggi non si posa più su tutti i tetti. Solo su quelli di alcuni. È una metropoli incupita. Come Milano. Aggredita dalla rabbia per il clientelismo dilagante. Quando percorro la città a piedi, vengo spesso fermato per strada. Colgo la disperazione di chi nei posti di lavoro è scavalcato solo perché non ha gli agganci giusti. La frustrazione di chi è stato allontanato dalla speculazione edilizia nelle più squallide periferie. Fantasmi che mi abbracciano. Quando me lo chiedono do loro qualche suggerimento. Ma sono impotente. Non sono il sindaco. E di quello in carica è meglio non parlare: il suo mondo si è chiuso intorno a lui». Se fosse lei al posto di Alemanno?
«Se fossi io il sindaco farei come gli imperatori di un tempo. Darei ai cittadini più gioia di vivere. È un fatto che con le notti bianche di Veltroni la città aveva un volto più disteso. Oggi invece i romani per distrarsi vanno in massa negli outlet. E i giovani si danno allo sballo dei riti alcolici che a volte degenerano nelle coltellate. I veri abitanti sono i turisti che si godono spensieratamente le bellezze.
Per recuperare la sua anima, che è intrisa di bonomia e di ironia, Roma ha bisogno di inclusione. Di accettare la contaminazione di altre culture. Di diventare più accogliente, riqualificando per esempio i tassisti che anziché limitarsi al trasporto potrebbero rendere più gradevole l’impatto dei turisti svolgendo anche il ruolo di ciceroni. Il panorama non è però del tutto sconsolante. Esistono anche le eccellenze. Gente che nell’anonimato aiuta i poveri. In un bar qui sotto abbiamo cercato di trapiantare la tradizione napoletana del caffè libero, a disposizione di chi non ha neppure gli spiccioli in tasca. Ma penso anche ai nomi della cultura. Sentinelle della vera romanità, non del romanesco scaduto a macchietta. Personaggi come Massimiliano Fuksas, Carlo Verdone che suona la batteria nella mia band, e perché no, anche Francesco Totti con la sua schiettezza e la sua ironia». Totti. La “maggica” per cui lei ha scritto l’inno. La convince la sceneggiatura degli americani a Roma?
«Sì, mi intriga. Mi piace anche il gioco impresso da Luis Enrique. Sono indulgente perfino per gli atteggiamenti naïf. Roma è la città dei gladiatori. Il tuffo in piscina di James Pallotta, socio forte della cordata, aveva un solo significato: sono uno di voi. L’unico rischio che temo è quello della colonizzazione strisciante». Lei nei suoi testi ha spesso precorso i tempi. Come vede il futuro?
«Sì da ragazzo cantavo “Me ne vojo anna via da ’sto paese marcio”. Un ritornello di grande attualità. Oggi che vivo anch’io nell’angoscia del presente e soffro a volte di solitudine, guardo avanti con più fiducia. Forse perché ho il conforto di una religiosità che rispetta ogni Dio e che, come ho espresso nell’ultimo album, mi rafforza nella speranza. Anche se, per paradosso, sono l’unico musicista condannato da un tribunale per aver cantato in teatro “Ammazzete Gesù Cri’ quanto sei fico”. Da padre sono costretto però a confrontarmi con le difficoltà del momento. Ho un figlio che fa il creativo ed è dotato di talento. Ma nemmeno con le lenti del mio ottimismo riesco a vedere certezze nel suo futuro. E sento disagio perché ho una grande stima di lui. Pensi che a volte vorrei essere io suo figlio». ■ 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 53
Dossier
Casta / Il caso Dap
GALERA SPRECONA In celle vecchie e sporche
70mila detenuti. Mentre dirigenti e ministri della Giustizia spendono. Per case, auto blu e privilegi DI LIRIO ABBATE
l livello di civiltà di un Paese? Per Paola Severino si misura «dallo stato delle carceri». Il nuovo ministro della Giustizia vuole risolvere il problema del sovraffollamento e delle pessime condizioni di detenzione. E ha promesso di «dimostrare anche ai criminali della massima pericolosità l’intima diversità tra la legalità della nostra democrazia ed ogni forma di intollerabile arbitrio». Una sfida che potrebbe cominciare dall’esame di quello che hanno combinato i suoi predecessori. Da più di un anno il numero dei detenuti nei 207 istituti è stabile sui 67-68 mila, cioè 23 mila presenze in più rispetto alla capienza regolamentare. Con continui suicidi di detenuti e agenti penitenziari. Con continue chiusure per ristrutturazioni, o per mancanza di personale che ne fanno diminuire la capienza. Secondo quanto risulta a “l’Espresso”,
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nella gran parte dei penitenziari i detenuti vivono in tre in celle di nove metri quadrati, mentre tra le otto e le quindici persone in cameroni dai 10 ai 18 metri quadrati. I predecessori della Severino negli scorsi anni a parole denunciavano il dramma, nei fatti hanno permesso sprechi scandalosi. Dal terrazzo pensile da reggia babilonese del leghista Roberto Castelli alle consulenze per gli amici di Angelino Alfano; dalle Jaguar usate come auto blu, alle ristrutturazioni d’oro per l’alloggio del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E poi agenti penitenziari “fantasma” imboscati negli uffici, e appalti affidati sempre alle stesse dieci imprese edili. Per non parlare di una società, sulla quale sono in corso accertamenti, che si occupa della mensa in un carcere campano, che ha fissato nell’istituto la propria sede. Un fiume di soldi buttati per privilegi e camarille, mentre nelle cel-
le spesso viene negato il minimo necessario al rispetto della dignità umana. Il ministro verde. Anche l’appartamento riservato ai Guardasigilli in carica, una splendida residenza nel cuore di Roma, grava sul budget dei penitenziari (la Severino però non ci abita). Nel 2004 l’allora ministro Castelli pretese un sipario verde e fece allestire in terrazzo una piccola selva: furono acquistate piante per oltre 100 mila euro. Nessuno si scandalizzò per la richiesta dell’ingegnere lecchese, che ha finanziato studi e progetti carcerari producendo solo consulenze e cause legali. Il parco continua a prosperare, affidato alle cure di un giardinere pagato 800 euro al mese. In otto anni sono stati FRANCO IONTA. SOPRA: UNA CELLA DI MASSIMA SICUREZZA IN SARDEGNA. IN ALTO A SINISTRA: ANGELINO ALFANO 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 55
spesi fino ad oggi quasi 78 mila euro per rendere più liete le ore d’aria di ministri e ospiti. Alloggi all inclusive. Anche alcuni dei vertici del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria da cui dipende la vita dei reclusi, e qualcuno del ministero della Giustizia, non si trattano male. Hanno a disposizione, per decreto legge, ben otto appartamenti. E i contribuenti si fanno carico anche delle governanti: la voce di spesa è inserita come “pulizie” e costa 6 mila euro al mese. Secondo quanto risulta a “l’Espresso”, uno dei massimi dirigenti avrebbe usufruito in alcune occasioni mondane - feste o piccoli ricevimenti privati - anche di un cuoco a domicilio. Alla faccia del rancio distribuito nei raggi. Cinque stelle per il gran capo. In una delle zone più belle di Roma, tra via Giulia e piazza Farnese, c’è l’appartamento ri-
servato al capo del Dap. Una dimora di 170 metri quadrati su due livelli con terrazzo, con un valore immobiliare superiore ai tre milioni di euro. Nel 2008 appena nominato al vertice, il magistrato Franco Ionta ne ha subito disposto la ristrutturazione. I lavori furono affidati ad una impresa che di solito esegue lavori nei penitenziari ma qui ha sfoggiato altro lusso: stucchi e persino scale in vetro, il tutto per un costo che ha sfiorato il mezzo milione di euro. Una cifra sproporzionata per il mercato edile romano. Ma il risultato poco importa perché Ionta ha preferito non abitarci: l’appartamento è rimasto vuoto, senza essere assegnato ad altri. Il garage dei desideri. In fatto di vetture il Dipartimento penitenziario ha fatto scelte particolari. Nell’autoparco spiccano una Jaguar (auto preferita da una direttrice), una Phaeton Volkswagen da 80 mila euro e Bmw full optional. Singolare la scelta di acquistare 70 Subaru dallo stesso concessionario che - secondo quanto risulta a “l’Espresso” - per una coincidenza ne avrebbe vendute altre quattro a prezzi scontati a persone che sarebbero vicine a dirigenti del Dap. Acquisto che è oggetto di un’ispezione interna. Fra gli ultimi arrivi anche 34 Land Rover blindate destinate al trasporto dei collaboratori di giustizia. Ognuna costa 140 mila euro e sono super accessoriate: dai sedili in pelle riscaldati al magnifico impianto stereo HarmanKardon. Piccolo problema: 12 di questi gioielli sono fermi perché non hanno ancora superato il collaudo. Uno spreco niente male se confrontato con la situazione delle prigioni dove scar-
Elaborazione infografica: Giacomo De Panfilis
Dossier
seggiano i mezzi per il trasporto dei detenuti: da Firenze a Trapani, i cellulari sono rimasti fermi per carenza di benzina o di ricambi. E così in alcune occasioni sono pure saltate udienze e processi anche di mafia. Ma vai al Caga. Non è un insulto, ma un privilegio a cui ambiscono gli agenti penitenziari. Il Caga, sigla che sta per “Centro amministrativo Giuseppe Altavista” è l’ufficio dei desaparecidos: gli agenti assegnati lì, spariscono negli uffici. Sono migliaia i poliziotti provenienti da tutti gli istituti di pena che sono finiti al Caga grazie a raccomandazioni e segnalazioni, sguarnendo l’organico delle carceri e provocando la conseguente riduzione dei posti per i detenuti, nonostante la grande capienza degli istituti. A Rieti, ad esempio, la nuova struttura penitenziaria può contenere 400 detenuti, ma a causa della carenza di agenti ne ospita solo 80. Niente guardie, niente reclusi obbligati a restare in prigioni stracolme. Invece al Caga c’è sempre la fila di agenti perché da lì si imboscano nelle comode stanze del potere: al ministero della Giustizia, dove svolgono ruoli di commesso o assistenti alle varie segreterie dei dirigenti; negli uffici della sede centrale o di quelle regionali dello stesso Dap e persino al Consiglio superiore della magistratura. Una legione perduta. «Al Dap ci sono circa 1.200 agenti “imboscati”, ma il numero esatto, che potrebbe essere più alto, non lo conosce ROBERTO CASTELLI. nessuno. Perché il ministro Severino A SINISTRA: LAVORI non lo chiede al capo dell’ammini- IN UN CARCERE SARDO strazione Ionta?». La denuncia arriva da Donato Capece, segretario del Sappe, il maggior sindacato della polizia penitenziaria: «Oltre agli agenti imboscati, negli uffici del Dipartimento sono stati trasferiti pure 56 direttori di carcere, mentre negli istituti mancano. Così se negli uffici del Dap si vive bene, nelle carceri soffrono impiegati, agenti e detenuti. Se ci fossero in organico pure gli “imboscati” si sarebbe potuto dispor-
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a metà gennaio, fermati dagli agenti, in carenza di organico del 30 per cento. Che devono tenere a bada 800 detenuti, stipati in uno spazio che può tenerne poco più della metà. FUGA DALLA REGINA È recente l’acrobatica fuga di due rapinatori dall’ex convento secentesco di Regina Coeli, una delle galere più affollate, con 1.200 detenuti contro i 700 regolamentari. Sbarre segate e lenzuola annodate per sfuggire a quello che i detenuti descrivono a Radiocarcere come un inferno: «Nelle nostre celle si sta in dieci. Ammucchiamo i vestiti sotto le brande o dentro i sacchi dell’immondizia, non abbiamo sapone né detersivi, e per
pulire usiamo gli indumenti come stracci». NEL GIRONE DI AVERSA Quello di Aversa è un ospedale psichiatrico giudizario. I dati Uil riportano, nel solo 2011, tre suicidi e 23 agenti feriti (record italiano). Celle in condizioni pessime, letti arrugginiti, finestre divelte e nel bagno una bottiglia fa tappo contro i ratti. Pareti, pavimenti, soffitti scrostati, macchie di umido, armadietti vetusti. Ovunque cumuli di sporcizia, residui alimentari e un pungente tanfo d’urina, descrivono Ignazio Marino e la radicale Donatella Poretti. LE SARDINE DI PIAZZA LANZA Il Piazza Lanza di Catania è uno dei penitenziari
BOLLATE; S. VITTORE (1 Padiglione) Milano
GORIZIA; PORDENONE (una sezione) PADOVA
CUNEO SAVONA; MARASSI Genova
ANCONA GORGONA Livorno
più saturi d’Italia con 569 detenuti contro 155 posti letto. Vito Pirrone, penalista catanese, descrive un luogo soffocante: «Le celle che ho visitato sono al massimo 4 metri per 4, con 10 anche 14 detenuti. Nel 2010 non c’erano materassi, così per dormire si usavano i tavoli». Al Nicito, il reparto di isolamento, la “a bocca di lupo” è a 4 metri, mentre la “stanza” è un rettangolo 2 per 3, con gabinetto alla turca senza areazione. MODELLO BOLLATE A Bollate, vicino a Milano, gli oltre 1.100 detenuti non se la passano male. Le celle sono aperte per tutta la giornata, con cucina, frigo e tv. I corridoi sono abbelliti dalle piante del vivaio interno. Con il miracolo fatto da
ORVIETO
REGINA COELI Roma AVERSA UCCIARDONE (2 Padiglioni) Palermo RISCHIO CHIUSURA MIGLIORE PEGGIORE
GAZZI Messina PIAZZA LANZA Catania
SCIACCA
67.953 28.637 I DETENUTI AL 17/11/2011
IN ATTESA DI UNA SENTENZA DEFINITIVA
65.065 3.647 2.719 UOMINI RAPINA OMICIDIO VOLONTARIO 2.888 2.262 1.933 DONNE ESTORSIONE FURTO
608
SUICIDI 2000/2011
Dallo scantinato al Grand Hotel, la hit parade delle carceri Carceri fatiscenti. E carceri a cinque stelle. Celle minuscole e umide. E isole senza sbarre. “L’Espresso” ha cercato di districarsi fra le oltre 200 carceri italiane e ha stilato una classifica degli istituti: i peggiori e i migliori (in verità i meno peggio). MARASSI A 5 SBARRE In una guida ai penitenziari da evitare, un posto d’onore lo occupa il Marassi di Genova, ottocentesco per concezione e atmosfera (di pochi giorni fa un caso di tubercolosi). Nelle statistiche 2011 della Uil Penitenziari la struttura spicca in tutte le categorie: personale aggredito, autolesionismo, scioperi della fame, suicidi e tentati suicidi. Gli ultimi due
I penitenziari ai raggi X
Lucia Castellano, direttrice fino allo scorso anno: far lavorare più della metà dei reclusi. C’è l’artigiano, il pellettiere ma anche un capannone gestito da un’azienda che ripara i telefonini. Così, un detenuto ha più chance di trovare lavoro quando esce. ORVIETO, CARCERE VIP Fra le carceri più ambite c’è Orvieto, il preferito da politici e vip. Qui si voleva costituire il deputato del Pdl Alfonso Papa, ma finì invece a Poggioreale. A Orvieto sono passate molte facce note, come il fotografo Fabrizio Corona, arrestato per il denaro falso trovato nella sua Bentley. Una fascinazione, quella della cittadina umbra, che risale ai tempi di Mani Pulite:
1.220 932 ASS. MAFIOSA VIOLENZA SESSUALE
qui fu recluso nel 1995 Walter Armanini, ex assessore milanese e primo condannato definitivo di Tangentopoli, noto per la love story con l’attrice Demetra Hampton. DOLCE PADOVA Un istituto dove quasi tutti lavorano è il Due Palazzi di Padova. Come a Bollate, ci sono cooperative che danno l’opportunità di imparare un mestiere. Fiore all’occhiello è il laboratorio di pasticceria. Qui la specialità è il panettone alla birra, tanto buono da entrare al quinto posto nella top ten del Gambero Rosso. E quest’anno i 120 che ci lavorano hanno avuto un’ordinazione davvero speciale: da parte del papa. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 57
Dossier Intervento Ignazio Marino
Quei detenuti sono prima malati
L’INTERNO DI UN ISTITUTO DI PENA DI NUORO
re, tanto per cominciare, dei 400 posti di Rieti e dare man forte a Regina Coeli e Rebibbia che scoppiano di detenuti e sono poveri di guardie». Secondo il sindacato su circa 8 mila agenti in servizio a Roma, 3 mila sono negli uffici. Chiuso per ristrutturazione. Le condizioni di manutenzione degli edifici sono «quasi ovunque scadenti» e nel corso degli anni le risorse destinate agli interventi ordinari si sono progressivamente ridotte «fino a rendere impossibile anche forme di intervento minimo di conservazione». Per questo motivo sono moltissimi gli spazi chiusi per inagibilità o per ristrutturazione straordinaria. Questo problema potrebbe mettere a rischio, secondo quanto apprende “l’Espresso” da fonti del Dap, già nei prossimi mesi 40 mila posti (vedi il grafico a pag. 57). Oggi sono in attività 207 strutture, un quinto delle quali costruite tra il tredicesimo e il sedicesimo secolo: monasteri e fortezze soggette a vincoli dei Beni culturali. Più consulenze che celle. Il piano varato due anni fa dall’allora ministro Alfano prevedeva la realizzazione di 9.150 posti per una spesa di quasi 700 milioni di euro. Dovevano essere realizzati 11 nuovi istituti e ampliati padiglioni di alcune carceri. Il piano non ha avuto grande successo, tranne che per i consulenti: gran parte dei quali sono stati nominati dal commissario straordinario Franco Ionta su indicazione di Alfano. I cantieri non sono stati aperti: sono partiti solo tre bandi di gara e lo scorso settembre il governo Berlusconi ha revocato il mezzo miliardo, stanziato ma non utilizzato. Per i consulenti invece sono stati bruciati un milione e 300 mila euro. Professionisti che sembrano scaturire in gran parte da un intreccio familiare e politico. Fra i soggetti attuatori del piano, come responsabile della tesoreria è stata nominata la fiorentina Fiordalisa Bozzetti (per sei mesi 100 mila euro), moglie dell’architetto Mauro Draghi, in servizio al Dap e responsabile del gruppo tecnico. Per il settore giuridico è stato scelto l’avvocato palermitano Andrea Gemma (100 mila euro da luglio
UNA RIFORMA deve essere meditata ed attuabile. Certo deve esserlo la riforma di un sistema complesso come quello degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). La loro chiusura nel marzo 2013, prevista dal nuovo decreto sulle carceri, è stata giudicata avventata e irresponsabile da alcuni; da altri, il frutto acerbo di un mancato confronto con gli esperti del mondo psichiatrico e giudiziario. È vero, i tempi perché le Regioni approntino soluzioni alternative agli attuali manicomi criminali, possono apparire stretti. Ma troppo lunghi sono stati gli ultimi trent’anni, passati da molti a tentare di illuminare quel cono d’ombra lasciato dalla legge voluta da Franco Basaglia nel 1978. La cosiddetta 180, fondamento dei moderni metodi di cura psichiatrica in Italia, non aveva infatti sciolto il nodo dell’assistenza e della tutela delle persone che, ammalate di patologia psichiatrica, avevano commesso un reato. Trent’anni che diventano più di ottanta, se si guardano le fotografie sbiadite che ritraggono il ministro della Giustizia Alfredo Rocco mentre inaugurava uno dei primi manicomi criminali italiani nel 1925. Il Senato ha approvato pochi giorni fa la proposta di riforma. Se la Camera confermerà tale orientamento, che cosa accadrà da qui al 31 marzo 2013? Gli ospedali psichiatrici giudiziari diverranno
I Radicali invocano l’amnistia Sit-in, scioperi della fame, manifestazioni, interpellanze, proteste, dossier. La battaglia per garantire ai detenuti italiani condizioni di vita umane vede da sempre in prima linea i radicali. L’ultima manifestazione per invocare un’amnistia che liberi le carceri italiane dalla piaga del sovraffollamento (quasi 70 mila detenuti contro i 48 mila posti regolari), spesso causato da una miriade di detenzioni brevissime (da uno a tre giorni) risale a pochi giorni fa. Un sit-in a Torino, dove s’è tornato a discutere del provvedimento svuota-carceri del ministro Paola Severino. Una misura, secondo la deputata radicale Rita Bernardini, presidente dell’associazione “Certi diritti” e membro della commissione Giustizia di Montecitorio, che è un segnale, ma che da solo non basta: «Il prossimo passo deve essere l’amnistia». E a chi grida allo scandalo, la deputata replica: «L’amnistia c’è già, e facciamo finta di non vederla: su 5 milioni e 200 mila procedimenti penali pendenti, ogni anno circa 183 mila procedimenti cadono in prescrizione. E non è neanche previsto un risarcimento per la vittima». 58 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
a dicembre 2010), amico di Alfano, e commissario nominato in altre importanti società come Valtur e Alpi assicurazioni. Infine l’ingegnere Mauro Patti, testimone di nozze di Alfano, nominato soggetto attuatore per il settore tecnico con un compenso di 100 mila euro per sei mesi. Tutti in gattabuia. Anche le carceri non pagano la bolletta. Privi di fondi, gli istituti di pena hanno accumulato una morosità record per le forniture di luce, acqua e gas che sfiora i 90 milioni di euro. Rischia di chiudere il carcere di Cuneo perché da mesi non paga il canone idrico e la società che la eroga si è già mossa con decreti ingiuntivi: l’ultimo passo prima di tappare i rubinetti. Affitti d’oro. In compenso, le sedi regionali del Dipartimento, e in particolare l’Uepe (Ufficio esecuzioni penale esterna) sono tutti in affitto per una spesa complessiva di 5 milioni e 800 mila euro. Dai documenti ottenuti da “l’Espresso” si no-
ciò che non sono mai stati: veri luoghi di cura. Nuove e diverse strutture al posto delle vecchie, degradate e fatiscenti, che saranno definitivamente chiuse. Perché non è tollerabile un ospedale in cui bisogna scegliere se usare l’acqua per il sistema antincendio o per lo sciacquone dei bagni; dove le lenzuola non vengono cambiate per settimane e, a volte, sono gli stessi operatori a portarle generosamente da casa; dove in inverno il riscaldamento non funziona; dove l’assistenza medica viene gestita da un infermiere ogni trenta internati e l’assistenza psichiatrica viene garantita per meno di trenta minuti al mese. MA DOVE FINIRANNO quelle persone? Al posto degli Opg sorgeranno piccole strutture da 30 o 40 posti letto, dotate di tutta l’attrezzatura necessaria per l’assistenza ai pazienti, con infermieri, medici, psichiatri ed esperti di riabilitazione che possano finalmente fare il loro mestiere: curare la mente e il corpo. Non è stata sottovalutata, tuttavia, la necessità di garantire la sicurezza, per cui all’esterno dei centri di cura la sorveglianza sarà assicurata dalla polizia penitenziaria. Questa riforma sarà finanziata con 273 milioni in due anni, di cui 180 destinati alla realizzazione dei nuovi luoghi di cura e 93 all’assunzione di personale qualificato. Negli attuali Opg, secondo i dati della commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario, ci sono circa 1.400 persone di cui più di 900 riconosciute ancora pericolose per sé e per gli altri: saranno loro ad essere trasferite nelle
ta che per alcuni immobili si paga un canone doppio rispetto al valore di mercato. In alcuni casi è stato moltiplicato anche cinque volte, come a Palermo dove per 200 metri quadrati al piano ammezzato in via Damiani Almeyda, il Dap paga 5.242 euro al mese, quando nella stessa zona alloggi di lusso vengono affittati a 1.500 euro. La proprietaria è la signora Lorenza Pisciotta che possiede molti immobili in città. A Roma, invece, per un grande appartamento in via Ostiense di proprietàdella Finimvest III, società lussemburghese, il canone annuo è di 254 mila euro. A Bologna gli uffici del provveditorato e quelli dell’Uepe costano ogni anno 367 mila euro. La società Sicily Real estate srl incassa per due uffici a Catania 133 mila euro; a Catanzaro si spendono 171 mila euro. Carceri liberalizzate. La soluzione scelta dal governo Monti può suonare come un controsenso: liberalizzare le carceri. Lo Stato si affida a banche e imprenditori per avere nuovi peni-
nuove strutture. Altre 500 circa, invece, sono ritenute non più socialmente pericolose e hanno il diritto di uscire ma, di fatto, non riescono a varcare la soglia dell’Opg, dove alcuni sono chiusi contro la legge anche da trent’anni, veri ergastoli bianchi. Non hanno un posto dove andare e continuano ad aspettare che lo Stato, la Regione o il Comune si ricordi di loro e li accolga in una struttura. Per loro deve valere un principio essenziale, affermato dalla Corte costituzionale: le esigenze di tutela della collettività non possono mai giustificare misure tali da recare danno alla salute del malato, quindi la permanenza negli ospedali psichiatrici giudiziari che aggrava la salute psichica dell’infermo non può proseguire. Queste persone dovranno essere dimesse e assistite sul territorio dai dipartimenti di salute mentale. Parliamo di meno di venticinque persone, in media, per Regione. Non è una missione impossibile, ma se tale si dovesse rivelare per alcune Regioni, lo Stato interverrà, individuando una soluzione per ciascun paziente. ECCO COSA VUOL dire chiudere gli Opg. Una sanità degna di questo nome e la garanzia di una sorveglianza esterna, nel pieno rispetto della comunità e delle vittime dei folli autori di reato. Questa non è una riforma “per i criminali”, come qualche senatore della Lega ha urlato. È una riforma per tutti noi, per riconoscerci in uno Stato che offre il rispetto che chiede. Perché la malattia mentale non resti uno stigma del quale avere paura.
tenziari e li incarica anche della gestione dei servizi, tranne la custodia. L’operazione, suggerita dal ministero delle Infrastrutture, prevede il project financing per la realizzazione di nuove prigioni. Una norma particolare che, secondo un pm antimafia, «rischia di esser violata dall’infiltrazione della criminalità organizzata che andrebbe a gestire le carceri». Di fatto, però, il decreto mette nelle mani delle fondazioni bancarie il sistema carcerario. I privati, quindi, realizzeranno gli istituti di pena che daranno in concessione allo Stato per 20 anni. E dallo Stato si faranno pagare cento euro al giorno per ogni detenuto. Oggi costa all’amministrazione 120 euro, di cui cento per la custodia e i servizi amministrativi (che dovranno continuare ad essere assicurati dallo Stato), e 20 euro per il vitto e l’alloggio. Se non cambieranno questi parametri, la collettività si ritroverà a pagare 200 euro per ogni detenuto. Una soluzione, forse, ma a caro prezzo. ■ 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 59
n. 6 - 9 febbraio 2012
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Romania
I falsi eroi di Bucarest Spagna
Foto: Photoshot - Sintesi
Gli indignati fanno una banca
Una nuova banca è possibile. È questa l’ultima sfida del movimento 15M, quello degli indignati. «L’idea di creare una banca etica era già emersa la scorsa primavera, quando occupavamo le piazze», dice Raul, militante di Barcellona. «Siamo consapevoli che non riusciremo a vincere su un sistema di mercato tentacolare. Ma siamo sicuri che si può trovare una nuova forma per gestire il denaro. Trasformarci da schiavi a cittadini attivi». Così sta nascendo in Catalogna la banca etica del movimento. Una rete di Cooperative di autofinanziamento, che sostengono progetti di intervento sociale, ha mosso i passi necessari per costituire un istituto di credito “assembleare”. Si legge nel documento d’intenti: «Nello Stato spagnolo sarà l’unica struttura bancaria, sotto forma di cooperativa di servizi finanziari, che opererà senza interessi. I crediti e i depositi non genereranno interessi. Il denaro non produrrà denaro. In sostanza decretiamo l’abolizione dell’usura».
La nuova banca diventa un’alternativa, come precisa Raul, «per tutti coloro che vogliono una trasformazione radicale della società». A sostenere l’impresa anche Arcadi Oliveres, economista, considerato il Noam Chomsky spagnolo: «Il sistema capitalista è gravemente malato. Le soluzioni sono nelle nostre mani». Cristina Artoni
Eroi in fasce o che con il tempo, ed il certificato giusto, si sono fatti passare per demolitori del regime di Ceausescu quando in realtà lo servirono fino alla fine. Ora, a 22 anni di distanza dalla fine del regime, la Romania scopre che una buona fetta degli eroi premiati con sconti, esenzioni e sovvenzioni in realtà di eroico avevano ben poco. Un mezzo esercito di falsi: sarebbero circa 20 mila i rivoluzionari di cartone che hanno goduto dei benefici della legge del “Ringraziamento” del 2004, approvata per rendere omaggio ai Caduti un migliaio - e a chi rischiò la vita per combattere Ceausescu. Sorin Pavel ha 26 anni: «Ho incontrato in treno un mio compagno di scuola, coetaneo, che viaggiava gratis grazie alla tessera di rivoluzionario». Pare che durante la presidenza di Ion Iliescu, dal 1990 al 1996, venne confezionato il grosso dei falsi certificati di rivoluzionario, divenuti dal 2004 più utili che mai. I titolari possono infatti comprare casa o terreni a condizioni vantaggiose, hanno medicine e trasporti gratis, esenzioni di imposte e 5 anni in meno per arrivare alla pensione. L’obbligo di tagliare la spesa pubblica ha portato Bucarest a spulciare anche tra gli eroi con un’operazione pulizia che piace alla popolazione, ma non a tutta. Trentasei “autentici rivoluzionari” hanno iniziato uno sciopero della fame, per non perdere i privilegi conquistati, assicurano, sul campo. Alberto D’Argenzio
Panama Sciopero sul Canale L’opera è faraonica e i costi per realizzarla esorbitanti. Ma gli operai che vi lavorano, circa 6 mila, lo fanno in condizioni difficili. Per questo a Panama sono scesi in sciopero e per sei giorni di fila hanno incrociato le braccia. Fino a quando alcune delle loro richieste non sono state accolte: aumento di due dollari l’ora della paga che era di 2,90 l’ora, pagamento degli straordinari e degli arretrati per un totale di 500 milioni di dollari, maggiore sicurezza. Hanno anche denunciato maltrattamenti e soprusi da parte dei capi “stranieri”. Solo dopo aver ottenuto garanzie sono tornati al lavoro gli operai che stanno ampliando il canale di Panama. I lavori sono iniziati nel 2007: il costo totale dell’opera è di 5.250 milioni di dollari. Nel consorzio che ha vinto l’appalto c’è anche l’italiana Impregilo. Per il Canale di Panama transita il 5 per cento del commercio mondiale. Per i diritti di passaggio delle navi il Paese centramericano incassa 2,3 miliardi di dollari l’anno. M.M. lE ’ spresso | 61
ATENE
all’ultima sfida
Foto: G. Moutafis, Getty Images
Mondo LA CRISI GRECA
L’Europa chiede nuovi sacrifici. Ma i greci rispondono che ne hanno già fatti abbastanza. Scene da una capitale stremata dalla miseria DI GIGI RIVA DA ATENE on si può capire Atene oggi se non la si attraversa di notte. Di giorno sembra, quasi, la capitale normale di un paese normale. Il traffico impazzito, i negozi del centro, i bambini a scuola. Superficie. Perché poi calano le tenebre e c’è lo splendido Partenone sullo sfondo, riccamente illuminato e quasi una metafora dello sfarzo che sta solo nel passato, ma le strade sono buie persino vicino ai palazzi del potere e attorno a piazza Syntagma. Le attraversano, furtivi, giovani centrafricani coi capelli rasta, che non fanno più parte del panorama diurno: espulsi dalle ore di luce con le loro cianfrusaglie di falsi. Fanno concorrenza “sleale” alle vetrine che resistono dopo la prima ondata furiosa di darwinismo economico. Due su dieci hanno chiuso e chi alza ancora la saracinesca denuncia il 25 per cento in meno di guadagni. La guerra tra poveri spinge gli ultimi, gli africani, dalla semilegalità all’illegalità totale se adesso vanno in cerca di clien-
N
UNA BANCA CHIUSA DI DOMENICA E COI PACCHI DI UN IMMINENTE TRASLOCO. IN ALTO: IL PRIMO MINISTRO LUCAS PAPADEMOS 62 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
ti per spacciare un Paradiso artificiale in presenza di un inferno reale. Eroina, cocaina, ecco i soli consumi che presentano una curva in ascesa. Una piaga che ha spinto il governo a presentare un progetto di legge per depenalizzare il possesso di «piccole quantità» di tutte le droghe (il traffico resta punito dai 10 ai 20 anni) perché, ha detto il ministro della Giustizia Milziade Papaioannou, «il consumatore è un malato non un criminale». Negli androni di palazzi scorticati avvengono gli scambi bustina-euro e, più o meno nelle stesse ore, inizia il lavoro un’altra categoria in forte espansione, quella dei ladri. Nel 2011, stando alle statistiche del ministero dell’Interno, i furti sono aumentati del 30 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti. Nella terra delle “Santa ortodossia” il bisogno impedisce il rispetto almeno della fede se l’incremento delle chiese svaligiate è del 180 per cento. E poi rapine (più 132), estorsioni (più 50), truffe (più 56). Insomma, qualunque delitto abbia a che fare con il denaro. La notte sarebbe anche per professioni lecite, come quella del taxista. Se non fosse che ormai quasi tutti la trascorrono nell’abitacolo a far passare il tempo che manca all’alba. Tanto clienti non se ne vedono e pazienza in questi giorni rigidi di inverno inclemente. Il fatto è, denunciano, «che non abbiamo fatto una corsa nemmeno la notte di Natale o quella di Capodanno, quando prima impazzivamo di richieste, fuori uno e dentro un altro». A essere capaci di guardare, non è che il dopocena di Atene sia poi così deserto. Nel dedalo di strade che si irradia da piazza Monastiraki non si riesce nemmeno a entrare nei locali alla moda, folla, ressa e bella gioventù. Passare il tempo insieme è il miglior antidoto alla possibile depressione che ha fatto aumentare il numero delle persone che si suicidano buttandosi dall’Acropoli. «Però», dice il gestore del “Black & White”, «i clienti bevono un drink, tre euro, e si accontentano per tutta la sera». Non se ne lamenta tuttavia, capisce il momento e quei ragazzi squattrinati perché almeno una cosa buona la produce il mal comune: la solidarietà. Succede in tutte le città di crisi, o di guerra, a qualunque latitudine. Non fa eccezione la Grecia dove c’è sempre un posto al tavolo dei risto9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 63
Mondo I FUNERALI DEL REGISTA ANGELOPOULOS SONO DIVENTATI LA METAFORA DI UN PAESE CHE SCOMPARE ASSIEME ALLA SUA CULTURA STORICA
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la metà nel 2009). Tra riduzione dei salari e nuove tasse, valuta un rappresentante della pattuglia degli economisti mandati da Bruxelles a monitorare i conti del paese, «il potere d’acquisto del salario è sceso del 40 per cento». Due manovre successive da 18 e 37 miliardi di euro, promosse dal governo di un tecnico, Lucas Papademos, sono una prima pezza, insufficiente. «Il paese», dicono i tecnici mandati dall’Unione europea, «ha vissuto troppo a lungo molto al di sopra delle proprie possibilità». E ora non può più permettersi 800 mila dipendenti pubblici (su 11 milioni di abitanti) e un debito da 300 miliardi che è il 150 per cento del Pil (210 miliardi). Il paragone che tutti richiamano, e che dovrebbe farci rabbrividire, è quello con l’Italia. Con noi è rispettato, quasi plasticamente, il rapporto uno a sei. Loro sono un sesto degli italiani, e hanno un debito pubblico che
è un sesto del nostro (circa 1.900 miliardi euro). Così «stessa faccia, stessa razza» non è più lo slogan scherzoso che ci siamo sentiti ripetere spesso in vacanza, ma diventa un monito: attenti a non fare la nostra stessa fine. Gli ispettori europei, così come quelli del Fondo monetario o della Banca mondiale, vivendo a contatto con le “cavie” del loro esperimento che potrebbe avere per titolo “Ipotesi di salvataggio di uno Stato dalla bancarotta”, hanno una percezione assai diversa dei capiufficio di Bruxelles o dei politici nelle varie capitali europee. Toccano con mano, apprezzano, gli sforzi titanici. Ed esprimono una cautissima speranza che si basa su una percezione: i greci hanno capito e, in qualche misura, accettato di diventare più poveri. Fanno il tifo per l’accordo coi privati (leggi banche soprattutto francesi) perché vada a buon fine l’accordo sulla rinegoziazione del debito. Ma perché il tutto non si concluda con il classico detto “l’operazione è riuscita, il paziente è morto” chiedono di dilatare nel tempo i sacrifici. Il loro programma è quadriennale, scadrebbe nel 2013, vorrebbero fosse prolungato almeno sino al 2020 per raggiungere un obiettivo: scendere al 120 per cento del rapporto debito/Pil: cifra considerata “sostenibile” per far tornare Atene sul mercato. Di fatto, se non di diritto, già svolgono quel ruolo di commissari che la cancelliera Angela Merkel vorrebbe fosse sancito ufficialmente per allargare i cordoni della borsa
comune (139 miliardi di euro di aiuti, 30 per il rifinanziamento degli istituti di credito). A Berlino dicono che la Grecia ancora non ha fatto sul serio e vogliono più sacrifici. I greci si guardano nelle tasche e rispondono che proprio non possono. Non si sono mai interessati tanto di politica come in questa fase e la dura Angela è vissuta nell’immaginario come l’orco delle fiabe. Che abbia un qualche diritto di ficcare il naso se il denaro degli aiuti è quello dei contribuenti tedeschi (e francesi, e italiani...) è ormai un assunto passato come una medicina necessaria. Ma non può spingersi al punto di sospendere la democrazia laddove la democrazia è nata pur se è stata calpestata diverse volte nel corso della storia. È vero, sono stati i “loro” politici a truccare i conti e a produrre
Foto: A. Vapeiadakis - Corbis, G. Moutafis, Getty Images
ranti benché per un buon pasto non si spenda più di 15 euro. Il titolare di “Niko’s”, moussaka e souvlaki da urlo, quando sente la parlata italiana e capisce che siamo qui anche per Theo Angelopoulos (il grande regista vincitore di Cannes, Venezia e Berlino, morto a 76 anni il 24 gennaio travolto da una moto sul set del film “L’altro mare” che ha per tema proprio il dramma del suo paese), non vuole che il conto sia saldato: «Invece che a me, uscendo per la strada, date i soldi a qualcuno che ne ha più bisogno». C’è l’imbarazzo della scelta. Persone senza un giaciglio al caldo si addormentano (speriamo anche si sveglino) praticamente sotto i pilastri di ogni edificio, una sola coperta per conforto. Contendono gli spazi ai cani che, indisturbati, da sempre sono una caratteristica della città notturna. Li si incontra ovunque, persino accovacciati agli ingressi dei pub. L’ong Medici del mondo, valuta che un ateniese su 11 si sfami alle mense comunali o nei refettori delle associazioni religiose; sei greci su dieci hanno peggiorato le abitudini alimentari e cento bambini al giorno si fanno vaccinare dai dottori dell’organizzazione quando, fino a due anni fa, la stessa era a disposizione praticamente solo degli immigrati. Stando a un denuncia del locale Wwf, non potendo pagare le bollette, molti si sono messi a tagliare gli alberi per farne legna da ardere (come nell’Albania dopo il comunismo o nella Sarajevo assediata). Non solo i singoli ma anche gruppi organizzati che starebbero saccheggiando le riserve boschive senza che nessuno intervenga perché i fondi per la difesa del territorio sono stati decurtati. La traduzione in cifre di questo sfacelo è eloquente. Il 2011 si è chiuso con il Pil a meno 5,5 per cento (-3,5 nel 2010) e le previsioni per il 2012, sicuramente da ritoccare al ribasso, dicono -2,8. Eurostat prevede un segno più (0,7) solo dal 2013 ma sembra ottimismo della volontà. Il numero dei disoccupati toccherà quest’anno il 17 per cento (erano più o meno
Gioielli in vendita La Grecia è in vendita, non è solo uno slogan. L’Unione europea ha chiesto al primo ministro Lucas Papademos di individuare due o tre imprese da mettere sul mercato in tempi brevi per rendere credibile l’obiettivo di incassare 50 miliardi di euro da cessioni pubbliche entro il 2015 e abbassare così il debito pubblico. I finlandesi avevano addirittura provocatoriamente chiesto di dare come garanzia il Partenone, alcuni giornali tedeschi si erano spinti oltre: vendetelo. Non si arriverà a tanto, naturalmente. Ma all’asta sono già finiti gioielli non così carichi di storia comunque suggestivi. Un gruppo cipriota ha acquistato per 180 milioni di euro l’isolotto di Dokos nel Golfo Argolico. Una società inglese si è impossessata di Drymos nelle Cicladi, di Aspronisi (il Paradiso dei sub, davanti a Santorini) e Arkoudi, vicino a Cefalonia e quasi disabitata. L’obiettivo degli investitori è quello di costruire dei villaggi turistici di lusso. Il ministero dell’Economia vorrebbe anche affittare per un periodo di 49 anni circa 600 piccoli isolotti di proprietà del demanio. Dovrebbe finire all’asta anche l’area di 5.500 ettari dove sorgeva il vecchio aeroporto cittadino prima che fosse costruito quello nuovo in occasione delle Olimpiadi del 2004: è in riva al mare e interessa ai soliti investitori del Qatar. Sicuramente attirerà gli appetiti l’area di Prasonini a sud di Rodi, visto che è prevista la possibilità di costruire alberghi, parchi a tema e una marina. Nell’ex base americana di Gournes a Creta (738 ettari) si potrà edificare un Casinò ed è già stata opzionata da un gruppo israeliano. Per seguire le pratiche di privatizzazione è stato creato, da alcuni mesi, un “Ufficio per la valorizzazione delle proprietà dello Stato” a cui fanno capo anche i rinnovi delle concessioni. Per quanto riguarda le case private invece, si calcola che il valore degli immobili sia crollato del 30 per cento. E per il 2012 è previsto un altro calo del 10-15 per cento.
il disastro, è vero che portano il peccato originale, però sia loro permesso almeno di decidere come salvarsi. La sottile linea che separa l’umiliazione dall’orgoglio è più o meno questa: diteci pure di quanto dobbiamo rientrare ma lasciateci il libero arbitrio di decidere come farlo. Altrimenti, e il sentimento si diffonde sempre di più, meglio dichiarare il default, uscire dall’euro e tornare alla dracma. Dice Andreas Dimitropoulos, 36 LA CANCELLIERA TEDESCA ANGELA MERKEL. SOPRA: LA BORSA DI anni, ingegnere informatiATENE. A SINISTRA: I FUNERALI DEL REGISTA THEO ANGELOPOULOS co ora con un contratto part-time da 1.700 euro al mese, moglie e due figli: «La mia prospettiva, se l’Europa vuole che continuiamo a tirare la cinghia, è di vivere in questa situazione precaria per almeno 20 anni. A che pro? Per poter dire che non abbiamo fatto bancarotta? Meglio forse ripartire da zero e ricostruire dalle macerie. Alla faccia della signora Merkel e di tutti i creditori». Un problema, invero di altro genere, coi tedeschi lo aveva anche Theo An-
gelopoulos, prima di morire. Aveva dovuto fermare la produzione perché gli eredi di Bertolt Brecht non volevano permettergli di usare “L’opera da tre soldi” (guarda caso il tema sono i miserabili) che aveva una parte nel suo film. Sullo sfondo di una vicenda padre-figlia, nella sceneggiatura c’è la Grecia di oggi. Per questo la sua fine è stata vissuta come una potente metafora. Dice il suo sceneggiatore storico Petros Markaris: «Theo ha cominciato col cinema durante il periodo durissimo dei colonnelli. È morto durante un altro periodo terribile». Come se fosse appunto la Grecia migliore quella che se ne va facendo del futuro un’incognita. Al suo seguitissimo funerale la gente ha fischiato i pochi politici che si sono presentati. E, mentre la bara veniva calata nella terra del cimitero numero 1, gridava: «“Athanatos” (immortale). Solo con gente come te la Grecia si sarebbe salvata». È nelle difficoltà che si ricorre alle metafore. Allora eccone un’altra, forse più realistica. Mentre per le strade di Atene corre la disperazione, il Partenone è meta ininterrotta di turisti cinesi. Che sia questo il destino dei greci? Fare da guide turistiche dei nuovi ricchi? ■ 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 65
Mondo PAESI BALTICI
Le ultime Amazzoni
ALCUNE VOLONTARIE DI TALLINN DURANTE LE PROVE PER UNA PARATA. NELLE ALTRE FOTO: LE ESERCITAZIONI NELLA BASE DELLA CAPITALE
In Estonia c’è l’unico corpo paramilitare d’Europa. È formato da donne che temono l’invasione dei russi. E preparano la difesa DI CHRISTIAN BENNA DA TALLINN FOTO DI ANTONINO SAVOJARDO
er Maret Valner, 32 anni, anche la cucina è un campo di battaglia. Una trincea scavata tra fornelli, frigo e tavolo da pranzo, dove poter respingere un eventuale assalto armato. Perché ogni stanza della casa di questa ex assistente di volo prevede almeno tre vie di fuga. «Difendersi prima di tutto», racconta orgogliosa, «poi, se necessario, passare all’attacco. E con una pistola in mano io faccio centro». Se questo è il dolce nido delle ultime amazzoni - di cui Maret è un’istruttrice militare del distretto di Tallinn - figuriamoci il resto. Tacco dieci e tailleur dal lunedì al venerdì, mimetica e fucile mitragliatore nel fine settimana. Nel nome di patria e famiglia. Perché le biondissime ragazze del “Naiskodukaitse”, unico corpo paramilitare d’Europa, colonna portante dell’Estonia che non si arrende neppure in tempo di pace, si preparano alla guerra di tutto punto. Loro sono manager, insegnanti, tecnici informatici, perlopiù giovani e laureate; tante sono a spasso, senza lavoro dopo che la crisi economica ha fatto schizzare la disoccupazione al 16 per cento. Molte sono madri e mogli. Tutte sono volontarie, più di un migliaio; tranne una dozzina di impiegate full time, che gestiscono una macchina burocratica e di marketing che continua a fare proseliti tra il milione e mezzo di abitanti estoni, spaventati dall’ombra della Russia e dall’Europa che vacilla. «Da inizio anno si sono unite a noi più di cento ragaz-
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ze. È un modo per dichiarare l’amore nei confronti del nostro Paese. Ti assicuro che nessuno ci invaderà più», afferma Maret ricordando il 20 agosto 1991, quando l’Estonia è ritornata nella carta geografica dopo più di 50 anni di dominazione sovietica. Il ricordo del tallone di Mosca è ancora vivo nelle mille sentinelle della patria. Loro sono una divisione speciale, in rosa, della grande famiglia del “Kaitseliit”, la Lega di Difesa estone, la quale, seppur sotto tutela del ministero della Difesa, arriva ormai a contare più membri delle stesse forze armate, circa 20 mila persone in tutto. L’Estonia, come gli altri Paesi baltici, si sente sotto tiro, sballottata tra l’entusiasmo per la moneta unica, a cui ha aderito 12 mesi fa, e il timore che domani tutto si sgretoli. Per le agenzie di rating Tallinn è un modello di economia vincente, Moody’s ha appena ritoccato all’insù il giudizio, A1, sulle sue finanze. Il Pil corre furibondo, più 8,4 per cento nell’ultimo quadrimestre, primo in Europa per tasso di crescita; 14 mila nuove imprese hi-tech create dal 2008, il debito pubblico più basso del Continente, al 6,7 per cento del Pil. L’altra faccia della medaglia della cura da cavallo iperliberista a cui è stato sottoposto il Paese è la riduzione della spesa sociale, torme di disoccupati senza la rete del Welfare e quel 10 per cento di popolazione di etnia russa in fermento, considerata alla stregua di cittadini di serie B. Ecco la minaccia. Perché il nemico, reale o immaginario che sia, non è solo oltre frontie-
ra, la grande madre Russia che ha sempre trattato i baltici come naturale estensione dei suoi domini territoriali, ma dentro i suoi confini, nel terrore di ritornare a parlare tutti quanti la lingua di Putin. Per le stesse ragioni, 93 anni fa, nel 1918, nasceva il Kaitseliit, un’armata brancaleone di civili che impugnava per la prima volta una baionetta per prendersi con le armi l’indipendenza dall’Impero zarista in rovina. Nel 1927, da una costola del Kaitseliit, sorge il Naiskodukaitse, lega di difesa di sole donne, amazzoni guerriere, incaricate di supportare il gli uomini in battaglia. Oggi a vent’anni dalla fine dell’esperienza sovietica che aveva bandito ogni forma di autodifesa nazionale, quel piccolo mondo di cittadini-guerrieri è rinato, dentro le paure della fragilità europea, perché la storia non si ripeta ancora una volta. Ed è risorto a Tompea numero 8, un tetro palazzone di quattro piani, nella vecchia Tallinn, dove un tempo sorgeva il ministero della Cultura socialista. L’aquila che regge una spada è la bandiera di tutti. Una ninfea è il fiore che sta invece sulle divise delle donne, come il simbolo dei Vaps, le falangi di Arthur Sirk, il nazionalista estone che negli anni 40 corteggiava Alessandro Pavolini, ispirandosi alla brigate nere italiane. Storia passata ma che torna di moda a Tallinn, città di Skype, modelle mozzafiato ed elezioni che si celebrano col voto su Internet. Marlin Prants, 35 anni, laureata in economia, ex manager dell’It oggi disoccupata, è una vo-
lontaria modello. Religiosa, è luterana evangelica, sposata, non vede l’ora di spedire le sue tre figlie, almeno le più grandicelle, 12 e 10 anni, ai campi delle “figlie della casa”, 3 mila bimbe iscritte alla gioventù del Kaitseliit. «È una esperienza simile a quella degli scout, ma molto più formativa. Perché far parte sin da giovanissime di una divisione del Kaitseliit significa imparare i valori della famiglia, della patria e della tradizione. E anche qualche rudimento di autodifesa». E soprattutto Marlin avrà finalmente il tempo di fare il suo addestramento militare. Ogni fine settimana, per circa sei mesi l’anno, le volontarie si esercitano in corsi di sopravvivenza in condizioni estreme, immerse nella foresta tra fango e
pioggia; imparano a caricare un fucile, sparare, curare le ferite da arma da fuoco. Spiega Marlin: «Non tutte partecipano al corso estremo. Siamo un corpo di patriote che ha due anime. Una prettamente militare, l’altra più filantropica. Ci si aiuta, si collabora con polizia e protezione civile, si fa anche beneficenza. A volte prendiamo un tè tutte assieme». Maret invece è una di quelle toste, che adora l’azione. Amava la divisa da hostess nella Finnish Air. Poi i tagli della compagnia finlandese l’hanno lasciata a terra. E oggi preferisce di gran lunga la mimetica ai completi da assistente di volo. Non fa mistero di vedere con cattivo occhio i «troppi» stranieri in giro per Tallinn. E non solo gli extracomunitari. Ma anche quei russi, tanti, che non hanno preso neppure la nazionalità estone. Parlano russo, sono il serbatoio della disoccupazione, e spesso riempiono le fila della microcriminalità, e per loro il passaporto porta ancora la scritta “alieni, né russi né estoni”. A gennaio del 2011 l’Estonia ha fatto il suo ingresso con successo nell’euro, il 19esimo Paese nella moneta unica, una scelta che qualcuno comincia a rimpiangere. In base a un sondaggio commissionato dalla tv pubblica, un estone su due non si fida dell’Europa, mentre due su tre dicono di dare piena fiducia ai corpi paramilitari nazionali. Il sentimento di timore e smarri-
mento, che motiva tante volontarie, è palpabile. Dice Marlin Prants: «Ho paura che alle mie figlie venga negata la possibilità di parlare estone, come è successo a mia madre e ai miei nonni. Ho paura che l’indipendenza venga messa in discussione. E che le 50 ex basi sovietiche sparse per l’Estonia tornino a riempirsi di soldati russi. La crisi dell’euro è la crisi dell’Europa, temo che tutto si sfasci ancora una volta. Ma noi siamo preparate al peggio». Eppure a Tallinn c’è il centro della Nato sulla cyberwar, gli Stati Uniti contribuiscono per milioni di dollari alla difesa militare dell’Estonia. «Il pericolo non è tanto esterno, quanto interno», suggerisce Kersti Podmosensky, vice presidente di Naiskodukaitse: «Viene da quei russi che non si vogliono adattare. Ma non tutti sono così. Nel distretto di Narva, alcune ragazze di origina russa sono entrate a far parte del nostro corpo». Quando il premier Andrus Ansip, nonostante sia un uomo, ha preso la tessera numero uno del gruppo paramilitare si è scatenato un putiferio. Un’informativa dei servizi segreti russi ha reso noto il disappunto di Mosca. La Russia vede come fumo negli occhi ogni mossa della Difesa di Tallinn (il 2 per cento del Pil del Paese va all’esercito), che ha appena sfornato un disegno di legge per il riconoscimento di quei combattenti estoni che durante la seconda guerra mondiale vestivano la divisa delle Waffen-SS. Stando alle cronache russe il corpo paramilitare estone, in passato, avrebbe trafficato in armi con la guerriglia cecena e altri nemici di Mosca. Le ragazze del Naiskodukaitse trasecolano. «È vero che il nostro corpo è composto quasi esclusivamente da estoni. Siamo una organizzazione nazionalista, fortemente attaccata alle radici. Ma facciamo riferimento al ministero della Difesa. Non siamo cani sciolti. Siamo solo sentinelle, dormienti». Fino alla prossima battaglia. ■ 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 67
Reportage Nordafrica un anno dopo
È ANCORA PIAZZA TAHRIR In Egitto gli islamisti hanno vinto le elezioni. E stretto un patto di potere coi militari. Ma i giovani del Cairo non si arrendono. Seconda puntata del rapporto dell’Espresso sulla Primavera araba DI FEDERICA BIANCHI DAL CAIRO - FOTO DI DAVIDE MONTELEONE
CASE IN COSTRUZIONE AL CAIRO. A SINISTRA: MESSA NELLA CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DI ZEITOUN AL CAIRO
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Reportage
A scuola dai salafiti Alcune ragazze durante una lezione in una scuola gestita dalla comunità salafita ad Haghenna, una delle aree più povere del Cairo. Sotto: la nuova sede dei Fratelli musulmani. A destra: la capitale vista dal quartiere di Zamalek
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Reportage
U Si convive sul campo di calcio Una partita di calcio con atleti di tutte le confessioni religiose. A destra: la sede del quotidiano “Tahrir”, nato dopo la rivoluzione dell’anno scorso. Sotto da sinistra: la vita in uno dei quartieri poveri del Cairo e Port Tawfik, il terminal che chiude a sud il canale di Suez
n anno dopo, piaz za Tahrir, l’epicentro della rivoluzione egiziana, non è più la stessa. È divisa. E se gli spazi fisici sono lo specchio di quelli mentali, allora lo è profondamente. In occasione della commemorazione dell’anniversario della rivoluzione, lì all’angolo dove si trova il fast food americano Hardee’s e s’innalzano le mura dell’antico palazzo dell’Università americana del Cairo, sorgono tre palchi separati: quello con gli altoparlanti a tutto volume appartiene ai Fratelli musulmani; di fronte gli striscioni violaoro ornano quello dei progressisti, un termine generico che include tutti i non islamisti, dai comunisti radicali ai liberali; e un po’ più appartato, verso l’imbocco della strada che porta al ministero degli Interni, sorge quello più piccolo dei salafiti, gli islamici ultraconservatori, seconda forza politica in Parlamento, con gli uomini dalle lunghe barbe e le donne dal volto sigillato con veli neri. È l’Egitto (ultima tappa del viaggio de “l’Espresso” nei paesi della primavera magrebina) la vera cartina di tornasole delle sollevazioni che un anno fa hanno messo in moto il cambiamento dell’assetto politico e sociale dei Paesi affacciati sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Sarà il gigante africano, nell’orbita americana dal tempo degli ac-
I RAGAZZI PIANO PIANO IMPARANO A FARE POLITICA. GIRANO PER I QUARTIERI E I MERCATI PER SPIEGARE LE LORO RAGIONI. E RIESCONO A RACCOGLIERE PROSELITI 72 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
cordi di Camp David, a rivelare se il cambio di regime chiesto con il sangue da interi popoli sfocerà al massimo in una sostituzione del dittatore di turno o se questa volta sarà diverso per davvero, e l’anelito democratico di ventenni in jeans e smartphone riuscirà a disegnare regimi meno oppressivi e a scolpire nel volto dell’Islam tratti meno arcaici. E dell’Egitto piazza Tahrir e il sismografo che ne segnala gli umori. Gli altoparlanti dei Fratelli musulmani, che con quasi il 50 per cento dei seggi nel nuovo Parlamento sono la forza politica principale, amplificano senza sosta canzoni euforiche che inneggiano alla vittoria. «La rivoluzione è stata un successo per loro, e anche per Israele e gli Stati Uniti che pensano solo a tutelare i loro interessi nella regione», racconta Wael Abbas, uno dei più noti blogger della rivoluzione, sorseggiando un latte macchiato da Belady, il piccolo caffè nato sulla piazza per iniziativa di un gruppo di rivoluzionari e subito diventato il nuovo luogo d’incontro della gioventù politicamente impegnata. «Per noi invece questi giorni di gennaio sono l’occasione per rinnovare l’impegno per la rivoluzione». E poi aggiunge: «Non sarà finita finché i militari non abbandoneranno il potere e i martiri troveranno giustizia». Mentre parla dalle vetrine di Belady’s s’intravedono le luci di un’ambulanza. In piazza c’è grande agitazione. Un gruppo di manifestanti ha sollevato le scarpe contro il palco dei Fratelli che sono stati costretti ad abbassare il volume degli altoparlanti fino a spegnerli. «Venduti!», gridano. Volano pietre. «Traditori!». Una parte della piazza, e del Paese, non perdona loro di essersi coalizzati con i militari, prima votando “sì” ad un 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 73
Reportage Gheddafi junior lo processiamo qui
PROTESTA A PIAZZA TAHRIR DURANTE IL PROCESSO A MUBARAK E OPPOSITORI E FANS ALL’ESTERNO DEL LUOGO DOVE SI CELEBRA IL PROCESSO
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I FRATELLI MUSULMANI HANNO LA MAGGIORANZA. A LORO GUARDANO COME A UN MODELLO ANCHE GLI ISLAMISTI DELLA VICINA CIRENAICA gazzi del popolo e con i video dei soldati che ridono sui tetti mentre i cittadini sono pestati a sangue. «Sta funzionando», continua El Sayed: «Alla manifestazione dello scorso 25 gennaio hanno aderito decine di migliaia di persone. Ho ancora speranza di riuscire a spezzare la morsa in cui è presa la rivoluzione: da una parte l’esercito, dall’altra gli islamisti». In mezzo, tanta ignoranza. Per accorgersene basta fare una passeggiata tra i vicoli in terra battuta di Imbaba, uno dei quartieri più poveri della capitale e l’enclave islamista del Cairo, un tempo nascondiglio dei jidahisti in partenza per l’Afghanistan. Le strade che separano le palazzine di stampo sovietico sono strettissime, colorate di immondizia e perforate dalle buche. Intorno, tante bancarelle, frutta e verdura, qualche giocattolo, dolci, nemmeno un libro o un giornale. In compenso i caffè all’aperto sono ovunque: minuscoli, sporchi, solo per uomini, con l’immancabile televisione sintonizzata su una
partita di calcio o sulle parole di qualche predicatore del Golfo. Tre donne con l’abaya, un copriabito nero lungo fino ai piedi, scendono da un risciò a motore, il principale mezzo di trasporto del quartiere. «Mio nipote mi ha detto di votare per i Fratelli musulmani. Ci ha spiegato che sono uomini pii e timorati di Dio. E che ci aiuteranno». «La gente ha preso a rivolgersi agli islamisti, soprattutto i Fratelli musulmani, a partire dagli anni Settanta, dopo che i socialisti non erano riusciti asoddisfarne i bisogni: per questo hanno vinto», racconta Ahmed Saif El Islam, l’ex direttore del Centro Ishak Mubarak per la difesa dei diritti umani e membro del Consiglio di consulenti del governo voluto dai militari: «Adesso però il successo ne ha ridotto la capacità di manovra. Dovranno scendere a patti con tutte le forze politiche per non spaventare o deludere nessuno. E se falliranno come forza di governo sarà la fine del movimento in tutto il mondo arabo».
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referendum per la modifica di alcuni articoli costituzionali diventato una sorta di giudizio a favore o contro l’esercito, e poi iniziando a tessere quello che l’opposizione parlamentare definisce “un accordo sottobanco”. L’obiettivo è garantire allo SCAF, il Consiglio di sicurezza delle forze armate, oggi organo esecutivo, il controllo sul Paese anche dopo l’elezione di un nuovo presidente e, naturalmente, l’immunità per le migliaia di rivoluzionari uccisi nel 2011. La contropartita è la compartecipazione degli antichi nemici al potere. «Lo SCAF è riuscito a separare i giovani rivoluzionari dalle masse», spiega qualche momento dopo Khaled El Sayed, un maglione verde sopra una camicia rossa. Lui, 28 anni, socialista per convinzione e fondatore del Movimento dei giovani per la Giustizia e la Libertà, è uno dei “generali” della rivoluzione. Uno di coloro che l’ha cercata, programmata e combattuta in prima linea. Dietro aveva un Paese composto al 55 per cento di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, al 40 per cento non sanno né leggere né scrivere e vedono nella moschea l’unica istituzione che corre loro in aiuto. «L’anno scorso abbiamo fatto un discorso troppo aggressivo con la gente, accusandola di essere passiva, di essere un peso per il cambiamento. Adesso ci siamo resi conto che dobbiamo coinvolgerla». La nuova strategia include due campagne di successo lanciate dai rivoluzionari nelle scorse settimane nelle piazze d’Egitto. Con la prima denunciano l’inganno dei cittadini da parte di un esercito che nasconde i suoi delitti e definisce gli eroi «terroristi» o «teppisti» istigati da forze straniere. Con la seconda chiedono di ottenere per le vittime “al qasas», un concetto fondamentale dell’Islam e che da noi è una via di mezzo tra la giustizia e la vendetta. Non si limitano alle parole. I figli della ristretta élite egiziana, quel 10 per cento che girava in macchine con l’autista, adesso ha preso a camminare per i mercati sudici con le foto degli agenti in azione mentre uccidono i ra-
Tra chi ne osserva le mosse ci sono anche i Fratelli della Cirenaica, la culla della rivoluzione libica. Considerati troppo estremisti dalla gente, fino ad oggi sono rimasti completamente in sordina. Ma ora che Bengasi si è stancata della guida del Consiglio transitorio nazionale, giudicato incapace di rispondere alle esigenze quotidiane della regione e accusato di metodi decisionali non democratici, cominciano a fare sentire la loro voce presentandosi un’alternativa basata sul merito e non sui rapporti di clan, scelta dalla gente e non imposta da un elite compromessa con Gheddafi. A inizio gennaio hanno organizzato un incontro pubblico in Università dal titolo “Avete sentito parlare di noi, ora venite a sentirci parlare”. Non ha avuto un grande seguito, ma ha lanciato un segnale forte. A raccoglierlo è stata anche Iman Bourghiba, con le sue sorelle, fratelli, mariti e cugine, rivoluzionaria dal primo giorno. Come la sorella Salwa e la cugina Wafa è tra le rarissime donne del-
la città a non portare il velo, a parlare inglese e a negoziare con gli uomini nelle stanze del potere. Hanno provato a candidarsi ma non le hanno volute. Dicono che la famiglia Bourghiba sia troppo visibile. Iman ha fatto un passo indietro, forse anche più del previsto. «Che hanno fatto i liberali fino ad ora?», mi dice a un anno dall’ultimo incontro: «Nulla. La città è senza un soldo. Il Consiglio di transizione nazionale è debole e non democratico. Gli unici che hanno una struttura capace di riportare sicurezza e fare ripartire l’attività economica sono i Fratelli musulmani», continua seduta a un tavolino dell’hotel Tibesti: «Sono accusati di avere un piano. E allora? Chiunque ha potere ha un piano. Anche io ho un piano. E non mi dire che trattano male le donne. Qui il problema femminile è una questione di testa, non di religione. Ci vorranno anni per cambiare mentalità. In ogni caso adesso è il momento dell’Islam. L’Occidente deve farsene una ragione». ■
Saif El Islam, il figlio di Muhammar Gheddafi che avrebbe dovuto diventarne l’erede politico, potrebbe essere trasferito a breve da Zintan, nella cui prigione si trova rinchiuso, a Tripoli per essere processato in Libia. A raccontarlo è Ahmed El Gehani, docente di diritto generale all'Università di Bengasi e di diritto comparato all’Università di Tor Vergata a Roma. Italiano perfetto, è lui il delegato del Consiglio nazionale di transizione presso il Tribunale dell'Aja, lui che si occupa da mesi di coordinare il gruppo di lavoro che raccoglie denunce e prove contro Saif al Islam e Abdullah al Senussi, il capo dei servizi di sicurezza. «Dei tre imputati all'Aja uno è morto (Gheddafi), l’altro l'abbiamo preso e il terzo (al Sanussi) è latitante, anche se molto probabilmente si trova a Ghira, nel sud del Paese, protetto dalla sua gente. Ma la cattura è solo questione di tempo», spiega nel suo ufficio con vista su Bengasi. «Saif sarà processato a Tripoli in modo da soddisfare la richiesta popolare», continua, consapevole della sete di giustizia dei libici. Il sistema penale in vigore in Libia è ancora quello basato sul codice Rocco varato durante il regime di Mussolini nel 1930 ed adottato dalla Libia durante l'occupazione coloniale italiana. In base alla gravità e alla moltitudine dei crimini e alla vastità delle prove è molto probabile che venga condannato alla pena capitale. «Fotografie, ordini, testimonianze: ci sono prove sufficienti per condannarlo a morte dieci volte». Tra gli orrori perpetrati contro il suo popolo, oltre agli omicidi, c’è l’incitamento allo stupro di massa. Sono quasi sette mila le denunce di stupro registrate dalle autorità fino ad ora. Un numero che fotografa il fenomeno per difetto perché in una cultura conservatrice come quella libica le vittime non denunciano questo tipo di reato che le “disonora” a vita. Nel frattempo la squadra investigativa di El Gehani ha raccolto anche centinaia di prove che inchiodano Saif per i reati finanziari commessi prima dello scoppio della rivoluzione e per i quali il tribunale competente è quello libico. Sono gli unici reati per cui ha accettato di collaborare con gli investigatori. Nella sua prigione a Zintanha ha rifiutato un avvocato, disconosciuto l’autorità dell'Aja e rifiutato le visite degli emissari del Tribunale internazionale. F. B.
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n. 6 - 9 febbraio 2012
Minxin Pei Senza frontiere
Sindrome cinese tra i repubblicani Usa elezione del presidente negli Stati Uniti suscita sempre agitazione presso le altre grandi potenze. Nel sistema politico americano, il presidente ha poteri limitati negli affari nazionali: poco più dell’attuazione delle leggi approvate dal Congresso. In materia di politica estera, invece, la sua autorità è enorme, anche perché è lui il comandante in capo delle forze armate. Ne consegue che, quando cambia l’occupante della Casa Bianca, Washington può cambiare radicalmente la sua politica verso un dato paese . DI TUTTI I PAESI che stanno seguendo con attenzione quella che si presenta come un’interminabile campagna presidenziale negli Stati Uniti, la Cina è quello che più si deve preoccupare. In passato, i candidati alla presidenza di entrambi partiti, repubblicano e democratico, hanno sempre sostenuto in campagna elettorale di essere intenzionati a mostrare il pugno fermo verso la Cina. Nel 1980, per esempio, Ronald Reagan, ventilò la possibilità di ristabilire i rapporti diplomatici con Taiwan, una mossa che avrebbe spinto la Cina a rompere i rapporti con gli Stati Uniti. Nel 1992, Bill Clinton definì i leader cinesi «i macellai di Pechino», impegnandosi a porre fine allo status di partner commerciale privilegiato della Cina se il paese non avesse fatto progressi sul fronte dei diritti umani. Nella sua campagna presidenziale, George W. Bush definì la Cina un «concorrente strategico». L’impegno durante la campagna elettorale a mostrare fermezza nei confronti della Cina ha solitamente avvantaggiato in un modo o nell’altro i candidati che lo hanno proclamato: Reagan per avvicinarsi alla base più conservatrice e anticomunista
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del partito repubblicano; Clinton nel tentativo di ingraziarsi i sindacati e gli attivisti per i diritti umani; Bush per mostrare le sue credenziali di falco nelle questioni di sicurezza nazionale. Non sorprende quindi che uno dei principali candidati repubblicani, Mitt Romney, si mostri fermo nei confronti della Cina. Nessuno degli altri candidati repubblicani ha finora sollevato la questione cinese. Romney invece le ha dato priorità nella sua agenda per la politica estera. Ha promesso di far passare delle leggi che definiranno la Cina un paese che «manipola la valuta» e che imporranno sanzioni commerciali se Pechino non permetterà l’apprezzamento del renminbi. I principali obiettivi politici della posizione assunta da Romney è evidente. Il primo è differenziarsi dal presidente Barack Obama, che finora ha rifiutato di definire la Cina un paese che «manipola la propria valuta». Secondo, spera che questa posizione ferma gli procuri i voti degli operai americani, che sono le prime vittime della delocalizzazione del settore manifatturiero ad alta intensità di manodopera. LA POSIZIONE DI NEWT GINGRICH è motivata probabilmente dalla stessa logica. Nelle primarie nel South Carolina, Gingrich è stato più tempestivo di Romney nel
I due candidati Romney e Gingrich hanno posizioni dure su Pechino. Ma in caso di vittoria elettorale faranno dietrofront
proclamare la sua intenzione di attaccare Obama sul commercio con la Cina nel caso vincesse la nomination repubblicana. SE IL PASSATO INSEGNA qualcosa, probabilmente tutti questi candidati repubblicani presto si pentiranno dell’accento intransigente della loro retorica, perché tradurlo in politiche concrete che regolino i rapporti commerciali con la Cina equivarrebbe a innescare una guerra commerciale distruttiva. Una volta conquistata la Casa Bianca, i loro predecessori hanno tutti dovuto abbandonare le politiche della fermezza verso la Cina. Reagan non ristabilì i rapporti con Taiwan. Clinton lasciò invariato lo status dei rapporti commerciali con la Cina. George W. Bush cambiò linea politica quando si trovò costretto a dover poter contare sulla cooperazione cinese dopo l’11 settembre. Romney o Gingrich presidenti non costituiranno una eccezione. Data l’importanza della Cina per l’economia statunitense, sarebbe folle pensare che gli Stati Uniti possano punire la Cina senza darsi la zappa sui piedi. La Cina detiene l’equivalente di circa 2 mila miliardi di dollari in debito sovrano americano. È il secondo partner commerciale degli Stati Uniti e un mercato per le esportazioni americane in via di espansione. Le principali corporation statunitensi hanno investito in Cina circa 110 miliardi di dollari, da cui ricavano ora una quota significativa dei loro profitti. Per tutti questi motivi, se i repubblicani vincessero a novembre, è lecito aspettarsi che il nuovo presidente faccia dietrofront sulla linea di fermezza verso la Cina. Ciò sarebbe semplice per Romney e solo un pò più complicato per Gingrich.
Cultura FRANCINE HOUBEN: L’ARCHITETTURA SENZA ARCHISTAR
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CLASSICA, ANZI ETERNA
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SANREMO È ROCK
Protagonisti di Riccardo Lenzi
DA BARENBOIM ALLA SCALA L’estroverso Florestano e il lirico, pensoso Eusebio, personaggi di fantasia che Schumann ideò per spiegare la propria complessa personalità musicale, potrebbero ben rappresentare l’arte di Omar Meir Wellber, il trentunenne direttore d’orchestra israeliano protagonista di “Aida” di Verdi sul podio della Scala dal 14 febbraio (per la regia di Franco Zeffirelli e le voci di Oksana Dyka, Roberto Tagliavini, Marianne Cornetti, Jorge De Leon e Roccardo Zanellato). Considerato uno dei più giovani e talentuosi conduttori emergenti, è fino al 2014 direttore musicale del Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia. Un interprete che ha conquistato anche gli esegeti del melodramma nostrano, coinvolgendoli con esecuzioni appassionate, costruite con mestiere e raziocinio (di qui l’analogia tra Florestano ed Eusebio). La Scala, dopo averlo fatto esordire con “Tosca”, l’ha prenotato per i prossimi due anni affidandogli, oltre ad “Aida” (che bisserà nel 2013), anche il “Werther” di Massenet (2014). Garantisce per lui Daniel Barenboim, del quale Wellber dice: «C’è un rapporto molto forte con lui: imparo più
OMAR MEIR WELLBER
da una sua frase che in un anno in giro per il mondo. Ci parliamo in ebraico, lingua che quasi mai possiamo usare nel nostro lavoro». Il debutto in Italia avvenne proprio con “Aida”, nel 2008: «Fu una
delle cose più bizzarre della mia carriera. Era un “last minute”, non avevo nemmeno la partitura, studiai l’opera in una settimana», ma fu un successo di pubblico e di critica.
Festival
Teatro in Rete
Tre lectio magistralis d’amore con i migliori: Vittorio Sermonti, scrittore e latinista, Claudio Strinati, storico e critico d’arte e nel giorno di San Valentino con il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti. Poi, le “Lettere del cuore” con Antonella Boralevi, i “Menu d’amore” con lo star-chef Spyros Theoridis e le “Parole d’Amore”, il confronto con Dacia Maraini, Valerio Magrelli, Sergio Rubini. Sono alcuni degli appuntamenti clou del Festival dell’Amore narrato dal 12 al 14 febbraio all’Auditorium Parco della Musica di Roma (www.romanticamente.eu). Un percorso filosofico, letterario, artistico, poetico, fotografico e sentimentale, nato da un’idea di Maria Luisa Migliardi ed Elisabetta Putini per un viaggio senza bund e senza spread finalmente.
Cinque scrittori, cinque storie inedite per la radio e un progetto innovativo per l’Italia: trasformare il radiodramma in audiodramma passando dal teatro al Web. L’idea è della Fonderia Mercury che ha coinvolto Carlo Lucarelli, Pino Corrias, Sandrone Dazieri, Andrea Bajani e Massimo Carlotto in un evento chiamato “Autorevole”. I testi, adattati da Sergio Ferrentino, saranno registrati al teatro Elfo Puccini di Milano. I primi tre appuntamenti in programma sono “Radiogiallo” di Lucarelli (25 febbraio), “Il Contabile e le murene” di Corrias (24 marzo) e “Le madri atroci” di Dazieri (28 aprile). Nella stagione teatrale successiva toccherà ai testi di Bajani, Carlotto e altri. I podcast saranno acquistabili dal sito della Fonderia Mercury. Roberto Calabrò
Tutti dicono ti amo
Ascolta, si fa Web
traduzione di Guiomar Parada
Se ne parla su www.espressonline.it
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Cultura
L’ARCHITETTURA È
DONNA
Il grattacielo Montevideo a Rotterdam, progettato da Francine Houben dello studio Mecanoo (sopra)
Grattacieli, musei, megabiblioteche. Con lo sguardo femminile della new wave olandese, Francine Houben contesta le archistar e conquista il mondo DI ENRICO AROSIO
affè caldo, cannella, foglie morte. Ci si lascia alle spalle gli odori di Delft, città di canali e maioliche, si sfiora la torre pendente della Oude Kerk, la chiesa del 1300, e si entra nello studio Mecanoo, dove la titolare, Francine Houben, donna architetto tra le migliori su scala globale, pranza all’italiana: pomodori, mozzarella e basilico. Negli ultimi due anni anche nella avanzata Olanda quasi il 40 per cento degli architetti è rimasto senza incarichi, e invece i Mecanoo progettano come draghi in patria e fuori. Danno lavoro a sempre più persone, oltre 90, di 25 nazionalità, e hanno aperto uno studio anche in Inghilterra, a Birmingham, dove nell’era del Virtuale stanno realizzando un oggetto totalmente fisico come la nuova Biblioteca pubblica, la più grande d’Europa. È una megastruttura culturale su dieci livelli collegati da scale mobili. Un investimento monstre, 190 milioni di sterline: la seconda città britannica, dopo gli anni del declino industriale, vuo-
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le rilanciarsi come hub culturale. Questa è una storia atipica, in piena crisi dell’area euro. Francine Houben ha fatto tutto da qui, a Delft, un quarto d’ora dall’Aja e 20 minuti da Rotterdam, dove abita. A Delft si è formata, laureata, ha iniziato a lavorare a 25 anni: «Lo studio l’abbiamo fondato nella mia camera da letto di studente», sorride ironica agitando una mozzarellina: «Poi c’era un po’ troppo traffico in questa camera da letto, e abbiamo deciso di allargarci». E con la mano questa donna alta e svelta, capelli rossi, occhi chiari, bella collana, indica dove siamo: una magione settecentesca di Oude Delft, sul canale più antico, disegnata da un architetto italiano, con 40 metri di corridoio in marmo: già palazzo patrizio, congregazione di carità, ospedale, ora è tutto di Mecanoo, nome che deriva dal Meccano, il gioco di costruzioni inglese, e da un pamphlet di Theo van Doesburg, l’avanguardista degli anni Venti. Com’è che Mecanoo lavora più degli altri, e a comandare è una signora? Le donne architetto a capo di studi importanti, sono, nel mondo, una rarità. «Fino ai 50 anni ho evitato di parlare di me come architetto donna, non mi pareva rilevante. Ma ho cambiato idea. Mi rendo conto che siamo poche. A questi livelli è un mestiere tosto, giorno e notte, sempre in volo, su e giù dagli aerei. Io sono stata la prima prof donna in cattedra alla Technische Universiteit. E ho anche avuto tre figli». Da un altro architetto di Rotterdam, Erick van Egeraat, da cui si separò anni fa. In Olanda, è pensiero comune, le pari opportunità di genere sono garantite. «Non è così», interrompe: «Da una trentenne con tre bambini, anche qui, specie nel Sud cattolico dove sono nata, ci si aspetta che stia a casa a crescerli». Più tardi accennerà al fatto che le più celebrate architette viventi, come Zaha Hadid o la giapponese Kazuyo Sejima, non hanno figli. Oggi Francine Houben ha tre partner di studio (una è donna) e molte giovani collaboratrici. Birmingham è un caso interessante. La Library esistente era un pesante ziggurat rovesciato in cemento armato del 1974, un vero pezzo di architettura brutalista. Il progetto di Mecanoo, invece, è traslucido, mosso, con una decorazione esterna metallica che è un continuo arabe9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 79
Cultura Miracolo ad Amsterdam
ta cultura musicale, artistica, politica: «Intuition takes me everywhere». Poi spiega: «Io affronto il progetto di uno spazio pubblico, che sia un parco urbano o un auditorium, dal punto di vista dell’utente. O anche di un bambino. L’esperienza di un bambino è molto importante: il senso spaziale si sviluppa intorno ai cinque anni. Inoltre do grande valore all’aspetto sensoriale: superfici, colori, suoni, persino odori. L’architettura dovrebbe ricordarsi sempre che un anno è fatto di quattro stagioni». Nei Paesi Bassi le stagioni sono marcate, ce lo ricorda la storia dell’arte: dalle ondate di tulipani in primavera (van Gogh) ai canali ghiacciati d’inverno (Bruegel). Dalla sua casa di Rotterdam, racconta, ha un colpo d’occhio cangian-
Francine e le sue sorelle Ecco le più importanti donne architetto in attività a livello internazionale FRANCINE HOUBEN. Olandese, 55 anni, leader dello studio Mecanoo di Delft, esponente di punta della Dutch wave dell’architettura contemporanea. Lavoro più premiato: torre Montevideo a Rotterdam, 2005. Nuovo grande progetto: Biblioteca pubblica di Birmingham, 2013. ELIZABETH DILLER. Figlia di immigrati polacchi, dirige Diller Scofidio + Renfro di New York. Tra i lavori più noti, il parco lineare High Line e il ridisegno del Lincoln Center a Manhattan, l’Institute for Contemporary Art di Boston. Intellettuale engagée, insegna alla Princeton University. JEANNE GANG. Americana dell’Illinois, 45 anni, formatasi a Harvard e Zurigo, titolare di Studio Gang Architects di Chicago. Tra i suoi lavori Usa il più noto è Aqua, grattacielo innovativo nella sua città, dal disegno espressionista, il più alto edificio al mondo disegnato da una donna. 80 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
ZAHA HADID. Anglo-irachena nata a Baghdad, lauree in matematica e architettura, ex allieva di Rem Koolhaas, lavora a Londra. Esponente controversa di un’architettura di ricerca neo futurista. Tra le opere più importanti, la sede Bmw di Lipsia, il Maxxi di Roma, l’Aquatics Center per Londra 2012, l’Opera di Guangzhou in Cina. KAZUYO SEJIMA. 55 anni, leader dello studio Sanaa di Tokyo, con Ryue Nishizawa. Pritzker Prize 2010, prima donna a dirigere la Biennale Architettura. Figura leader del minimalismo. Opere recenti in occidente: Zollverein School di Essen; Museum of Contemporary Art, New York; Rolex Center, Losanna. BENEDETTA TAGLIABUE. Nata a Milano nel 1963, laureata a Venezia, da vent’anni a Barcellona. Guida lo studio Embt (fondato dal marito Enric Miralles). Dopo molti lavori in Catalogna, ha realizzato il Parlamento scozzese a Edimburgo, il padiglione Spagna all’Expo di Shanghai.
Sul Museumsplein di Amsterdam gli operai hanno smontato i ponteggi, ed è apparsa lei, la Vasca da Bagno. The Bathtub, come dicono, dissacranti, gli olandesi. Cittadini, critici, intellettuali si accapigliano dal 2004, quando lo studio Benthem Crouwel vinse il concorso: chi lo ritiene uno sfregio all’identità cittadina, chi una nuova icona della museografia. Parliamo dell’estensione dello Stedelijk, uno dei migliori musei al mondo di arte moderna, da Cézanne fino a Ron Arad. Dal 2010 è diretto da una donna, Ann Goldstein, arrivata dal Moca di Los Angeles. La Vasca da Bagno raddoppia verso il parco i volumi dell’edificio neo rinascimentale in mattoni rossi (1895). E il contrasto non potrebbe essere più stridente. L’ala nuova è una vascona rivestita in bianco, appunto, di 100 metri per 40, sorretta da sole quattro colonne. La pelle è un composito basato su Twaron e Tenax, fibre aramidiche e di carbonio prodotte da un’azienda giapponese. Il flusso visitatori sarà convogliato da clamorose scale mobili genere shopping mall che si tuffano e risalgono dal sottosuolo. La sede storica guadagna così altri 8 mila metri quadri di spazi espositivi, auditorium, cinema, libreria, ristorante. Interni semplici e puliti, invece: pareti bianche, parquet in legno ucraino. Per risparmiare almeno su quello, visto che il New Stedelijk sembra una vicenda all’italiana: budget impazziti, dirigenti saltati, ritardi continui. Se va bene aprirà dopo otto anni, alla fine del 2012. E. A.
RENDERING DI DUE PROGETTI DELLO STUDIO MECANOO: IL WEI-WU-YING CENTER FOR THE ARTS DI TAIWAN (SOPRA) E LA BIBLIOTECA DI BIRMINGHAM (A DESTRA). IN BASSO: L’AUDITORIUM LA LLOTJA A LERIDA, SPAGNA
te lungo i 12 mesi, le strade, i colori, le nubi che ridisegnano il cielo. «Ecco, quando parlo di queste cose ai miei clienti, mi rendo conto che sto ragionando da donna». A quanto pare si fa capire, anche in luoghi lontani. Tra i nuovi incarichi di Mecanoo ci sono un golf club tra verdi colline in Sud Corea; il Center for the Arts a Kaoshiung, città portuale in forte sviluppo che è un po’ la Rotterdam di Taiwan; ma anche il progetto strategico di Delft, Municipio e Stazione ferroviaria combinati in un unico complesso su vari livelli. Niente in Italia, peccato. La mobilità è un tema che l’appassiona. In viaggio fotografa moltissimo, armata di obiettivi grandangolari. Negli anni di docenza all’Università di Delft (nel 2007 ha anche insegnato a Harvard) la sua cattedra era Estetica della mobilità. Nulla di più olandese: dove lo scenario visto dai finestrini di un treno è un alternarsi di paesaggio agricolo orizzontale e intenso spazio urbano, un’intermittenza sempre di qualità, e spesso ottima: dalle periferie residenziali alle scuole, dagli impianti sportivi ai centri uffici, dagli ospedali ai parcheggi per bici. L’Olanda, così piccola e densa, in lotta con l’Atlantico da secoli, è un formidabile caso di urbanistica diffusa, in perenne negoziato con la sostenibilità ambientale ed energetica. Mecanoo ha successo perché offre progettazione avanzata sulle scale più diverse: dal ridisegno urbano al landscaping al design. In Italia, nel dopoguerra, Ernesto Rogers teorizzava, da
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sco a motivi circolari, di effetto quasi floreale: un passaggio quasi simbolico dal macho al femminile. «Sono nel mio “periodo circolare”», chiosa lei, con aria scherzosa. Perché il cerchio? «La scelta rievoca il passato industriale, cantieristico di Birmingham, con i grandi depositi e silos a pianta circolare. È come un saluto al passato, e un invito al dialogo in una città piena di giovani e fortemente multiculturale. Una reazione al declinismo, anche, com’è successo a Manchester». Resta una questione che con le architette, dai tempi di Ray Eames e Charlotte Perriand, non è mai stata chiarita a fondo: esiste un approccio femminile al progetto? E qui Francine parla del rapporto tra analisi e intuizione. E dell’importanza della dimensione sensoriale e tattile. Lo spirito intuitivo, ritiene, è certo qualcosa di femminile; lo sottolinea nel decalogo, i “Mecanoo statements”, che sottopone ai nuovi collaboratori (punto 9: «Puoi provare ad analizzare qualsiasi cosa, ma molto ha a che fare con l’intuizione»). Cita volentieri un verso di John Lennon, perché Francine è un’ex ragazza anni Settanta con adegua-
umanista, il mestiere «dal cucchiaio alla città». Da Francine Houben impariamo che in neerlandese c’è un’espressione quasi identica: «Dalla sedia alla città». Qui a Delft nacque Vermeer, il pittore rinascimentale della luce. Da Rotterdam, dove lei abita, partivano i navigatori diretti alle Indie, a Sumatra, in Borneo. Le Grachten, i canali di Amsterdam, sono un’enciclopedia vivente del Seicento borghese e aperto al mondo. Eppure gli olandesi non soffrono di alcun complesso della storia. La Stazione di Delft avrà un linguaggio avanzato, un corpo vetrato con un’immensa hall dal soffitto a motivi blu ceramica, proiettato nel futuro della mobilità interurbana. Il progetto di Taiwan è addirittura biomorfo, scultoreo, bianco come un lenzuolo mosso dal vento. Francine lo spiega come un «tropical building», che nei rapporti aperto-chiuso, luce- ombra si ispira ai boschi di fico baniano; eppure è in ferro e alluminio. In Catalogna, invece, a Lerida, ha usato per l’auditorium La Llotja una pietra naturale quasi arancione, come scaturita dalla
crosta della terra. La varietà linguistica è un punto di forza. «Gli olandesi, dice?». Pausa. «Penso che abbiamo alcuni tratti comuni: amore per la tecnica, apertura mentale, modi diretti. Il valore che diamo al lavoro di squadra. L’attitudine a non esibire la propria ricchezza». Vero: il bike power, il potere alle biciclette nell’uso urbano è la miglior metafora della democrazia olandese, che è un fatto profondo, indipendente dall’alternare del consenso politico (oggi governa la destra, con accenti nazionalisti e anti-immigrazione prima sottaciuti). «Non dimentichi», sorride Francine, «che mi sono formata negli anni Settanta. L’architetto ha una responsabilità sociale. A questo io credo ancora: infatti Mecanoo continua a realizzare edilizia a basso costo, anche se interessa meno alle riviste di architettura…». I grandi budget, però, sono spesso legati a grandi architetture iconiche. I cosiddetti landmark urbani. Anche Mecanoo ha creato qualche landmark: uno, lodatissimo dalla critica, è il grattacielo
Montevideo (2005) sul molo Wilhelmina a Rotterdam, una splendida torre grigia e rossa con elementi derivanti dalle avanguardie moderniste anni Venti che ha messo in ombra le vicine torri di eroi mediatici come Norman Foster, Alvaro Siza, Renzo Piano. «L’icona?», dice: «A me interessa poco. Io voglio portare coerenza. Voglio attivare forma ed emozione. Un solo elemento, quello morfologico, non può essere dominante. Fare architettura è riuscire a portare a sintesi funzioni, bellezza ed elementi sensoriali». Gli architetti olandesi sono ritenuti, oggi, tra i migliori d’Europa. Merito delle scuole di eccellenza, Delft e Eindhoven. Merito di una cultura di governo e di amministrazioni locali che danno all’architettura peso e valore. Ma tra di loro sono meno vicini di quanto uno s’immagini. Il carismatico Rem Koolhaas dello studio Oma, per Francine Houben, non è un guru, ma un collega come altri: «Sa, Oma e Mecanoo sono nati negli stessi anni…». Winy Maas e Mvrdv, René van Zuuk, Ben van Berkel, Onl, Zeinstra van der Pol, i vari nomi della Dutch wave: «Ci conosciamo, ma non è che ci si frequenta per forza». Tutto molto easy, antiretorico. Il divismo (che pure esiste, vedi Koolhaas) qui non dà prestigio, diversamente dall’Italia; è estraneo alla cultura condivisa. Non è un caso che il suo nuovo libro, uscito da poco, Francine Houben l’abbia intitolato “Dutch Mountains”. Una cosa che neanche esiste. ■ 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 81
Cultura
CLASSICA ANZI ETERNA
Bach, Beethoven, Debussy. Interpretati da Solti, Ashkenazy, Arrau. I must della musica in venti cd con “l’Espresso” DI RICCARDO LENZI
a selezione di 20 cd in uscita con “la Repubblica” e “l’Espresso” può costituire una piccola discoteca di base, venendo così incontro ai desiderata dei neofiti appassionati di classica. Avvicinarsi attraverso i dischi alla musica colta tra il Barocco di Bach e il Novecento di Richard Strauss può essere la cosa più facile e difficile che ci sia. Facile perché, empiricamente, basta inserire un compact disc in un lettore per ricavarne le note musicali predilette. Difficile, perché è proprio nel lavoro di selezione di un brano, nella scelta a monte di una data interpretazione che entrano in gioco i fattori culturali, il buon gusto. Senza dimenticare che il mezzo, il lettore cd, cambia il suono e modifica la percezione del fenomeno musicale. Non a caso, molti anni fa, quando le radio si diffusero nelle abitazioni private, il filosofo Theodor Adorno e il musicista Arnold Schoenberg si interrogarono sullo snaturamento del significato conoscitivo della musica che ne poteva derivare. Per fortuna, ad aiutarci, esistono riviste serie e guide specializzate. La presente selezione ha inteso privilegiare la musica strumentale, con un’appendice in quella sacra, e alcuni brani celeberrimi, particolarmente attraenti per il melomane ancora inesperto, ma anche utili a indirizzare l’ascoltatore verso autori e brani un po’ più impegnativi, nella fiducia che, se non al primo ascolto, in seguito ne godranno con altrettanta soddisfazione. Accanto ai pezzi arcinoti (come le “Quattro stagioni” di Vivaldi o il Concerto “Imperatore” di Beethoven) ce ne sono altri di 82 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
GEORG SOLTI. IN ALTO: VLADIMIR ASHKENAZY. A DESTRA: UN RITRATTO DI LUDVIG VAN BEETHOVEN
più ambiziosa esigenza intellettuale (“La Mer” di Debussy o lo “Stabat Mater” di Pergolesi) e altri ancora volti a rendere meno settario il confine fra la musica classica e quella più popolare (basti pensare ai “Quadri di un’esposizione” di Musorgskij o a “Sheherazade” di Rimskij-Korsakov). Gli aspetti presi maggiormente in considerazione nell’effettuare la selezione sono stati quelli tipicamente musicali: il valore dell’opera incisa e la sua importanza storica. Poi viene il livello dell’interpretazione, privilegiando quella che rende meglio i caratteri della composizione eseguita, la sua struttura, i suoi contenuti, spesso dando precedenza a quella che fa capire un aspetto inedito dell’opera. Senza trascurare, ovviamente, la fattura tecnica del disco, il modo in cui è stato registrato.
Il primo appuntamento è il 10 febbraio con Ludwig van Beethoven, in particolare con i suoi Secondo e Quinto concerto per pianoforte e orchestra. Quest’ultimo soprannominato “Imperatore” dal pubblico ottocentesco, probabilmente per l’enfasi virile che lo caratterizza o, più semplicemente, in conseguenza della dedica all’arciduca Rodolfo d’Austria, ultimo figlio dell’imperatore Leopoldo II non fu mai eseguito dall’autore (fu presentato a Lipsia il 28 novembre 1811 da Friedrich Schneider). Il concerto esalta la funzione del solista e fa del pianoforte non solo uno strumento concertante, ma la più importante sezione dell’orchestra. Nel primo tempo del concerto non c’è la tradizionale cadenza alla fine della riesposizione: secondo il musicologo Piero Rattalino tale rinuncia «è la logica conseguenza di una concezione del rapporto solistaorchestra in cui il solista non è più, come
sviluppo più complesso, che in germe rimanda alle opere successive. Ne è solista Vladimir Ashkenazy, nato a Gorky, in Russia, nel 1937, protagonista della vita musicale internazionale da oltre mezzo secolo, da quando cioè, dopo gli studi a Mosca con Anaida Sumbatyan e Lev Oborin, nel 1955 giunse alla fama piazzandosi secondo al Concorso Chopin di Varsavia: un anno dopo si aggiudicò il Premio Regina Elisabetta di Bruxelles e nel 1962 il Ciaikovskij di Mosca. Ashkenazy è un po’ un’enciclopedia vivente: possiede un repertorio sterminato, che spazia da Bach a Sciostakovic, da Mozart a Rachmaninov. Da anni, come i suoi colleghi Daniel Barenboim, Philippe Entremont o Christian Zacharias, si è pure accostato alla bac-
TRA BAROCCO E NOVECENTO
Foto: L. Viti - Blackarchives, Musacchio&Ianniello - Blackarchives, Corbis
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nel Mozart maturo e come nel Beethoven dei primi tre concerti, un primus inter pares integrato nella struttura sinfonica, e neppure, come nel Beethoven del quarto concerto, un superbo decoratore del tessuto orchestrale, ma costituisce la base sonora dell’insieme strumentale, la struttura portante del discorso, così come la sezione degli archi era la base sonora dell’orchestra classica». Il Secondo concerto in si bemolle maggiore è invece opera giovanile, ancora molto influenzata dalla musica di Mozart. In realtà questo concerto fu il primo composto da Beethoven. Gli storici della musica spesso hanno scritto «dell’ardua odissea» creativa di questo spartito, iniziato nel 1790 a Bonn e sul quale Beethoven fece almeno tre interventi nel successivo decennio. L’Allegro con brio presenta i suoi temi gioiosi, eleganti. Ma sarà il successivo tempo lento a conquistare l’ascoltatore, con uno
Fra le prossime uscite della collezione, al prezzo di due euro più “l’Espresso” e “la Repubblica”, appuntamento con il Mozart cordiale e spiritoso di Leonard Bernstein (17 febbraio); i “Notturni” chopiniani nella poetica visione del pianista Claudio Arrau (24 febbraio); i festosi Brandeburghesi bachiani di Raymond Leppard (2 marzo); le “Quattro Stagioni” di Antonio Vivaldi con il violino solista di Franco Gulli e Riccardo Chailly sul podio dei Filarmonici di Bologna (9 marzo); le suites dai balletti “Lago dei cigni”, “Bella addormentata” e lo “Schiaccianoci” di Ciaikovskij nelle magistrali mani di Herbert von Karajan (16 marzo); le frenetiche danze ungheresi brahmsiane con Adam Fischer (23 marzo); la “Musica per i reali fuochi d’artificio” di Händel da Neville Marriner (30 marzo); il commovente “Stabat Mater” di Pergolesi nella interpretazione dei cantanti Barbara Bonney e Andreas Scholl diretti da Christophe
chetta con ottimi risultati, dirigendo i più importanti ensemble strumentali. Ad accompagnarlo in questa occasione una delle più prestigiose orchestre statunitensi, la Chicago Symphony Orchestra (soprannominata da chi è entusiasmato dalla sua “forza d’urto” di suono e dalla potenza dei fiati, i “Berliner d’America”) condotta da Georg Solti (Budapest 1912 - Antibes 1997). Solti studiò al conservatorio di Budapest con due numi tutelari della composizione come Bela Bartók e Zoltan Kodály. Divenne un vero e proprio globetrotter della sette note: Generalmusikdirektor all’Opera di Monaco di Baviera, direttore musicale al Covent Garden di Londra e della Chicago Symphony Orchestra. Fu inoltre, dal 1992, direttore artistico del Festival di Pasqua di Salisburgo. Eccelse nel repertorio wagneriano (fu sua la prima incisione in studio dell’“Anello del Nibelungo” di Wagner, realizzata coi Wiener Philharmoniker e un cast di interpreti di altissimo livello) e in quello del tardo sinfonismo tedesco, lasciandoci una delle più belle integrali mahleriane (potranno verificarlo i nostri lettori ascoltando l’esecuzione della Prima sinfonia). ■
Grandi interpreti e celebri brani. Per costruire una vera discoteca di base. Più scelte insolite e clamorose scoperte
Rousset (6 aprile); i “Ventiquattro capricci” per violino solo di Paganini con l’archetto di Ruggero Ricci (13 aprile); i “Quadri da un’esposizione” e “Una notte sul Montecalvo” di Musorgskij diretti da Colin Davis (20 aprile); “La Mer” e i “Nocturnes” di Debussy di Lorin Maazel (27 aprile). Si continua con “Don Giovanni” e “Così parlò Zarathustra” di Richard Strauss con Herbert von Karajan (4 maggio); l’Ottava e la Nona sinfonia, soprannominata “La Grande” di Schubert nell’interpretazione di Karl Boehm (11 maggio); la Nona sinfonia di Dvorak, “del Nuovo Mondo”, ancora da Davis (18 maggio); le Sinfonie numero 97, 100 e 104 di Haydn da Antal Dorati (25 maggio); la Sinfonia numero 1, soprannominata “Il Titano” di Mahler, da Georg Solti (1 giugno); “Sheherazade” e “Il volo del calabrone” di Rimskij-Korsakov con Vladimir Ashkenazy (8 giugno); la suite dalle musiche di scena per il “Peer Gynt” di Grieg da Kurt Masur (15 giugno); la Prima e la Seconda sinfonia di Schumann dirette da Georg Solti (grande protagonista di questa collection), 22 giugno. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 83
Cultura
COLLOQUIO CON CRISTIANO GODANO DI ALBERTO DENTICE
D
SANREMO
ROCK
a vent’anni anni i Marlene sfuggendo a ogni previsione, salirà sul Kuntz sventolano la bandiera palco dell’Ariston per interpretare assiedel rock indipendente senza fa- me a Godano con quella sua voce da brire sconti. Formatasi nel ’92 a vido, a metà tra il canto e la litania “ImCuneo, la band guidata dal ca- pressioni di settembre” della Pfm, uno rismatico Cristiano Godano chitarrista- dei pezzi più belli del progressive rock cantante dalla voce scura, un po’ alla made in Italy. Nick Cave e autore dei testi, deve il suo Per giustificare la scelta ai vostri fan avecurioso nome alla fusione tra quello del- te pubblicato sul sito una lettera, come se la Dietrich (Marlene, appunto) e il nickname (Kuntz), che in slang americano sta a indicare l’eterno oggetto del desiderio maschile. Fino a oggi i Marlene hanno collezionato otto album considerati altrettante pietre miliari dell’indie rock, l’ultimo intitolato “Ricoveri virtuali e sexy solitudini”. E non hanno mai smesso di esplorare nuovi confini, emancipandosi poco a poco da quel sound a metà strada tra il noise-rock e la forma canzone che agli esordi li aveva avvicinati ai Sonic Youth. E anche se non è più possibile definirli, come ebbe a scrivere Enrico Brizzi, «l’unico gruppo italiano di rock», considerata la storia e l’alone di culto che li circonda, restano la band che non ti aspetti a Sanremo. Dove invece parteciperanno in gara con “Canzone per un figlio”. Poi, il giovedì alla serata “Viva l’Italia” con l’asceta della parola Patti Smith, un’altra icona rock che SMITH. IN ALTO: LA ROCK BAND, MARLENE KUNTZ. ti immagini tutta presa nel mi- PATTI NELL’ALTRA PAGINA: SARAH JANE MORRIS to di se stessa, mentre invece,
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Superstar d’occasione
partecipando a Sanremo rischiaste di perdere la faccia.
«A Sanremo stavamo per andarci già tre anni fa. Poi non se ne fece nulla. Dov’è lo scandalo? I tempi sono diversi da quando abbiamo iniziato. Negli anni Novanta i gruppi del rock indipendente come il nostro, come gli Afterhours e i Cccp scalavano le classifiche e in estate facevano il pienone ai concerti. Sembrava che attorno all’Alt-rock italiano, si fosse scatenato un clamoroso interesse».
con molta umiltà, grati dell’accoglienza che ci ha riservato Gianni Morandi, vanno per sfruttare al meglio i cinque giorni di visibilità che il festival offre». Le reazioni dei fanatici dell’indie-rock?
«Sulla Rete ce ne sono state sostanzialmente due. La prima era del tipo “Basta che non si sputtanino”, la seconda: “Andate e spaccate tutto!”. Francamente non so quale delle due mi faccia sorridere di più. Il paradosso è che i giovani melomani di oggi, presenti in Rete in tutti i luoghi virtuali, impiegano più tempo a cercare e a scaricare la musica che ad ascoltarla».
Le cose poi sono andate diversamente.
«Si è scoperto che era solo una moda. È triste ammetterlo ma la cultura rock da noi non ha mai messo vere radici. Penso ai festival. Penso a una rock band come gli Elbow che in Europa riempie gli stadi e che all’Heineken l’anno scorso si è esibita davanti a 500 persone. Questo mi fa pensare che l’Italia non è un paese rock. In Spagna, in Danimarca per non parlare dell’Inghilterra, ogni estate moltissime famiglie mettono in conto di passare una settimana di vacanza e vivere la musica in qualche festival. E infatti sono sempre sold out». E quindi?
«Sanremo è rimasta l’unica vetrina televisiva che ti permette di entrare direttamente in contatto con milioni di persone. Non esistono alternative come ad esempio negli Usa il “David Letterman Show”. E i Marlene senza puzza sotto il naso, ma
“Canzone per un figlio” il brano che porterete a Sanremo rappresenta un ulteriore salto in avanti sotto l’aspetto della ricerca musicale. E parla della felicità. Foto: D. Hudson - Contour / GettyImages, P. Perfetto, M. Frassineti - Agf
Il mito della musica ribelle in gara al festival nazional-popolare? Il leader di Marlene Kuntz spiega le sue ragioni
«Il brano è stato ispirato dalla lettura di un libro delizioso dal titolo “Un incantevole sogno di felicità” dell’iraniana Lila Azam Zanganeh (edito dall’Ancora del Mediterraneo, ndr). Per guidarci alla scoperta della felicità nelle sue molteplici declinazioni la giovane scrittrice ha scelto un Virgilio molto particolare, Vladimir Nabokov, scrittore che passa per essere stato un burbero tremendo mentre invece dal racconto emerge come un uomo gioioso, pieno di amore per la vita. Mentre leggevo ho cominciato a buttare giù degli appunti, poi rileggendoli ho capito che quel che avevo scrit-
to era una summa di quanto avrei voluto passare come eredità spirituale a mio figlio. Così è nata la canzone, cui farà seguito un album dallo stesso titolo che raccoglie brani del nostro repertorio. In quell’album è possibile ravvisare un contenuto pedagogico». E veniamo alla serata dei duetti, la emoziona l’idea di cantare con Patti Smith?
«La Smith è un’icona rock, ma per fattori diciamo generazionali non ho mai cavalcato il suo mito. L’ho scoperta tardi. Ha scritto canzoni meravigliose penso a “Frederick”, a “Dancing Barefoot”, alla sua impareggiabile interpretazione di “Because the Night”, ma confesso che sono affascinato soprattutto dai suoi reading. E a Sanremo, dopo l’esecuzione di “Impressioni di settembre”, se ce ne daranno l’opportunità, spero di convincerla a leggere alcune sue poesie». ■
A Lauria, il paese di Rocco Papaleo, che farà da spalla a Gianni Morandi a Sanremo, sono in fibrillazione: pronti ad assistere al festival nelle case, nei bar, in piazza, come in un sequel di “Basilicata Coast to Coast”, il film che ha imposto il comico all’attenzione del grande pubblico. Il fatto che Morandi abbia scelto un tipo con quella faccia e quell’umorismo dice quanto l’edizione numero 62 del Festival, (14-18 febbraio), possa riservare sorprese. La presenza di Big non scontati come Marlene Kuntz, Dolcenera, Samuele Bersani e Eugenio Finardi; la pattuglia delle star - Patti Smith, Macy Gray, Goran Bregovic, Noa, Professor Green, Sarah Jane Morris - chiamate per duettare con gli artisti in gara; tutto sembra congegnato per coinvolgere quei telespettatori che il Festival lo hanno sempre snobbato. E se è vero che Sanremo resta l’ultima spiaggia di quella Rai che dopo aver tagliato Santoro e Dandini concede 350 mila euro a serata a Celentano (anche se lui li devolve in beneficienza), la kermesse si presta a un’analogia con la serietà del governo Monti. Alla Rai parlano di tagli consistenti sebbene il budget resti tra i 10 e i 12 milioni di euro. Per la serata dei superospiti, gli organizzatori non nascondono la soddisfazione di essersela cavata con “soli” 100 mila euro: il resto graverà sulle case discografiche. E più di un artista approfitterà della vetrina dell’Ariston per parlare della crisi. Da Samuele Bersani con “Un pallone” a Dolcenera, che in “Ci vediamo a casa” racconta come la crisi dei mutui le ha impedito di comprare casa. Tra i giovani, Pierdavide Carone firma con Lucio Dalla “Nanì” che evoca la “4 marzo ’43”: lì la protagonista si concedeva a un bell’uomo che «veniva dal mare», qui si concede a chiunque, in un bosco, per pochi soldi.
Molti fan hanno protestato su Internet. Sono preoccupati che la band perda il suo alone d’avanguardia 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 85
n. 6 - 9 febbraio 2012
Scienze IL CHECK-UP DEGLI OCEANI
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INTELLIGENZA ARTIFICIALE
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ALLERGIE
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CHIRURGIA ESTETICA
Biodiversità
Piante di salvezza COLLOQUIO CON ILKKA HANSKI
Le piante hanno un’intelligenza? Parrebbe proprio di sì, a giudicare dal titolo dell’Evolution Day (in programma al Museo di storia naturale di Milano dal 10 al 12 febbraio). Come sia possibile lo abbiamo chiesto al finlandese Ilkka Hanski, probabilmente il più grande ecologo vivente, tra i relatori dell’evento milanese.
Terra. E questa soglia dipende dalle condizioni ambientali».
Le piante sono davvero intelligenti?
In che senso?
«Noi umani tendiamo a definire l’intelligenza a nostra immagine e somiglianza, e questo fa sì che la distanza fra noi e gli altri esseri appaia incolmabile. In realtà tutti gli organismi, essendo un prodotto dell’evoluzione, sono “intelligenti”, almeno nel senso che essi sono stati capaci di adattarsi al loro ambiente».
«La riduzione della biodiversità riguarda anche i microbi: batteri, virus, protozoi. Ma la ricchezza, equilibrio e diversità delle popolazioni di microrganismi nell’intestino, sulla pelle e nel tratto respiratorio sono essenziali per far funzionare correttamente il sistema immunitario. Chi vive in contesti urbani densamente abitati e poveri di spazi naturali si è dovuto adattare a un ambiente microbico più povero che porta a una sregolazione delle difese immunitarie e al prevalere dell’infiammazione cronica, sorgente di allergie e altre malattie più gravi». Luca Carral
La paura è quella di essere oggi nel pieno di una sesta estinzione di massa. Vero?
«Durante le cinque estinzioni di massa del passato (l’ultima è stata nel Cretaceo 65 milioni di anni fa, quando si sono estinti anche i dinosauri) è scomparso almeno il 50 per cento delle specie viventi. Non è possibile confrontare quelle estinzioni con quella attuale, la nostra, la prima provocata dall’uomo, che è molto più lenta: è cominciata alcune decine di migliaia di anni fa con la scomparsa della megafauna in molti continenti, e da allora non ha fatto che accelerare».
Con conseguenze dirette sull’uomo?
«Molteplici: dal cibo all’agricoltura, dall’economia alla salute. Pensiamo che la riduzione di biodiversità sia responsabile (insieme all’inquinamento) della crescita esponenziale di molte malattie».
Foto: T. Vanhatalo
Che rischi comporta una riduzione così marcata della biodiversità?
«Il nostro benessere complessivo dipende totalmente dall’ambiente: dall’acqua e dall’aria pulite, dal suolo fertile, da quantità sufficienti di cibo. La perdita di biodiversità è un campanello d’allarme particolarmente importante del degrado ambientale. Non prestarvi attenzione può esporci a rischi altissimi, poiché ci porta a un punto di non ritorno. Per ogni specie esiste una soglia di estinzione, oltre la quale prima o poi sparirà dalla faccia della
L’ECOLOGO ILKKA HANSKI
Leggere
Christine senza ricordi DI BRUNO ARPAIA Ogni mattina Christine si sveglia sentendosi una ragazza di vent’anni. In realtà, ne ha 47, ma non lo ricorda. Non ricorda nemmeno la stanza in cui si trova e neppure l’uomo che dorme accanto a lei. Dopo un non meglio precisato “incidente”, ha perso infatti sia la memoria a lungo termine, sia la capacità di formare nuovi ricordi: ogni volta che si addormenta, deve ricominciare da capo, deve imparare di nuovo chi è, deve accettare ciò che Ben, suo marito, le racconta, deve scoprire se ha avuto figli, che lavoro faceva, chi erano le sue amiche. È dura: «Non è vita. È pura sopravvivenza, saltare da un momento all’altro senza avere la minima idea del passato e nessun progetto per il futuro». Certo, Ben è premuroso; ma perché le nasconde che ha avuto un figlio, o che “prima” ha pubblicato un romanzo? Lo fa solo per non rinnovare la sua sofferenza? O c’è qualcosa che Christine non riesce ad afferrare? È in questo gorgo che l’esordiente S. J. Watson intrappola il lettore di “Non ti addormentare” (Piemme, Milano, 2012, pagg. 420, euro 19), che, a partire da fatti minuti e quotidiani, esplora le profondità del nostro cervello, demolisce il fragile concetto di identità. Perché la storia di Christine diventa anche la nostra. Ogni mattina, quando lei si sveglia, siamo anche noi in attesa della telefonata del dottor Nash, che l’ha spinta a tenere un diario segreto e che le ricorda di averlo scritto. E ogni mattina reimpariamo con Christine la sua stessa vita, ci poniamo le sue stesse domande, in una tensione crescente da thriller scientifico e psicologico di grande qualità. lE ’ spresso | 87
Scienze
AMBIENTE
OCEAN check-up Tre anni di navigazione. Per studiare le acque del pianeta. Mappare i geni delle creature marine. Indagare i coralli e le isole. Lo ha fatto Tara. Ecco cosa ha scoperto DI AGNESE CODIGNOLA
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vio di informazioni climatologiche, fisiche, biologiche. E dalla quale gli scienziati si aspettano molto perché per sapere come sta la Terra bisogna, innanzitutto, indagare i mari: il nostro pianeta è un’enorme palla acquosa con qualche terra qua e là, e le acque occupano ben il 70 per cento della superficie disponibile. A bordo c’è Daniele Iudicone, oceanografo e fisico della Stazione Zoologica Dohrn di Napoli che riassume: «Quando abbiamo iniziato a progettare Tara ci siamo chiesti quale poteva essere il sistema migliore per avere una visione complessiva e realistica dello stato dei diversi mari, ognuno dei quali è un ecosistema che ne contiene molti. Fino ad ora, infatti, ci sono state missioni più o meno rilevanti ma sempre limitate ad aree specifiche e alla soluzione di questioni circoscritte». Per avere dunque un quadro complessivo gli scienziati hanno messo in piedi un sistema di analisi genetiche - nei laboratori a bordo e in quelli di riferimento a terra, sparsi in diversi Paesi - del Dna e dell’Rna di tutti i campioni raccolti di dimensioni comprese tra i virus (molti dei quali sono ancora del tutto sconosciuti) e
le larve dei pesci. «Incrociando questi dati si può comprendere se una specie è presente e se e come viene influenzata da mutamenti dell’ecosistema», spiega Iudicone. Ma per essere sicuri di fotografare una situazione reale, gli esperti di Tara hanno deciso di andare a prendere i campioni non in base a dati teorici, ma seguendo indicazioni molto accurate fornite per lo più dai satelliti e da boe intelligenti, da siluri marini simili ad alianti, nati per la rilevazione, e da altri strumenti molto avanzati. Ancora Iudicone: «Noi possiamo sapere per esempio che una certa popolazione di plancton si trova di solito in una zona, ma non possiamo capire se, in un certo momento, è proprio lì dove pensiamo che sia. I dati ricevuti dagli strumenti in mare e soprattutto dai satelliti, con le loro rilevazioni di luce, temperatura, emissione di anidride carbonica, clorofilla e così via possono confermare che la zona che stia-
UNA DELLE BOE INTELLIGENTI USATE DA TARA (SULLO SFONDO) PER INDAGARE I MARI. A FIANCO: DANIELE IUDICONE (A SINISTRA) E GABRIELE PROCACCINI A BORDO Foto: Stazione Zoologica Anton Dohrn, S. d'Orgeval - Tara Expeditions
aranno 938 giorni di navigazione. Per fare il check up degli oceani. Obiettivo ambizioso che ha spinto in mare Tara (http://oceans.taraexpeditions.org/), il veliero di 36 metri di alluminio progettato e realizzato proprio per attraversare tutte le acque del pianeta raccogliendo gli elementi necessari per capire come stanno in salute gli oceani. Tara arriverà a New York il 7 febbraio avendo raccolto, nei suoi 938 giorni di lavoro, una mole impressionante di dati che andranno ad alimentare un immenso archi-
mo considerando è davvero quella dove è presente una certa attività metabolica, e guidarci così nelle ricerche. Abbiamo insomma dato la caccia alle specie e alle loro trasformazioni con l’aiuto del satellite e di altri mezzi molto tecnologici». Tara, quindi, dopo due anni e mezzo di viaggi con 50 scali in 42 Paesi, 115 mila
chilometri percorsi, ha raccolto dati che hanno tutte le credenziali per fornire una vera cartella clinica dei mari, aggiornata e molto aderente alla realtà. In attesa che arrivino informazioni e conclusioni che saranno elaborate nei prossimi mesi e anni, secondo Iudicone alcuni macro-indicatori consentono già di farsi una prima
idea di quello che sta succedendo nel più prezioso degli elementi. Ecco quali.
Il continente di plastica Le immagini di enormi ammassi di oggetti in plastica che navigano alla deriva, purtroppo familiari, in realtà rappresentano solo la punta di un iceberg che è 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 89
Scienze In viaggio con Tara molto più preoccupante: la plastica in mare, ormai, ha raggiunto dimensioni uguali a quelle di interi continenti. La plastica in generale e il Pvc in particolare, infatti, vengono degradati dalle radiazioni ultraviolette del sole fino a formare particelle di pochi millimetri, trasparenti e del tutto invisibili anche ai satelliti. Le correnti poi fanno il resto, spingendo queste particelle tutte in zone specifiche, fino a che esse si aggregano a formare una specie di film invisibile. Ma questa sorta di pellicola perturba profondamente gli equilibri, l’assorbimento di luce e calore da parte dell’acqua, la captazione di CO2, ed entra nella catena alimentare. Tara ha appena attraversato il più grande di questi oceani, nel Nord del Pacifico, e compiuto misurazioni che saranno utilissime per capire come bisogna intervenire.
Le correnti e i vortici Gli oceani globali sono collegati tra loro da intense correnti che possono spesso avere forma turbolenta. Per questo la biodiversità di un certo oceano è regolata, in parte, dagli afflussi dagli altri. Uno dei punti nevralgici della circolazione di queste enormi correnti, vero e proprio collo di bottiglia, è rappresentato dalla regione dell’Agulhas, a sud dell’Africa del Sud, perché lì le acque provenienti dall’Oceano Indiano e Pacifico che vanno verso l’Atlantico sono costrette a passare in una zona fredda in cui la corrente si rompe in enormi vortici, detti ring (anelli). I ring sono quindi vere e proprie isole di corrente a vortice di 2-300 chilometri di diametro che navigano per mesi o anni fino a raggiungere l’America del Sud. Tara ha effettuato il campionamento di uno degli anelli che risalivano l’Atlantico, scoprendo
L’ALLARME È SUL PVC. IL SOLE LO SCIOGLIE IN MINUSCOLE PARTICELLE. CHE FORMANO UNO STRATO SOTTILE E INVISIBILE. CHE RICOPRE LE ACQUE 90 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
che il calore trasportato in essi è fondamentale per la stabilizzazione del clima di tutto l’Atlantico e non solo, e che perturbazioni date per esempio dal riscaldamento globale possono avere enormi conseguenze sul clima di tutta la Terra.
Viaggio intorno al mondo Barriere coralline troppo poco studiate Dubrovnik Vortici
Napoli Atene Limasol Nizza
Senza ossigeno Molti mari e soprattutto quelli tropicali sono di fatto costituiti da strati. Tra i 100 e i 500 metri sotto la superficie vi è infatti una zona di acque antichissime, immobili, che non seguono né le correnti di superficie né quelle profonde e che per questo sono quasi prive di ossigeno, essendo state depauperate nel corso dei secoli senza avere la possibilità di rigenerarsi. Ebbene, Tara ha scoperto che anche in quelle acque all’apparenza quasi morte c’è vita, e sarà ora molto interessante capire come fanno gli organismi che vi abitano a sopravvivere con così poco ossigeno. Ma Tara ha anche fatto una scoperta inquietante: ci sarebbero già indizi del fatto che queste zone, a causa della minore ventilazione data dal surriscaldamento globale, si stanno estendendo e stanno risalendo sempre di più. Le prime prove sono state trovate in Sud America, e se il fenomeno dovesse estendersi le conseguenze sarebbero a dir poco catastrofiche, perché gli altri organismi, dal plancton alle balene, non sopravvivono in acque senza ossigeno. Infine, ha scoperto che stanno arrivando nel Nord Pacifico tutti i detriti portati a mare dal grande tsunami del marzo scorso in Giappone, con conseguenze tutte da capire.
Tracce di vita nei deserti oceanici Sovrapproduzione di alghe Concentrazioni plastiche Ghiacci che si sciolgono San Diego Tracce di vita in aree acide
PH
New York Golfo del Messico
Lisbona Tangeri
Algeri
Bermuda
Tripoli Gidda
Banzart Honolulu
Hawaii OCEANO PACIFICO
Equatore Polinesia
Isole Marchesi
Tropico del Capricorno
PH
Le scogliere coralline sono ecosistemi complessi determinati dalla simbiosi tra il plancton e i coralli. La comprensione dei delicati equilibri che portano al funzionamento di questi micromondi è tuttavia ancora incompleta, così come la conoscenza dell’effettiva diversità di organismi e molecole potenzialmente utili. Per questo Tara, e in particolare il grup-
Mauritius Saint Brandon
Buenos Aires Città del Capo Capo di Buona Speranza
Puerto Montt
Capo Horn
po che fa capo all’Università Bicocca di Milano, ha condotto campionamenti in molte zone e soprattutto nell’Oceano Indiano, che hanno già consentito la scoperta di nuove specie e lo studio in diretta del fenomeno dello sbiancamento, il dannoso divorzio tra plancton e coralli causato da diversi fattori tra cui l’innalzamento della temperature dell’acqua. Secondo i ricercatori milanesi ci vorranno anni prima che tutte le informazioni raccolte entrino in una visione complessiva, ma è indubbio che lo sbiancamento avanza e che costituisce un marcatore molto sensibile delle alterazioni bioclimatiche dei mari. ■
Malé Maldive
Antsiranana
Rio de Janeiro
Valparaiso
Mascate
Abu Dhabi PH
Guayaqui
Puerto Williams
Bianchi coralli
Gibuti
Isola Ascensione
Isole Gambier
nitorarne gli effetti. I risultati potrebbero essere molto utili per capire se e come è il caso di procedere con questo approccio, chiamato geo-engineering, o se è meglio lasciar perdere.
La Valletta
Mumbai
Panama
Isole Galapagos
Isola di Pasqua
Papeete
OCEANO ATLANTICO
Clipperton PH
Kiribati
Sharm el Sheikh
Lorient
Fertili a sorpresa Gli scienziati da anni si chiedono: per abbattere la CO2 atmosferica, che tanti danni arreca al clima e alla terra in generale, perché non aumentare la capacità del mare di assorbirla? Un’idea di per sé buona, ma che alcuni vorrebbero realizzare in un modo che secondo altri è follia pura: fertilizzando interi bracci di mare con dosi massicce di ferro. Per capire che conseguenze potrebbero avere azioni del genere, Tara è andata alle Isole Marchesi e lì ha studiato le fioriture spontanee dei coralli in zone a basso contenuto di nutrienti, descrivendo l’attività metabolica prima, durante e dopo la fioritura, e ha compiuto anche limitati esperimenti di fertilizzazione, per mo-
Beirut Port Said
Barcellona
Port Louis
OCEANO INDIANO
St Denis Mayotte Europa
Ushuaia 2010 Primo anno Lorient-Città del Capo
2011 Secondo anno Città del Capo-Honolulu
2012 Terzo anno Honolulu-Lorient
Tutto partì da Napoli A guidare Tara è un ente no profit cofinanziato da sponsor privati e pubblici quali le Nazioni Unite, il Cnr francese e l’International Union for the Conservation of Nature. La spedizione è il suo braccio operativo ed è la prima missione veramente globale pensata, progettata e realizzata in modo tale da incrociare e sfruttare appieno le potenzialità offerte da oceanografia, biologia, genetica, fisica, meteorologia. A coordinare il tutto c’è lo European Molecular Laboratory di Heidelberg e, per l’Italia, l’Università Bicocca di Milano e la Stazione Zoologica Dohrn di Napoli, fondata nel 1872 e subito diventata uno dei centri più importanti del mondo per lo studio della biologia marina. In Tara la Stazione ha un ruolo molto importante, perché fornisce il personale e il know how necessari alla sistematizzazione e all’interpretazione di moltissimi dati, in particolare sui ring oceanici, sulla fertilizzazione del mare e sulle zone a basso ossigeno, nonché sulla biologia e sulle risposte allo stress del plancton e delle diatomee, microrganismi unicellulari vegetali racchiusi in bellissime scatole.
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Scienze INTELLIGENZA ARTIFICIALE
L’altruismo spiegato
AI ROBOT
QUI SOPRA E A SINISTRA: GLI AUTOMI PROGETTATI PER SIMULARE L’EVOLUZIONE BIOLOGICA. IN BASSO A SINISTRA: DARIO FLOREANO
Progettare automi capaci di evolversi e adattarsi all’ambiente che li circonda. Proprio come gli umani. Per risolvere problemi complessi DI GIOVANNI SABATO on sono psicologi o economisti, né filosofi o teologi. Eppure promettono di spiegarci uno dei comportamenti più enigmatici dei viventi, in ottica evolutiva: l’altruismo. Non hanno carne e ossa, e nemmeno un cervello. Sono robot: i corpi meccanici su cui Dario Floreano, friulano, direttore del Laboratorio di sistemi intelligenti alla Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, da 15 anni simula l’evoluzione biologica. Lo scopo è duplice: decifrare i meccanismi evolutivi verificando il ruolo dell’altruismo nella storia naturale del vivente, e produrre robot migliori. I robot possono essere semplici dischi simili alle macchinette semoventi per le pulizie domestiche, o assumere forme complesse, ma hanno comunque i componenti essenziali di un organismo. Hanno sensori tattili per percepire le pareti e gli osta-
N
coli dei recinti in cui si aggirano, e gli altri robot. Hanno occhi di varia complessità: alcuni distinguono solo la luce dal buio, altri riconoscono le forme degli oggetti, distinguono le specie di automi con cui convivono, o le luci colorate con cui si scambiano informazioni. Hanno gli organi per agire, come ruote per muoversi o arti per spostare gli oggetti. E hanno neuroni, cioè software e circuiti che ricevono le informazioni sensoriali, le integrano e muovono di conseguenza gli effettori per compiere determinate azioni. Il modo in cui i neuroni determinano il comportamento in risposta agli stimoli dipende dal“genoma”. Non una sequenza chimica di Dna, ovviamente, bensì un codice di 0 e di 1, un software che stabilisce l’architettura della rete neurale: come sono collegati tra loro i neuroni, quanto è forte ogni connessione, se un neurone attiva o blocca il neurone successivo o la ruota a cui è collegato, e così via.
Nella prima generazione, ogni robot riceve un diverso genoma casuale. Così, quando sono chiamati a un compito come percorrere un labirinto urtando il meno possibile le pareti, alcuni si comporteranno in modo inconsulto, per esempio lanciandosi a rotta di collo contro i muri, mentre altri tenteranno più o meno goffamente di schivarli; alcuni correndo veloci, altri procedendo lenti, e via dicendo. Al termine di una batteria di prove Floreano seleziona i robot che se la sono cavata meglio, scartando tutti gli altri. Rimescola fra loro i genomi selezionati (per simulare il riassortimento dei geni con la riproduzione sessuale), vi introduce come in natura mutazioni casuali, e crea così i genomi della generazione successiva, che è a sua volta messa alla prova. Così, generazione dopo generazione, i robot evolvono comportamenti sempre più adatti. «In meno di 100 generazioni quasi tutti impara-
Chi ha paura del sensore volante Fare evolvere i robot non serve solo a studiare l’evoluzione, ma anche a produrre automi estremamente abili in molti compiti. E questo sistema “evolutivo” sembra poter dare più risultati che progettare macchine a tavolino. «L’evoluzione esplora una gamma di possibilità enorme, e trova soluzioni eccellenti», spiega Dario Floreano, direttore del Laboratorio di sistemi intelligenti alla Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna. Un esempio sono i sensori volanti 92 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
sviluppati da un’azienda cofondata da Floreano, la senseFly, che possono essere utilizzati per misurare la qualità dell’aria e il telerilevamento. La protezione civile svizzera, poi, si è detta interessata allo sviluppo di un sistema di radioripetitori volanti che, lanciati in aria dai soccorritori, creino ponti radio dinamici che si riorganizzano di continuo
per garantire la copertura ottimale man mano che gli operatori si spostano sul terreno. «Facendo evolvere i robot in simulazioni di calamità, abbiamo potuto concepire un sistema di controllo efficace e semplice al quale noi umani non avevamo pensato», commenta Floreano. Non solo, allo studio ci sono dei robot capaci di navigare nelle città, schivando gli edifici, localizzando le persone e atterrando sulle strade.
no a evitare i muri», dice lo scienziato. Allo stesso modo, a seconda del criterio di successo prescelto, i robot possono evolversi simulando bene anche fenomeni complessi, come la coevoluzione tra preda e predatore, in cui l’evoluzione non culmina in un comportamento ottimale ma occorre riadattare di continuo la strategia per tenere testa ai progressi altrui. Se la preda è più veloce, il predatore anziché inseguirla impara ad attenderla e intercettarla. Allora la preda resta ferma e fugge solo all’avvicinarsi del predatore. Che impara a sorprenderla dal suo lato cieco. E così in un’incessante rincorsa, come in natu-
vide i miei stessi geni, facilito comunque la loro propagazione. L’altruismo ha dunque senso se l’altro è geneticamente affine a me, e se il mio costo non è eccessivo a fronte del suo beneficio. Nel 1964 William Hamilton ha condensato il concetto in una formula matematica, che stabilisce quando si evolverà o meno un comportamento altruistico in funzione dei suoi costi e benefici e dell’affinità tra gli individui. «È l’equivalente della relatività per la biologia», dice Floreano. Il guaio è che non c’è mai stato un esperimento risolutivo per dimostrare la teoria di Hamilton. Negli animali si è visto che è soddisfatta in varie situazioni, ma è impossibile manipolare le popolazioni in natura per vedere cosa succede cambiando i parametri. Perciò Floreano ha messo in campo i suoi robot. Il successo era dato dal “cibo” che i robot riuscivano a raccogliere, adottando strategie egoistiche, o cooperando per ottenerne di più ma condividendo il beneficio. Assegnando punteggi diversi al cibo raccolto per sé o condiviso, gli sperimentatori determinavano il costo e il vantaggio della cooperazione. Così, hanno fatto evolvere per 500 generazioni 200 diversi gruppi di robot. E «l’esattezza della formula ha sorpreso noi stessi: in ogni condizione, non appena si raggiungono i valori previsti scatta l’altruismo» dice Floreano. Ovviamente per spiegare l’altruismo. negli esseri superiori entrano in gioco altri fattori, come la capacità di distinguere gli altri, ricordare come si sono comportati in passato e così via. «È però una risposta a una domanda vecchia e importante», chiosa Floreano. ■
COSTRUIRE LE MACCHINE IN MODO DA STUDIARE COME INTERAGISCONO. COME LOTTANO PER VIVERE ra. «All’inizio i biologi vedevano i robot come troppo artificiali, ma da 4-5 anni è cresciuta una generazione che ne apprezza l’utilità per rispondere a quesiti biologici», osserva Floreano. Così, ha deciso di avventurarsi su un terreno caldo del dibattito evoluzionistico: com’è possibile l’altruismo. Se la selezione premia solo la capacità di propagare i miei geni, perché dovrei spendere risorse per avvantaggiare qualcun altro? Un umano può farlo per calcolo, in vista di un contraccambio. Ma la cooperazione si ritrova persino nei batteri. In linea di principio, in realtà, una spiegazione evoluzionistica è semplice: se avvantaggio un altro che condi-
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Scienze Salute Chirurgia estetica di Marco Gasparotti
Guarda come cresce il seno
Allergie
ECCO QUANDO SERVE IL TEST I prick test, che si fanno applicando sulla pelle piccole quantità di sostanze allergizzanti, e quelli per la diagnosi delle allergie ai contaminanti ambientali e agli alimenti sono affidabili, ma non sono verdetti inappellabili e, soprattutto, non vanno consigliati a bambini privi di sintomi. Questa la conclusione dei pediatri del Johns Hopkins Children’s Center di New York che hanno deciso di fare chiarezza mettendo nero su bianco, su “Pediatrics”, quali sono i casi in cui serve un test e quali quelli in cui non si deve fare. Le immunoglobuline E, specifiche delle reazioni allergiche, infatti, possono essere presenti anche se non c’è un’allergia, perché si sviluppano anche dal semplice contatto con la sostanza incriminata: per questo l’esame può risultare positivo anche in assenza di una patologia. Accade, per esempio, con le noccioline: otto bambini su cento sono positivi, ma solo uno su cento è allergico. Tuttavia, un responso positivo può spingere il medico o il genitore a inutili restrizioni alimentari o ad allontanare i bambini dall’animale domestico.
Inoltre questi esami non dicono nulla sulla severità dell’allergia presente né sul suo andamento, e possono cambiare a seconda del laboratorio di analisi in cui vengono letti. In definitiva, quindi, prick test ed esami del sangue andrebbero fatti: per confermare un sospetto basato sui sintomi (per esempio se un bambino ha forme asmatiche, riniti, congiuntiviti si devono verificare le allergie agli acari, ai pollini, alle muffe, al gatto e così via); per monitorare l’andamento di un’allergia già diagnosticata; per controllare l’esistenza di un’allergia potenzialmente grave come quella da alcune punture di insetti; per studiare un vaccino specifico per quel paziente. Non andrebbero invece fatti: come forma di screening in bambini asintomatici; in bambini che hanno specifiche allergie alimentari già diagnosticate; per confermare la presenza di allergie ai farmaci (né i prick test né gli esami del sangue riescono a farlo). Agnese Codignola
Internetmania
Innamorate della consolle
Il lipofilling con cellule staminali per ingrandire il seno è una tecnica nuovissima, diversa dal semplice lipofilling, il riempimento del seno con il grasso della paziente, che viene fatto ormai da decenni con risultati eccellenti e duraturi col grande vantaggio che si trapianta tessuto autologo che, dunque, non ha nessun problema di rigetto. La differenza sta nel fatto che anni fa non si sapeva ancora che il tessuto adiposo autologo che trapiantavamo è in realtà una fonte ricchissima di cellule staminali. E poter sfruttare questa proprietà ci mette nelle condizioni di avere risultati eccellenti anche nei casi di anisomastia, ossia in pazienti che abbiano un seno diverso dall’altro in quanto a forma e dimensione. Va detto, però, che anche se questo nuovo intervento è sicuramente
Filtriamo l’influenza
Mascherine per il viso, ma soprattutto filtri per l’aria potrebbero diventare presto a prova di virus influenzale. Un gruppo di ricercatori dell’Accademia cinese delle Scienze di Pechino ha infatti inventato un nuovo materiale dotato di un efficace effetto-barriera e costituito da chitosano, la proteina presente nella corazza dei gamberi, più uno zucchero identico a quello umano cui si legano i virus influenzali per entrare nelle cellule dell’ospite. Giunti in contatto con lo zucchero, i virus si legano allo zucchero ma poi trovano la barriera del chitosano, e restano intrappolati. Nelle prove di laboratorio - riferiscono gli autori su “Biomacromolecules” - il materiale ha dato prova di un elevatissimo potere filtrante. A. Cod.
Dipendenza da Internet? È un problema al femminile: la scoperta, che ribalta l’immagine del ragazzino occhialuto più attratto dalla tecnologia che dalla vita reale, arriva da una ricerca del Centro Dedalus di Bologna e del dipartimento di Sociologia dell’ateneo bolognese. «Il rischio di dipendenza da Internet riguarda il 7 per cento dei giovani dai 13 ai 19 anni, le ragazze sono in netta maggioranza», spiega la responsabile del Dedalus, Arianna Marfisa Bellini. «Il 22,6 94 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
per cento dei giovani ammette di essere troppo assorbito da Internet e il 67,9 di trascorrere on line più di 4 ore al giorno». Facendo cosa? «I maschi dedicano il loro tempo soprattutto ai giochi di ruolo, alla semplice navigazione o ai siti porno, le ragazze navigano su chat e social network. E non fanno niente per nasconderlo ai genitori, che dal canto loro non sembrano preoccuparsene». In che senso? «Le ore passate al computer appaiono
un rischio minore rispetto a quelli del mondo esterno». Una certa logica c’è… «La nostra ipotesi è che gli adolescenti vivano Internet come una soluzione all’angoscia ed ai sintomi tipici di questa fascia d’età come ansia, difficoltà scolastiche e familiari, disturbi del comportamento alimentare. Il rischio è che in questo modo tendano ad isolarsi rinunciando alla vita reale, che sostituiscano le amicizie vere con migliaia di amici virtuali. Gli studi ci dicono che quella di oggi è un’adolescenza senza scontri, senza conflitti. Cui manca il desiderio di crescere di separarsi dal nucleo familiare». Paola Emilia Cicerone
Foto: Corbis (3)
COLLOQUIO CON ARIANNA MARFISA BELLINI
indicato a tutte le pazienti, generalmente più sono giovani e migliore è la qualità delle staminali. L’aumento che si ottiene con il lipofilling è generalmente di una taglia. Per poter essere eseguito è necessario sottoporre la paziente ad una liposuzione per prelevare il grasso e le cellule staminali, quindi bisogna che lei abbia del tessuto adiposo da prelevare, dunque ad una ragazza magrissima non si può fare. Non solo, le pazienti devono sapere che comunque nel tempo una parte, se pur minima, del grasso viene riassorbita. E che l’aumento del seno con lipofilling, generalmente, ha un limite di volume, per cui se si vuole un seno molto grande bisogna necessariamente usare impianti protesici. Il risultato che si ottiene con il lipofilling, di contro,
GRAPHIC DELLA CRESCITA DI CELLULE STAMINALI
è estremamente naturale. Il lipofilling con staminali è un intervento che si esegue generalmente in anestesia generale, e prevede una notte di ricovero in clinica. La raccomandazione è quella di affidarsi sempre a specialisti in chirurgia plastica ed estetica (www.sicpre.org) che operino in strutture (siano esse pubbliche o private) qualificate, alla presenza di un anestesista, per una chirurgia estetica sicura.
n. 6 - 9 febbraio 2012
Tecnologia LIBERTÀ DIGITALI
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ENERGIA PULITA
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APPELLI
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SALUTE 2.0
Non solo cyber
Internet
L’UE MINACCIA IL WEB? Si chiama Clean IT Project, è finanziato dalla Unione europea e ha per obiettivo «ottimizzare le procedure di chiusura di siti e forum dove si progettano attentati o si istiga al terrorismo». Niente leggi o regolamenti: «Il risultato potrebbe
essere un codice di condotta o una best practice da adottare a livello europeo», spiega il project manager, un dirigente del ministero della Giustizia olandese che chiede di non essere citato. «Clean IT Project non vuole ridurre la libertà di espressione in Rete», si legge sul sito, ma in un documento pubblicato i primi di gennaio si parla di impedire l’uso del Web a «estremisti di destra e sinistra, separatisti ed estremisti dei diritti degli animali». I responsabili del Clean IT assicurano che «quelle frasi non rispecchiano l’opinione di tutti i partecipanti», ma l’allarme per un nuovo attacco alla libertà di Internet (dopo il Sopa americano, al momento rinviato, e l’emendamento Fava in Italia, ancora in discussione) l’unico elemento certo finora sono i 325 mila euro con cui la Commissione ha finanziato il progetto. Federico Formica
Ecologia
Foto: C. Moro - Laif / Contrasto
Mi ricarico a pedali Cosa c’è di più autosufficiente di un giro in bicicletta? Pedalare sulla propria bici caricando in contemporanea l’iPod. Che si tratti di muoversi o di alimentare il telefonino, basta in ogni caso l’energia delle proprie gambe. L’idea era troppo brillante per non fare breccia tra i produttori di velocipedi. E così l’azienda tedesca Silverback ha lanciato un modello di bici con porta Usb incorporata, proprio sotto il manubrio. Mentre il ciclista pedala, l’energia generata dalla dinamo posta sul davanti può essere usata per ricaricare navigatori Gps, smartphone, lettori Mp3. Oppure per far funzionare il faro
anteriore. Ma sul mercato c’è anche la Shadow Ebike, una bici elettrica con pedalata assistita che funziona senza fili, attraverso un controller wireless; non ci sono cioè cavi per i freni, per il cambio o fili elettrici visibili dal motore alle batterie per controllare l’acceleratore. Ma c’è anche qui una porta Usb. Carola Frediani
Salviamo Saeed Malekpour DI ALESSANDRO GILIOLI Saeed Malekpour è un iraniano di 35 anni che nel 2004 si è trasferito in Canada, dove ha imparato a sviluppare software. Tornato in Iran, ha creato un sito per permettere agli internauti del suo Paese di caricare le loro foto. Niente di rivoluzionario, servizi simili nel resto del mondo esistono da anni. Il 4 ottobre 2008, a Teheran, Saeed è stato prelevato da uomini in borghese e trascinato in carcere perché qualcuno aveva usato il suo sito per caricare materiale a luci rosse. Gettato in isolamento e picchiato, Saeed è stato infine condannato a morte. Il caso di Saeed è drammaticamente emblematico del terrore che esplode tra i governanti (dittatori, ma non solo) quando scoprono che la realtà dei media è andata oltre le loro capacità di conoscenza e quindi di controllo. Un programmatore di software per loro oggi può diventare più pericoloso di una manifestazione di piazza, soprattutto se mette la Rete in mano alle persone comuni: quindi va fermato prima che qualcun’altro lo imiti. Ma la vicenda ci rivela anche come un regime autoritario possa portare all’estremo una tendenza presente anche nella (peggiore) politica dei Paesi democratici: prendersela con gli intermediari, con chi fornisce la piattaforma, per strozzare la libera espressione dei cittadini on line. Chi vuole attivarsi per il giovane iraniano condannato a morte trova la pagina per lui su Facebook (http://www.facebook.com/ Free.Saeed.Malekpour) e un’inizativa di pressione sul sito canadese di Amnesty International (http://www.amnesty.ca/). www.piovonorane.it QUI SOPRA: SAEED MALEKPOUR. A SINISTRA: LA SHADOW BIKE E (IN ALTO) IL PARLAMENTO EUROPEO lE ’ spresso | 97
Tecnologia IL FENOMENO GLOBALE
UN MILIARDO su Facebook
Nel 2012 il sito di Mark Zuckerberg sfonderà anche questo muro. Diventando il più grande collante sociale del pianeta. Ecco come ha fatto. E dove arriverà DI ALESSANDRO LONGO
F
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Facebook del resto è riuscito fin dall’inizio a cogliere la direzione dove stava andando Internet ed è stato in grado di costruirci sopra un business potente. Spiega Debra Aho Williamson, analista dell’osservatorio di ricerca newyorchese eMarketer: «Il social network di Mark Zuckerberg si sta spo-
Il boom dal 2007 Crescita di utenti di Facebook nel mondo dal 2006, dati in milioni 1.000 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0 2007 2008 2009 2010
2011 2012*
*Previsione. Fonte: Icrossing
stando dai mercati maturi a quelli in ascesa: si espande ad esempio in Brasile, in India e in Russia». «Ma anche in Italia e Francia si registra ancora un interessante incremento di audience», conferma Cristina Papini, analista di Nielsen. Facebook Italia stima che circa 20 milioni di italiani lo utilizzino almeno una volta al mese. Sarebbe circa l’80 per cento delle persone collegate a Internet. «Quello che fa impressione è la sua ispirazione trasversale, sia in termini di contenuti sia di target: è utilizzato da uomini e donne, da giovani e non (in Italia quasi il 20 per cento dell’audience ha tra i 50 e il 64 anni); da privati e aziende», dice Papini. Insomma riesce a soddisfare esigenze di comunicazione di persone, culture e posti diversissimi; come se toccasse corde universali dell’essere umano nella società attuale. È un po’ questa infatti la chiave di lettura su cui si stanno orientando i sociologi e gli esperti di comportamenti di massa. Ne ha parlato per primo il noto sociologo Zygmunt Bauman (l’ideatore della teoria della società liquida), in un articolo uscito su “Repubblica” lo scorso aprile. Ma anche Maura Franchi (docente di Sociologia dei Consumi) e Augusto Schianchi
SOPRA: MARK ZUCKERBERG, 27 ANNI, FONDATORE NEL 2004 DI FACEBOOK. A DESTRA: LO SCRITTORE ALDO NOVE
Foto: E. Gregoire - Rea / Contrasto, E. Fornaciari - Blackarchives
orse accadrà a luglio, forse ad agosto. Di sicuro è questione di pochi mesi. Ed entro il 2012 Facebook toccherà la spaventosa cifra di un miliardo di utenti nel mondo. Vale a dire che in questo pianeta un essere umano su sette - contando anche i neonati, i centenari, le tribù dell’Amazzonia e gli eschimesi del Polo Nord - sarà iscritto al più famoso dei social network. Che ha sovvertito una vecchia regola di Internet: quella secondo la quale un fenomeno di successo ha una parabola ascendente (quando “diventa di moda”) per poi iniziare a calare (com’è accaduto a Second Life o MySpace) o tutt’al più assestarsi in orizzontale. La curva di Facebook invece continua a salire, con buona pace di quelli che ancora due anni fa lo definivano transitorio. E ora si inizia a pensare che forse questa crescita tentacolare è appena agli inizi. Perché l’azienda californiana sta per ricevere un fiume di denaro, grazie al prossimo sbarco in Borsa (vedi articolo a pagina 102) con una capitalizzazione prevista di 100 miliardi di dollari. Tanti soldi, con cui acquisire concorrenti ed espandersi. E penetrare ancora di più nelle nostre vite.
(Economia Applicata), nel recente “Scegliere nel tempo di Facebook” (Carocci Editore). La teoria di fondo è che in questa società senza più centri di riferimento universali (né la famiglia, né lo Stato, né un’ideologia), le reti sociali ci danno insieme riconoscimento e rassicurazione: coesione ai nostri pensieri, alle nostre scelte, alle nostre relazioni. Sono puntello a un’identità iper individualizzata e ondivaga. «Il processo di dispersione e di atomizzazione della società doveva incontrare dei contrappesi: e la tecnologia è venuta incontro alle nuove domande di socializzazione su scala intergenerazionale e globale», dice Monica Fabris, presidente di Episteme, istituto di ricerca sul cambiamento sociale.
Aldo Nove UNA PALESTRA PER LA MENTE
Facebook è una benedizione per chi ama la scrittura e le sue infinite possibilità perché, come la poesia, costringe a rispettare delle regole e al contempo consente di sperimentare nuove forme espressive. Già solo per questo è una buona palestra per la mente. Redigere il testo di uno status in funzione dei commenti che avrà; lavorare poi a quel metatesto che è la catena dei commenti è già concepire un tipo di linguaggio che offre inaspettate risorse: innanzitutto la partecipazione a un testo dialogico in cui il pensiero diventa collettivo e imprevedibile, una sorta di flusso semantico a più voci, qualcosa di prossimo a un piccolo poema collettivo ricco di sfumature e telluriche, inaspettate sbandate linguistiche. Facebook ci insegna a pensare assieme e, se usato bene, a essere più aperti e tolleranti con le opinioni altrui che, grazie al mezzo, diventano “nostre”. Ovviamente la chiave di tutto sta nella disponibilità a mettersi in gioco, se c’è il desiderio nostro di “ascoltare” la gamma di registri di un mezzo nuovo che può aiutarci a porci agli altri in modo non solo più divertente ma anche capace di farci crescere umanamente. Viva Facebook!
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Tecnologia LA SEDE DI FACEBOOK A MENLO PARK, CALIFORNIA. NELL’ALTRA PAGINA IN BASSO: LA SCRITTRICE LICIA TROISI
Anche in Italia è trasversale Dati in milioni a novembre 2011
La penetrazione di Facebook per aree urbane, dati novembre 2011
Licia Troisi L’ILLUSIONE DEL CONTATTO
Sono un’utente assidua di Facebook. Lo tengo sempre aperto, in un pannello di Safari, e lo visito per svuotarmi la mente quando ho una grana di lavoro che non riesco a risolvere, o semplicemente per staccare un po’. Inoltre, mi aiuta a restare in contatto con i miei amici
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Lo utilizzano ogni giorno
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Lo utilizzano da mobile
168.980
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303.880
Per sesso, dati in % a novembre 2011 231.340
Donne 46%
147.420
167.880
Maschi 53%
121.200 29.860 18.940 198.980
Facebook (Mark Zuckerberg in testa) sono riusciti anche a creare un ambiente adatto: «Fb è facile da usare, quindi adatto a tutti; chiede di usare le proprie vere identità, così favorisce rapporti autentici; in più ha messo varie funzioni che attivano l’interazione sociale: come le tante applicazioni disponibili sul network; giochi da fare con gli amici, per esempio», dice Lucchi. Anche l’apparato tecnologico che lo regge è insomma ben congegnato: «Facebook è diventata una vera e propria commodity. Un servizio universale: il
prevedibile futuro è che tutto il globo sia “iscritto” a Facebook. Sarà come essere iscritti all’anagrafe. Facebook tenderà a diventare l’anagrafe globale dei cittadini del mondo», prevede Edoardo Fleischner, docente di Comunicazione Digitale presso l’Università Statale di Milano. Il successo di Facebook ha molte conseguenze. Sostiene ad esempio l’idea che «non esista una doppia realtà, dentro e fuori la Rete. Le cose viste su Facebook vengono discusse fra gli amici e i colleghi di lavoro e gli even-
lontani. Eppure, devo dire che non condivido certi entusiasmi sul mezzo. Perché niente come Facebook raccoglie in sé il meglio e il peggio della Rete. Da una lato è un modo rapido ed efficace di far circolare idee e notizie aggirando i media tradizionali, ma d’altra parte non c’è alcun controllo a monte. In mezzo alla mole sterminata di informazioni, c’è un buon 50 per cento di bufale di vario genere, falsi appelli, persino truffe che oscurano le
informazioni importanti. Inoltre, Facebook dà l’illusione della vicinanza: io stessa mi sono trovata a salutare come vecchi amici persone che conoscevo solo per via telematica. In verità, di mezzo c’è sempre lo schermo, che filtra e distorce, e il vip del quale sei amico spesso è molto diverso da come appare sul Web. Facebook in verità è pericoloso, e al tempo stesso potente, come un’arma, ma non tutti sembrano comprenderne appieno l’uso. Penso a tutti quelli che
Foto: M. Schoeller - August / Contrasto, M. Aceto - Blackarchives
«Viviamo una socialità totalmente affrancata da mediazioni ideologiche o funzionali e consegnata alla gestione autonoma dell’io singolo, protagonista e al centro del suo contesto sociale. Così, a dispetto della frammentazione e discontinuità e incertezza che attraversano il vissuto dei più, Facebook si presenta come una piattaforma unitaria, sempre disponibile, che restituisce il senso del continuo. Gli utenti ne ricavano sensazioni di benessere e rassicurazione». Ecco perché Facebook è vissuto come qualcosa che fa tutt’uno con la vita. «Dalle nostre ricerche si vede che gli utenti non l’avvertono come un mondo separato dall’esistenza fisica di tutti i giorni. Vale a dire che Facebook non isola dalla realtà. Crea anzi legami più forti con gli amici veri della vita fuori da Internet», conferma Remo Lucchi, di Gfk Eurisko. «Facebook consente alle persone di esprimere profonde esigenze di socialità, convivialità», aggiunge. Laddove invece MySpace segue una logica più televisiva: consente di avere un sito che tutti possono leggere, non solo i propri “amici” di network; la più ampia platea possibile». E non è un caso che MySpace si sia rivelato un flop. Come a dire che le persone comuni adesso non hanno bisogno di un megafono per gridare in una piazza anonima, ma di relazioni attraverso cui esprimersi e riconoscersi. C’è anche da dire che i creatori di
Non determinato 1% Per fasce d’età, dati in % a novembre 2011 dai 13 ai 18 17%
25.840
2.624.420
oltre 56 anni 5%
719.580 255.320
dai 19 ai 24 20%
161.020
dai 45 ai 55 10% dai 25 ai 29 14%
404.260
espongono completamente la loro privacy, mettendo on line foto private o diffondendo informazioni sensibili, senza riflettere sul fatto che ogni cosa condivisa in Rete ci resta virtualmente in eterno. Ancor più perplessa mi lasciano quelli che usano Facebook per lavoro: conto mille amici, il 90 per cento dei quali sono persone che non ho mai visto, e la mia casella di posta è piena di messaggi che spesso neppure sono direttamente indirizzati a me.
Fonte: Vincenzo Cosenza Vincos.it
dai 36 ai 45 19%
dai 30 ai 35 15%
Mandarmi un messaggio di lavoro su Facebook è il modo migliore per evitare che lo legga. In fin dei conti, Facebook è più che altro un divertimento, e un modo come l’altro per mantenere l’illusione del contatto con persone che si vedono raramente. Finché lo si usa in questo senso, è un piacevole passatempo. Ma per farne qualcosa di diverso occorre una maturità che al momento la maggior parte dell’utenza sembra non possedere.
9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 101
Tecnologia
IN ALTO: ALCUNI DEI SERVER UTILIZZATI DA FACEBOOK. NELL’ALTRA PAGINA: WALL STREET 102 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
Introiti in crescita Proventi da pubblicità nel mondo, dati in miliardi di dollari 8 7,00
7 5,78
6 5 3,80
4 3
IL GIGANTE
1
2009
DI ALESSANDRO LONGO
S
2010
2011
2012*
2013*
*Previsione. Fonte: eMarketer
Cento miliardi di dollari. È il valore di Facebook dopo l’imminente quotazione a Wall Street. Che precede altre mosse... milioni di dollari; nel 2013 si stima che supererà i 7 miliardi, secondo eMarketer. E già si parla di “Facebook economy”: il social network ha aperto un ecosistema di business che genera un indotto stimato in 2,5 miliardi di euro e 33.800 posti di lavoro, in Italia, secondo uno studio di Deloitte, pubblicato a fine gennaio. Tiene conto del fatto che molte aziende lavorano grazie a Facebook (quelle che creano apposite applicazioni, per esempio) o comunque ne ottengono vantaggi in termini di marketing, reputazione, pubblicità e vendite addizionali. «Credo che 100 miliardi di dollari sia un prezzo ragionevole, tutto considerato. E vedrete il valore delle azioni schizzerà subito in alto», dice Lou Kerner, analista di SecondShares e tra i più attenti osservatori della finanza hi-tech. «Certo un valore così alto si giustifica solo in un modo: Facebook non è un sito normale. È il pa-
0,74
0
non avrà più rivali arà il collocamento in Borsa (Ipo) più importante del decennio: parole di Max Wolff, analista al GreenCrest Capital Management, società americana specializzata in investimenti finanziari e private equity. Si riferisce allo sbarco di Facebook a Wall Street, con una quota attorno al cinque per cento del colosso californiano che sarà offerta al pubblico. Facebook, nella sua interezza, ha un valore stimato sui 90-100 miliardi di dollari, almeno a seguire le indicazioni del mercato secondario dove già viene comprato e venduto privatamente. Certo, 100 miliardi (o poco meno) possono sembrare un po’ troppo per un’azienda che nel 2011 ne ha ricavati 4,2 (quasi tutti dalla pubblicità). Ma il punto è che il valore dell’azienda, secondo gli analisti, va ben oltre quello che è finora misurabile. Un indizio: nel 2009 ha ricavato appena 700
1,86
2
Foto: M. Schoeller - August / Contrasto, J. Guariglia - Corbis
ti del mondo diffusi e commentati sul Web», dice Giovanni Boccia Artieri, docente di Sociologia dei new media all’Università di Urbino. Ma Facebook ci sta anche cambiando. «Dai nostri sondaggi risulta che il suo impatto non è solo relazionale (una piacevole esperienza) ma è anche funzionale», dice Lucchi. Imparo da altre persone, mi confronto, scopro cose nuove». Facebook si è così affiancato a Google come principale fonte di traffico verso i siti dei giornali (come confermato anche da una ricerca comScore, la scorsa settimana, sui maggiori giornali europei). «È grazie a Facebook che le persone sono sempre più portate ad associare contenuti a relazioni sociali. Leggiamo una notizia e abbiamo subito voglia di condividerla. La stessa cosa se scattiamo una foto o se apprezziamo un ristorante», dice Artieri. «Si sviluppa una generazione di persone per le quali condividere è una naturale estensione di se stesse. Un gesto spontaneo, spesso fatto senza pensare alle conseguenze. A volte negative», aggiunge Artieri. Bisognerà quindi maturare una consapevolezza della condivisione: per evitare di far circolare notizie false e per non sovraesporre i nostri dati personali. È la sfida dei prossimi anni. Secondo le ricerche di Episteme, «gli utenti già cominciano a rendersi conto di questo; che non possono pubblicare con leggerezza su Facebook. Perché qui, attraverso le nostre foto, i nostri testi e i “mi piace”, diamo solidità e coerenza al nostro sé e alle nostre relazioni», dice Fabris. «La sua futura evoluzione accentua questo ruolo». I profili di Facebook stanno diventando, infatti, “timeline”: diari di tutta una vita, «vere e proprie biografie. Dicono non solo ciò che pensiamo in questo momento, ma anche ciò che pensavamo nel passato. Tutto resta lì a ricordarci che le parole hanno un peso e che la nostra identità non fluttua nel vento ma produce conseguenze», aggiunge Fabris. E così Facebook diventa sempre di più un pezzo di noi: condiviso, digitale, ma pur sempre un pezzo di noi. ■
radigma di una nuova Internet», aggiunge Andrea Rangone, a capo degli osservatori Ict presso il Politecnico di Milano. «Per la precisione è la terza fase di Internet, dopo quella basata sui portali e quella diretta dai motori di ricerca. Siamo nell’era dell’Internet delle relazioni». Di conseguenza, abbiamo appena cominciato a vedere le potenzialità economiche di Facebook: «Credo che in futuro la pubblicità non sarà la sua fonte principale di ricavi», aggiunge Rangone. Farà soldi diventando il mediatore di gran parte delle transazioni economiche che avvengono su Internet: acquisti di giornali, giochi, vestiti». Già ci sono negozi che hanno aperto battenti su Facebook. Che ha persino coniato una propria moneta di scambio (i “Facebook credits”), ritagliandosi una commissione del 30 per cento. «Credo che i soldi dell’Ipo serviranno a sostenere quest’espansione verso nuove forme di ricavo», dice Rangone. I 5 miliardi di dollari dell’Ipo (che forse saliranno fino a 10 se la domanda lo consentirà) sono tanti. Per un confronto: l’Ipo di Google ha raccolto “solo” 1,9 miliardi di dollari nel 2004, eppure da allora il colosso è diventato molto di più di
un semplice motore di ricerca. Kerner e Williamson prevedono quindi che Facebook userà i soldi dell’Ipo per potenziare la piattaforma e acquistare concorrenti. Obiettivi immediati: espandersi ancora nei paesi in via di sviluppo, migliorare l’utilizzo via cellulare e gli strumenti pubblicitari. «Facebook non ha mai venduto pubblicità tramite la propria applicazione su cellulare, che ha 350 milioni di utenti; comincerà a farlo nei prossimi mesi», dice Williamson. «È possibile che Facebook creerà anche un proprio centro media, così potrà vendere pubblicità su altri siti: molto personalizzata, però, grazie a quello che conosce sui propri utenti», aggiunge Nate Elliott, analista di Forrester Research. È prevedibile un effetto schiacciasassi: Facebook, evolvendo, entrerà a gamba tesa sul
Per ora il fatturato viene quasi tutto dalla pubblicità. Ma la piattaforma ha ambizioni molto più grandi
business pubblicitario altrui. Centri media, operatori di rete mobile. Già eMarketer nota il fenomeno: negli Usa, qualche grosso sponsor comincia a spostare gli investimenti pubblicitari dai network televisivi a Facebook. E la concorrenza? «Google resta il competitor maggiore e infatti ha appena cominciato a includere nel motore di ricerca i risultati che provengono da Google+, il suo social network», dice David Berkowitz, uno dei massimi esperti di media digitali, con lezioni a Yale, New York University e Massachusetts institute of technology. «La principale minaccia all’egemonia di Facebook viene però dal mercato cinese, dove peraltro al momento il suo sito è bloccato ed è molto forte il campione locale QQ», aggiunge Williamson. Sul mercato globale però Facebook non ha veri rivali all’orizzonte: «Google+ dovrebbe essere migliore per riuscire a rubargli utenti. Sconta il fatto che è un’impresa titanica cambiare social network: ricostruire il proprio gruppo di amici, ripubblicare le proprie foto su un altro sito», dice Elliott. Forse bisogna rassegnarsi: Facebook è destinato ad accrescere la propria presenza nella società e nell’economia mondiali. ■ 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 103
n. 6 - 9 febbraio 2012
Economia CONSUMI
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RICETTE TAGLIADEBITO
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FONDAZIONE MPS
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MERIDIANA
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RCAUTO
Morgan Stanley di Orazio Carabini
Che regalo dal Tesoro Due miliardi e 567 milioni di euro. Passati dalle casse del Tesoro a quelle di Morgan Stanley il 3 gennaio scorso, alla vigilia dell’Epifania. In gran silenzio il ministero di via XX Settembre ha “estinto” una posizione in derivati che aveva con una delle grandi investment bank americane. I cui vertici, nelle periodiche comunicazioni alla Sec, segnalano che l’esposizione verso l’Italia a cavallo di fi-
Via dal rischio Italia Esposizione di Morgan Stanley verso l’Italia (in milioni di dollari) 3 gen. 2012
differenza
6.268 4.901
2.887
3.381
3.379
1.522
Esposizione prima delle coperture
Esposizione netta
Fonte: Morgan Stanley, Financial Supplement 4° trim. 2011
31 dic. 2011
ne anno è scesa, al lordo delle coperture, da 6,268 a 2,887 miliardi di dollari. Con una differenza di 3,381 miliardi pari appunto a 2,567 miliardi di euro. Né Morgan Stanley né il Tesoro hanno voluto spiegare a “l’Espresso” il senso dell’operazione. Inutile dire che la banca aveva un credito nei confronti dello Stato italiano e che il Tesoro era evidentemente tenuto a rimborsarlo. Molti contratti sui derivati prevedono che, dopo un certo numero di anni, una delle due parti può chiedere la chiusura della posizione. Ma non accade spesso. Altre volte sono previsti dei “termination event”, ovvero fatti che possono innescare la soluzione del contratto: per esempio il downgrade dell’Italia da parte di Standard & Poor’s.
VITTORIO GRILLI
Secondo fonti di mercato, l’operazione si sarebbe conclusa a costo zero, o quasi, per il Tesoro grazie a una triangolazione: Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo) sarebbe infatti subentrata a Morgan Stanley consentendo agli americani di “alleggerirsi” rispetto alla Repubblica italiana. Nei mesi scorsi ha fatto scalpore la riduzione della posizione in titoli italiani da parte della Deutsche Bank: nel primo semestre del 2011 la banca tedesca ha venduto oltre 7 miliardi di euro di Btp. Seguita da altre grandi banche, soprattutto francesi. Per il ministro dell’Economia Mario Monti e per il suo vice Vittorio Grilli, ex direttore generale del Tesoro, impegnati a riportare la fiducia dei mercati sul debitore Italia, la richiesta di Morgan Stanley (la cui branch italiana è diretta dall’ex direttore generale del Tesoro Domenico Siniscalco) deve essere stata una brutta sorpresa. L’episodio riapre la questione della trasparenza delle operazioni in derivati che sono gestite dal Tesoro nella più totale opacità: nessuno sa a quanto ammontano e una volta all’anno viene comunicato (agli uffici di statistica) il guadagno o la perdita complessivamente registrata su quel tipo di operazioni. Infine c’è un problema di immagine per quello che è spesso chiamato il “governo dei banchieri”: dare 2,567 miliardi a Morgan Stanley mentre si stangano i pensionati e si stanziano 50 milioni per la social card non suona bene.
Foto: P. Tre / FOTOA3
Foggia porta Amica al crac Anche una società pubblica può fallire. A Foggia il 19 gennaio il Tribunale ha decretato il fallimento di Amica Spa, l’azienda comunale per la raccolta dei rifiuti. Il giudice Roberto Gentile ha negato la richiesta del Comune per l’amministrazione straordinaria prevista dalla Prodi-bis. I 60 milioni di debito della società hanno lasciato pochi dubbi ai magistrati. Anche se la giunta di centrosinistra, guidata dal sindaco Gianni Mongelli, ha detto che ricorrerà in appello, restano pochi i mesi per indire la gara per la selezione di un socio privato e riorganizzare il servizio. Intorno alla catastrofe della Amica è esploso un forte conflitto tra istituzioni: il giudice fallimentare non ha usato
eufemismi, accusando l’amministrazione di aver lasciato «che Amica defluisse lentamente in uno stato di decozione irreversibile». Il 2005, anno del passaggio da azienda speciale a spa, si era chiuso con una perdita di oltre 8 milioni, fino ad arrivare ai 22 del 2011. «Appare lecito il dubbio che lo scopo dell’ente territoriale», continua il decreto, «sia stato solo quello di scaricarsi della spaventosa crisi debitoria accumulata da Amica, ottenendo il riconoscimento della sua assoggettabilità a fallimento, già consapevole del destino di quell’azienda, le cui passività di bilancio avrebbero potuto condurre al default dello stesso comune». Francesco Bellizzi lE ’ spresso | 105
Economia RECESSIONE
RIFIUTI URBANI
TRASPORTO PUBBLICO
Variazione della raccolta 2011/10
Variazione degli abbonamenti annuali 2011/10
-2,75%
2012 L’anno del grande
MILANO
DIGIUNO
FIRENZE
-6%
Crollano i consumi alimentari. E anche quelli hi-tech. Per la prima volta si usa meno il telefono. E scende il traffico sul Roma-Milano, con l’aereo e con il treno
-4%
ROMA
+3%
MILANO
NAPOLI
-4%
-4,1
-9,5 -6
INFORMATION TECHNOLOGY
MEDIA 2011
-2,7 +0,8
DICEMBRE 2011
BENZINA
MEDIA 2011
I° SEMESTRE 2011
-2,3
TELECOMUNICAZIONI
TRAFFICO AUTOSTRADALE
OTTOBRE 2011
ULTIMO TRIMESTRE 2011 VARIAZIONI RISPETTO ALLO STESSO PERIODO DEL 2010
DICEMBRE 2011
-5,9 MEDIA 2011
-16,9
GAS
DICEMBRE 2011
FRIGO E CONDIZIONATORI
-6
-13,8
GPL
-6,3 MEDIA 2011
NETTEZZA URBANA TELEVISORI E MONITOR
-8
SPESA FAMILIARE
-6/7
COOP DI CONSUMO
-8,5 NATALE 2011 MILANO
VARIAZIONI MENSILI RISPETTO AL DICEMBRE 2010
Elaborazione infografica: Giacomo De Panfilis
-2,8
MEDIA 2011
GASOLIO
GRANDE DISTRIBUZIONE
entre l’Europa dell’austerity si prepara ad affrontare un anno di pesante recessione cercando di salvare l’euro e le banche, le famiglie hanno già messo i sacchetti di sabbia alle finestre, cercando di salvare redditi smagriti e risparmi a lumicino. Così, se la crisi del debito e le strette fiscali fanno via via correggere in peggio le previsioni sulla crescita del Pil per il 2012 (Confindustria ha previsto un meno 1,6 per cento, Prometeia meno 1,7, le cassandre del Fmi un meno 2,2), la stretta dei consumi che si è verificata tra la fine del 2011 e questo inizio d’anno apre la strada a scenari ancora più foschi. Quelli che parlano di un 4 per cento di dimagrimento della ricchezza prodotta nel paese, su cui la cura ricostituente delle liberalizzazioni del governo Monti potrà nell’immediato assai poco. Vista dal fronte dei consumi, la recessione parte dai cassonetti: in quelli di Milano, durante le feste di Natale e Capodanno 2012, c’è finito l’8,5 per cento di rifiuti in meno rispetto all’anno prima. Ma anche consumi che in questi ultimi anni di difficoltà non hanno mai registrato né frenate né arretramenti come quelli della telefonia e dell’alta velocità, scoprono per la prima volta il segno negativo. Si può parlare con Enzo, il verduraio romano del mercato Appio latino, che conta una media di venti clienti al giorno in meno. O con il presidente del
M
DICEMBRE 2011
I° SEMESTRE 2011
-1,2
LA GELATA DI NATALE
Fonte: ministero Sviluppo, Coop, Raee, Autostrade, Assinform
Come sono variati i consumi nei diversi settori (dati in percentuale)
+15%
FONTE: AZIENDE LOCALI, ATAC, COMUNE DI MILANO
DI ROBERTA CARLINI
TUTTI I NUMERI DEL CROLLO
ROMA
gigante delle coop di consumo, che dà una stima di quello che chiama il “downgrading del carrello”: l’anno si è aperto con un 6-7 per cento in meno alla cassa. Tutti segnali che la crisi sprofonda, si incattivisce, morde anche più di quello che s’è visto finora. Segnali ancora non registrati dalle statistiche ufficiali, ma che hanno fatto suonare l’allarme ai piani alti delle aziende che si preparano a pianificare un 2012 da brivido. SULLE TRACCE DEI CONSUMI
Quella della spazzatura è una buona pista per capire come va davvero l’economia. Se si consuma di meno, si butta di meno. Ma quanto? «A Firenze abbiamo chiuso il 2011 con un meno 6 per cento: è come se fosse mancata la raccolta di un mese di rifiuti urbani», dice Dover Scalera, consigliere d’amministrazione della Quadrifoglio, la società che raccoglie la spazzatura di tutta l’area. Facendo una proiezione grossolana ma non tanto azzardata, è come se i fiorentini per un mese intero non avessero mangiato, scartato pacchetti, svuotato bottiglie, sbucciato frutta, aperto imballaggi. Passando a città più grandi, il bollettino dei rifiuti segna meno 4 all’anno a Roma e a Napoli, e un dato più contenuto a Milano: meno 2,75 per cento (con l’impennata però nel periodo finale dell’anno). Gli operatori del settore escludono che ciò sia dovuto a comportamenti più virtuosi o a novità nel metodo di raccolta: «Non era mai stato così nelle crisi precedenti», commenta Daniele Fortini, presidente di Federam-
biente e amministratore delegato di Asia, l’azienda dei rifiuti di Napoli. Ci sono poi alcuni rifiuti che ci portano direttamente alla cassa di negozi e centri commerciali: quelli pesanti degli elettrodomestici e apparecchi vari, che si rottamano di solito quando si compra il nuovo. Anche qui, dai centri della raccolta speciale verso la fine del 2011 è arrivato il segnale di marcia indietro, a invertire una tendenza positiva che invece aveva resistito finora alla crisi: meno 4 per cento nell’ultimo trimestre del 2011 rispetto allo stesso periodo dell’anno prima; diventa però meno 6 per frigoriferi e condizionatori, e meno 8 per tv e monitor. In attesa che finisca la crisi, ci teniamo il vecchio frigo, aggiustiamo il forno o rinviamo l’acquisto della tv ad alta definizione o del nuovo pc. TELEFONI E CARRELLI
La grande recessione è arrivata anche qui, nel cuore della new economy, nei settori di punta dell’innovazione tecnologica e delle telecomunicazioni, quelli della grande cavalcata dell’ultimo decennio, in cui riduzione dei prezzi per i consumatori e aumento del business per le imprese sono andati di pari passo. Il presidente della Telecom Franco Bernabè ha fatto saltare sulla sedia i suoi colleghi al direttivo dell’Assonime dicendo che per la prima volta scendono i consumi telefonici. I numeri di gennaio segnalano un meno 3 per cento. Trend confermato anche dai concorrenti di Fastweb: nel penultimo trimestre del 2011 per la prima volta è sceso il nu9 febbraio 2012 | lE Õ spresso | 107
Economia
Al Sud si cura un figlio su due stranieri dal Nord sono scesi nel Mezzogiorno, dove di lavoro ce n’era ancora di meno, ma evidentemente funzionavano ancora quelle forme di protezione. Adesso quelle reti si sono prosciugate, così come sta finendo la cassa integrazione al Nord. Questo porta a una contrazione forte, che arriva anche alla spesa per mangiare: alla povertà alimentare. Il 76 per cento delle famiglie napoletane che ha avuto il reddito di cittadinanza l’ha usato per comprasi da mangiare. E per risparmiare, si comprano meno prodotti sani, crescono gli acquisti nei discount, aumenta la cattiva alimentazione. Non solo. Cresce il ricorso alle mense: a Napoli i pasti distribuiti dalla comunità di Sant’Egidio sono passati, all'inizio della crisi, da 400 a 700 a settimana. Cresce anche il ricorso ai banchi alimentari, che distribuiscono i pacchi di pasta alle famiglie segnalate dalle parrocchie. Questa è la formula preferita, perché chi riceve i pacchi non deve mettersi in fila alla mensa. Chi sono i nuovi poveri? Alla carità pubblica non ricorrono più solo i soggetti marginali, ma anche anziani che prima non ne avevano bisogno, e famiglie prima considerate al sicuro, persone che
Si riduce l’uso del trasporto privato, mentre esplodono gli abbonamenti a metro e bus a Roma e Milano mero delle linee in banda larga presso le famiglie, dai 13,516 milioni di giugno 2011 a 13,333 milioni al 30 settembre 2011. Si tratta di un numero che sino a quella data era sempre cresciuto: prima perdeva quota Telecom a vantaggio degli operatori concorrenti che entravano sul mercato, dalla seconda metà dell’anno scorso perdono tutti. Una novità che va ad aggiungersi a un trend che già segnalava le prime crepe, con un fatturato del settore in calo dal 2010, e non solo per l’effetto della riduzione dei prezzi dovuta alle guerre commerciali 108 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
tra gli operatori, ma anche per una riduzione nelle quantità. Dove i prezzi non scendono, va ancora peggio. Prometeia prevede che al 2014, quando la crisi (si spera) sarà finita, le famiglie avranno perso quasi l’8 per cento in potere d’acquisto, e sarà aumentata di cinque punti la quota di reddito che se ne va per consumi. Complice il carobenzina e il ritocco dell’Iva, gran parte di questa perdita si è concretizzata alla fine dell’anno passato. Nella grande distribuzione possono disegnare quasi ogni sera il contenuto e il
UN MERCATO A TARANTO. IN BASSO, DA SINISTRA: ROCCO SABELLI E FRANCO BERNABÈ
avevano un lavoro e non l'hanno perso. I giovani poveri non hanno copertura: la social card, di recente rifinanziata dal governo, riguarda solo i bambini sotto i tre anni e gli anziani. Mentre le spese più forti arrivano per chi ha i figli adolescenti. Così si tagliano altre spese importanti, quelle per l’istruzione, per esempio. E scendono le immatricolazioni all’università. Si tagliano anche le spese sanitarie. So di una madre di due gemelli, che fa fare le visite specialistiche solo a uno dei due, per poi dare a entrambi la stessa cura: così risparmia sul ticket, ci ha detto.
valore dei carrelli che sono transitati davanti alle casse. «Diminuiscono sia le frequenze, che il loro valore», dice Vincenzo Tassinari, presidente di Coop Italia. Tradotto: nel carrello ci sono meno prodotti, e di minor valore. «Prima il consumatore teneva un piccolo stock in casa. Adesso no, si compra solo l’essenziale». Questo comportamento ha portato la grande distribuzione a perdere l’1,2 per cento nella media del 2011 e l’8 nelle vendite dei beni non alimentari. Ma per il primo scorcio del 2012 la riduzione del valore del carrello segna almeno un meno 6-7 per cento, stima Tassinari, e per i prodotti “no food” il calo supera il 10. Salgono solo i discount: più 1,5 per cento nei primi undici mesi del 2011, dice l’Istat. MENO AUTO PER TUTTI
Il cocktail di recessione e inflazione, che sta tagliando le gambe ai consumi
Foto: P. Tre - Contrasto, D. Scuderi - Imagoeconomica, S. Donati - Terraproject / Contrasto
«Quando scendono anche i consumi alimentari, entriamo nel campo della povertà. Ma attenzione a fare paragoni con il passato, questa non è la fame del dopoguerra. Non a caso l’aumento della povertà adesso va di pari passo con l’aumento dell’obesità». Enrica Morlicchio, sociologa dell’Università di Napoli, legge i dati su consumi e crisi con un occhio particolare: avendone seguito nel tempo l’evoluzione con i lavori della Commissione Gorrieri sulla povertà, ma cogliendo anche, dal suo osservatorio napoletano, le differenze tra le parti del paese che - è, ma è così - «hanno una sorta di abitudine alla povertà», e le altre. Cos’è cambiato nei consumi delle fasce più basse della popolazione? Chi sono i nuovi poveri? All’inizio l’impatto della crisi si è visto soprattutto al Nord. Nelle città industriali come Torino, nel Nordest delle piccole imprese. Al Sud, paradossalmente, si notava di meno: perché i poveri c’erano già da prima, e per la maggiore presenza di quelle reti di protezione che fornivano le famiglie, e anche il sommerso. Tant’è che una nostra ricerca ha mostrato un fenomeno a prima vista strano: quando hanno perso il lavoro, molti immigrati
degli italiani, ha un ingrediente essenziale: il petrolio coi suoi derivati, che ha infiammato il movimento dei forconi, camionisti e pescatori, a causa del caro-gasolio. L’effetto del caro-greggio prima che in piazza si era visto alla pompa: meno 6 per cento i consumi di benzina senza piombo in tutto il 2011, con crollo finale del 9,5 a dicembre, e dell’11 nei primi giorni di gennaio. E lo si vede per strada. I passaggi ai caselli delle autostrade a ottobre 2011 segnalavano un calo del 2,3; le immatricolazioni delle nuove auto sono scese di oltre il 10 per cento l’anno scorso. E secondo un sondaggio Aci-Censis, 20,6 patentati su 100 hanno ridotto l’uso dell’auto nello scorso anno, mentre solo 8,3 l’ha aumentato. Molti sono corsi a farsi l’abbonamento intera rete a metro, tram e bus: a Milano, nonostante l’aumento dei prezzi, gli abbonamenti annuali per il trasporto pubblico sono saliti del 3, a Roma del 15 per cento. Segnali poco promettenti, per la prima volta, arrivano anche sulla tratta dalle uova d’oro, quella tra Roma e Milano: sulla quale Trenitalia registra una flessione nelle prime settimane dell’anno, mentre anche gli sfidanti del treno Italo stanno rifacendo i conti. Idem per l’Alitalia, dove quel che preoccupa non è tanto il numero dei passeggeri (rimasto stabile), ma il loro comportamento. In particolare, preoccupano i clienti della classe business e in genere tutti coloro che compravano i biglietti delle classi più elevate. Lo ha scritto l’amministratore delegato Rocco Sabelli in una lettera ai dipendenti: i biglietti a tariffa alta a ottobre scorso sono scesi del 17 per cento. E, lamenta Sabelli, «a guidare il fenomeno, con tassi di caduta ancor peggiori, sono le prime 50 aziende italiane nostre clienti», che quando si tratta di far viaggiare i loro dipendenti stanno molto più attente che nel passato e cercano la formula più economica. La crisi, nel terzo anno di recessione, viaggia anche in business class. ■
Avviso ai naviganti Massimo Riva
Il debito viene dopo IL GOVERNO MONTI STA RADDRIZZANDO
i conti pubblici con impegno e qualche progresso comincia a profilarsi. Tanto che non sembra più un miraggio in prospettiva il traguardo di un avanzo primario (saldo fra entrate e uscite al netto degli interessi sul debito) nell’ordine del cinque per cento. Soglia considerata necessaria per ottenere la patente di sostenibilità di un debito pur così elevato come quello del nostro paese. In un simile scenario non deve stupire che ora si riaffaccino ipotesi di interventi straordinari per dare una picconata alla montagna debitoria in modo da accelerare la strategia del risanamento contabile. Il proposito non è peregrino: se d’un colpo si riuscisse a far scendere il debito dal 120 per cento attuale anche solo a quota 110 rispetto al Pil, i riflessi benefici sarebbero ampi e diffusi perché comporterebbero pure un rovesciamento delle aspettative allarmate dei mercati con conseguente riduzione dell’intero ventaglio dei tassi d’interesse sui titoli del Tesoro. È già da tempo, del resto, che da più parti fioccano proposte seppur molto diverse fra loro ma tutte mirate al medesimo obbiettivo di dare una drastica sforbiciata al debito accumulato. Finora la principale e risolutiva obiezione contro simili ipotesi si può riassumere in un solo avvertimento: prima si raggiunga un significativo avanzo nel saldo fra entrate e uscite, insomma si risani il bilancio e poi avrà senso parlare di interventi “una tantum” sul debito. Altrimenti si corre il serio rischio che la riduzione dell’onere debitorio finisca per essere vanificata in breve da un parallelo allentamento della vigilanza sulla spesa pubblica. Timore più che fondato alla luce dei numerosi pre-
cedenti negativi. Uno su tutti: l’allegra dissipazione del dividendo incassato con l’ingresso nell’euro in termini di netta caduta dei tassi d’interesse. Certo, oggi il governo Monti sta offrendo al riguardo prove di serietà contabile ben diverse da quelle dell’era Tremonti, come si ricordava in principio a proposito dell’avanzo primario. Ma ciò può bastare a rendere superata la pregiudiziale sul raggiungimento effettivo di un solido equilibrio di bilancio? La mia personale opinione è che la pelle vada venduta a orso catturato, nel caso specifico che di operazioni straordinarie sia più saggio parlare una volta raggiunto e consolidato il dato di un avanzo al cinque per cento. C’è poi da considerare che un taglio del debito dai riflessi significativi dovrebbe aggirarsi almeno sui 200 miliardi. Va bene che il convento statale è povero mentre molti frati-cittadini sono ricchi, ma oggi un prelievo istantaneo di tale entità quali ricadute avrebbe sull’andamento di una domanda che già langue da tempo inducendo continui stimoli recessivi? Diverso, naturalmente, è il caso di chi propone di ridurre il debito attraverso cessioni patrimoniali dello Stato: questa strada non presenta controindicazioni, salvo quella di non essere affatto rapida nei tempi. Infine, un dubbio più radicale. Perché insistere sulla via controversa delle “una tantum” invece di percorrere la strada della normalità? Un’imposta patrimoniale ordinaria, seppure a minima aliquota, non darebbe certo un taglio netto al debito ma ne garantirebbe la riduzione progressiva e dunque la sostenibilità nel tempo. Oltre tutto, senza particolari controindicazioni congiunturali. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 109
Economia MONTE PASCHI
GIUSEPPE MUSSARI. DA SINISTRA: GABRIELLO MANCINI; PIAZZA DEL CAMPO A SIENA. IN BASSO: FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE
La Fondazione ha bruciato un patrimonio che valeva 13 miliardi nel 2006. E non solo per colpa della Borsa. Un testimone racconta DI LUCA PIANA egli archivi del Tribunale del lavoro di Siena c’è un faldone di documenti inediti che permette di raccontare i segreti della crisi in cui è sprofondata la fondazione che controlla il Monte dei Paschi, la terza banca italiana. Il fascicolo contiene la ricostruzione, corredata da una raccolta di comunicazioni interne, verbali di riunioni e promemoria, che un ex alto dirigente della Fondazione Mps,
N
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Nicola Scocca, fa di una serie di operazioni effettuate dall’istituzione con il proprio patrimonio. Il suo racconto è interessante perché rivela come, negli anni, diversi campanelli d’allarme suonarono per avvertire i vertici che alcune scelte non erano sensate. Un avvertimento che si è dimostrato fondato. Nel 2006, quando la quota di maggioranza nel Monte valeva in Borsa la bellezza di 8,7 miliardi, tra i beni di proprietà della Fondazione figuravano anche altre par-
parsi soprattutto di preservare nel tempo le risorse che servono ad alimentare il flusso di donazioni per la città. Non solo hanno concentrato gran parte dei loro quattrini negli aumenti di capitale del Monte, impegnato a sua volta in una dispendiosa campagna di espansione. Hanno fatto di più: hanno scommesso i loro soldi su una serie di investimenti effettuati, come detto, più per sedersi al tavolo dei potenti che per ottenere un rendimento sicuro. Con la conse-
guenza che ora, con la Fondazione che non riesce più a far fronte ai debiti e ha dovuto intraprendere una ristrutturazione, si ritrovano costretti a cedere quegli stessi investimenti a prezzi stracciati. Quando le quotazioni del sistema bancario erano ai massimi, la Fondazione guidata da Gabriello Mancini (Pd) ha deciso, ad esempio, di non vendere una quota in Intesa Sanpaolo solo perché a Siena cullavano l’illusione di sedersi nella stanza dei botto-
è in progressiva uscita, e con la ricapitalizzazione di Unicredit, dove anche una moral suasion ha indotto diversi industriali a diventare soci. Una chiamata simile a quella avvenuta nel Leone, quando Leonardo Del Vecchio, Lorenzo Pellicioli e la Fondazione Crt, in cui ha peso Palenzona, chiesero a Caltagirone di diventare vice delle Generali. Eppure proprio a Trieste, sul defenestramento dell’ex presidente Cesare Geronzi, le idee fra i due non furono coincidenti: rispetto a un Palenzona più netto nel favorire l’uscita di Geronzi, Caltagirone era
più neutrale, se non dubbioso. Negli anni, a consolidare i rapporti fra Palenzona e Caltagirone sono stati da un lato Gianni Mion, top manager del gruppo Benetton che gode della stima di Palenzona, e Fabio Corsico, capo delle relazioni istituzionali di Caltagirone e da tre anni consigliere della Fondazione Crt. Tra gli osservatori resta un’incognita: riuscirà Palenzona a rappresentare per Caltagirone il banchiere di riferimento come lo è stato per anni Giuseppe Mussari di Mps? Michele Arnese
Attenti a quei due
Foto: R. Celentano - Laif / Contrasto, P. Tre - FOTOA3, A. Dadi - Agf (2)
IL SACCO di Siena
tecipazioni in società quotate e non, fondi d’investimento e, soprattutto, titoli di Stato, per un valore stimabile all’epoca in almeno 4 miliardi. Oggi, invece, la Fondazione ha debiti per alcune centinaia di milioni di euro e parte della sua deprezzata quota nel Monte (vedi grafico a pagina 112) è in pegno alle banche. Il finale, per i senesi, rischia dunque di essere amaro. Con il proprio patrimonio, infatti, per anni la Fondazione ha riversato sul territorio un enorme flusso di quattrini, aiutando il Comune e la Provincia a pagare i debiti, restaurando chiese e monumenti, rifacendo scuole e ospedali. Nella cronaca di un disastro che rischia di far perdere alla Fondazione il controllo della banca, ha certamente un peso enorme il crollo in Borsa dei titoli del Monte posseduti da un’istituzione i cui vertici vengono nominati da Comune e Provincia. Ci sono, però, anche aspetti che sono passati finora sotto silenzio, a cominciare dalla discutibile gestione di una serie di altre partecipazioni eccellenti. Leggendo le carte del faldone, si capisce infatti che, a un certo punto, agli uomini di Siena è venuto il desiderio di giocare agli Enrico Cuccia di provincia. Hanno iniziato a comportarsi come una holding di partecipazioni interessata a stabilire relazioni con i big del capitalismo italiano più che come un investitore che dovrebbe preoccu-
ni della più grande banca italiana. Hanno poi rastrellato zitti zitti una partecipazione in Mediobanca perché l’istituto fondato dal vero Cuccia è «il più importante crocevia degli affari dell’intera nazione», come hanno messo nero su bianco gli stessi avvocati di Mancini, a dispetto del fatto che una Fondazione dovrebbe badare soprattutto a non bruciare i propri investimenti. Ancora, hanno puntato con risultati alterni sui fondi Clessidra di Claudio Sposito, ex amministratore delegato della Fininvest; e solo per poco non hanno messo i loro quattrini in Charme, la società d’investimenti dell’ex presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, che di soddisfazioni ai propri investitori non ne ha date granché (vedi il riquadro a pagina 112). Che i rischi di questa strategia non fossero ignoti, a Siena, lo si può capire dalla vicenda vissuta da Nicola Scocca, il direttore finanziario arrivato in città nel 1999, chiamato dall’allora presidente Giovanni Grottanelli de’ Santi per contribuire alla gestione del patrimonio finanziario accumulato alla Fondazione con la quotazione in Borsa della banca. Apprezzato anche dal successore di Grottanelli, l’economista Giulio Sapelli, Scocca è finito nel mirino a partire dagli anni successivi, quando alla guida della Fondazione sono arrivate personalità espresse dalla politica locale: prima Giu-
Possono andare d’accordo un costruttore freddo e duro e un banchiere pacioso e dialogante (almeno in apparenza)? La risposta è sì, nel caso del costruttore Francesco Gaetano Caltagirone e del banchiere Fabrizio Palenzona. Il primo, con gli auspici del secondo, ha investito in Unicredit. A riprova, secondo Palenzona, che Caltagirone è proprio un “imprenditore cartesiano senza fronzoli e uomo libero”, come un anno fa il vice di Unicredit definì l’imprenditore. L’asse tra i due è ormai palese e caratterizzerà la filiera che partendo da Unicredit passa per Mediobanca e raggiunge Generali. I rapporti fra i due sono nati anni fa, si sono rafforzati di recente e si sono intensificati negli ultimi mesi con le difficoltà di Mps, dove Caltagirone
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Economia
COMPAGNIE AEREE
Affari sfumati, occasioni mancate
LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO Nel 2003 i vertici della Fondazione chiedono alla direzione finanziaria un parere sull’investimento nel fondo Charme. L’analisi è negativa: le commissioni sono superiori alla media; i rischi maggiori di quelli ideali per una fondazione e le scelte cruciali toccano a una persona super-impegnata come Luca Montezemolo. Il presidente Mussari rinuncia. Da allora il fondo ha chiuso in utile solo il bilancio 2006.
seppe Mussari, nel 2006 promosso alla guida della banca, in seguito Mancini. La svolta è nel 2008, quando Scocca viene improvvisamente licenziato con questa motivazione: il Monte dei Paschi ha effet-
CURA DIMAGRANTE Valore della partecipazione di controllo nel Monte dei Paschi di Siena detenuta dalla Fondazione Mps, calcolato in base ai prezzi di Borsa (dati in milioni di euro)
8.713
6.998
6.514 5.656 4.546 3.150 1.441
2005 ’06
’07
’08
’09
’10
’11
N.B.: i dati sono calcolati assegnando alle azioni di risparmio e privilegiate un valore identico a quello delle azioni ordinarie, le uniche quotate in Borsa. I dati sul numero di azioni possedute dalla Fondazione alla fine del 2011 sono ricavati dalle comuncazioni alla Consob, non essendo il bilancio consuntivo ancora a disposizione
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ALBERTO NAGEL Nel 2007 la Fondazione Mps investe 256 milioni in azioni Mediobanca. È una quota definita «strategica» e il direttore generale Marco Parlangeli entra nel consiglio di amministrazione di quello che a Siena ritengono il «crocevia degli affari dell’intera nazione». Da allora il titolo Mediobanca è crollato. E l’istituto guidato da Nagel è tra i creditori che hanno in pegno le azioni Mps possedute dalla Fondazione.
tuato un aumento di capitale che ha assorbito buona parte del patrimonio della Fondazione; non essendo rimaste grandi risorse da investire altrimenti, non serve un direttore finanziario. C’è il sospetto, però, che le motivazioni dell’allontanamento possano essere anche altre. Nel tempo, infatti, il manager aveva iniziato a criticare le operazioni condotte dalla Fondazione, il mancato rispetto di alcune procedure relative agli investimenti e altri comportamenti dei vertici. Nel caso di Mediobanca, ad esempio, il pacchetto di titoli fu acquistato senza avvertire la direzione finanziaria, così come venne ignorata una dettagliata - e per certi versi esplosiva - analisi del maggio 2006 che metteva in rilievo come la Fondazione stesse distribuendo sul territorio risorse eccessive rispetto al rendimento che il patrimonio era in grado di generare, considerando i prudenti obiettivi che, per non rischiare perdite, erano stati dati. La causa di lavoro intentata da Scocca è stata respinta dal giudice senese Delio Cammarosano, che ha ritenuto legittima e non punitiva la soppressione della direzione finanziaria. Ora si attende l’appello, che si terrà a Firenze. Al di là della vertenza, tuttavia, l’aspetto più interessante della vicenda, è che il procedimento ha fatto emergere un’ampia documentazione che dimostra come, in Fondazione, gli allarmi sulla stra-
GIOVANNI BAZOLI Il 6 settembre 2007 il direttore finanziario propone di vendere le azioni Intesa che la Fondazione ha da tempo in bilancio per 225 milioni, rilevando che hanno reso come un meno rischioso Btp. All’epoca la plusvalenza sarebbe stata stratosferica ma la banca di Bazoli era ritenuta un salotto dove rimanere. Da allora pure Intesa è crollata e di vendita si è parlato quando i vantaggi erano svaniti.
da che si stava imboccando fossero risuonati già da tempo. Ci sono documenti che mostrano come, appunto, i vertici dell’istituzione fossero stati invitati a vendere le azioni di Intesa Sanpaolo quando queste avrebbero permesso una plusvalenza stellare. Ma che cosa dovrebbe fare una Fondazione in una situazione simile? Quando si è guadagnato tanto, si vende, e magari si mettono i quattrini al sicuro in Bund tedeschi. Invece no: come non hanno avuto remore di scrivere gli avvocati di Mancini, quello in Intesa era un «investimento strategico che ha consentito di far parte del gruppo dei soci di una delle più grandi banche italiane». Un’affermazione che oggi, con la Fondazione che ha dovuto mettere in vendita le partecipazioni ai prezzi miseri delle Borse attuali, suona come uno slogan da fiera delle vanità. Uno dei documenti più interessanti, però, è l’informativa che nel maggio 2006 Scocca inviò ai suoi superiori per avvertire che dal 2001 al 2005 la Fondazione aveva erogato sul territorio un quarto in più dei fondi che avrebbe potuto permettersi, in base al rendimento indicato come obiettivo per la gestione del patrimonio. L’allarme suonò però inascoltato, forse perché da quei quattrini dipendeva il consenso che la città e i partiti decretavano nei confronti dei vertici della Fondazione. ■
C’è un Marchionne a
MERIDIANA
Non solo diete e taglie slim. Nella cura del nuovo manager ci sono anche meno soldi e pi• lavoro per i dipendenti DI ALBERTO BRAMBILLA E STEFANO VERGINE l metodo Marchionne? Qualche volta al sindacato piace, o almeno lo accetta con spirito di realismo. È accaduto a Meridiana, la compagnia aerea dell’Aga Khan, dopo l’ingresso come azionista e amministratore delegato di Giuseppe Gentile. Il 18 novembre è stato firmato da Cgil, Cisl e Uil un accordo annuale che taglia gli stipendi dell’8 per cento, e poiché intese su altri tagli erano già state concluse dall’amministrare precedente, per 400 persone sui 2 mila dipendenti totali si arriva a buste paga sforbiciate del 28 per cento. L’accordo inoltre fissa nuovi parametri per assistenti di volo e piloti di Meridiana, facendo cadere il limite di 19 ore consecutive di servizio. Conseguenze? Equipaggio in attività talvolta fino a 30 ore di fila. «Con rischi per la sicurezza dei passeggeri», dicono i lavoratori, fiancheggiati dall’Usb, il sindacato che opponendosi all’accordo è diventato il più forte tra gli assistenti di volo. «Che cosa dovevamo fare con una compagnia che ha perso circa 60-70 milioni nel 2011?», si giustifica Marco Veneziani, segretario nazionale Uilt, che invece l’accordo l’ha firmato. «L’azienda
I Foto: P. Tre / FOTOA3, F. Cavassi / AGF(2), A. Dadi - Agf, L. Mistrulli - Imagoeconomica, Ag. Sintesi
CLAUDIO SPOSITO I fondi Clessidra di Claudio Sposito, ex amministratore delegato di Fininvest, sono una delle scommesse della Fondazione Mps. Il primo viene sottoscritto con ottimi rendimenti nel 2003 dopo una selezione effettuata proprio da Nicola Scocca; il secondo viene acquistato in seguito, quando già iniziano ad addensarsi i dubbi sul settore del private equity. Stando ai bilanci, la resa non è stato altrettanto buona.
sarebbe fallita», gli fanno eco dalla FiltCgil. La battaglia sindacale è stata durissima. Per aver suggerito ai colleghi di contestare i nuovi vincoli, sette piloti sono stati sospesi. Uno di loro, Carlo Fiorillo, è stato licenziato. I sacrifici chiesti dal Marchionne dei cieli, come è stato ribattezzato Gentile, non riguardano però solo orari e stipendi. Qualche esempio? Gli Airbus 320 di Meridiana hanno i certificati di disinfestazione scaduti da almeno tre mesi. Per alcune trasferte i dipendenti hanno dovuto usare voli di compagnie vietate dall’Ente nazionale per l’aviazione civile. Il cibo somministrato all’equipaggio è staGIUSEPPE GENTILE
Economia
to bocciato da una ricerca di Anna Villarini, nutrizionista dell’Istituto Nazionale dei Tumori, secondo cui questo tipo di alimentazione «va contro tutte le indicazioni internazionali ed europee circa la prevenzione della patologie cronico-degenerative». Nemmeno il cliché del pilota che frequenta grandi hotel sembra resistere alla cura Gentile: durante alcune trasferte i dipendenti riferiscono di alloggiare in alberghi sporchi e rumorosi, costringendo così i passeggeri a volare con un comandante in debito di sonno. «Il rossetto si vede, il cervello no»: è questo il messaggio con cui la moglie di Gentile, Cristina Ceolin, bacchetta le hostess durante i corsi per il personale. Nominata a metà gennaio direttore dei servizi di bordo, Ceolin ha lanciato un diktat preciso: non saranno tollerate variazioni di peso derivanti da «ginnastica mandibolare», ha detto. E ha annunciato anche un cambio d’abito: al posto della divisa blu con giacca e pantaloni, una uniforme tricolore, da lei stessa disegnata, che prevede gonne con un generoso spacco. Identico abbigliamento delle hostess di Air Italy, la compagnia fondata dal marito e di cui Ceolin è tuttora responsabile delle assistenti di volo. Dietro la battaglia dimagrante c’è una realtà più complessa. La crisi di Meridiana è iniziata a giugno, quando 910 dipendenti sono stati messi in cassa integrazione. Un mese dopo è arrivato il colpo di scena: il principe Aga Khan ha annunciato l’integrazione di Meridiana con Air Italy, operazione vincolata a due aumenti di capitale. Che alla fine si tradurranno in un riassetto azionario in cui l’Aga Khan ridurrà la sua quota di controllo al 41 per cento, mentre Gentile, in cambio di Air Italy, diventerà il secondo azionista con il 37 per cento. Di certo per ora il settantenne ex pilota Alitalia, un passato imprenditoriale che spazia dal calcio all’immobiliare, ha imposto il suo metodo. Il problema è se alla fine, nonostante i tagli, Gentile salverà un vettore che in un anno ha visto raddoppiare i debiti da 9,1 a 20,9 milioni di euro. Le possibilità sono minime, sostiene Andrea Giuricin, economista dell’Istituto Bruno Leoni: «Era una partita persa in partenza, si sono unite due aziende in perdita. Ed è facile che anche Meridiana cada infine nell’orbita Alitalia». ■ 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 113
Economia ASSICURAZIONI
A noi il MALUS a loro il BONUS
Anche le liberalizzazioni di Monti hanno dovuto arretrare di fronte ai superpoteri delle compagnie. E l’Rc auto resta salata DI CORRADO GIUSTINIANI
C
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basso, 74,9, per schizzare nel 2010 al picco assoluto di 117,2, con un incremento del 4,6 per cento l’anno che fa gridare allo scandalo, rispetto al più 0,7 della Germania, al più 0,9 della Francia e persino al più 2,7 della Spagna. L’indagine conoscitiva presentata il 12 ottobre del 2011 in Senato da Antonio Catricalà, allora presidente dell’Autorità Antitrust prima di passare il mese successivo al governo, documentava queste cifre e denunciava un’inquietan-
POLIZZE D’EUROPA Andamento dei prezzi per l’assicurazione dei mezzi di trasporto (2005=100) 2000
2005
2010 102 100 109,5
Germania 83,6
100 109,1
Spagna
97,3 100 106,2
Francia 74,9
100 117,2
ITALIA 88,2
100
Olanda 95,4 89,3 Area Euro
100 109,9 Fonte: Elaborazione AGCM su dati Eurostat
CLAUDIO DEMOZZI. A SINISTRA: TRAFFICO A ROMA
te “tendenza al rialzo continuo”. In base a dati dell’Isvap, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni, un quarantenne che si trovi nella classe di bonus più favorevole, la prima, si è visto caricare nel biennio 2009-2011 un aumento medio del 26,9 per cento. E stiamo parlando di una categoria di guidatori non certo spericolati. Fino al 1994 le tariffe Rc auto erano imbrigliate dal prezzo amministrato. Lasciate libere, hanno recuperato immediatamente l’equilibrio per poi continuare a crescere, sfruttando l’obbligo degli automobilisti ad assicurarsi. Ma questa corsa non era finita nel 2007, grazie alla legge Bersani? «In un primo tempo l’impatto delle nuove norme è stato molto positivo», spiega Claudio Demozzi, presidente del Sindacato nazionale agenti, il primo del settore con 8 mila iscritti su 15 mila agenzie attive: «Bersani ha infatti messo fuorilegge il mandato di esclusiva, spiazzando così le compagnie, e ha ridotto l’onere per i neopatentati, iscrivendoli alla categoria bonus malus più favorevole in famiglia, anziché d’autorità alla 14». Ma poi le compagnie hanno reagito, riallineando all’insù le tariffe, anche per le classi più basse. Alla legge Bersani, inoltre, mancava un tassello decisivo. Non bastava dire no al monomandato: «Bisognava anche obbligare le compagnie ad accordare i nuovi contratti di agenzia», continua Demozzi, «ma anche qui, dopo lo sbandamento iniziale, queste si sono riorganizzate facendo cartello». Hai già un rapporto d’esclu-
Foto: A. Carconi / EIDON
ari automobilisti, coraggio: continuerete a pagare l’assicurazione più salata d’Europa. Passaggio dopo passaggio, il decreto Monti s’è svuotato e la liberalizzazione promessa è svanita alla luce della Gazzetta Ufficiale. È scomparso l’obbligo del plurimandato, grazie al quale si sperava che l’agente, avendo più compagnie in portafoglio, potesse cucirti addosso la polizza più adatta e più conveniente. Rischia di produrre una valanga di cause la prevista penalizzazione del 30 per cento sul rimborso del danno per chi preferisse il carrozziere di fiducia a quello offerto dalla compagnia. È indefinito lo sconto che l’assicurazione ti deve praticare, se lasci ispezionare l’auto prima della stipula. Avvio quanto mai soft della scatola nera per scoprire se l’incidente era reale o fittizio: nessun obbligo per le compagnie di montarla, sconti imprecisati per chi accetta di farsela installare. C’era da aspettarselo. Troppo forte, in Italia, è la lobby delle compagnie, che dalla Rc auto nel 2010 hanno ricavato 18 miliardi di euro, riducendo la concorrenza al minimo. La metà del mercato, nel ramo danni, è appannaggio di due colossi: il nascente Unipol-Fonsai, che ne controlla oltre il 30 per cento, e le Generali, che si avvicinano al 20. In tutto appena cinque gruppi si dividono il 70 per cento: un livello di concentrazione sconosciuto negli altri paesi d’Europa. Così, mentre nell’area dell’euro i prezzi medi per l’assicurazione dei mezzi di trasporto sono partiti nel 2000 dal livello 89,3 per attestarsi a quota 109,9 nel 2010, da noi, nell’arco di dieci anni, ci si è mossi da più in
siva con le Generali e chiedi di lavorare anche per noi della Zurich? Niente da fare, disco rosso. E così il sogno della concorrenza veniva soffocato sul nascere. Non che gli agenti lavorino oggi tutti in esclusiva: uno su quattro opera già con più compagnie. Semplicemente è stato bloccato questo processo di espansione. L’obbligo del plurimandato sembrava un punto fermo del decreto Monti, e invece nel testo in vigore non ne è rimasta che una traccia beffarda, all’articolo 34, dove si dice che gli agenti, prima della stipula della sottoscrizione, devono «informare il cliente, in modo corretto, trasparente ed esaustivo, sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre diverse compagnie non appartenenti a medesimi gruppi». Questi dati l’agente può attingerli da Internet. «Ma che senso ha proporre al cliente polizze che poi non posso intermediare?», si domanda il presidente del Sna. Niente di più facile che gli agenti, per vendere la loro, mostrino al cliente le proposte peggiori delle compagnie più scamuffe. Tutte le inefficienze del sistema Rc auto forniscono lo spunto per produrre aumenti. L’Isvap nel 2010 ha comminato alle compagnie circa 4 mila sanzioni per 35 milioni di euro, e l’anno prima per 45 milioni di euro, soprattutto con riferimento a illeciti nella liquidazione dei sinistri. Che problema c’è? Versi la sanzione e poi rincari la polizza. Si dice poi che in Italia le tariffe siano così care a
causa dei falsi incidenti e delle frodi che le compagnie subiscono. Strano però, che dai loro dati ufficiali tale piaga non traspaia affatto. Nel periodo 20072009 le frodi accertate sono infatti il 23 per cento del totale degli incidenti. Appena la metà di quelle scoperte in Francia, un quarto rispetto al Regno Unito. «Le compagnie - commenta l’Autorità Antitrust - non dedicano energie sufficienti a individuare le frodi, anche perché non hanno adeguati incentivi a controllare i propri costi». Fuor di metafora: meglio liquidare comunque un danno che spendere tempo e soldi in periti e avvocati per dimostrare che l’incidente non c’è mai stato, o che gli effetti sono gonfiati. Tanto poi ci rifacciamo sui prezzi. Come per l’evasione fiscale, gli onesti pagano il conto dei furbi. Ma il decreto Monti risolve questi problemi? È la stessa Ania, l’Associazione nazionale delle compagnie di assicurazione, a rispondere di no. «Per ridurre davvero i costi, e quindi i prezzi, occorrerebbe varare la tabella per la valutazione dei danni gravi alla persona», sostiene Vittorio Verdone, che dell’Ania è direttore del settore Auto, «in più, estromettere dai risarcimenti le pseudo-lesioni lievissime, che non siano provate da accertamenti diagnostici strumentali. Così si taglierebbero le tariffe di un 20 per cento in un colpo solo». Per i consumatori, infine, il decreto è soltanto un proclama di buone intenzioni. «Senza alcun effetto pratico»,
commenta Pietro Giordano, segretario generale Adiconsum: «Occorre rimodulare la “bonus malus”, spostare l’assicurazione più sul conducente che sul veicolo, indurre le compagnie a un maggiore impegno contro le frodi. Speriamo che il Parlamento porti qualche modifica utile». Dei cinque articoli del decreto che si occupano di Rc auto, il più concreto sembra quello che prescrive, di qui a due anni, l’abolizione di tutti i contrassegni cartacei sui vetri delle auto, per contrastare la piaga dei tagliandini falsi, e la loro sostituzione con sistemi elettronici o telematici in grado di rilevare anche le violazioni al codice della strada: sarà l’Isvap a dettare modalità e fasi di questa operazione. Ci sono poi le vaghe norme su ispezioni e scatola nera, la facoltà data alle compagnie di riparare l’auto, con l’improbabile penalizzazione del 30 per cento per chi fa da sé, e la presa in giro dei tre preventivi. Dopo la rivoluzione a metà di Bersani, i pannicelli caldi di Mario Monti. E dire che un sistema per aumentare la concorrenza e ridurre le tariffe già esiste ed è in funzione, ma pochi lo conoscono e lo praticano. Si chiama “Tuo preventivatore” e si trova sul sito del ministero dello Sviluppo economico e su quello dell’Isvap. Clicchi il bottone che ha il profilo di un’auto, ti iscrivi, fornisci alcune informazioni essenziali e, venti minuti dopo, ti arrivano per mail i migliori cinque o sei preventivi “su misura”, validi per 60 giorni. Il congegno è in grado di determinare una significativa mobilità di utenti da una compagnia all’altra. Si tratta solo di integrare il ventaglio delle offerte contrattuali, di potenziare il servizio e di propagandarlo, sui giornali e in tv, con un po’ di doverosa pubblicità progresso. ■
Unica modifica concreta, l’abolizione del contrassegno sul vetro, sostituito tra due anni con sistemi elettronici 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 115
n. 6 - 9 febbraio 2012
Società IDEE
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STILI DI VITA
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PERSONAGGI
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MODE
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TALENTI
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TEMPO LIBERO
Viaggi insoliti
EMISSIONI ZERO
Foto: P. Norton - Loop Images / Corbis, S. Cardinale - Corbis
In cerca degli antenati
Alla scoperta degli antenati. In Gran Bretagna è nato un tour operator che non solo ricostruisce l’albero genealogico del cliente, ma ripercorre, andando indietro almeno di un secolo, la storia economicosociale di una qualsiasi famiglia. Non si tratta solo di elencare nomi o di andare a visitare cimiteri, quanto di un viaggio nel tempo personalizzato. “Ancestral footsteps” (sulle orme degli antenati, questo il nome dell’agenzia), porta le persone sui luoghi più significativi di un passato che non conoscono. Non sempre, ovvio, sono luoghi paradisiaci, ma non conta. Il pacchetto “ricerca-avi” può costare fino a 25 mila sterline (oltre 30 mila euro), include, oltre alla gita di circa una settimana dormendo in ottimi alberghi, sei-otto mesi di ricerca, albero genealogico e un album con i documenti recuperati. Tra i turisti più curiosi del passato, oltre agli inglesi, americani, australiani e sudafricani. L’idea di questo particolare tour è venuta a Sue Hills, produttrice televisiva di un reality andato in onda tempo fa sulla Bbc e sulla Nbc. Si chiamava “Who do you IN ALTO: L’ABBAZIA DI WHITBY, NELLO YORKSHIRE. A DESTRA: MARIE-ANGE CASTA
think you are?” (Chi credi di essere?) e coinvolgeva attori e vip aiutandoli a riscopire le loro origini. Tra i partecipanti, Sarah Jessica Parker, Jeremy Irons, Steve Buscemi, Susan Sarandon. Finito il programma, Sue Hills non ha voluto buttare alle ortiche l’esperienza e ha creato ancestralfootsteps.com. Eleonora Attolico
Vitamine per il pianeta Leggere, dolci, pratiche da mangiare. Ricche di vitamine e sali minerali, fanno gola agli sportivi, che ne consumano quantità industriali, e alle donne, perché sono benefiche per la pelle. Ma quanto costa al pianeta il commercio di banane in termini d’inquinamento? Molto poco, se hanno il marchio Chiquita. L’azienda leader nella produzione, commercializzazione e distribuzione di frutta e verdura fresca ha appena aperto a Gorinchem in Olanda il primo centro di maturazione delle banane a zero emissioni di CO2, un impianto “carbon neutral” totalmente sostenibile. Munito delle più avanzate soluzioni tecniche per il ricircolo dell’aria e per il suo raffreddamento, l’edificio sfrutta il calore naturale prodotto dal processo di maturazione della frutta per il condizionamento climatico di ogni spazio. La luce è solare o a Led, regolata dai sensori del movimento. Internamente ci si muove con mezzi elettrici, e per i servizi igienici si ricicla l’acqua piovana. Micol Passariello
SONO CASTA ANCH’IO
Marie-Ange Casta è la sorellina della modella- attrice Laetitia. Stessa bocca carnosa, stessi capelli ondulati. «Altrettanto bella e promettente», ha scritto “Le Parisien” nel recensire il thriller uscito in Francia “Mineurs 27”, di Tristan Aurouet. La pellicola non passerà alla storia ma l’ha fatta notare nel ruolo di Deborah. Marie-Ange ha vent’anni ed è passata dalla carriera di modella (è stata per esempio testimonial del brand spagnolo Mango) a quella cinematografica. Il “Figaro Madame” la considera una nuova icona di stile, ma “buca” anche lo schermo al cinema. Nelle sale francesi è da poco uscito “Des Vents Contraires”, per la regia di Jalil Lespert, con due attori famosi: Benoît Magimel e Audrey Tautou. Tratto dal romanzo di Olivier Adam, il film, girato sulla costa Bretone a Saint Malo, racconta i tormenti di un maestro di scuola-guida distrutto dalla sparizione della moglie. E Marie-Ange Casta interpreta il ruolo di una sua allieva. E. A. lE ’ spresso | 117
Società Bit 2012
L’ARTE DELLA FUGA
Weekend. Crociere lampo. Blitz in città straniere. La borsa del turismo svela che gli italiani non rinunciano alle vacanze nemmeno con la crisi. Anche usando la Rete DI EMANUELE COEN
e vacanze non saranno mai più come prima. L’hanno capito bene gli italiani, stremati dalle tasse, sempre più divisi tra ricchi e poveri. Eppure continuano a viaggiare: se il budget si assottiglia loro tagliano i giorni di ferie e aguzzano l’ingegno. Gli spunti non mancano, tra weekend nelle terme toscane e itinerari alla scoperta del culatello di Zibello o del Nero d’Avola, crociere lampo nel mar Egeo e city break a Parigi e Berlino. Oppure: stop in aeroporto con visita veloce alla città più vicina, in attesa di ripartire per altre destinazioni. Blitz più che viaggi, brevi ma intensi, concentrati in poche ore e magari prenotati sui siti Web di social shopping come Groupon e Groupalia.
L
SORPRESE DIETRO L’ANGOLO
E così nel 2011, anno quarto dell’era della crisi, i connazionali riscoprono le meraviglie dietro l’angolo, generalmente più abbordabili, in molti casi ospiti di parenti o amici. Snobbando - si fa per dire - le mete esotiche. Meno Seychelles e più Salento, per intenderci. Quanto all’estero, Francia, Spagna e Grecia continuano a fare proseliti, mentre Croazia, Inghilterra e Stati Uniti piacciono meno. E nei prossimi mesi, con ogni probabilità, la musica sarà la stessa, visto che il crollo dei consumi a Natale non lascia presagire nulla di buono. «Da due o tre anni il fattore prezzo, nella scelta delle vacanze, è diventato fondamentale. Il low cost non è più un settore ma una filosofia di vita», spiega Flavia Coccia, responsabile direzione operativa dell’Istituto nazionale ricerche turistiche. Il rapporto Isnart sulle performance di vendita delle imprese ricettive in Italia nel 2011, che “l’Espresso” è in grado di anticipare in esclusiva, verrà presentato a Bit-Borsa Internazionale del Turismo 2012 (16-19 febbraio a Fieramilano, Rho), la più vasta esposizione al mondo dell’offerta turistica italiana. Nella foto scattata dagli esperti, il Belpaese che viaggia non si arrende: 91,9 milioni di vacanze nel 2011 (considerando sia i weekend sia quelle più lunghe), sostanzialmente stabili rispetto al 2010, tra la flessione significativa dei soggiorni all’estero (-6,9 per cento) e la lieve crescita di quelli nella Penisola (+1 per cento), favoriti anche dalle rivoluzioni
UNO SCATTO DEL FOTOGRAFO JASON SCHMIDT
in Nordafrica. Fatto sta che il giro d’affari generato dalle vacanze degli italiani nel 2011 (gennaio-novembre) ammonta a 58,2 miliardi di euro: circa il 7,2 per cento in più rispetto all’anno precedente, cifra che in media per vacanza è pari a 632 euro (+4,3 per cento rispetto alla media del 2010). Spostamenti sempre più brevi, dunque, in linea con gli altri Paesi europei: secondo l’ultimo Itb World Travel Trends Report, la durata media di ogni vacanza è calata del 5 per cento a 7,6 notti, mentre i soggiorni da una a tre notti, con i city break a fare la parte del leone, sono lievitati del 10 per cento. In poche parole, gli europei viaggiano di più ma per periodi più brevi, con un’attenzione crescente al portafoglio. TUTTI AL MARE. E AL LAGO
In tempi di austerity, gli italiani hanno poche certezze. Una di queste è il mare, sempre in cima alle preferen-
Destinazione amici Perché si preferisce un posto a un altro? Come si sceglie il luogo di vacanza? (dati gennaio-novembre 2011, erano possibili più risposte) Bellezze naturali del luogo Ho parenti/amici che mi ospitano Posto ideale per riposarsi Abbiamo casa in quella località Rivedere amici/parenti Prezzi convenienti Ricchezza del patrimonio artistico/monumentale Il desiderio di vedere un posto mai visto Per la vicinanza Per i divertimenti che offre Interessi enogastronomici Decisione altrui Per assistere ad eventi culturali Per conoscere usi e costumi della popolazione locale Perché siamo clienti abituali di una struttura ricettiva di quella località Shopping Posto adatto per bambini piccoli Cure/Benessere Posto ideale per praticare un particolare sport Per il gusto dell’avventura Destinazione esclusiva Altro
28,1 21,9 17,4 13,2 12,4 11,2 11,2 9,4 9,1 7,9 5 4,7 4 3,9 3,6 3,4 2,9 2,9 2,5 2,5 2 0,4
Fonte: Osservatorio Nazionale del Turismo dati Unioncamere 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 119
Società Attrazione Toscana
SI PARTE DAL WEB
cipo può spuntare il miglior prezzo e soggiornare in strutture lussuose. Agriturismi e bed&breakfast invece, meno duttili, hanno perso competitività», prosegue la ricercatrice. Che sottolinea una novità: i laghi del Nord, Como, Garda, Varese, Maggiore. Frequentati fino a ieri soprattutto da tedeschi e in-
glesi, si prestano bene alle ferie brevi a budget ridotto, offrendo cultura, divertimento, sport nautici e golf. «In Italia il 65-70 per cento del mercato del turismo si basa sui connazionali. Se la loro spesa diminuisce, tutto il sistema ne risente. Gli operatori invece devono cavalcare la situazione: ovvero proporre
In partenza per Slimma Attenti agli Slimma, i prossimi leoni del turismo globale: ovvero Sri Lanka, Indonesia, Malesia, Messico e Argentina, riuniti nell’acronimo coniato dagli addetti ai lavori. Snobbati fino a ieri dai flussi di viaggiatori, ora registrano una crescita a doppia cifra, tanto da impensierire perfino i Bric (Brasile, Russia, India e Cina), le nuove colonne dell’economia mondiale. Ancora una volta è l’Asia protagonista, basta scorrere l’elenco dei “1000 luoghi da vedere nel mondo” selezionati dagli autori di Lonely Planet (Edt edizioni, 354 pp., 25 euro): dopo la fine del conflitto tra forze governative e guerriglieri Tamil, quasi tre anni fa, lo Sri Lanka ha investito in infrastrutture e reso più accessibili le sue bellezze naturali, le spiagge da sogno e il Parco nazionale di Yala, uno dei luoghi del pianeta più adatti all’avvistamento dei 120 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
leopardi. L’Indonesia invece, il più popoloso Paese del mondo a maggioranza musulmana, vanta luoghi di culto affascinanti come l’imponente Moschea Kubah Mas, la “Cupola d’oro” a Depok, vicino alla capitale Giacarta; la Malesia invece, sempre nel Sud-est asiatico, ha lanciato aggressive campagne pubblicitarie per attirare i turisti occidentali, facendo leva sul mix tra antico (Malacca, ex colonia portoghese, olandese e britannica, è patrimonio Unesco e uno dei 45 luoghi imperdibili del 2012 secondo il “New York Times”) e contemporaneo. Così negli ultimi anni i turisti italiani sono raddoppiati. A convincerli sono soprattutto i pacchetti speciali come “I love shopping”, una sorta di pellegrinaggio dai principali centri commerciali a Dubai, nel Golfo Persico, ai grattacieli di Kuala
Lumpur, la sfavillante capitale malese. «I punti di forza della Malesia? Anzitutto è un luogo sicuro, dove le religioni convivono pacificamente, e vanta un ottimo rapporto qualità-prezzo. E poi natura, ecoturismo, gastronomia, cultura e mare, a cui aggiungere il turismo legato al golf, alla Formula 1 e al MotoGp di Sepang», sintetizza Vincenza Andreini, responsabile marketing dell’Ente del turismo del Paese asiatico che nel proprio stand, a Bit 2012, ospiterà un artigiano che realizzerà per i visitatori tatuaggi tribali e suonerà il sape, il tipico strumento a corde malese. Per gli appassionati di immersioni, invece, la meta ideale è il Borneo, la regione incontaminata dove esplorare i paradisi del diving come il parco marino protetto di Sipadan, popolato da tartarughe, E. C. branchi di lucci e barracuda.
AERO-SHOPPING E STOP OVER
Nei primi nove mesi del 2011 quelli
Foto pagine 118-119: J. Schmidt - Trunk Archive / Contrasto. Foto pagine 120-121: J. Huber - SIME / Sie, Corbis
ze: la Puglia, ad esempio, è diventata un caso di studio, apprezzata per la varietà dell’offerta tra masserie, cibi tipici, cultura, qualità delle acque, a costi tutto sommato contenuti. Un modello alternativo a quello della Riviera Romagnola, altrettanto vincente, iperorganizzato e massificato. Seguono le città d’arte, in ripresa, e la montagna, in lieve calo. «Le abitudini cambiano in fretta. Gli alberghi italiani di fascia alta, dalle quattro stelle in su, praticano la cosiddetta politica “revenue”: tariffe molto flessibili a seconda del periodo dell’anno. Chi prenota con largo anti-
Non è facile, tuttavia, interpretare i gusti e adeguarsi alle nuove abitudini in un universo così polverizzato. Oltre alle migliaia di visitatori “consumer”, a Bit 2012 sono attesi oltre 50 mila operatori del settore tra agenzie di viaggio, enti del turismo e tour operator provenienti da ogni parte del pianeta, che si confronteranno in una girandola di workshop, seminari e convegni. «Rispetto al passato, le agenzie hanno cambiato fisionomia. Oggi i turisti si informano sul Web e poi si rivolgono a professionisti per ottenere informazioni precise, specialistiche, e costruire insieme il viaggio in base al budget, in particolare quando si va lontano. È finita l’epoca dei pacchetti “chiavi in mano”, è la domanda che crea l’offerta», spiega Marco Serioli, direttore della Divisione Exhibitions di Fiera Milano, il quale segnala anche un’altra tendenza: la crescita esponenziale degli aeroporti low cost.
italiani sono cresciuti al ritmo del 5-15 per cento, con il boom di Orio al Serio, vicino a Bergamo, dove transitano soprattutto i voli Ryanair, diventato il quarto scalo italiano con 8,3 milioni di passeggeri all’anno. Quasi come Linate, che a sua volta nell’ultimo anno è salito del 9,2 per cento, con oltre nove milioni di passeggeri. Sfruttando il richiamo della moda a prezzi stracciati, non lontano dalle piste sono sorti outlet e mega centri commerciali, con cui Orio al Serio attira i turisti verso forsennate sessioni di shopping. E la corsa agli acquisti rende a sorpresa appetibile anche Malpensa, che sta diventando lo scalo per gli stop over su Milano. Da qualche mese Sea, l’azienda che gestisce il sistema degli aeroporti di Linate e Malpensa, ha avviato ViaMilano (www.flyviamilano.eu). Il nuovo servizio, gratuito, è un sistema articolato: anzitutto consente di acquistare on line i biglietti aerei per due o più tratte aeree di compagnie diverse verso destinazioni nazionali, internazionali e intercontinentali; inoltre prevede il collegamento via navetta fra i terminal, la corsia riservata per i controlli di sicurezza e il deposito dei bagagli ai desk dedicati, che prov-
11,5 11,3
Toscana
8,4 8,6
Emilia Rom.
7,9 8,5
Lazio Lombardia
7,2 8
Veneto
7,1 7,5 6,4 7,1
Slcllia
5,8 6,4
Puglia
6,5 6,2
Trentino
7,5
Liguria 6 5,9 5,3
Campania
5 4,7
Piemonte Sardegna
4,2 3,7
Calabria
3,5 3,6 3,1 3,2
Abruzzo Umbria
2,3 2,8
Marche
2,4 2,4 2 1,9
Valle d'Aosta Friuli Basilicata Molise
Giro del mondo in 21 giorni «Non è difficile da organizzare, costa poco e permette di realizzare il sogno di una vita». Matteo Pennacchi, che ha fatto tre volte il giro del mondo ed è autore di www.igiridelmondo.it, contesta l’idea che questo sia un viaggio costoso ed esclusivo. «Rispetto ai Novanta, quando erano soprattutto australiani e scandinavi a compierlo, le cose sono cambiate, per almeno tre motivi. Innanzitutto oggi ci sono le alleanze delle grandi compagnie aeree: colossi come Skyteam, OneWorld e Star Alliance permettono di fare il giro del
pianeta spendendo meno di 1.200 euro, circa il prezzo di un’andata e ritorno per Sydney. Il secondo motivo è il comfort. Riguarda sia le sistemazioni alberghiere, anche low cost, sia gli spostamenti che sono diventati sempre più rapidi, tanto che per fare quest’esperienza non occorre più avere mesi a disposizione, bastano tre settimane. Il terzo motivo è la sicurezza: è possibile modificare in ogni momento il proprio itinerario, evitando così d’incorrere in crisi politiche, epidemie, disastri naturali. Esempio: in Giappone
1,7 1,4 1 1,1 0,6 0,4
2010 2011
Fonte: ISNART - UNIONCAMERE
viaggi brevi e su misura, pacchetti scontati e promozioni per chi parte fuori stagione, puntare sulle nicchie e sulle passioni dei clienti», conclude.
SOTTO: LE TERME DI SATURNIA. A DESTRA: KUALA LUMPUR, CAPITALE DELLA MALESIA. NELL’ALTRA PAGINA: VEDUTA DI LONDRA
Regione di destinazione delle vacanze degli italiani (gennaio-novembre 2010 e 2011 % sul totale vacanzieri in Italia)
c’è appena stato un terremoto? Con 70 dollari posso cambiare destinazione e far passare il mio giro dalla Corea». Il target di chi parte è vario: studenti, dai 23 ai 31 anni, stanno in giro 4 o 5 mesi cercando anche esperienze lavorative e di volontariato; coppie in viaggio di nozze; e chi ha più di 65 anni. «Categoria che ha tempo, salute e denaro a disposizione, spesso viaggia in business e alloggia in ottimi alberghi. Il viaggio intorno al mondo è modulabile e accessibile. Oggi, a occupare nella fantasia il posto che aveva un tempo, sono i viaggi nello spazio». L. T. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 121
Società
Io viaggio smart
vedono al trasferimento sul volo di prosecuzione. E, dulcis in fundo, con mezz’ora di treno no stop i viaggiatori assaporano la capitale della moda. «Con ViaMilano i passeggeri possono costruire il proprio viaggio senza dipendere dai pacchetti standard, risparmiando sui costi dei biglietti aerei. E ricevono un voucher di 10 euro da spendere nei negozi dello scalo», afferma Giulio De Metrio, chief operating officer di Sea. In vista di Expo2015, spiega il manager, nel giro di un anno accanto al terminal low cost sorgerà un nuovo budget hotel da 150 stanze. E così Malpensa comincia a fare concorrenza alla regina dello stop over, Londra, passaggio quasi obbligato per chi vola verso gli States. Per
molti europei è conveniente acquistare un biglietto a basso costo per la capitale britannica e da qui un volo di linea diretto, tanto che il transito su misura spesso fa parte dei pacchetti dei tour operator. E se Madrid, con Barajas, è tra i principali hub per il traffico verso il Sudamerica, Istanbul è ideale per i turisti diretti ai resort della costa turca e New York per quelli che vanno ai Caraibi o affrontano la traversata coastto-coast. Intanto Abu Dhabi cresce come tappa intermedia verso l’Estremo Oriente: in particolare Etihad Airways, la compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti, con i suoi “breaking deals” consente ai passeggeri di fermarsi - grazie allo stop over gratuito - per una visita all’Emirato del Golfo Persico, prima di ripartire per Bangkok, Singapore oppure Hong Kong. Destinazione Australia. ■
Una Borsa piena di idee La 32esima edizione di Bit - Borsa internazionale del turismo (bit.fieramilano.it), la più grande mostra dell’offerta turistica italiana con le proposte dai cinque continenti, si svolgerà nel quartiere Fieramilano a Rho. Due grandi aree, Italy e The World, quattro giorni (16-19 febbraio), destinati agli addetti ai lavori e due aperti al pubblico, (il weekend del 18 e 19), per scoprire le idee di viaggio e le tendenze dell’industria del turismo, tra percorsi esperienziali ed eventi. Orari: per gli operatori professionali tutti i giorni 9.30-18.30, per il pubblico nel weekend 9.30-18.30 (biglietto 15 euro, in prevendita 10), solo per i padiglioni Italy e The World. Per entrare nell’atmosfera, i viaggiatori possono già pre-registrarsi on line sul sito Bit2012. E. C. 122 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
Foto: B. Steinhilber - Laif / Contrasto, J. Huber - SIME / Sie
SOPRA: IL LAGO DI GARDA. SOTTO: I TRULLI DI ALBEROBELLO
Più passaggi si saltano meno si paga. La crisi ha portato all’organizzazione diretta del viaggio e alla nascita di siti dove risparmiare fino al 65 per cento. Eccone alcuni. Dmc.travel è un network no profit di corrispondenti che organizzano servizi a terra (auto, prenotazione alberghi, escursioni). Un modo per bypassare agenzie e tour operator. Si tende anche a cercare guide dai siti degli enti del turismo. Skyscanner.it compara prezzi e trova i voli più economici. Consente di prenotare direttamente on line. Volagratis.com confronta e prenota i voli di oltre 400 compagnie. Trivago.it offre le tariffe di 500 mila hotel nel mondo. I filtri personalizzano la ricerca e danno recensioni. Stessa possibilità su Booking.com. Hotels.com e Columbus Internet hanno lanciato Facebook Hotels WithMe, che permette ad amici e familiari di prenotare in tempo reale hotel insieme tra 140 mila strutture. Foto e zone con Google Maps e Streetview. Autonoleggio-online.it confronta i prezzi di oltre 130 fornitori, scegliendo tra 24 milioni di offerte in 90 mila stazioni su 178 paesi. Se si trova un’offerta più bassa si può avere il rimborso della differenza. Tripadvisor.it, il più grande sito di recensione di viaggi del mondo. Ha ideato il Travelers’ Choice Awards, che premia strutture nelle categorie Lusso, Migliori Affari, b&b e locande, All Inclusive, Relax & spa, Trendy. Condivisione di esperienze e possibilità di diventare tester di vacanza anche su easyviaggio.com. Luisa Taliento
Società Personaggi
DI ANTONIO CARLUCCI DA NEW YORK
C
ome il fratello Andrew e la sorella Dylan, David Lauren non aveva alcuna intenzione di costruire la sua vita dentro l’azienda di famiglia: quel gioiello della moda inventato dal padre, Ralph, che oggi fattura quasi 6 miliardi di dollari l’anno (bilancio 2011) e che, nonostante la crisi, negli ultimi anni è cresciuta sempre a due cifre. Andrew, il più grande dei tre Lauren, ha la sua casa di produzione cinematografica; Dylan, la piccola, ha trasformato la passione infantile per le caramelle nella catena Dylan’Candy Bar; David invece è sempre stato attratto dal mondo dei media e ha anche fondato una rivista poi acquistata dal Gruppo Hachette Filipacchi. Alla fine, però, David ha ceduto alle sollecitazioni paterne. Ha sempre suscitato l’interesse dei media, lui, specie dei tabloid che hanno seguito party dopo party il 39enne scapolo. Ma è nell’ultimo anno che lo spazio dedicato a David dalle pagine mondane di giornali e riviste non solo made in Usa è diventato una rubrica fissa. Perché lui, rampollo del fondatore di un impero della moda, si è sposato con una discendente del mondo della politica americana: insomma David ha impalmato Lauren Bush, nipote di due presidenti degli Stati Uniti, il 41esimo George H. Bush e il 43esimo George W. Bush. Nemmeno la rivista “Vogue” si è risparmiata nella copertura dell’evento, come del resto aveva fatto per le nozze di Dylan Lauren con il finanziere (hedge fund) Paul Arrouet. Del resto, il brand Ralph Lauren è inserzionista di “Vogue” Usa e la coppia è di quelle che incuriosiscono molto. LAUREN BUSH E DAVID LAUREN; DUE SCENE DAL FILM “INTOUCHABLES”, CON L’ATTORE OMAR SY
124 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
COPPIA DÕASSI
David e Lauren hanno celebrato le nozze nel ranch del padre di lui in Colorado: Double RL, tenuta di 6 mila e 900 ettari a Telluride, dove John Wayne ambientò il film “True Gritt”. E dove è stato realizzato il servizio fotografico dei novelli sposi, in stile Romantic Western: lui in dinner jacket d’epoca con due catene d’argento sul gilé, lei in bianco avorio, lungo velo e coroncina in tinta (design Ralph Lauren, s’intende). E ancora: lei colta su una carrozza d’epoca che corre su un sentiero del ranch; lui nel patio su una sedia a dondolo, lei che gli bacia la fronte. Deve essere una posa che ai due piace molto: è riapparsa anche sul meno patinato “New York Post” il 26 dicembre scorso per segnalare la loro presenza in un’isola dei Caraibi. David e Lauren cinguettavano dal
2004 ma non hanno mai dato pretesti a pettegolezzi sui giornali: ognuno concentrato sulla propria vita professionale. Lui, vice presidente esecutivo dell’azienda di famiglia e alle prese con la Ralph Lauren Media, società che gestisce tutto quanto utilizza i media dalla televisione a Internet - per diffondere il marchio di famiglia; lei, da ragazzina nota come modella, che si occupa della fondazione Feed che commercializza accessori per la moda e il cui ricavato va al World Food Program delle Nazioni Unite. Quando i due si sono incontrati, David aveva già da tempo ceduto alle pressioni del padre. L’avventura con “Swing”, rivista creata quando frequentava la Duke University, era finita. Prima aveva girovagato per il mondo, poi aveva detto sì all’offerta di occu-
Foto: A. Lichtenstein - Polaris / Photomasi
Discreti. Impegnati. E ricchissimi. David Lauren e Lauren Bush sono i nuovi protagonisti del jet set internazionale
parsi di tutto quanto poteva essere utile all’azienda familiare nelle nuove tecnologie. Era andato alla RL Media, società creata insieme alla catena televisiva NBC, che Ralph Lauren ha voluto tutta sua nel 2007 pagando il 50 per cento delle azioni, 175 milioni di dollari. David Lauren si è occupato in questi anni di lanciare le vendite via Internet: oggi valgono il 6 per cento del fatturato, l’obiettivo è di portarle al 30. David Lauren ha lavorato per aumentare la visibilità del marchio RL. Per il lancio delle vendite via Internet nel Regno Unito, per esempio, ha fatto mettere a punto uno spettacolo di luci da proiettare sulla facciata della sede londinese della maison. Ralph Lauren in realtà si è sempre mostrato scettico su certe innovazioni, ma ha lasciato campo libero al figlio per i risultati ottenuti nell’e-commerce. L’anno scorso, David ha chiesto che in occasione dello U.S. Open di tennis (che si gioca a New York a settembre e che la Ralph Lauren sponsorizza dal 2005), fosse messo a punto un sistema di tennis virtuale: chiunque si sarebbe potuto cimentare nel servizio, davanti a uno schermo e a sensori che avrebbero mostrato velocità e direzione del colpo. L’idea era creare un file digitale da consegnare a chi avesse partecipato, da condividere in Rete con gli amici, ma alla fine è stata abbandonata: troppi dubbi sui costi e sulla possibilità che un funzionamento non perfetto finisse per danneggiare il marchio. Non si fermerà certo di fronte a questo, il giovane Lauren. «Ogni volta che torna da un cocktail è un vulcano di nuove idee», raccontano i suoi collaboratori. Ma sarà un complimento o una gaffe? ■
MONSIEUR BANLIEUE
“Intouchables” è in Francia un clamoroso caso cinematografico. Con un nuovo divo DI GIACOMO LESO DA PARIGI
O
mar Sy, 33 anni, di professione comico e attore, fa un ingresso spettacolare nella classifica semestrale delle personalità preferite dai francesi pubblicata da “Le Journal du Dimanche”. Il domenicale lo ha iscritto al terzo posto delle personalità più amate dal pubblico, dietro solo il tennista e cantante Yannick Noah e il calciatore Zinédine Zidane. L’inchiesta, su un migliaio di interviste, è stata realizzata lo scorso dicembre, in pieno boom in sala per il film-fenomeno “Intouchables”, al quarto posto della classifica dei film più visti in Francia dal 1945 a oggi. “Intouchables”, diretto da Eric Toledano e Olivier Nakache, con Omar Sy e François Cluzet, è una commedia sull’handicap che pone un nuovo sguardo sulla malattia ma anche sui pregiudizi contro la popolazione francese di pelle nera o originaria delle periferie. La sceneggiatura, ispirata da una storia vera, fa scorrere la vita di un ricco aristocratico (interpretato da François Cluzet), paralizzato dopo un incidente in parapendio. Il miliardario, dopo aver tentato grazie alle sue eccellenti collaboratrici (Anne Le Ny e Audrey Fleurot), colloqui d’assunzione con esperti di cure a domicilio, prende l’originale decisione di assumere l’unico dei candidati a non avere alcuna formazione nel settore (Omar Sy). Ciò che subito colpisce il miliardario in questo ragazzo nero, cre-
sciuto in banlieue, forte e umano, pieno di vita e semplice, che è già stato una volta in prigione, è la sua assenza di “pietà”. Una caratteristica indispensabile alla riuscita del film: consente agli attori di far sorridere il pubblico nonostante temi aspri e dolorosi come l’handicap e la segregazione sociale. Dopo aver superato “Via col Vento” e “Tre uomini in fuga”, il film ha raggiunto a metà gennaio il traguardo simbolico dei 18 milioni di ingressi, preceduto solo da “Biancaneve” e “Bienvenue chez les Ch’tis”. E si avvicina al primo classificato di sempre, il “Titanic” di James Cameron (20,63 milioni d’ingressi). Il fenomeno “Intouchables” non riguarda solo il cinema. Il film ha dato buona visibilità anche al documentario sulla storia vera che lo ha ispirato. Un milione e 200 mila francesi, cioè l’11,4 per cento dello share, ha assistito al film “A la vie, à la mort”. Infine, come per “Bienvenue chez les Ch’tis”, il film è stato celebrato ai piani alti della politica francese. Lo stesso presidente Nicolas Sarkozy ha invitato a pranzo all’Eliseo tutto il cast di “Intouchables”. Ma Omar Sy, che ogni sera fa ridere i francesi nella cinica trasmissione tv “SAV des émissions” (Servizio reclami delle trasmissioni) su Canal+, ha declinato l’invito. Giustificazione ufficiale: un altro impegno. In realtà, l’attore non risparmia battute sempre più feroci verso Sarkozy, e un’escalation è prevedibile nei prossimi mesi. ■ 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 125
Società Personaggi Viso dolce e grinta da vendere. Sui media è l’ambasciatrice dello stile Missoni, in Rete un’icona. Nella vita, una donna che guarda lontano
Bisogna cambiare sistema perché il mercato è capriccioso?
«Perché la moda oggi è un mercato saturo. E perché non basta inventare una cosa, devi ribadire che l’hai inventata tu e che sei il più bravo a farla. Ci sono marchi che sono riusciti a far passare questo messaggio, tipo Balenciaga con il Little Black Dress, che rifanno in continuazione. Altro esempio Bottega Veneta: può fare i vestiti che fa perché ha una sua base fortissima con la pelletteria. Grazie alla sicurezza che gli viene dalle borse può permettersi grande libertà creativa nello stile. Un brand di moda deve ribadire quello che sa fare bene e venderlo al prezzo giusto. Per esempio: il nostro zig zag bicolore è facile da imitare, ma lo abbiamo inventato noi dunque dobbiamo avere la capacità, dall’organizzazione alla distribuzione, per imporlo ovunque. Al limite dovremmo dare alle persone la possibilità di stamparsi lo zig zag nel motivo e nelle varianti che vogliono, perfino al prezzo che vogliono, ma ribadendo che lo zig zag è nostro».
COLLOQUIO CON MARGHERITA MISSONI DI VALERIA PALERMI
a il nome di un fiore, lunghi capelli scuri e occhi nocciola, l’ovale da Madonna quattrocentesca. Il rischio è alto, con Margherita Missoni, di prenderla per una “sweet little thing”, bella bambolina viziata dalla vita e dal cognome. Anche perché le cronache la descrivono spesso tra party ed eventi, in compagnia di altre “It girl” internazionali come Tatiana Santo Domingo, Nicole Richie, Dasha Zhukova, Eugenie Niarchos. Poi ci parli e aggiusti il tiro. Uno, per la voce: scura, grave, c’entra poco con i suoi 29 anni, ha una vena impaziente e autoritaria. Due, per le cose che dice. Tipo, «Dopo otto anni all’estero tra New York, Barcellona e Parigi, sono rientrata in azienda perché vedevo che c’erano tante cose da sistemare, tante cose che non venivano fatte. E a me prudevano le mani». L’azienda è Missoni. Uno dei brand italiani più famosi nel mondo, e che meglio, per gli stranieri, rappresentano l’Italia. Per la moda che fanno: solare, colorata, ottimista. Perché sono raffinati senza farlo pesare. Perché sono una famiglia vera che sembra inventata da un guru del marketing: tanti, tutti belli dai nonni Tai e Rosita alle nipoti Margherita e Teresa, tutti insieme a lavorare a Sumirago, in provincia di Varese: Angela che disegna le collezioni, Rosita che si occupa della linea casa e degli alberghi, Margherita agli accessori e al ruolo di ambasciatrice nel mondo del marchio, i maschi di casa un po’ meno sotto i riflettori ma comunque coinvolti. I Missoni sono quell’Italia che piace e che non c’è quasi più. Oggi nella moda tutti rivendicano - e qualcuno si inventa - un “heritage”: la storia che si ha alle spalle, la tradizione. Per lei che cosa vuol dire?
«Mi fa pensare che non sempre siamo 126 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
MAISON
MARGHERITA bravi a comunicarlo, ma tradizione, italianità, artigianalità, qualità sono caratteristiche talmente nostre che non sfuggono a nessuno. Abbiamo un’immagine iconica che niente può toglierci, ma in un certo senso ci può anche frenare. Rallentare un’evoluzione. Qual è davvero il nostro heritage? Il colore, le fantasie, i motivi? Non solo. È anche aver rotto delle regole. Noi dobbiamo costruire partendo da qui». Che idee ha, per esempio?
«Io penso che un’azienda di moda deve “sentire” con molta attenzione i tempi in cui vive. Noi siamo il sintomo di quello che succede nel mondo. Migliorerei certi aspetti tecnologici, ma la cosa fondamentale secondo me oggi è darsi una base molto solida per poi poter avere la libertà di disegnare una collezione molto
sperimentale. Come quelle dell’inizio, dei miei nonni, che ai tempi hanno rotto le regole. Oggi per fare cose rivoluzionarie nella moda o devi essere molto piccolo, oppure devi avere una base super solida che ti consenta di fare anche degli esercizi di stile. Ho le mie idee: penso che oggi i marchi di moda vivano di tante piccole collezioni, tante “capsule”. Quella di maglieria, quella della seta stampata, quella dei capi basici. Tutti i marchi si stanno organizzando così, lavorando sui loro punti forti. Noi dovremmo fare qualcosa del genere per esempio con i nostri disegni iconici, con i mondi che appartengono a noi. Creare delle etichette “Missoni eccetera”, forse delle boutique ad hoc, piccole e specializzate su questi temi, e contemporaneamente lavorare su una prima linea dalla
NELLO SCATTO DI JURGEN TELLER PER LA CAMPAGNA P/E, PEDRO ALMODÓVAR E ROSSY DE PALMA. IN ALTO: MARGHERITA MISSONI. SOTTO: A VENEZIA CON TATIANA SANTO DOMINGO ED EUGENIE NIARCHOS
Scommetto che non è la sola cosa su cui vorrebbe intervenire.
«Da settembre abbiamo per la prima volta un amministratore delegato, Alberto Piantoni, che sta riorganizzando le cose. Ho un ottimo rapporto con lui, mi stima molto e mi dà spazio. Le cose da fare sono tante. Il mondo degli accessori va sviluppato, per esempio, per quello ho scelto di seguirlo, e credo che dobbiamo lavorare di più su commercio on line e comunicazione virale. I nonni mi hanno sempre preso sul serio, mi usano come “sonda” per sapere cosa succede, non vedevano l’ora che entrassi in azienda. Sono l’elemento di rinnovamento, credo». Spesso la definiscono una “It Girl”, una ragazza che detta legge nel glamour. Le pia-
ce o la infastidisce?
«In realtà il significato originale dell’espressione è molto più bello di quello che gli diamo oggi: una “It girl” era una con carisma, fascino, personalità. Niente a che fare con Paris Hilton, per capirci. Le It girl originarie erano certe meravigliose newyorkesi dei primi Novecento, con alle spalle quelle famiglie di origine olandese arrivate per prime in America: le Vanderbilt per dire. Certo oggi le It girl non sono percepite così, ma non mi dà fastidio. E poi a giugno mi sposo (con quello che era il migliore amico di mio fratello alle elementari), ce ne andiamo a vivere in campagna in una bella casa col giardino, le mucche e le galline, non ho voglia di farmi infastidire dalle cose. Io sono sempre stata solida e determinata, la prima della classe, il divertimento in un certo senso me lo sono dovuto guadagnare, quindi non mi turbo se mi chiamano così. Un po’ di frivolezza è liberatoria». Passioni?
«I viaggi. A Natale sono stata in Perù, ma adoro anche i weekend in città come Copenhagen o Siviglia. Poi, andare per mercatini. Il cibo: faccio serate gourmand in giro per il Nord Italia. Mi piace più mangiare che cucinare, ci vuole tempo per imparare, magari con il matrimonio... Inoltre leggo tanto e amo gli spettacoli, il cinema, il teatro. E poi c’è la moda, per me non è certo soltanto lavoro. Ogni momento della mia giornata ne è permeato, la adoro, non so mai dove mettere i vestiti. Il mio fidanzato dice che per “il mio negozio” bisognerà attrezzarsi con una cella frigorifera. In macchina ho sempre sacchetti di vestiti che sposto da un posto all’altro». E la politica?
Foto: V. Zunino Celotto - Getty Images
H
grande libertà innovativa. Dove sperimentare. Una maglia fatta di pvc? Perché no, potrebbe essere appropriata».
«Nonno mi ha insegnato a starne alla larga. Comunque ho sempre votato radicale, perché certi diritti sono importanti». ■
Sono entrata in azienda perché c’erano cose da sistemare. Mi prudevano le mani 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 127
Passioni
In edicola la prossima settimana Ascanio Celestini
CINEMA
Vita morte e miracoli
Venerdì 10 febbraio sarà in edicola il terzo Dvd della collana dedicata a Celestini a 9,90 euro in più con l’Espresso + Repubblica
Di Ascanio Celestini piace il modo di essere cantastorie e l’impegno civile che caratterizza le sue opere dove i protagonisti sono spesso gli ultimi, gli oppressi, i dimenticati. Piace anche la verve surreale che affiora nei suoi testi. “Vita morte e miracoli” è uno spettacolo del 1999, grottesco e, appunto, surreale. È la storia di Mariona, una madre costretta ad abbandonare Roma assieme ai tre figli Rocco, Biagio e Santino, per andare a vivere in un cimitero. «È un viaggio verso una dimensione della cultura, un ritorno dalla città, e quindi dalla Storia, verso la campagna, verso un luogo in cui vivi e morti vivono più o meno nella stessa dimensione», dice Celestini. Tutta la vicenda, gli incontri di Mariona con il mondo dell’aldilà, è ambientata nell’inverno del 1943-44: la stagione in cui, per la tradizione popolare, i defunti vengono a trovare i vivi. Ma è anche un inverno della Storia che coincide con l’occupazione nazifascista di Roma. Roberto Calabrò
L’inglese per il lavoro
Lunedì 6 febbraio il quinto cofanetto a 12,90 euro in più con l’Espresso o Repubblica 128 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
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MUSICA
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ARTE
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LIBRI
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MODA
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TAVOLA
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VIAGGI
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MOTORI
Ispirazione bondage
CARLO COLLODI
Pinocchio Venerdì 10 febbraio volume a 2,90 euro in più con l’Espresso
Stefano Zuffi racconta
VAN EYCK e la pittura a olio Venerdì 10 febbraio Dvd più libretto a 7 euro in più con l’Espresso + Repubblica
I RIBELLI DI CUBA
TEX
SPECIALE Giovedì 9 febbraio a 6,90 euro in più con l’Espresso o Repubblica
Foto: Pax Paloscia
i problemi professionali e personali che possono affliggere i dipendenti di un’azienda. Negli sketch presenti sul Dvd, Sloan e gli altri attori replicano in maniera divertente situazioni tipiche in cui possiamo venirci a trovare sul posto di lavoro. Una “full immersion” per imparare il gergo necessario e le frasi decisive per affrontare ogni possibile evenienza. Sul libro le regole grammaticali e sintattiche apprese grazie ai video sono spiegate in maniera semplice ed efficace. E vengono subito rinforzate con esercizi, “language focus” e quiz per testare il nostro livello di apprendimento. Roberto Calabrò
SPETTACOLI
Tying Tiffany
SPEAKNOW! FOR WORK Problemi con l’inglese al lavoro? Niente paura: c’è John Peter Sloan a darci una mano con il suo nuovo efficacissimo corso “SpeakNow! For Work”. Ogni settimana l’attore comico e “special teacher” britannico ci introduce nei meandri della lingua attraverso le lezioni che troviamo sia in video che sul libro. L’argomento del quinto cofanetto è come gestire
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n. 6 - 9 febbraio 2012
Caschetto corvino, come il colore degli occhi, su un corpo flessuoso e sexy che ricorda la Valentina di Crepax e che invece ha ispirato il personaggio a fumetti della fotografa dark Vanessa nella serie “Cornelio”, di Carlo Lucarelli. E nome d’arte provocatorio, scelto rivolgendosi all’universo bondage, di cui si dichiara appassionata. Tying Tiffany è la bambina cattiva della musica elettronica italiana. Originaria di Padova, 34 anni, la musicista e performer ha seguito un percorso artistico nei circuiti alternativi della cultura “darkwave”, con spunti anche nel cinema del Lynch di “Mulholland Drive”, Peter Greenway e Tim Burton, fino a conquistare la scena internazionale e pubblicare “Dark Days, White Nights” (Trisol Records), il suo quarto album, in uscita a febbraio. «Ho tratto ispirazione dalle sonorità dream pop e showgaze fino a sfociare nelle contaminazioni tra elettronica e wave. “Ddwn”, le iniziali, rappresentano il serpente che si morde la coda, il ciclo infinito, il giorno e la notte, gli opposti: tanto nere, “nefaste”, possono essere le giornate, quanto “illuminate” possono rivelarsi le notti», dice. Tying Tiffany è stata scelta dalla CBS per sonorizzare “Blood Moon”, terzo episodio dell’undicesima stagione di “CSI Las Vegas”; ha composto le musiche del trailer di “Coriolanus” di Ralph Fiennes e “The Hunger Games” di Gary Ross. È l’unica italiana nella soundtrack del gioco per pc e console Electronic Arts FIFA 2012. Stefania Cubello LA MUSICISTA E PERFORMER TYING TIFFANY
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Passioni Cinema
Spettacoli Passioni
PREMIER DI FERRO. E DONNA FRAGILE. CHE “THE IRON LADY” RACCONTA SENZA GIUDICARE
Red carpet COLLOQUIO CON JUSTIN TIMBERLAKE DI SILVIA BIZIO Signor Timberlake, il suo nuovo film, il thriller fantascientifico “In Time”, in uscita il 17 febbraio in Italia, presenta un futuro in cui si vive fino a 25 anni. Dopodiché il tempo in più si deve comprare. Una metafora di cosa? «Di movimenti di coscienza come Occupy Wall Street, direi. E una critica al sistema classista in cui solo chi nasce ricco ha opportunità: già oggi il denaro ti permette anche di comprare il tempo. È anche una metafora dell’ossessione per la giovinezza e dell’industria che sfrutta la paura di invecchiare. E una riflessione sul tempo che passa e che finiamo per pedere proprio perché lo odiamo». A lei capita di perdere tempo? «Ho giocato un po’ troppo a poker gli anni scorsi. Ma credo di aver sempre investito il tempo per il raggiungimento di obiettivi.
ALTRI FILM Sulla strada di casa di Emiliano Corapi, Italia, 2012, 83’ Alberto (Daniele Liotti) è un imprenditore di successo, e un uomo con saldi principi morali. Così almeno immagina la moglie (Donatella Finocchiaro). Con mezzi ridotti, ma con ottimo senso dei tempi cinematografici, il quarantunenne Corapi realizza un piccolo thriller ben scritto e ben recitato, e anche capace di raccontare il malessere del nostro (ahinoi) immaginario etico-sociale.
Hesher è stato qui di Spencer Susser, Usa, 2010, 100’
★★★✩✩
T. J. è un ragazzino difficile. Da quando la madre è morta in un incidente d’auto, s’è chiuso in un dolore muto. E però nella sua vita, e in quella del padre, irrompe Hesher (Joseph GordonLevitt), una sorta di cavaliere metropolitano libero e selvaggio, oltre che prepotente e spiccio. Dall’incontro potrebbe anche venire qualcosa di buono… La sceneggiatura non è del tutto risolta, ma il film nel suo complesso è originale e sincero.
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Il film di Roberto Escobar
THATCHER A METÀ
C’
è più d’un modo di guardare “The Iron Lady” (Gran Bretagna e Francia, 2011, 105’). Il primo, e il più gratificante, è lasciarsi andare alla bravura di Meryl Streep. La sua Margaret Thatcher non è solo la “signora di ferro” che ha governato la gran Bretagna per una dozzina d’anni, dal 1979 al 1990. È anche una donna fragile, almeno nelle relazioni private. Ormai lontana dal numero 10 di Downing Street, rivive il passato attraverso un’angoscia segnata da vuoti di memoria. I suoi interlocutori ora non sono i potenti della Terra, ma gli uomini e le donne che la accudiscono e la proteggono, anche da lei stessa. E poi ci sono al suo fianco due fantasmi. Il primo, allucinatorio, è quello di Denis (Jim Broadbent), il marito morto. L’altro, ben più lontano nel ricordo, è quello del padre, Alfred Roberts (Iain Glen). Piccolo borghese e ferocemente conservatore, Alfred le ha trasmesso, anzi le ha imposto una durezza psicologica e una cocciutaggine ideologica che l’hanno portata al successo politico, ma che ora - ormai vecchia - la condannano a un doloroso senso di colpa nei confronti del marito e dei figli. Di tutto questo, appunto, la Streep ci dà conto sul suo viso e nel suo corpo stanco. Ma il film può anche esser visto come
un tentativo di leggere le scelte politiche della Thatcher alla luce della sua storia di vita. E qui la narrazione di “The Iron Lady” si ferma alle intenzioni, buone o cattive che siano. Non basta sapere che il padre pretendesse da lei un successo che egli stesso non aveva avuto, né che la impegnasse a dimostraglielo sia negli studi sia in politica («Non mi deludere», le dice quando è ammessa all’università di Oxford). Per dare senso biografico alla sua durezza distruttiva nei confronti dello Stato sociale britannico sarebbe occorsa una sottigliezza di scrittura che la sceneggiatrice Aby Morgan non ha, e che la regia di Phyllida Lloyd non riesce a compensare. E infine all’una e all’altra, alla Morgan e alla Lloyd, si potrebbe chiedere un giudizio, non importa se positivo o negativo, sulla statista Thatcher, sul suo liberismo senza regole e senza solidarietà, sul suo attacco ai sindacati, sulla sua politica interna e sulla sua politica estera, dal boicottaggio dell’Unione europea alla guerra nelle Falklands/Malvinas. Ma su questo giudizio “The Iron Lady” si astiene. E a noi non resta che riandare con la memoria a quello esplicito, generoso e talvolta geniale del cinema di Ken Loach: di parte, certo, ma forse non della parte sbagliata. ★★★✩✩
Invito a teatro per cinefili. Ricordate la truculenta scena de “Il padrino” in cui il produttore di Hollywood, per aver rifiutato l’offerta di Don Corleone, si ritrova nel letto la testa mozzata del suo cavallo da corsa? Da questo spunto è partito Damon Lockwood, star del teatro australiano, per “Horse Head”, una commedia noir esilarante che dopo il successo in patria arriva a Roma (Teatro Allo Scalo, 9-19 febbraio). Diretta da Leonardo Buttaroni e con Diego Migeni e Sebastiano Gavasso, la pièce è la storia dei due sfigati picciotti che dovettero compiere quel lavoretto, Edmondo e Filippo, il cui nome drammaticamente significa “amante dei cavalli”. D. G. dove torno spesso per visitare i miei e i vecchi amici. Sono uno come loro con in più la passione per la musica, il ballo, la recitazione. Ho avuto fortuna ma non do mai niente per scontato: sono figlio di lavoratori e lo rimarrò sempre».
Teatro di Rita Cirio
TRAVIATA NEL POLLAIO Mode: tendenza Parigi-Berlino, pardon, Berlino-Parigi. La stagione “Merkozy” dell’Odeon - attori francesi diretti da registi tedeschi - si è aperta con Frank Castorf, un ragazzaccio sessantenne che viene dall’ex Ddr e dirige la Volksbuhne berlinese,
Foto: R. Hellestad - Corbis
★★★✩✩
La mia voglia di fare e di avere successo mi ha salvaguardato dall’ozio inutile, dalla pigrizia e da un impiego balordo del tempo. “In Time” mi ha fatto capire ancora meglio quanto il tempo e la salute siano i nostri averi più preziosi: mi considero fortunato ad aver fatto tante cose in 30 anni». Se potesse comprare del tempo per qualcuno a chi lo darebbe? «Ai miei genitori e soprattutto ai miei nonni, che si sposarono giovanissimi, non avevano nulla e hanno tirato su una famiglia fantastica, dedicandosi solo al lavoro, ai figli e ai nipoti. Ecco, vorrei che i miei nonni potessere avere del tempo extra per godersi la vita in santa pace. Che rapporto ha coi suoi, e con le sue radici “working-class”? «Il successo non mi hai fatto dimenticare da dove vengo, da una piccola città del Tennessee
Due picciotti per un Padrino
che è venuto a inventare una singolare ed iconoclasta versione della “Dame aux Camélias” di Dumas figlio. Del romanzo resta quel tanto che serve al regista per fare incarnare a Margherita Gautier «le contraddizioni di una borghesia per cui i valori rivoluzionari sono sfruttati solo da una minoranza, per bere in un bicchiere nuovo il vecchio vino dell’aristocrazia». A Castorf non interessa raccontare la traviata, vuol far scontrare il romanzo di Dumas con “Mission “ il testo di Heiner Muller che parla di ri-
voluzione tradita. In una scenografia rotante e doppia vediamo Alexandre, il narratore, spennare e cucinare polli - alcuni veri si aggirano in scena - e cantare “Les feuilles mortes” in un night, mentre in un pollaio all’aperto stanno le “Poules”, cioè le amiche prostitute e la traviata, già tisica all’ultimo stadio. Armand Duval passa il tempo su un water per via di disturbi gastroenterici. Su tutto domina un’insegna luminosa: “ Global network Anus Mundi “, cioè tv del buco del culo del mondo. La seconda parte (4 ore in tutto) è dominata da telecamere che riprendono fino ai pori della pelle gli attori, eroici, ma oscurati dalla contemporanea proiezione del documentario di Ejzenstejn “Que viva Mexico”. Pubblico stremato in fuga. A torto, perché l’intricato caos di segni teatrali parla fin troppo esplicitamente. LA “DAME AUX CAMÉLIAS” DIRETTA DA CASTORF. SOPRA: JUSTIN TIMBERLAKE. A SINISTRA: “THE IRON LADY”; “HESHER È STATO QUI” 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 131
Passioni Musica
Arte Passioni Architettura di Massimiliano Fuksas
Lirica di Giovanni Carli Ballola
Scheggia nel cielo
CIAIKOVSKI DA FAVOLA
co, semmai cristiano, che è dire moderno. Della ritrosa vena melodica che irrora il “mélodrame” pseudomitologico, Currentzis ha fatto il ponte di collegamento tra le due opere. Emergevano in “Iolanta” le voci di Dmitry Ulianov, Alexej Markov, Williard White, Pavel Kudinov, Ekaterina Scherbachenko ; in “Perséphone”, Paul Grovres e Dominique Blanc. Non altrettanto apprezzabili i contenitori mimici, coreografici e scenici entro cui voci e suoni venivano calati.
Cd rock di Alberto Dentice
A TUTTA ADRENALINA LITFIBA. «Italiani! Centocinquantuno anni di mafie e di massoni, centocinquantuno anni di raccomandazioni… »: non fanno sconti Piero Pelù e Ghigo Renzulli, tornati insieme dopo il lungo divorzio con “Grande Nazione”. Una botta di adrenalina e “Festa tosta” come recita il titolo di una canzone, per quanti avevano dimenticato l’energia che sanno tirar fuori i Litfiba con il loro rock anarchico, anche quando si divertono a denunciare le contraddizioni del Paese con canzoni che sembrano editoriali di un quotidiano militante. JAAR. Nato a New York, ma trasferitosi a Santiago del Cile fin da bambino, Nicolas Jaar, classe 1990, è già uno dei nomi di punta del mondo electro. L’album di 132 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
debutto, “Space is Only Noise”, edito dalla sua etichetta Clown & Sunset rivela un approccio colto ed eclettico, non comune, considerando la giovane età del dj - producer statunitense. Sonorità down tempo, house, sfumature soul si fondono con i suoni della natura, spezzoni di dialogo, il piano jazz. A conferma del
La London Bridge Tower di Renzo Piano si avvia a compimento. Soprannominata dal suo autore la “scheggia di cristallo”, la torre di oltre 300 metri di altezza sarà completata a luglio 2012. L’ex sindaco di Londra, Ken Livingston, è stato un sostenitore dello sviluppo in altezza della città. Ma il suo piano sarebbe naufragato se non fosse intervenuta la famiglia reale del Qatar che, investendo robuste somme, ha permesso la realizzazione tra l’altro della “Shard of Glass” di Piano. La torre, dalla forma piramidale, tende a restringersi procedendo verso la sua sommità, o guglia, come meglio definita da Piano secondo l’idea che la sua torre debba perdersi tra le nebbie del cielo di Londra. Sono passati oltre dieci anni dalla sua progettazione, nel 2000: il permesso di costruire è arrivato nel 2003 mentre il cantiere è partito nel 2009, e oggi la torre sembra inserirsi nella città molto meglio di
Azalea nera In Italia è ancora una sconosciuta. Ma la rapper e poetessa di Harlem Azealia Banks nel 2012 farà parlare di sé. La rivista “New Musical Express” ha messo la nera ventiduenne tra le prime tre novità più interessanti del 2011, ed è stata candidata dalla Bbc come Sound of the Year 2011. Il bello è che fino ad oggi Azealia ha pubblicato solo due brani: “212” e “Liquorice”. Ma sta preparando un disco curato da Paul Epworth, il produttore di Adele. S. P.
fatto che neanche a Eric Satie e a John Cage si può negare una puntata in discoteca. TEATRO DEGLI ORRORI. Le citazioni letterarie abbondano: Esenin, Céline, Brodskii. Fatto insolito nella canzone italiana. Ma non per il Teatro degli Orrori, il nome della band si ispira al Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud, che dell’art rock colto e impegnato rappresenta la punta di diamante. “Il nuovo mondo”, ultimo lavoro realizzato da Pierpaolo Capovilla e soci, è un concept album costruito con sedici folgoranti istantanee. Biografie minimaliste, storie di migrazioni e migranti legate da uno stesso filo poetico: la battaglia per la parità dei diritti.
quanto si temeva nei lunghi dibattiti che hanno accompagnato la concessione dei permessi. La “scheggia” ospita uffici, ristoranti, lo Shangri-La Hotel, appartamenti, negozi. Spazi espositivi e culturali e una galleria panoramica completano l’opera. Le superfici si innalzano verso il pinnacolo con semplicità, con la sola interferenza di due fasce in rilievo per ognuna delle quattro facciate. Senza inutili e retorici artifici, la torre di Piano diventa un punto di riferimento architettonico in un’area in divenire della Londra contemporanea. La fortunata “scheggia” può ora osservare con distacco la crisi economica che continua a mostrarsi in tutta la sua durezza in Inghilterra. È di questi giorni la notizia dell’interruzione dei lavori al settimo piano della Pinnacle Tower (288 metri di altezza) posta nel cuore della City nelle vicinanze del “Gherkin”, “il cetriolo” di Norman Foster.
ART BOX
di Alessandra Mammì LA FUGA DEI PENNELLI “Incanti di terre lontane”. Dal 4 febbraio. Palazzo Magnani. Reggio Emilia In fondo nell’Ottocento ci fu una fuga di cervelli. E di pennelli. Stefano Ussi partì per l’Egitto subito dopo l’apertura di Suez e poi si trasferì in Marocco. Fontanesi nel 1876 fu chiamato ad insegnare all’Accademia di Belle Arti di Tokyo. Galileo Chini nel 1911 partì per il Siam e decorò il palazzo del trono di Bangkok. E chi non
Foto: S. Campanini - Agf
Al Teatro Real di Madrid due atti unici inusitati, segnati da sentimenti di amorosa umanità. “Iolanta”, 1892, fiaba provenzale con la quale Ciaikovski si congedò dall’opera lirica, affila gli strumenti freudiani di scavo nei meandri dell’Eros che, rivelatosi alla giovinetta cieca nata, è tutt’uno con la sua scoperta della luce. Ciaikovski confida nelle forme di una tradizione riproposta dall’alto di una presa di distanza arditamente moderna, abbandonandosi all’impeto di un’invenzione melodica sfrontatamente orecchiabile su un aggiornatissimo apparato orchestrale. Scelte di libertà che hanno permesso al direttore Teodor Currentzis e al regista Peter Sellars l’arbitrio di un apocrifo d’autore, quell’’“Inno dei Cherubini” dalla Liturgia di S. Giovanni Crisostomo op.41 introdotto ad esaltare di un’estatica luce mistica un finale il cui spirito di sacra rappresentazione evoca il “Fidelio”. Sentire moderno in travestimento antico anche nella stravinskiana “Perséphone”, 1934, su testo di Gide. Pietà per le desolate ombre affossate nell’Ade, alle quali cui la tenera figlia di Demetra offre se stessa in riparazione : sacrificio per nulla neoclassi-
partiva sognava di partire e dipingeva mondo lontani immaginari e teatrali. Ma più vicini al melodramma che al dramma del potente e dionisiaco orientalismo francese alla Delacroix. Vedi la Cleopatra della foto a cui verrebbe da dire: «Perché non canti?».
Arte
SPARTITO MOBILE DI GERMANO CELANT
Per prendere le distanze dalla rappresentazione del reale e dalla registrazione del gesto sulla tela, negli anni Cinquanta si afferma un linguaggio visuale estremamente condizionato da una rigida progettazione, fino ad arrivare a produrre un’arte programmata ed ottica. Partendo infatti dall’universo assoluto e ordinato di Malevic e di Mondrian, un’intera generazione - da Adolph Lohse a Max Bill, da Agam a Victor Vasarely - ha impostato opere basate sulle strutturazioni di colori elementari e su forme primarie, opere capaci di creare analisi quasi scientifiche del vedere, che viene scomposto in entità logiche e matematiche. All’interno di questa tendenza si colloca Jesùs Rafael Soto (1923-2005), che arriva a pensare la superficie pittorica come un campo di sensazioni variabili, quasi uno spartito musicale aperto nel quale gli elementi, muovendosi in relazione ad eventi esterni o al mutamento di prospettiva, formano effetti continuamente cangianti. Questa codificazione rigorosa comporta però una fluidità inesauribile di varianti che nascono dall’interazione tra sfondo ed elementi aerei fluttuanti, tra linee e superfici, tra lastre e piani monocromi (alla Grey Art Gallery, New York, fino al 21 marzo). Sono vibrazioni che comportano un’aleatorietà dell’immagine legata al muoversi dell’osservatore, che nella sovrapposizione delle parti percepisce allo stesso tempo la smaterializzazione delle figure ottiche e la moltiplicazione delle loro presenze. È un’arte interattiva nella quale il pubblico entra ed esce, rendendo possibili sensazioni visive plurime: una ricerca in cui il progetto impone all’arte una flessibilità basata sul mutamento delle relazioni tra osservato ed osservatore.
PAROLA DI CHRISTO Incontro con Christo. Domenica 19 febbraio. Art Forum Würth. Capena, Roma Segnare la data. E non mancare. Qui non ci saranno solo le parole dell’uomo che impacchettò persino il Reichstag ma anche cento opere (collezione Wurth) a raccontare lo stretto rapporto creativo e affettivo con la moglie Jean Claude, scomparsa GLISENTI, “LA MORTE DI CLEOPATRA”. da poco (in mostra A SINISTRA, DALL’ALTO: “PERSEPHONE” AL TEATRO fino all’8 settembre). REAL DI MADRID; I LITFIBA IN CONCERTO 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 133
Passioni Libri
Libri Passioni La storia di Giuseppe Berta
Il libro di Mario Fortunato
Lacrime per la zia
migliore - di lingua inglese del nostro tempo. Il salto sulla sedia, la scossa viene più o meno a metà libro, e precisamente leggendo il racconto che si intitola “Il colore delle ombre”. Dove si narra di una vecchia zia ormai incapace di badare a se stessa, motivo per il quale il suo amato nipote, Paul, la forza dolcemente a entrare in una casa per anziani. La donna ovviamente non ne è felice e lui, che è omosessuale e la ama di un affetto speciale, se ne sente in colpa, anche se purtroppo sa di non poterle offrire nessuna alternativa realistica. La
Il romanzo di Chiara Valentini
PIOMBO FINTO Che cosa sarebbe capitato se gli anni di piombo fossero andati in un altro modo? Per esempio, se un carismatico leader del terrorismo fosse passato dall’altra parte, improvvisandosi capo di una milizia al servizio del governo autoritario andato al potere proprio a causa della ribellione armata? È in questo scenario che prende le mosse la fiction di Giorgio Manacorda, germanista, critico letterario e poeta, nel suo primo romanzo scritto a 70 anni, “Il corridoio di legno”, (Voland, pp. 159, € 13). Ma non aspettatevi ricostruzioni storiche nel racconto nero di questo raffinato intellettuale, che si snoda in una Roma sotterranea, fra antichi passaggi segreti, rifugi blindati, baracche delle zone sottoproletarie care a Pasolini, un riferimento costante di Manacorda. Al centro del racconto la partita mortale fra due fratelli, Silvestro, il rivoluzionario che ha tradito, e Andrea, malato fin da 134 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
Germaine Tillion era un’etnologa francese coinvolta nella Resistenza contro la Francia collaborazionista di Vichy che nel 1942, a trentacinque anni, venne arrestata per la delazione di un prete e poi internata nel campo femminile nazista di Ravensbrück, in Germania. Fu collocata nel blocco dei prigionieri NN, quelli destinati a sparire senza lasciare traccia. Eppure, tra sofferenze e violenze indicibili, sottoposta a prove spaventose (come quella di assistere alla morte della madre, internata anch’essa), Germaine Tillion riuscirà a scamparla, a tornare in Francia e a riprendere sia il suo lavoro di scienziata sociale che l’impegno politico e civile, fino a morire centenaria nel 2008. Naturalmente i due anni trascorsi nel lager lasceranno su di lei un’impronta indelebile, che la spingerà a riflettere sulla tremenda esperienza vissuta, non solo per darne testimonianza, ma per
zia a poco a poco si spegne e, nel suo percorso dalla luce verso le ombre, si mettono a fuoco la natura e le ragioni del particolare legame fra zia e nipote. Ho finito di leggere, non mi vergogno a dirlo, in un mare di lacrime. È una piccola storia. Ma chi non ha avuto una zia la cui scomparsa gli ha rivelato la straziante solitudine della vecchiaia?
Pasolini a Berlino Pasolini sbarca a Berlino. Lo Schwules Museum, il Museo omosessuale della capitale tedesca, dedica al poeta di Casarsa una retrospettiva. Si intitola “Hommage zum 90. Geburstag” (cioè Omaggio per il 90° compleanno Pasolini nacque il 5 marzo del 1922) e ricostruisce (con foto, video, interviste e documenti vari) vita, morte e miracoli di PPP. La sezione “Ragazzi” illumina non solo la Trilogia dei romanzi, ma anche le poesie, le critiche o le condanne (della Chiesa come del Pci) subite. Belli i “quadretti” che Wolfgang Theis - il curatore dipinge degli amici e delle Muse (la Callas, Anna Magnani o Laura Betti) che ispirarono l’eterna provocazione del Poeta maledetto. Al centro dell’Hommage è lui a prender la parola: in un video Pasolini spiega i suoi film e il rapporto con la macchina da presa. Fino al primo maggio. Stefano Vastano
bambino ma che riesce a vedere più lontano proprio per la sua abitudine al dolore, il solo ad aver capito che «è più facile morire per le masse che viverci insieme». Attorno a loro ruota un gruppetto di compagni di scuola, passati dal sadico collegio berlinese dove i genitori li avevano confinati a una rivolta senza sbocco, dai tratti pulp. Sono dei “dannunziani involontari”, convinti di avere, solo loro, il diritto a sparare, anche se poi a muoverli sono quasi sempre motivazioni individuali, frustrazioni e grovigli interiori e, perché no, incapacità a rapportarsi con il genere femminile. Così almeno ce li racconta Manacorda, che nell’ultima parte di questo libro comunque intrigante sembra voler abbandonare il filo di una storia collettiva per quanto disgraziata, per trasformare i suoi protagonisti in dèmoni nostrani. Lasciandoci SOPRA: DUBLINO, TALBOT STREET. il dubbio di aver forse semplificato A DESTRA: ROBERTO VIGNOLI, FOTO DALLA SERIE “DIVERTISSEMENT A PEDALI” un po’ troppo.
comprenderla e interpretarla. A questo scopo scriverà “Ravensbrück” (Fazi, pp. 340, € 18), che si distacca in modo originale dai racconti delle altre vittime dei campi di sterminio hitleriani. Anzitutto perché è stato composto in tre versioni diverse, l’ultima delle quali risale al 1988, mentre la prima era stata pubblicata nel 1946. E poi perché l’autrice mostra di essersi continuata a interrogare nel tempo su una condizione che non aveva esplorato da osservatrice, ma essendone implicata. Come nota Tzvetan Todorov nella sua acuta prefazione, Germaine Tillion varca il confine fra «conoscenza e saggezza»: l’opera di scavo condotta su se stessa induce in lei una comprensione più profonda del suo vissuto. Se dopo la liberazione aveva descritto il lager come una situazione eccezionale e irripetibile, con l’andare del tempo si soffermerà sulla normalità del male, annidata nelle pieghe del quotidiano, e sulla necessità di combatterlo con le armi della resistenza morale, della dignità umana e di una denuncia non scevra di un risvolto ironico.
La lettura di Angiola Codacci-Pisanelli
RACCONTAMI UNA FOTO Scrivere non basta più. E neanche basta fotografare. Sempre più spesso i libri accostano testi e immagini, e questa è la strada più interessante che stanno seguendo anche gli e-book. Quasi mai però parole e fotografie portano la stessa firma. In “5 fotoromanzi d’amore sfrenato” (Calliope, pp. 100, € 20) invece Roberto
Foto: A. Zambardino - Contrasto, R. Vignoli - Luzphoto
C’è una maniera per riconoscere senza possibilità di dubbio un vero scrittore: consiste nella capacità che un determinato autore ha (o non ha) di universalizzare quasi suo malgrado una storia che egli stesso racconta. Prendete il libro “La famiglia vuota” dell’irlandese Colm Tóibín (Bompiani, traduzione di Andrea Silvestri, pp. 283, € 18). Si tratta di nove storie (l’ultima delle quali, intitolata “La strada”, è sensibilmente più lunga delle altre) di una intensità e di un equilibrio quasi miracolosi: ma fino alla metà del libro, il lettore che io sono non si stupisce e anzi procede con fiducioso piacere. Ho letto e recensito su queste pagine troppe volte nel tempo i libri di Tóibín, per non ricordare che è uno dei migliori autori - se non forse il
AUTOBIOGRAFIA DELL’ORRORE
Vignoli ha raccolto alcune monografie fotografiche che riassumono trent’anni di lavoro dietro l’obiettivo e le ha pubblicate accanto a cinque racconti brevi nati insieme a quelle immagini o che ad esse si sono ispirati. Una serie di foto di sedie, per esempio, scorre in parallelo con un testo che le ritrae con le parole ma con la stessa passione per il dettaglio sorprendente, e che mostra il passaggio della sedia da “nemica numero uno” dei bambini a “bastone della vecchiaia” degli anziani. Il libro è un viaggio intorno al mondo ma anche nel tempo: un percorso che va dalle biciclette olandesi al rondone che si tuffa nelle cascate di Iguazù, ma anche dalle illusioni di una società tollerante e multirazziale che incantavano chi andava ad Amsterdam negli anni Ottanta - e che in tempi recenti si è irrigidita in un razzismo più o meno dichiarato - al turismo organizzato che oggi rischia di rendere “di plastica” anche le cascate più belle del mondo.
Come dire
Nessuno tocchi il 18 DI STEFANO BARTEZZAGHI «Io sono contrario a trattative che assumano dei tabù al momento di sedersi al tavolo». Quiz: a cosa si riferiva Mario Monti, quando ha pronunciato questa frase, elegante quanto dura? Nell’elaborare la risposta tenete conto che: aveva appena incontrato Joseph Ratzinger e Tarcisio Bertone e non si sa se abbiano parlato di argomenti quali scuole cattoliche, Ici, otto per mille, testamento biologico, matrimoni civili omosessuali; il governo Monti aveva appena annunciato un pacchetto di liberalizzazioni per sua stessa ammissione assai edulcorato a causa delle annunciate opposizioni di categorie come tassisti e farmacisti (il sottosegretario Catricalà avrebbe poi dichiarato che le liberalizzazioni dovevano incominciare un po’ in sordina a causa dei «malumori» di alcune categorie); le stesse categorie, e altre ancora, stavano indicendo in quelle ore iniziative di protesta pressoché sfrenate e a volte oltre i limiti della legalità persino contro il pacchetto edulcorato; Mediaset e il Pdl stavano reagendo con stizza e minacce velate alla sospensione del provvedimento con cui le frequenze tv venivano date in regalo dallo Stato. Nessuno ha chiesto al premier a quale si riferisse, dei tanti tabù che costituiscono altrettante ragioni di vita per altrettante lobby italiane. Parlava dello Statuto dei Lavoratori e in particolare di quell’«articolo 18» che deve essere l’origine di ogni problema, peccato, macchia e spread che pesi sulla gobba nazionale. L’unica ad avere un tabù in Italia, insomma, è la segretaria nazionale della Cgil Susanna Camusso. Se qualcuno ha un tabù, egli stesso è un tabù. Per il resto viviamo in un’epoca non favorevole ai tabù (in particolare, quelli degli altri). Alberto Moravia una volta si era appellato al Parlamento Europeo perché si adoperasse per fare della bomba atomica un nuovo tabù, la cui violazione fosse della portata antropologica di un incesto. È morto prima di sapere di Ahmadinejad, e anche di Sacconi. Anagramma: Susanna Camusso: non assuma scusa. 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 135
Passioni Moda
Moda Passioni
Ferragamo
OPERAZIONE GOLDEN EYE
L
a natura esplosiva della Jamaica, un fotografo che ama il colore, due testimonial di grande impatto: sono gli ingredienti della campagna primavera-estate Salvatore Ferragamo. Il luxury brand fiorentino guidato da Ferruccio Ferragamo ha scelto come location Oracabessa e il suo Golden Eye Resort, dove lo scrittore Ian Fleming scrisse molti romanzi con protagonista James Bond. In questo paradiso tropicale lo svedese Mikael Jansson, già assistente di Richard Avedon a metà anni ’80, ha immortalato la bellezza solare di Gisele Bundchen e il fascino intenso di Noah Mills: lei fasciata in abiti e tute fatti di foulard in seta, ai piedi sandali dal tacco vertiginoso, lui in impeccabili giacche-sahariana rivisitate in chiave moderna. A completare l’opera, due big del make-up e dell’hair stylism internazionale: Tom Pecheaux, direttore creativo Estée Lauder e Luigi Murenu, il parrucchiere delle star, a capo del team creativo di John Frieda. «Non ho mai avuto
UNA GIORNATA PARTICOLARE
È TEMPO DI DARE AIUTO
dubbi sui protagonisti di questa campagna», dice Massimiliano Giornetti, direttore creativo di Salvatore Ferragamo: «Gisele e Noah hanno una forte carica sensuale e allo stesso tempo un’eleganza innata». Antonia Matarrese
Bottega verde a Milano Calcolare e compensare le emissioni di gas serra all’interno della sede operativa di Milano: lo ha fatto Bottega Veneta, luxury brand che fa capo al gruppo PPR. Dopo una lunga procedura articolata in più fasi, con raccolta di dati inerenti a tutte le attività che rilasciano emissioni di gas ad effetto serra all’interno e all’esterno dell’edificio, l’azienda ha ottenuto la certificazione “Carbon Neutral 2010” che ha assicurato la completa neutralizzazione delle emissioni prodotte per il funzionamento dello stabile e dei suoi servizi operativi lungo l’intero arco dell’anno solare 2010. L’operazione di monitoraggio, portata avanti in collaborazione con Bureau Veritas, ente certificatore specializzato, continuerà anche nei prossimi anni.
Pesa solo 55 grammi ed ha cassa, bracciale e movimento completamente in alluminio. Si chiama “Centigraphe Sport” ed è il primo cronografo meccanico pensato per chi pratica sport. A idearlo, il maestro orologiaio François-Paul Journe che, fino ad oggi, aveva usato solo oro rosa per tutti i movimenti Journe. Un trattamento speciale per l’alluminio di cassa e bracciale rende l’orologio più resistente ai graffi e alla corrosione degli agenti esterni, mentre gli inserti in caucciù lo proteggono da eventuali urti. Chi acquisterà il “Centigraphe Sport” aiuterà a finanziare anche le ricerche mediche di Icm (Istituto del Cervello e del Midollo Spinale) di Parigi che si occupa di malattie come Parkinson, Alzheimer, sclerosi a placche: il 30 per cento del ricavato per ogni esemplare venduto andrà in favore di questa giusta causa. A. Mat.
Per lui, maglie serafino in cotone/metallo (390 euro), pantalone misto lino disegno pied-de-poule (440 euro), scarpe canvas (530 euro), cappello in paglia stretch (180 euro). Tutto firmato Ermanno Scervino (tel. 02 76317900, www.ermannoscervino.it).
Occhio agli anni Ottanta
Quando soffia il vento Mini parka per lei con cappuccio e coulisse in vita della collezione p/e Marina Yachting (tel. 049 9323111, www.marinayachting.it). In vendita a 350 euro.
Scrivere con stile Fusto realizzato in un unico blocco e impugnatura a forma concava per la penna Roller Intuition Terra di Graf von Faber-Castell (tel. 02 43069601, www.faber-castell.it). Costa 250 euro.
L’ufficio a portata di mano Cartella porta computer a due manici, organizzata con tasca frontale e chiusura a zip della collezione Piquadro (tel. 0534 409001, www.piquadro.com). Costa 198 euro.
IL CENTIGRAPHE SPORT. IN ALTO: LA TOP GISELE PER FERRAGAMO. IN BASSO: DALLO SPOT DI PETIT BATEAU
Lasciare l’impronta
Mini fashionisti Uno spot in “punta di ballerine” per lanciare una piccola linea di abbigliamento per donne in erba fatta di pull a trecce e pantaloni essenziali. L’idea è del marchio di abbigliamento per bambini e ragazzi (ma molto amato anche dagli adulti) Petit Bateau, che ha ingaggiato la blogger,
disegnatrice e fotografa Garance Doré: look in puro stile Nouvelle Vague anni Sessanta, trascinata da due ragazzi in un serioso ristorante, viene travolta in una danza indiavolata. I prodotti Petit Bateau e Garance Doré, disponibili nelle taglie dai 12 ai 20 anni, sono in vendita a partire da 60 euro in tutte le boutique del marchio e sul sito www.petit-bateau.it.
Reinterpreta un modello del 1980 l’occhiale pilot di Porsche Design (tel. 800 960961), dotato di un innovativo meccanismo per sostituire le lenti. Realizzato in titanio sabbiato, con lenti a specchio argentate e a tinta graduata, è disponibile in edizione limitata a 390 euro.
Fondo a cassetta gommato giallo, tacco nero, suola d’identità con misura, peso e materiale della calzatura cucita con la tomaia a 360° per la francesina di Pirelli Pzero (tel. 02 64424242, pzeroweb.com). A 220 euro.
Chic multicolor Per lei, abito in maglina a fasce multicolor con scollo a barchetta e maniche a tre quarti (395 euro) e borsa in neoprene con banda centrale di velluto e tipico gancio (695 euro). Tutto della collezione p/e Fay (tel. 02 77225501, www.fay.com).
a cura di Antonia Matarrese 136 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
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Viaggi Passioni La Tavola di Enzo Vizzari
NUOVI SAPORI
Pastiglie da bere
LABORATORIO DI SAPORI
TIMBALLI, SARTÙ, PIATTI DI PESCE. IN UNA BOTTEGA DI SAPORI E DI PROFUMI, TUTTA LA TRADIZIONE NAPOLETANA
Altre tavole
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Foto: T.Babovic - Laif / Contrasto, A. Fechner - Laif / Contrasto
A
ttenzione agli accenti: “Timpàni e Tèmpura” è l’insegna di una bottega che può aprire un viaggio attraverso la cucina napoletana. “Timpàni”, il nome antico dei timballi di maccheroni, e “Tèmpura”, che non è giapponese ma è il fritto di magro in pastella con il quale i monaci rispettavano il digiuno delle quattro “tèmpore” dell’astinenza, è la vetrina-laboratorio di Antonio Tubelli, sessantottino, ex sinda- TIMPANI E TEMPURA, A NAPOLI. A DESTRA: LE PASTIGLIE LEONE; VISTA DI BRUGES; AURORA BOREALE AL LARGO DI TROMSØ calista, da oltre vent’anni votato alla cucina, prima allievo e braccio de- richiama sapori e profumi di materie prime no ai “fiorilli” e alle “paste cresciute”. Alstro di Angelo Paracucchi e poi studioso e costose senza impiegarle) e della cucina di lora, “Timpani e Tempura” per farsi praticante delle cucine partenopee: quella strada, quella che per definizione si mangia un’idea, “A tavola con Antonio Tubelli” aristocratica, quella casalinga, quella di senza piatti né posate. Appunto, le ricette per imparare. strada. La bottega è più che minuscola, tre dei timballi e della “genovese”, della par- Timpàni e Tèmpura, tavolini, qualche sgabello alle pareti, una migiana di melanzane e del “polpo alla lu- Napoli, Vicolo della Quercia 17 vetrinetta con i piatti del giorno (il sartù di ciana” (che non è una signora Luciana, ma Tel. 081 5512280 riso, un “gattò”, uno “scàmmaro”, un è quello delle donne del borgo di Santa Lu- Chiuso il pomeriggio di domenica “timballo di paccheri in piedi”), tanti pro- cia), del “’o pere e ’o musse” (le minutaglie e lunedì, aperto dalle 10 alle 21 dotti selezionati e, naturalmente espresse, bollite del piede e del muso del maiale), del www.timpanietempura.it “palle di riso”, “crocché“, mozzarella in trionfo dei fritti, dalle alici e dal baccalà si- guide@espressoedit.it carrozza... niente pizza. Tutto corretto, stimolante, ma il valore aggiunto qui sta nella sapienza di Antonio, che ha appena pubAl Cercjeben Il Cavaliere blicato il suo nuovo libro “A tavola con Pasian di Prato (Ud) Sarno (Sa) Antonio Tubelli” (l’Ancora del Mediterrafrazione Colloredo di Prato Via Sarno-Striano neo Editore), che ha come sottotitolo “La Via Udine 60 tel: 081 5137325 cucina napoletana dei mangiafoglie, dei tel: 0432 652527 chiuso: lunedì mangiamaccheroni e ai sapori del Mediterchiuso: lunedì e martedì sera Nell’Agro sarnese, i prodotti del territorio raneo”. Trecento pagine che distillano l’esA pochi minuti dal centro di Udine, un superano il localismo per interpretare senza di un patrimonio formatosi nei secolocale “tutto tradizione”. Il proprietario una cucina di grande identità. Sapori li e fondato da un lato sulla fantasia e daldispensa consigli sia per quanto riguarda della tradizione e novità convivono nelle l’altro sulla varietà delle materie prime di i piatti proposti, sia per l’abbinamento seppioline con cocco e ananas su salsa terra e di mare della regione. Dai grandi sidei vini. Lo sformatino di melanzane e di arancia o nei paccheri ripieni di stematizzatori Vincenzo Corrado e Ippoligazpacho è uno degli antipasti da cinghiale su ragù ristretto e salsa al to Cavalcanti, alle sontuose ricette dei provare, ottimi anche gli strigoli al San piedirosso. Olio e pani di produzione “monzù”, sino ai piatti straordinari della Daniele, tra i primi. Cantina e dessert propria. Carta dei vini adeguata e conto cucina della finzione (la trasformazione del sono adeguati. Il conto è sui 35 euro. intorno ai 40 euro. prodotto povero in un piatto gustoso che
Cari è un antico e raro vitigno piemontese quasi estinto che vinificato in purezza diventa vino da dessert, una delle più piccole Doc d’Italia. Dolce e aromatico, accompagna la pasticceria secca e le crostate ma bevuto fresco è una piacevole pausa per spezzare il pomeriggio. Le Cantine Balbiano ne producono 2 mila bottiglie l’anno e amano così tanto il Cari da averne piantato qualche barbatella a Villa della Regina, splendida dimora sabauda secentesca sulle colline torinesi, dove l’azienda ha reimpiantato l’antico vigneto di corte, principalmente a Freisa. Da quest’anno Torino ha il suo vino rosso: da quei filari è nato il Vigna della Regina, distribuito in 5 mila bottiglie, e dalle sue vinacce una grappa con le Distillerie Berta di Mombaruzzo. Ma non è finita. Lo storico marchio Pastiglie Leone, una delle più antiche aziende torinesi, accettata la sfida di realizzare un gusto al vino, riesce ad aggiungere il “Vigna della Regina” all’assortimento. Queste nuove pastiglie sono più friabili e il gusto del vino è equilibrato, non prevarica ma accompagna: una chicca di sabauda torinesità, in sole 5 mila scatolette suddivise nei due vitigni, Freisa e Cari (www.vignadellaregina.it) Sandra Longinotti
Luoghi da scoprire di Giovanni Scipioni
Emozioni tra i canali
Prima di visitare Bruges, la città più grande delle Fiandre occidentali in Belgio, procuratevi una copia de “La coscienza dell’assassino”, un film di alcuni anni fa, interpretato da Colin Farrell. La pellicola non è sicuramente da storia del cinema ma ha una qualità: è ambientato tra i canali e le strade della città e, scena dopo scena, si rivela un (in)volontario richiamo turistico. I due killer, protagonisti del film, devono comportarsi, secondo il copione, nel modo più anonimo possibile, confondendosi tra i turisti. Si trovano così ad attraversare, pistola alla mano, eleganti edifici medievali in una atmosfera quasi fiabesca. Ed è merito di questo film l’aver raccontato Bruges come una scenografia d’altri tempi. È la città d’arte più famosa del Belgio, ma, come Venezia, soffre molto per un turismo mordi e fuggi, fatto da persone che arrivano al mattino e se ne vanno la sera dopo un veloce giro tra i canali e dopo aver acquistato un merletto come souvenir. Eppure in questo luogo puoi godere il tempo della vacanza, soffermandoti per alcuni giorni. Per vedere, nella cattedrale, un’opera giovanile di Michelangelo, “La Madonna col bambino” e, soprattutto, per fare una tranquilla passeggiata nei dintorni, tra i parchi e i giardini della città. Il più bello è il Parco Minnewater che spesso ospita concerti durante i mesi estivi. Si trova vicino al Begijnhof sulle rive del Minnewater, il Lago dell’Amore. Il lago è attraversato da un ponte del XVIII secolo che offre una splendida vista della città ed è un santuario per i tanti cigni che nidificano lungo le sue rive. È un luogo romantico, va calpestato con le dovute cautele.
Profumo di nocciole
Considerato un po’ il fanalino di coda dei bianchi aromatici, il Müller Thurgau - vitigno di origine tedesca ottenuto da un incrocio la cui matrice genetica è ancora dibattuta (la base è comunque fornita dal riesling renano) - non sempre riesce a superare la soglia del vino piacevole, beverino e lievemente fragrante, anche nelle sue zone più vocate come quelle montane della Valle d’Aosta, del Trentino e dell’Alto Adige. Meritevole di menzione speciale è pertanto l’exploit del Müller Thurgau Athesis 2010 della cantina Kettmeir di Caldaro (www.kettmeir.com), che dal 1986 fa parte del prestigioso Gruppo Santa Margherita e che da qualche anno si sta mettendo in luce con una serie di bianchi sempre più compiuti. Fine, elegante e armonioso, dall’aromaticità spiccata e dall’allungo tonico e “nocciolato”, l’Athesis si fa ora paradigma del Müller Thurgau più complesso e cristallino. Intorno ai 14 euro in enoteca. Massimo Zanichelli
Sugli sci in barca a vela Una Norvegia insolita. Con imbarco a Tromsø, la “capitale” dell’Artico, alla stessa latitudine di Alaska e Siberia e a un paio di ore di volo da Oslo, in un paesaggio di fiordi e ghiacciai. Si sale a bordo della Vulkana, un vascello di pesca degli anni Cinquanta che può ospitare 12 persone, per una crociera sci-alpinistica che porta verso il fiordo delle Alpi di Lyngen. La barca è il modo migliore per spostarsi e raggiungere direttamente la base delle montagne da risalire, che torreggiano fino a 1.800 metri. Si scia in neve fresca sui due versanti del Trsostalstind o sullo Storgalten, volgendo lo sguardo verso il mare. Poi si ritorna in barca, per provare la pesca, rilassarsi nell’area zen, con sauna e bagno turco, e riprendersi dalla fatica dello sci con piatti a base di pesce e salmone (Farout, www.farout.no, tel. 0047 90561990). Luisa Taliento 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 139
Motori Passioni Auto di Maurizio Maggi
Moto La due ruote parla meneghino
NEL SEGNO DEL GIAGUARO ece scandalo, nel 2003, il primo motore a gasolio montato su una Jaguar, un 2 mila che andò a equipaggiare la X-Type. Allora la mitica marca britannica era della Ford e si ironizzò assai sul fatto che il propulsore fosse lo stesso che equipaggiava la sobria Mondeo. Ma i tempi cambiano e adesso nessuno si stupisce più se la elegante XF, la berlina del giaguaro che sfiora i cinque metri di lunghezza, insieme al maquillage di mezza vita sfoggia un 2,2 litri turbodiesel che consuma quasi come quello di una utilitaria ed emette appena 149 grammi di anidride carbonica al chilometro. Il turbodiesel da 190 cavalli, frutto della collaborazione tra la Ford e il gruppo Peugeot-Citroën, consente alla inglese (di portafoglio indiano, essendo ora di proprietà della Tata) di allargare un po’ la clientela. Andando a stuzzicare chi ha piacere a farsi vedere al volante di una Jaguar ma di un sei o di un otto cilindri non sa che farsene e non vuole sborsare 50 mila euro o poco più (incide molto, sul prezzo finale, il fascino degli optional a disposizione). Per dimostrare quanto consuma poco, prima di essere messa in commercio la XF ha percorso oltre 1.300 chilometri con un pieno di gasolio, da Birmingham in Inghilterra fino a Monaco di Baviera, percorrendo più di 20 chilometri con un litro di carburante. I piloti dovevano avere il piede particolarmente leggero e la velocità di marcia dev’essere stata piuttosto bassa, perché nei test delle riviste specializzati i consumi medi sono buoni ma non così tanto. Comunque, chi si
Duu Deperlù? Che roba è? Semplice: il nome, in dialetto milanese, dell’esuberante muscle bike che nasce nell’atelier CR&S - dove il vernacolo meneghino è d’obbligo che la assembla amorevolmente con componentistica pregiata. Duu sta per “due”, come i cilindri del suo motore; e Deperlù suggerisce che la sua sella è monoposto. La versione biposto, per la cronaca, si chiama Conlatusa, coè “con la ragazza”, intesa come passeggera, e costa 25 mila euro. Mitico anche il libretto di servizio bilingue: milanese e inglese. Della raffinatissima creatura nascono 150 pezzi l’anno 230 sono già in giro per il mondo - con la filosofia della moto fatta per appassionati veri e che deve durare una vita. In quest’ottica, il prezzo base diventa accettabile, vista anche la caratura di un prodotto che ci si fa praticamente cucire addosso grazie a numerosi parti speciali atte a modificarne estetica, assetto di guida, colori e via dicendo. E che dunque può anche cambiar faccia a piacimento nel corso degli anni, in caso si trattasse di amore duraturo. L’utilizzo dell’inossidabile acciaio inox per realizzare il caratteristico tubone sopra al motore, che funge da telaio ma anche da serbatoio, non è dunque casuale. È tutto made in Italy, ciò che attornia il vibrante V2 americano S&S da quasi cento cavalli, che ha dentro due pistoni grossi come tazzone da caffè yankee e una coppia motrice da trattore. Il cambio ha cinque marce, per quello a sei scattano altri 1.090 euro. Non certo agilissima né comoda, l’ipervitaminizzata moto lombarda è comunque assolutamente emozionale. Da guardare come da guidare. Maurizio Tanca
F
Jaguar XF 2.2D compra una Jaguar, ancorché col motore più parco della storia della marca, è perché vuole appagare l’occhio, guidare rilassato o sportivamente, a secondo di come gli gira (e di quali strade sta affrontando), e starsene comodo come un pascià nel confortevole abitacolo. Anche se è la più abbordabile della gamma Jaguar, la XF risponde a tutti i requisiti elencati. La linea filante è stata resa più aggressiva dal restyling, che ha allungato e stretto i fanali anteriori, rendendo chiara la parentela con la sorella maggiore XJ. A pagare dazio per il look slanciato da quasi coupé è lo spazio a disposizione dei passeggeri dietro, che quando sono in tre stanno un po’ strettini.
Eleganza britannica Della Bentley, elegante marca britannica, si parla spesso grazie a Mario Balotelli, il calciatore che milita nel Manchester City. In pochi giorni, Super Mario e la sua Continental sono stati protagonisti di un paio di gustosi fatti di cronaca. Nel parcheggio dello stadio, ha faticato molto a salire sulla sua auto, confuso dalla presenza delle due bianche, identiche macchine dei compagni Silva e Zabaleta. Poi sulla vettura è piovuto il lancio di uova per mano dei fan dell’Arsenal. Intanto, la Bentley festeggia un 2011 record: 7 mila auto vendute, più 37 per cento sul 2010.
Prezzo: 46.850 euro Cilindrata: 2.179 centimetri cubi Motore: 4 cilindri turbodiesel Potenza massima: 190 cavalli Velocità massima: 225 km/ora Accelerazione da 0 a 100 km/ora: 8”5 secondi Cambio: automatico/sequenziale a 8 marce Consumo medio: 18,5 km/litro Emissioni di CO2: 149 grammi/km Lunghezza: 4,96 metri Bollo annuale: da 412,8 a 499,6 euro
Top ten del lusso MARCA E MODELLO Bmw Serie 5 Mercedes Classe E Audi A6 Land Rover Range Sport Porsche Cayenne Volkswagen Touareg Bmw X6 Bmw X5 Jeep Grand Cherokee Mercedes Classe M
Prezzo: 22.990 euro Cilindrata: 1.916 centimetri cubi Motore: 2 cilindri a V, 4 valvole Potenza massima: 96,5 cavalli Velocità massima: oltre 200 km/orari Consumo medio: 13,5 km/litro Capacità serbatoio: 15,5 litri Peso col pieno: 276 chilogrammi Altezza sella da terra: 80 centimetri Bollo: da 81,59 a 93 euro
Autonomia alla svedese
Cinque cilindri e una spina. Arriverà in Italia in ottobre, la prima Volvo ibrida plug-in, cioè ricaribile anche da una normale presa elettrica. In gergo, si chiamano plug-in le macchine che, avendo la doppia alimentazione termico-elettrica (nel caso della Volvo V60 il motore tradizionale è a gasolio), possono fare il pieno del propulsore elettrico con una presa e viaggiare in modalità “zero emissioni” fino a un massimo di 50 chilometri. Accoppiando il potente turbodiesel da 215 cavalli (dotato del sistema start & stop) e il motore elettrico da 50 kilowatt, la familiare ibrida svedese avrà a disposizione 275 cavalli di potenza. Il diesel è collegato alle ruote anteriori, l’elettrico a quelle posteriori: quando lavorano entrambi, la V60 diventa un’auto a trazione integrale. Costerà tra i 45 e i 50 mila euro. SOPRA: LA VOLVO V60 HYBRID PLUG-IN. A SINISTRA: LA CR&S DUU DEPERLÙ. SOTTO: UNA GOLF. NELL’ALTRA PAGINA, DALL’ALTO: JAGUAR XF; BENTLEY CONTINENTAL
Classifiche Regina da sei generazioni VENDITE 2011 9.232 6.172 4.248 2.916 2.732 2.709 2.267 2.152 1.811 1.785
Le solite berline tedesche dominano il podio del segmento E, che l’anno scorso ha fatto meglio del 2010 con quasi 50 mila macchine Fonte: Unrae
CR&S Duu Deperlù
PLUG-IN
La regina dell’auto europea non ha la testa coronata ma ha i piedi, o meglio i pneumatici, ben piantati sulle strade del Vecchio Continente. E regna sovrana sulla classifica delle vetture più amate alle
nostre latitudini per il quarto anno consecutivo: dal 2000 a oggi la palma di leader delle quattro ruote continentali se l’è guadagnata ben sette volte. Più che un indovinello è una favola, la storia della Golf, il modello di punta della Volkswagen che debuttò nel lontano 1974 e che è già arrivato alla sesta generazione. A tratteggiare le linee della prima Golf fu la matita tricolore di Giorgetto Giugiaro, la cui Italdesign, 30 anni abbondanti dopo quel fortunato accordo, i signori di Wolfsburg si sono comprati trasformandola in provincia di un impero in costante allargamento. Qualche vettura ce l’ha fatta, a interrompere il dominio della Golf.
Nel 2002-2003 la compatta tedesca è stata superata dalla Peugeot 206, nel 2005-2006 dall’Opel Astra e nel 2007 ancora da una Peugeot, la 207. Da allora, non c’è stato verso di scalzarla dal trono. I numeri più freschi raccontano di quasi mezzo milione (484.547 per la precisione) di Golf vendute lo scorso anno in Europa, in testa alla classifica assoluta nonostante un calo del 2 per cento nelle immatricolazioni rispetto al 2010. Insidie dal basso? Relative: al secondo posto nella graduatoria delle vendite s’è piazzata la sorella minore Polo, fedele gregaria che protegge alle spalle la trionfale fuga solitaria di Fraulein Golf. Marco Scafati 9 febbraio 2012 | lE ’ spresso | 141
Passioni Design DIRETTORE RESPONSABILE: BRUNO MANFELLOTTO VICEDIRETTORI: Orazio Carabini, Claudio Lindner CAPOREDATTORE CENTRALE: Alessandro De Feo UFFICIO CENTRALE: Loredana Bartoletti (Attualità), Gianluca Di Feo (capo della redazione milanese), Alessandro Gilioli (l’Espresso on line), Daniela Minerva (vicecaporedattore, Milano; responsabile Scienze), Franco Originario (ufficio grafico) ATTUALITÀ: Tommaso Cerno (caposervizio), Lirio Abbate (inviato), Enrico Arosio (inviato), Paolo Biondani (inviato), Riccardo Bocca (inviato), Marco Damilano (inviato), Roberto Di Caro (inviato), Primo Di Nicola (caposervizio), Emiliano Fittipaldi, Denise Pardo (inviato), Fabio Tibollo, Gianfrancesco Turano (inviato) MONDO: Gigi Riva (caporedattore), Federica Bianchi, Fabrizio Gatti (inviato) CULTURA: Wlodek Goldkorn (caporedattore), Angiola Codacci-Pisanelli (caposervizio), Riccardo Lenzi, Alessandra Mammì (inviato), Maria Simonetti ECONOMIA: Paola Pilati (vicecaporedattore), Stefano Livadiotti, Maurizio Maggi, Luca Piana SOCIETÀ E SPECIALI: Valeria Palermi (caporedattore), Sabina Minardi (vicecaposervizio) L’ESPRESSO ON LINE: Beatrice Dondi (vicecaposervizio), Lara Crinò, Elena de Stabile CORRISPONDENTI: Antonio Carlucci (New York) UFFICIO GRAFICO: Catia Caronti (caposervizio), Caterina Cuzzola, Giuseppe Fadda, Valeria Ghion COPERTINA: Martina Cozzi (caposervizio), Daniele Zendroni (collaboratore) PHOTOEDITOR: Tiziana Faraoni (caposervizio) RICERCA FOTOGRAFICA: Giorgia Coccia, Marella Mancini, Mauro Pelella, Elena Turrini, Roberto Vignoli PROGETTO GRAFICO: Joel Berg (creative director) A cura di Theo Nelki OPINIONI: André Aciman, Aravind Adiga, Michele Ainis, Alberto Alesina, Altan, Alberto Arbasino, Carla Benedetti, Tahar Ben Jelloun, Massimo Cacciari, Lucio Caracciolo, Innocenzo Cipolletta, Derrick de Kerckhove, Alessandro De Nicola, Umberto Eco, Bill Emmott, Mark Hertsgaard, Sergio Givone, Piero Ignazi, Naomi Klein, Sandro Magister, Ignazio Marino, Suketu Mehta, Fabio Mini, Moises Naim, Christine Ockrent, Soli Ozel, Minxin Pei, Alessandro Penati, Gianfranco Ravasi, Jeremy Rifkin, Massimo Riva, Giorgio Ruffolo, Paul Salem, Roberto Saviano, Eugenio Scalfari, Michele Serra, Andrzej Stasiuk, Marco Travaglio, Gianni Vattimo, Sofia Ventura, Umberto Veronesi, Luigi Zingales RUBRICHE: Nello Ajello, Stefano Bartezzaghi, Marco Belpoliti, Giuseppe Berta, Giovanni Carli Ballola, Germano Celant, Rita Cirio, Oscar Cosulich, Alberto Dentice, Roberto Escobar, Mario Fortunato, Massimiliano Fuksas, Enzo Golino, Piergiorgio Odifreddi, Vittoria Ottolenghi, Guido Quaranta, Stefania Rossini, Roberto Satolli, Enzo Vizzari COLLABORATORI: Eleonora Attolico, Margherita Belgiojoso, Silvia Bizio, Raimondo Bultrini, Roberto Calabrò, Paola Caridi, Roberta Carlini, Paola Emilia Cicerone, Leonardo Clausi, Agnese Codignola, Emanuele Coen, Roberto D’Agostino, Stefano Del Re, Pio d’Emilia, Paolo Forcellini, Letizia Gabaglio, Fabio Gambaro, Giuseppe Granieri, Giacomo Leso, Alessandro Longo, Emilio Manfredi, Massimo Mantellini, Antonia Matarrese, Stefania Maurizi, Piero Messina, Claudio Pappaianni, Gianni Perrelli, Annalisa Piras, Paolo Pontoniere, Fulco Pratesi, Marisa Ranieri Panetta, Barbara Schiavulli, Lorenzo Soria, Rita Tripodi, Chiara Valentini, Stefano Vastano, Andrea Visconti, Vittorio Zambardino
QUEL SALOTTO HA CARATTERE Quel che serve per la casa, spendendo poco. E permettendosi qualche sfizio, come cambiare una stanza con un rivestimento murale con un suo carattere. Qui una proposta dei finlandesi Marimekko: teli da 140x300 cm a 235 euro, by Sirpi, in vendita da Jannelli&Volpi (jannellievolpi.it).
Una luce da maestro Un pezzo del maestro non può mancare, specie se low budget come la riedizione della lampada disegnata da Vico Magistretti negli anni Sessanta, Dalù. In vendita a 71,45 euro. Artemide (artemide.com).
Chiocciola economica Leggera, adattabile, economica, salvaspazio e disponibile in diverse finiture la scala a chiocciola di Albini e Fontanot in vendita a 1364 euro. Da Leroy Merlin (leroymerlin.it).
Nuovi classici Facile, funzionale, insomma un classico la lampada da tavolo regolabile, disponibile anche in nero, a 30 euro. In vendita da Tiger Italia (tiger-stores.it).
GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO SPA
Com’è nuovo l’antico Värde è la credenza in betulla da interpretare in tutti gli ambienti con mensole, specchi, pensili o rivestimenti per i cassetti colorati. In vendita a 654,41 euro da Ikea (ikea.it).
Sempre più in alto
L’arte di adattarsi Una collezione di librerie adattabili a diverse esigenze e situazioni. Disponibile anche in bianco. Informazioni e prezzi da Brico Center (bricocenter.it) 142 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
Babel XL è un portafrutta da comporre a piacere fino a 50 cm di altezza per sette piani. Disponibile anche bianco, Koziol. In vendita on line a 42,90 euro da Made in Design (madeindesign.it).
a cura di Margherita Helzel
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE PRESIDENTE: Carlo De Benedetti AMMINISTRATORE DELEGATO: Monica Mondardini CONSIGLIERI: Agar Brugiavini, Rodolfo De Benedetti, Giorgio Di Giorgio, Francesco Dini, Sergio Erede, Mario Greco, Maurizio Martinetti, Tiziano Onesti, Luca Paravicini Crespi DIRETTORI CENTRALI: Alessandro Alacevich (Amministrazione e Finanza), Pierangelo Calegari (Produzione e Sistemi Informativi), Stefano Mignanego (Relazioni Esterne), Roberto Moro (Risorse Umane)
DIVISIONE STAMPA NAZIONALE 00147 Roma, Via Cristoforo Colombo, 98 DIRETTORE GENERALE: Corrado Corradi VICEDIRETTORE: Giorgio Martelli DIREZIONE E REDAZIONE ROMA: 00147 Roma, Via Cristoforo Colombo, 90 Tel. 06 84781 (19 linee) - Telefax 06 84787220 - 06 84787288 E-mail: espresso@espressoedit.it REDAZIONE DI MILANO: 20139 Milano, Via Nervesa, 21 Tel. 02 480981 - Telefax 02 4817000 Registrazione Tribunale di Roma n. 4822 / 55 Un numero: € 3,00; copie arretrate il doppio PUBBLICITÀ: A. Manzoni & C. S.p.A. 20139 Milano, Via Nervesa, 21 Tel. 02 574941 ABBONAMENTI: Tel. 199.78.72.78; 0864.256266 (per chiamate da rete fissa o cellulare). Fax: 02 26681986. E-mail: abbonamenti@somedia.it. Tariffe (scontate di circa il 20%): Italia, per posta, annuo € 108,00, semestrale € 54,00. Estero annuo € 190,00, semestrale € 97,00; via aerea secondo tariffe Abbonamenti aziendali e servizio grandi clienti: Tel. 02 7064 8277 Fax 02 7064 8237 DISTRIBUZIONE: Gruppo Editoriale L’Espresso, Divisione Stampa Nazionale, 00147 Roma, Via C. Colombo, 98 ARRETRATI: L’Espresso - Tel. 199.78.72.78; 0864.256266 (da rete fissa o cellulare). Fax: 02 26681986. E-mail: abbonamenti@somedia.it Prodotti multimediali: - Tel. 199.78.72.78; 0864.256266 (per chiamate da rete fissa o cellulare) STAMPATORI: Rotosud: loc. Miole Le Campore-Oricola (L’Aquila); Puntoweb (copertina): via Variante di Cancelliera snc Ariccia (Rm); Legatoria Europea (allestimento): Ariccia (Rm) Responsabile trattamento dati (d.lgs.30.06.2003, n.196): Bruno Manfellotto Certificato ADS n. 7194 del 14/12/2011
N. 6 - ANNO LVIII - 9 FEBBRAIO 2012 TIRATURA COPIE 406.000
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LE OPINIONI DEI NOSTRI LETTORI
Ricucci e il Belize A proposito dell’articolo “L’auto blu tiene famiglia” (“l’Espresso” n. 4), smentisco la citazione relativa al Belize «Paese in cui ha fatto affari il bancarottiere Stefano Ricucci». Né io, né società a me riconducibili - come da documentazione in mio possesso abbiamo mai avuto rapporti di affari con il Belize né sono mai stato condannato per bancarotta. Quanto all’affermazione «l’uso disinvolto che fa dell’Audi con chauffeur assegnata dalla Regione, Armao sembra avere bene appreso la spregiudicata lezione di Ricucci», faccio presente che non ho mai ricoperto incarichi pubblici né avuto in uso veicoli pagati da enti pubblici. Non capisco quindi che lezione spregiudicata abbia da me appreso l’avvocato Armao. Smentisco infine l’affermazione: «L’assessore gestisce i beni del bancarottiere Stefano Ricucci, di cui è il trustee, con interessi in società che hanno sede in Paesi inseriti fiscalmente nella black list come il Lussemburgo, Malta e l’Inghilterra». Armao ha un incarico professionale in qualità di trustee del Trust a me riconducibile dal 10 dicembre 2007. Il Trust è italiano, con atto notarile del 2 dicembre 2005, codice fiscale e sede legale in Roma viale Regina Margherita, 42. Il Gruppo Magiste è un gruppo italiano avente come azionista un Trust anch’esso italiano, smentisco quindi categoricamente di avere personalmente o attraverso società a me ri-
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conducibili interessi in società aventi sede in Paesi inseriti fiscalmente nella black list.
Romeo servente
N. 6 - 9 FEBBRAIO 2012
Risponde Stefania Rossini stefania.rossini@espressoedit.it
STEFANO RICUCCI
Napoli ripulita In riferimento all’articolo “De Magistris ti voglio bene” (“l’Espresso” n. 4), preciso che, durante la mia presidenza in Asìa, Napoli è stata ripulita in poche settimane (appena arrivato c’erano 3 mila tonnellate di rifiuti in strada) e ho definito una strategia molto conveniente di smaltimento all’estero che ripara da ricadute. La raccolta differenziata a dicembre è giunta a poco meno 22 per cento, risultato più alto di sempre. Obiettivi raggiunti nonostante che i 43 milioni promessi dal Comune non siano mai arrivati. Ho spiegato in massima trasparenza i motivi delle consulenze e gli assai positivi risultati raggiunti grazie a esse. Tali investimenti non sono motivo di disaccordo con De Magistris: infatti sono contratti in regola e il contributo dei consulenti ha permesso risparmi con risultati di servizio assai migliori che in passato. Il mio lavoro a Napoli ha favorito la partecipazione dei cittadini al controllo più consapevole di un bene comune come l’ambiente, oggetto di traffici criminali in Campania. Chiedo pertanto di non ridurre il mio operato a scontro personalistico e mediatico. Non cerco ribalte personali ma propongo una filosofia di lavoro fondata su etica, competenza, efficienza e partecipazione. RAPHAEL ROSSI
Celentano, il prezzo è ingiusto Cara Rossini, scusi ma non la mando giù. Ci hanno detto che tutti dobbiamo fare sacrifici per salvare il Paese, ci hanno imposto di andare in pensione dopo e peggio degli altri lavoratori europei, ci stanno facendo pagare di più beni di prima necessità come il gasolio (con il ricasco di aumenti su tutte le merci trasportate), hanno dato persino una toccatina agli interessi di farmacisti, notai, avvocati e tassisti, il tutto per farci sentire vicini, anche se non uguali, nella comune lotta per uscire dalla crisi... e poi leggo, come se fosse la più normale delle notizie, che la Rai ha raggiunto un accordo con Adriano Celentano per la sua partecipazione al Festival di Sanremo: 750 mila euro per interventi a suo piacimento. Ho fatto un rapido calcolo: a me, che pure non mi lamento visto che guadagno 45 mila euro lordi l’anno (2 mila e 200 netti al mese), ci vorrebbero 16 anni di lavoro per raggiungere quella cifra. E non mi si dica che faccio un antiquato discorso di uguaglianza, so bene che esistono le cosiddette esigenze dello show business, che i grandi nomi raccolgono pubblicità, ma è ora di gridare che c’è un limite a tutto e di imporre un po' di equità. Se negli anni passati queste cifre enormi passavano inosservate, ora sono schiaffi in faccia alla miseria e ai sacrifici degli onesti. Per settimane la Rai mi ha fracassato i timpani per ricordarmi che devo pagare il canone di 112 euro. Francamente non sopporto che qualche centesimo di questi vada a formare quella remunerazione indecente. Marco Tonelli «L’equità è un’uguaglianza cui sono state messe le braghe», ha scritto Adriano Sofri in un recente e dolente articolo. Curiosamente lei cita entrambi i termini e si appella all’equità come traguardo minimo, che attenui almeno un po’ l’indecenza di sperequazioni esagerate, a riprova che ormai anche le rimostranze, come le aspettative, si sono fatte modeste. Ma giustamente fa anche osservare che quello che fino a un anno fa sembrava normale (come il cachet di Benigni, sempre a Sanremo, che era però un terzo di quello di Celentano) oggi comincia ad apparire offensivo. La Rai non ha la sensibilità di accorgersene e, mentre nel Paese cresce la differenza tra ricchi e poveri, fa la sua parte abbattendo i compensi dei collaboratori non famosi e gonfiando a dismisura quelli delle star. Ha da tempo dimenticato di essere un servizio pubblico pagato dai cittadini, che oggi la crisi rende più attenti e suscettibili.
Altre lettere a Stefania Rossini e la rubrica “Preciso che” su www.espressonline.it 144 | lE ’ spresso | 9 febbraio 2012
Lettere
L’Espresso Via C. Colombo, 90, 00147 Roma. E-mail: letterealdirettore@espressoedit.it precisoche@espressoedit.it
In merito all’articolo “De Magistris ti voglio bene” (“l’Espresso” n. 4), la Romeo Gestioni - responsabile della gestione del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli precisa che: non è vero che il Comune di Napoli ha difficoltà nel recupero degli affitti. La contestazione della Corte dei Conti non tiene conto del “ruolo servente” della Romeo Gestioni, che ha applicato in modo rigoroso e dimostrabile le indicazioni del Comune di Napoli, il quale nella sola attuale Consiliatura ha inviato circa 3 mila lettere di indirizzo al Gestore. Per cui il presunto danno erariale di 87 milioni addebitato alla Romeo Gestioni è un’accusa infondata nella forma e nel merito. Il contratto con il Comune di Napoli scade a dicembre 2012 e non a settembre, come è scritto nell’articolo. E non
è vero che si stanno svolgendo trattative segrete per il suo scioglimento anticipato. È vero, invece, che il Comune sta discutendo con la Romeo Gestioni una transazione per un debito maturato nei confronti dell’azienda di 50 milioni per competenze non pagate dal 2007, a fronte di incassi regolarmente registrati (per affitti) di circa 400 milioni. Infine, è sorprendente l’utilizzo di aggettivi come il “discusso” associato all’avvocato Alfredo Romeo. Il quale è stato 75 giorni in carcere preventivo per accuse che si sono risolte in non luogo a procedere data l’infondatezza. CARLO NICOTERA, Romeo Gestioni
Prendiamo atto che Alfredo Romeo è in disaccordo con la Corte dei Conti. Confermiamo che il sindaco Luigi De Magistris non è soddisfatto dell’operato della Romeo
Gestioni. Apprendiamo dalla lettera, inoltre, che la Romeo chiede al Comune di Napoli 50 milioni per debiti pregressi.
Nessuna parentela L’articolo “Cricca alla milanese” (“l’Espresso” n. 5), menziona una mia parentela con l’onorevole Ignazio La Russa. In realtà non sussiste alcun vincolo di parentela tra il sottoscritto e l’onorevole, peraltro mai conosciuto né incontrato personalmente.
Le cifre delle Olimpiadi In merito all’articolo “Diego, Luigi, Aurelio verso le Olimpiadi” (“l’Espresso” n. 4), precisiamo che la produzione delle cerimonie olimpiche di Rio 2016 ed eventi correlati vale non uno ma 23 milioni di dollari, ed è stata vinta da Filmaster Group attraverso la controllata Filmaster Events, in partnership con la società brasiliana Srcom. SILVIA GIORGI, press office manager Filmaster Group
DR. ENNIO LA RUSSA
Quella foto non c’entra L’errore è stato provocato dalla circostanza che i dipendenti del Pio Albergo Trivulzio, interpellati per le dovute verifiche, conoscevano il dottor Ennio La Russa come nipote dell’ex ministro della Difesa. Chiedo scusa agli interessati e ai lettori. (F. G.)
Per illustrare l’articolo “Vite strozzate” (“l’Espresso” n. 44) è stata pubblicata una foto della sede della Società operaia di mutuo soccorso G. Rizzo che nulla ha a che fare con il contenuto dell’articolo. Ce ne scusiamo con i lettori e con gli interessati.
Umberto Eco La bustina di Minerva
rimo pensierino. Non parliamo della maledizione dei Maya, ma certamente i giornali, che stanno sempre più citando Cassandra, ci annunciano di giorno in giorno un domani sempre più cupo, fatto di straripamento degli oceani, declino delle stagioni e (al più presto) il default; tanto che un ragazzino decenne figlio di miei amici, all’ascoltare i genitori che lo informavano sui destini del mondo, si è messo a piangere e ha domandato: «Ma proprio non c’è niente di bello nel mio futuro?». Per consolarlo potrei citare numerosi e assai foschi vaticini sugli anni a venire, consueti nei secoli passati. Ecco un brano da Vincenzo di Beauvais (XIII secolo): «Dopo la morte dell’Anticristo… il giudizio finale sarà preceduto da molti segni che ci sono indicati dai Vangeli… Nel primo giorno il mare si alzerà di quaranta cubiti sopra le montagne e si ergerà dalla sua superficie come un muro. Nel secondo sprofonderà tanto che a stento si potrà vedere. Nel terzo i mostri marini apparendo sulla superficie del mare manderanno ruggiti fino al cielo. Nel quarto il mare e le acque tutte prenderanno fuoco. Nel quinto le erbe e gli alberi manderanno una rugiada di sangue. Nel sesto crolleranno gli edifici. Nel settimo le pietre cozzeranno fra di loro. Nell’ottavo ci sarà un terremoto universale. Nel nono la terra sarà livellata. Nel decimo gli uomini usciranno dalle caverne e andranno vagando come impazziti senza potersi parlare. Nell’undicesimo risorgeranno le ossa dei morti. Nel duodecimo cadranno le stelle. Nel decimoterzo moriranno i viventi superstiti per risorgere coi morti. Nel decimoquarto cielo e terra bruceranno. Nel decimoquinto ci sarà un cielo nuovo e una terra nuova e tutti risorgeranno». Come si vede ci sono già tutte le alterazioni climatiche e gli tsunami che ancora ci minacciano. SALTANDO SEI SECOLI di ferali annunci, ecco Balzac, nel 1836: «L’industria moderna, che produce per le masse, sta distruggendo le creazioni dell’arte anti-
P Al di là delle cupe profezie che si ripetono, il mondo va davvero alla rovescia. I palazzi davanti al Colosseo, per esempio, pare siano fatiscenti: li danno via per quattro soldi a gente che neppure se ne accorge
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ca, le cui opere avevano un’impronta personale per il consumatore così come per l’artigiano. Oggi abbiamo dei “prodotti”, non abbiamo più “opere”». Tra i “prodotti” ormai privi di ogni valore artistico, che Balzac minacciava, Leopardi stava scrivendo proprio in quell’anno “La ginestra”, Manzoni poneva mano alla seconda stesura dei “Promessi sposi”, due anni dopo Stendhal avrebbe scritto “La certosa di Parma”, tre anni dopo Chopin componeva la Sonata in si bemolle minore opera 35, venti anni dopo Flaubert pubblicava “Madame Bovary”, mancavano circa trent’anni all’apparizione degli impressionisti e più di quaranta alla pubblicazione dei “Fratelli Karamazov”. Come si vede, anche in passato si paventava troppo il futuro. SECONDO PENSIERINO. Ma forse, ripensandoci, “mala tempora currunt” davvero se, come vuole la tradizione, uno dei tipici segnali della fine dei tempi è il fatto che ormai il mondo va alla rovescia. Pensate, una volta i ricchi abitavano nel centro di Roma in lussuosi palazzi e i poveri nelle periferie più desolate; oggi i palazzi che fronteggiano il Colosseo pare siano fatiscenti, col cesso sul ballatoio, e li danno via per quattro soldi, anzi, li regalano a gente che neppure se ne accorge. Immagino che i politici corrotti vadano ad abitare al Quarticciolo. Ieri i poveri viaggiavano in treno e solo i ricchi si permettevano l’aereo: oggi gli aerei costano quattro soldi (i più a buon mercato assomigliano ai carri bestiame del tempo di guerra) mentre i treni diventano sempre più cari e più lussuosi, col bar riservato solo alle classi egemoni. Una volta i ricchi andavano a Riccione, e nel peggiore dei casi a Rimini, pur di porre i malleoli nell’Amarissimo, mentre nelle isole dell’Oceano Indiano vivevano popolazioni miserabili o vi venivano deportati gli ergastolani. Oggi alle Maldive vanno solo i politici di rango e a Rimini, ormai, soltanto mugiki russi, appena sottrattisi alla schiavitù della gleba. Dove andremo a finire?
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Foto: G. Harari
Dove andremo a finire?