Itinerari benedettini in Umbria

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ITINERARI A PIEDI E IN BICICLETTA

IN VALNERINA


oniugare la tradizione del pellegrinaggio con le moderne esigenze di chi fa trekking o ciclismo, completare una giornata di visita alle antiche abbazie benedettine con la buona tavola: queste le finalità della guida agli itinerari sulle tracce di san Benedetto in Valnerina, la prima di una serie che interesserà la figura del santo patrono d’Europa in tutta l’Umbria. Non solo descrizione dei luoghi, della cultura e delle attrazioni da non perdere in questo angolo orientale della nostra regione che è famoso proprio per aver dato i natali a santi famosi, ma anche e soprattutto l’indicazione di itinerari da percorrere in sicurezza, testati e segnalati per chi va a piedi e in bicicletta. Si tratta di un modo ideale di conoscere l’Umbria: percorrere la natura, lasciarsi incantare da monumenti e chiese, assaggiare le famosissime ‘norcinerie’, scoprire la connessione che esiste fra monachesimo, artigianato e persino la chirurgia. Il tutto con ritmi lenti, a misura d’uomo e d’ambiente. Questa guida fa parte di un lavoro di più ampio respiro, che punta proprio a valorizzare le possibilità di mettere insieme un turismo ‘slow’ con le caratteristiche e l’identità dell’Umbria, legata a tradizioni spirituali e religiose, ma anche al richiamo alla pace come valore civile e laico. Sono stati infatti già presentati i percorsi che, collegando la regione con Roma, permettono di viaggiare a piedi, a cavallo e in bicicletta sulle orme di san Francesco. Questo sforzo, accompagnato dall’impegno nella mappatura e manutenzione delle infrastrutture, vuole rendere la nostra regione sicura e aperta a quei turisti che, in numero crescente, non si accontentano di viaggi standard, ma personalizzano il loro incontro con il territorio dal punto di vista della fruibilità, dei tempi, della scelta sul cosa fare e quando. In questo modo si potrà svelare il volto autentico di una regione, l’Umbria, dove è ancora possibile fermarsi a parlare con gli abitanti dei luoghi, scoprire angoli nascosti, entrare in abbazie accoglienti e silenziose, assaggiare prodotti tipici di assoluta freschezza e qualità. Soprattutto, sarà possibile conoscere la figura di san Benedetto e il suo legame fortissimo con la Valnerina e con tutta l’Umbria: un legame che non si ferma all’aspetto religioso e alle testimonianze di fede e di spiritualità che esso ha lasciato, ma che ha toccato l’ambiente e la sua tutela, le arti e i mestieri, persino le tradizioni enogastronomiche e che quindi è un aspetto portante della nostra attuale comunità e identità.

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Maria Rita Lorenzetti Presidente Regione Umbria


LA VALNERINA al tempo di san Benedetto da Norcia

Nel V secolo, nel corso della decadenza dell’impero romano, molti cittadini abbandonarono le città per rifugiarsi nelle campagne e nelle valli, in cerca di una vita più serena. La situazione in cui versava la regione Umbria, preda delle razzie dei Goti, era di generale desolazione: la sottrazione delle terre avveniva da parte dei barbari, il furto di ogni altro bene ad opera degli eserciti imperiali che tentavano di arginare l’invasione. Allo spopolamento delle città faceva riscontro un’intensa migrazione verso luoghi difficili da raggiungere, solitari e poco appetibili per l’invasore. Gregorio Magno inizia i suoi Dialoghi con un’infinita nostalgia del cenobio: “L’infelice animo mio, debilitato dalle occupazioni del secolo, ricorda con rimpianto i giorni felici trascorsi nel cenobio […] ora so valutare il tesoro che ho perduto. Sono come una barca sbattuta dai flutti di un mare tempestoso […] rimpiangendo il lontano porto”. La Valnerina, caratterizzata dalla sua asprezza e dall’isolamento dei suoi monti, fu luogo di un intenso movimento eremitico, che alcune antiche testimonianze agiografiche imputano all’azione missionaria di monaci siriani, fuggiti alle persecuzioni e alle lotte connesse ai concili d’Oriente. Questi monaci, uomini solitari, diffondevano l’ideale eremitico orientale anacoretico, tipico dei Padri del deserto, e quello organizzato in forme cenobitiche come prescritto nelle Regole di san Pacomio e san Basilio, che precorrevano la più tarda Regola di san Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale. La valle del Nera diventò, in breve tempo, sede di centri laboriosi di bonifica spirituale, agricola e civile. Per la solitudine che offriva la sua natura fu prescelta dagli eremiti del V e del VI secolo al pari del deserto degli anacoreti egiziani. Mauro e il figlio Felice furono, ad esempio, i bonificatori della paludosa valle, vissero nell’eremo di San Fele (oggi San Felice) a Castel San Felice. Più storicamente documentata da Gregorio Magno è la valle Castoriana dove Spes, Eutizio e Fiorenzo compirono numerosi prodigi. Questa valle, per la vicinanza con la terra di san Benedetto da Norcia, può giustamente chiamarsi culla del movimento spirituale benedettino. Fu, infatti, dietro a queste esperienze, che san Benedetto contestò, sul finire del V secolo, a Roma le scuole fanatiche. Per la valle del Nera risalì la Regola di san Benedetto da Norcia per trasformare gli eremi in abbazie, come quelle di Farfa, di Sassovivo, di San Pietro in Valle e di Sant’Eutizio. Prima della fondazione dei comuni, le abbazie estesero la loro importanza grazie alle donazioni dei signori, che ne traevano vantaggio in quanto mettevano le loro terre al sicuro dai desideri di altri feudatari e potevano coltivarle a usufrutto. È ormai riconosciuto che, nel rinnovamento dell’economia agraria, un posto preminente debba essere assegnato ai monaci, specialmente i Benedettini, i quali, in materia di bonifiche, dissodamenti, canalizzazioni, piantagioni e, più in generale dell’organizzazione del lavoro, avevano lunghe tradizioni. In molti paesi d’Europa i monaci benedettini, chiamati per restaurare le opere di culto, finirono per rinnovare anche le attività umane ed economiche. Lo sviluppo delle colture fu, ovviamente, variabile con il clima e la struttura dei terreni; in una regione collinare come l’Umbria, le bonifiche consistettero più che altro nelle sistemazioni del terreno mediante terrazzamenti, di cui ancora oggi si scorgono gli esempi. A parte la vite, fu sviluppata la coltivazione del grano e dell’olivo.

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LA VALNERINA tra storia e natura

La Valnerina, abitata prima della conquista romana da una tribù sabina chiamata Naharci, oltre la gola ternana verso i monti Sibillini, si dirama a triangolo collegando l’Umbria alle Marche e all’Abruzzo in un paesaggio ancora arcaico, ma sempre vario e suggestivo. La Valnerina fu il primo sentiero della transumanza appenninica verso la valle Tiberina, fin dalla preistoria. Questa pratica, contrastata solo nel XIII secolo dai comuni, proseguì sotto papa Bonifacio IX nel 1402 con la tassa della “dogana delle pecore”, in vigore fino al 1923. Fu una via di passaggio di truppe in tutto il Medioevo. Guerre e alluvioni spinsero gli abitanti della zona a rifugiarsi sulle alture, così i piccoli villaggi divennero communitas assorbite dal Comune di Spoleto (Arrone, Montefranco, Ferentillo, Ceselli, Scheggino, Sant’Anatolia, Caso e Gavelli, Vallo di Nera, Geppa, Cerreto, Sellano, Montesanto, Orsano, Monteleone). Restarono, invece, indipendenti: Visso e Castel Sant’Angelo, Norcia con la valle di Preci e Cascia con i suoi trenta castelli. L‘insediamento nella valle è costituito da antichi casali isolati, spesso in stato di abbandono: gruppi di poche abitazioni unite e abbinate agli annessi rustici, oppure tipiche case di pendio, con l’abitazione sovrapposta al fienile. Nella valle si ritrovano anche esempi notevoli di “torri colombare” (anticamente sorte per fini difensivi, riutilizzate per l’allevamento dei colombi e successivamente adibite a fienili), che dominano gli edifici circostanti. Attira l’attenzione anche la presenza sui pendii di relitti di “vite maritata”: una vite appoggiata a un sostegno vivo come l’acero campestre e l’olmo.

IL FIUME NERA Udilla de la Nera il bianco fiume, e di Velino i fonti, e tal l’udiro, che ne strinser le madri i figli in seno. (Virgilio, Eneide, VII, 793, trad. di A. Caro) Con queste parole, tratte dall’Eneide di Virgilio, si ricorda la discesa dei pastori nel 700 a.C. in aiuto a Turno re dei Rutuli e dei Latini contro i Troiani invasori. Nel 299 a.C. la Valle del Nera fu aperta alla conquista romana. Il suo corso è stato modificato dallo sfruttamento idroelettrico che conduce parte delle risorse idriche direttamente al lago di Piediluco. La generosità delle sue acque, e la presenza di canalizzazioni all’interno di tutto il bacino fluviale, ha permesso lo sviluppo nei secoli di coltivazioni “igrofile” (le cosiddette “canepine”, piccoli appezzamenti di terreno adiacenti al fiume, sfruttati per la coltivazione della canapa). Si annovera, inoltre, la coltura dello scotano e del guado, essenze vegetali molto utilizzate, un tempo, per conciare le pelli e tingere i tessuti. 2


La valle Castoriana e i monti Sibillini

Generata dal fiume che si getta nel Nera all’altezza del paesino di Ponte Chiusita, la valle Castoriana si sviluppa in un alternarsi di spazi stretti e ampi tra boschi e campi. Volgendo lo sguardo in direzione dell’abbazia di Sant’Eutizio si possono scorgere incombenti cime, alcune superiori ai 1800 metri, tra cui monte Patino, incastonato all’interno dei monti Sibillini. Lo sguardo non può che cadere sulla dorsale dei monti Sibillini che, attraverso la forca di Ancarano, collegano la valle Castoriana con l’adiacente piano di Santa Scolastica. Strade ricche di storia si sviluppano lungo questi monti, antichi percorsi con sentieri e mulattiere, utilizzate un tempo per la transumanza e per gli intensi scambi commerciali tra l’Umbria, la Sabina e il Piceno. La valle Castoriana si collega alla Valnerina seguendo il corso del fiume Campiano e dei suoi affluenti, e si estende dalla forca di Ancarano a Ponte Chiusita, dove il fiume si getta nel Nera. È una vallata aspra, ma mitigata da una rigogliosa vegetazione arborea, arbustiva ed erbacea. Attraversando la valle Castoriana molto suggestive sono le grotte del V secolo dove vivevano gli eremiti. Un tempo, lungo questa vallata abbondavano anche le erbe medicinali, le cui proprietà curative erano note ai monaci orientali che qui realizzarono i primi insediamenti, e successivamente ai Benedettini. La valle Castoriana trarrebbe il suo nome dal culto pagano degli dei Castore e Polluce, oppure da Castorius, ricco possidente della zona, ma viene anche denominata Vallis Campli da Gregorio Magno, ed è maggiormente conosciuta come valle di Sant’Eutizio, dall’omonima abbazia del cui feudo faceva parte la valle di Preci.

La Valnerina è stata scavata dal fiume, l’antico Nar, che trae il suo nome o dal popolo dei Naharci, che abitarono la valle oltre 2.000 anni fa; o da nar, termine sabino che indica lo zolfo; o ancora da nar, parola greca che indica la sua natura forte e impetuosa; o addirittura da un muschio, che crescendo sul fondo del fiume gli conferisce quella tipica colorazione verde scuro, quasi nera. Il fiume Nera nasce nell’anfiteatro morenico dei ghiacciai pedemontani del monte Cornaccione per risorgenza dai bacini idrici sotterranei dei Sibillini. Scaturisce da uno scoglio a duplice apertura, in cui gli storici vedevano la figura di un muso di vitello con due narici, dando il significato di narici al nome Nar. La trota domina il fiume Nera, un pesce che per vivere ha bisogno di acque pure, limpide e ricche di ossigeno. La specie autoctona che da sempre popola il fiume è la trota fario, la più apprezzata in cucina e oggetto di una pesca sportiva che, dall’ultima domenica di febbraio fino alla prima di ottobre, la insegue lungo le sponde del fiume. 3


LA VALNERINA i prodotti tipici

IL TARTUFO La Valnerina è il più importante luogo di produzione del tartufo nero. È il frutto di un fungo che vive sotto terra con uno scambio simbiotico con alcune radici di piante legnose, come quercia, carpino e nocciolo. È molto usato anche nelle ricette più popolari: crostini, spaghetti al tartufo, frittata e filetto ai tartufi, trota e insalata tartufata, agnello tartufato e persino dessert al tartufo.

LA NORCINERIA La Valnerina è la patria della norcineria, ovvero l’arte della lavorazione della carne suina. Grazie al particolare clima fresco e asciutto, da sempre è diffusa la tradizione dell’allevamento del maiale e della trasformazione delle sue carni, attraverso la salagione e la stagionatura di prosciutti, spallette, capocolli, salsicce, salami, ciauscoli, pancette, cotechini e guanciali, ognuno con un gusto diverso e particolare.

IL FARRO È un cereale che veniva coltivato fin dall’antichità sia in Egitto che in Grecia. Per i Romani era uno degli elementi base dell’alimentazione. Recentemente nei terreni della frazione di Gavelli una cooperativa del luogo ha riscoperto tale coltivazione con una specie molto pregiata: il Triticum durum dicoccum, con una produzione limitata e di alta qualità.

LO ZAFFERANO Negli antichi documenti si fa espresso riferimento alla città di santa Rita in cui produttori e mercanti avevano conquistato molte piazze dell’Italia centrale con questa preziosa spezia. All’epoca lo zafferano veniva coltivato in gran parte dell’Umbria. È una pianta erbacea perenne di colore rosso vermiglio, dalla quale si ricava la sostanza colorante gialla.

FORMAGGI I pascoli, ricchi di erbe selvatiche, conferiscono un sapore particolare ai formaggi di queste zone. Il patrimonio ambientale naturale ancora incontaminato e puro è anche alla base della genuinità dei formaggi: la caciotta, la mozzarella, il pecorino, la scamorza, il burro, i formaggi al tartufo nero, la ricotta e la ricotta salata.

LE LENTICCHIE Già famose nei tempi antichi, quelle coltivate nei piani di Castelluccio sono sicuramente le più rinomate al mondo. Ricca di ferro, proteine e sali minerali, la lenticchia di Castelluccio è unica anche per il suo aspetto policromo (tigrata, giallognola, marroncina) e per le sue dimensioni piuttosto ridotte.

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NORCIA: LA CITTÀ DI SAN BENEDETTO Alla luce splendente di codesta fiaccola possano, quanti incontrerete lungo le strade del vostro pellegrinaggio, sentirsi fratelli e comporre le ragioni dei dissidi e dei conflitti che fanno gli uomini nemici tra loro, e diventare capaci di perdono reciproco, di rispetto, di concordia e di collaborazione. Sia la vostra davvero la fiaccola della pace. (Giovanni Paolo II) LA BASILICA DI SAN BENEDETTO A Norcia nacque san Benedetto nel 480 d.C., da un’agiata famiglia romana, insieme alla sorella gemella Scolastica e qui visse il suo periodo giovanile fino all’età di 12 anni, quando si allontanò dalla sua terra natale per andare a studiare a Roma e per non farvi più ritorno. Sui monti della vicina valle Castoriana il giovane Benedetto ebbe modo di entrare in contatto con i monaci siriani giunti dall’Oriente, che frequentavano l’abbazia di Sant’Eutizio a Preci e le grotte circostanti. Nella piazza principale di Norcia, dedicata a san Benedetto, intorno alla statua eretta in onore del santo nel 1880, si affaccia la basilica. Sorge sopra i ruderi di un edificio romano del I-II secolo d.C. identificato, secondo la tradizione, come la casa dove nacquero i santi gemelli. La basilica, eretta tra il 1290 e il 1338, è stata rimaneggiata varie volte in seguito ai danni provocati dai vari terremoti, e restaurata in occasione del Giubileo del 2000. L’edificio presenta all’esterno una facciata a capanna della fine del XIV secolo in stile gotico, con un portale sovrastato da una lunetta raffigurante la Madonna con Bambino tra gli angeli. Alla fiancata destra della chiesa è stata addossata, intorno al 1570, la Loggia dei mercanti, o Portico delle misure, per creare una sorta di mercato coperto dei cereali: ancora oggi sono visibili i recipienti in pietra utilizzati per le misurazioni. All’interno, al piano superiore, si trova la chiesa principale che mescola elementi romanici, gotici e barocchi a testimonianza delle varie modifiche subite nei secoli. Le pareti sono decorate con preziosi affreschi del 1500 e tele del 1600, tra cui quella che racconta una storia curiosa della vita di san Benedetto: quando il santo ricevette un fante travestito da sovrano, inviato al suo posto da Totila, re dei Goti. LA CHIESA DI SANTA SCOLASTICA Poco distante da Norcia, la chiesa di Santa Scolastica è ubicata su un fertile altopiano, fondo di un antico lago, inserito nel comprensorio del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Secondo la tradizione, in questo luogo santa Scolastica riunì le prime consorelle e vi dimorò fino al trasferimento a Cassino. Il primitivo nucleo della chiesa risale al periodo altomedievale, ristrutturazioni e rifacimenti si ebbero sia tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV, che nei secoli XVII e XVIII. Come risulta dalle cronache locali, il luogo nei secoli è sempre stato oggetto di culto e meta di continui pellegrinaggi, soprattutto in caso di siccità. Santa Scolastica è, infatti, invocata dalla tradizione popolare per la difesa dai fulmini e per ottenere la pioggia. 5


NORCIA Situata tra la catena dei monti Sibillini, le valli e gli altipiani densamente punteggiati di antichi insediamenti, Norcia si mostra nell’intreccio tra natura e cultura. Ne sono testimonianza le “Marcite”. Aree di interesse naturalistico, non distanti dalla città, sono i piani carsici di Castelluccio (il Pian Grande, il Pian Piccolo e il Pian Perduto) e il monte Vettore, la cima più elevata dei monti Sibillini. Al suo interno, giace il lago di Pilato, il cui nome è legato alla leggenda del proconsole romano, reo della morte di Cristo, trasportato da un carro trainato da due buoi sulla cima del monte e scaraventato nelle sue gelide acque.

Anticamente chiamata Nursia, fu importante centro strategico sabino che trasse il nome da Northia, divinità propiziatrice di fortuna, venerata dagli Etruschi. L’antico villaggio sabino sorgeva sulla parte più alta dell’odierno abitato, la cosiddetta aerea di Capo la Terra ma, intorno al 300 a.C., i Romani arrivarono in questo territorio e in breve tempo lo conquistarono, nonostante la resistenza del popolo sabino. Al crollare dell’impero romano, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, san Benedetto e i suoi monaci portarono il progetto cristiano a tutte le popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia. Verso il 572, i Longobardi insediatisi a Spoleto distrussero Norcia. Nel 1200 si costituì libero Comune. Fatti i conti con la peste del 1300, nel secolo successivo, il Comune guelfo di Norcia fu spesso in lotta con i castelli circostanti e, per acquisire maggiore autonomia politica, ebbe lunghi e accesi contrasti con i legati pontifici di Spoleto. Nel 1484, infine, passò direttamente sotto la Legazione pontificia di Perugia. Nel 1600 conobbe, per la prima metà, un notevole rinnovamento edilizio e artistico. Il 1700 secolo viene ricordato unicamente per i due terremoti che cancellarono di colpo quanto era stato costituito dopo il 1328. Nel 1809 Norcia entrò a far parte dell’impero francese, ma ben presto venne restaurato il governo pontificio e ripristinato anche l’antico vescovado. Venne annessa al Regno d’Italia nel 1860. Il fascino di Norcia risiede soprattutto nel suo fitto reticolo di vie e stradine punteggiate da piazze con fontane, disseminato di orti e giardini interni, dove i palazzi gentilizi si affiancano a conventi o edifici civili. Interessanti sono anche le torri e le porte dislocate lungo il perimetro delle mura urbiche medievali, perfettamente conservate con la loro caratteristica forma a cuore.

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La piazza San Benedetto, realizzata nel 1869, al fine di

dare un nuovo assetto urbanistico alla città.


Del palazzo Comunale, originario del XIII secolo, rimangono la scalinata con i due leoni in marmo e l’intero prospetto superiore, tutto frutto del rifacimento portato a termine nel 1876. La torre campanaria venne riedificata in seguito al terremoto del 1703. All’interno del palazzo si trovano la sala del Consiglio, la sala Sertoriana (o dei Quaranta conservatori della pace, dove si riunì, nel 1532, un consesso per mantenere la pace e la giustizia all’interno del territorio) e la cappella dei Priori (dove erano conservati il reliquiario del dente di san Benedetto, il codice miniato del XV secolo con episodi della vita di san Francesco, detto la Franceschina, e un esemplare degli Statuti di Norcia).

L’edificio che ospita il Museo civico e diocesano “La Castellina” è stato realizzato nel 1554 dal Vignola per volontà di papa Giulio III. Nacque come residenza fortificata per i governatori apostolici e fu utilizzato, sin dall’origine, per il controllo dei territori periferici da parte della Stato della Chiesa. Quando nel

1569 venne istituita la Prefettura della montagna, la Castellina ne divenne la naturale sede. Restaurata nel XVIII secolo a seguito dei frequenti terremoti, a partire dal 1860 accolse gli uffici del Comune, fino a quando nel 1967 divenne sede del museo. Dal 2003 vi si può visitare la mostra archeologica permanente “Partire per l’Aldilà”, con esposte alcune delle tombe di epoca ellenistica con relativi corredi rinvenuti tra Norcia e la vicina frazione di Popoli. Il criptoportico (galleria sotterranea), in via Roma, situato nell’area urbana del municipio, presso porta Ascolana, è del I secolo a.C. Dell’edificio si conservano parte del braccio corto e il muro di fondo. Mancano le tracce di incassi per perni o battenti, poiché l’ingresso al foro era, probabilmente, libero e non chiuso da porte. Parte dell’edificio situato

accanto al portico ospita oggi una mostra archeologica permanente che raccoglie gran parte dei materiali rinvenuti durante gli scavi in località Campo Boario. La chiesa di San Giovanni, in via Gioberti, è frutto di rifacimenti settecenteschi (dopo il terremoto del 1703), anche se l’antica fondazione risale al XIV secolo. La chiesa di Santa Maria Argentea, in piazza del Duomo, fu edificata tra il 1560 e il 1574 in sostituzione di una pieve altomedievale, e demolita per far posto alla rocca della Castellina. Secondo la tradizione, l’antico edificio era stato eretto su un precedente tempio pagano consacrato nel III secolo d.C. da san Feliciano, vescovo di Foligno, con il nome di basilica Argentea.

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La chiesa del Crocifisso è nella piazzetta di Capolaterra. Rifacimento del 1747 di una struttura più antica, conserva il portale in pietra del XVI secolo. Il complesso monumentale San Francesco si trova in Piazza Garibaldi. Del secolo XIV, oggi sede dell’Auditorium, della Biblioteca comunale e dell’Archivio storico. La facciata esterna dell’Auditorium si deve alla ricostruzione portata a termine dai Francescani conventuali.

La chiesa di Sant’Agostino è in via Amadio. Domina la porta un affresco del XVI secolo, raffigurante san Nicola da Tolentino con una colomba sulla spalla, la Madonna col Bambino benedicente al centro e sant’Agostino, dottore della Chiesa. L’oratorio di Sant’Agostinuccio, in via Anicia, è del XVI secolo, con un ricco soffitto dorato e gli stalli lignei riservati ai confratelli. 8

Da visitare sono anche: la chiesa della Madonna addolorata che custodisce la miracolosa immagine della Madonna raffigurata su una tela dipinta nel XVIII secolo; la chiesa del Crocifisso, a ridosso delle mura urbiche, nella parte alta della città e la chiesa di San Lorenzo, la più antica di quelle presenti a Norcia; il palazzo Fusconi, in via Foscolo, dove venne invitato Benvenuto Cellini che rimase stupito dalla sua collezione di antichità; il palazzo Passerini, in piazza Carignano. Edificato nel XVIII secolo, ha un portale che immette nel giardino dove si trova una statua ottocentesca di Sertorio, tribuno militare e governatore in Spagna, che fomentò la popolazione locale contro Roma; il palazzo Colizzi, in via Anicia, del XVIII secolo. Al suo interno si può ammirare un ampio giardino; il palazzo Battaglia, in via Cappellini. Edificato nel XVI secolo, il nome gli deriva dalla famiglia Battaglia che ne divenne proprietaria nell’Ottocento; il palazzo Bucchi-

Corazzini, in piazza Margherita. Del XVII secolo, nell’ala est sono conservati la lastra tombale di Boccamaggiore di Ancona, capitano di Norcia morto all’inizio del XIV secolo, e i resti di colonne quattrocentesche inserite nelle murature; la Mostra della civiltà contadina, presso il palazzo dei Cavalieri di Malta in piazza Patrizi Forti. Si tratta di una collezione privata di oggetti legati ad antichi mestieri: ci sono gli strumenti degli artigiani, dal falegname al fabbro, dal calzolaio al bottaio, quelli del boscaiolo e del vignaiolo. La raccolta è arricchita con oggetti che riguardano il mondo della scuola, dal banco alla cartella, dai quaderni ai libri, dalla penna al calamaio. EVENTI Mostra mercato del tartufo febbraio-marzo Un’importante rassegna agroalimentare finalizzata a valorizzare le produzioni tipiche locali, nazionali e internazionali. Celebrazioni benedettine marzo-luglio


PRECI: CITTÀ DI SANT’EUTIZIO E DEI CHIRURGHI Se a Preci volgi i passi, o pellegrino, tendi l’orecchio, quando sei vicino; sussurrerò, passando per la valle, di pietra in pietra, sull’acqua, nelle stalle, voce di storie antiche mai perdute, di storie vere, di storie non vissute. ABBAZIA DI SANT’EUTIZIO, PIEDIVALLE Siamo sul finire del 400 d.C. Il monaco Eutizio, trascorse diversi anni nella vita solitaria di un eremo, in compagnia di un rozzo fratello che custodiva un piccolo gregge, e provvedeva ai pasti quotidiani. Eletto superiore generale, Eutizio riuscì ad addomesticare un giovane orso, che fu il fedele compagno del religioso e del suo amico pastorello. Alcuni confratelli però non tolleravano la bestia ammansita, e di nascosto la uccisero. Poco tempo dopo quegli stessi monaci che avevano commesso il delitto si ammalarono e morirono di lebbra. Il fatto dei frati della valle Castoriana fu notizia oggetto di commento degli abitanti della zona. Erano questi gli anni dell’infanzia di san Benedetto e santa Scolastica da Norcia: le immagini di quei solitari si impressero nella loro mente. Si deve agli esempi dei venerati asceti della regione se san Benedetto, inviato a Roma a compiere gli studi, ben presto se ne allontana per ritirarsi nelle vicinanze di Subiaco, abbracciando un modo di vivere eremitico simile a quello che conducevano i religiosi della valle Castoriana. Il regime eletto da questi monaci, dopo la scomparsa dei primi fondatori, fu la Regola di san Benedetto e tale rimase finché vi fu osservata la vita regolare monastica, alla fine del XV secolo.

L’abbazia si trova nella valle Castoriana, sopra l’abitato di Piedivalle, alle pendici di monte Collescille, su un terrazzamento posto tra la scogliera (dove sono le antiche grotte degli eremiti) e la ripida vallata. Piedivalle è una piccola frazione del Comune di Preci, nel territorio della valle Oblita. Il nome deriva dal tardo latino pes che, nel XIV secolo, indicava la “parte inferiore”, della valle. Piedivalle doveva svolgere la funzione di borgo commerciale dell’intero sistema di insediamenti a monte della stessa abbazia. Si presenta chiusa come un castello, immersa nello scenario della montagna appenninica. 9


È considerata la culla del monachesimo occidentale di tipo cenobitico, cioè comunitario, basato sulla preghiera, sul lavoro e su un’organizzazione “familiare” della comunità diretta da un padre (abbah), in contrasto con quello orientale praticato dal singolo (monos) e fondato solo sull’ascetismo, la contemplazione e la preghiera. Le origini dell’abbazia sono molto antiche. La tradizione la vuole fondata verso la fine del V secolo d.C. proprio dal monaco siriano Eutizio, successore di Spes, alla guida dei numerosi eremi esistenti a quell’epoca in val Castoriana. Il nucleo principale si stabilì in un costone di pietra, dove si aprivano delle grotte che divennero dimora dei primi eremiti che seguivano Regole ispirate a quelle dei grandi monaci d’Oriente, ma adattate alle mutate situazioni e sempre più permeate della concretezza romana. Quando la crisi demografica, che investì l’impero romano nella tarda antichità, e i guasti causati dalle invasioni barbariche resero questi luoghi dei veri deserti, l’antica città di Cample fu annientata e l’abbazia rimase l’unico punto di riferimento per le smarrite popolazioni della zona. L’abate divenne il maestro, il padre e l’unica autorità del luogo. Politicamente, come tutta la “Montagna”, era compresa nella giurisdizione del gastaldato di Ponte, presso Cerreto di Spoleto. È probabile che prima dell’anno Mille fosse già il maggior centro di potere economico e politico della zona, grazie proprio alle donazioni e alle concessioni di privilegi imperiali e papali. La prosperità di cui godeva permise ai frati di migliorare gli edifici del complesso monastico e di dotarsi di una buona biblioteca. Il nome dell’abbazia di Sant’Eutizio è legato, infatti, anche a un importante documento letterario: un monaco vi scrisse uno dei più antichi testi in volgare, la Confessio eutiziana (prima metà dell’XI sec.). Inoltre, i monaci arricchirono le loro conoscenze con l’esperienza della vita di ogni giorno e dettero origine a un’importante scuola chirurgica. Successivamente, mutando la sensibilità e le condizioni storiche, agli ecclesiastici fu proibito di esercitare l’arte medica. Così i monaci trasmisero, probabilmente, agli abitanti dei paesi circostanti le cognizioni di cui erano depositari: quelle derivate dalla tradizione letteraria, quelle acquisite con l’esperienza di generazioni, la conoscenza delle erbe medicamentose e l’uso delle acque curative, creando così l’ambiente favorevole allo sviluppo dell’attività chirurgica empirica conosciuta come “Scuola chirurgica preciana”.

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In tutti i monasteri esistevano dei particolari ripostigli (armarium pigmentariorum) dove venivano conservate piante medicinali. Certamente in questa abbazia la pratica della medicina doveva essere discretamente sviluppata, favorita dal fatto che nella zona era presente, come lo è tutt’ora, una grande varietà di piante officinali, oltre ad alcune sorgenti di acque curative di eccezionale efficacia. Alla fine del XII secolo ebbe inizio la decadenza dell’abbazia e con essa il potere politico ed economico di Sant’Eutizio. Ciononostante la scuola d’arte, la farmacia e la ricca biblioteca continuarono a operare una notevole influenza come centri di cultura. Nel XIV secolo, le numerose mire e l’alternarsi dei detentori del potere la ridussero in condizioni economiche disastrose. Fu, quindi, sottoposta a regime commendatario. L’abbazia è oggi priva del ricco patrimonio artistico acquisito durante i secoli. L’isolamento e l’assenza di religiosi hanno causato il trasferimento, forzato, delle opere superstiti nella parrocchiale di Piedivalle. L’insediamento monastico comprende: le grotte eremitiche alla base del campanile, la chiesa, il cortile interno, il complesso delle fabbriche monasteriali con le celle affacciate a valle, la dimora dell’abate sul braccio trasversale, l’ingresso e il sagrato sorretto da arconi e il ruscelletto che scende in diagonale dietro l’abside. Si presenta con un lungo prospetto su cui si aprono due ordini di finestre; le più basse duecentesche, le più alte quattro-cinquecentesche. Sei arcate del 1599 (epoca dell’abate commendatario Giacomo Crescenzi) sostengono il piazzale pensile antistante (già adibito ad area cimiteriale). La primitiva chiesa altomedievale, sorta dopo la riforma benedettina, fu rinnovata nel 1190. L’interno è a navata unica e conserva resti di decorazione a fresco che in antico la ornavano (dal XIV al XVII secolo). Entrando sulla sinistra si trova il fonte battesimale, ricavato da un marmo romano (per secoli fu l’unico di tutti i territori circostanti). Di fronte alla porta laterale è collocata la grande tela commissionata a Niccolò Circignani, detto il Pomarancio, dall’abate Giacomo Crescenzi nei primi anni del XVII secolo. Sul muro che separa l’altare dal sepolcro dei Santi Eutizio e Spes è collocata una croce sagomata di epoca tardogotica. 11


PRECI Il primo documento dal quale si rileva il nome dell’abitato di Preci risale al 1232: era costituito da un piccolo insediamento non distante da un oratorio benedettino da cui, probabilmente, ne assunse il nome Preces, preghiera. Nella seconda metà del XIII secolo, a protezione del villaggio, sorse il castello. Inizialmente fece parte dei possedimenti di Spoleto per poi passare, nel 1276, sotto l’autorità comunale di Norcia. Nel 1533 il pontefice Paolo III acconsentì alla ricostruzione di Preci a condizione di una definitiva riconciliazione con Norcia. Preci vanta l’origine della protochirugia. I medici, chiamati “empirici”, perché non avevano frequentato università, divennero espertissimi. I ferri, presumibilmente appartenenti alla Scuola chirurgica, si possono osservare presso l’abbazia di Sant’Eutizio e presso la sede municipale. Nel 1817, per volontà di papa Pio VII, Preci, fu eretta a Comune, titolo che conservò anche nel 1860, quando entrò a far parte del Regno d’Italia. La chiesa di Santo Spes (fraz. Saccovescio) è la più antica della frazione, documentata in una bolla vescovile del 1350.

Sostanzialmente, l’abitato di Preci ha mantenuto il suo aspetto cinquecentesco, tipico dei villaggi fortificati costruiti sulle alture. L’abitato è attraversato da una ragnatela di stradine che, tortuosamente, confluiscono nella piazza principale sulla quale si erge la pieve di Santa Maria, edificata nel XIII secolo dai monaci di Sant’Eutizio. Il castello di Preci. Originariamente Preci era un piccolo villaggio rurale sulla sinistra del torrente Campiano, vicino a un oratorio benedettino, da cui probabilmente deriva quel nome; già menzionata nei Dialoghi da Gregorio Magno, per la presenza di numerosi eremi prebenedettini. 12

La chiesa della Madonna della peschiera sorse su un antico oratorio probabilmente nel 1243. Successivamente la costruzione fu ampliata e abbellita nel XVI secolo, in forme rinascimentali, ad opera della comunità che ne aveva il patronato. La chiesa dei Santi Nicola ed Egidio, documentata nel 1393, fu concessa alla comunità in patronato nel 1514. La chiesa di San Giovanni Battista (fraz. Piedivalle) doveva esistere già prima del XIII secolo, ma subì una radicale trasformazione nel 1520, con relativo ampliamento che ne ha raddoppiato la superficie. La piccola facciata a capanna ha un portale del 1535.

La chiesa di Sant’Andrea fu edificata insieme al primo ospedale dedicato all’apostolo per iniziativa del Comune che, nel 1421, ottenne l’autorizzazione dal vescovo di Fermo. La presente sistemazione risale alla seconda metà del XVIII secolo. EVENTI Festa di Sant’Eutizio, 23 maggio Festa di Santa Maria della pietà, 7 giugno Festa di Sant’Antonio da Padova, 13 giugno Festa di San Giovanni, 24 giugno Pane, prosciutto e fantasia, luglio Valle Castoriana “Porte Aperte”, luglio-agosto Festa della Madonna della peschiera, 15 agosto Festa di San Martino, 11 novembre Focone della venuta, 8 dicembre


SAN LAZZARO: TRA IL LEBBROSARIO E IL FOSSO “LU CUGNUNTU” Non solamente serviva volentieri a cancerosi, ma oltre questo avea ordinato che li frati del suo Ordine, andando o stando per lo mondo, servissero ai leprosi per amor di Cristo, el quale volse per noi essere reputato leproso. (Francesco d’Assisi, Fioretti) Era comune nel Medioevo la costruzione, lungo le strade principali, di locali destinati ad accogliere i lebbrosi. Percorrendo la strada statale della Valnerina, poco prima dell’altezza di Preci, in direzione di Visso, si trova la località di San Lazzaro dove, secondo la tradizione, fu eretto un lebbrosario intorno al 1218, quando il feudatario del castello di Roccapazza, Razzardo, concesse al presbitero Bono (probabilmente monaco eutiziano) un vasto territorio boschivo e pascolato, affinché edificasse una chiesa e un ospedale per accogliere i pellegrini, e per alloggiare i lebbrosi e gli infermi. A testimonianza di ciò esiste una pergamena presso l’archivio storico comunale di Norcia. Per oltre cento anni i frati francescani si dedicarono alla cura dei bisognosi e dei poveri e sembra che lo stesso Francesco d’Assisi fece visita più volte al lebbrosario. Quando il luogo fu abbandonato dai monaci, l’ospedale fu annesso ai possedimenti del Comune di Norcia e successivamente passò sotto il controllo dell’ordine gerosolimitano di san Lazzaro. Da allora fu sempre dato in commenda finché i marchesi di Sorbello, nel 1914, vendettero la proprietà ai Massi di Poggio di Croce e ai Betti di Belforte. Il complesso comprendeva la chiesa, l’ospedale e alcune abitazioni che, purtroppo, nel corso dei secoli hanno subito profonde modificazioni che ne hanno alterato l’architettura antica. La chiesa risale al XIV secolo, ma attualmente solo la navata anteriore destra ne è parte, il resto è occupato da una cantina. Nei pressi di San Lazzaro, alla congiunzione delle vallate di Poggio di Croce e Montaglioni, è possibile ammirare il fosso detto “lu Cugnuntu”, caratterizzato da una piccola cascata di circa 20 metri al termine di un percorso escursionistico molto affascinante, tipico dell’alta Valnerina.


CERRETO DI SPOLETO: LA CITTÀ DEI CIARLATANI Me, dopo la morte, si vanti l’Umbria d’annoverarmi tra i suoi illustri figli, io che con i miei carmi l’ho onorata: l’Umbria, cultrice delle Muse, patria nobile di Properzio e che ridente mi diede alla luce sull’alto colle, cui intorno scorrono il Vigi con l’acque sue placide e gelate e il fiume Nera, sempre caldo per sulfuree sorgenti. (G. Pontano, Partenopeo o Amori, I, 18, vv. 23-28) CHIESA DI SAN LORENZO, BORGO CERRETO Borgo Cerreto è un antico castello sito alla confluenza del fiume Vigi con il Nera, nel territorio di Norcia. Il centro, sviluppatosi nel periodo tardomedievale, sorse su un crocevia di fondamentale importanza fin dall’epoca preromana e romana; qui correva infatti il confine tra le antiche regioni della Sabina e dell’Umbria. Nel Medioevo l’abitato si snodava lungo la via che sale al castello di Cerreto. Presso gli attuali ponti si riconoscono alcune strutture murarie a torre, che dovevano vigilare su due antichi ponti levatoi. Il sistema difensivo di Borgo Cerreto si completava sui lati nord ed est con la cinta muraria, dove si apriva la porta verso Cerreto, e con la torre presso la chiesa di San Paterniano. Faceva parte del sistema di castelli e torri di avvistamento che formavano il reticolo fortificato a difesa dell’accesso al nursino. Borgo Cerreto era un avamposto con funzione di difesa del castello di Cerreto e di quello di Ponte (con le cui torri comunicava a vista) e controllava l’attraversamento dei fiumi e la viabilità di due arterie principali (lungo il Nera e verso Sellano-Colfiorito).

La chiesa di San Lorenzo, parrocchiale, si trova presso il ponte sul Nera. Fra i numerosi centri francescani della valle, fu certo uno dei più importanti. Nello stesso luogo sembra esistesse in precedenza una chiesa intitolata a san Basso, vescovo martire vissuto nel III secolo, le cui reliquie erano venerate nella diocesi di Fermo. Sul terreno pianeggiante lungo il fiume e al lato della strada per Ponte, la chiesa e l’edificio conventuale che vi si congiunge con un unico lungo braccio, conservano quasi intatto il decoro che possedevano quando vi sorsero quasi sette secoli fa.

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La facciata, in pietra concia di colore rossastro, non presenta altri ornamenti che quelli finemente scolpiti nel portale. L’interno è quello tipico delle chiese degli ordini minori mendicanti: è composto da una spaziosa navata rettangolare, e da un coro. L’eliminazione dei numerosi altari e di altre aggiunte del XVII secolo ha restituito solo in parte l’interno originale e la sua decorazione a fresco. Delle pale dell’altare, è rimasta solo una Madonna con i santi Antonio da Padova, Filippo Neri, Francesco di Sales e Francesco d’Assisi. La pala dell’altare maggiore, con il Martirio di san Lorenzo, si trova, in pessime condizioni di conservazione,

nei locali dell’ex convento. Nella controfacciata, a destra, una Madonna della misericordia dei primi del XV secolo. Nella parete di fondo del coro gli affreschi si distinguono, secondo la cronologia, in tre gruppi. Il più antico, riferibile ai primi anni del XIV secolo, comprende le due grandi immagini del Crocifisso. Il secondo, in basso ai lati, comprende il San Ludovico e la Madonna del XV secolo. Il terzo, ornato di una ricca cornice e di candelabri, raffigura la Madonna in trono con san Francesco e un altro santo francescano.


CERRETO DI SPOLETO Una leggenda locale narra che il paese sia stato fondato nell’Ottocento dai Franchi che erano scesi al seguito di Carlo Magno per contrastare il potere del potente gastaldato longobardo di Ponte. Il suo nome deriva dalla diffusa presenza di piante di cerro e, tra l’altro, fino al secolo scorso si poteva ammirare una quercia centenaria nella piazza principale del paese. Il cerro è anche presente nello stemma comunale. Le prime notizie storiche si hanno intorno al XII secolo, ma la nascita di Cerreto risale sicuramente al 290 a.C. quando avviene la romanizzazione del territorio ad opera delle legioni del console Mario Curio Dentato. Nell’alto Medioevo, in epoca longobarda, Cerreto fece parte del fondo rustico (amministrazione giuridica, economica e militare, gestita da funzionari del sovrano longobardo) di Ponte. Continue discordie si alternarono tra i cerretani, desiderosi di autonomia politica e amministrativa, e il Comune di Spoleto che nominò frate Elia ministro dei frati minori, per calmare i dissensi. Per un periodo venne affidato al governo di Norcia che ne fece richiesta, ma poi tornò sotto il ducato di Spoleto. Le continue lotte fra Spoleto e Norcia finirono per dividere Cerreto in due fazioni. Nel 1569 fu definitivamente aggregato alla prefettura della montagna, con sede a Norcia. Solo nell’800, con i francesi, tornò a far parte della giurisdizione spoletina e con il Regno d‘Italia acquistò la sua autonomia amministrativa.

L’insediamento di Cerreto di Spoleto, costituito dal castello e dal suo borgo, sorge alla confluenza del fiume Nera con il Vigi e il Tissino, dove s’incrociano le principali vie di comunicazione che attraversavano, e attraversano ancora oggi, il territorio della Valnerina.

La Chiesa di San Lorenzo risale al XIII secolo. Al suo interno è conservato il reperto lapideo che documenta l’esistenza di “Balnea Cerretana”, la protochirurgia con le testimonianze delle attività del medico folignate Baronio Vincenzi specializzatosi nel

XVII secolo nella trapanazione del cranio, che operava presso la chiesa di Gesù e Maria a Borgo Cerreto e la cura con le erbe, illustrata nell’orto del Ciarlatano. Degni di nota il monastero di San Giacomo, del XII secolo e l’orto del Ciarlatano, 15


il monastero di San Nicola, del XIII secolo, contenente la documentazione sul Ciarlatano, e la chiesa di Santa Maria de Libera, del XVI secolo, con il centro studi sul Pontano. EVENTI Fiera della Befana, 2 gennaio Canto della Pasquetta, 5 gennaio Festa della Madonna delle grazie, Triponzo, domenica precedente l’Ascensione Festa della Madonna, Bugiano, domenica dell’Ascensione Festa della Madonna dei miracoli, domenica di Pentecoste Festa della Madonna di Costantinopoli, Collesoglio, domenica della Santissima Trinità Festa dei Santi Pietro e Paolo, Nortosce, 29 giugno Rievocazione storica dei mestieri tradizionali, Macchia, “La carbonaia”, luglio Festa della Madonna del verde, Rocchetta, prima domenica di luglio 16

Festa della Madonna del monte, terza domenica di luglio Festa del perdono, Collesoglio, 2 agosto Festa di San Lorenzo, Borgo Cerreto, 10 agosto Sagra del fungo, Borgo Cerreto, metà agosto Sagra del Ciarlatano, metà agosto Rievocazione storica dei mestieri tradizionali, Rocchetta, “La trebbiatura”, agosto Rievocazione storica dei mestieri tradizionali, “La vendemmia”, settembre Rievocazione storica dei mestieri tradizionali, Borgo Cerreto, “Carri e carrettieri”, settembre Festa a Monte Maggiore, prima domenica di settembre Festa della Madonna addolorata, Macchia, quarta domenica di settembre Fiera di San Nicola, 6 dicembre Fuochi della venuta, grandi falò accesi la notte del 9 dicembre per ricordare il passaggio della Santa Casa della Madonna trasportata da angeli della Palestina a Loreto.


SANT’ANATOLIA DI NARCO: CITTÀ DELLA CANAPA San Mauro, insieme al figlioletto Felice e alla nutrice si ritirò nella valle di Narco, dove edificò un piccolo eremo. (L. Iacobilli, Vite dei Santi e Beati dell’Umbria, 1645) ABBAZIA DI SAN FELICE DI NARCO, CASTEL SAN FELICE Tra Sant’Anatolia e Vallo di Nera si estende un promontorio, antico terrazzo fluviale preistorico, habitat umbro, poi colonia romana. Al tempo di Teodorico (VI secolo d.C.) si formò l’eremo di San Fele: una cella monastica agricola attorno a un oratorio. Nel XII secolo la colonia agricola si raccolse sull’altura formando Castel San Felice, ceduto ad Innocenzo III. Scrive lo Iacobilli nelle Vite dei Santi e Beati dell’Umbria, nel 1645: “San Mauro fu uno dei trecento compagni che da Laodicea e Cesarea di Siria emigrarono in Italia al tempo di Teodorico e di Anastasio imperatore d’Oriente, ariano. Giunsero a Roma e, essendo gli altri andati per l’Italia centrale, Mauro, insieme al figlioletto Felice e alla nutrice si ritirò nella valle di Narco, dove edificò un piccolo eremo. Mauro era umile e voleva trascorrere la vita nella penitenza e nei digiuni, educando il figlio a questo genere di vita”. La gente chiese loro di essere liberata da un drago che infastidiva gli abitanti del luogo. I due si armarono di un bastone e di un arnese di ferro. Mentre Mauro affrontò il drago, Felice piantò in terra il bastone, che subito germogliò. È la metafora della bonifica di un territorio, oltre a quella bonifica spirituale dovuta all’opera di evangelizzazione dei due santi. Questo episodio è illustrato nel bassorilievo sotto il rosone della chiesa: il drago che esce dalla grotta rappresenterebbe il fiume Nera. La fantasia popolare colloca la grotta del drago in un anfratto, oltre il ponte. La memoria di zone paludose è, infatti, presente nella tradizione orale lungo tutta la Valnerina. Felice morì prematuramente e Mauro, rimasto solo, depose il suo corpo insieme con quello della nutrice, in un oratorio che poi divenne la chiesa dedicata a san Felice, e anche il vicino castello ebbe il suo nome. Per l’afflusso di altri giovani all’eremo di san Mauro, questi costruì, attiguo alla chiesa, un monastero di cui fu eletto abate, e lo diresse secondo la Regola di san Benedetto da Norcia. Mauro vi morì nel 555. Come san Benedetto, giungendo a Montecassino, distrusse il tempio di Apollo per impiantarvi un oratorio, sacro al vero Dio, così Mauro, Felice e i loro successori fugarono la malaria della palude e la peste del paganesimo che, all’inizio del VI secolo, ancora dominava le campagne circostanti.

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Castel San Felice sorge su un colle isolato che, anticamente, controllava un ponte sul Nera e la valle a nord (l’antico percorso, proveniente da Spoleto, attraversava il fiume alle spalle della chiesa per dirigersi a nord verso Vallo e a sud verso Sant’Anatolia). L’impianto urbano è tipico dei castelli arroccati sulla sommità di un colle. Fra i più interessanti esempi della scultura romanica umbra sono il rosone, con i simboli evangelici, i rilievi sottostanti che raffigurano le Storie di san Felice (Risuscita il figlio della vedova, L’angelo guida i santi, San Felice uccide il drago), e l’Agnus Dei nel timpano, d’epoca medievale (secondo la tradizione orale lo sguardo dell’agnello indicherebbe il luogo dove è sepolto un tesoro). L’interno è una sola navata. Qui si conserva il sarcofago che la tradizione attribuisce al santo titolare. Nella piccola abside, in fondo, si trova il Cristo maestro tra angeli atterriti, affresco del XIV secolo di influsso orientale. Sotto al presbiterio si apre la cripta, con al centro il sarcofago in pietra contenente i resti di san Felice, san Mauro e la nutrice siriaca. Nei pressi dell’abbazia si trova un ponte medievale che attraversa il fiume Nera immettendosi nella vecchia strada della Valnerina; poco lontana c’è l’osteria, un tempo usata dai viandanti, attualmente ristrutturata.

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SANT’ANATOLIA DI NARCO Un’ipotesi fa derivare il suo nome dal fatto che Sant’Anatolia fu il centro dei primi popoli sabini Naharci. Secondo un’altra ipotesi, invece, il nome deriverebbe dal fiume Nar (Nera). Altri lo fanno derivare dalla presenza dei monaci siriaci, o dal nome di un nobile francese, Narco, che avrebbe avuto il dominio della Valnerina e avrebbe edificato Castel San Felice. Sant’Anatolia di Narco si colloca al centro della Valnerina, nel punto in cui la valle si allarga dando origine ad ampi terreni alluvionali pianeggianti nominati Canapine, dal nome della pianta di canapa, che qui si coltivava fino a qualche tempo fa. Abitato già nell’epoca preistorica, nel Medioevo subì il dominio di Spoleto. Dal XV secolo fu coinvolta in vicende di lotta con i centri vicini e con i domini pontifici. La sua autonomia fu definitivamente conquistata solo nel 1930, quando ottenne la separazione dal territorio del Comune di Spoleto che il Regno d’Italia del 1860 aveva ridisegnato con confini più vasti degli attuali.

fluviale, già abitata dall’antico popolo dei Naharci, con mura di cinta, torrioni e tre porte di accesso. Dentro le mura si può ammirare la disposizione urbanistica, molto originale, data la presenza contigua di case comuni e di palazzetti gentilizi, divisi tra loro da vie molto strette. La chiesa parrocchiale di Sant’Anatolia, contigua al palazzo, sorge in una piazzetta. Conserva al suo interno una decorazione pittorica dei secoli XIV e XV. La chiesa di San Martino, sull’antica strada per Spoleto, è un edificio del XIII secolo a navata unica, con campanile. Nella chiesa di Santa Maria delle grazie si distinguono tre diverse fasi di costruzione corrispondenti rispettivamente all’edicola, alla parte presbiteriale e alla navata. All’interno, sull’altare maggiore è raffigurata la Madonna tra i santi Giacomo e Antonio abate, affresco databile alla metà del XV secolo e riferibile al Maestro di Eggi.

Il centro storico mantiene le caratteristiche di un antico borgo fortificato, con mura di cinta, torrioni e tre porte di accesso, una delle quali ancora oggi ben conservata.

Il castello di Sant’Anatolia di Narco è ubicato sulla sinistra del fiume Nera, lungo l’antica strada della Valnerina. Di origine medievale, sorge ai margini di una terrazza

La chiesa di Santa Maria di Narco è dedicata a sant’Anatolia. È l’antica pieve, più volte ricostruita, situata dentro il castello. Non si conosce l’epoca esatta della sua fondazione. La sua struttura interna, così antica e così cara al culto dei fedeli, e la sua pianta a croce latina creano un’atmosfera di raccoglimento e di preghiera, un senso di umiltà, soddisfano un bisogno di serenità e di pace, che rigenerano e rinnovano l’animo di colui che la visita. 19


GROTTI Il nome deriva dalla morfologia del luogo, in cui sono evidenti grotte e picchi rocciosi. A monte dell’attuale abitato si scorgono i resti dell’antico castello, di epoca medievale, con molti elementi naturali, dominati dal fortilizio chiamato “la Torre”. La chiesa parrocchiale di San Pietro sorge in uno dei nuclei del paese, di antica origine, ma oggetto di diversi interventi, nel cui interno seicentesco si conservano alcune tele della stessa epoca e un organo del 1857. Ha una sola navata con tre altari. Nel 1603 fu pubblicata un’iscrizione sepolcrale in versi, di età cristiana, qui rinvenuta. La chiesa della Confraternita del Santissimo Sacramento, o dell’Addolorata, è in posizione centrale rispetto all’abitato. Vi si conserva un interessante ciclo pittorico dei secoli XV e XVI. La chiesa della Madonna delle Scentelle è poco distante dal paese, lungo la strada per Spoleto. Il suo nome, Centum celle, ricorda gli antichi stanziamenti eremitici. Conserva, nella sua dedica, la memoria di questa presenza religiosa. EVENTI Canto delle Pasquarelle, gennaio Festa della Madonna del buon consiglio o Festa delle “Santesse”, ultima domenica di maggio Festa di San Felice, Castel San Felice, 20

26 giugno Festa di Sant’Anatolia, 9 luglio Festa di San Pietro, Grotti, luglio Festa di San Michele arcangelo, Gavelli, agosto Festa della Madonna delle grazie, agosto

CESELLI (Comune di Scheggino) Nel XII secolo il territorio era dominato da un castello feudale del duca di Spoleto. Nel 1190 il castello divenne parte del feudo abbaziale di San Pietro in Valle. È di quest’epoca la chiesa principale di San Sabino; era la pieve della comunità di Ceselli, prima che fosse costruito il castello comunale. Nel XIII secolo la valle non poté resistere all’espansione comunale di Spoleto che cercò di fortificare il colle attorno a un’altra chiesa dedicata a san Michele arcangelo e a san Sebastiano. Il castello rimase fedele a Spoleto anche dopo la ribellione della Valnerina del 1522, tanto che i castellani tagliarono il ponte ai banditi Petrone e Picozzo. Stando Ceselli sulla via breve di Spoleto, non doveva mancare una taberna con vino a buon mercato e il necessario per ospitare qualche passante. Era qui l’accesso al gioco della ruzzola: ruzzole di legno venivano fatte rotolare per conquistarsi quelle di formaggio. Il gioco, date le grida che lo caratterizzano, doveva svolgersi lontano dalle ultime case del borgo del 1522. Nel 1527 lanzichenecchi

e colonnesi, reduci dal sacco di Roma, transitarono per questo territorio, devastandolo. Lo statuto del Comune di Ceselli è del 1546. Di notevole interesse sono la chiesa extra castrum di San Vito, edificata nel 1080, con affreschi rinascimentali raffiguranti i santi martiri e la chiesa di San Sabino (del XII secolo). L’edicola dell’Osteria di Ceselli, importante nodo viario, è ornata con affreschi del 1500 di pittori della Valnerina. In questa osteria ha sostato il 26 marzo 1831 l’arcivescovo Mastai Ferretti in fuga da Spoleto verso lo Stato borbonico. Nel 1875 il Comune di Ceselli è stato soppresso e annesso al Comune di Scheggino.

COLLEPONTE (Comune di Ferentillo) Il centro abitato di origine altomedievale è diviso in due nuclei, Macenano e Colleponte, dalla strada statale Valnerina. La chiesa parrocchiale di Sant’Antonio del XVI secolo conserva affreschi rinascimentali che decorano le pareti laterali. La chiesa di Santa Caterina, a Sambucheto, risalente al XIV secolo, al suo interno presenta un ciclo di affreschi eseguiti da Pierino Cesarei nel XVI secolo.


ABBAZIA DI SAN PIETRO IN VALLE, MACENANO DI FERENTILLO La leggenda narra che due eremiti siriaci, Giovanni e Lazzaro, diretti verso lo Spoletino in cerca di un luogo recondito e mistico, arrivassero in Valnerina e qui costruissero un eremo divenuto luogo di culto tra le genti locali. Dopo la morte di Giovanni, Lazzaro, afflitto, pregò il Signore di consolarlo e questi fece apparire in sogno a Faroaldo II, duca di Spoleto, san Pietro, che lo invitò a costruire una chiesa e un monastero in suo onore. Più tardi Faroaldo, recatosi a caccia in Valnerina, individuò nel piccolo oratorio il posto adatto alla costruzione della chiesa dedicata a san Pietro (VIII sec.) e l’adiacente monastero che adottò la Regola di san Benedetto. Primitivo cenobio benedettino, assunse un’importanza fondamentale nell’evoluzione religiosa, politica, economica e sociale di tutta l’area. Si trova all’interno del Parco Fluviale del Nera, a 13 chilometri dalla Cascata delle Marmore. L’abbazia di San Pietro in Valle è inoltre una delle testimonianze più significative del ducato di Spoleto. Costruita sul luogo in cui si erano ritirati gli eremiti Lazzaro e Giovanni nel VI secolo, la chiesa è una ricostruzione del X-XI secolo: le pareti erano coperte di affreschi, dei quali si può osservare qualche resto. All’interno si trovano un cippo votivo, frammenti scultorei e architettonici anche romani, vari sarcofagi romani e medievali, tra i quali quello di Faroaldo. L’altare maggiore è composto di vari resti marmorei recuperati nella zona. L’abside è decorata da un grande affresco: nella parte superiore un Cristo benedicente, sotto una Madonna col Bambino, angeli e santi e ancora più in basso i Santi Benedetto, Placido, Marziale, Eleuterio e Lazzaro. Il campanile, eretto nel XII secolo, presenta molti frammenti più antichi e interessanti decorazioni. Le testimonianze di epoca romana più importanti conservate nella chiesa di San Pietro in Valle sono i cinque sarcofagi: Amore e Psiche, della fine del III secolo; Faroaldo II, del II secolo (si dice che accolga le spoglie del duca longobardo fondatore); Santi Giovanni e Lazzaro, del IV secolo; Psiche su tre barche, del III secolo e un Sarcofago con scene di caccia.

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PONTE (Comune di Cerreto di Spoleto) Fuit olim fortilium munitum, sed nunc a bellorum et terremotorum ictibus est fere dirutum. La frazione di Ponte ha origini di epoca longobarda, quando vi aveva sede un potente gastaldato che estendeva la sua giurisdizione su tutto il territorio della Valnerina. Si adagia su un colle a forma di cono, a 441 metri, lungo un’unica strada, che un tempo raggiungeva la rocca. Della strada oggi restano solo poche tracce. Il nome della località è legato, quasi sicuramente, alla presenza nelle vicinanze di un ponte romano, che campeggia sul suo stemma. L’insediamento attuale si divide in diversi nuclei: Il castello “fuit olim fortilium munitum, sed nunc a bellorum et terremotorum ictibus est fere dirutum”. Con queste parole viene ricordata l’antichità e la robustezza del castello di Ponte. Presso la curtis, centro di mercato curtense, sede dei tribunali e dei magazzini di raccolta, sorse la pieve di Santa Maria. Il castello fu fortificato per difendersi dalle incursioni dei Saraceni e dei comuni rivali. Il castello seguì le vicende movimentate di Cerreto capitolando al Comune di Spoleto nel 1221, ma, a differenza di Cerreto di tendenze ghibelline, Ponte resta fedele alla santa sede apostolica. Nel ’400 vi dominano i Trinci e nel secolo successivo farà parte del breve ducato di Cesare Borgia. 22

La pieve di Santa Maria era l’antica pieve fuori del castello. Divenne poi il centro della comunità. La struttura romanica, come per San Felice di Narco, prova l’appartenenza a un monastero benedettino, di cui si può immaginare il piccolo chiostro presso la casa parrocchiale. La chiesa è dedicata all’Assunta incoronata. Nella parte superiore domina il rosone, agli angoli sono i quattro simboli degli evangelisti in altorilievo come a Sant’Eutizio. Alcune statue lignee arricchiscono la chiesa, una delle quali rappresenta la Vergine con il Bambino che sostiene la mano della mediatrice di grazia sulla quale è appoggiato il mondo, mentre con l’altra stringe il rotolo della legge.

La chiesa di San Pietro si trova dentro il castello, in parte incassata nel terreno. Di piccola mole quadrata, custodiva una statua lignea della beata Vergine, definita “indecente”. È quella che si venera nella pieve, che fu ritoccata per renderla decorosa. La chiesa della Madonna della porta, all’interno del castello di Ponte. Eretta nel XVI secolo, se ne possono ammirare le mura perimetrali a monte della strada che si snoda lungo la collina per raggiungere la rocca. Da visitare anche la chiesa di San Martino, edicola devozionale del XVI secolo, e la chiesa di San Giuliano, romanica campestre del XII secolo. EVENTI Festa della Madonna della porta, seconda domenica di settembre


POGGIODOMO: IL PIÙ PICCOLO COMUNE DELL’UMBRIA Ognuno di noi percorre dei sentieri, reali o ideali, per ascoltarli e farsi ascoltare, i passi si fanno memoria e una pietra, una pianta, una siepe si lasciano sfogliare in molatura di ricordi e sogni, camminare e smarrirsi per ritrovare storia e storie, passato di una comunità che ritorna con l’orgoglio di appartenervi e la voglia di non lasciarlo passare. La sera sarà più ricca dopo il riposo negli eremi, i piedi bagnati nei fossi, la striatura di una lumaca sul palmo della mano e i tronchi cavi delle querce saranno colmi di altre voci che qualcuno, domani, avrà la pazienza di ascoltare. Questo e altro è Poggiodomo, tratturi e campi falciati, edicole e chiese campestri, l’acqua di gole strozzate, mulini, carezze di albe e tramonti su paesi di pietra che la pazienza dei vecchi protegge. Venire a Poggiodomo è percorrere un sentiero, perché i pensieri nascono sui passi che ognuno percorre. (Egidio Spada) EREMO DELLA MADONNA DELLA STELLA, ROCCATAMBURO Le vicende storiche dell’eremo della Madonna della Stella risalgono all’VIII secolo quando, alla confluenza di valle Noce e valle Marta, lungo gli antichi itinerari che confluivano verso il gastaldato pontano e quindi verso Spoleto, sorse il monasterium Sancti Benedicti in Faucibus o in Vallibus, soggetto all’abbazia di San Pietro di Ferentillo. La costruzione del monastero si lega sia alla politica di controllo del territorio esercitata dai duchi di Spoleto, sia all’opera di evangelizzazione e di espansione del monachesimo nella montagna. Il declino dei Benedettini in tutto il territorio, verificatosi dal 1200, favorì l’insediamento degli Agostiniani, che prendevano possesso dei beni e dei monasteri abbandonati dai Benedettini. Due eremiti, Andrea da Cascia e Giovanni da Norcia, diedero tuttavia inizio all’opera di edificazione dell’eremo attuale che poi prese il nome di Santa Croce in Valle. Alla nuova chiesa, in parte ricavata scavando nella roccia, si aggiunsero una decina di celle monastiche. Sorgeva così una sorta di “laura”, dove l’esperienza cenobitica si fondeva con quella più antica degli eremiti orientali. Alla vita comunitaria intorno alla chiesa e al refettorio, dislocato sul piazzale, si affiancava quella del silenzio e della meditazione nell’alveare di celle scavate nella roccia.

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Nel 1416 la chiesa di Santa Croce fu ornata da una raffigurazione della Madonna in trono con il Bambino poppante tra san Pietro e san Paolo. Con il passare degli anni anche gli Agostiniani di Cascia cominciarono a disertare questo luogo di culto. Persa quasi la memoria del luogo, nel 1833 due pastorelli di Roccatamburo ne rinvennero il dipinto in mezzo ai rovi. Riprese, allora, il culto da parte delle popolazioni dei paesi vicini e con le offerte ricavate dai fedeli fu restaurata la chiesa che da allora prese il nome di Madonna della Stella. Da allora il culto mariano è rimasto vivo in tutta la popolazione della montagna e ogni anno, nel mese di maggio, numerose processioni provenienti dai paesi vicini si inerpicano per il ripido sentiero a rinnovare la devozione tramandata attraverso le generazioni. Il complesso di grotte aperte nella rupe della Madonna della Stella evoca l’idea di un colombario, o di certi sepolcreti etruschi scavati nelle pareti rocciose. Il santuario della Madonna della Stella e le grotte eremitiche, aperte nella parete rocciosa, sono ubicati in una strettoia ombrosa, valle Noce, compresa tra le formazioni orografiche del monte Maggio e del Porretta. Un ruscello che nasce sui versanti orientali del monte Porretta, percorre l’angusta strettoia formando una piccola cascata a poca distanza dal santuario. “Quegli antichi eremiti scelsero di vivere in mezzo a due altissimi monti, dove non si vede altro che due palmi di cielo”, scrive Marco Franceschini. Forse proprio questa caratteristica fu determinante per la scelta del luogo: il fatto d’essere un posto in cui nulla distoglie l’attenzione perché lo sguardo non ha dove vagare, né alcun panorama grandioso spalanca le finestre del cuore sì da indurre a celebrare le lodi del Creatore. Un luogo umile e raccolto, valle Noce, lontano dai cammini transitati, anche se non troppo distante da un’antica e importante via di comunicazione, come a dire: nel mondo, ma non del mondo.

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POGGIODOMO Poggiodomo è stato negli anni meta di monaci, eremiti, mistici, fuoriusciti del ghibellinismo medievale, fino ai ribelli partigiani, che nell’ultima guerra fondarono qui le brigate più operative. Esempio di questo isolamento è l’eremo della Madonna della Stella, sempre conteso fra Poggiodomo e Cerreto, frequentato, da centinaia di anni, da grandi mistici che vi hanno trovato rifugio e ne hanno fatto luogo privilegiato di vita contemplativa. Gli ultimi eremiti furono Vincenzo Zolfanelli di Fabriano, sepolto all’interno della chiesa e Luigi Crescenzi di Poggioprimocaso. Quest’ultimo fu eremita per trent’anni, fino al 1949, anno nel quale morì cadendo dal ripido piazzale di fronte alle celle monastiche. Poggiodomo sorge su un picco naturale di 974 metri a strapiombo sulla vallata sottostante, ed è il Comune più piccolo della provincia di Perugia, con i suoi 187 abitanti. Il paese deriva il suo nome da “poggio”, dal latino podium e dal greco podion, che significava originariamente “pedana”; e da “domo”, riferito, probabilmente, sia alla forma a cupola, derivato da dôme, sia da domo, cioè “messo a coltura”.

Fece parte del ducato di Spoleto e, dopo il XVI secolo, appartenne alternativamente a Leonessa, a Cascia e a Spoleto, di cui seguì le sorti. Fu sotto lo Stato pontificio, durante il papato di Urbano VIII, che il villaggio conobbe il suo periodo più florido. II Comune vero e proprio fu istituito nel 1809, sotto il governo napoleonico, e fu confermato dallo Stato italiano nel 1860. Il centro storico è costituito da un castello fondato nel XIII secolo, tipico degli insediamenti edificati su uno sperone di roccia. L’unica chiesa del villaggio è San Pietro che contiene cicli pittorici, come gli affreschi del 1400 e del 1500. Da visitare anche la chiesa di San Carlo Borromeo, del 1633, con all’interno nove altari lignei barocchi del XVII e del XVIII secolo.

Non lontano da Poggiodomo, a Usigni, noto come “paese-palazzo” per la qualità dei suoi edifici, si possono visitare la chiesa di San Salvatore, fatta costruire dal cardinale Poli tra il 1631 e il 1644 e la cisterna del Cardinale, nei pressi del palazzo Poli. A Mucciafora si trova la chiesa di San Bartolomeo, meta mistica, luogo di rifugio e di vita contemplativa. EVENTI La Pasquarella, 5 gennaio Festa del patrono Sant’Antonio abate, 17 gennaio Festa dei giovanotti, agosto Festa degli sposati o “ncamata”, agosto

Da sempre sotto la dominazione delle altre cittadine circostanti, la sua storia non è molto diversa dalle altre del comprensorio della Valnerina: barbari e terremoti la devastarono nel corso di alterne vicende. 25


FONTEVECCHIA (Comune di Giano dell’Umbria) O tu che passi per questa via non ti scordar di salutar Maria La tradizione vuole che tutti coloro che passavano davanti all’edicola sacra sita nei pressi della fonte, da cui il nome Fontevecchia, si fermassero qualche istante per venerare la Madonna dei miracoli. La stessa tradizione ricorda il motto, simile a quello di altre antiche dediche alla Vergine: “O tu che passi per questa via non ti scordar di salutar Maria”. Fontevecchia è un’antica fontana del 1585, successivamente trasformata in maestà a uso devozionale, nel 1756. È realizzata in pietra cinerea e rosata, ha il nicchione affrescato, la volta a sesto ribassato in laterizio ed è illuminata da ceri votivi. È ubicata ai margini di una delle antiche strade di accesso al castello di Giano dell’Umbria. Il manto d’intonaco armato relativo all’ultimo restauro ha completamente coperto l’originaria cortina in pietra. Attualmente ha un uso puramente devozionale. Conserva l’affresco con la Madonna del rosario, completato dalla raffigurazione di Sant’Antonio da Padova, a sinistra, e di San Giuseppe da Copertino, a destra. L’affresco attuale sostituisce quello originario raffigurante la Madonna della Fonte, risalente probabilmente al 1585, del quale ci restano solo alcuni frammenti. ABBAZIA DI SAN FELICE Poco lontano da Giano si trova l’abbazia di San Felice, tipico esempio di architettura romanica. La chiesa mostra ancora la sua originaria struttura romanica risalente al XII secolo, mentre il chiostro e le costruzioni, che si sviluppano sul fianco destro della chiesa, vennero edificati e completati in un lasso di tempo che va dalla seconda metà del XVI secolo al XVIII secolo. Una scalinata in travertino conduce al presbiterio e alle tre absidi. La cripta risale alla stessa epoca della chiesa e conserva l’arca con le reliquie del santo. Il chiostro, di pianta rettangolare, ha le arcate sorrette da robusti pilastri quadrangolari a mattoni vivi; sopra ogni pilastro sono dipinti busti di santi e beati. Gli affreschi sulle pareti raffigurano le storie della vita di san Felice. All’interno del quadrato del chiostro si trova una cisterna per la raccolta delle acque piovane.

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MONTELEONE DI SPOLETO: IL LEONE DEGLI APPENNINI LA CHIESA-FORTEZZA DI SAN FRANCESCO

Oratorio dei Benedettini e successivamente di proprietà dei frati dell’ordine dei Minori conventuali, fu ingrandito intorno al 1285. Furono costruiti il convento e il chiostro con all’interno una cisterna. Inizialmente il chiostro era a un solo porticato con tetto, poi fu sopraelevato e adibito, in parte, ad abitazioni per il convento. Tra il 1395 ed il 1398 la chiesa fu ‘tagliata’ nella sua altezza da una volta a tutto sesto. Con questo intervento, le chiese divennero due. Quella superiore, dedicata a san Francesco, a due navate, ha la sacrestia e un corridoio laterale con le porte di accesso al convento. All’interno sono presenti affreschi dei secoli XV e XVI, tele, sculture lignee e dipinti dei secoli XVII e XVIII. Al di sopra della chiesa si erge la torre campanaria. Quattro sono le campane, ognuna delle quali reca incisa un’iscrizione. Di pregio è il portale esterno in pietra; in una delle sue fasce, con fiori, frutti, foglie, animali, santi, angeli, draghi, sole, luna e perfino la morte, è raffigurato il Cantico delle Creature di san Francesco. Nella parte esterna sta un leone che afferra un cervo con un ramoscello in bocca, forse a significare la severità della chiesa contro coloro che si ostinano a disconoscere la sua autorità, nel primo incavo il giglio guelfo e un volto di uomo, nel successivo incavo l’aquila ghibellina e ancora un volto d’uomo completano la decorazione.


MONTELEONE DI SPOLETO La sua posizione di castello di pendio gli ha fatto guadagnare nei secoli l’appellativo di “Leone degli Appennini”. Il paese, che si apre nella massiccia struttura calcarea appenninica, è il più elevato capoluogo di comune della montagna. Il territorio è nel Parco Naturale Coscerno-Aspra, caratterizzato da rilievi montuosi, ricoperti da boschi intervallati da pascoli e piccoli campi separati tra loro. Queste recinzioni naturali, già in essere nel Medioevo, oltre a difendere dai ladruncoli che si aggiravano nei dintorni dei borghi, sostenevano e rafforzavano, nei terreni accidentati, i ciglioni e i fossi, frenandone l’erosione; in prossimità delle proprietà collettive, proteggevano anche da occupazioni abusive e dal vago pascolo del bestiame. Dal punto di vista insediativo il territorio è organizzato intorno a quattro nuclei abitati (Ruscio, Rescia, Trivio e Butino), legati da sempre all’agricoltura e alla pastorizia o a storiche attività industriali, come le miniere di ferro e di lignite di Ruscio.

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La presenza umana risale a più di 3000 anni fa, come ci dicono le tracce di un insediamento trovate poco distanti dal capoluogo. La popolazione apparteneva al gruppo etnico dei Naharci, identificabili con le popolazioni autoctone della media Valnerina. Nel 1265, il Comune di Spoleto ricevette in donazione il castello di Brufa, sulle cui rovine fu edificato il castello di Monteleone. Occupato nel XVI secolo da Sciarra Colonna, Monteleone vede la sua sottomissione all’impero romano. Raggiunse l’indipendenza nel 1560 per concessione di Pio IV. Nel 1634, ad opera di Urbano VIII, si attivano le miniere del ferro e del forno per la fonderia di Ruscio. Nel corso del secolo successivo, a causa dei terremoti si avviò il declino e la crisi dell’industria mineraria. Monteleone vide il passaggio di Giuseppe Garibaldi nel 1849, ed entrò a far parte del Regno d’Italia nel 1860.

Il castello, cinto da solide mura, baluardi, torri di vedetta, porte, antemurali e diviso in terzieri, “San Nicolò”, “Santa Maria”, “San Jacobo”, conserva al suo interno l’urbanistica tipica dei fortilizi di epoca medievale e rinascimentale con palazzi gentilizi, case e chiese che si affacciano su vicoli e piazze. Oltre alla fortificazione esterna, sono in pietra la torre dell’Orologio, le chiese, le abitazioni, i portali, gli archi, i muri a secco e le macine di mulino. Varcate le mura con sguardo rivolto all’entroterra, è possibile scoprire attraverso piacevoli percorsi un mondo che racchiude, quasi mimetizzate, altre ricchezze storiche e artistiche: la necropoli proto-villanoviana con 44 tombe; l’area del ritrovamento della biga (secondo quarto del VI sec. a.C.); i santuari protostorici d’altura; i giacimenti ferriferi; i castellieri (VII-VIII sec. a.C.); i ruderi dei templi pagani e delle ville romane.


La chiesa di San Nicola fu distrutta dal terremoto del 1703. I primi documenti risalgono al 1310, era la chiesa castellana. Ha un’unica porta, e un unico altare. Alcuni frammenti scultorei provenienti dalla costruzione originale sono conservati nel chiostro della chiesa di San Francesco. La chiesa di San Giovanni è dedicata ai due Giovanni, battista ed evangelista. Sorge presso la porta del borgo, detta porta di San Giovanni. Al suo interno una tela rappresenta i santi titolari. La chiesa della Santa Croce è invece fuori porta. La chiesa della Madonna della Quercia, situata sotto il monastero di Santa Caterina, è cosi chiamata da una grande quercia. Ha un unico altare con immagine della Madonna insigne per molte grazie. Dell’ex convento e chiesa di Santa Caterina si conoscono le origini da alcuni documenti autentici conservati nell’archivio della comunità e del monastero, dai quali si è desunto che nel 1310, al tempo di Clemente V, dieci monache si riunirono a professare la Regola di Chiara di Norcia per propagarne l’Ordine. Le mura castellane risalgono ai secoli XIII, XIV e XV. I baluardi del XV secolo: baluardo della Macchia, baluardo dell’Annunziata, baluardo di Catosa, porta della Fonte e baluardo di San Giovanni.

La biga, “carro da parata e da corteo”, in legno di noce interamente rivestita di lamine di bronzo dorato, fu realizzata intorno al secondo quarto del VI secolo a.C. Fu rinvenuta in ottimo stato di conservazione, in una tomba in località Colle del Capitano nel febbraio del 1902 dagli abitanti del posto, durante lavori di sterro. Sepolti con la biga c’erano i corpi di un uomo e di una donna e un ricchissimo corredo funerario datato intorno al 530 a.C. Dal 1903 la biga è esposta al Metropolitan Museum of Art di New York.

Le porte: porta delle Monache, porta della Fonte o di San Giacomo, porta Vecchia, porta Spoletina e porta San Pietro. I palazzi: palazzo Bernabò, palazzo Rotondi (sede del Comune), palazzo RanaldiBernabei, ex palazzo dei Priori, ex palazzo SinibaldiCongiunti, ex palazzo Cesi, ex palazzo Moriconi. Gli archi: arco delle Coppe, arco in via San Francesco, arco in vicolo del Giglio, arco in vicolo dello Scarico, arco in vicolo Baciadonne, arco in vicolo del Moro e arco in via di Pago. EVENTI La Pasquarella, giorni dell’Epifania Festa di Sant’Antonio abate, 17 gennaio Festa della Santa Croce, 3 maggio Le Agnelle di Sant’Antonio, 13 giugno Fiera di San Felice, prima domenica di luglio

Festa di Sant’Anna, Rescia, ultima domenica di luglio Festa della Madonna degli angeli, Butino, prima domenica di agosto Riambientazione storicarinascimentale e Festa della Madonna assunta, 15 agosto Sagra degli strascinati, 16 agosto Festa della Madonna addolorata, Ruscio, terza domenica di agosto Festa dei Santissimi Cuori di Gesù, Trivio, ultima domenica di agosto Festa della Madonna della misericordia, prima domenica di settembre Festa di Santa Gemma, seconda domenica di settembre Farro di San Nicola, 5 dicembre Festa di San Nicola, 6 dicembre Focone della venuta, 9 dicembre 29


CASCIA: CITTÀ DELLE ROSE O beata con fermezza et con virtude / che meritu sci grande adtribuisti / che sopra ogni donna fu donata / che una delle spine de xpo recepisti / et non te parve esser munda / per andare a la vita più iocunda. IL SANTUARIO DI SANTA RITA La basilica-santuario di Santa Rita offre una significativa occasione di riflessione e di preghiera. L’amore e il perdono sono stati la forza vitale della santa delle rose, così come il suo desiderio di pace e la sua capacità di vivere la sofferenza. Chiunque si avvicini al suo messaggio rimane affascinato dalle virtù che Margherita, questo il suo nome di battesimo, apprese alla scuola spirituale del suo protettore sant’Agostino. La basilica-santuario è stata rinnovata e arricchita dalla beata Maria Teresa Fasce, superiora del monastero, venerata anch’essa accanto a Santa Rita. Il santuario fu eretto nel 1937-47 sul luogo dell’antica chiesa agostiniana annessa al monastero dove morì santa Rita, nel 1457. Si trova nella parte più alta del nucleo abitativo di Cascia e si inserisce nel contesto urbano. Ai lati del portale sono due pilastri divisi in dieci riquadri scolpiti con rilievi che si riferiscono agli episodi salienti della vita della santa, con iscrizioni in volgare, tratte dalla cassa lignea quattrocentesca nata per accogliere la prima sepoltura di santa Rita: “O beata con fermezza et con virtude / che meritu sci grande adtribuisti / che sopra ogni donna fu donata / che una delle spine de xpo recepisti / et non te parve esser munda / per andare a la vita piu’ iocunda”.

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L’altare maggiore è decorato da rilievi con l’Ultima cena e custodisce il Corpus Christi portato a Cascia dal beato agostiniano Simone Fidati; ne fu riconosciuto il culto da Bonifacio IX. Il miracolo avvenne nel 1330 a Siena: un sacerdote, mentre andava a portare la comunione a un infermo, pose l’ostia nel breviario. Giunto a casa del malato vide che l’ostia era diventata sangue, e le macchie di sangue avevano la forma di un profilo di volto umano. La cappella di Santa Rita, in cui è custodito il suo corpo, si apre dietro una grande cancellata in ferro battuto. Sotto l’altare della cappella della Consolazione è invece conservato il corpo del beato agostiniano Simone Fidati (1285 ca-1348). Nell’aprile 1988 è stata inaugurata anche una basilica inferiore, molto moderna, sempre con la pianta a croce greca, nata su una vecchia cripta. Tra la basilica superiore e quella inferiore, scendendo, a sinistra, collegata con le due chiese, si trova la penitenzieria. IL MONASTERO DI SANTA RITA Situato a sinistra della basilica, conserva memorie legate alla vita della santa e alla devozione ritiana: il coro interno dove santa Rita fu introdotta “miracolosamente”, la vite da lei piantata, la dimora delle api, la cella dove morì e dove è collocato il sarcofago nel quale venne deposta nel 1457; il roseto trapiantato qui, secondo la tradizione, dall’orto della nativa Roccaporena.

SANTA RITA DA CASCIA (1381-1457) Fu proclamata santa da papa Leone XIII il 24 maggio 1900. Figlia unica, nacque a Roccaporena e fu battezzata a Cascia con il nome di Margherita. Educata nell’amore di Cristo, a sedici anni si sposò ed ebbe due figli maschi. Con una vita semplice, ricca di preghiera e di virtù, tutta dedita alla famiglia, Rita aiutò il marito a convertirsi e a condurre una vita onesta e laboriosa. La sua esistenza di sposa e madre fu sconvolta dall’assassinio del coniuge, vittima dell’odio tra le fazioni. Rita riuscì ad essere coerente con il Vangelo, perdonando pienamente, come Gesù, chi le stava procurando tanto dolore. I figli invece, influenzati dall’ambiente e dai parenti, erano tentati dalla vendetta. La madre, per evitare che si rovinassero umanamente e spiritualmente, chiese a Dio piuttosto la loro morte che saperli macchiati di sangue: entrambi morirono di malattia in giovane età. Vedova e sola, Rita pacificò gli animi e riconciliò le famiglie con la forza della preghiera e dell’amore. Quindi entrò nel monastero agostiniano di Santa Maria Maddalena a Cascia, dove visse per quarant’anni, servendo Dio e il prossimo con generosità, attenta ai drammi del suo ambiente e della Chiesa del suo tempo. Negli ultimi quindici anni Rita ebbe sulla fronte la stigmata di una delle spine di Cristo, completando così nella sua carne i patimenti del Salvatore. Fu venerata come santa subito dopo la sua morte, come è attestato dal sarcofago ligneo e dal Codex Miraculorum, documenti risalenti entrambi al 1457. Le sue ossa, dal 18 maggio 1947, riposano nel santuario in un’urna d’argento e cristallo. Recenti ricognizioni mediche hanno affermato che, sulla fronte a sinistra, vi sono tracce di una piaga ossea aperta. Il piede destro ha segni di una malattia sofferta negli ultimi anni, forse una sciatalgia. Il viso, le mani e i piedi sono mummificati, mentre sotto l’abito di suora agostiniana vi è l’intero scheletro. Di lei non ci sono pervenuti libri, né lettere o diari da lei composti. II suo messaggio è la sua vita semplice ed eroica. Rita fu una grande evangelizzatrice: non annuncia se stessa, ma Gesù Signore e la forza del suo mistero pasquale di croce e resurrezione.

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CASCIA Situata nella parte sudorientale dell’Umbria, Cascia sorge nella zona più montuosa della regione, vicino al Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Adagiata sul colle Sant’Agostino, è circondata da rilievi che scendono fino al fiume Corno. La prima volta che la città viene menzionata in un documento ufficiale è in occasione della guerra tra Bizantini e Goti, quando nel 553 il generale Narsete impose ad Aligerno di recarsi a Cascia per contrastare il passaggio dei soldati gotici che si stavano dirigendo dall’Umbria verso la Campania. L’origine della città si fa risalire a qualche secolo prima della fondazione di Roma. Il territorio era abitato da popolazioni italiche che vennero in contatto con la nascente civiltà romana. L’imperatore Vespasiano traeva le sue origini familiari proprio da qui. Nel 63 a.C. Cascia fu distrutta e ricostruita e, con la caduta dell’impero romano iniziò una lunga serie di dominazioni, di saccheggi e distruzioni.

Turbata dai contrasti tra guelfi e ghibellini, per porre fine alle lotte papa Paolo II fa erigere nel 1465 una rocca sulla sommità del colle Sant’Agostino, che viene smantellata nel 1517 per ordine di papa Leone X per non offrire rifugio ai ribelli. La prima metà del 1500 vide a Cascia l’avvicendarsi di sconvolgimenti politici e, nello stesso tempo, il protrarsi della fioritura delle arti figurative. Il 28 gennaio 1849 Cascia ospitò Giuseppe Garibaldi, di passaggio nella città, diretto a Roma; l’episodio è ricordato da due lapidi nella piazza principale. La collocazione di Cascia ai confini con il regno di Napoli ne ha fatto un caposaldo dello Stato pontificio, di cui Cascia è stata presidio fino al 1860.

La chiesa di San Francesco si trova in piazza Garibaldi. I Francescani, insediatisi a ridosso della cinta muraria, ormai distrutta, riedificarono la chiesa nel 1339 e nel 1424. Dell’edificio colpiscono, soprattutto, la bellezza del rosone e il portone ogivale. La chiesa di Sant’Agostino è nei pressi della rocca di Cascia, sul punto più elevato del colle. Edificata nel 1059 su una preesistente cella monastica, che accoglieva un tempio pagano, con oratorio intitolato a san Giovanni battista, fu ampliata nel 1380. L’edificio è citato in una bolla di papa Nicolò II datata 1059, quando venne promossa la costruzione dell’annesso convento agostiniano.


Sotto l’attuale si trova un vano della primitiva chiesa dell’XI secolo, decorata da maestranze umbromarchigiane.

La chiesa di Sant’Antonio abate, in via porta Orientale, è oggi adibita a museo di proprietà comunale, con annesso ex monastero benedettino. Originaria del 1400 ma ristrutturata e modificata in epoca barocca, all’interno presenta un ciclo di tele sulla storia del santo. Il ciclo delle Storie di sant’Antonio abate si ispira alle Vite dei Santissimi Padri, opera probabilmente dovuta al beato Simone Fidati di Cascia (1285 ca-1348). La collegiata di Santa Maria è uno degli edifici più vecchi di tutta la città. Di epoca longobarda, conserva un ricco patrimonio di dipinti e di arredi sacri. Si trova accanto alla porta Leonina. Al suo interno possono essere ammirate opere d’arte come il Crocifisso ligneo del 1400 e il fonte battesimale dove secondo la leggenda, nel 1381, fu battezzata santa Rita.

Il palazzo Carli è in via del Plebiscito. Sede della Biblioteca comunale che conserva, oltre ai circa cinquemila libri, rari incunaboli manoscritti e numerose cinquantine. Edificato nel XVI secolo, il suo interno è forse l’esempio più rappresentativo dell’architettura civile della città. Il palazzo Santi è sede del Museo civico, in piazza Aldo Moro. Il museo è notevole da un punto di vista sia archeologico che storico-artistico. Di particolare interesse è la sezione dedicata alla scultura, che raccoglie esemplari per lo più provenienti dal territorio circostante.

Il centro di Roccaporena è ricco di ricordi legati a santa Rita: la casa dove visse la santa, l’orto del miracolo, lo scoglio e il roseto.

La villa di San Silvestro con le rovine del Tempio pagano (II sec. a.C.) è in località La Villa presso Chiavano, che dista circa 16 chilometri da Cascia, in un’area che riveste un interesse panoramico e naturalistico per le estensioni boschive. L’ingresso al tempio era sul lato breve sudorientale e avveniva tramite una gradinata di cui si conservano tracce. Anche l’articolazione interna del tempio è stata restituita grazie alla sovrapposizione dei muri perimetrali della chiesa sulle fondazioni dei muri interni dell’edificio antico. EVENTI Le Pasquarelle, seconda domenica di gennaio. Antichi canti e strumenti della tradizione popolare della Valnerina, che andando di casa in casa, annunciano la nascita del Messia. Festa di Sant’Antonio abate, 17 gennaio Festa delle rose e delle Rite, santuario di Roccaporena, terza domenica di giugno. Un rito collettivo sulle tracce della Via Crucis che si snoda, nel pieno della notte, all’interno del piccolo centro e si conclude all’alba con la distribuzione di pani benedetti. Mostra mercato dello zafferano, ultimo fine settimana di ottobre

Degni di nota i ruderi del castello di San Giorgio e la pieve del XV secolo. 33


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Castelluccio


L’itinerario sulle tracce del benedettino

leggia ancora, tra i pochi abitanti, la calma meditativa dei monaci che vi risiedevano. Un viaggio in Valnerina non si fa solo per l’incontro leggendario con la ninfa Nerina che presso le Marmore accolse il pastorello Velino, si tratta piuttosto di un pellegrinaggio singolare, di una ricerca di valori spirituali che il misticismo eremitico, la storia dei piccoli comuni e l’arte ci hanno trasmesso. Per cogliere l’animo di antichi popoli, ricercare eremi prebenedettini e per raggiungere, ad esempio, l’ascetismo della Madonna della Stella sul Tessino, serve una particolare passione e uno spirito desideroso di ritrovare se stesso a contatto con una natura pressoché incontaminata. La statale 209 e le ramificazioni che solcano le valli raggiungono i più antichi casolari, dalle balze di Monteleone, con la vicina edicola sacra di Fonte Vecchia, ai castelli di Cascia, con il villaggio di Roccaporena e il vicino piccolo Comune di Poggiodomo, dalla piana di Norcia all’abbazia di Sant’Eutizio, dai terrazzi fluviali alle alture di Gavelli dove la valle del Nera apre il suo prezioso passato. Colpisce chi percorre l’itinerario la prima rocca dello spirito: l’abbazia di San Pietro in Valle di epoca longobarda, tra le più antiche dell’Umbria. Poco prima di Preci, in direzione di Visso, si trova la località di San Lazzaro dove secondo la tradizione fu eretto un lebbrosario intorno al 1218. Sui pendii si possono scorgere le elci sempreverdi e i filari di olivi che incorniciano i terrazzi fluviali di Sant’Anatolia, di Macenano e Colleponte e, più in basso, si erge la chiesa romanica di San Felice di Narco. Da Sant’Anatolia si può raggiungere Ceselli, frazione del Comune di Scheggino. A questo punto la valle si snoda tra filari di pioppi e di salici vigilati dai ruderi di vecchi castelli aggrappati a promontori rocciosi. A destra sorge il castello longobardo di Ponte con la pieve romanica di Santa Maria, a sinistra il castello di Cerreto di Spoleto. A pochi chilometri si trova Triponzo con le sue sorgenti solforose. Da Preci si arriva a Cerreto di Spoleto, posto sulla cima di uno sperone a dominare la valle del fiume Nera.

A

36


itinerario 1 Norcia - Abbazia di Sant’Eutizio

Km 0 0,35 0,5 0,9 1 1,2 1,9 2,5 2,8 4,1 5,8 7 7,5 7,7 8,4 9 9,3 10 10,3 11,2 13,3 13,8 14,2

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: Difficoltà: Tempo di percorrenza: Fondo stradale: Percorrenza:

Norcia abbazia di Sant’Eutizio 14,2 km +550/-520 E (escursionistico) 5h sterrato a piedi

Percorso Partenza da piazza San Benedetto. Uscire dal centro seguendo le indicazioni per Perugia e Roma. Porta Romana. Appena usciti dalle mura, all’incrocio, girare a destra. Lasciare la strada principale e girare sulla strada di sinistra. Subito dopo proseguire sullo sterrato di destra seguendo le indicazioni bianco-rosse. All’incrocio con l’asfalto attraversare la strada e proseguire diritto ancora in salita. Proseguire sullo sterrato di destra. Proseguire sullo sterrato tenendo la sinistra. Alla diramazione proseguire diritto. Svoltare sul sentiero a sinistra. All’incrocio con l’asfalto attraversare e proseguire sul sentiero di fronte. Forca d’Ancarano. Girare sullo sterrato di destra seguendo le indicazioni per i sentieri 181 e 182. Alla successiva biforcazione tenere lo sterrato di sinistra. Proseguire diritto e riprendere lo sterrato. Capo del Colle. All’incrocio girare a destra e subito dopo a sinistra seguendo la segnaletica e continuando a salire per una strada cementata. Proseguire a sinistra verso Campi Vecchio. Proseguire a sinistra in discesa. All’incrocio con l’asfalto girare a destra verso Campi Vecchio e prima di entrare nel paese prendere la strada che scende a sinistra. Dopo la chiesa di Sant’Antonio girare a destra. Girare a sinistra e dopo 100 m ancora a sinistra. Chiesa di San Salvatore. All’incrocio con l’asfalto girare a destra e subito dopo ancora a destra riprendendo lo sterrato. Alla diramazione proseguire sullo sterrato a sinistra. Proseguire a sinistra seguendo le indicazioni per Sant’Eutizio. Girare a sinistra e poi continuare a seguire le indicazioni. Acquaro. Girare a sinistra e subito dopo le scale svoltare a destra e passare sotto un portico. Abbazia di Sant’Eutizio.

37


itinerario 2 Abbazia di Sant’Eutizio Cerreto di Spoleto

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: Difficoltà: Tempo di percorrenza: Fondo stradale: Percorrenza:

Km 0 0,2 1,5 3,5 3,7 4,8 5,2 6 7,6 8,8 9,8

13,5 15,7 15,9 17,5 17,7 18

19,8 20,2 24,1

38

abbazia di Sant’Eutizio Cerreto di Spoleto 24,1 km +1170/-730 EE (escursionisti esperti) 8 h 30’ asfaltato/sterrato a piedi

Percorso Partenza dall’ingresso dell’abbazia, seguendo il sentiero che sale ai bordi della struttura. Tornati sulla strada asfaltata proseguire a destra e all’incrocio girare a sinistra continuando in salita. Successivamente seguire le indicazioni per Collescille. Subito dopo un casolare sulla sinistra, in corrispondenza di un grande albero, lasciare la strada asfaltata e girare sul sentiero di sinistra. Borgo, all’incrocio con la strada asfaltata girare a destra. Lasciare la strada principale e girare a destra in salita. All’incrocio girare a destra e subito dopo a sinistra. Dopo la chiesa di Santo Spes proseguire diritto e all’incrocio con l’asfalto girare a destra verso Saccovescio. Girare a sinistra e poi proseguire sulla strada asfaltata ancora in salita. Castelvecchio. Girare a destra e subito dopo a sinistra girando attorno al paese. Girare a sinistra. All’incrocio con l’asfalto girare a destra e subito dopo a sinistra verso San Vito. 50 metri più avanti, dopo aver superato il torrente, girare sullo sterrato di destra che lo costeggia. San Lazzaro, proseguire diritto. Proseguire diritto nel bosco. Tenere il sentiero a sinistra. All’incrocio con la strada asfaltata girare a destra. Girare a sinistra entrando ai Bagni di Triponzo. Superati i Bagni di Triponzo seguire strada sterrata in direzione Triponzo. Tratto di sentiero esposto, si consiglia l’uso di scarpe da trekking; prestare attenzione se il fondo è bagnato. Attraversato il centro di Triponzo, girare a destra sulla strada asfaltata SS 209. Attraversare la SS 209 e girare a destra sulla strada sterrata. Arrivo al centro di Cerreto di Spoleto.


itinerario 3 Cerreto di Spoleto Sant’Anatolia di Narco

Km 0 1,3 2,8 4,5 7,1 11,0 11,7 16,7 16,8

18,6 19,8 20,7

21,2 22,2 22,8

25

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: Difficoltà: Tempo di percorrenza: Fondo stradale: Percorrenza:

Cerreto di Spoleto Sant’Anatolia di Narco 25 km +1060/-1250 EE (escursionisti esperti) 8 h 30’ asfaltato/sterrato a piedi

Percorso Partenza dalla piazza centrale; si scende a destra per la chiesa di Santa Maria de Libera. Incrocio con la strada statale in località Colle del Piano: proseguire diritto in direzione della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Arrivo presso la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Girare a sinistra, seguire le indicazioni bianco-rosse. Arrivo al paese di Macchia, girare a sinistra per il sentiero seguendo le indicazioni bianco-rosse. Arrivo a Piedilacosta. Arrivo a Meggiano. Proseguire lungo il sentiero fino al centro abitato di Piedipaterno. Dalla piazza del paese proseguire verso la chiesa di San Sebastiano, prendere la strada asfaltata in salita (direzione Spoleto), dopo 50 m girare a destra per la strada sterrata e seguire le indicazioni bianco-rosse. Arrivati alla strada asfaltata in località Geppa girare a destra, poi dopo la chiesa a sinistra. In prossimità di un tornante girare a destra per la strada sterrata, seguire le indicazioni bianco-rosse. Arrivati a Grotti, nei pressi della chiesa di San Pietro girare a sinistra per la strada asfaltata, poi dopo pochi metri a destra per l’asfaltata in discesa, seguendo le indicazioni bianco-rosse. Girare a sinistra per la strada sterrata, seguendo le indicazioni bianco-rosse. Giunti a Castel San Felice oltrepassare il ponte, quindi proseguire per la strada asfaltata in discesa che passa intorno al paese. Arrivati nei pressi dell’omonima abbazia proseguire in direzione della SS 209, girare a sinistra lungo il tracciato della vecchia ferrovia, dopo gli impianti sportivi attraversare la SS 209 e proseguire per la strada sterrata in salita con le indicazioni bianco-rosse. Arrivo a Sant’Anatolia di Narco.

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itinerario 4 Sant’Anatolia di Narco Abbazia di San Pietro in Valle Km 0 0,8 1,4 2,6 4,4 6,4 7,7 9,3 9,5 10 10,4 13,3 14,9 15,4 17,3

40

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: Difficoltà: Tempo di percorrenza: Fondo stradale: Percorrenza:

Sant’Anatolia di Narco abbazia di San Pietro in Valle 17,3 km +530/-580 E (escursionistico) 6h asfaltato/sterrato a piedi

Percorso Partenza da Sant’Anatolia di Narco, in prossimità della SS 209 salire sopra il terrapieno della vecchia ferrovia, seguendo la segnaletica bianco-rossa. In corrispondenza dell’incrocio con la strada asfaltata, girare a sinistra, passare davanti al cimitero e proseguire verso il sottopasso. Arrivati in prossimità di un casolare girare a sinistra e attraversare un ponticello, seguendo le indicazioni bianco-rosse. Incrocio con una strada sterrata: prendere la strada di destra, con le indicazioni bianco-rosse. La strada prosegue nel bosco. Incrocio con un’altra sterrata: girare a sinistra. Il sentiero prosegue nel bosco. Il sentiero raggiunge il valico; inizio della discesa. Arrivo a Collefabbri. Proseguire per la strada asfaltata in direzione Ceselli. Arrivo in località Contaglia. Per visitare il paese di Ceselli girare a destra, oppure proseguire diritto fino all’incrocio con la SS 209. Oltrepassare il ponte sul fiume Nera seguendo le indicazioni della via di Roma. Imboccare la strada sterrata seguendo le indicazioni della via di Roma. Incrocio con la strada asfaltata, proseguire diritto seguendo le indicazioni della via di Roma. Arrivo a Colleponte, girare a destra e oltrepassare il ponte sul fiume Nera. All’incrocio con la SS 209, girare a destra e proseguire per la SS 209. Girare a sinistra, seguire le indicazioni per l’abbazia di San Pietro in Valle. Arrivo all’abbazia di San Pietro in Valle.


itinerario 5 Cerreto di Spoleto Poggiodomo

Km 0 0,4 0,7 0,9 1,6 1,8 1,9 2,8 4,6 12,2 0 0,3 2 2,5 12,6 14,1 16,9

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: DifficoltĂ : Tempo di percorrenza: Fondo stradale: Percorrenza:

Cerreto di Spoleto Poggiodomo 16,9 km +1500/-950 EE (escursionisti esperti) 6h asfaltato/sterrato a piedi

Percorso Partenza da Cerreto di Spoleto; alla fine del paese in via della Circonvallazione/ via degli Archi, prendere il sentiero che scende lungo la rupe. Girare a sinistra. Attraversare la SS 209. Attraversato il ponte sul fiume Nera, dopo la chiesa prendere la strada sterrata a destra. Lasciare la strada e imboccare il sentiero a sinistra. Girare a destra per la strada asfaltata. Girare a destra per il paese di Ponte e prendere la strada a sinistra sotto l’arco. Girare a sinistra lungo il fosso del fiume Tissino. Girare a destra, seguire il sentiero con la segnaletica bianco-rossa. Girare a destra. Girare a a sinistra, variante per il santuario benedettino della Madonna della Stella. Girare a sinistra. Girare a destra. Arrivo al santuario. Attraversare la SP 470. Oltrepassato il cimitero, girare a sinistra sulla strada asfaltata in direzione di Poggiodomo. Arrivo a Poggiodomo.

41


itinerario 6 Poggiodomo Monteleone di Spoleto

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: DifficoltĂ : Tempo di percorrenza: Fondo stradale: Percorrenza:

Poggiodomo Monteleone di Spoleto 12 km +470/-300 E (escursionistico) 4 h 30’ asfaltato/sterrato a piedi

Km

Percorso

0 0,7 2,7 2,8 4,2 9 10,4 11,4

Partenza da Poggiodomo. Girare a sinistra per la strada sterrata. Usigni. Girare a destra per la strada asfaltata. Girare a sinistra per la strada sterrata direzione Fonte Vecchia. Seguire la strada a sinistra. In localitĂ Colle del Capitano girare a destra. Girare a sinistra. Girare a sinistra, camminare lungo il fosso sotto il centro di Monteleone di Spoleto. Arrivo a Monteleone di Spoleto.

12

42


itinerario 7 Monteleone di Spoleto Cascia

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: DifficoltĂ : Tempo di percorrenza: Fondo stradale: Percorrenza:

Km 0 0,2 0,5 1 2,3 2,5 6,5 7,2 8,8 11,6 16

Monteleone di Spoleto Cascia 16 km +500/-840 E (escursionistico) 5 h 30’ asfaltato/sterrato a piedi

Percorso Partenza da Monteleone di Spoleto in via Umberto I. Prendere via Boccanera. Girare a sinistra per la strada sterrata. Attraversare la provinciale e proseguire sulla strada asfaltata. Girare a sinistra per la strada asfaltata. Girare a sinistra per la strada sterrata. Proseguire per la strada asfaltata. Girare a sinistra per la strada sterrata. Attraversare la SS 471 e proseguire per la strada sterrata. Attraversare l’abitato di Ocosce. Arrivo al centro di Cascia.

43


itinerario 8 Cascia - Norcia

Km 0

1,0 2,1 3,8 4,0 5,7

7,5

9,5

13,1 13,3 17,3 18,3 18,7

44

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: Difficoltà: Tempo di percorrenza: Fondo stradale: Percorrenza:

Cascia Norcia 18,7 km +670/-650 E (escursionistico) 6 h 30’ asfaltato/sterrato a piedi

Percorso Partenza da via del Pago, girare a sinistra in prossimità della collegiata di Santa Maria, proseguire diritto per via Novenio Bucchi, poi per una stradina fino alla cupola del palazzetto dello sport e oltrepassare il ponte di legno che porta all’area verde. Percorrere la pista ciclabile, passare sotto la SS 320, girare a destra per il ponticello di legno e dopo 200 m prendere la strada asfaltata. Lasciare la SS 320, girare a destra per la strada sterrata, proseguire in salita seguendo le indicazioni bianco-rosse. Attraversare la strada asfaltata, proseguire in direzione del cimitero di Col Forcella. All’incrocio con la strada sterrata, girare a sinistra in salita. Indicazioni bianco-rosse. Arrivo al cimitero di San Giorgio, girare a sinistra e proseguire per la strada asfaltata; in prossimità del bivio La Croce girare a destra per la strada sterrata, proseguire per 200 m poi prendere la strada sterrata a destra in prossimità della chiesetta della Madonna di Loreto. Arrivo ad Angriano, proseguire in direzione della chiesa di San Vito, poi a sinistra per la strada stretta in salita, quindi diritto per la strada sterrata in discesa. Seguire le indicazioni bianco-rosse. Al tornante prendere la strada sterrata di destra in salita, poi in prossimità di un prato cespuglioso a destra sempre in salita, seguire le indicazioni bianco-rosse fino a un valico che ridiscende con una sterrata alla strada asfaltata. Voltare a sinistra e proseguire fino a Ospedaletto. In prossimità della chiesa di San Filippo Neri voltare a sinistra per la strada sterrata in discesa. Arrivo alla chiesa della Madonna di Cascia, girare a sinistra e proseguire per il sentiero che porta all’interno dell’area protetta delle Marcite. Arrivo a Norcia. Proseguire fino alla piazza San Benedetto.


itinerario 9 Fonte Vecchia - Cascia

Km 0 6,5 7 11 13,4

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: DifficoltĂ : Tempo di percorrenza: Fondo stradale: Percorrenza:

Fonte Vecchia Cascia 13,4 km +130/-500 E (escursionistico) 4 h 30’ asfaltato/sterrato a piedi

Percorso Partenza da Fonte Vecchia, bivio per Cascia. Arrivo presso il centro abitato di Roccaporena. Seguire la strada asfaltata in direzione di Cascia. Seguire le indicazioni per il sentiero di Santa Rita, quindi proseguire lungo il vecchio acquedotto. Arrivo a Cascia, collegiata di Santa Maria.

45


FOLIGNO

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Trevi 680 m

Buggiano u lit . C

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Bagni di Triponzo Triponzo

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Macchia

560 m

Cerreto

420 m

di Spoleto Borgo Cerreto

780 m

1401

360 m

Meggiano Ponte

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Rocchetta o

Piedipaterno

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Grotti

Madonna d. Stella

5

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360 m

Castel S. Felice

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S. Anatolia

290 m

di Narco

Monteluco

1685

281 m

Roccaporen

M. Coscerno

980 m

Scheggino Nยก 2 0

Contaglia

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Poggiodomo Collefabbri

Usigni Fonte Vecchia

Ceselli

Abb. 360 m S. Pietro in Valle

Colleponte

Monteleone di Spoleto

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Ferentillo Monterivoso

.

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Colle Capitano

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980 m


n t i M o

Visso

M. Moricone

Castelvecchio

1429

456 m

540 m

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Preci

Abbazia S. Eutizio

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S. Lazzaro

Campi Vecchio Campi

1149

715 m

Abeto

M. Cavogna

Piè d. Colle Capo del Colle M. Patino

1884

1884 1008 m

1

Forca d’Ancarano

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Norcia 610 m

1000 m

Ospedaletto

S. Scolastica

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Castelluccio

Agriano S. Giorgio

Avendita

Colforcella 645 m

Cascia Ocosce

950 m

Forca Rua la Cama

NORCIA-CERRETO DI SPOLETO CERRETO DI SPOLETO-BORGO CERRETO

cio

BORGO CERRETO-NORCIA

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Piedivalle Acquaro


TAPPA 1 NORCIA - CERRETO DI SPOLETO

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: Difficoltà: Fondo stradale: Bici consigliata:

Norcia Cerreto di Spoleto 33 km 650 m media-difficile asfaltato da strada, ibrida

Da vedere in zona: Norcia, Forca d’Ancarano, Campi, Abbazia di Sant’Eutizio, Preci, Cerreto di Spoleto. Km

0

Percorso

Partenza da piazza San Benedetto. Uscire dal centro seguendo le indicazioni per Perugia e Roma. 0,35 Porta Romana. Appena usciti dalle mura, all’incrocio, girare a destra. Inizio della salita. 0,8 Girare a sinistra in direzione di Visso e Preci. Poi continuare in salita seguendo sempre la SP 476. 4,5 Proseguire a destra in direzione di Preci. 6,7 Valico di Forca d’Ancarano. 10 Ancarano. Proseguire diritto. 11,9 Campi. Proseguire diritto. 14 All’incrocio proseguire diritto ancora in direzione di Preci. 16 Piedivalle. Proseguire diritto. Sulla destra la deviazione per l’abbazia di Sant’Eutizio. 17,2 Bivio per Preci. Girare a sinistra per visitare il centro storico altrimenti proseguire diritto. 18 Preci. Proseguire diritto seguendo le indicazioni per “La Grande via del Parco”. 22,7 Pontechiusita. All’incrocio con la strada principale della Valnerina girare a sinistra verso Perugia. Attenzione al traffico. 30,5 Triponzo. Proseguire a destra in direzione di Terni e Norcia. 31,1 Subito dopo la galleria girare a destra verso Cerreto di Spoleto. Inizio della salita. 33 Cerreto di Spoleto. Fine della salita. Fine della tappa.

48


TAPPA 2 CERRETO DI SPOLETO BORGO CERRETO

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: Difficoltà: Fondo stradale: Bici consigliata:

Cerreto di Spoleto Borgo Cerreto 65 km 890 m difficile asfaltato, sterrato da strada, ibrida

Da vedere in zona: Cerreto di Spoleto, Meggiano, abbazia di San Felice, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, abbazia di San Pietro in Valle, Ferentillo, Borgo Cerreto. Km 0 3,6 3,7 7 9,3 11,8 13,6 14,3 15,4 16,7 22,7 23 25,6 26,6 29,6 33 37,9 39,3 39,6 40 40,8 41,4 52,2 52,6 53,6 57,3 65

Percorso Partenza dal centro di Cerreto di Spoleto. Scendere in direzione di Perugia e Foligno seguendo la SP 465. All’incrocio girare a sinistra verso Borgo Cerreto. Lasciare la strada principale e girare a destra verso Meggiano. Inizio della salita. Buggiano, proseguire ancora in salita e successivamente continuare a seguire la strada provinciale. All’incrocio proseguire diritto in direzione di Meggiano. Macchia, proseguire diritto. Fine della salita. Alla biforcazione proseguire a sinistra per la strada in discesa. Meggiano, proseguire sulla strada principale. Proseguire diritto in discesa. All’incrocio con SS 395 girare a sinistra. Svoltare a destra in direzione di Sant’Anatolia di Narco. Attenzione: discesa ripida e tortuosa. All’incrocio con la SS 209 proseguire a destra in direzione di Terni. Attenzione al traffico. Proseguire diritto in direzione di Terni. Scheggino, proseguire diritto. Ceselli, proseguire diritto. Girare a destra verso l’abbazia di San Pietro in Valle. Inizio della salita. Proseguire diritto. Inizio dello sterrato. Abbazia di San Pietro in Valle. Fine della salita. Da qui rigirare e tornare verso Cerreto di Spoleto. Fine dello sterrato. Fontanella sulla destra. All’incrocio con la SS 209 girare a sinistra e ripercorrere lo stesso itinerario fino a Castel San Felice. Proseguire diritto in direzione di Norcia e Cascia. Bivio per Sant’Anatolia di Narco. Proseguire ancora diritto verso Norcia. Castel San Felice, proseguire diritto. Sulla destra l’abbazia di San Felice. Piedipaterno, continuare ancora diritto sulla SS 209. Borgo Cerreto, parco pubblico. Fine della tappa.

49


TAPPA 3 BORGO CERRETO - NORCIA

Partenza: Arrivo: Distanza: Dislivello: Difficoltà: Fondo stradale: Bici consigliata:

Borgo Cerreto Norcia 64,5 km 1.700 m molto difficile asfaltato da strada, ibrida

Da vedere in zona: Borgo Cerreto, Ponte, eremo della Madonna della Stella, Poggiodomo, Monteleone di Spoleto, Cascia, Norcia. Km 0 0,3 0,6 1,6 7 7,7 13,4 15,5 18 21 22,8 27,4 28,9 31,6 40,5 42,6 44,1 46,2 49,1 51,6 53,1 56 63

63,7 63,8 64,5

50

Percorso Partenza dal parco pubblico di Borgo Cerreto. Muoversi in direzione di Norcia. All’incrocio girare a destra in direzione di Leonessa e Monteleone di Spoleto superando il ponte sul Nera. Sulla destra la chiesa di San Lorenzo. Proseguire tenendo la sinistra sulla SP 470. Inizio della salita. Ponte. Proseguire a sinistra sulla strada principale sempre in salita. Rocchetta. Proseguire a destra in direzione di Monteleone di Spoleto. A destra il bivio per l’eremo della Madonna della Stella raggiungibile tramite 2 km di strada sterrata. All’incrocio proseguire diritto riprendendo a salire. Poggiodomo. Continuare diritto. Usigni. Proseguire diritto. All’incrocio girare a sinistra verso Monteleone di Spoleto. Fine della salita. Punto panoramico. Proseguire a sinistra verso Monteleone di Spoleto. Monteleone di Spoleto. Proseguire a destra in discesa in direzione di Leonessa. Ruscio. All’incrocio con la strada principale girare a sinistra e seguire le indicazioni per Cascia. Proseguire diritto in direzione di Cascia. Proseguire a sinistra ancora verso Cascia. Cascia, proseguire diritto. All’incrocio girare a destra in direzione di Avendita. Dopo 100 m girare a sinistra verso Avendita, Agriano. All’incrocio proseguire a sinistra in direzione di Norcia. Avendita. Continuare a sinistra verso Norcia. Agriano. Ospedaletto, fine della salita. All’incrocio con la strada principale girare a sinistra e tornare verso il centro di Norcia. Girando a destra, dopo circa 1 km si raggiunge l’abbazia di Santa Scolastica. Girare a sinistra in direzione di Norcia centro. Girare a destra in direzione di Norcia centro e rientrare al punto di partenza. Piazza San Benedetto, fine dell’itinerario.

50


Testi di Marianna Rosati Referenze fotografiche Studio Foto Image di Massimo Chiappini Enrico Nannetti Archivio fotografico FIE: Sandro Mazzei, Fabrizio Stramaccia, Antonella Tucci STA Valnerina Ringraziamenti STA Valnerina FIE (Federazione Italiana Escursionisti) Nicola Checcarelli Enrico Nannetti

Le informazioni contenute in questa guida sono state aggiornate il più scrupolosamente possibile alla data della stampa. I dati presenti nelle cartine degli itinerari sono puramente indicativi. L'Editore declina ogni responsabilità per qualsiasi conseguenza derivante dall'uso della presente guida. Realizzazione Quattroemme © Regione Umbria

Stampato da Litoart, Città di Castello nel mese di aprile 2009 per conto di Quattroemme Editore, Perugia


Umbria cuore verde d’Italia

Unione Europea

Repubblica Italiana

Progetto cofinanziato con i fondi della L. 135/01


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