Domanda

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Sessione tematica “La domanda di spazi pubblici tra esclusione e integrazione - pratiche virtuose dei gruppi locali” Da anni le cronache riportato episodi di intolleranza che mai avremmo pensato si potessero verificare nelle nostre città, nel nostro Paese. Comune era la convinzione che poi, tutto sommato, se si escludevano casi isolati di episodica intolleranza, il nostro fosse un Paese ospitale e tollerante. Forte era l’idea che la nostra storia, anche recente, di un popolo di migranti, fosse un anticorpo sufficiente. Purtroppo i fatti stanno a testimoniare che non sempre e ovunque è così. In numerose realtà si susseguono episodi di inaccettabile regressione civile. Da quelli più volgari tesi a “rinchiudere”: discriminazioni, barriere, muri, recinzioni, veri e propri ghetti. A quelli più sofisticati tesi a “tener fuori”: enclaves, privatizzazione di spazi urbani, limiti di accesso. Tutto questo pone seri interrogativi non solo sulle cause del fenomeno, ma anche su quale idea di città e quindi di comunità, è sottesa a questi episodi, ma soprattutto, su quello che non viene fatto e che si potrebbe fare per impedire derive irreversibili. E’ in questo quadro che il ruolo dello “spazio pubblico”, inteso nella sua interpretazione più semplice di “luogo di libero incontro della comunità”, trova le sue più profonde ragione di essere. Non è certo un caso, infatti, che proprio su questo terreno stanno maturando esperienze significative tese a riaffermare il ruolo dello spazio pubblico come uno dei “luoghi” irrinunciabili della democrazia. Paesi, città, regioni dove si fanno cose buone non mancano. In genere se ne sa poco, perché è più facile vedere ciò che non va anziché scoprire pratiche positive, spesso nascoste sotto il grigiore dell'amministrazione. Al centro di queste esperienze immancabilmente troviamo quelle figure sociali che sono i veri protagonisti della vita urbana: giovani, donne, anziani, lavoratori, immigrati, rom. Soggetti da cui, in larga misura, dipende la qualità e la vitalità sociale dello spazio urbano e, non casualmente, sono quelli che risentono più direttamente del suo degradare. Sono questi soggetti che, inventando molto spesso forme e luoghi organizzativi informali, fuori dai canali istituzionali, assumono obiettivi collettivi rispetto a cui promuovono processi di sensibilizzazione e partecipazione con forti capacità di coinvolgimento. Una piazza da recuperare, un edificio da restituire o salvaguardare all’uso pubblico, uno spazio verde da rendere alla fruibilità di bambini e anziani, un servizio essenziale da offrire al quartiere, un bene culturale da salvare dall’incuria, un quartiere o un parco da salvaguardare da operazioni speculative, interventi di manutenzione e gestione come occasione di lavoro, costruzione di spazi di integrazione e di incontro, iniziative culturali per far rivivere spazi storici abbandonati, contrasto a iniziative normative tendenti a precludere la fruizione pubblica di uno spazio urbano, sono tutte occasioni che vedono impegnati comitati,

associazioni, sindacati, organizzazioni del volontariato, comitati, singoli cittadini. Questo alle volte avviene con il supporto delle amministrazioni locali, altre in totale autonomia, altre ancora in opposizione. Con la sessione abbiamo pensato di realizzare una occasione per raccontare e riflettere su alcune di queste esperienze: possibili germi di un futuro migliore. Per questo si è selezionato un panel di esperienze che raccontassero pratiche positive, nelle diverse realtà del Paese, vissute in prima persona dai soggetti sociali di cui si è detto. L’illustrazione delle esperienze si è dipanato lungo un percorso che è partito con l’esperienza delle Manifatture Knos illustrata da Michele Bee. Al centro di questa esperienza si colloca senza dubbio il protagonismo di giovani che, in una realtà del meridione (Lecce), ha consentito di recuperare ad un uso collettivo, culturale e produttivo, le strutture di un vecchio insediamento manifatturiero. La volontà di sfuggire alla cultura omologante della passività dei giovani meridionali è stata la spinta che ha portato i protagonisti a rivendicare, progettare, realizzare e gestire il recupero ad un uso sociale di spazi considerati perduti per la città. Forse questa esperienza testimonia più di altre come quando si crea un clima virtuoso e collaborativo tra sollecitazioni di associazioni e movimenti, contesto sociale, amministrazione pubblica non esistono più ostacoli insuperabili. Certo, c’è molto da lavorare e le difficoltà sono sempre dietro l'angolo, tuttavia lentamente e risultati arrivano. L ’idea emersa da questa esperienza è quella di uno spazio pubblico fondato sul principio della responsabilità individuale e collettiva. Jean Rene Bilongo: Ass. di volontariato Jerry Masslo e delegato Fillea-Cgil - Cittadini e peregrini: trascorsi diversi - orizzonti comuni. Jean Rene ha illustrato la drammaticità della condizione dei migranti in alcune realtà del nostro paese. Il suo percorso ha toccato esperienze che hanno lasciato segni indelebili nella nostra memoria: Caserta, Castel Volturno, Villa Literno, Rosarno. Esperienze vissute in prima persona sia come immigrato e sia come delegato sindacale dei lavoratori agricoli della FILLEA-CGIL. Il contrasto allo sfruttamento nel lavoro, l’ostilità della comunità, la difficoltà di resistere a soprusi e prepotenze quotidiane, la ricerca di spazi per potersi ricavare una nicchia per ricreare il corpo e lo spirito, la lotta per rivendicare il rispetto di quei diritti riconosciuti ai più, sono la frontiera di lotta per affermare il rispetto dei più elementari diritti di cittadinanza. Il forte messaggio emerso da queste esperienze è una idea di spazio pubblico come spazio dei diritti. Tra questi, fondamentali per denotarne la qualità: il riconoscimento, l’accettazione, l’inclusione. E’ questa una frontiera essenziale per l’affermazione di spazi urbani capaci di accogliere una collettività multietnica.


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