Sessione tematica “La domanda di spazi pubblici tra esclusione e integrazione - pratiche virtuose dei gruppi locali” Da anni le cronache riportato episodi di intolleranza che mai avremmo pensato si potessero verificare nelle nostre città, nel nostro Paese. Comune era la convinzione che poi, tutto sommato, se si escludevano casi isolati di episodica intolleranza, il nostro fosse un Paese ospitale e tollerante. Forte era l’idea che la nostra storia, anche recente, di un popolo di migranti, fosse un anticorpo sufficiente. Purtroppo i fatti stanno a testimoniare che non sempre e ovunque è così. In numerose realtà si susseguono episodi di inaccettabile regressione civile. Da quelli più volgari tesi a “rinchiudere”: discriminazioni, barriere, muri, recinzioni, veri e propri ghetti. A quelli più sofisticati tesi a “tener fuori”: enclaves, privatizzazione di spazi urbani, limiti di accesso. Tutto questo pone seri interrogativi non solo sulle cause del fenomeno, ma anche su quale idea di città e quindi di comunità, è sottesa a questi episodi, ma soprattutto, su quello che non viene fatto e che si potrebbe fare per impedire derive irreversibili. E’ in questo quadro che il ruolo dello “spazio pubblico”, inteso nella sua interpretazione più semplice di “luogo di libero incontro della comunità”, trova le sue più profonde ragione di essere. Non è certo un caso, infatti, che proprio su questo terreno stanno maturando esperienze significative tese a riaffermare il ruolo dello spazio pubblico come uno dei “luoghi” irrinunciabili della democrazia. Paesi, città, regioni dove si fanno cose buone non mancano. In genere se ne sa poco, perché è più facile vedere ciò che non va anziché scoprire pratiche positive, spesso nascoste sotto il grigiore dell'amministrazione. Al centro di queste esperienze immancabilmente troviamo quelle figure sociali che sono i veri protagonisti della vita urbana: giovani, donne, anziani, lavoratori, immigrati, rom. Soggetti da cui, in larga misura, dipende la qualità e la vitalità sociale dello spazio urbano e, non casualmente, sono quelli che risentono più direttamente del suo degradare. Sono questi soggetti che, inventando molto spesso forme e luoghi organizzativi informali, fuori dai canali istituzionali, assumono obiettivi collettivi rispetto a cui promuovono processi di sensibilizzazione e partecipazione con forti capacità di coinvolgimento. Una piazza da recuperare, un edificio da restituire o salvaguardare all’uso pubblico, uno spazio verde da rendere alla fruibilità di bambini e anziani, un servizio essenziale da offrire al quartiere, un bene culturale da salvare dall’incuria, un quartiere o un parco da salvaguardare da operazioni speculative, interventi di manutenzione e gestione come occasione di lavoro, costruzione di spazi di integrazione e di incontro, iniziative culturali per far rivivere spazi storici abbandonati, contrasto a iniziative normative tendenti a precludere la fruizione pubblica di uno spazio urbano, sono tutte occasioni che vedono impegnati comitati,
associazioni, sindacati, organizzazioni del volontariato, comitati, singoli cittadini. Questo alle volte avviene con il supporto delle amministrazioni locali, altre in totale autonomia, altre ancora in opposizione. Con la sessione abbiamo pensato di realizzare una occasione per raccontare e riflettere su alcune di queste esperienze: possibili germi di un futuro migliore. Per questo si è selezionato un panel di esperienze che raccontassero pratiche positive, nelle diverse realtà del Paese, vissute in prima persona dai soggetti sociali di cui si è detto. L’illustrazione delle esperienze si è dipanato lungo un percorso che è partito con l’esperienza delle Manifatture Knos illustrata da Michele Bee. Al centro di questa esperienza si colloca senza dubbio il protagonismo di giovani che, in una realtà del meridione (Lecce), ha consentito di recuperare ad un uso collettivo, culturale e produttivo, le strutture di un vecchio insediamento manifatturiero. La volontà di sfuggire alla cultura omologante della passività dei giovani meridionali è stata la spinta che ha portato i protagonisti a rivendicare, progettare, realizzare e gestire il recupero ad un uso sociale di spazi considerati perduti per la città. Forse questa esperienza testimonia più di altre come quando si crea un clima virtuoso e collaborativo tra sollecitazioni di associazioni e movimenti, contesto sociale, amministrazione pubblica non esistono più ostacoli insuperabili. Certo, c’è molto da lavorare e le difficoltà sono sempre dietro l'angolo, tuttavia lentamente e risultati arrivano. L ’idea emersa da questa esperienza è quella di uno spazio pubblico fondato sul principio della responsabilità individuale e collettiva. Jean Rene Bilongo: Ass. di volontariato Jerry Masslo e delegato Fillea-Cgil - Cittadini e peregrini: trascorsi diversi - orizzonti comuni. Jean Rene ha illustrato la drammaticità della condizione dei migranti in alcune realtà del nostro paese. Il suo percorso ha toccato esperienze che hanno lasciato segni indelebili nella nostra memoria: Caserta, Castel Volturno, Villa Literno, Rosarno. Esperienze vissute in prima persona sia come immigrato e sia come delegato sindacale dei lavoratori agricoli della FILLEA-CGIL. Il contrasto allo sfruttamento nel lavoro, l’ostilità della comunità, la difficoltà di resistere a soprusi e prepotenze quotidiane, la ricerca di spazi per potersi ricavare una nicchia per ricreare il corpo e lo spirito, la lotta per rivendicare il rispetto di quei diritti riconosciuti ai più, sono la frontiera di lotta per affermare il rispetto dei più elementari diritti di cittadinanza. Il forte messaggio emerso da queste esperienze è una idea di spazio pubblico come spazio dei diritti. Tra questi, fondamentali per denotarne la qualità: il riconoscimento, l’accettazione, l’inclusione. E’ questa una frontiera essenziale per l’affermazione di spazi urbani capaci di accogliere una collettività multietnica.
Carla Costanzi: Auser di Genova - il recupero fisico e sociale di una piazzetta del centro storico genovese. Il cuore di questa esperienza è stata quella di affermare l’idea che la figura dell’anziano può essere considerata come una sorta di metro di misura, in particolare in una società che invecchia progressivamente, per costruire spazi pubblici urbani di una qualità fruitiva superiore. Da questa esperienza e emersa anche la virtuosità di percorsi partecipativi promossi dalla amministrazione locale come momento di coinvolgimento dei cittadini. Più è qualitativamente alto il livello di coinvolgimento dei cittadini maggiori sono le garanzie della utilità sociale dello spazio pubblico recuperato. Massimiliano Curto e Giorgia Odorico: Ricerca e innovazione Terra del Fuoco - Il Dado: una esperienza di autorecupero e di inclusione sociale. Il “Dado” di Settimo Torinese si è misurato con uno dei problemi più complessi delle odierne dinamiche sociali urbane: l’accettazione dei Rom. I risultati sono una palese smentita dei più classici luoghi comuni sui popoli nomadi. Creando luoghi capaci di garantire più funzioni (di servizio, residenziali, di incontro) si vengono a determinare quelle condizioni in cui lo spazio pubblico viene riconosciuto come luogo di opportunità ed in quanto tale accettato e assunto a riferimento urbano. E’ da qui che parte un percorso che, se governato con intelligenza, può porta anche alla stabilizzazione e quindi all’integrazione. Quindi lo spazio pubblico come luogo di identità e inclusione. Silvano De La Llata: Gonzales Cornell University - Accidental dissident. Urban informalità as urban potential. Dalla ricerca emerge come negli ultimi 20 anni gli spazi pubblici in Nord America sono diventati sempre più regolamentati perché lo spazio non fosse utilizzato da writers, skaters, prostitute, senza tetto, mendicanti. La criminalizzazione di queste pratiche (tolleranza zero del Sindaco di NY, Giuliani) rivelano la volontà di produrre uno spazio pubblico fortemente controllato e mercificato. Nonostante ciò, i percorsi prodotti da queste forme di intolleranza sono continuamente sfidati e contestati da un certo numero di utilizzi e utilizzatori finali. Potremmo interpretare questa esperienza come lo spazio pubblico vissuto dagli “ultimi”. L’insegnamento che se ne trae è che la diversità è un potente elemento di trasformazione dello spazio pubblico urbano. Costanza Fanelli: Casa Internazionale delle Donne - L’esperienza delle donne come laboratorio di cittadinanza al femminile. L’importanza di questa esperienza per Roma ed oltre, ha un valore straordinario. Maturata nel cuore del movimento delle donne ha consentito, nel tempo, di affermare un idea di città che ha al suo centro l’obiettivo di garantire la riproduzione sociale. Un obiettivo straordinario che
fino ad oggi ha avuto solo parziale attuazione attraverso la costruzione di quel welfare urbano costituito dal sistema dei servizi pubblici. Purtroppo oggi questa idea viene rimessa fortemente in discussione sia attraverso i continui tagli alle risorse degli enti locali, ma soprattutto sotto il profilo culturale con i continui attacchi al valore dei servizi pubblici. In questo quadro tornare a riaffermare il valore sociale dello “spazio pubblico” ha un valore culturale straordinario. Agostino Magnaghi: Politecnico di Torino Mercatali torinesi: i due volti della città operaia. Si propone la rilettura delle dinamiche che hanno interessato due realtà urbane generatrici di conflittualità sociali ed etnico-culturale. Il primo caso (Porta Palazzo) descrive il maggiore polo di scambio all'aperto d’Europa - generatore delle espansioni residenziali, mercato del lavoro con massima concentrazione di gruppi sociali ed etnie. Il secondo caso descrive la ristrutturazione funzionale di un asse viario che si sviluppa per quasi 20 km.. I casi-studio evidenziano i caratteri della fenomenologia residenziale urbana, profondamente differenziati ed oppositivi: nella scena di Porta Palazzo si mette in scena una Torino pre-industriale, con sacche di degrado e tensioni sempre latenti; nell’asse di Corso Racconigi-Corso Svizzera si sviluppa in una ordinata e dignitosa sezione residenziale di una élite operaia consolidata e cosciente del proprio ruolo e valore sociale. Gli interventi di risanamento urbano attuati nel vecchio mercatale hanno soltanto parzialmente attenuato le frizioni tra i diversi strati sociali, anche se è proprio l’attività commerciale a favorire percorsi di integrazione degli immigrati nella cultura italiana (Progetto inclusione); nel secondo caso, la crisi sociale del tessuto operaio fa prospettare evoluzioni ed esiti urbani del tutto inaspettati. Francesco Chiodelli e Stefano Moroni: Tolleranza e libertà nello spazio pubblico: questioni di legittimità ed efficacia delle forme regolative pubbliche. Chiodelli e Moroni hanno affrontato il tema della regolazione dell’accesso e dei comportamenti nello spazio pubblico, con riferimento specifico al tema delle ordinanze comunali. Per quanto negli ultimi anni quello dell’ordinanza municipale sia diventato uno strumento d’azione abituale (anche in virtù delle modifiche introdotte dal d.l. 92/2008 – il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza”), tuttavia il suo utilizzo solleva numerose questioni problematiche. Per affrontare la questione è stata proposta un’articolazione tipologica dello spazio, fondata su differenti regimi proprietari (relazionati sia alla proprietà, sia al possessore, sia all’utilizzo) e ripartita secondo sei categorie, ciascuna caratterizzata da diverse forme di limitazione di accesso e comportamento. Sulla base di queste tipologie sono stati analizzati i problemi che molte delle ordinanze
comunali sollevano in termini di legittimità rispetto alla natura dello spazio che regolano. Sulla base della illustrazione di queste diverse esperienze si è poi sviluppato un momento di riflessione più generale a cui hanno dato il loro contributo il sociologo Carlo Donolo, Paolo Testa di Cittalia, Fausto Ferruzza di Legambiente, Marco Trulli dell’Arci, Sandro Del Fattore della Cgil, Marano Bottaccio del Coord. Naz. Comunità Accoglienza; Simone Ombuen dell’INU; Alessandro Montebugnoli dell’Università di Roma. Come era facile intuire la discussione, avviata sulla base di una introduzione critica di Carlo Donolo, si è sviluppata fondamentalmente tra due poli: di forte preoccupazione e di tiepida speranza. Di forte preoccupazione: la progressiva mercificazione degli spazi pubblici urbani tende a ridurre progressivamente la funzione della città in quanto “produttrice” di cittadini e sempre più produttrice di “consumatori”. La diffusione di mega “non luoghi” di consumo collettivo, totalmente sradicati dal contesto urbano, sono la più esplicita esemplificazione dello snaturamento della funzione storica urbana. Al venire meno di questa funzione ne deriva anche la conseguenza che la città contribuisce sempre meno alla costruzione della democrazia. Anzi è nelle città che sempre più di frequente si manifestano le più odiose espressioni di intolleranza. Evidentemente tutto questo non è frutto della città in quanto tale, ma è espressione di quella cultura individualistica e predatoria che ha caratterizzato il sentire dominante quanto meno degli ultimi due decenni. Di speranza perché la volontà di rifiutare questo piano inclinato di progressivo degrado della cultura urbana sta portando sempre più numerose comunità locali a reagire. Le esperienze illustrate nella sessione sono una piccola espressione di questo diffuso sentire. Possiamo dire però che il fenomeno è molto più diffuso di quanto si pensi. In particolare si sta dimostrando che la straordinaria ricchezza delle realtà urbane italiane, nella loro multiformità storica e culturale, nella forza del sistema delle autonomie eredità di un antico retaggio amministrativo, la disponibilità all’accoglienza forgiata da esperienze millenarie, rendono le nostre città, nel bene e nel male, difficilmente omologabili al pensiero unico dominante. Tutto questo però richiede di essere alimentato quotidianamente attraverso l’impegno di quei soggetti sociali che sono i protagonisti della vita urbana. A conclusione dei lavori della sessione tutti si sono dichiarati d’accordo con il principio che lo spazio pubblico, bello o brutto che sia, meglio se bello, o è uno spazio di diritti e di democrazia o non è. Nella prospettiva di una progressiva tendenza alla concentrazione urbana di quantità di popolazione di origini culturali, etniche, geografiche, religiose diverse affermare con forza questo principio è la garanzia
principale per città multietniche inclusive e democratiche. Per il futuro la sollecitazione è di consolidare l’impostazione della biennale data nella prima edizione. Il punto vincente che ha garantito il successo della prima edizione è l’intuizione di non farne una occasione di confronto rivolta solo ai tecnici ed agli amministratori, ma di aprirsi a quelli che sono i veri protagonisti dello spazio pubblico: i lavoratori, le donne, i giovani, gli anziani, …i cittadini. Si propone inoltre di avviare subito il percorso partecipativo per elaborare la proposta della Carta dello spazio pubblico da presentare nella Biennale del 2013. Claudio Falasca Consigliere: Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro
Il recupero fisico e sociale di una piazzetta del centro storico genovese
Carla Costanzi
Il percorso di riqualificazione urbanistica ed architettonica della parte più antica della città, che si è avviato a Genova negli ultimi quindici anni, anche con il sostegno di alcuni finanziamenti straordinari per eventi nazionali ed internazionali, ha avuto tra i suoi effetti non secondari quello di produrre una levitazione dei valori immobiliari di molte aree già risanate o di imminente recupero. Avendo presente questo processo, l’Amministrazione comunale ha progettato una serie di azioni volte a tutelare la permanenza appunto degli abitanti “storici”, gli anziani, in questa zona della città di cui rappresentano il vero e proprio tessuto connettivo, memoria e risorsa umana fondamentale, ma anche classe debole esposta al rischio di espulsione in questa fase di forte accelerazione del cambiamento sociale. All’interno del contenitore generale degli interventi di promozione di migliori condizioni abitative per i cittadini anziani, una rilevanza particolare hanno assunto i progetti di recupero urbanistico e sociale di spazi pubblici nel centro storico cittadino. Una politica della casa per soggetti fragili, quali sono gli anziani, non può limitarsi, infatti, ad interventi migliorativi delle condizioni alloggiative in senso stretto, senza prendere in considerazione anche l’intorno urbano, gli spazi pubblici in primo luogo che l’anziano deve poter vivere in condizioni di sicurezza e comfort, luoghi dove gli sia possibile coltivare le relazioni sociali già in essere e intrecciarne di nuove, dove vivere momenti ricreativi ma anche dove “inventare “ altri possibili scopi e modalità d’impiego del tempo libero. Ovviamente spazi pubblici recuperati a condizioni di vivibilità e sicurezza saranno fruibili da tutti, non essendo auspicabile la destinazione “riservata” di spazi per quote specifiche di cittadini.
comportato negli ultimi anni l’abbandono di questi spazi a varie forme di vita e attività ai limiti della legalità. Si rammenti la contiguità del centro storico genovese con l’area portuale, con le conseguenti eredità circa le modalità di fruizione di aree storicamente utilizzate come ricettacolo di svariate forme di trasgressione. In alcuni casi anche il solo transito per questi luoghi poteva costituire problema. La scelta dei siti da recuperare è avvenuta principalmente in base al criterio di gravità del degrado, ma anche conferendo grande importanza alla prossimità spaziale e temporale di altri interventi di risanamento, nell’ottica cioè di un reciproco rinforzo nei risultati conseguibili. I progetti di recupero hanno privilegiato destinazioni d’uso che favorissero attività socializzanti, da quelle sportive a quelle puramente ricreative. Effetto indotto dagli interventi di risanamento, negli auspici dei progettisti, doveva essere comunque anche quello di restituire dei percorsi praticabili, in zone della città molto centrali e nell’insieme molto frequentate. La piazzetta di cui tratta questo intervento ( Piazza Ragazzi – Vico Indoratori 21 r) si trova infatti nelle immediate vicinanze del Porto Antico e della cattedrale.
Piazza Ragazzi nel 2002 La prima fase del recupero urbano e sociale: l’affidamento ai cittadini degli spazi recuperati Il percorso progettuale tracciato dall’Amministrazione ha previsto, tra gli altri interventi, il recupero materiale e sociale di alcune piazzette1 situate nella parte più antica della città e divenute negli anni zone di pesante degrado. La concomitanza di un processo di deterioramento materiale e di dissesto sociale avevano di fatto
Il coinvolgimento dei cittadini nella fase decisionale è stato già abbozzato in questa prima fase del progetto, accogliendo e traducendo in indicazioni operative alcune suggestioni provenienti dai residenti nelle zone interessate dagli interventi ed esposte all’ufficio che ha curato l’intervento2 tra la presentazione del progetto di massima e la consegna dell’esecutivo .
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Gli interventi di recupero delle piazzette, come pure l’attività di promozione alla cittadinanza attiva, sono state finanziate dai fondi Urban II.
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Ufficio Terza Età Sicura – Assessorato alla Qualità Urbana
L’intervento di risanamento non può comunque limitarsi ai lavori di ripristino: molti esempi ci hanno purtroppo dimostrato che non è sufficiente il recupero materiale, se non si prevedono anche modalità di “accompagnamento” degli interventi realizzati. L’obiettivo, quindi, che ha mosso l’intervento pubblico era promuovere e sostenere l’attivo coinvolgimento di un gruppo di cittadini residenti nelle immediate vicinanze delle piazzette oggetto di progettazione, nella convinzione che il successo dei programmi di riqualificazione urbana è tanto maggiore quanto più sono costruiti “dal basso”, valorizzando il patrimonio di conoscenza del territorio custodita da coloro che lo abitano; una città è tanto più “intelligente” quanto più si trasforma attraverso strumenti di ascolto, espressione e connessione in grado di far emergere la miriade di idee e di fatti, di intenzioni e relazioni che formano il tessuto vivo del sociale. La strategia di promozione di nuove modalità di partecipazione è stata costruita su due livelli, dal momento che in una fase preliminare al coinvolgimento dei cittadini si è avviato un confronto con le Organizzazioni Sindacali e le Associazioni dei Pensionati a livello cittadino. All’interno di questo gruppo di lavoro (Gruppo di progetto) si sono discussi i contenuti del successivo percorso, le modalità organizzative e più in generale le finalità alla base del progetto. Elemento qualificante della strategia avviata dall’Amministrazione genovese ha riguardato, infatti, l’attivo coinvolgimento del Terzo Settore, a partire dalle rappresentanze organizzate più prossime ai temi trattati, in attività di tipo programmatorio oltre che nelle fasi attuative. Il secondo livello è costituito dal percorso che coinvolge direttamente i residenti. I risultati attesi da questo percorso di promozione della cittadinanza attiva hanno riguardato in primo luogo la promozione di competenze che consentissero di attuare, con l’aiuto di questi cittadini, azioni di animazione nelle aree recuperate, spostando di conseguenza il baricentro della sicurezza pubblica dal binomio controllo/repressione a quello controllo/prevenzione. E’ solo attraverso la restituzione degli spazi pubblici alla fruizione di tutti gli abitanti che questi luoghi diventano pienamente vivibili e di conseguenza sicuri; il degrado, in altre parole, si contrasta recuperando consapevolezze e ripristinando la cura del territorio da parte della comunità insediata. Pur senza escludere la possibilità di ricorrere a misure d’altra natura ( si veda la decisione di delimitare l’area con cancelli) per garantire la sicurezza degli spazi, si conferma il carattere eccezionale di tali interventi, il dover costituire fatto straordinario e non norma organizzativa.
Le verande e l’ingresso del locale-biblioteca con annesso servizio igienico ( 2004)
Le finalità più rilevanti che hanno ispirato il progetto si collocano, pertanto, nell’area della valorizzazione del senso di appartenenza territoriale, di promozione di azioni di progettazione partecipata sino all’autorganizzazione. Va detto con grande chiarezza che l’implementazione di questo processo è stato previsto con un percorso molto graduale, per dar modo anche all’Amministrazione di metabolizzare alcuni assunti non del tutto immediati e consueti nelle prassi consolidate, come appunto il riconoscimento e la valorizzazione dell’attivo coinvolgimento della cittadinanza in funzioni programmatorie e gestionali. La scelta, poi, di intervenire sulla tipologia specifica della piazza, seppur di modeste dimensioni, peraltro in ciò coerenti con il tessuto urbano d’appartenenza, ha un significato anche simbolico: l’auspicio di recuperare questa tipologia urbanistica alle sue funzioni originarie di luogo di interazioni sociali, di comunicazione a tutto campo, non solo tra i singoli, bensì quasi rappresentazione viva della peculiarità di un territorio. In quest’ottica le dimensioni assai contenute delle piazze del centro storico genovese da limite si trasformano in elemento di pregio, predisponente un utilizzo a misura d’uomo, diventando risorsa per la comunità che risiede in zona, come per chi vi transita o intenzionalmente vi confluisce per le opportunità lì presenti. Avvicinarci a questo obiettivo di cogestione ha richiesto, allora, di organizzare e attuare un percorso che preparasse adeguatamente a svolgere queste funzioni di proposta, coprogettazione, riappropriazione degli spazi urbani, funzioni desuete nelle comunità locali contemporanee.
Interlocutori privilegiati in questa fase sono stati i residenti nelle zone limitrofe alle aree da recuperare. Il percorso formativo seguito si è articolato nei seguenti moduli:
MODULI
OBIETTIVI
STRUMENTI
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conoscere il territorio
aumento delle capacità di analisi del territorio
analisi territoriale impostazione del metodo di raccolta dei dati
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fare identità
ridefinizione dell’identità territoriale
valutazione dei punti di eccellenza e di criticità del vivere in centro storico
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cos’è la cittadinanza attiva
fornire la scatola degli attrezzi concettuali
trasmissione di conoscenze sulla cittadinanza attiva
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progettare il sociale
fornire la scatola degli attrezzi operativi
La seconda fase: la progettazione partecipata delle attività Il recupero fisico di Piazza Ragazzi ha comportato la realizzazione di un campo da bocce accanto ad uno spazio utilizzabile per attività varie, due verande coperte che consentono quindi la frequentazione anche in caso di pioggia ed un piccolo locale con biblioteca, dotato di servizio igienico accessibile ai disabili. Si trattava poi di organizzare il recupero sociale del luogo. Se la prima tranche del progetto non aveva potuto conferire molta enfasi al coinvolgimento dei cittadini nella fase decisionale, dovendo contenere la progettazione nei limiti temporali imposti dal Programma Europeo Urban II, i cui fondi hanno finanziato queste attività, la sua prosecuzione ha consentito nella seconda fase di estendere l’orizzonte metodologico includendo un ulteriore tassello logico: la condivisione del momento progettuale circa la gestione dello spazio risanato. Il percorso formativo alla cittadinanza attiva rivolto ai residenti e sintetizzato nella scheda precedente ha infatti prodotto un articolato progetto di gestione, che prevedeva attività promosse dai residenti, dalla Circoscrizione, da varie associazioni presenti sul territorio, ma anche iniziative ludiche private (feste di compleanno, ad esempio).
elementi organizzativi per la creazione e realizzazione del progetto di gestione
A questi cittadini, costituitisi in associazione, l’Amministrazione tramite il Consiglio di Circoscrizione ha affidato la gestione della piazza.
La notte bianca del 2009
Nonostante negli anni si sia verificato un sostanziale ricambio all’interno dell’associazione, i valori di fondo che furono oggetto di profonda discussione nel percorso formativo, sono rimasti invariati e solidamente alla base delle attività realizzate : - favorire i rapporti tra cittadini - favorire la qualità della vita - favorire la solidarietà delle persone - favorire la convivenza tra le etnie - contribuire alla cura dello spazio cittadino.
In una parola, la sfida sottesa al progetto è stata fare della città, per ora della città antica, il luogo in cui si agisce la cittadinanza e questo obiettivo al momento si configura indubbiamente come anticipazione gravata da molte incertezze. I risultati, tuttavia, di questi primi anni (la piazza risanata è stata inaugurata nel 2004) pur con fasi alterne, sono complessivamente di grande conforto: la frequentazione dello spazio va ben oltre la cerchia dei residenti in zona, le attività organizzate spaziano da eventi culturali a iniziative di tipo ludico, incontri formativi, tornei, incontri etnici, cene autogestite…
Una festa in piazza Indubbiamente questo progetto contiene una consistente quota d’utopia, dal momento che le logiche oggi prevalenti nella gestione degli spazi pubblici si basano sostanzialmente sulle strategie per affrontare le emergenze più che sulla visione della città che vorremmo, su indicazioni progettuali provenienti da “altri” più che sull’esplicitazione delle energie e delle attese dei vari attori sociali che gravitano su uno specifico territorio.
Festa della comunità filippina Anche l’aspetto fisico dello spazio testimonia il consolidato senso di appartenenza dei frequentatori: il verde e gli arredi sono curatissimi e le migliorie continue. La sofferta decisione di delimitare lo spazio con cancellate sembra quindi aver prodotto gli effetti desiderati.
[]Biennale dello Spazio Publico 2011
Accidental Dissidents: Urban Informality as social potential. by Silvano De la Llata∗
Abstract (Italiano) Lo spazio pubblico è il regno delle potenzialità latenti. La sua natura condivisa lo rende teoreticamente predisposto a ospitare una vasta varietà di persone e infinite combinazioni di attività. Paradossalmente, la struttura sociale dello spazio è definita più da una relativa uniformità e predicibilità che dalla sua spontaneità. Nonostante ciò, i percorsi prodotti da questa uniformità sono sfidati e contestati da un certo numero di utilizzi e utilizzatori informali. Negli ultimi venti anni, gli spazi pubblici in Nord America sono diventati sempre più regolamentati perchè lo spazio non fosse utilizzato da writers, skaters, prostitute, senzatetto, mendicanti. La criminalizzazione virtuale di queste pratiche rivela la volontà di produrre uno spazio pubblico fortemente controllato e mercificato. Questo articolo analizza il modo in cui queste pratiche costituiscono una forma di dissidenza accidentale nei confronti dell’ordine spaziale urbano. Per sviluppare questa tesi, sarà condotta una analisi storica per spiegare come il concetto di “bohemien” del Diciannovesimo Secolo e l’incertezza politica e sociale con esso associata abbiano indirettamente dato forma alla visione che gli urbanisti hanno delle pratiche informali nello spazio pubblico.
Abstract (English) Public space is a realm of latent potentialities. Its communal condition makes it theoretically prone to host a broad diversity of people and an infinite combination of activities. Paradoxically, the social structure of the space is more defined by a relative uniformity and predictability than it is by spontaneity. Nevertheless, the patterns produced by this uniformity are challenged and contested by a number of informal users and uses. In the last twenty years, public spaces in North America have become increasingly regulated to prevent the space from being used by graffitiers, skateboarders, prostitutes, homeless and panhandlers. The virtual criminalization of these practices reveals an intention to produce a highly controlled and commodified public space. This article analyzes how these practices constitute a form of accidental dissidence towards the urban spatial order. To develop on that, I will make a historical analysis to explain how the concept of the Nineteenth Century bohemian and the social and political uncertainty associated with it have indirectly shaped the vision that urban planners have of informal practices in the public space.
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PhD Student of the program of City and Regional Planning at Cornell University.
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Contact: sad223@cornell.edu 428 N Cayuga St. Apt. 2N, Ithaca, NY. 14850. Phone: 607 7930022.
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Introduction.
Public space has been historically conceived as the quintessential place for deliberation, social engagement and artistic expression. In contemporary cities these conditions imply the coexistence of a constellation of different worldviews, lifestyles and paradigms overlapping in the same space. As a consequence, the potential for social action, exchange and encounter appears as infinite. Nevertheless, there are some practices (and social groups associated with them) that have been episodically prohibited in public spaces since the birth of Modernity, as they have been, in some way, considered as obstacles for this enterprise. The phenomenon of modern urbanization is strongly linked to the processes of industrialization (Lefebvre, 1968). Therefore, social practices associated with pre-modern and traditional forms of everyday life were seen as a threat to the new urban order. The spontaneity associated with the festivities and seasonal cycles did not fit in the temporal framework of the modern city, which emerges from the relation between waged labor and free time. Thus, the concept of informality arises from the dichotomy moderntraditional, although, in fact what we now call informality was the only form of social life in public spaces before Modernity.
However, as cities around the world have suffered processes of deindustrialization, many formerly informal practices have been incorporated into public spaces through commodification and regulation processes. And although the public spaces that arise from this approach appear as diverse and spontaneous in spatial-temporal terms they follow narrow and strict programs.
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In the last twenty years, many cities in North America and Europe have leaned towards producing highly regulated, privatized and thematicized public parks and plazas. In the aftermath of the political unrest of the 1960s, urban planners and designers were looking for ways to redefine public spaces as places of leisure and encounter, in contrast to the historical depiction of the public square as the quintessential open forum for deliberation and debate that had dominated planning theory (Orum, 2010). Therefore, the promotion of consumption and spectacle over social and political engagement became the trend for the planning of public spaces. Sharon Zukin (1995) called this approach pacification by cappuccino, in reference to the strategy that was used to regenerate the Bryant Park in New York City in the early 1980s, which basically consisted in commissioning private partners to manage publicly owned parks that resulted in the establishment of small coffee shops and other stores in them, as well as heavy measures of surveillance and regulation. These kinds of spaces have been celebrated as spaces of diversity and heterogeneity, but the truth is that, although the space is intensely used, the activities can be grouped within the notions of leisure and consumption, and anything that escapes these categories is heavily controlled. The strategy used in the Bryant Park practically became a model that would be implemented across New York and was replicated in other cities around the world.
The consolidation of this model is patent in the initiative for the Quality of Life (better known as the Zero Tolerance program) that advocated for a heavy regulation and virtual criminalization of informal practices in public spaces (MacArdle, 2001) that was later launched by New York City’s mayor Rudolph
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Giuliani in the mid 1990s and that was also exported to cities of Europe and Latin America.
The target of space regulations was a collection of apparently unrelated practices like graffiti, skateboarding, spontaneous performances, protests, panhandling, and awkwardly vague descriptions like loitering, vagrancy and unruly behavior.
The fact that zero-tolerance-like policies often group these kinds of informal practices together in public space regulations is not accidental, as the people that are engaged in these practices share the characteristic — even if accidentally — of being challengers of a larger socioeconomic and cultural order. The hardening of these kinds of regulations is a sign that different ways of envisioning the city are colliding precisely in the realm of public space.
The hyper-regulation of the space is not new, and its origins go even back to the beginning of Modernity. The vagrancy laws, the policies of social hygiene and the depictions of the bohemian in the Nineteenth Century are a proof that informal users of space have been historically feared for not sharing the ideals of beauty, safety, order and comfort that dominated modern city planning.
The bourgeois city is the result of the implementation of these ideals. Public space as the place for leisure and encounter (the place for the ultimate bourgeois pleasure of “seeing and being seen”) is the result of the tension that arises between the workday and free time. Therefore, in the times of deindustrialization, tourism and the
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consequent increase of free time (for some), the insurance of leisure in public spaces acquires a crucial importance for city planning. And thus, any practice that is not framed within leisure and consumption is seen as an obstacle and therefore hyperregulated or even criminalized.
I argue that the hyper-regulation and commodification of public spaces produce a realm that reduces the possibilities for social and political engagement and that some informal practices, under certain circumstances, rather than being obstacles they represent opportunities to activate the potential for social interaction and political expression that public spaces embody.
I also propose that public spaces are constituted in a triad of (1) people, (2) practices and, (3) spaces. People are linked (or detached) to spaces through social practices, and therefore the way urban planners and designers conceive practices is crucial for the structure of public space and society in general. Therefore, I will describe how informal practices play a key role for the way we understand the city and the public domain.
Spatial dissidents.
If the city is a machine, as the modernists often described it, then everyday life practice become a manifestation of socioeconomic and political energies flowing to sustain the structure of the spatial machinery (Le Corbusier, 1923 [1986]). The built environment, then, becomes the scenario were these energies are contained, boxed, released or canalized, depending on the case. The public realm is the arena where the
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machinery reveals its cogs in the shape of an intricate choreography of human traffic and exchanges. From that point of view, informal practices like street vending, squatting, loitering, panhandling, graffiti or parkour are interpreted by public space producers as a malfunctioning of the system, and therefore, something that has to be cleaned from the space in order to ensure the flows of socioeconomic forces. But if in fact the city were a machine, it would not be one of that kind.
The temporal
component of the city makes urban space work as an accumulation and overlap of socioeconomic and cultural realities in fragile coexistence. Thus, public space is more like a series of layers overlapping on top of each other that operate simultaneously, sometimes independent of each other and sometimes closely interrelated.
The hyper-regulation and commodification strategy to ‘pacify’ the space reveal the misinterpretation of the way the city really works, as it understands some informal practice as mutually exclusive within the same spatial structure. In A city is not a tree (1965), Christopher Alexander describes how the modernists failed in their attempt to conceive the city as a machine because they considered the relation between components and flows as unidirectional (like in the relation between components in a tree diagram). Instead, he proposes to think about the city in terms of a set of relations that can be not only completely contained or completely disjointed, but that allows for overlaps (like the relation between components in a semi-lattice diagram) (Alexander, 1965).
I argue that the approach of
criminalization of informal practices denies the possibility to think of public spaces in terms of the connection of its overlapping layers. To think of public spaces as the points of connection of overlapping realities opens windows of opportunities to start conceiving the public realm from a completely different perspective.
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A good example to illustrate how different senses of space can overlap or collide are the events of the Tompkins Square Park in 1988, where an attempt to enforce a 1 a. m. curfew for the park by the New York Police turned into a violent riot. The implementation of the curfew had been matter of controversy among members of the community of East Village. While one group defended the idea that the park should remain opened 24 hours, a business owners organization advocated for the curfew.
Historically, East Village was the place of a heterogeneous underground life. The repertoire of dwellers included homeless, squatters, self-declared anarchists, beatnik poets and punk rockers. As a result, of that the Park was the scenario of spontaneous performances, concerts, boisterous parties and homeless camps. But by the mid 1980s the neighborhood started becoming increasingly gentrified.
Thus, beyond the issue of the unpopular implementation of the park curfew, the riot of 1988 was a genuine manifestation of different perceptions of time and space overlapping. The bohemian way of life prevalent in East Village was now seen as informal and alien to the emerging urban order. Nevertheless, there was an obvious conceptual overlapping, since the people that had been moving to the neighborhood were attracted by that very same bohemian spirit that were now trying to contain.
In The Arcades Project (1982), Walter Benjamin presents the bohemian as a character that because of his uncertain economic and political nature becomes the
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‘professional conspirator’. Therefore, the spatial order of consumerism that is encouraged by the Parisian arcades (a primitive version of today’s shopping malls) becomes challenged by the sole presence of this character. His presence is seen as a threat because of the possibilities that it implies. He is a proof that the city can be ‘parasitized’ without having to participate in the choreography of shopping and leisure that Benjamin describes.
Homeless, squatters, poets, musicians, prostitutes, drunks are the equivalent of the Nineteenth Century bohemian. Their sense of time and space is that of spontaneity and flexibility, as it is not necessarily linked to waged labor and monetary exchange. Nevertheless, their sense of place is overlapping that of capitalist space.
In The Production of Space, Henri Lefebvre (1974) describes how the traditional everyday life in the modern world is distorted by the processes of bureaucratization and commodification. These processes compartmentalize the space in order to facilitate its control and make profit out of it. This mode of space production is strongly linked to the processes of industrialization and urbanization and it creates a realm in which people are separated from the experience of social engagement with each other and with the space itself. The environment of public parks is reduced to consumption and the passive experience of being away (Richardson, 2000).
However, there are points of rupture and revolutionary possibilities that Lefebvre (1974) calls moments in which people can emancipate themselves from these kinds of space production. The moment is an interruption of the state of
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alienation that the processes of commodification and bureaucratization create. It is a point in which possibilities to connect and engage arise (Merrifield, 2008). Thus, the natural consequence of the moment is a revolution in the perception and practice of everyday life in space.
Analogically, the situationists propose a spontaneous use of space through its reinterpretation (derive). They introduce the notion of spectacle, as another process that also detaches people from social engagement and promotes separation. Thus, the situation (their own version of the moment) is also a time for spontaneity and emancipatory opportunities (McDonough, 2004, Debord, 1967). The situation is produced when people acknowledge the possibility to use the space in ways that does not necessarily involve consumption and spectacle. The situation and the moment challenge the modern production of space and time, and are somehow seminal turning points for revolutionary experiences in the city. Somehow, moments and situations represent those windows of opportunity in which the overlapping layers of public spaces can be connected.
The environment that reigned in the Tompkins Square Park before the riot was in a way a manifestation of an alternative interpretation of the public space overlapping the institutional one. The discussion about the curfew revealed the clash of the different interpretations.
The visions of the homeless and the squatters represent the ultimate contestation of the city. They expose the economic, legal and social contradictions that imply thinking of public space as a realm where different practices have to be
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mutually exclusive, and therefore cannot coexist. Homeless people sleep on benches in public spaces and thus they do not technically incur in any violation of the law and at the same time expose larger urban problems like unemployment, housing shortage and economic crisis in general. Squatters, on the other hand, are always unconsciously denouncing real estate speculation, as they use property only when is not occupied by the owners.
However, what is most interesting is what these characters represent symbolically and aesthetically. They are often found looking for things that might be of use for them in the garbage, almost as if they were shopping. Sometimes they even push old shopping carts around. As caricatures of us, they are always a reminder of our culture of consumerism and waste. Their relationship to the space is similar to the objet trouve, as they reinterpret it and give it a different use than the one it was planned for. In sum, they are a living proof that the system has contradictions and that the public domain represents opportunities for an alternative uses (although precarious).
The spontaneous performances and street parties also represent a different interpretation of the sense of time. The time of the bohemian is obviously different than that of the waged worker and the businessmen. For the latter, the experience of the park is defined by the dialect between the workday and free time, thus producing the notion of leisure, which in a way is strongly linked to waged labor, employment and the production of a commodified space. The discussion about the implementation of the curfew is a manifestation of the clash of the different senses of time that were coexisting in the same space.
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The bohemian is not only contesting the capitalist spatial order but the modern production of the space and Modernity as a whole. His condition of unemployed and his apparent unwillingness to get a job gives him an aura of uncertainty that makes him difficult to fit the typical depictions of the working class or the bourgeoisie. Curiously, in Marxist literature they are also considered undesirable, as communist dogma criticizes the capitalist mode of production, but not industrialization as a whole. Communism is also an interpretation of modernization and the Project of the Enlightenment (Harvey, 1989). The bohemian is presented as part of the underclass or lumpenproletariat, and according to Marx they should not even be considered as desirable allies for the revolution. In the Eighteenth of Brumaire, Marx even associated them with criminals and adventurers. The following is a harsh depiction of how the bohemian was seen in the Nineteenth Century:
“along with ruined roués of questionable means of support and questionable antecedents, along with the foul and adventures-seeking dregs of the bourgeoisie, there were vagabonds, dismissed soldiers, discharged convicts, runaway galley slaves, sharpers, jugglers, lazzaroni, pick-pockets, sleight-ofhand performers, gamblers, procurers, keepers of disorderly houses, porters, literati, organ grinders, rag pickers, scissor grinders, tinkers, beggars — in short, that whole undefined, dissolute, kicked-about mass that the Frenchmen style “La Boheme” (Marx, 1851: 80). In a capitalist context, the bohemian is also considered a dangerous character because they are most of the time unemployed and have remote intentions to engage in the process of mobilization that is required to get a job. In the recently published situationist text The Coming Insurrection (2009), the authors describe how in capitalist societies, unemployed people are expected to be in a constant state of mobilization and “relate to work not as an activity but as a possibility” (The Invisible
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Committee, 2009). Mobilization implies dressing and acting as if they had an employment, even if they have non. Demobilization is seen as a menace to the capitalist system of production and to the spatial order because it represents a stagnation of the economic and political flows that is canalized through the city fabric. This stagnation opens possibilities for the revolutionary points of rupture that Lefebvre talks about. Thus, the bohemian becomes an ‘accidental dissident’ and a conspirator without even knowing it. Demobilization (even when accidental) becomes an agent of numbness for the spatial system. In the Coming Insurrection (2009) they even refer to personal depression (sometimes also associated with homelessness) as a form of unconscious demobilization and even strike [“we are not depressed, we are on strike” (The Invisible Committee, 2009: 31)].
The best example of space regulations that prevents demobilization and interruption of the urban flows are the laws against loitering. This vague activity mainly consists in slowing the pace and walking with no apparent itinerary. Strangely enough, the practice of loitering looks very similar to the way people walk when they are shopping. That is why Benjamin (1982) described the flaneur as character that can be confused with the bourgeois when he merges with the crowd in the arcades.
The act of loitering is interpreted as a physical manifestation of vagrancy and demobilization, but it is also a symptom of economic crisis, political uneasiness and social discontent. The classification of practices like loitering and vagrancy as crimes is illustrative of the spatial agenda of Modernity. If walking is a form of aesthetic practice, like Francesco Careri (2002) describes, loitering then becomes a sort of aesthetic crime to the hegemonic order of the city.
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In that sense, the true target of the zero-tolerance-like policies that dominate the planning of public spaces today is not crime really —as it only attacks its visible manifestations—, is demobilization. However, the association of informal practices with demobilization and the hindering of the urban order also come from the interpretation of the city as a network of mutually exclusive components and unidirectional relations. In that sense, we can think about some informal practices as alternative forms of movement (instead of demobilization), defined by a different set of rhythms, paces and aesthetics.
Demobilization or the city as a (turned off) machine.
In the aftermath of deindustrialization and metropolitanization of the city one can only think that, if the city is a machine, this is certainly slowing down. In some places one could even think that it is even turned off. Thus, the public domain has become a discontinuous overlapping of urban realities where the gaps have opened opportunities to reconsider the nature of public spaces. These places, complicated as they might be, do not necessarily have to be seen as problems, but as opportunities to connect the different urban layers in more innovative ways.
Zero-tolerance-like policies and the criminalization of informal practices, similar to the ones that reigned in the Tompkins Square Park and in many places around the world, are signs that informality is profiled as external to the spatial order, rather than being understood as overlapping other formal and institutional practices.
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As a consequence of that, social groups would also overlap. The notion of the Nineteenth Century bohemian is perhaps a good example to illustrate this point.
As mentioned lines above, the bohemian was not only the romanticized poète maudit, but sometimes he was also the homeless, the squatter or even the beggar. In the book Down and Out London and Paris (1961), George Orwell describes how writers, activists and artist often went through periods of homelessness and vagrancy. He describes how the act of sleeping in public spaces became a quotidian odyssey, as policemen would not even let people sit people on the sidewalks during a period when tramps proliferated in these European capitals. Vagrancy and loitering was strictly regulated during these period, as it represented an evident manifestation of demobilization.
Ironically, the description of the bohemian in the recent literature of the creative class is almost opposed. The bohemian depicted by Richard Florida in The Rise of the Creative Class (2002) is that of the young professional that becomes a rock musician and a political sympathizer of multiple causes when the workday is over. According to him, the problem of having multiple aspirations, desires and values can only be solved precisely by embracing the idea of living multiple lives. This kind of absorbed-by-the-system-bohemian is the most important agent of gentrification and the reconfiguration of our cities, and therefore of public spaces. In the case of the Tompkins Square Park and East Village in general these bohemian life hunters were the ones that eventually propitiated the social cleansing of the neighborhood. The creative class bohemian is the embodiment of the processes of alienation, separation and fragmentation of the individual that the processes of
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commodification and bureaucratization produce, as they engage in bohemian practices as forms of leisure and therefore these become formalized. Thus, these counter-hegemonic practices become incorporated through consumption and the reinforcement of the workday-free time tension and therefore they become part of the hegemonic order (Goonewardena, 2008). The concept of quotidian that Lefebvre advocates for implies that “man must be everyday or not at all� (in Goonewardena, 2008: 117). As a matter of fact, the concept of bohemian that Florida expounds, leaves all the responsibility to solve the complexity of the city to the individual (not even to social groups), as it is him who has to contain the multiplicity of realities and not the space.
The idea to take advantage of emancipatory moments to successfully connect all the social and cultural layers that are overlapped in public spaces is that the individual can be engaged in social interaction and expression through diversity of practices and through the incorporation of heterogeneity, not that the multiplicity is placed within the person.
Multiplicity and heterogeneity (not just intensity, as pacification-bycappuccino strategies imply) of social practices (including informal ones) should be a constant that urban planners and designers should seek to promote in contemporary cities.
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Conclusion.
The practices and social groups that overlap in public spaces are becoming increasingly heterogeneous. Therefore, the limit between formal and informal is being renegotiated everyday as the city become more complex. The flows of socioeconomic and cultural energies in public spaces are also describing alternative kinds of movements within the urban order.
I propose that the challenge for urban planners and designers it is not just to identify informal practices in order to hyper-regulate them but to learn to recognize that they represent a window of opportunity to connect the different layers of the city in order to activate the social and political potential that public spaces should have.
The challenge presupposes that planners should learn to read the city and public spaces through a different kind of paradigm, and the benefit will be that everyday life would not necessarily be mediated by social and politically neutral processes like consumption or spectacle.
The criminalization of informal practices and the (true) bohemian way of life that zero-tolerance-like policies promote reveal that public spaces are conceived through spatial-temporal hierarchies defined by rigidity and ossification. Spaces were the urban order is interrupted or attenuated can represent opportunities to see trough and be able to connect and link socioeconomic, cultural and historical pieces left loose by deindustrialization.
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Informality and traditional everyday practices are often excluded from the program of public spaces and may be even considered as anomalies that escape the logics, the order and the aesthetics of urban planning and urban design. But rather than being the unsightly, amorphous and chaotic leavings of a more Euclidian and orthogonal planning, these practices follow an order of their own, and therefore they deserve to be studied in order to produce richer, more diverse and truly public spaces.
Informal practices should be seen as symptoms of the larger syndromes of urbanization (or metropolitanization) and (de)industrialization. Thinking of public spaces in terms of the dichotomy of formal-informal is a sign that, as Lefebvre acknowledged, the city “as a consummated object of study is falling apart” (Lefebvre, 1968).
Multiplicity and heterogeneity should be the conditions that prevail in social practices in public spaces. The insurance of a broad diversity (not just intensity) of uses and the inclusion of a broad spectrum of social groups will be crucial for the creation of true public spaces of democratic deliberation, political engagement and social interaction.
References
ALEXANDER, Christopher, “A city is not a tree”, in the magazine Design, London, 1966.
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BENJAMIN, Walter, The Arcades Project, Harvard University Press, Cambridge, 1982. CARERI, Francesco, Walkscapes. El andar como practica estetica – walking as an aesthetic practice, Gili, Barcelona, 2002. DEBORD, Guy, The Society of the Spectacle, Rebel Press, London, 1967. FLORIDA, Richard, The Rise of the Creative Class, Basic Books, New York, 2002. GOONEWARDENA, Kanishka, Space, Difference and Everyday life: Reading Henri Lefebvre, Routledge, 2008. The Invisible Committee, The Coming Insurrection, MIT Press, Cambridge, 2006. LEFEBRE, Henri, The Production of Space, Blackwell Publishing, Malden, 1968. LEFEBRE, Henri, Le Droit a la Ville, Editions Anthropos, Paris, 1968. LE CORBUSIER, Towards a New Architecture, Dover Publications New York, N. Y. 1986. Marx, Karl, The eighteenth of brumaire of Louis Bonapart, New York, 1963. MCARDLE, Andrea; ERZEN, Tanya, Zero Tolerance: Quality of Life and the New Police Brutality in New York City, NYU Press, New York, 2001. MCDONOUGH, Tom, Guy Debord and the Situationist International, October, London, 2004. HARVEY, David, The Condition of Postmodernity, Blackwell Publishing, Malden 1989. ORUM, Anthony M; NEAL, Zachary P, Common Ground: Readings and Reflections on Public Space, Routledge, New York, 2010. ORWELL, George, Down and Out London and Paris, New York, 1961. RICHARDSON, Miles, “Being-in-the-market vs. being-in-the-plaza”, in Low, Setha/ Lawrence- Zuniga, Denise, The anthropology of space and place: Locating culture, Blackwell, Malden, 2003 SADLER, Simon, the Situationist City, MIT Press, Cambridge, 1998.
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ZUKIN, Sharon. 1995. The culture of cities. Cambridge, MA: Blackwell.
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pubblico e gratuito ad internet attraverso il wi-fi che si Spazio pubblico e nuove tecnologie in Europa integra ad innovative azioni di partecipazione, finalizzate La riqualificazione degli spazi pubblici urbani passa ad allargare i processi decisionali a nuovi attori. Sulla scia attraverso le nuove tecnologie. Le esperienze realizzate di quanto realizzato già a fine anni ’80 dal sindaco Pasqual nell’ultimo decennio in Europa rappresentano al meglio l’importanza dell’elemento tecnologico nella rinascita di Maragall, che avviò una serie di incontri in tutti i quartieri quegli spazi comuni andati in crisi negli ultimi anni con il per preparare gli abitanti ai grandi cambiamenti urbani intervenuti in vista dei Giochi Olimpici del ’92, allo stesso diffuso sviluppo di zone residenziali lontane dai centri storici. L’evoluzione degli strumenti di telecomunicazione e modo la capitale della Catalogna ha accompagnato la predisposizione di 250 hotspot Wi-fi alla realizzazione del del loro rapporto con la pianificazione urbana, carico di effetti decisivi per la vivibilità, il risparmio energetico, la progetto Memoria Virtual, che ha favorito un’opera di sicurezza e la partecipazione dei cittadini si accompagnano alfabetizzazione digitale per centinaia di anziani da parte di al progressivo cambio di funzione degli spazi pubblici che studenti di scuole secondarie, così da coinvolgere tutte le fasce della popolazione nel piano di innovazione fanno segnare, in Europa come negli Stati Uniti, un graduale ritorno alla loro tradizionale centralità in grado di tecnologica urbana. L’innovazione diventa così strumento di inclusione, farne elementi propulsori per la nascita di nuove forme di socialità per i cittadini. Se è vero che da questi ultimi parte capace al contempo di ridurre il digital divide presente tra la richiesta di adattare vie e piazze agli standard tecnologici diversi settori di residenti in uno stesso contesto urbano e di più avanzati per favorire una migliore fruizione degli spazi favorire la trasformazione dello spazio pubblico in luogo di identificazione e di contatto fra gli abitanti. Questi nuovi e una più ampia partecipazione dei cittadini alle scelte fattori rendono piazze e strade cittadine luoghi polivalenti, amministrative, tocca alle autorità pubbliche realizzare strategie e interventi per dare concretezza ad una visione da riqualificare attraverso logiche che rendano tali spazi più accessibili e sostenibili sul piano ambientale, economico e che contribuisce a rimettere i centri storici al centro dei processi urbani e per contrastare l’avanzata delle periferie. sociale. Gli interventi di rigenerazione urbana lanciati negli ultimi anni da città europee come Londra, Barcellona, Paolo Testa - Cittalia Parigi, Berlino, Stoccolma e Cracovia mostrano l’importanza degli spazi pubblici nell’affrontare le principali sfide della tutela ambientale,della qualità della vita e della coesione sociale. L’installazione di reti wi-fi pubbliche e gratuite, come realizzato dalla capitale tedesca con antenne impiantate sui semafori nelle zone più centrali, o la realizzazione di centri culturali e di innovazione, sulla scorta di quanto promosso a Stoccolma e a Malmö, rappresentano necessari elementi di completamento all’azione di rilancio dei centri cittadini. Questa nuovo approccio urbano si fa strada con lentezza anche in Italia ed altri paesi dell’Europa meridionale, soprattutto ad opera di amministratori locali più attenti al tema e in centri urbani che ancora conservano centri storici o spazi tradizionalmente adibiti all’incontro. L’avanzare dei processi di mondializzazione, che uniformano stili di vita e di consumo, fa da un lato sentire nelle città i suoi effetti negativi, con la diffusione di modelli urbanistici omologati che tengono più conto delle esigenze edilizie e commerciali che di quelle legate alla vivibilità e alla condivisione degli spazi, ma favorisce anche la condivisione di esperienze positive e di approcci innovativi all’utilizzo urbano delle nuove tecnologie. Anche in questo campo, la nuova avanzata degli spazi pubblici sui “non luoghi” urbani si avverte in maniera chiara soprattutto nei centri di medie e grandi dimensioni. Mentre in precedenza erano soprattutto aeroporti, centri commerciali e altre strutture tradizionalmente senza identità ad ospitare le prime innovazioni in tema di wi-fi, a uso e consumo di una clientela business, la progressiva espansione di questi sistemi tecnologici ha favorito una democratizzazione degli spazi pubblici, sempre più smart e aperti sul piano partecipativo. Emblematico è il caso di Barcellona, che ha arricchito il suo percorso di sperimentazione di pratiche di partecipazione con la realizzazione di una rete di accesso
Accidental Dissidents: Urban Informality as social potential.
between the workday and free time. Therefore, in the times of deindustrialization, tourism and the consequent increase of free time (for some), the Introduction. insurance of leisure in public spaces acquires a Public space has been historically conceived as the crucial importance for the “domestication” of the quintessential place for deliberation, social city. Practices that escapes leisure, consumption engagement and artistic expression. In and circulation are therefore hyper-regulated and contemporary cities these conditions imply the even criminalized. coexistence of a constellation of different worldviews, lifestyles and paradigms overlapping Spatial dissidents. in the same space. As a consequence, the potential If the city is a machine, as the modernists often for social action, exchange and encounter appears described it, then everyday life practice becomes a as infinite. However, this has been increasingly manifestation of socioeconomic and political eroded by strategies of hyper-regulation. And energies flowing to sustain the structure of the although the spaces that arise from this approach spatial machinery. The built environment, then, appear diverse and spontaneous, in spatial-temporal becomes the scenario were these energies are terms they follow narrow and strict programs. contained, boxed, released or canalized, depending on the case. The public realm is the arena where In the last twenty years, many cities in North the machinery reveals its cogs in the shape of an America and Europe have leaned towards intricate choreography of social flows and producing highly regulated and thematicized urban exchanges. From that point of view, practices like spaces. Therefore, favoring consumption over street vending, squatting, loitering, panhandling, or social and political engagement has become a graffiti are interpreted by city-makers as a trend. “malfunctioning” of the system, something that has to be cleaned out in order to ensure the flows of These kinds of spaces have been celebrated as socioeconomic forces. But if in fact the city were a spaces of diversity and heterogeneity, but although machine, it would not be one of that kind. The the space is intensely used, the programs can be temporal dimension of the city makes urban space grouped within the notions of leisure and work as an overlapping of socioeconomic and consumption, and anything that escapes these cultural realities in fragile coexistence. Thus, public categories is heavily controlled. space is like a series of overlapping layers that operate simultaneously, sometimes independent of In New York, this approach was supported by The each other and sometimes closely interrelated. Initiative for Quality of Life (better known as Zero Tolerance) that imposed heavy regulations and The strategies to ‘pacify’ the space reveal the virtual criminalization of informal practices in misinterpretation of the way the city really works, public spaces. The target of these regulations was a as it understands urban practices as mutually collection of apparently unrelated practices like exclusive within the same spatial structure. The graffiti, skateboarding, spontaneous performances, modernists failed in their attempt to conceive the protests, panhandling, and awkwardly vague city as a machine because they denied the descriptions like loitering, vagrancy and unruly possibility to think of public spaces in terms of the behavior. However, they are grouped together for a connection of its overlapping components reason. They share the characteristic of challenging (Alexander, 1965). To think of public spaces as — even accidentally — a larger socioeconomic and the points of connection of overlapping realities cultural order. These kinds of regulations are signs opens possibilities to conceive the public realm that different ways of envisioning the city are from a completely different perspective. colliding precisely in the realm of public space. This approach, however, is not new. The vagrancy A Prelude of the Zero Tolerance. laws, the policies of social hygiene and the In 1988, the attempt to enforce a 1 a. m. curfew for depictions of the bohemian in the Nineteenth Tompkins Square Park by the City of New York Century are a proof that informal urbanites have turned into a riot violently suppressed by the been historically feared for not sharing the ideals of police. The implementation of the curfew had been beauty, safety, order and comfort that dominated matter of controversy among members of the modern city planning. community of East Village. While one groups defended the idea that the park should remain The bourgeois city is the result of the opened 24 hours, a business owners organization implementation of these ideals. Public space as advocated for the curfew. the place for leisure and encounter (the place for the ultimate bourgeois pleasure of “seeing and Historically, East Village was the place of a being seen”) is the result of the tension that arises heterogeneous underground life. The repertoire of
dwellers included homeless, squatters, selfwhich possibilities to connect and engage arise. declared anarchists, beatnik poets and punk Thus, the natural consequence of the moment is a rockers. As a result, of that the Park was the shift in the perception and practice of everyday life scenario of spontaneous performances, concerts, in space. boisterous parties and homeless camps. But by the mid 1980s the neighborhood turned increasingly The environment that reigned in the Tompkins gentrified. Square Park before the riot was in a way a manifestation of an alternative interpretation of the Thus, beyond the issue of the unpopular public space overlapping the institutional one. The implementation of the curfew, the riot of 1988 was discussion about the curfew revealed the clash of a genuine manifestation of different perceptions of the different interpretations. time and space overlapping. The bohemian way of life prevalent in East Village was now seen as The bohemian is considered a dangerous character. informal and alien to the emerging urban order. They are most of the time unemployed and have Nevertheless, there was an obvious clash of senses remote intentions to engage in the process of of space. The people that had been moving to the mobilization that is required to get a job. In the neighborhood were attracted by that very same situationist text The Coming Insurrection (2009), bohemian spirit that were now trying to contain. the authors describe how in capitalist societies, unemployed people are expected to be in a constant In The Arcades Project (1982), Walter Benjamin state of mobilization and “relate to work not as an presents the bohemian as a character that because activity but as a possibility” (The Invisible of his uncertain economic and political nature Committee, 2009). Mobilization implies dressing becomes the ‘professional conspirator’. Therefore, and acting as if they had an employment, even the spatial order of consumerism that is encouraged when you have none. Demobilization is seen as a by the Parisian arcades (a primitive version of menace to the capitalist system of production and today’s shopping malls) becomes challenged by the to the spatial order because it represents a sole presence of this character. His presence is stagnation of the economic and political flows that seen as a threat because of the possibilities that it is canalized through the city fabric, which creates implies. He is a proof that the city can be potential for the revolutionary points of rupture that ‘parasitized’ without having to participate in the Lefebvre talks about. Thus, the bohemian choreography of shopping and leisure that becomes an ‘accidental dissident’ and a conspirator Benjamin describes. without even knowing it. In East Village, homeless, squatters, poets, musicians, prostitutes, drunks were the equivalent of the Nineteenth Century Parisian bohemians. Their sense of time and space is flexible and spontaneous, as it is not necessarily linked to the cycles of waged labor and monetary exchange (although they coexists in that realm).
The best example of space regulations that prevents demobilization and interruption of the urban flows are the laws against loitering. The act of loitering is interpreted as a physical manifestation of demobilization, but it is also a symptom of economic crisis, political uneasiness and social discontent. The classification of practices like loitering and vagrancy as crimes is illustrative of the spatial agenda of the bourgeois city.
Traditional everyday life in the modern world is distorted by bureaucratization and commodification (Lefebvre, 1974). These processes In that sense, the target of the zero-tolerance-like compartmentalize the space in order to facilitate its policies that dominate the planning of public spaces control and make profit from it. This mode of today is not really crime, but demobilization. space production is strongly linked to the processes However, the association of informality with of industrialization and urbanization and it creates a demobilization and the hindering of the urban order realm in which people are separated from the also come from the interpretation of the city as a experience of social engagement with each other network of mutually exclusive components and and with the space itself. The environment is unidirectional relations. In that sense, we can think reduced to consumption and a passive experience about some informal practices as alternative forms of being away (Richardson, 2000). However, of movement (instead of demobilization), defined there are points of rupture for revolutionary by a different set of rhythms, paces and aesthetics. possibilities that Lefebvre (1974) calls moments in which people can emancipate themselves from Conclusion. these processes. The moment is an interruption of The limit between formal and informal is being the state of alienation and represents those renegotiated everyday as the city becomes more windows of opportunity in which the overlapping complex. The flows of socioeconomic and cultural layers of the city can be connected. It is a point in energies in public spaces are also describing
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alternative kinds of movements within the urban order. The challenge for city-makers it is not just to identify informal practices in order to domesticate them but also to learn how to recognize them as opportunities to connect the different layers of the city in order to activate the social and political potential that public space entails. Informal practices are often excluded from the program of public spaces and are even considered as anomalies that escape the logics and aesthetics of urban planning. Rather than being considered chaotic leavings of the city fabric, these practices follow an order of their own, and therefore they deserve to be studied in order to produce richer, more diverse and truly public spaces. The insurance of a broad diversity (not just intensity) of uses and the inclusion of a broad social spectrum is crucial for the creation of a city of spaces of democratic deliberation, political expression and social engagement. References ALEXANDER, Christopher, “A city is not a tree”, in the magazine Design, London, 1966. BENJAMIN, Walter, The Arcades Project, Harvard University Press, Cambridge, 1982. The Invisible Committee, The Coming Insurrection, MIT Press, Cambridge, 2006. LEFEBRE, Henri, The Production of Space, Blackwell Publishing, Malden, 1968. RICHARDSON, Miles, “Being-in-the-market vs. being-in-the-plaza”, in Low, Setha/ LawrenceZuniga, Denise, The anthropology of space and place: Locating culture, Blackwell, Malden, 2003
Silvano De la Llata. e-mail: sad223@cornell.edu
PhD Candidate. Department City and Regional Planning. Cornell University Visiting Professor. Department of Architecture, Design & Urbanism. University of Tamaulipas, Mexico.