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di Priocca
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Mario Busso
Vincenzo Lonati Francesco Busso Alice Massano
Sono nato nel cuneese, le mie radici affo
a Garessio precisamente. Tuttavia le L
famiglia una meta ricorrente, meta enog
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appuntamenti culturali; nel mio immaginario
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Dei langaroli ammiro il forte senso di appa
l’amore per le tradizioni che è sinonimo di id
La cucina del “Centro” di Priocca è una p
che lo circonda, una cucina che punta al ter chiave contemporanea la tradizione. Piatti
sobrio e raffinato ma basati ed arricchi
Credo che la chiave del successo si
tradizione: chi pensa solo all’innova
apprensione il comparire di qualcosa inevit
dove proviene, chi conosce la propria storia,
incontro al fu
ondano nell’alta Valle del Tanaro,
Langhe sono per me e per la mia Sono nato nel cuneese, le mie radici affondano nell’alta Valle del Tanaro, a Garessio precisamente. Tuttavia le Langhe sono per me e per la mia famiglia una meta ricorrente, meta enogastronomica invidiata in tutto il mondo per i suoi vini, la sua cucina tipica, ma sono anche una zona ricca di appuntamenti culturali; nel mio immaginario le Langhe sono un mondo a sé, filtrato e immortalato dalle pagine di Pavese. Dei langaroli ammiro il forte senso di appartenenza verso la propria terra, l’amore per le tradizioni che è sinonimo di identità ma non di immobilismo. La cucina del “Centro” di Priocca è una perfetta sineddoche della regione che lo circonda, una cucina che punta al territorio, capace di interpretare in chiave contemporanea la tradizione. Piatti elaborati, ispirati ad un disegno sobrio e raffinato ma basati ed arricchiti da materie prime del mercato locale e stagionale. Credo che la chiave del successo sia l’innovazione nel rispetto della tradizione: chi pensa solo all’innovazione fine a se stessa vivrà con apprensione il comparire di qualcosa inevitabilmente “più nuovo”; chi sa da dove proviene, chi conosce la propria storia, saprà andare più serenamente incontro al futuro, vivendolo da protagonista.
gastronomica invidiata in tutto il
ma sono anche una zona ricca di
o le Langhe sono un mondo a sé,
mortalato dalle pagine di Pavese.
artenenza verso la propria terra,
dentità ma non di immobilismo.
perfetta sineddoche della regione
rritorio, capace di interpretare in elaborati, ispirati ad un disegno
iti da materie prime del mercato
locale e stagionale.
ia l’innovazione nel rispetto della
azione fine a se stessa vivrà con
Giugiaro tabilmente “più nuovo”; chiGiorgetto sa da
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uturo, vivendolo da protagonista.
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...il Roero, alla tavola del Centro di Priocca, è un mito che ripete significati nascosti, un rito conviviale che ha la capacità di unire la gente e scaldare il cuore, come sempre succede quando si fa qualche cosa di bello e di antico...
le colline sono le terre vocate ai grandi vini, che qui, diversamente dalla Langa, eccellono in prontezza e subitanea fragranza
In provincia di Cuneo, al confine tra le province di Asti e di Torino, il Roero si incunea tra le Langhe e il Monferrato definendo la propria identità con un sistema di ripide colline e profonde vallate. Appartengono a quest’area ristretta poco più di venti comuni, spesso abbarbicati su cocuzzoli che, con le loro torri e i loro appuntiti campanili, fanno da contrappunto ad un paesaggio del tutto particolare coltivato a vite e a frutteto e luccicante di serre dedicate a prodotti ortofrutticoli di eccellenza. Le “Rocche” in particolare costituiscono uno spettacolare scorcio del territorio e rappresentano una piacevole attrattiva per gli amanti della natura ancora selvaggia ed incontaminata. Sotto le fronde del pino silvestre, della roverella e dei castani l’autunno regala tesori gastronomici pregiati che compongono un paniere colmo di funghi porcini, ovoli e tartufi bianchi profumatissimi. Il terreno sabbioso e friabile spesso è pennellato di argille colore dell’ocra dove è facile rinvenire conchiglie e reperti fossili. Queste sono le terre in cui le fragole e gli asparagi, in primavera propiziano con i loro sapori schietti il ricco elenco
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dei prodotti del territorio, che permettono agli chef di imbandire i piatti caratteristici della cucina locale. L’estate abbonda dei tipici pomodori cuori di bue e costoluti; ammiccano i peperoni quadrati di Carmagnola, gli zucchini freschi orgogliosi della loro gialla infiorescenza. Gli stagni regalano la tinca gialla di Ceresole e Canale, da oltre cent’anni, presta il suo nome alle pesche di collina, conosciute per le antiche varietà locali introvabili altrove. Poi l’autunno anticipa i suoi colori con le pere Madernassa, una piccola frazione di Guarene dove ha avuto origine questa cultivar, oggi ricercata per la sua prelibatezza in cottura. Ma le colline sono soprattutto le terre vocate ai grandi vini, che qui, diversamente dalla Langa, eccellono in prontezza e subitanea fragranza. Le marne astiane che caratterizzano i terreni costituiscono un eccellente ambiente per il Nebbiolo, concorrendo in misura determinante a conferire al vino le sue caratteristiche specifiche.
così la vite è rimasta in collina, sui “bricchi” più alti e si è evitato lo slittamento delle colture a valle, dove più facile sarebbe stata la coltivazione e più abbondante il prodotto. I terreni bassi ancora oggi ondeggiano di grano, erba medica e granoturco
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Per avere un’idea del pregio antico
contemporaneità con stalle e allevamenti moderni, ma l’arte norcina, riprendendo i saperi di un tempo, trova alata espressione nelle salumerie locali con il tipico prosciutto arrosto e la selezione della razza bovina tocca picchi nell’allevamento del fassone piemontese, da cui le carni per la battuta cruda al coltello e i grandi arrosti e brasati. Il Roero non è terra di monumenti, capace di catalizzare i flussi turistici di massa, e non presenta neppure la facile attrattiva di vie di comunicazione facili. Chi viene nel Roero viene per la suggestione dei suoi
essere un “bell’arneis”, in piemontese presuppone una persona incline all’inventiva, alla genialità e alla vivacità... caratteristiche che ritroviamo in questo vino bandiera, a cui il Roero deve gran parte della sua fortuna
di questo vino, basta ricordare
prodotti tra cui un vino, che
che Madama Reale, nel 1600,
nel nome sintetizza lo spirito
ne pretendeva molte “carrà” alla
malizioso ed intrigante della sua
corte di Torino.
proposta: l’Arneis.
Del resto su queste colline i
Essere un “bell’arneis”, nel
viticoltori, seguendo il rituale di
piemontese locale presuppone
una gara mai dichiarata, si sono
una persona incline all’inventiva,
sempre sfidati sulla qualità. Così
alla genialità e alla vivacità...
la vite è rimasta in collina, sui
caratteristiche che ritroviamo
“bricchi” più alti e si è evitato lo
in questo vino bandiera a
slittamento delle colture a valle,
cui il Roero deve gran parte
dove più facile sarebbe stata la
della sua fortuna.
coltivazione e più abbondante il
Vitigno autoctono, l’Arneis trova
prodotto. I terreni bassi ancora
la sua prima citazione nel 1478
oggi ondeggiano di grano, erba
quando viene citato tra le uve di
medica e granoturco... esattamente
proprietà di un nobile di Canale
come un tempo... quando
che possedeva una vigna di
la famiglia contadina aveva
“muschatelli ed renexii”.
distribuito i poderi in funzione
Nel 1700 la coltivazione era già
delle risorse necessarie alla propria sussistenza. Grano e mais erano il pane e la polenta, l’erba era nutrimento per il bestiame che spesso veniva macellato direttamente nelle cascine. La tradizione approda alla
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T assai diffusa, ma, essendo la preferenza di quei tempi orientata verso vini amabili, l’Arneis veniva consumato dolce. Suona a conferma la tradizionale abitudine dei vignaioli che piantavano viti di Arneis per avere un grappolo dolce in anticipo da consumare come uva da mensa, ma soprattutto perché alcune piante inserite nei filari, con l’aroma e la dolcezza dell’uva primaticcia, attraevano la golosità degli uccelli, che di conseguenza risparmiavano le uve rosse, a quel tempo, ritenute più importanti per la vendemmia. Quanto risparmiato dagli uccelli, si vinificava dolce per rincuorare lo spirito delle donne e quello ben più impenitente degli uomini, che lo tenevano in serbo per le allegre via crucis degli ultimi giorni di carnevale, quando
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girando di cascinale in cascinale, rastrellavano vino in grandi quantità. Le ultime bottiglie arrivavano fino a Pasqua per il rituale pagano della questua delle uova e si cantava, bussando alle porte dei contadini, “...non fatemi andar via senza una bottiglia di Arneis o di Favoria..” La rima baciata obbligava alla contrazione il vero nome di un vitigno, anch’esso originario del Roero: la Favorita. Alle uve di questo vitigno, ottime
il Roero, alla tavola del Centro di Priocca, è un mito che ripete significati nascosti, un rito conviviale che ha la capacità di unire la gente e scaldare il cuore, come sempre succede quando si fa qualche cosa di bello e di antico
sia per la mensa, sia per la
succede nelle scelte di osterie e
vinificazione il poeta affida un
locande che ripropongono i cibi
messaggio di invito: “...le bionde
della più genuina tradizione locale.
favorite che al forestier che guarda
Il “Centro” di Priocca appartiene
additano il Roero...”
a questa realtà. La magia dei
Un invito che vale la pena di
suoi piatti ha storia centenaria
accettare per cogliere la magia
e il racconto della sua cucina ha
di una terra che non è Langa e
un’aura di leggenda che colloca
non è Monferrato. Il Roero nel
il ristorante nella sfera del
costume della sua gente è un
mito. Qui i piatti sono pronti a
prolungamento della propria
svelare emozioni concatenate;
coscienza; è l’affermazione della
il cibo trascende le motivazioni
propria identità rispetto al
puramente gastronomiche,
contesto culturale e geografico, di
perché dietro ad ogni ricetta
cui è partecipe non distaccato, ma
ci sono affetti e ricordi che si
al contempo propugnatore di una
confrontano con la possibilità di
autonomia definita.
reperire materie prime autentiche
Così il Roero diventa
e antiche. In tal modo si
serbatoio di cultura e di
ricompone un aggancio temporale
colture che valgono qualche
e logistico con le cascine e con
cosa di più di una semplice
quegli artigiani del gusto che
scampagnata domenicale.
conducono, per mezzo del cibo,
I protagonisti, che meglio lo
alla scoperta del territorio e del
hanno interpretato, oggi lo
passato che rigenera.
raccontano in chiave moderna
Il Roero è alla tavola del Centro
pescando nel repertorio della
di Priocca un mito che ripete
memoria storica. Succede nei
significati nascosti, un rito
vini delle marche più prestigiose,
conviviale che ha la capacità di unire la gente e scaldare il cuore, come sempre succede quando si fa qualche cosa di bello e di antico.
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...il cibo, come ogni atto della creativitĂ umana, si fa mezzo di espressione della cultura e dunque di crescita spirituale. Il cibo prelude alla conoscenza di territori e di economie che affidano al suo linguaggio la loro scoperta...
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Priocca fu abitata fin dalla preistoria dalle popolazioni Liguri, che successivamente vennero assoggettate, nel II secolo a.C., dai Romani. Delle antiche vestigia poco o nulla rimane, anche se il rilievo del Castellero, coronato di cipressi, testimonia la presenza di insediamenti di epoca romana. Goffredo Casalis nel Dizionario
Priocca rappresenta l’esempio più tipico di come nel Roero si formarono durante il Medioevo i borghi di sommità o “Villae”
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Priocca è un delizioso paese
storico geografico degli Stati di
che serpeggia allungato sulle
sua Maestà il re di Sardegna,
dorsali che uniscono il Roero
segnala l’antico borgo di “Petra
alla Piana del Tanaro. Dalla
ducia”, che fu forse il primo
statale che collega Alba ad Asti
nome dato all’abitato posto sul
la strada si inerpica per le colline
colle della Stella.
disegnate a vigneto e raggiunge
Nel Medioevo il nome Predoca
il paese facilmente riconoscibile
allude ormai a quello odierno e
per l’altissimo campanile
racconta le vicende del paese nelle
della parrocchiale.
infinite lotte che gli Astigiani
La costruzione imponente, che ha
condussero contro Alba e contro
forma neo-gotica, risale ai primi
i Conti del Roero per allargare i
anni del 1900 ed è dedicata a
loro possedimenti.
Santo Stefano; la prima citazione
Priocca, sotto il profilo
risale tuttavia al 1345 quando
urbanistico-architettonico,
la chiesa sorse come ‘oratorio’
rappresenta l’esempio più tipico
per la “Villa”. Tra il 1905 e il
di come nel Roero si formarono
1908 fu ricostruita nelle forme
durante il Medioevo i borghi di
attuali, spianando il rilievo su
sommità o “Villae”. Di norma
cui sorgevano la precedente
nella “Villa” trovava posto il
costruzione e il castello.
castello e la chiesa parrocchiale
Isolata fra i campi si trova la
e lungo la via e sulla piazza
chiesa di S. Silverio già citata nel
principale venivano erette le
1200 e salendo verso Magliano
costruzioni più importanti. Fuori
Alfieri, a circa un chilometro,
dalla “Villa” si formavano invece
si incontra l’antica Pieve di
gli “ayrali” costituiti per ogni
San Vittore, che di medioevale
nucleo familiare dalla abitazione
conserva parte della navata
civile, dalla stalla, dal fienile
centrale, mentre le absidi
e dall’aia. Negli ayrali sorsero,
semicircolari sono romaniche.
con il tempo, una o più cappelle
a sottolineare incroci di vie, antiche devozioni o compimenti di voti pronunciati in occasioni di gravi calamità. I terreni del territorio comunale sono tra i più fertili del Roero e oltre ai vigneti sono diffuse le colture di cereali, frutteti e allevamenti di bestiame da carne
tutto prelude ad una congiura gastronomica e ad un linguaggio culinario, che usando gli alimenti come parole e le ricette come poesia costruisce un canto d’amore alla terra
di razza piemontese.
sapienza come originario ed
Tutto prelude - ricorda Luciano
antico sapere di “qualcosa”, come
De Giacomi nelle Ricette di
capacità di “dare e aver gusto”;
Nonna Genia - ad una congiura
sapere come sinonimo di sapidità
gastronomica e ad un linguaggio
in contrapposizione all’ignoranza
culinario, che usando gli alimenti
intesa come insipienza e come
come parole e le ricette come
mancanza di sale...
poesia costruisce un canto
Il cibo insomma come ogni
d’amore alla terra.
atto della creatività umana, si
Che mangiare sia qualche cosa
fa mezzo di espressione della
di molto più complesso di
cultura e dunque di crescita
una semplice assimilazione di
spirituale. Il cibo prelude alla
sostanze, lo aveva già intuito
conoscenza di territori e di
Aristotele. C’è infatti una comune
economie che affidano al suo
radice tra il sapore e il sapere:
linguaggio la loro scoperta.
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Al Centro di Priocca riscopri così le radici della terra; qui è il
i saperi della cucina e la voglia di scoprirli, di esporli attraverso la lettura della tradizione, intesa nel suo più completo valore etimologico, ovvero quello di tradurre al futuro ciò che di buono offre il passato, donano un arcano vigore alla memoria e ravvivano il gusto della terra
punto di partenza di un itinerario goloso che evoca la testimonianza evoluta della storia e della cultura del Roero. I saperi della cucina e la voglia di scoprirli, di esporli attraverso la lettura della tradizione, intesa nel suo più completo valore etimologico, ovvero quello di tradurre al futuro ciò che di buono offre il passato, donano un arcano vigore alla memoria e ravvivano il gusto della terra. Una terra, un tempo povera, che tuttavia offriva incentivo alla virtuosità delle massaie; una terra, che spronava la creatività e l’estro delle persone e delle genti
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disposte a vincere la miseria, percorrendo i sentieri dell’anima; sentieri prodighi e ricchi, capaci dal nulla di offrire, per mezzo di una semplice intuizione, ricette oggi celebrate ed emozionanti. Ogni volta che salgo al Centro di Priocca, trovo questo anello di congiunzione tra le risorse della terra, ora diventata prodiga, e l’intelligenza di chi trasforma in raffinatezze quanto la natura mette a disposizione. Qui trovo la capacità di rendere viva la tradizione senza per questo esserne succube. Il gioco di equilibri, attraverso cui Elide ed
tutto è ispirato ad una piemontese perfezione. Significante e significato coincidono e subito, senza soggezione, siedi disincantato per celebrare il rito solidale del convivio
Enrico combinano e presentano i piatti, è un atto rigenerativo dell’antica intelligenza locale. Anche gli ambienti ti riportano a queste atmosfere: una casa bicentenaria, in cima alla lunga via di casette parallele ospita il ristorante. A un passo dal grande piazzale della chiesa, la porta del locale è sobria, quasi timida e si apre alle delizie. L’accesso alle salette è un luminoso corridoio veranda. Gli ambienti sono ovattati, i tavoli ben distanti e preparati con cura... tutto è ispirato ad una piemontese perfezione. Significante e significato coincidono e subito, senza soggezione, siedi disincantato per celebrare il rito solidale del convivio.
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...il Centro era l’osteria autentica dove si univa territorialità, genuità e socialità...
i sacrifici, nella storia della gente del Roero, non hanno prezzo e non si misurano con il tempo, sono il companatico della giornata, una combinazione di piacere-dovere che ispira il cammino verso il traguardo. Al raggiungimento del quale si impegnò tutta la famiglia, in particolare nonna Lidia coinvolta direttamente anche lei nell’avventura
Era una tiepida notte d’aprile del ‘56, quando alle 2 dopo la mezzanotte, Pierin Cordero sente bussare alla porta di casa. Apre con un po’ di titubanza e si trova di fronte due personaggi noti, che senza troppi indugi lo invitano a comprare il Centro di Priocca. Pierin era il personaggio che i due mediatori avevano individuato come il più idoneo per dare continuità all’epopea di un ristorante che da oltre cento anni proponeva nel Roero una delle migliori cucine del territorio. Erano certi che Pierin sapeva il fatto suo in cucina, perché aveva una lunga esperienza maturata come aiuto cuoco di un ristorante
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molto in voga ad Alassio.
Non che il prezzo fosse del tutto abbordabile, ma allora a fare la differenza in un locale erano
i biliardi, i mazzi di carte e le
stufe a segatura... tutti elementi che erano sintomo di assidua
e forte frequentazione, quindi arricchendo il locale, fecero
levitare la richiesta. Due milioni
di lire nel ‘56 erano soldi... ma di buon mattino l’affare era fatto. Pierin Cordero, con la moglie Rita, si rimbocca subito le maniche per cominciare a quadrare i conti e a delineare un
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nuovo percorso. I sacrifici, nella storia della gente del Roero, non hanno prezzo e non si misurano con il tempo, sono il companatico della giornata, una combinazione di piacere-dovere che ispira il cammino verso il traguardo. Enrico allora aveva 4 anni, ma ricorda che la nonna portò in cucina la conoscenza. Nonna Lidia era di quelle donne che arrivavano dalla gavetta di casa e il suo rodaggio lo aveva fatto attingendo allo straordinario compendio della cultura gastronomica popolare. Era una di quella donne che senza canoni codificati sapeva trasformare una risorsa povera in piatti di eccellenza. Attorno a lei si costruiscono le fondamenta del mito gastronomico del Centro di Priocca ed è con lei che i muri del locale diventano proprietà della famiglia Cordero nel volgere di pochi anni. Lidia trasmette la sua energica vitalità e la sua padronanza nell’esecuzione dei piatti a Rita Brignolo, moglie di Pierin, divenuto nel frattempo sulla
Lidia trasmette la sua energica vitalità e la sua padronanza nell’esecuzione dei piatti a Rita Brignolo, moglie di Pierin, divenuto nel frattempo sulla bocca dei paesani e della gente dei paesi vicini: Pierin del Centro. Rita entra nel ruolo, impara, mette da parte segreti e competenze e si mette dietro ai fornelli tenendo ben salde le redini della cucina
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bocca dei paesani e della gente dei
creativi... Rita era brava e basta e ha fatto la cosa più saggia, quella di ripetere la cucina di Lidia, di offrire nel suo ristorante le cose che piacciono, perché cucinate come si deve e con l’anima. Non ha inseguito e non è stata toccata dalla smania del modernismo, anche se la tentazione, dettata dalle migliorate condizioni socioeconomiche e dalla conseguente necessità di emanciparsi dalla povertà quotidiana, lasciava presagire che il cambiamento di status consistesse anche nel modificare ed eliminare le vecchie mescite e le vecchie osterie di paese. Al Centro Rita ha fatto tutto con gradualità e in cucina le manipolazioni tradizionali
il Centro era l’osteria autentica dove si univa territorialità, genuità e socialità. Il Centro di Priocca, grazie a Rita, fu uno dei rari ristoranti a passare indenne nella bufera di una malcopiata moda dettata dalla nouvelle cuisine e diventò luogo di riferimento della buona cucina di territorio
non subirono mortificazioni e paesi vicini: Pierin del Centro.
modifiche, né vennero sostituite
Rita entra nel ruolo, impara,
con altre di dubbio gusto e di
mette da parte segreti e
infausta fantasia. I peperoni
competenze e si mette dietro
carnosi al forno continuarono ad
i fornelli tenendo ben salde le redini della cucina, soprattutto quando improvvisamente Pierin, nel ‘70, lascia il suo posto volando nella brigata dei cuochi celesti. Rita non si scoraggia, ormai la scuola della vita ha fatto di lei una maestra di tradizione. A lei va dato provvidenzialmente il merito di non essersi fatta contaminare dalla moda imperante di servire, in grandi piatti, porzioni invisibili disposte con coreografie di salse e fiori, ma ha continuato a fare i suoi aerei tajarin, il suo fritto misto, la sua finanziera... senza cedere al vezzo delle definizioni che per una fase della nostra storia gastronomica hanno voluto indicare gli chef come miniaturisti, barocchi, innovativi,
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ospitare il ripieno tradizionale a base di tonno, le rosse acciughe spagnole continuarono ad essere servite rigorosamente con il bagnetto verde, il pollo alla cacciatora continuò ad essere cotto lentamente con il pomodoro, gli agnolotti del plin ad ospitare il loro ripieno tradizionale... Il Centro era
la ricchezza, la varietà, la differenza, la specificità in cucina non producono mondi chiusi, anzi definiscono un’identità della cucina che nella cultura nazionale rende chiara l’idea dello spazio, del tempo e del gruppo sociale a cui questa appartiene
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l’osteria autentica dove si univa
consacrato dalla storia.
territorialità, genuinità e socialità.
Il diluvio dell’omologazione
Il Centro di Priocca, grazie a Rita,
che si stava abbattendo sulle
fu uno dei rari ristoranti a passare
ricette, fortemente sospinto dai
indenne nella bufera di una
pregiudizi dietetici, dai mutati
malcopiata moda dettata dalla
ritmi della vita, dalle storture
nouvelle cuisine e diventò luogo
del sistema distributivo, stava
di riferimento della buona cucina
relegando nell’archeologia
di territorio. Insieme ai sapori, ha
gastronomica molti dei pilastri
messo nei piatti un patrimonio
della cucina regionale.
di saperi rappresentati dalle
Rita, senza una dichiarata
tecniche di cottura collaudate
intenzionalità, ha capito che la
negli anni e dalla cultura della
ricchezza, la varietà, la differenza,
cucina di territorio.
la specificità in cucina non
La salvaguardia, la tutela, la
producono mondi chiusi, anzi
promozione efficace e duratura
definiscono un’identità della
delle risorse di un’area passano
cucina che nella cultura nazionale
proprio attraverso le tavole
rende chiara l’idea dello spazio,
della ristorazione regionale e
del tempo e del gruppo sociale a
territoriale dove si celebra il
cui questa appartiene.
rito del piacere gastronomico
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oltre la strada, proprio di fronte al Centro, Rita affianca al patrimonio di sapori che ritrovate nel ristorante e nella sua enoteca il patrimonio di saperi rappresentato dalla sua capacità di trasmettere in modo immediato la cultura gastronomica della tradizione, arricchita da commenti arguti e ironici sui pregiudizi dietetici e sulle storture che hanno relegato all’archeologia gastronomica i pilastri della cucina territoriale
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...un sottile gusto combinatorio che privilegia la leggerezza dei sapori e la semplicità delle preparazioni. Quella divina semplicità tanto difficile oggi da ritrovare e da raggiungere nell’alta cucina!
Come il Barbera altri vini definiscono la loro personalità, si fanno complessi, parlano linguaggi stratificati e consolidano il loro collaudo sperimentando il loro abbinamento con una cucina che si fa maggiorenne. L’applicazione di nuove tecnologie di cantina e di maggiore attenzione al vigneto fanno sì che il grandioso patrimonio di vitigni di cui è ricca l’Italia e soprattutto il Piemonte si traduca in bottiglia a livelli di eccellenza.
Elide non aveva in testa la professione che il futuro le avrebbe riservato. Nel week-end, si improvvisava cameriera nei ristoranti che ospitavano matrimoni, cresime, comunioni... Una domenica le fu chiesto di andare a Priocca...
Nei primi anni ottanta, gli ospiti
Enrico capisce il senso di
del Centro, oltre ad innamorarsi
questo cambiamento ed inizia
della cucina, cominciano ad
a costruire la sua cantina,
innamorarsi anche dei vini.
adeguandola ai piatti della
Siamo nell’epoca di quella
cucina; fiuta l’innovazione,
rivoluzione enologica che porterà
imposta un rapporto di
l’Italia verso livelli altissimi di
imprenditoriale complicità con i
produzione qualitativa.
produttori più seri.
Luigi Veronelli aveva dettato il lungimirante decalogo necessario per passare da una viticoltura commerciale ad una produzione legata strettamente alla vigna. Il Rinascimento italiano del vino si manifesta di pari passo con quello della ristorazione. I vignaioli iniziano a progettare la propria diversità, il proprio stile e cercano di occupare nell’immaginario delle persone degli spazi di consumo particolari ed esclusivi. Il Barbera vino da osteria, vino da salame, vino da bisbocce, con Giacomo Bologna diventa un vino da prima pagina, un vino top.
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I vini che sceglie rispecchiano il percorso della cucina, poiché sono essi stessi espressione delle vigne e del suolo in cui nascono. Dal rapporto di dialogo e di collaborazione instaurato con i vignaioli, Enrico intuisce che un vino è grande non solo se è buono, ma anche per come viene proposto e servito a tavola. Si instaura così un legame tra le aspirazioni dei produttori e il respiro di crescita di un ristorante entro i cui confini si sta per verificare qualche cosa di nuovo... Elide arriva al Centro nel 1982. La suggestione della favola ammanta il personaggio. Elide non aveva in testa la professione che il futuro le avrebbe riservato. Come molte sue coetanee lavorava allora alla Miroglio, ad Alba, e per integrare lo stipendio, nel weekend, si improvvisava cameriera nei ristoranti che ospitavano matrimoni, cresime, comunioni... Una domenica le fu chiesto di andare a Priocca... Nell’immaginario di Elide, il paese appariva confuso oltre l’orizzonte delle mete di lavoro fino ad allora frequentate. Tuttavia accettò l’offerta e la sua
nell’immaginario di Elide, il paese appariva confuso oltre l’orizzonte delle mete di lavoro fino ad allora frequentate. Tuttavia accettò l’offerta e la sua bravura si svelò repentina. Elide confesserà che in quel paesino sperduto non avrebbe più voluto tornarci, ma Rita, che ne aveva intuito le capacità, fu incalzante e quasi ostinata
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emozioni e i suoi sentimenti, ma è lui a raccontare l’approccio gastro-galante di un tarda serata che si concretizzò al tavolo di un ristorante di Santa Vittoria. Come spesso accade, la tavola si rivelò il punto di partenza e il punto di arrivo di un bella storia d’amore. Storia di un incontro, ma storia anche di un percorso che seppe coniugare gli affetti con gli obbiettivi comuni della professione; una storia che si fa espressione di una filosofia condivisa; una storia di seduzioni sorprendenti che sarebbero state riservate in futuro anche agli ospiti del ristorante. C’è un momento della vita in cui scattano meccanismi diversi e contrastanti rispetto al passato e alle aspirazioni fino ad allora coccolate. È la sfumatura di un colore, il suono di una parola a dire che è ora di mutare percorso. Un clic improvviso nella moviola della memoria per un fermo immagine che dona subito impeccabile nitidezza alla consapevolezza e fa maturare il fuoco dal di dentro.
Veronelli arrivò in un giorno qualunque e fu onorato al desco esattamente alla pari degli operai, che all’ora del pranzo assaporavano al Centro una cucina virtuosa e ricca
bravura si svelò repentina.
All’inizio del cammino sono
Elide confesserà che in quel
deboli fiamme a languire il
paesino sperduto non avrebbe
risveglio, poi via via aumenta il
più voluto tornarci, ma Rita,
calore che va ad alimentare il
che ne aveva intuito le capacità,
bisogno del cambiamento.
fu incalzante e quasi ostinata.
Elide avanza sulle sponde di un
La chiamava e la richiamava
fiume di cui non conosce del
con insistenza. Elide alla fine
tutto la corrente, le insidie che
cedeva... poi pian piano cominciò
ci sono dietro l’ansa, ma ha le
a prendere dimestichezza con i
braccia piene di nuovi germogli
ritmi del ristorante. Il vocabolario
da innestare sull’albero della
amoroso e quello gastronomico
nuova esperienza di vita.
si intrecciano spesso: la pelle è
Il matrimonio, due splendidi
di pesca, i capelli un campo di grano, gli occhi hanno forma di mandorla o colore nocciola, le labbra rosse come ciliege... Non è dato sapere con quali parole Enrico esordì, decidendo di riversare su Elide le sue
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figli: Giampiero e Valentina e, emozione dopo emozione, tutti i tasselli che man mano si andranno ad inserire nel puzzle della sua nuova professione di chef. Elide apprende alla scuola della vita e con Rita prepara le cene dei coscritti del paese, accondiscende ai desideri golosi delle famigliole in gita domenicale, accoglie con professionalità l’intenditore, ma fa sentire a loro agio gli amici della pro-loco e i soci della bocciofila. Ad apprezzare i suoi piatti arriva Luigi Veronelli portato da Beppe Orsini, che allora scopriva per il maestro i segreti delle buone osterie di Langa. Veronelli arrivò in un giorno qualunque e fu onorato al desco esattamente alla pari degli operai, che all’ora del pranzo assaporavano al Centro una cucina virtuosa e ricca. La ricerca del buono stimolò Raspelli in un commento entusiastico, stupito per come si potessero ancora ritrovare i sapori antichi e autentici della tradizione.
la ricerca del buono stimolò Raspelli in un commento entusiastico, stupito per come si potessero ancora ritrovare i sapori antichi e autentici della tradizione. Da allora il pellegrinaggio dei critici e dei gastronomi non conosce sosta
Da allora il pellegrinaggio dei critici e dei gastronomi non conosce sosta e sebbene - per dirla con Goethe - i critici siano la peste del mondo, il coro unanime delle loro sentenze trova sintesi nell’esaltazione della semplicità e dell’equilibrio di una cucina che regala confidenza e sostanza a chi si siede al desco. Mentre Elide è in cucina, Enrico si alterna tra bar e sala e non disdegna di aprire le porte alle comitive dei giovani che dopo le serate danzanti arrivano a notte fonda al ristorante, stimolati dalle tentazioni di due tajarin appena fatti e conditi con il sugo di coniglio.
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I figli, Giampiero e Valentina, respiravano i profumi della cucina, che era la loro casa, tanto che poteva capitare che il loro letto a volte fossero i tavoli del ristorante stesso su cui dormivano avvolti in una coperta, fino a quando Elide ed Enrico salivano esausti in camera a commentare il lavoro della giornata e a dare colore al futuro. Tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda è tessuta una fitta trama di immagini, di rappresentazioni e di affetti. Un profumo, un
la cucina crea scuole, filosofie e quindi maestri che, come nell’arte, propendono per uno stile o per un altro; ne nascono seguaci, bravi o meno bravi, che, plasmati dalle teorie dei capiscuola, a loro volta interpretano e approfondiscono la didattica a cui si sono formati. Elide coglie le nuove esigenze del gusto dettate dal cambiamento generazionale e dalle mutate condizioni socio-economiche ed opera quella che potremmo definire la rivoluzione del consueto
sapore costituiscono una muta offerta sull’altare della memoria, strada maestra che conduce
Si sa che la cucina trascende
alla scoperta di sé e del proprio
la semplice preparazione di
passato. Ecco perché Giampiero
un cibo. La cucina è una sfida
e Valentina sentono oggi il
che coinvolge e trascina verso
bisogno di non abdicare a quegli
perfezioni inseguite.
insegnamenti.
La cucina crea scuole, filosofie e quindi maestri che, come nell’arte, propendono per uno stile o per un altro; ne nascono seguaci, bravi o meno bravi, che, plasmati dalle teorie
E
dei capiscuola, a loro volta
interpretano e approfondiscono la didattica a cui si sono formati. Elide coglie le nuove esigenze del gusto dettate dal cambiamento generazionale e dalle mutate condizioni socio-economiche ed opera quella che potremmo definire la rivoluzione del consueto. Una rivoluzione difficile perché non scardina i valori, ma li rigenera e li riproduce nuovi. Elide rinsalda l’identità dei piatti fino ad allora
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Elide rinsalda l’identità dei piatti fino ad allora elaborati e la sua cucina di tradizione diventa un’innovazione ben riuscita
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E
della perfezione e una feconda osmosi tra presente e passato. Cotture leggere, scelta di materie prime eccellenti, esecuzioni equilibrate, coniugazione di stagioni e di mercato da cui deriva la fisionomia di piatti i cui sapori sono ineccepibili. Così, mentre in Italia la partita che si gioca tra l’avanguardia ideologica rappresentata da Gualtiero Marchesi e la schietta aderenza alla tradizione italiana rappresentata da Franco Colombani si fa più marcata e si vanno definendo nette due linee di pensiero tra i discepoli dell’una e dell’altra corrente, Elide definisce il suo stile lontana dalle ribalte, eseguendo ricette legate alla terra, adeguando solo quando è indispensabile l’esecuzione dei piatti ai nuovi modelli alimentari, senza per questo snaturare la ricchezza di gusti, di tradizioni e di memorie storiche. Elide comprende che l’equilibrio di un piatto si raggiunge attraverso il concorso misurato degli ingredienti. Così la sua
E
Elide non ha codificato un messaggio scritto, ha fatto parlare i suoi piatti, ai quali ha regalato il linguaggio delle emozioni
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elaborati e la sua cucina di
cucina comincia ad essere
tradizione diventa un’innovazione
apprezzata, perché passa
ben riuscita.
attraverso l’essenzialità e la
Il lessico non dice tutto, perché
leggerezza. Certo ha cambiato
i pensieri messi su carta - come
i tempi e i modi di cottura, ha
dice Schopenhauer - sono come le
cambiato il modo di rispettare le
orme di un uomo che cammina
caratteristiche organolettiche di
sulla sabbia: si vede la strada che
ogni ingrediente, perché la sua
ha preso, ma per sapere ciò che
ricerca ha finalizzato l’obbiettivo
ha visto lungo la strada bisogna
di esaltare il sapore, il profumo
usare i suoi stessi occhi.
e il colore delle materie prime di
Elide non ha codificato un
cui si avvale.
messaggio scritto, ha fatto parlare
È questa la rivoluzione del
i suoi piatti, ai quali ha regalato
consueto! Facile da raccontare,
il linguaggio delle emozioni.
ma non certo da interpretare
La sua cucina è memoria, le
quando le luci della ribalta
innovazioni non stravolgono, non
e le chimere portavano a
ci sono sottrazioni o aggiunte agli
seguire vie diverse.
elementi della tradizione, né si
Oggi la cucina del Centro colpisce
scorge la tentazione di rivisitare
i sensi grazie alla sua immediatezza
per il gusto di cambiare qualche
e alla sua incisività. È una cucina
cosa. Scopri invece la passione
di non facile esecuzione, ma di
semplice comprensione. La semplicità si capta subito dalla grafica architettonica del piatto. Coreografie sobrie, essenziali, quasi minimaliste, ma all’assaggio ogni piatto rende chiara l’idea di Elide. I suoi sono piatti capaci di dispensare un sapore e un sapere maturati nella ricerca e migliorati nel tempo. L’eccezionalità della materia prima, linfa variabile e viva del territorio, suggerisce i condimenti, le cotture, le affinità tra gli ingredienti, in un sottile gusto combinatorio che privilegia la leggerezza dei sapori e la semplicità delle preparazioni. Quella divina semplicità tanto difficile oggi da ritrovare e da raggiungere nell’alta cucina! C’è chi dice che per fare una cucina adeguata ai nostri tempi bisogna guardare alle cucine del mondo; alcuni gastronomi consigliano che per cucinare occorre avere in mano un atlante generale delle cucine; chi sostiene che così come esiste una globalizzazione della cultura e dei valori sociali e dei modelli economici, così dovrebbe esserci una globalizzazione della cucina. Personalmente ritengo che quest’ottica di pensiero, che spesso piace ad alcune prestigiose guide che conducono gli chef nell’empireo stellato, sia rischiosa e deviante. La territorialità della cucina va tutelata, non come difesa di regionalismi o campanilismi, ma per quello che le valenze locali sanno apportare
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di diverso e di distinguibile. La profezia di un adeguamento al gusto internazionale sta segnando il passo e sta emergendo un interesse del tutto nuovo ispirato alle biodiversità dei luoghi. Il metabolismo gastronomico operato dalla storia passa certamente attraverso evoluzioni e mutamenti, tuttavia l’affermazione di abitudini nuove si intreccia con i sedimenti stratificati della memoria. Questo permette di rompere volta dei punti più avanzati di equilibrio. Partendo da queste premesse la cucina di Elide si fa espressione di una esigenza contemporanea e consolida la sua innovazione rispetto al passato. Su questa lunghezza d’onda si sono inseriti tutti gli stagisti, che si sono alternati nella cucina del Centro. Alcuni di loro hanno dato vita ad esperienze autonome, altri hanno portato nei loro territori di origine gli insegnamenti appresi alla scuola di Elide. Alberto Roagna invece è rimasto e condivide la voglia di comunicare, per mezzo del cibo, la cultura gastronomica del territorio e le emozioni. Lui, nativo di Priocca, ha respirato e vissuto le arie e le atmosfere e ha fatto sua la passione, la vitalità, l’intraprendenza e l’impegno, portando all’unisono il messaggio che la cucina del Centro vuole trasmettere ai convitati.
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l’eccezionalità della materia prima, linfa variabile e viva del territorio, suggerisce i condimenti, le cotture, le affinità tra gli ingredienti, in un sottile gusto combinatorio che privilegia la leggerezza dei sapori e la semplicità delle preparazioni. Quella divina semplicità tanto difficile oggi da ritrovare e da raggiungere nell’alta cucina!
E
la staticità e di stabilire ogni
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ad eg l i amic i
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...gustare è comprendere, ovvero prendere dentro di sÊ. Per riuscirci non basta riconoscere un piatto, bisogna andare alle sue suggestioni e partecipare della ricchezza delle sue provocazioni...
La cerimonia non fu interrotta, il pranzo fu celebrato perché Pierin del Centro lo avrebbe voluto e si era certi che stava già sorridendo dalle infinite profondità di un mondo in cui le stagioni non si contano con il tempo. Il timone passa dunque ad Enrico e a Rita, che si puntellano a vicenda, raccolgono le forze e con nonna Lidia riprendono il cammino. Enrico si trovò un locale da mandare avanti e una cantina dove all’epoca si imbottigliavano 200 damigiane di Barbera e 20 di Nebbiolo. Lavorando sempre in salita, i risultati non mancano ad arrivare e pochi anni dopo, a fronte delle esigenze della nuova clientela, Enrico installa
il ristorante cominciava a raccogliere consensi anche al di fuori dal territorio. Già allora il fritto misto alla piemontese veniva proposto come il piatto più significativo ed i commensali ne diffondevano la notizia
una nuova cucina. Il ristorante cominciava a raccogliere consensi Quando Giovanni,
anche al di fuori dal territorio.
nell’Apocalisse, fa dire al suo
Già allora il fritto misto alla
Cristo: “Il sono il Primo e l’Ultimo,
piemontese veniva proposto
l’Alfa e l’Omega, l’Inizio e la Fine,
come il piatto più significativo ed
l’Origine e il Punto d’arrivo”, indicava
i commensali ne diffondevano
che in natura esiste una sorta di
la notizia con quel passaparola
“finalismo”, di “ricapitolazione
che ha fatto le fortune di tante
intelligente delle cose”.
attività artigianali.
È come se la natura si preoccupasse di voler terminare ogni volta un ciclo, in cui però la fine prelude ad un inizio non esattamente identico. Pierin del Centro mancò improvvisamente quando Enrico aveva 18 anni. Correva allora l’anno ’70. Oggi di tempo ne è passato, ma il racconto nelle parole di Enrico ha note ancora commosse distribuite su un rigo ovattato densamente emotivo. Quel giorno il ristorante ospitava il pranzo di nozze della nipote di Pierin.
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Enrico pone le basi della sua filosofia di patron, spiegando che non ha mai voluto arrivare al successo percorrendo scorciatoie e ha fatto suo il monito paterno “...di non perdere un cliente per una fetta di arrosto riscaldato...”
I miglioramenti continui, la scelta
scoperto che in fondo ne stava
delle materie prime, l’attenzione
ricalcando le orme.
costante nella ricerca del vino,
Enrico pone le basi della sua
prima sfuso e poi in bottiglia,
filosofia di patron, spiegando
un’affabilità straordinaria nei
che non ha mai voluto arrivare al
rapporti con i clienti, grazie ad
successo percorrendo scorciatoie e
Enrico, hanno fatto sì che in
ha fatto suo il monito paterno
quegli anni il Centro offrisse un
“...di non perdere un cliente per una
punto di incontro stimolante.
fetta di arrosto riscaldato...”
La cucina da par suo offriva
Nella precisa lezione del padre,
patti di interesse e sempre più
incisa nella sobrietà scarna
la cantina si arricchiva di vini
di pochissime parole, c’è la
abbinabili ai piatti, serviti a prezzi
profondità filosofica che si ritrova
onesti e vantaggiosi.
ancora oggi nel Dna di Enrico.
Corrado Alvaro ebbe a scrivere
Ricerca delle materie prime e
nella sua biografia, che per tutta la sua vita aveva tentato di essere diverso dal proprio padre, poi nell’età della maturità aveva
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Enrico, nei primi anni ottanta, inizia con assiduità a girare le cantine per conoscere i produttori e degustare i vini. Con i produttori instaura una sinergia di grande efficacia: il vino diventa elemento di collaborazione e di aggregazione reciproca: assieme ai vini i produttori portano al Centro i loro clienti e poi i loro collaboratori e poi i giornalisti e si innescano in modo spontaneo quei meccanismi di divulgazione e di affermazione di immagine che farebbero invidia ai più agguerriti e moderni uomini delle pubbliche relazioni e del marketing
impegno costante sono elementi che danno continuità al lavoro appreso dalla nonna e dalla mamma. Ma Enrico innesca una prima piccola sostanziale rivoluzione. Nei primi anni ottanta, inizia con assiduità a girare le cantine per conoscere i produttori e degustare i vini. Con i produttori instaura una sinergia di grande efficacia: il vino diventa elemento di collaborazione e di aggregazione reciproca: assieme ai vini i produttori portano al Centro i loro clienti e poi i loro collaboratori e poi i giornalisti e si innescano in modo spontaneo quei meccanismi di divulgazione e di affermazione di immagine che farebbero invidia ai più agguerriti e moderni uomini delle pubbliche relazioni e del marketing. L’altra rivoluzione la costruisce insieme ad Elide. Si trattava di non rinnegare la cucina delle proprie radici, ma era necessario rivederla, ingentilirla e migliorarla ancora. La clientela che arrivava era via via più esigente. Enrico opera nuovi investimenti, migliora la cucina, l’ingresso, le salette ed Elide perfeziona la proposta gastronomica. Arriva il successo, che guide, giornalisti, e media amplificano nelle lingue parlate in ogni parte del globo. Loro, Elide ed Enrico, però rimangono persone. Le luci della ribalta non li accecano.
E 44
Ostentano il sorriso della
noi stessi. Non sarà un ragionamento
soddisfazione, ma evitano di
economicamente impeccabile, ma io
recitare parti che non sono loro
credo che i clienti ci ripagheranno
consone. Soprattutto non è
di questa scelta, portando al Centro
cambiato il rapporto umano ed
nuovi amici”.
economico che hanno con chi si
Nel ragionamento di Enrico ci
siede a convivio.
sono due parole chiave: casa
La maggiore attenzione ai piatti,
ed amici. Due elementi che
corredi, stoviglie e bicchieri più
sono sintomo di sensibilità,
raffinati, il restiling del locale
disponibilità e di apertura. Al
non hanno fatto levitare il
Centro trovi il calore della casa e
costo del menù.
la calda atmosfera dell’amicizia.
Enrico su questo ha una risposta
Il Centro è sempre stato ciò che
sicura: “...non trovo affatto giusto
dice il suo nome: un punto di
far pagare ai commensali, agli ospiti
raccolta per la gente del posto,
le migliorie apportate. Abbiamo
tanti amici che hanno condiviso
reso la nostra casa più bella,
la vita della comunità.
l’investimento gratifica soprattutto
Oggi che la comunità è il mondo,
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arriva il successo, che guide, giornalisti, televisioni e giornali amplificano nelle lingue parlate in ogni parte del globo. Loro, Elide ed Enrico, però rimangono persone. Le luci della ribalta non li accecano
carne e formaggi sono due autentici protagonisti delle tavole di Langa e Roero. La meticolosa selezione di Enrico ed Elide ha privilegiato le carni di Luca Cordero di Magliano e quelle dei fratelli Cordero di Neive, abili anche nell’arte norcina perchè dalle loro mani nascono prosciutti e salumi tipici
c 46
f
per i formaggi si sale in Alta Langa a Paroldo, dove in cascina Raflazz il latte delle pecore allevate in condizioni di agricoltura biologica viene trasformato nei migliori formaggi del territorio
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compaesani, italiani e stranieri
e accenna una battuta o una
trovano nel centro una comunione
sottolineatura compiacente, ma
condivisa di calde atmosfere.
non di maniera; sa appoggiare
Enrico, sempre più orientato nel
il consiglio di un vino laddove,
servizio di sala, non ha bisogno
a volte, l’indecisione dell’ospite
di portare in tavola il menù, lo
lascia spazio per il suo
propone senza fronzoli, proprio
competente intervento.
come è lui, ma gli enunciati
Enrico sa confrontarsi, senza
sono stimoli golosi perché il
essere invadente. Si verifica
loro racconto e i modi della loro
spesso che il piatto che viene
elaborazione sono parte della
servito al tavolo trascenda il
cultura di Enrico.
semplice sapore e diventi foriero
Più che ordinare un piatto, cerchi
di una comunicazione ben più
nei suoi occhi l’appagamento
importante. La percezione di
goloso e quando lo scorgi più
un gusto particolare provoca
intenso, lasci a lui la scelta di
una domanda cui Enrico
una proposta, che lui sa essere
suggerisce risposte meditate
per te la migliore. Ricorda i gusti
che spesso si approfondiscono
del commensale, lo asseconda
in un dialogo che non sarebbe
con una battuta, passa da
mai nato senza l’interferenza
un tavolo all’altro senza mai
di quella emozione. È in quel
intromettersi; coglie un vezzo
momento che il personaggio, con
un piatto o una ricetta sono parte di una storia non solo personale, ma rivelano nella loro essenza la cultura di un popolo. Pertanto gustare è comprendere, ovvero prendere dentro di sé. Per riuscirci non basta riconoscere un piatto, bisogna andare alle sue suggestioni e partecipare della ricchezza delle sue provocazioni
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dosata discrezione, spesso con
tradizione culinaria d’eccellenza,
misurato umorismo, esprime la
in cui madri e nonne coltivavano
sua passionalità, il suo quadro
un’arte delicata, succulenta ed
ideologico della cucina, del
evocativa. Non tanto e non solo
vino e della vita, le convinzioni
per i suoi sapori, ma per la civiltà
più vive e fervide legate alla
con la quale i piatti venivano
sua professione. Un piatto o
preparati e serviti, quando
una ricetta sono parte di una
l’approntare il pranzo, soprattutto
storia non solo personale, ma
quello della festa, era un rito
rivelano nella loro essenza la
che impegnava il pomeriggio
cultura di un popolo. Pertanto
precedente e la mattina e il
gustare è comprendere, ovvero
consumarlo insieme in famiglia
prendere dentro di sé. Per
era la celebrazione di un legame
riuscirci non basta riconoscere
di affetto e di solidarietà.
un piatto, bisogna andare alle
Ebbene con Enrico al Centro
sue suggestioni e partecipare
rivivi quella dimensione,
della ricchezza delle sue
riassapori atmosfere che
provocazioni. All’espressione
la memoria storica non ha
corrispondente al piacere che
cancellato e che, nelle tre salette
si prova a tavola, tradotta in un
del ristorante, ti circondano
banalissimo “buono”, Enrico
attuali e sincere.
dà una valutazione semantica molto più ampia. Il colore di un ricordo, la metafora di un richiamo alla propria esperienza, l’accenno di un aneddoto piccante, l’evocazione di un personaggio importante creano un’assonanza di sentimenti e portano l’ospite a godere di un piacere che ha toccato le corde emotive di Enrico. Commentare un piatto con lui non è puro esercizio dei sensi... occorre un vocabolario più ampio il cui lessico spesso non esaurisce l’insieme delle sensazioni. Capita così che il piacere di un piatto coinvolga sensazioni e pensieri e faccia affiorare una molteplicità di emozioni e di linguaggi che portano alla scoperta degli affetti e dell’universo dei sentimenti. Chi cucina con passione e chi spiega il piatto con altrettanto trasporto in genere è stato pasciuto nell’alveo di una
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commentare un piatto con Enrico non è puro esercizio dei sensi... occorre un vocabolario più ampio il cui lessico spesso non esaurisce l’insieme delle sensazioni
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to g ast r onomico, ma identità
è
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pe ra n
Giampiero Valentina un
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...le necessità dell’uomo cambiano in funzione dei modelli di vita che sono in continua evoluzione. Quindi anche la cucina deve cambiare, ma questo non significa che si debba snaturare...
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le necessità dell’uomo cambiano in funzione dei modelli di vita che sono in continua evoluzione. Quindi anche la cucina deve cambiare, ma questo non significa che si debba snaturare
Il modo migliore di pensare
Valentina sta predisponendo
al futuro consiste nel crearlo
la laurea in filosofia teoretica
un giorno alla volta. Tutti
a Torino.
siamo coscienti che le necessità
Entrambi tuttavia hanno nel
dell’uomo cambiano in funzione
sangue il ristorante. Sono
dei modelli di vita che sono in
cresciuti nei sapori, nei profumi
continua evoluzione. Quindi
e nei saperi della sala e della
anche la cucina deve cambiare,
cucina, perché sia Giampiero
ma questo non significa che si
che Valentina non si sono mai
debba snaturare.
sottratti al costume di famiglia
Partendo dal concetto che
di essere parte attiva nella
esistono cose già fatte, non
professione dei genitori. Tant’è
necessariamente bisogna demolire,
vero che il ristorante li impegna
scomporre, destrutturare, per
contemporaneamente allo
ricomporre al nuovo.
studio e allo sport. Giampiero in
Sono concetti che anche
particolare, oltre che studente,
Giampiero e Valentina, figli
è un terzino che alcune grandi
di Elide ed Enrico, stanno
squadre di calcio vorrebbero
scoprendo e facendo propri.
fare proprio. Enrico e Elide
Al momento seguono indirizzi
sono orgogliosi e lo spingono
autonomi e diversi dalla
ad approfondire questa sua
ristorazione.
innata abilità, ma lui preferisce
Giampiero sta concludendo la
concentrare le sue attenzioni
scuola di enologia ad Alba e
su progetti diversi. Il ristorante rimane un obbiettivo verso cui sta già incanalando idee che consolidano l’impronta lasciata dai genitori. Valentina è fatta della stessa pasta, anche se non si sbilancia sulle innovazioni che vorrebbe apportare. L’uno e l’altro sanno tuttavia che elaborare un progetto lontano dal proprio back-ground non fa parte del loro modo di pensare, infatti sono dell’idea che si può creare qualche cosa di assolutamente nuovo ripescando nella memoria gustativa, proponendo sensazioni antiche che si possono e si vogliono rivivere in chiave contemporanea. Questo non significa trasformare la memoria in sentimentalismo, significa non disgiungere la tecnica dalle emozioni. La cucina è fondamentalmente un’esplosione
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g di sensazioni e di emozioni.
Se in futuro si dimenticassero queste caratteristiche, si farebbe qualche cosa di diverso, si farebbe tecnologia culinaria. Non è
cucina di territorio quella cucina che ispirandosi ai prodotti tipici di un luogo confeziona pappine, spume, gelatine servite in
bicchierini, tazzine e cucchiai. La composizione di questi piatti procura la stessa soddisfazione di una poesia ridotta alla lista delle parole che la compongono.
Questo non significa che non si debba sperimentare e fare ricerca, perché la cucina deve andare avanti, ma c’è il rischio che tra pochi anni ci potremmo trovare, non dico ai cyber-cibi, ma di certo all’omologazione più assoluta. Oggi nell’alta ristorazione stellata
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v
esiste una sorta di esperanto
gastronomico grazie al quale - per dirla con Piero Meldini - parlano tutti alla stessa maniera, da
essere a Parigi come a New York. Sembra quasi voler risuscitare
il modello universalistico della cucina signorile premoderna, del tutto priva di inflessioni dialettali. I piatti sono tutti perfettini, belli, televisivi e
fotogenici, intercambiabili e noiosi.
Una cucina di territorio di
nome e di fatto è quella che del territorio sa andare alle
radici e identificare il peculiare sistema dei sapori.
Se dunque il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei propri sogni, Giampiero e
Valentina di sogni ne hanno e
sembrano in linea con gli stessi sogni dei loro genitori.
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Se è vera la premonizione di Nietzsche che il futuro influenza il presente quanto il passato, è
base, stagionali e del territorio,
sperabile che anche Giampiero
combinata con cotture sapienti,
e Valentina si sottraggano alle
che vuol dire tempi giusti,
tentazioni di quel progresso
materiali e forme adatte.
che colora, idrogena, imbianca,
Valentina sa che la filosofia
gelifica, addensa... Sono questi gli
teoretica può in un certo senso
elementi trainanti che si stanno
essere definita la parte più
sedimentando nella dispensa di
generale della filosofia, perché
molti ristoranti alla moda.
è proprio essa ad occuparsi
Giampiero e Valentina nei loro
specificamente della definizione
propositi sembrano invece farci
degli ambiti in cui le varie
gustare per il futuro la possibilità
branche di questa scienza si
di sedere con i piedi sotto il
trovano ad operare e dei metodi
tavolo, da persone normali, e
che queste devono adottare
sembrano volerci far gustare
per risolvere i propri problemi
ancora i piatti della memoria
specifici. Traslando il concetto,
storica. Non perché sono
questa riflessione porta ad un
reazionari, ma perché sanno
progetto in cui il Centro di
che la grandezza e la difficoltà
Priocca si fisserà ancora nella
della cucina è direttamente
galassia della ristorazione come
proporzionale alla sua semplicità.
un punto della terra promessa, se
È più difficile cucinare un piatto
anche in futuro saprà codificare
con tre ingredienti che non
la sua cucina nella definizione di
con venti elaborati sotto forma
un ambito e di un metodo che
di salsine, cremine, gelatine,
portano alle radici gastronomiche
come vien bene, guarda caso,
del Roero e della Langa.
ai celebrati cugini d’oltralpe. Un cattivo cuoco abbonda negli elementi per centrifugare e nascondere spesso una sostanziale banalità di scelta nelle materie prime, quando invece il faro è e deve essere uno solo: assoluta qualità dei prodotti
Giampiero e Valentina nei loro propositi sembrano farci gustare per il futuro la possibilità di sedere con i piedi sotto il tavolo, da persone normali, e sembrano volerci far gustare ancora i piatti della memoria storica. Non perché sono reazionari, ma perché sanno che la grandezza e la difficoltà della cucina è direttamente proporzionale alla sua semplicità
g
se il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei propri sogni, Giampiero e Valentina di sogni ne hanno e sembrano in linea con gli stessi sogni dei loro genitori
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C il Centro di Priocca...
C ...dove i sapori della tradizione alimentano il futuro
L’eccellenza si basa su poche cose: la preocc
fare be
Il Centro è tutto questo. La sintesi di questi f
Ci sono piatti d’antan come le cosce d tajarin alle verdure, le lumache in umido,
il fritto misto... poi seguendo la stagionalità c
cipolla come non avete mai mangiato, una c
leggerezza, un fegato di coniglio arrostito alla p
pom
Il Centro non avrebbe tuttavia la sua repu
cucina e la sala, dove Enrico fa sentire ognu
mai invadente, priva di os
Infine che vita sarebbe qu
La cantina qui racchiude centinaia di referen
Il Centro oggi si può considerare uno dei luogh
la cucina delle Langhe e del Roero; una cu
moderna del passato. Non è un parados
cupazione del dettaglio, la voglia di L’eccellenza si basa su poche cose: la preoccupazione del dettaglio, la voglia di fare bene, il rispetto del cliente, il talento. Il Centro è tutto questo. La sintesi di questi fattori è la chiave del suo successo. Perché andare al ristorante? Ci sono gli habitués, quelli che frequentano il Centro per la bravura in cucina di Elide e il tatto di Enrico in sala. Poi ci sono quelli che per caso o leggendo una guida si fermano a Priocca. C’è sempre una prima volta. In quel dato momento, l’ospite, sia esso italiano o straniero, tocca la punta dell’eccezionalità: materie prime di grande qualità, cotture millimetriche, sapori integri. Gusti di altri tempi in cui il rispetto della tradizione non è atteggiamento passivo, ma progressione verso la modernità. Ci sono piatti d’antan come le cosce di rane fritte, i plin burro e salvia, i tajarin alle verdure, le lumache in umido, la lingua al verde, la bagna caöda, il fritto misto... poi seguendo la stagionalità capita di apprezzare una semplice cipolla come non avete mai mangiato, una crema di Grana Padano di eterea leggerezza, un fegato di coniglio arrostito alla perfezione... fettuccine con favette e pomodori che hanno il sapore del sole. Il Centro non avrebbe tuttavia la sua reputazione senza la complicità tra la cucina e la sala, dove Enrico fa sentire ognuno a casa propria. Una presenza mai invadente, priva di ossequiosità, ma densa di amicizia. Al Centro niente menù, niente carta. Enrico enuncia con voce sicura i piatti disponibili. Si dice che questo modo di fare non
piaccia alla guida Michelin, che non ha ancora dato al ristorante una stellina, che sarebbe ampiamente meritata e giustificata. Infine che vita sarebbe quella di un ristorante senza i vini? La cantina qui racchiude centinaia di referenze e migliaia di bottiglie, non solo piemontesi, di rara eccellenza. Infine la storia! Senza l’incontro con Enrico, Elide non sarebbe mai diventata cuoca. Enrico era figlio di ristoratori e in questo stesso luogo sua madre declinava in modo egregio i piatti del territorio. Il Centro già aveva una forte reputazione che Enrico e Elide appena sposati hanno ereditato e traghettato verso il successo. Ma la storia sarebbe stata banale, se Elide in cucina non fosse riuscita ad imprimere il suo marchio. Elide non ha alterato i gusti: ha modificato le tecniche e i tempi di cottura. Ha cambiato un ingrediente, ne ha introdotto uno nuovo... ma alla base sta la semplicità e proprio per questo sostiene che la sua cucina possiamo tranquillamente riproporla a casa! Personalmente nutro dei dubbi, perché dietro la riuscita di un piatto, per quanto semplice, c’è grande abilità e tecnica. Il Centro oggi si può considerare uno dei luoghi che custodiscono più fedelmente la cucina delle Langhe e del Roero; una cucina che esprime una concezione moderna del passato. Non è un paradosso. È l’evoluzione di una passione.
ene, il rispetto del cliente, il talento.
fattori è la chiave del suo successo.
di rane fritte, i plin burro e salvia, i
la lingua al verde, la bagna caöda,
capita di apprezzare una semplice
crema di Grana Padano di eterea
perfezione... fettuccine con favette e
modori che hanno il sapore del sole.
putazione senza la complicità tra la
uno a casa propria. Una presenza
ssequiosità, ma densa di amicizia.
uella di un ristorante senza i vini?
nze e migliaia di bottiglie, non solo piemontesi, di rara eccellenza.
hi che custodiscono più fedelmente
Bernard Degiovanni
ucina che esprime una concezione
sso. È l’evoluzione di una passione.
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antipasti m pri
p i s or im
...Gastarea è la decima musa: essa presiede ai piaceri del gusto. Potrebbe pretendere il dominio dell’universo, perché l’universo non è nulla senza la vita e tutto ciò che vive si nutre... Jean-Anthelme Brillat-Savarin
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r a Un tempo le rane popolavano le campagne piemontesi, perché nessun contadino faceva uso di pesticidi. Poi, con l’utilizzo dei concimi chimici, le rane, che si cibavano d’insetti, cominciarono a sparire dal paesaggio agreste e di conseguenza anche dalle tavole dei buongustai. La maggior parte della carne di rana consumata oggi in Italia proviene dai paesi balcanici e possiamo trovare queste prelibatezze “a filetti” sui banchi delle migliori pescherie.
Langhe Doc Bianco Azienda Agricola Gastaldi Spumante Riserva 2002 Contratto
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Coscette di rane fritte su verdure croccanti e puré di piselli 1 kg di rane, 2 carote, 1 zucchina, 1 manciata di piselli freschi, 1 scalogno, pangrattato, olio extravergine di oliva, olio di semi di arachide, 1 tazza di brodo vegetale, sale
e
C 1 girello di circa 2 kg, 2 carote, 2 cipolle, 2 gambi di sedano per la salsa: 3 uova, 3 dl di olio extravergine di oliva, 1 manciata di prezzemolo, maggiorana, 5/6 steli di erba cipollina, aglio, cetrioli, limone, fiori di capperi, sale, pepe
Coscia di vitello in salsa Cavour Porto ad ebollizione l’acqua con i profumi e il sale, quindi immergo il girello e lo cuocio
a fiamma bassa per 40 minuti. Tolgo la carne
dal fuoco e la lascio raffreddare nel suo brodo. Nel frattempo preparo la maionese montando
le uova con l’olio. Ottenuta una consistenza
piuttosto densa, condisco la maionese con le
erbette e i cetrioli tritati finemente, aggiusto
di sale, pepe e limone. Taglio le fette di carne
molto sottili e condisco con la salsa ottenuta.
Compongo il piatto con la salsa disposta sopra
la carne aggiungendo i fiori di capperi.
Cavour con l’enogastronomia ha un rapporto molto stretto, perché fu lui a introdurre la coltivazione degli asparagi e a dare avvio ai nuovi modelli di vinificazione che portarono al re dei vini: il Barolo. Famoso è anche l’aneddoto gastropolitico secondo cui lo statista nel 1860 a Parigi “fece ingoiare il tricolore italiano” all’Imperatore d’Austria con un piatto di agnolotti: bianchi di pasta normale, rossi impastati con barbabietola e verdi impastati con gli spinaci. Piatto che conobbe un grande successo in tutto il Piemonte fino all’inizio del Novecento.
Marie Stuart Importato da Mgm - Mondo del Vino Cascina Ca’ Rossa
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n C a Il mercato ortofrutticolo di Canale
Canale lega il suo nome al frutto che l’ha resa famosa nel mondo: la pesca. Le canzoni del primo Novecento echeggiavano nei loro versi la vivacità godereccia della Belle Epoque: “...Canal l’è rinomà pel sò comersi Canal l’è famos per sò marcà Canal per la richessa di sò persi L’à nen da fè con gnuna gran sità( )...”
Oggi di quella gloria rimane
( ) ...Canale è rinomata per il suo commercio Canale è famosa per il suo mercato Canale, per la ricchezza delle sue pesche può competere con qualsiasi grande città...
un’eredità preziosa e Canale
continua ad essere il cuore pulsante del Roero e dei
comuni che si sono consorziati
nel mercato cittadino per
commercializzare e valorizzare, insieme alle pesche di collina, le primizie ortofrutticole.
Dell’attuale struttura,
antesignano fu il mercato delle pesche sorto nel 1908. Da lì partivano dapprima i carri,
poi i camions che portavano
nelle principali città italiane il
frutto “dallo squisito sapore in
vellutata veste”.
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l nC 69
g 70
o g La barba di frate o agretto è una pianta costituita da ciuffetti verdi, conosciuta anche con il nome di senape dei monaci. Le foglie sono simili a quelle dell’erba cipollina, hanno colore verde brillante ed hanno un sapore leggermente acidulo. Al momento dell’acquisto, controllate che le foglie che costituiscono i mazzetti siano croccanti e tenere e fate attenzione che il colore non presenti sfumature giallognole. Conservate i mazzetti in luogo fresco e asciutto non oltre i quattro giorni dall’acquisto. La barba di frate ha proprietà rinfrescanti e leggermente toniche, inoltre contribuisce a depurare il sangue.
go Crema di gorgonzola con barba di frate o agretto
Dolcetto d’Alba Doc Azienda Agricola Elio Altare
Roero Arneis Docg Sito dei Fossili Azenda Agricola Bric Cenciurio
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r
2 mazzetti di barba di frate, 200 g di latte, 200 g di gorgonzola dolce, 50 g di panna, 6 uova di quaglia, 1 noce di burro, 1 cucchiaino di fecola di patate, sale
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cgn Il coniglio Grigio di Carmagnola è una delle razze più nobili del Piemonte e ha preso origine da una popolazione locale di conigli comuni a mantello grigio, molto diffusi nelle aziende piemontesi dove sono allevati in piccoli nuclei a terra o in gabbie di legno e alimentati con erba e fieno e scarti di cucina. Le carni sono di ottima qualità, pregevoli per bianchezza, tenerezza e delicatezza di sapore.
o
Filetto di coniglio grigio con zucchine e uova di quaglia in carpione 4 filetti di coniglio, 4 uova di quaglia, 4 zucchine, 5 spicchi d’aglio, 4/5 foglie salvia, 2 bicchieri di vino bianco, 2 bicchieri di aceto di vino, pane grattugiato, 2 uova, 1 cipolla bionda, olio extravergine d’oliva, insalatina mista, sale
Roero Arneis Docg Azienda Agricola Cornarea
Collio Doc Ribolla Gialla Ruttars Azienda Agricola Puiatti
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a c Verdure con bagna caöda
Molte località piemontesi si contendono la paternità di questo emblema della gastronomia regionale, che in realtà nasce anticamente sulle coste della Provenza, con il nome di “Anchoiade”. Furono i mercanti astigiani nel Medioevo, durante le loro spedizioni per rifornirsi di sale e acciughe, a conoscerla e a diffonderla nel Sud del Piemonte. Cibo contadino, a lungo aborrito dalle classi superiori a causa dell’aglio, ha lasciato pochissime tracce di sé nei testi gastronomici e solo nel 1875 il romanziere Roberto Sacchetti la descrive simile come la conosciamo ancora oggi.
per la bagna caöda: 10 spicchi di aglio, 4 filetti di acciughe sottosale, 150 ml di olio extravergine di oliva per le verdure: 1 peperone rosso, 1 peperone giallo, 2 topinanbur, 1 porro, 1 broccolo, 2 zucchine, 1 cardo, 1 barbabietola, 1 rapa bianca, 1 cavolfiore, 4 rapanelli
öda Per preparare la bagna caöda faccio cuocere l’aglio nell’olio per una dozzina di minuti a fiamma
molto bassa. Ultimata la cottura scolo l’aglio e gli asporto l’anima, tagliandolo a metà. In un
mixer metto l’olio e l’aglio, frullo e ottengo una
crema omogenea, rimetto sul fuoco e aggiungo le
acciughe dissalate. Mantengo in cottura ancora per 2 minuti.
Pulisco accuratamente le verdure, le taglio a
pezzetti e le cuocio a vapore per pochi minuti,
lasciandole molto croccanti. Infine le abbino alla bagna caöda.
Barbera d’Alba Doc Vigna Nirane Azienda Agricola Edoardo Sobrino
Barbera d’Alba Doc Superiore Società Agricola Parusso Armando
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ar n C Insalata di carne cruda
500 g di noce di vitello, olio extravergine di oliva, limone, 1 spicchio di aglio, noce moscata, sale, pepe
Taglio la carne a fettine sottili e poi la batto al coltello
riducendola a tocchetti.
Il consumo di carne cruda in Piemonte ha origini antichissime. Secondo lo scrittore gastronomo Sandro Doglio, il consumo risale agli Stanzielli, popolazione che in periodo preromanico abitava la parte meridionale della regione. La carne impiegata era preferibilmente quella del cavallo. Attualmente si preferisce utilizzare carne di vitello o di fassone magrissima e, tradizionalmente, si batte con un grosso ed affilato coltello, evitando di passarla nel tritacarne che ne altererebbe il sapore e la consistenza.
Preparo la salsa per condirla, amalgamando olio, succo
di limone, sale, pepe, noce
moscata e uno spicchio di aglio. Ottenuta la salsa desiderata, condisco la carne e la servo immediatamente.
Langhe Doc Nebbiolo Gavarini Azienda Agricola Elio Grasso
Barbera d’Alba Doc Superiore FuntanÏ Società Agricola Monfalletto
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F
Molto simili per forma alle aragoste, i gamberi di fiume hanno colore bruno verdastro e fin dall’antichità hanno costituito un prelibato alimento delle popolazioni meno abbienti. Il loro habitat ideale coincide con i corsi d’acqua montani, freschi e molto puliti. In Piemonte e in Liguria esiste una specie autoctona molto pregiata, che viene oggi allevata in rari esemplari ed ha nulla a che fare con quelli di importazione.
Fiore di zucchino con gamberi di fiume
6 fiori di zucchino, 6 gamberi di fiume, 400 g di merluzzo, 4 zucchine, 2 carote, 2 gambi di sedano, 2 patate, 2 spicchi di aglio, 6 foglie di basilico, olio extravergine di oliva, 1 tazza di brodo vegetale, 1 albume, sale
Langhe Doc Bianco Azienda Agricola G.D. Vajra
Franciacorta Docg Saten Millesimato Società Agricola Ca’ del Bosco
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bu Fonduta di Grana Padano e barbabuc
c 500 g di Grana Padano stagionato 15 mesi, 1/2 l di latte intero, 500 g di panna, 3 tuorli, 1 manciata di barbabuc, fecola a discrezione, olio extravergine di oliva, sale, pepe
Il consumo di questo ortaggio ha origine antica ed è legata alla consuetudine di raccogliere erbe commestibili allo stato selvatico. Del Barbabuc si utilizzava in particolare la radice, che, bollita nel latte, rappresentava un ottimo tonificante e ricostituente dopo le debilitanti malattie invernali. Infatti la raccolta iniziava a fine febbraio e arrivava fino ad aprile quando iniziava la fioritura.
Barbera d’Alba Doc Superiore Azienda Agricola Filippo Gallino
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pr e L Insalata di lepre
1 lepre, 1 bottiglia di vino rosso, 2 cipolle, 4 spicchi di aglio, 1 melograno, acini di uva Barbera, 2 rametti di rosmarino, olio extravergine di oliva, alcune gocce di aceto balsamico tradizionale, sale, pepe
La lepre ormai si acquista in negozio, ma non va confusa con il coniglio selvatico, che ha carni più chiare, mentre quelle della lepre hanno colore rosso scuro. Si devono preferire gli esemplari giovani con carni tenere. Per distinguere la lepre giovane si osservano le unghie, che devono essere ancora nascoste all’interno delle zampe. Giovanni Vialardi, nel suo trattato del 1854 “A tavola con il re” consiglia... “la lepre di montagna o collina è migliore di quella di pianura, e uccisa giovane dai 4 agli 8 mesi è un eccellente mangiare...”
Barbera d’Alba Doc Vigneto Punta Azienda Agricola Azelia
Barbaresco Docg Rabajà Azienda Agricola Rabajà di Bruno Rocca
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u q ag l Insalata di quaglie con favette
Allo stato selvatico le quaglie sono uccelli migratori che arrivano in Italia dall’Africa in primavera. La quaglie migliori sono quelle abbattute dai cacciatori e vanno mangiate subito perché non sopportano la frollatura. La loro carne è soda, delicata, digeribile ed eccellente e si presta ad essere cucinata in mille modi per cui sono molto apprezzate in cucina.
6 quaglie, insalatina mista di campo, 5 rapanelli, 1 manciata di favette fresche, 1 peperone rosso, 2 ciuffi di basilico, 2 spicchi d’aglio, 10 cipolline bianche, 1 foglia di alloro, aceto di vino bianco, olio extravergine di oliva, aceto balsamico per condimento, sale, pepe bianco
Spumante For England Contratto
Roero Arneis Docg Luet Azienda Agricola Cascina Val del Prete
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a ai m Maialino laccato al miele
1 kg di arista di maiale, 3 cipolle, 3 carote, 1 gambo di sedano, 3 spicchi di aglio, 1 rametto di rosmarino, 2 foglie di alloro, 1 l di brodo di carne, 2 cucchiai di miele di castagna, sale, pepe Per la crema di castagne 2 kg di castagne, 1 cipolla bionda, rosmarino, 1 noce di burro, 2 l di brodo vegetale
Langhe Doc Freisa Kyè Azienda Agricola G.D.Vajra
Barbera d’Asti Doc La Tota Azienda Agricola Marchesi Alfieri
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Marco Gavio Apicio dedica il libro ottavo del “De re coquinaria” scritto a Roma nel 385 d.C. a quei quadrupedi di cui si mangiavano normalmente le carni: maialini da latte, maiali, agnelli, capretti... Tra le ricette annovera quella del maiale laccato al miele, che diventerà parte viva della cucina tipica della penisola e che ritroveremo nei vari ricettari dei grandi maestri di cucina dal Rinascimento in poi.
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ne Metto a cuocere i piedi del vitello e quelli del maiale in due pentole separate
unendo le verdure elencate. Porto a bollore e cuocio per circa quattro ore molto
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lentamente. A cottura ultimata disosso i piedini e sistemo le carni ottenute a strati alterni, vitello e maiale, in una terrina. Lascio riposare alcune ore in frigorifero e
quando le carni sono ben rapprese, le taglio a cubetti di circa 3 cm, le impano nel pan grattato e le friggo in olio di oliva ben caldo.
Per la salsa, monto con la frusta l’olio extravergine e l’aceto balsamico sino a ottenere un’emulsione stabile.
Nervetti fritti con emulsione di aceto
Per rifinire i piatti, scotto il pezzo di peperone in forno per 15’ a 180 °C, quindi lo taglio a tocchetti quadrati e condisco con olio extravergine e aceto.
Rifinisco il piatto disponendo al centro i nervetti fritti sulla salsa e decoro con i tocchetti di peperone conditi.
2 piedini di maiale, 2 piedini posteriori di vitello, 2 cipolle, 1 carota, 2 gambi di sedano, 2 foglie di alloro, 2 rametti di rosmarino, sale Per la salsa ¼ di peperone, 5 cucchiai di olio extravergine di oliva, 3 cucchiaini di aceto balsamico, sale
Nervetti è la versione italianizzata della voce dialettale milanese gnervitt che significa tendini. In passato i nervetti erano il tipico antipastino della tradizione popolare piemontese e lombarda che veniva servito nelle osterie per accompagnare la mescita di vino al banco. Oggi i “nervetti” si trovano anche nelle salumerie già cotti e pressati: in questo caso però si usa ogni genere di cartilagine e non solo quella del piedino.
Cuvée Imperiale Brut Vintage Guido Berlucchi & C.
Dolcetto d’Alba Doc Coste & Fossati Azienda Agricola G.D.Vajra
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e
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Storione in salsa di dragoncello con patate del bec e asparagi
300 g di storione, 400 g di patate del bec o patate del bur, 1 mazzo di asparagi, 1 mazzetto di dragoncello, 6 filetti di acciughe sottosale, 1 spicchio d’aglio, 4/5 gambi di maggiorana, olio extravergine di oliva, sale
Dapprima preparo la salsa con un trito finissimo
di acciughe, aglio, maggiorana, dragoncello e olio extravergine; quando è pronta la lascio riposare un paio di ore. Successivamente provvedo alle
Le origini di queste patate vanno ricercate Oltralpe in particolare nella zona di Lione. Gli scambi interfrontalieri portarono in Alta Valle Susa questi deliziosi tuberi. La loro dimensione è molto piccola, la forma è allungata e leggermente ricurva (da qui il nome bec ovvero becco); la buccia è molto sottile, la polpa morbida e paglierina. Il sapore è delicato e sono ottime consumate con la buccia.
Cuvè Storica Docg Brut Franciacorta Guido Berlucchi & C. Piemonte Doc Chardonnay Lidia Azienda Agricola La Spinetta
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verdure. Inizio con le patatine del bec, che non
vanno sbucciate, ma solo lavate accuratamente. Porto l’acqua ad ebollizione, aggiusto di sale,
quindi cuocio le patate per 7-8 minuti, facendo attenzione che siano piuttosto croccanti. A questo punto preparo gli asparagi. Dopo averli lavati, asporto la parte più dura del gambo e li sbollento per 3-4 minuti. Ultimata la cottura, taglio le patate a rondelle e gli asparagi a pezzi, lasciando integri i turioni più belli. Condisco con la salsa e mantengo questo condimento al caldo. Preparo per ultimo lo storione; lo salo e lo salto in padella per un minuto in olio extravergine. Dispongo sul fondo del piatto le verdure e adagio sopra lo storione.
pe
n
Peperone farcito con vinegrette e pane al rosmarino
2 peperoni rossi e 2 peperoni gialli della qualità “quadrato” di Motta o di Carmagnola, 500 g di tonno sottolio, 2 uova, 1 carota, 1 manciata di prezzemolo, 2 spicchi di aglio, 5 capperi sotto sale, olio extravergine di oliva, aceto balsamico, sale Per la salsa: 2 filetti di acciuga sotto sale, 2 capperi, olio extravergine di oliva, aceto Per la configurazione del piatto: 1 filone di pane bianco, rosmarino tritato
Cuocio in forno già riscaldato a 170 °C i peperoni interi per 20 minuti. Li
faccio sfreddare, quindi li pelo e li pulisco da eventuali semi. Lascio le falde
aperte su carta assorbente. Nel frattempo preparo il ripieno, frullando il tonno ben scolato fino ad ottenere una crema. Faccio rassodare le uova; quindi trito molto finemente la carota, i capperi di Pantelleria messi sotto sale, l’aglio, il
prezzemolo e le uova sode. Amalgamo il trito alla crema di tonno e termino con olio extravergine e aceto balsamico.
Per la vinegrette, frullo le acciughe dissalate e i capperi con olio e aceto,
p
Arrivati in Europa a seguito di Cristoforo Colombo, i peperoni vennero usati nei banchetti come elemento floreale. Poi nel 1700 iniziò la coltivazione. In Piemonte hanno trovato area di elezione, in particolare a Carmagnola e nella Piana del Tanaro a Motta, dove i peperoni si presentano rossi e gialli con polpa spessa, carnosa, dolce, delicata e molto profumata.
ottenendo un’emulsione. Taglio il pane a fette e le passo in padella con il rosmarino tritato e un filo di olio.
Con il ripieno precedentemente elaborato farcisco i peperoni, condisco con l’emulsione e unisco il pane al rosmarino.
Roero Arneis Docg Perdaudin Azienda Agricola Negro Angelo e Figli Langhe Doc Bianco Arbarei Aziende Vitivinicole Ceretto
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n 93
T
2 tinche gialle di Ceresole da 300 g caduna, 1 manciata di farina, 1 cipolla, 1 carota, 1 zucchina, 1 sedano, 3 ciuffi di cavolfiore, 4/5 spicchi d’aglio, 2 rametti di salvia, 2 bicchieri di Roero Arneis, 2 bicchieri di aceto, olio extravergine di oliva, olio di semi di arachide, sale
Tinche gialle di Ceresole in carpione Pulisco bene le tinche in acqua corrente, le sfiletto e le porziono. Preparo quindi la base del soffritto con un trito finissimo di salvia e aglio,
Le “tinche di Ceresole” sono da sempre allevate nelle peschiere, che un tempo venivano utilizzate per l’irrigazione dei campi. La celebrata delicatezza delle loro carni va collegata alle particolari “terre rosse” tipiche della zona. A Ceresole, ancora all’inizio degli anni ‘30, c’erano pescatori di tinche di professione. Ovviamente c’erano anche i ladri, tra questi i più impenitenti erano gli abitanti dei Tuninetti, una piccola frazione di Carmagnola che ancora oggi vengono soprannominati “rubatinche”. La tradizione locale le propone da sempre in carpione o fritte.
a cui aggiungo i ciuffi di cavolfiore, la carota, la zucchina e il sedano tagliati a fiammifero. Faccio andare veloce con olio extravergine e aggiungo il vino bianco e l’aceto; aggiusto di sale, porto rapidamente ad ebollizione e cuocio per 3 o 4 minuti. A parte infarino le tinche e le friggo in olio di semi bollente. Appena dorate, le dispongo in teglia e verso il condimento e le verdure ben calde.
Spumante Rosè Cellarius Guido Berlucchi & C. Champagne Gran Cru Millesimé Paul Bara Bolis Distribuzione Vini
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n a t ap n a ’ er v d ivere le suggestioni
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...il gusto è un piacere a cui non segue alcuna fatica; è concesso in ogni tempo, in ogni età e in ogni condizione; si ha almeno tre volte al giorno; può essere mescolato a tutti gli altri piaceri, e persino consolarci della loro assenza... Jean-Anthelme Brillat-Savarin
pl I plin di Langa Gli agnolotti del plin vantano origini antiche e sono originari dell’Albese, ma ormai diffusi in tutto il Piemonte. Piccolissimi, irregolari, hanno sfoglia sottile, massimo due millimetri, e il plin, un pizzicotto che stringe l’agnolotto fra pollice, indice e medio. Gli agnolotti delle Langhe sono così, niente a che vedere con la versione quadrata e rondellata sui quattro lati. A differenziare le numerose versioni langarole è il ripieno: accanto alle carni di vitello e di maiale si trova spesso il coniglio. Il plin si riferisce dunque alla lavorazione, mentre il ripieno, che in origine si componeva con gli scarti e gli avanzi dei giorni di festa, può essere vario: da quello classico degli agnolotti piemontesi a base di manzo e maiale arrostiti o brasati, alle verdure, ai formaggi. L’importante è che i plin siano molto piccoli, la metà o 1/3 di un agnolotto normale, che la sfoglia sia lavorata a lungo e sia tirata molto sottile.
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Per quanto riguarda i condimenti, a parte il classico sugo di brasato/arrosto, uno dei modi migliori per apprezzarli è certamente con dell’ottimo burro di montagna, della salvia e una buona spruzzata di grana. La tradizione li vuole anche in brodo di carne e gallina, irrorati nel piatto, con un buon bicchiere di ottimo nebbiolo.
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p Gli agnolotti del plin, originari dell’Albese, si differenziano dai normali agnolotti perché non presentano tutti e quattro i lati con la tipica zigrinatura della rotella tagliapasta, infatti almeno uno dei lati deve essere privo di tagli ed essere ripiegato con il pizzicotto sul ripieno fino al lato opposto. Gli agnolotti del plin sono inseriti nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani (PAT), stilato dal Ministero delle Politiche Agricole e quindi tutelati secondo un disciplinare della Regione Piemonte.
ln Agnolottini del plin al sugo d’arrosto Per la pasta: 500 g di farina, 6 uova, 4 tuorli, sale Per il ripieno: ¼ di coniglio, 300 g di lonza di maiale, 100 g di salsiccia, 300 g di carne di vitello, 2 cipolle bianche, 1 gambo di sedano, 2 carote, olio extravergine d’oliva, 5 spicchi di aglio, brodo di carne, 2 uova, 3 cucchiai di sugo di arrosto, 1 bicchiere di vino Roero Arneis, 1 manciata di Grana Padano grattugiato, rosmarino, alloro, sale, pepe
Per la preparazione della pasta, mi attengo alle modalità che spiego a pagina 112.
Importante per gli agnolotti del plin è il ripieno, per ottenere il quale faccio
rosolare la carne in teglia aggiustandola di sale e di pepe e aggiungendo l’aglio e il rosmarino. Procedo a rosolare per una decina di minuti. Nel frattempo pulisco le verdure, le lavo, le taglio a pezzi e le aggiungo alle carni. Porto
avanti la rosolatura per breve tempo, poi sfumo con il vino bianco. Appena fatto evaporare, trasferisco la teglia in forno
e porto avanti la cottura per circa 2 ore a 200 °C. Bagno di tanto in tanto con
il brodo di carne e, a cottura ultimata,
faccio raffreddare. A questo punto trito
tutto, condisco con sale, pepe, le 2 uova e il Grana Padano.
Tirata la pasta fino ad ottenere una
sfoglia molto sottile, la farcisco con il
ripieno ottenuto ed ottengo l’agnolottino con un pizzicotto (plin). Cuocio in
abbondante acqua salata e condisco con il sugo d’arrosto.
Roero Docg Sudisfà Azienda Agricola Negro Angelo e Figli Barbaresco Docg Azienda Agricola Gaja
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A Agnolotti della domenica al sugo di fegatini Per la pasta e gli agnolotti della domenica
procedo secondo le indicazioni di pagina 112. Per il ripieno, dopo avere salato e pepato
la carne, la rosolo in teglia per 10 minuti,
quindi aggiungo le cipolle tagliate, l’aglio, il
rosmarino, il cavolo e il riso. Passo la teglia in forno e bagno di tanto in tanto con il brodo
di carne, cuocendo per circa un’ora e mezza
Per la pasta: 500 g di farina, 6 uova, 4 tuorli, sale Per il ripieno: 1/2 coniglio, 500 g di tenerone di vitello, 2 cipolle, 5 spicchi di aglio, 2 rametti di rosmarino, 100 g di riso, olio extravergine di oliva, 1 cavolo, 2 uova, brodo di carne, Grana Padano, sale, pepe Per il ragù: 200 g di salsiccia, 300 g di fegatini di pollo, 1 cipolla, 1 carota, 3 spicchi di aglio, rosmarino, salvia, sale, pepe Per la salsa di pomodoro 6 pomodori maturi tipo cuori di bue, 3 scalogni, 1 spicchio di aglio, 1 foglia di alloro, olio extravergine di oliva, sale, pepe
200 °C. Quando la cottura è conclusa, lascio
raffreddare e trito il tutto. Aggiungo le uova e
il formaggio grattugiato, aggiusto di pepe e sale
e ottengo un impasto piuttosto consistente.
Per elaborare la salsa di pomodoro, soffriggo lo
scalogno, l’aglio e l’alloro.
Pelo a questo punto i pomodori, li privo dei
semi, li taglio a pezzi e faccio andare il tutto a
fuoco lento per circa un’ora.
Preparo infine il ragù, iniziando a passare in
padella per 5/6 minuti le verdure e i profumi
tritati; unisco la salsiccia e i fegatini ridotti a pezzetti piccolissimi; aggiusto di sale e pepe,
quindi continuo la cottura per 15 minuti. In ultimo aggiungo la salsa di pomodoro
che ho appena preparato.
Cuocio gli agnolotti per 5 minuti e condisco con il sugo.
Vuole la tradizione popolare che un cuoco monferrino di nome Angiolino, detto Angelot abbia formulato la ricetta che divenne la specialità di Angelotto. Da Angelotto ad agnolotto il passo fu breve. La caratteristica principale dell’agnolotto piemontese rispetto alle altre specialità di pasta ripiena del resto d’Italia è l’utilizzo di carne arrosto per il ripieno. La ricetta classica piemontese non prevede la creazione di agnolotti di magro o a base di carni crude.
Langhe Doc Rosso Arte Azienda Agricola Domenico Clerico Barolo Docg Società Agricola Parusso Armando
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e c c
Ceci e costine
I ceci, diffusi in tutto il Mediterraneo e in tutta Italia, furono uno dei primi alimenti consumati dall’uomo fin dalla Preistoria. Dal punto di vista nutrizionale, sono tra i legumi da preferire per il loro valore proteico, per il discreto contenuto di acidi grassi polinsaturi e per le loro molteplici proprietà nutrizionali e “terapeutiche”. Nonostante queste caratteristiche i ceci sono tra i legumi meno consumati in Italia. In Piemonte venivano coltivati tra i filari delle viti sia perché le radici apportavano amido al terreno, sia perché servivano ad integrare la dieta domestica.
La sera precedente
l’elaborazione del piatto metto a bagno i ceci ricoprendoli di acqua. Inizio quindi
la preparazione partendo da un soffritto di cipolla finemente
200 g di ceci, 700 g di costine di maiale, 3 patate, 1 cipolla, rosmarino, 1 fetta di lardo, farina, 2 l di brodo di carne, sale, pepe nero
affettata, il lardo tagliato a
pezzetti e il rosmarino legato, che butto a fine cottura.
Dopo pochi minuti aggiungo le patate intere e continuo a rosolare per altri 5 minuti. A questo punto aggiungo al soffritto le costine, aggiusto di sale e pepe, unisco il brodo di carne e proseguo la cottura per circa un’ora. Scolo i ceci dall’acqua in cui sono rimasti a bagno per tutta la notte, li metto in pentola e li faccio bollire a fuoco lento per circa 30 minuti. Tolgo ora le patate e le schiaccio per ottenere un brodo più denso.
Roero Docg Roche d’Ampsèj Azienda Agricola Matteo Correggia Barbera del Monferrato Doc Società Agricola Montalbera
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f v
Fettuccine con favette novelle e pomodori Preparo l’impasto mettendo la farina a
vulcano sulla spianatoia. Nel cono della
farina metto le uova, e il sale. Impasto con
vigore, poi lascio riposare l’impasto coperto in frigo per una notte.
Successivamente stendo la pasta sino ad
ottenere una sfoglia di circa 2 millimetri di spessore. Lascio riposare la pasta per circa
a
Per preparare la concassè, basta incidere i pomodori con un taglio a croce sulla parte opposta al picciolo, quindi tuffarli per pochi istanti in acqua bollente fino a notare una leggera increspatura della buccia; a questo punto bisogna scolarli ed immergerli nell’acqua fredda, e quindi con l’ausilio di un coltellino spellare i pomodori. Tagliati in 4 pezzi, si tolgono i semi e si taglia a cubetti la polpa ottenuta.
mezz’ora, affinché si asciughi, quindi arrotolo
il foglio e lo taglio ottenendo delle strisce larghe 1 centimetro.
A questo punto sbuccio le fave, asporto il
baccello e le faccio andare per 2 minuti in acqua bollente. Le scolo e le raffreddo in
acqua e ghiaccio. Pelo i pomodori ben maturi,
Per la pasta: 500 g di farina, 6 uova, 2 tuorli, 1 presa di sale Per il sugo: 1 kg di favette fresche con il baccello, 6 pomodori ben maturi (varietà “cuori di bue”), olio extravergine di oliva, 1 spicchio d’aglio, Grana Padano, sale, pepe
tolgo i semi e li taglio a cubetti (concassè).
Porto l’acqua ad ebollizione, quindi cuocio la pasta per 3 minuti. Nel frattempo scaldo
l’aglio, le favette e i pomodori, quindi
aggiusto di sale e pepe. Condisco la pasta e la servo ben calda con una spolveratina di Grana Padano.
Barbera d’Alba Doc Superiore Azienda Agricola Hilberg-Pasquero
Dolcetto d’Alba Doc Dei Grassi Azienda Agricola Elio Grasso
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g 108
g Il fondo bruno si può comprare fatto, ma gli appassionati di cucina amano farlo da sé. Per ottenere un litro di fondo bruno si prendono 2 chili di ossa di vitello, 2 etti di carote, 2 etti di cipolle, 1 sedano, 2 pomodori, 4 litri di acqua, 1 bouquet garni (mazzetto di timo, prezzemolo e alloro legati). Su una piastra, si tostano nel forno a 200oC le ossa sino a quando non diventano scure, girandole di tanto in tanto. Si uniscono le cipolle, le carote, il sedano a pezzetti e si continua per 20 minuti. Poi, eliminando i fondi liquidi che si sono formati, si sposta tutto in una pentola piena d’acqua. Si aggiungono i pomodori divisi in quattro parti, il bouquet garni e si porta tutto ad ebollizione. Infine si schiuma e si sgrassa. Ora si mette la fiamma al minimo e si cuoce per 5 o 6 ore sgrassando di tanto in tanto. Se il liquido scende sotto il livello delle ossa, si aggiunge acqua. A cottura ultimata si filtra tutto con un canovaccio.
o n
Gnocchi di patate e funghi porcini
1,5 kg di patate, 2 uova, 400 g di farina, 6 ciuffi di prezzemolo, 2 spicchi d’aglio, 1 cipolla, alloro, salsa di pomodoro, ½ bicchiere di vino bianco, fondo bruno, ½ kg di funghi porcini, 1 manciata di Grana Padano grattugiato, sale, pepe
Cuocio le patate in acqua e sale per 30
minuti. Le scolo, le sbuccio ancora calde e le passo al setaccio, riducendole in
puré. Unisco le uova, la farina e metà prezzemolo tritato, quindi impasto
energicamente con le mani, fino ad
ottenere un composto omogeneo. A
questo punto ne stacco una parte e con le
mani lo arrotolo formando un bastoncino del diametro di circa un centimetro,
quindi taglio dei tocchetti della stessa misura e li passo, successivamente,
sui rebbi della forchetta, facendo una
lieve pressione con il pollice in modo che vengano striati. Metto la pasta in
frigorifero e la mantengo al fresco fino al momento della cottura.
A questo punto pulisco i funghi e li taglio a fette. Trito l’aglio, la cipolla e il restante prezzemolo e li faccio rosolare per 5
minuti. Aggiungo i funghi e continuo la cottura per altri 5 minuti. Sfumo con il vino bianco e faccio evaporare. Unisco
il fondo bruno e un cucchiaio di salsa di
pomodoro, infine aggiusto di pepe e sale. In acqua bollente butto gli gnocchi per 2 minuti, li scolo, li unisco al sugo e spolvero con Grana Padano.
Langhe Doc Rosso Monprà Azienda Agricola Conterno Fantino Langhe Doc Rosso Larigi Azienda Agricola Elio Altare
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i f Per la pasta seguire le
istruzioni di pagina 112 tenendo presenti gli
ingredienti della borsa
della spesa. Ottenuta la pasta, tiro una sfoglia
Per la pasta: 500 g di farina, 6 uova, 2 tuorli, 1 presa di sale Per il sugo: 200 g di finferli, 3 spicchi d’aglio, 2 cipolle bionde, prezzemolo, 1 cucchiaio di Roero Arneis, sale, pepe
dello spessore di circa 2 millimetri e la taglio a
forma di rombi diseguali, quindi li lascio asciugare. Preparo il sugo, facendo rosolare la cipolla e
l’aglio precedentemente tritati. Taglio i finferli a fette dopo averli
accuratamente lavati e
asciugati e li aggiungo al soffritto, quindi regolo di sale e pepe. Per dare
n
Maltagliati con sugo di finferli
I boschi del Roero e delle Langhe, caratterizzati dalla presenza del pino silvestre, della roverella e del castagno, sono ancora ricchi di funghi e tra le specie più pregiate ci sono i porcini e gli ovoli, ma è da sempre tradizione raccogliere i finferli, che in dialetto vengono chiamati garitule. Possono essere consumati nel sugo o essiccati.
profumo aggiungo qualche foglia di
prezzemolo e sfumo con il vino bianco, facendo
evaporare in cottura per
cinque minuti. Porto ad
ebollizione l’acqua in una pentola, butto la pasta
e scolo dopo 3 minuti.
Impiatto e condisco con il sugo appena pronto.
Barbera d’Alba Doc Mulassa Cascina Ca’ Rossa Barbaresco Docg Bric Turot Prunotto
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n 111
J ta a Tajarin la pasta di Langa
I tajarin sono un piatto da sballo della cucina povera di Langa e, come quasi tutte le ricette, nascono dal mestiere sapiente e antico di vecchie signore di cascina che hanno sperimentato la formula magica che trasforma acqua, uova e farina in quel cibo dorato che molti, nella versione più sottile, chiamano capelli d’angelo.
Elide la pasta la prepara tutti i
giorni, seguendo l’antico rito di
Langa. Setaccia la farina (500 g
del tipo 00) a fontana sul piano
di lavoro e aggiunge al centro le
uova (4 intere e 8 tuorli), l’olio e il sale. Sbatte gli ingredienti
al centro della fontana usando
la forchetta, quindi incorpora un po’ di farina facendola
scivolare pian piano dal bordo
verso l’interno. Con movimento circolare incorpora sempre
più farina fino a quando nel
centro della fontana non si
sarà formato un composto
denso. Quindi con le mani
distribuisce sopra l’impasto
la farina ancora presente sul
bordo, raccogliendola tutta e, se necessario, aggiungendo poca
acqua per ottenere un impasto
elastico. A questo punto forma una palla, la avvolge in un
canovaccio umido, poi la lascia
riposare al fresco per un’ora.
Trascorso il tempo necessario
prepara la sfoglia. Forma delle
pagnottelle di pasta, quindi
ruota energicamente con forza
il matterello, tirando la pasta
finissima, appena un millimetro. Infarina la sfoglia, la arrotola e
la taglia al coltello ottenendo i
finissimi tajarin.
Ad accompagnare i tajarin la
storia suggerisce il sugo classico e doveroso di fegatini, la cui
preparazione più suggestiva ed antica richiede che, almeno
due ore prima di occuparsi dei tajarin, si prepari il famoso
comodino mettendo in pentola olio, burro, lardo, un trito di
sedano, carota, cipolla, aglio,
prezzemolo, salvia e rosmarino.
Il tutto va bagnato più volte con piccole aggiunte di vino rosso. Poi si aggiungevano funghi
secchi tritati ammollati in acqua e marsala, un po’ di salsiccia disfatta non trascurando di
mischiare all’ultima aggiunta di vino rosso due cucchiai
di salsa di pomodoro o, in
stagione, pomodori freschi pelati e passati. Il comodino doveva cuocere a fuoco
bassissimo e rimanere sui fornelli almeno due ore.
Grandissimi, i tajarin con burro sciolto di montagna e petali di tartufo.
112
a 113
La costruzione dei tajarin è poetica, densa di seduzione e sgorga dall’anima di quelle massaie che sanno misurare la consistenza della pasta e la sua malleabile densità da un semplice colpo d’occhio.
c o p i e L Minestra di cipollotte di Ivrea
Preparo il brodo con le verdure - cipolle, carote
2 cipolle bionde, 3 carote, 2 gambi di sedano, 1,5 l di acqua, 10/12 cipollotti, 5/6 spinaci, 2 patate, 100 ml di panna, 1 foglia di alloro, 4 fette di pane casereccio, 1 noce di burro, sale, pepe
e sedano - in un litro e mezzo di acqua. Faccio bollire per un’oretta, quindi filtro il brodo.
A parte, dopo averli puliti e lavati, soffriggo i
cipollotti nella noce di burro, insaporendo con la
Tra le varie cultivar piemontesi, quelle di Ivrea sono cipollotte piatte con diametro variabile da 1 a 3 centimetri, la cui colorazione varia dal rosso aranciato chiaro al nocciola sbiadito. La cultivar costituisce una vecchia produzione dell’alto Canavese, tanto che, nello stemma del comune di Quincinetto, sopra la testa del toro, sono raffigurate le cipolline. Questa varietà è rinomata per le pregevoli qualità e per il gusto fine e delicato. La zona tipica di produzione comprende tutti i comuni che da Ivrea costeggiano la Dora Baltea verso nord fino all’imbocco della Valle d’Aosta.
foglia di alloro. Dopo un paio di minuti aggiungo le patate opportunamente pelate e tagliate a
tocchi, unisco il brodo e proseguo la cottura per un’ora. Successivamente immergo le foglie degli
spinaci, che ho precedentemente lavate e nettate,
metto la panna, aggiusto di sale e pepe e proseguo ancora la cottura per 10 minuti.
A questo punto frullo il tutto. Faccio tostare le
fette di pane e, al momento di servire, le metto nel piatto con la minestra.
Barbera d’Asti Doc Ricossa Mgm - Mondo del Vino
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i
rs o i 400 g di Riso Carnaroli della qualità Acquerello, 1 manciata di foglioline di ortiche, basilico, 1 manciata di germogli di erba San Pietro, 1 manciata di luppoli, borraggine, cipolline, timo, 2 scalogni, foglioline di spinaci, 1 noce di burro, 1 manciata di Grana Padano grattugiato, 1 tazzina di vino bianco, 1 l di brodo vegetale, sale
Risotto alle erbe Il Nord del Piemonte è da sempre sinonimo di risaie, dove si coltiva il principe dei risotti, ovvero il Carnaroli. Quello ottenuto nella Tenuta Colombara è molto particolare, infatti per ottimizzare tutte le caratteristiche il riso viene invecchiato a temperatura controllata. Inoltre, la raffinazione con l’elica, ideata nel 1875, anche se meno economica, provoca un delicato sfregamento tra chicco e chicco, permettendo alle sostanze nutritive di compenetrarsi.
Lavo ogni singola erba, l’asciugo e la trito
grossolanamente. In casseruola soffriggo lo scalogno
tritato con un po’ di burro, aggiungo il riso; lo faccio
tostare per 2 minuti, quindi lo bagno con il vino bianco. Evaporato il vino, continuo la cottura per 13 minuti, bagnando di tanto i tanto con il brodo.
A cottura ultimata aggiungo le erbette crude, manteco
con il burro e il Grana Padano, infine aggiusto di sale e porto in tavola fumante.
Cuvèe Anna Maria Clementi Società Agricola Ca’ del Bosco Roero Docg Azienda Agricola Cornarea
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O Tagliatelle al profumo dell’orto
Per la pasta: 500 g di farina, 3 uova, 10 tuorli,1 cucchiaio olio extravergine di oliva, sale Per il sugo di verdure: 2 pomodori cuore di bue, 1 manciata di piselli freschi, 100 g di fagiolini meraviglia, 1 carota, 1 mazzetto di basilico, 1 zucchina, 1 spicchio d’aglio, 3 scalogni, alcune foglie di maggiorana, olio extravergine di oliva, sale
Preparo la pasta e le tagliatelle
seguendo le indicazioni esposte
a pagina 112. Preparo ora il sugo di verdure, tagliando la carote e
la zucchina a julienne; aggiungo
quindi lo scalogno affettato sottile e i
fagiolini a pezzi.
Trito il basilico, l’aglio e la
maggiorana. Privo i pomodori
della buccia e dei semi e li taglio a
concassè. Scotto i piselli, le carote, le
zucchine, lo scalogno e i fagiolini per
un minuto, quindi faccio raffreddare.
Aggiusto di sale e condisco il tutto con olio extravergine.
Faccio bollire l’acqua, cuocio le
tagliatelle per 2 minuti, le scolo e le
salto in padella con le verdure.
Roero Docg Azienda Agricola Filippo Gallino
La zona tipica di produzione del cuore di bue è la Piana di Albenga in Liguria, la terra che per secoli ha condiviso gli scambi di prodotti gastronomici con il Piemonte. La varietà ha bacche di grosse dimensioni e forma a pera. La costolatura è appena accennata ed ha buccia rosso-rosata con leggere striature verdi in corrispondenza delle costolature. La polpa è consistente e asciutta ed ha sapore dolce. Ha pochissimi semi e succo scarso.
Barbera d’Alba Doc Pian Romualdo Prunotto
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T Il tartufo
Vollero espressamente il tartufo d’Alba i
re di Francia, preferendoli a quelli neri del
Perigord; li vollero i re d’Inghilterra, ai quali nel 1753 venne mandata una spedizione
di otto cani da tartufo e due “trifolao” per
scovare i tartufi sotto le querce del parco di
Windsor. Dice la storia che i tartufi vennero trovati, ma erano privi di sapore e di gusto. Li volle la corte imperiale austriaca, in
suggerisce spiegazioni plausibili all’arcano,
particolare Maria Teresa, alle cui suppliche
poichè gli studiosi hanno individuato
ottemperò il conte Luigi Malabaila di
nel tartufo steroidi simili agli ormoni
Canale, che le portò 42 libre di tartufi
sessuali. Se il sedano, altra pianta ritenuta
e buone pernici rosse, con caci di latte e
afrodisiaca, ne contiene 8 nanogrammi, il
pecora, nei quali è facile ravvisare le odierne
tartufo bianco d’Alba ne è in assoluto il più
deliziose tome di Langa.
ricco, arrivando a 62.
La natura sotterranea del tartufo ha
Tartufi non se ne trovano tantissimi e
accentuato il suo alone di mistero, di
soprattutto è sempre più difficile trovare
demone tentatore della lussuria, essendo
quelli buoni.
stato caro ad Afrodite, dea dell’amore.
“...il tartufo può rendere le donne più tenere e
Quindi per il tartufo ci si deve affidare alla
gli uomini più amabili...” ammoniva Brillat
buona stella e soprattutto ad un buon cane.
Savarin” contribuendo a pennellare di
Così da settembre fino a dicembre inoltrato
colore e sensualità racconti e favole che
le terre di Langa e Roero ripropongono ogni
dal medioevo ad oggi attribuiscono ruoli
anno l’antico cerimoniale della ricerca.
decisivi al tartufo nelle battaglie d’amore.
Nei boschi, nelle verdi valli appena umide, nelle rive appartate, sotto i pioppi nascono
Rivisitando leggende e miti la scienza
i “bianconi”; sotto le querce i tartufi a pasta bruno-grigiastra; sotto i platani, i salici, i faggi, gli aceri e i noccioli il tartufo bianco, in simbiosi con le loro radici, si lascia scoprire nelle sue venature screziate color pastello e con i suoi esaltanti profumi. I cercatori, muniti del patentino regionale
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l’autunno sulle colline del Roero ha, come nelle vicine Langhe, il profumo intenso del tartufo. Protagonista delle tavole e delle ricette, è lui che fin dall’antichità ha stupito e indotto in tentazione papi e re, dame e cavalieri, poeti e scienziati, poveri e potenti di tutti secoli.
di trifolao, ripetono mille volte i pendii scoscesi delle colline, attendono la terza luna affinché si compia il portento. Ogni volta, quando il cane si mette a raspare muovendo febbrilmente la coda, l’emozione si fa più forte: grande o minuscolo che sia, il tartufo viene raccolto
T
con ostinata delicatezza, viene riposto nel
tascapane lontano dagli occhi dei curiosi, gelosamente custodito in vista di un
piacevole appuntamento gastronomico o per la vendita.
Poi, quando il tartufo arriva in cucina,
dimostra la sua capacità di trasfigurare
un piatto. La sua magica qualità è di non
entrate in conflitto con i sapori dolci e tenui dell’uovo al tegamino, di adattarsi ai gusti
forti e piccanti della bagna caoda; piallato finemente esalta la fonduta, il risotto, i
sublimi tajarin irrorati di burro, gli agnolotti del plin al sugo bruno d’arrosto, la carne
cruda, le insalate di funghi e di ovoli reali...
Da Pollenzo partivano per l’antica Roma “buoni tartufi” e i Patrizi, quindici secoli prima dell’invenzione della forchetta, già conoscevano l’affettatrifole come ironizza Giovenale nella V Satira.
Barbaresco Docg Riserva Montestefano Produttori del Barbaresco Langhe Doc Rosso Monsordo Aziende Vitivinicole Ceretto
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u L
Preparo in prima battuta il brodo vegetale con l’acqua, una cipolla, una carota, un gambo di sedano, metà porro e una manciata di prezzemolo.
Lavo più volte le lumache in acqua e aceto per far sì che il guscio risulti perfettamente
pulito. Porto l’acqua ad ebollizione e le faccio cuocere per 10 minuti. Scolo e proseguo la cottura delle lumache in un’altra pentola con il brodo vegetale, per circa 2 ore a fiamma
m
bassissima. Terminata la cottura, pulisco le lumache estraendole dal guscio e asporto la
parte intestinale del mollusco. Preparo il soffritto con cipolla, pancetta, carota, sedano,
Zuppa di lumache e porri
spinaci, rosmarino e prezzemolo. Aggiungo le lumache, il sale, il pepe e per ultimo il
brodo di carne. Ultimato il tempo di cottura - circa 15 minuti - impiatto e decoro con il restante porro e le foglie di ortica fritti.
500 g di lumache, 2 cipolle, 2 carote, 2 gambi di sedano, 1 porro, 1 rametto di rosmarino, 2 manciate di prezzemolo, 2 ciuffi di spinaci, 2 fette di pancetta,1 l di acqua, brodo di carne, alcune foglie di ortiche, sale, pepe
Cherasco, in provincia di Cuneo, è da anni la “capitale italiana della lumaca”. Qui ha la sede l’Associazione Nazionale Elicicoltori e l’Istituto Internazionale di Elicicoltura. La città è un importante centro di cultura e divulgazione gastronomica della lumaca di terra. Le metodiche di allevamento sono severe. Infatti le lumache devono essere allevate all’aria aperta e alimentate con vegetali freschi.
Nebbiolo d’Alba Doc Azienda Agricola Silvio Grasso
Ruchè di Castagnole Monferrato Doc L’Accento Società Agricola Montalbera
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o gastronomico
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...La scoperta di un nuovo piatto rende un uomo molto piĂš felice della scoperta di una stella... Jean-Anthelme Brillat-Savarin
F Fra le partiture della cucina di Langa, il fritto misto ricorda il crescendo di ouvertures di certi grandi compositori di musiche sinfoniche. Il fritto misto nella cucina piemontese è da sempre oggetto di culto e qui, al Centro, è scandito in 25 sequenze di gusti preparati al momento.
Il fritto misto
Animelle, cervella, fegato di
vitello, salsiccia, frisse, batsoà
sono separatamente impanati e
separatamente fritti in olio e burro.
Il piatto è l’esempio che meglio illustra la regola d’oro che in cucina non si
carne mista (bianca e rossa), melanzana,
butta via niente. La nascita del fritto
funghi, zucchine, finocchi e carciofi.
misto è legata all’arcaico momento
Infine tra le dorate sorprese della
della macellazione. Allora non si
frittura alcuni chef spregiudicati hanno
doveva sprecare nulla dell’animale;
introdotto ananas, banana, pavesini
ogni famiglia procedeva quindi con
farciti, semolino al cacao e altro
la suddivisione: rognoni, animelle,
ancora. Questo non è il fritto misto
testicoli, cervella, fegato (fricassà nèira)
piemontese, sono divagazioni sul tema
e polmoni (fricassà bianca). A queste
per stupire i convitati ai pranzi di nozze
si aggiungevano pezzetti di carne,
o i turisti ignari.
tocchetti di salsiccia, fettine di lombo
Poi l’alchimia della frittura: la padella
e sanguinacci. A completare l’opera
deve essere di ferro e l’olio extravergine,
arrivavano le verdure, fettine di mela e
abbondante e bollente, va combinato al
semolino dolce (polenta dôssa). Il tutto
burro e cambiato ogni volta. Solo così
meticolosamente tagliato a piccoli
il fritto sarà dorato, gustoso, leggero
pezzi, cucinato e servito in un gran
e armonioso nell’esaltare l’ontologia
banchetto nel giorno di festa successivo
dei singoli sapori.
a quello della macellazione. Il segreto
L’altro precetto, che se non rispettato
del fritto misto piemontese sta nella
può rovinare il piatto migliore, vuole
combinazione delle giuste dosi per
che il fritto misto sia servito caldissimo,
ciascun ingrediente. Ogni zona del
direttamente dalla padella alla tavola.
Piemonte, col tempo, ha elaborato
Così avviene qui nel ristorante de
proprie ricette e molte sono le varianti
“il Centro di Priocca” dove la lista di
moderne. Tra gli ingredienti possibili:
attesa per questa preparazione è lunga e
carrè di agnello, petto di pollo, fegato
a volte le prenotazioni si fanno un anno
di coniglio, rognone, polpettine di
per l’altro.
Nebbiolo d’Alba Doc Azienda Agricola Hilberg-Pasquero
Barbera d’Alba Doc Superiore La Carolina Azienda Agricola Cascina Val del Prete
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ge L’ anguilla si trova un po’ dovunque grazie alla sua capacità di adattamento, infatti è in grado di strisciare per lunghi tratti sulla terraferma chiudendo ermeticamente le fessure branchiali. Proprio per questo un tempo, risalendo il Po, raggiungeva il Tanaro e da questo fiume i laghetti e gli stagni posti nei pressi delle vecchie cascine. Nessun altro pesce ha un ciclo tanto misterioso. Infatti ad un certo punto della loro vita, le anguille abbandonano i fiumi europei e si dirigono verso l’oceano, continuando il loro viaggio fino al Mar dei Sargassi, per deporre le uova in primavera. Dalla fecondazione nascono le larve di anguilla, che riprendono il cammino verso il Mediterraneo, impiegando tre anni per percorrere gli 8000 km necessari a raggiungere lo stretto di Gibilterra.
u
Anguilla ai ferri con verdure dell’orto
an 2 anguille medie, 6 cipollotti, 1 peperone rosso, 1 peperone giallo, 3 zucchine, 2 gambi di sedano, 1 carota, 8 spicchi d’aglio, 6/7 foglie di salvia, aceto di vino vecchio, olio extravergine di oliva, 1 rametto di timo, sale
Asporto inizialmente la pelle alle
anguille, mozzo loro la testa, le sfiletto e le porziono. Ora lavo le verdure,
quindi taglio i peperoni, le zucchine, la carota e il sedano a fiammifero. Trito
l’aglio, la salvia e il timo, quindi preparo un’emulsione con olio extravergine, aceto di vino rosso e sale. A questo punto faccio andare l’anguilla in
una padella antiaderente ben calda,
cuocendola 3 minuti per parte. Rosolo
infine le verdure velocemente, compresi i cipollotti, aggiungo il trito di salvia,
timo e aglio, aggiusto di sale e innaffio
con l’aceto. Impiatto a nido le verdure, appoggio delicatamente l’anguilla e
condisco con l’emulsione di olio e aceto.
Langhe Doc Chardonnay Azienda Agricola Rizzi
Langhe Doc Sauvignon Bricco Rovella Società Agricola Parusso Armando
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C 1/4 di capretto, aglio, rosmarino, olio extravergine di oliva, 1 bicchiere di Roero Arneis, 1 mestolo di brodo di carne, sale, pepe
Capretto della Langa Astigiana al forno Dapprima taglio il capretto e lo
metto a rosolare lentamente in
teglia, aggiustando di sale e di pepe.
Appena prende colore aggiungo aglio
e rosmarino e continuo a rosolare per
10/15 minuti. Successivamente bagno con il vino bianco, faccio evaporare e
irroro con un mestolo di brodo. Passo la
teglia in forno preriscaldato a 200 °C per 40 minuti. Di tanto in tanto pennello
con la sua salsa di cottura.
Da sempre il capretto di Langa è un prodotto raro e ambito. Fin dall’antichità a Monastero Bormida, nei due giovedì antecedenti la Pasqua, il mercato era frequentato dai commercianti che, per accaparrarsi i capretti che i contadini portavano in loco e vendevano direttamente, giungevano anche dalla Lombardia e dalla Liguria. Il capretto “Tipico tradizionale della Langa Astigiana” è un prodotto di antica tradizione che questo territorio propone, mantenendo intatte le sue caratteristiche originali, infatti il capretto della Langa Astigiana nasce esclusivamente in stalle della zona ed è cresciuto con la madre nutrendosi del suo latte.
Barbaresco Docg Santo Stefano Azienda Agricola Castello di Neive Barolo Docg Giachini Azienda Agricola Silvio Grasso
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a fi Originario dell’Asia, il fagiano si è ambientato in molti paesi a clima temperato. In Italia è presente un po’ dovunque con diverse sottospecie. La più comune è il fagiano mongolico, ma il più pregiato è il fagiano di monte o gallo forcello, che rappresenta una delle specie più affascinanti e meno conosciute che vivono sull’arco alpino. Sulle qualità culinarie del fagiano di montagna era già ben informato il Vialardi, cuoco di Vittorio Emanuele II, che lo consiglia in assoluto sugli altri per le carni più saporite.
ga Fagiano con verza e castagne
Pulisco il fagiano dalle interiora e mantengo da parte il suo fegato. Lo fiammeggio e lo netto ulteriormente dei piccoli peli superflui. Stacco il petto e le cosce e li tengo in disparte.
Ora metto le castagne intere a bollire per 40/50
minuti e nel frattempo taglio la verza molto fine.
Sbuccio le castagne e le ripulisco dalla loro pellicina. Con queste farcisco il petto del fagiano e lo avvolgo in una fetta di lardo, quindi ne assicuro la chiusura
introducendolo nel reticolo del maiale. Fatto questo, lo metto in frigo.
A questo punto preparo la salsa mettendo a rosolare
in casseruola le carcasse, insieme alle quali accomuno le verdure e i fegatini del fagiano. Appena iniziano a sfrigolare, sfumo con un po’ di Cognac. Faccio
evaporare, unisco il brodo di carne e porto in forno preriscaldato a 180 °C per un’ora.
Terminata la cottura, restringo la salsa e la lego con una noce di burro.
1 fagiano, 3 foglie di verza, 18/20 castagne, 2 fette di lardo, 1 reticolo del maiale, 1 cipolla, 1 carota, 1 sedano, 2 cucchiai di brodo di carne, 1 cucchiaio di Cognac, 1 noce di burro, sale
Ora faccio rosolare la coscia del fagiano per 3 minuti, innaffio con il Cognac e termino la cottura in forno preriscaldato a 180 °C per 15 minuti. Ripeto lo
stesso procedimento con il petto, che lascio in forno alla stessa temperatura, ma solo per 10 minuti. Le varie operazioni prevedono che tutto sia aggiustato di sale.
Predispongo il piatto con il petto scaloppato e la coscia e condisco con la salsa.
Barolo Docg Sorì Ginestra Azienda Agricola Conterno Fantino
Barbaresco Docg Maria Adelaide Azienda Agricola Rabajà di Bruno Rocca
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e
ga Apicio, famoso autore del ricettario “De re coquinaria” ingrassando personalmente i maiali o altri animali con i fichi, influenzò così tanto i costumi della sua epoca che il termine “iecur”, allora usato per denominare il fegato, divenne “ficatum”, da cui l’attuale fegato. Nella cucina piemontese il fegato trova vasto impiego sia nella preparazione di antipasti, che di primi e secondi piatti. Il fegato è un organo di facile deterioramento, per questo è meglio se viene consumato appena comprato. Al momento dell’acquisto bisogna osservare che la membrana che riveste il fegato sia liscia, brillante e non avvizzita. Il colore deve essere omogeneo, non giallastro, e non deve presentare macchie all’esterno o all’interno; la carne deve essere tonica e consistente.
Fegato di coniglio
4 fegati di coniglio, 2 bicchieri di Porto, 4 bicchieri di vino rosso, 4 cipolle bianche, 1 ramo di rosmarino, 2 foglie di alloro, 1 ciuffetto di salvia, 2 cucchiai di aceto di vino, 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva, 1 cucchiaio di zucchero, sale, pepe
Dopo avere pelato le cipolle, le taglio a julienne e le passo sotto l’acqua corrente. Le asciugo e le metto in padella nell’olio. Aggiungo una presa
di sale, un cucchiaio di zucchero e uno di aceto e cuocio per 5 minuti. Preparo quindi la salsa, mettendo in pentola il Porto, il vino rosso, il
rosmarino, la salvia e l’alloro. Faccio restringere del 50% e mantengo al caldo la salsa ottenuta.
Preparo ora il fegato, facendolo rosolare per 3-4
minuti, quindi aggiungo la salsa e cuocio ancora
per altri 5 minuti. Ora adagio le cipolle nel piatto, quindi sovrappongo il fegato e cospargo di salsa.
Langhe Doc Rosso Azienda Agricola Gastaldi
Nebbiolo d’Alba Doc La Val dei Preti Azienda Agricola Matteo Correggia
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Alcuni secoli fa, in Piemonte, i contadini per avere libero accesso ai mercati delle città, davano alle guardie - finanzieri il fegato, il polmone, il ventriglio, le granelle, le creste dei galli che speravano di vendere. Con queste regalie i finanzieri - o meglio le loro mogli - avrebbero preparato il piatto che prende il nome di finanziera. La ricetta, arrivata alla corte di Carlo Emanuele I, da piatto di recupero si trasformò in piatto nobilissimo. I vini usati nella ricetta erano il Malaga, il Madera oppure il Vin di Cipro; poi dopo l’unità d’Italia avvenuta nel 1861, il Marsala li sostituì del tutto, come avvenne in molti altri piatti della cucina sabauda.
Finanziera
100 g di creste di gallo, 1 cervella, 300 g di lacerdo, 100 g di salsiccia, 100 g di carne tritata, 100 g di fegatini di pollo, 100 g di polmone, 150 g di funghi, ½ litro di Marsala,1 bicchiere di Roero Arneis, 2 cucchiai di aceto di vino bianco, 100 g di burro, sale
A premessa va detto che ogni singolo
ingrediente va preparato separatamente. Detto questo metto a bollire l’acqua
in diverse pentole, quindi in ognuna
immergo separatamente le creste di gallo, la cervella, il lacerdo, i polmoni, li faccio sbollentare, quindi li lascio raffreddare nella propria acqua di cottura.
Tolgo gli ingredienti e inizio a tagliarli a
cubetti. A parte preparo delle palline con la carne cruda e con la salsiccia, quindi
taglio i fegatini di pollo e i funghi a pezzi. Ora, sempre separatamente, passo
in padella nel burro la carne tritata, la salsiccia e i funghi, che innaffio
con il vino bianco. Quindi passo a
cucinare il resto delle frattaglie e sempre separatamente friggo i vari ingredienti innaffiandoli con il Marsala.
Una volta che ho fritto tutti i pezzi, li
unisco in casseruola, do loro una passata veloce, aggiusto di sale e innaffio con qualche goccia di aceto.
Nebbiolo d’Alba Doc La Bernardina Aziende Vitivinicole Ceretto
Barbera d’Alba Doc Azienda Agricola Rabajà di Bruno Rocca
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u
fgi Funghi alla griglia con fonduta di Raschera
Se è vero che circa l’80% della produzione italiana di formaggi proviene dalle regioni montuose, l’arte casearia italiana ha la sua massima punta creativa in Piemonte. Dalle malghe della provincia di Cuneo, in particolare dalle montagne poste attorno alla cittadina di Mondovì, arriva il formaggio vaccino Raschera Dop. La forma, venne anticamente concepita quadrata al fine di facilitarne il trasporto a dorso di mulo verso le valli di pianura. Il Raschera è un formaggio con almeno un mese di stagionatura. È di pasta cruda, pressata, semidura. Il sapore è fine e delicato, moderatamente piccante e sapido se stagionato. Il nome deriva dal pascolo e dal lago situati ai piedi del monte Mongioie.
4 funghi porcini di media pezzatura, 350 g di Raschera d’alpeggio, 500 g di latte, 2 tuorli, 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva, sale, pepe, tartufo bianco d’Alba in stagione
Scaldo il latte ed immergo il formaggio
precedentemente ridotto a piccoli cubetti. Ottenuta
una crema omogenea aggiungo i tuorli e mantengo al caldo a bagnomaria.
Pulisco i porcini con un canovaccio umido, cospargo le cappelle con olio extravergine e le faccio andare
velocemente sulla griglia per 3-4 minuti, aggiustando di sale e pepe.
A cottura ultimata adagio le cappelle dei porcini
sulla fonduta e - in stagione - faccio cadere alcune lamelle di tartufo.
Barbaresco Docg Rabajà Produttori del Barbaresco
Rosso del Sebino Igt Maurizio Zanella - Società Agricola Ca’ del Bosco
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Lu
a m Lumache al verde
1 kg di lumache sgusciate, 2 cipolle, 2 porri, 2 carote, 1 mazzetto di prezzemolo, 6 spicchi d’aglio, 1 peperoncino, 4 cucchiai di salsa di pomodoro, 2 tazze di brodo di verdura, sale, pepe
Lavo accuratamente
le lumache più volte
le immergo nel brodo
classico di verdure e
le cuocio per circa 80 minuti. Le scolo e le
pulisco da ogni impurità. Preparo il soffritto con
le cipolle, gli spicchi
d’aglio ed il prezzemolo
tritato. Aggiungo
Il Piemonte, oltre a Cherasco, annovera un altro centro importantissimo per l’allevamento delle lumache: Borgo San Dalmazzo. Qui, ogni anno si tiene a dicembre la Fiera Fredda, istituita nel 1569, con patente ducale, da Emanuele Filiberto di Savoia che, colpito dalla prelibatezza delle lumache del luogo, consacrò il Comune di Borgo San Dalmazzo capitale gastronomica della lumaca. La varietà allevata è commercialmente nota come Chiocciola alpina ed è caratterizzata da una taglia superiore a quella delle varietà tradizionali di pianura, ha carni bianche ed elevatissima qualità.
le lumache lessate,
aggiusto di sale, pepe e
peperoncino. Cuocio a
fiamma bassa ancora per
15/20 minuti. A cottura ultimata aggiungo la
salsa di pomodoro.
Barbaresco Docg Asili Produttori del Barbaresco
Barbera d’Asti Doc Superiore Bionzo Azienda Agricola La Spinetta
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m r e L Merluzzo al verde con polenta
1 filetto di merluzzo da dissalare della qualità San Giovanni, 2 pomodori ben maturi, 1 ciuffo di prezzemolo, 1 cipolla bionda, 200 g di farina di mais otto file per polenta, 1 cucchiaio di farina bianca, 4 spicchi d’aglio, olio extravergine di oliva, sale
Metto a bagno il merluzzo per 3 giorni, cambiando l’acqua ogni giorno. Trascorso questo tempo lo
In Piemonte si mangia da sempre il merluzzo sotto sale, ovvero il baccalà. Tipica ricetta del venerdì, che veniva servita con la polenta quando cadeva la neve. Quasi per nulla usato è lo stoccafisso ovvero il merluzzo essiccato al sole e all’aria fredda dei Paesi nordici. Baccalà deriva dalla parola fiamminga kabeljaw, che vuol dire bastone di pesce salato. Stoccafisso deriva invece da stock, legno, e fish, pesce. Alias bastone di legno, perchè tale appare per la sua durezza.
asciugo bene e lo porziono. Preparo la polenta,
portando ad ebollizione un litro di acqua in cui faccio cadere a pioggia lentamente la farina di
mais. Aggiusto di sale e faccio cuocere lentamente per circa un’ora. Ora preparo il merluzzo. Trito la cipolla, l’aglio e il prezzemolo, quindi li soffriggo nell’olio. Quando iniziano a indorare aggiungo i
pomodori sbucciati e privati dei semi, aggiusto di sale e cuocio per una quindicina di minuti. Nel
frattempo impano il merluzzo già porzionato nella farina e lo metto in padella nell’olio ben caldo
e sfrigolante, in modo che formi una crosticina dorata. Tolgo dalla padella i tranci, li unisco al
soffritto e proseguo la cottura per 5 minuti. Verso
la polenta nel piatto e adagio su di essa il merluzzo con la sua salsa.
Vino Rosso da Tavola Vareij Azienda Agricola Hilberg-Pasquero Grignolino d’Asti Doc Società Agricola Montalbera
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b L Vittorio Emanuele II, quando era Principe di Savoia in attesa del trono, scappava dalla Corte di Torino “bigotta e noiosissima” dove era costretto a mangiare brodetti speziati alla maniera della corte di Vienna e andava spesso in Monferrato con tre scopi: andare a caccia, fruire di spicciativi amori con villanelle compiacenti e fare con gli amici allegre mangiate di bollito, generosamente accompagnato da Barbera. La carne più adatta è quella del vitello di razza piemontese detta di “fassone” o ‘‘della coscia’’ o ‘‘dal culo triplo’’, alimentato in modo naturale.
Il bollito
1 kg di muscolo, 1 kg di scaramella, 1 kg di brutto e buono, 1 kg di punta di petto, 1 lingua, 1 coda, 1 kg di testina, 1 gallina banca di Villanova, 2 cotechini, 8 cipolle, 8 carote, 8 gambi di sedano, 8 rametti di rosmarino, sale
In una pentola capiente metto 2 cipolle, 2 carote, 2 gambi di sedano, 2 rametti di rosmarino,
aggiusto di sale e porto ad ebollizione. Aggiungo il
muscolo, la scaramella, il brutto e buono, la punta di petto e cuocio per 2 ore. A parte, sempre con
lo stesso procedimento, cuocio la lingua e la coda. In un’altra pentola la testina da sola, quindi la
gallina in pentola separata con i soliti gusti; infine i cotechini senza verdure e senza sale.
Accosto ai pezzi del bollito le classiche salse di
Langa, ovvero il bagnetto rosso, il bagnetto verde, la mostarda e la “salsa d’avie”.
Barbaresco Docg Azienda Agricola Gastaldi
Nebbiolo d’Alba Doc Vigna Carzello Azienda Agricola Edoardo Sobrino
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co
g u La Cougnà
La necessità di conservare la frutta
Anzi ha sapore dolce e ricorda vagamente
durante l’inverno creò fin dall’epoca
il tamarindo. Si gusta con la polenta, con
romana, la tradizione di creare conserve
i bolliti, con i formaggi, ma è gradevole
che dapprima venivano elaborate con il
anche come sorbetto e anticamente veniva
miele e successivamente con altri prodotti.
amalgamata alla neve per ottenere un gelato
Quando i Romani soggiogarono i Bagienni
povero, ma veramente molto buono.
e i Liguri che occupavano le Langhe,
La lavorazione per ottenere la cougnà è
incominciarono a diffondersi anche in
laboriosa. Si parte dal mosto che si deve
Piemonte le salse ottenute con mosto
ridurre sino ad un terzo mediante lenta
cotto (mostarde). Venivano in tal modo
evaporazione. Quindi, si aggiungono i
conservate le mele scottate, in particolare
frutti di fine stagione a pezzi grossolani:
quelle piccole ed aspre di origine selvatica
mele cotogne, zucca, pere, fichi,
che difficilmente potevano essere mangiate
prugne, noci, nocciole tostate, scorza
crude; insieme a queste venivano mescolati
d’arancia e di limone.
aromi, nocciole e frutta secca. Nasce così la
Un tempo per la cottura, che si può
tradizione della cougnà piemontese, la vera
protrarre anche un’intera giornata, si
mostarda originaria, nata molto prima che
usavano pentoloni di rame bassi messi
si diffondesse quella elaborata a Digione
nell’aia sul fuoco alimentato da sarmenti
ottenuta dal “mosto ardente” dell’uva unito
di vite per favorire la concentrazione del
con la senape. Anche se le origini sono così
mosto, che però non doveva attaccare
lontane, è da sottolineare che l’uso della
sul fondo e quindi richiedeva un lavoro
mostarda o cougnà venne praticato molto
continuo di rimescolatura con un lungo
tempo dopo, ovvero intorno alla metà del
bastone di legno. A sancire la piemontesità
1600, soprattutto nelle famiglie contadine
della ricetta si cimenta il Vialardi, cuoco
del Piemonte e il consumo era focalizzato
di casa Savoia, dandoci la sua versione
specialmente nel periodo natalizio per
nella “Cucina borghese, semplice ed
deliziare i piatti della festa.
economica” pubblicata nel 1864. Le ricette
La mostarda d’uva o cougnà è costituita
si tramandano tuttora di cascina in cascina
da mosto d’uva cotto, che può essere
consumato allo stato naturale, oppure rielaborato con l’aggiunta di frutta di
stagione. La cougnà assume la consistenza
di una confettura e il colore scuro è dovuto
all’uso del mosto.
e non ce n’è una uguale all’altra. Vi racconto quella di Elide.
Ovviamente le sue sono dosi adeguate
al ristorante. Per fare la cougnà in casa, è sufficiente rapportare il tutto alle necessità individuali.
Le uve più comuni utilizzate sono quelle
1 damigiana da 70 litri di mosto di
del Barbera, del Dolcetto, del Nebbiolo,
nebbiolo, 500 g di noci,
della Favorita e del Moscato. Diversamente dalle altre mostarde, la cougnà non è
assolutamente piccante.
500 g di nocciole, 6 mele cotogne, 6 pere martine, 6 pero-melo, 12 prugne Santa Clara, 1 kg di zucchero.
Elide porta ad ebollizione il mosto, lo fa
ridurre lentamente del 60%, aggiunge la
frutta a pezzi irregolari, quindi continua la cottura sino ad ottenere una consistenza simile alla marmellata.
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pan cet Le api raccolgono il nettare dai fiori maschili del castano di montagna tra la fine di giugno e la prima metà di luglio, per questo il miele di questo fiore contiene moltissimo polline, ed è proprio questo che caratterizza il suo gusto molto forte. Il miele di castagno è molto ricco di tannino. Il colore è ambra, talvolta carico, tendente al rossastro; al naso è aromatico e pungente, penetrante di vegetale, dal tipico sapore “amarognolo” e tannico. Per l’aspetto scuro si può confondere con le melate, dalle quali si differenzia per l’odore caratteristico e per il sapore più amaro. Come proprietà aiuta la circolazione del sangue ed è adatto per tutte le persone anemiche, affaticate e asteniche.
Pancetta di maiale al miele di castagno ¼ di pancetta fresca di maiale, 2 cipolle, 2 carote, 3 gambi di sedano, 8 spicchi d’aglio, rosmarino, brodo di carne, vino bianco, miele di castagno, fecola, sale, pepe
Preparo il soffritto, rosolando le verdure e gli
aromi tritati finemente. A parte metto a rosolare la pancetta porzionata, quindi la aggiusto di sale e di
pepe. Unisco ora le verdure alle carni, innaffio con il vino bianco, porto in riduzione, quindi unisco
un cucchiaio di miele e il brodo di carne. Passo in forno preriscaldato a 200 °C per 2 ore. Terminata
la cottura, passo al setaccio la salsa e la lego con un po’ di fecola.
Barolo Docg Azienda Agricola Elio Altare
Barolo Docg Percristina Azienda Agricola Domenico Clerico
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e rn p
Pernice rossa con mele e salsa di fegatini
Pulisco le pernici, le spiumo e le
fiammeggio, quindi le disosso, ottenendo ripuliti i petti e le cosce. Tengo da
parte i fegatini che userò per la salsa.
2 pernici, 1 carota, 1 gambo di sedano, 4 mele Golden, 1 spicchio d’aglio, 1 rametto di rosmarino, 3 noci di burro, 1 cucchiaino di zucchero, 1 bicchierino di Calvados, 4 chiodi di garofano, ½ stecca di cannella, ½ l di brodo di carne, olio extravergine di oliva, sale, pepe
Metto invece le carni a macerare con
olio, aglio e rosmarino. Nel frattempo preparo la salsa. Pulisco le verdure, le
taglio a tocchetti. Quindi faccio rosolare le carcasse in teglia, aggiungendo le
verdure tagliate e i fegatini. Faccio cuocere per una decina di minuti,
quindi bagno con un po’ di Calvados,
faccio sfumare, poi aggiungo il brodo di
carne. A questo punto passo la teglia in
forno preriscaldato a 200 °C per un’ora. Estraggo dal forno, scolo, restringo la
salsa e la lego con una noce di burro, quindi la mantengo in caldo.
A questo punto sbuccio 2 mele e le
cuocio con la cannella e i chiodi di garofano. Appena cotte le passo al
setaccio e ottengo una purea. Sbuccio
infine le altre due mele, le taglio a spicchi e le faccio caramellare in padella con lo
Con l’arrivo dell’autunno Vittorio Emanuele II era solito recarsi nella tenuta di Pollenzo da cui partiva per le sue battute di caccia. Tra i volatili prediletti del re, c’erano le pernici che Giovanni Vialardi non esita a definire ricercatissime per la finezza delle loro carni... prendendole all’autunno, grassotte, si conoscono perché hanno una penna bianca sulla punta delle ali. Attualmente in Italia è presente soprattutto nell’Appennino tosco-emiliano.
zucchero, quindi aggiungo una noce di
burro e il Calvados. Mantengo anche questo in caldo.
Come ultima fase, aggiusto di sale e pepe
le cosce e i petti di pernice, quindi li
metto in teglia con una noce di burro, li faccio indorare, quindi li passo in forno
per 10 minuti a 200 °C.
Per la presentazione, stendo la purea nel
piatto, guarnisco con gli spicchi di mela, appoggio il petto e la coscia di pernice e
irroro con la salsa di fegatini.
Barolo Docg Ciabot Mentin Ginestra Azienda Agricola Domenico Clerico Barolo Docg Gavarini Chiniera Azienda Agricola Elio Grasso
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p La “cacciatora” non ha una definizione unica nella cucina italiana, ma è un modo diffuso in tutte le regioni per cucinare gli animali di cortile. Ovunque però si tratta di un piatto rustico e campagnolo, poco urbano e per nulla diffuso nelle cucine nobili di corte. Il nome prende spunto dai cacciatori, che solitamente erano persone di buon appetito che si fermavano nelle trattorie di campagna per il pranzo. La “cacciatora” piemontese, applicata quasi esclusivamente al pollo o pollastro, è decisamente in rosso con il pomodoro fresco e la cipolla.
1 pollo ruspante, 2 cipolle bianche, 6 spicchi d’aglio, 4 pomodori cuori di bue maturi, 1 ramo di rosmarino, 1 bicchiere di vino bianco, 1 manciata di farina, olio extravergine di oliva, sale, pepe
Pollastro alla cacciatora
Pulisco il pollo e lo fiammeggio, quindi lo taglio a pezzi e passo questi nella farina.
Scaldo un filo d’olio in casseruola, adagio i pezzi di pollo e li rosolo da ambo i lati,
affinché risultino dorati. Pulisco ora le cipolle e le affetto sottili; sbuccio i pomodori e li
privo dei semi. Aggiungo in casseruola l’aglio, il rosmarino e la cipolla affettata e continuo
la cottura. Dopo un’oretta unisco alla cottura
i pomodori fatti a tocchetti e passo la teglia in forno preriscaldato a 200 °C per 30 minuti, bagnando di tanto in tanto con il sugo di cottura.
Barbera d’Alba Doc Superiore Naunda Azienda Agricola Bric Cenciurio
Barbera d’Asti Doc Costamiòle Prunotto
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Per la testina: 1 kg di testina di vitello, 2 cipolle bianche, 2 carote, 1 gambo di sedano, 1 porro, 1 rametto di rosmarino, 2 foglie di alloro, ½ l di brodo di carne, sale Per la salsa: 1 cipolla, 3 spicchi d’aglio, 2 ciuffi di salvia, 1 rametto di rosmarino, 2 cucchiai di aceto
Barolo Docg Bussia Prunotto Roero Docg Superiore Azienda Agricola Cascina Val del Prete
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Testina di vitello
Fiammeggio la testina e la pulisco da eventuali peli e impurità. La lavo sotto l’acqua corrente, quindi la taglio a cubetti di circa 3 centimetri e li faccio bollire in pentola coperta con le verdure per almeno 3 ore. A cottura ultimata preparo la salsa di condimento, facendo un soffritto con la cipolla, l’aglio, il rosmarino e la salvia. A questo punto aggiungo la testina, la faccio insaporire, aggiusto di sale e sfumo con brodo di carne e aceto. Servo la testina ben calda.
La testina si acquista dal macellaio già disossata, pulita e spesso arrotolata pronta per l’uso, altrimenti è necessario provvedere alle seguenti operazioni che richiedono un certo tempo: fiammeggiarla, lavarla, tenerla a bagno in acqua fredda per alcune ore e, poi, sbollentarla. Il peso di una testina di vitello si aggira intorno ai 5 kg. In genere la testina va cotta da sola e per mantenere inalterato il colore bianco della carne, si consiglia di aggiungere all’acqua di cottura un po’ di succo di limone. Il grado di cottura si controlla pungendo la testina con una forchetta: è pronta quando risulta tenera e non più gelatinosa.
po
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Quaglie con polenta
Per le quaglie: 4 quaglie, 7 spicchio d’aglio, 2 rametti di rosmarino, 1 cipolla bianca, 200 g di sanguinelli, 2 fette di lardo, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 noce di burro, 1 tazzina di brodo di carne, 1 cucchiaio di Roero Arneis, 1 mestolo di sugo d’arrosto, sale, pepe Per la polenta 100 g di farina di mais, 1/2 l di acqua, 1 cucchiaio d’olio extravergine di oliva, sale Pulisco le quaglie e le fiammeggio, quindi stacco i petti e le cosce. Le carcasse le faccio rosolare,
quindi le passo in forno incoperchiate e irrorate
Nei boschi delle Langhe e del Roero, dove il pino silvestre incontra la roverella e il castagno, a cominciare da settembre si trovano dei funghi, che in dialetto vengono chiamati trun o terun, perché il gambo esce pochissimo dalla terra e il cappello sembra quasi appoggiarsi alla superficie. Il nome scientifico è Lactarius sanguifluus, ovvero fungo che perde sangue, perché al taglio la carne si punteggia finemente di lattice rosso. Sono ottimi crudi in insalata, ma rendono molto bene nell’elaborazione di intingoli.
di cottura, restringo la salsa e la lego con una noce di burro.
Nel frattempo preparo la polenta, facendo bollire
e
l’acqua in cui faccio cadere a pioggia la farina. Il tempo di cottura è di circa 50 minuti.
Ora pulisco e lavo i sanguinelli e li affetto sottili. Preparo poi un trito con cipolla, quattro spicchi
di aglio, un rametto di rosmarino e il prezzemolo e lo metto a soffriggere. Unisco quindi i
funghi, bagno con il vino bianco, aggiungo il sugo d’arrosto e tengo la cottura per una ventina di minuti.
Infine faccio rosolare i petti e le cosce di quaglia, dopo averli salati e pepati. Li passo in forno
insaporiti di aglio, rosmarino e lardo, tenendo la temperatura a 150 °C per 5 minuti.
Per la presentazione, adagio nel piatto la polenta, i sanguinelli e per ultime le quaglie.
l
t
di brodo per un’oretta circa. Terminato il tempo
Barolo Docg Bricco delle Viole Azienda Agricola G.D. Vajra
Langhe Doc Rosso Harys Gillardi
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S e
Per la sella farcita: 4 selle di coniglio, 12 rognoncini, 16 fette di lardo, 1 cipolla, 1 carota, 1 zucchina, 1 gambo di sedano, 3 spicchi d’aglio, 5 foglie di basilico, olio extravergine di oliva, sale, pepe Per la salsa: La carcassa del coniglio, aglio, fecola, rosmarino, brodo vegetale, sale, pepe
Sella di coniglio farcita con i suoi rognoncini Taglio la cipolla a julienne; la carota,
Leopold Bloom di Joyce mangiava con gran gusto le interiora degli animali e dei volatili. Gli piaceva la minestra di rigaglie, i gozzi piccanti, il cuore ripieno arrosto, le fettine di fegato impanate e fritte, ma soprattutto i rognoni di castrato alla griglia, che gli lasciavano nel palato un fine gusto di acido urico leggermente aromatico. In tutta la cucina piemontese le interiora sono diventate, da piatto povero, elemento costitutivo della gastronomia di alta scuola e non c’è grande pranzo di tradizione senza che un elemento delle cosiddette frattaglie o “rigalie” venga cucinato nei modi più sfiziosi.
la zucchina, il sedano e l’aglio li taglio invece a rondelle. Faccio saltare il tutto in padella con olio extravergine, aggiusto di sale e pepe e faccio raffreddare. A questo punto disosso le selle di coniglio e ottengo 2 filetti completi anche della parte molle della pancia. Utilizzo questa parte come involucro entro cui racchiudere le verdure, i rognoni e il basilico. Arrotolo la sella e la ricopro con il lardo, infine la lego con lo spago. Porto in forno a 180 °C per 20 minuti. Per la salsa, rosolo le ossa, poi aggiungo aglio, rosmarino e brodo vegetale, quindi passo in forno per 2 ore. Restringo la salsa finché diventa bella consistente, la filtro e lego il tutto con la fecola. Preparo il piatto, disponendo dapprima la salsa su cui appoggio la sella tagliata a fette.
Langhe Doc Nebbiolo Ginestrino Azienda Agricola Conterno Fantino
Barolo Docg Rocche dell’Annunziata Torriglione Azienda Agricola Roberto Voerzio
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4 stinchi, 4 spicchi di aglio, 1/2 bicchiere di Roero Arneis Docg, 1/2 litro di brodo di carne, rosmarino, sale, pepe
Stinco di maiale In teglia faccio rosolare da tutti i lati gli stinchi che ho precedentemente
salato e pepato. Terminata questa fase,
aggiungo aglio e rosmarino. Sfumo con l’Arneis, faccio evaporare e aggiungo il brodo. Cuocio in forno per circa 120 minuti a 180°C, bagnando di
tanto in tanto. A cottura ultimata restringo la salsa.
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Questa semplicissima e classica ricetta attinge alla cultura gastronomica della provincia di Cuneo, che potrebbe essere definita “rosea” perché l’allevamento dei suini è diffusissimo in forma intensiva, ma anche come orpello goloso dell’economia di cascina. Lo stinco figurava tra i piatti nobili della domenica. Ma del maiale non si butta proprio nulla. Un tempo neppure le setole, tanto che Giotto, investito da un suino, ammonì gli allievi che volevano bastonare la bestia, dicendo loro di non fargli del male, poiché dalle sue setole si ricavavo i pennelli essenziali alla sua arte.
Barolo Docg San Rocco Azienda Agricola Azelia
Barbaresco Docg Vigneto Gallina Vürsù Azienda Agricola La Spinetta
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...Invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della felicitĂ di questa persona durante le ore che egli passa sotto il nostro tetto... Jean-Anthelme Brillat-Savarin
Zi Per il Pan di Spagna: 80 g di farina, 80 g di fecola, 12 uova, 150 g di zucchero Per la crema bianca: ½ l di latte, 1 buccia di limone, 1 bustina di vanillina, 4 tuorli, 100 g di zucchero, 40 g di farina Per la crema al cioccolato: ½ l di latte, 80 g di cioccolato 64%, 1 cucchiaio di cacao, 100 g di zucchero, 20 g di farina, 4 tuorli, ½ l di sciroppo a base di Alkermes
Il Piemonte ha ereditato la zuppa inglese quando la capitale da Torino venne trasferita a Firenze. Infatti alla perfetta riuscita del dolce occorre il liquore chiamato Alkermes che veniva elaborato dalla farmacia di S. Maria Novella, allora frequentata prevalentemente da clienti “inghilesi”. Altri fanno l’ipotesi che alcune domestiche emiliane trovandosi a servizio di famiglie inglesi a Firenze, vedendo avanzare tanti biscottini dopo il rito pomeridiano del tè, avrebbero pensato di servirsene per arricchire la loro crema di uova e latte e, bagnandoli con il liquore Alkermes, avrebbero creato un dessert nuovo chiamato “zuppa inglese” in onore dei padroni stranieri.
Zuppa inglese Preparo il pan di Spagna, iniziando a montare gli albumi a neve, quindi i tuorli con lo zucchero. A
questi ultimi aggiungo la farina e successivamente la fecola, dopo averle opportunamente setacciate. Per ultimo unisco gli albumi e mescolo bene. Stendo
il composto ottenuto in una teglia e passo in forno preriscaldato a 180 °C per 15 minuti. Nel frattempo preparo le creme.
Metto a bollire mezzo litro di latte con una buccia
di limone e la vanillina. Intanto monto i tuorli con
lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso. Aggiungo 40 grammi di farina e per ultimo il latte.
Porto il tutto a cottura in un tegame e faccio andare a fuoco lento per circa 3 minuti.
Preparo ora la crema al cioccolato.
Monto 4 tuorli con lo zucchero, il cacao e la farina
fino ad ottenere una crema omogenea. Metto il latte sul fuoco e faccio sciogliere il cioccolato. Unisco la
crema al composto ottenuto e porto il tutto a cottura per circa 4 minuti.
Quando il Pan di Spagna si è raffreddato, lo taglio nella forma desiderata a fette e le inzuppo con lo sciroppo di Alkermes.
Distribuisco uno strato di crema ed uno di cioccolato e poi nuovamente il pan di Spagna inzuppato.
Ricopro con la crema bianca e spolvero con cacao amaro.
Barolo Chinato Azienda Agricola G.D. Vajra
Vendemmia Tardiva Sito dei Fossili Azienda Agricola Bric Cenciurio
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c o Sulle colline di Chieri, per le favorevoli caratteristiche del suolo e del clima della zona, si sono diffuse vecchie varietà di ciliegie che si sono fatte apprezzare per il sapore, il colore e la resistenza allo spacco. In particolare sono ricercate la ciliegia “Vittona della spiga” che ha buccia di colore rosso scuro, frutto cuoriforme e sapore molto dolce; la Martini di colore rosso brillante, polpa croccante e sapore molto dolce. Molto apprezzati sono anche i duroni, in particolare la Galucia di colore rosso scuro, grossa e tonda, con picciolo lungo e polpa croccante; ottimo il Graffione di Pecetto che è un durone bianco di ottima consistenza, adatto alla conservazione sotto spirito.
Torta di cioccolato e granita di ciliegie Per la torta: 300 g di cioccolato 64%, 120 g di burro, 4 uova, 150 g di zucchero, 60 g di farina Per la granita: 500 g di ciliegie, 100 g di zucchero, 1 bicchiere di sciroppo
g Faccio sciogliere il cioccolato e il burro a bagnomaria. A parte monto a neve
gli albumi con 75 grammi di zucchero, mentre in un altro recipiente monto i tuorli con il rimanente zucchero.
A questo punto incorporo il cioccolato fuso nei tuorli e successivamente
la farina che ho precedentemente
setacciato. Infine aggiungo gli albumi montati a neve. Verso il tutto in una teglia antiaderente e cuocio in forno
preriscaldato a 180 °C per 20 minuti.
Ora preparo la granita. Lavo le ciliegie, le privo del nocciolo e le cuocio con
100 grammi di zucchero per circa 30 minuti. A cottura ultimata frullo il
tutto e aggiungo lo sciroppo ottenuto dall’amalgama di acqua e zucchero in proporzione del 50%. Raffreddo in
abbattitore per circa un’ora mescolando di tanto in tanto.
Impiatto la torta e la granita.
Piemonte Doc Moscato Passito Oro Azienda Agricola La Spinetta
e
Passito Montaldi Azienda Agricola Ca’ du Sindic di Grimaldi Sergio
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p 168
e p Canale è famosa in Piemonte per le pesche, perché oggi come un tempo al mercato della cittadina arrivava la produzione da tutti i comuni del Roero. Molto spesso il pesco era messo a coltura tra i filari e oggi fra le “pesche di vigna” le varietà più conosciute sono la “pesca del vino” che ha polpa rossa e dolce e matura all’epoca della vendemmia; la pesca “limunin” il cui frutto allungato ha sapore molto dolce e matura a metà agosto. Molto diffuse nel Roero sono anche le “Fior di maggio” (magiurot), a maturazione precoce; le “San Giovanni”, che maturano nella seconda decade di giugno, e le “Vitu”, a pasta bianca e buccia rossa, che maturano ad agosto.
s Asti Docg De Miranda Contratto
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Pesche ripiene 4 pesche di vigna, 1 cucchiaio di cacao, 2 amaretti, 1 uovo, buccia di limone, 1 bicchierino di liquore amaretto, 5 g di burro, 150 g di zucchero
ca
Lavo le pesche e le taglio a metà. Le scavo con un cucchiaio e
asporto una parte della polpa
che amalgamo con l’uovo, 100
grammi di zucchero, il cacao, la
buccia di limone grattugiata e gli amaretti pestati con il pestello e il liquore.
Con la farcia ottenuta guarnisco l’incavo delle pesche, cospargo la sommità di zucchero e vi
adagio una noce di burro. Porto in forno precedentemente
riscaldato a 180 °C e faccio cuocere per 15 minuti.
pre La Pera Madernassa ha avuto origine nella Borgata Madernassa, piccola frazione a metà strada tra i paesi di Guarene e Castagnito. La pianta madre risale a fine 1700 e la varietà allora era conosciuta con il nome Gavello. La zona dove più intensamente si coltiva è la sinistra del Tanaro nelle colline dei comuni di Canale, di Castagnito e di Guarene in cui la produzione coinvolge una trentina di produttori. Oggi impianti di una certa consistenza si trovano anche nel Canavese e in Emilia. Il frutto è caratterizzato da una notevole rusticità ed è particolarmente adatto ad essere cotto per il suo caratteristico sapore e per la sua elevata ricchezza zuccherina.
e
Pere Madernassa al Nebbiolo
8 pere Madernassa, 1 bottiglia di Nebbiolo, 100 g di zucchero, 6 chiodi di garofano, ½ stecca di cannella, 1 buccia di limone
Metto a macerare le pere nel vino e le spezie
almeno la sera prima. Il giorno seguente aggiungo lo zucchero e la buccia di limone. Porto ad
ebollizione e mantengo la cottura a fiamma bassa per 25/30 minuti. A cottura ultimata filtro la salsa eliminando le spezie e la faccio ridurre, portandola a media densità.
Moscato d’Asti Docg - Etichetta Rosa Ca’ du Sindic Azienda Agricola Ca’ du Sindic di Grimaldi Sergio
170
e
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gm La selezione di grappe Marolo
La grappa nelle Langhe e nel Roero è storia di persone e di passioni. Là dove i due territori si incontrano, Paolo Marolo condivide con Enrico la sua passione. Ne ha fatto professione dotta e ogni anno sa orchestrare sapientemente il lavoro della distillazione armonizzando le sue emozioni alla tecnica, utilizzando il naso, le mani e il palato per creare raffinate varianti, tutte sempre originali e uniche, perchÊ frutto di un grande amore per il proprio lavoro.
1 72
m 173
1 74
m Fin dal 1500, il comune di Cuneo fu il mercato principale della castagna con un’importanza non solo nazionale, ma anche europea. L’antica tradizione castanicola consentì lo sviluppo di un’intensa attività nell’arte della pasticceria. La nascita del marron glacé è oggetto di un’antica disputa tra Francesi e Piemontesi. Questi ultimi attribuiscono il merito al cuoco del Duca Carlo Emanuele I, che per primo introdusse il dolce alla corte dei Savoia. Il marron glacé ricevette la propria consacrazione quando la ricetta venne inclusa nel “Confetturiere Piemontese”, stampato a Torino nel 1766.
Meringa con marron glacés
250 g di panna fresca, 230 g di zucchero, 500 g marrons glacés, 100 g di albumi, 200 g di cioccolato 72%, 200 g di latte intero
Monto gli albumi con 200 g di zucchero, quindi li stendo sulla teglia, dando loro
la base di un centimetro. Passo in forno preriscaldato a 100 °C per due ore. Nel
frattempo sciolgo il cioccolato con il latte e lo mantengo alla temperatura di 30 °C. Monto infine la panna con 30 grammi
di zucchero, incorporo i marroni dando loro una forma sferica. Ricopro con le meringhe tagliate a piacere.
Moscato d’Asti Docg Su Reimond Azienda Agricola Bera Asti Docg Azienda Vitivinicola Ca’ d’ Gal
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e
l ga Gelato al latte con ciliegie
Trofarello è una cittadina poco distante da Torino che vanta una produzione di amarene di tutto prestigio. Tutti i Comuni d’Italia si differenziano tra loro per la produzione della frutta, ma per ragioni climatiche e per natura del terreno, lo sviluppo e la maturazione di certi frutti si localizza mettendo in evidenza come le biodiversità incidano in termini di calibratura, sapore, sfumature di colore. Le Amarene di Trofarello chiamate in piemontese, “griote”, hanno polpa acidula tenera e trasparente e appartengono a vecchie varietà o cloni affermatisi localmente e coltivati secondo tecniche frutticole ecosostenibili o biologiche.
1 l di latte intero, 300 g di zucchero, 35 g di glucosio liquido, 1 cucchiaino di stabilizzante, 1 kg di ciliegie (amarene), 1 bicchiere di vino bianco
Lavo accuratamente le ciliegie. Dopo aver tolto il
picciuolo le asciugo e le metto in pentola a bollire
con 200 grammi di zucchero e il vino bianco per una trentina di minuti. Le raffreddo immediatamente e le mantengo in frigo.
Porto ad ebollizione il latte con il restante zucchero, il glucosio e lo stabilizzante. Quindi metto tutto in gelatiera. Infatti impiatto il gelato con le ciliegie.
Passito Sol Dorè Azienda Agricola Provenza
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e
a
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ca
Crema di mascarpone e gelato al caffè
f
Per la crema: 250 g di latte, 2 tuorli, 100 g di zucchero, 150 g di panna montata, 250 g di mascarpone Per il gelato: 1 l di latte, 200 g di zucchero, 8 tuorli, 30 g di caffè Lavazza 100% Arabica macinato
Preparo una crema
inglese amalgamando
il latte, i tuorli e lo
zucchero e poi facendoli
cuocere a 80 °C. A
cottura ultimata la
raffreddo, quindi
aggiungo poco a poco il
mascarpone e, in ultimo,
Il cammino del caffè, iniziato intorno al 900-1000 d.C. è divenuto fenomeno di costume, simbolo della socialità, ma anche base per svariate ricette della cucina piemontese e italiana. Il 1615 è considerata la data in cui il caffè fece la sua comparsa in Europa grazie ai commercianti veneziani, ma il merito di averlo introdotto in Italia spetta al botanico Prospero Alpini. Torino è una delle capitali del caffè insieme a Trieste e Napoli e vanta, con il marchio Lavazza, un ruolo primario nella produzione di qualità di questo prodotto.
la panna montata. Lascio
riposare il composto
in frigorifero. Nel
frattempo porto ad
ebollizione il latte con il
caffè macinato, monto
i tuorli con lo zucchero,
incorporo il latte caldo e porto a 85 °C. Raffreddo e metto in gelatiera. Quindi impiatto la crema con il gelato.
Moscato d’Asti Docg Lumine Azienda Vitivinicola Ca’ d’ Gal Passito Tarasco Azienda Agricola Cornarea
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a t s C Cassata piemontese
300 g di ricotta, 200 g di zucchero, 2 uova, 100 g di panna, 1 cucchiaio di Grand Marnier, 1 cucchiaio di frutta candita (arance, pompelmi e uvetta)
Monto gli albumi a neve con 80 grammi di
zucchero e li cuocio a meringa in forno a 80
Nel 1516 la Duchessa Bianca di Monferrato spediva dal suo castello di Carignano all’innamorato Carlo III duca di Savoia delle scorze di arancia candite, moda che si era diffusa in Piemonte tra le nobildonne. L’arte di candire i frutti era già ben nota fin dall’anno 1000 e i marinai genovesi avevano appreso dagli Arabi che le scorze degli agrumi immerse nella melassa si conservavano a lungo e si potevano dunque portare per mare.
°C. Fatto questo amalgamo alla ricotta la panna montata, i tuorli e 120 grammi di zucchero.
Mischio delicatamente per dare omogeneità al composto, quindi aggiungo la meringa a pezzi, il Grand Marnier e la frutta candita. Adagio il composto in uno stampo e metto in frigo per almeno 8 ore.
Moscato d’Asti Docg Bricco Quaglia Azienda Agricola La Spinetta
Malvasia di Castelnuovo Don Bosco Doc Gilli Azienda Agricola Cascina Gilli
180
182
o bn Bonét in piemontese significa cappello. Nelle carte dei ristoranti piemontesi il dessert è molto diffuso e secondo alcuni prende questo nome perché lo stampo usato ricorda il cappello da lavoro che veniva utilizzato anticamente dalle maestranze artigiane e operaie. Secondo altri autori, questo dolce venne chiamato “bonét”, perché viene servito a fine pasto, come cappello a tutto ciò che si è mangiato in precedenza.
é
Bonét
1 l di latte, 8 uova, 300 g di zucchero, 200 g di amaretti, 1 cucchiaio di cacao, 50 g di liquore amaretto, 1 buccia di limone
Mescolo il latte, le uova e 200 grammi di zucchero; aggiungo gli amaretti precedentemente sbriciolati,
il cacao, il liquore e la buccia di limone grattugiata. Faccio caramellare il rimanente zucchero e
avvolgo con questo le pareti di uno stampo.
Verso il composto precedentemente preparato
nello stampo e lo metto a bagnomaria, in forno preriscaldato a 150 °C per un’ora.
Moscato d’Asti Docg - Etichetta Bianca Azienda Agricola Ca’ du Sindic di Grimaldi Sergio
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a
C Il caffè
è
A protrarre il momento del piacere ecco la piccola pasticceria. L’ arrivederci all’ospite è fatto di piccole squisitezze, dolci delicatezze, ultimi rintocchi suadenti cui segue il caffè... a sottolineare un arrivederci a presto...
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“... al bon a ven da si ...” Anche al fo
piemontese sarà rimasta impressa quella sc decorata sopra la porta
Il motto, non c’è più, ma suo
Il bon, le cose buone, provengono di li, da qu
un po’ misterioso, quasi lontano, ma in fo
solo da una porta. “Li” è la sintesi l’alchem
le grandi materie prime faticosamente sel
orti, i cortili, le stalle: le carni, le verdure, il p
fa incontrare con la sua esperienza, professio
i grammi fondamentali dell’antica saggezza
di generazione in generazione nelle cottur
dosare. E’ in questi frangenti che aleggia l
Enrico, da alcuni anni lontana dai fornelli ch cui trama lontana compare
Se “li” è Elide, nel mondo di qui, quello p 186
Il buono viene da qui “...al bon a ven da si...” Anche al forestiero meno avvezzo alla lingua piemontese sarà rimasta impressa quella scritta che fino a poco tempo fa era decorata sopra la porta della cucina del Centro di Priocca. Il motto non c’è più, ma suonerebbe più che mai attuale oggi. Il bon, le cose buone, provengono di lì, da quel “lì” tempio operoso e silenzioso, un po’ misterioso, quasi lontano, ma in fondo separato dalla sala da pranzo solo da una porta. “Lì” è la sintesi alchemica di Elide, che dosa e trasforma le grandi materie prime faticosamente selezionate tra le colline di Roero, gli orti, i cortili, le stalle: le carni, le verdure, il prezioso tartufo... Nel suo crogiolo le fa incontrare con la sua esperienza, professionalità, personalità, ma anche con i grammi fondamentali dell’antica saggezza popolare che qui si tramandano di generazione in generazione nelle cotture, nelle delicate fritture, nel saggio dosare. È in questi frangenti che aleggia la presenza di Rita, la mamma di Enrico, da alcuni anni lontana dai fornelli che per tanto tempo ha animato, la cui trama lontana compare nelle preparazioni più tradizionali. Se “lì” è Elide, nel mondo di qui, quello più vicino al commensale, è Enrico Cordero, presenza rassicurante nel suo sorriso bonario ed un po’ sornione dispensato sempre volentieri, lui che così bene incarna i principi di ospitalità cortese e riservata propri di queste parti.
È lui che, nelle vesti immaginarie di sacerdote druidico, officerà il rito della tavola, facendovi scoprire le preparazioni di Elide, conducendovi tra atmosfere e sapori difficili da scordare. Sì, è qualcosa legato al ricordo ciò che accompagna l’esperienza gastronomica della visita al Centro. È il ricordo che rimanda a radici lontane ben radicate tra queste colline di Roero, che si percepiscono come anima e forza trainante di questo locale e di chi vi opera; ma il ricordo è anche ciò che di più prezioso portiamo con noi uscendo di qui, ricordo di quel bon fatto da sapori schietti, profumi suadenti, ma anche dalla garbata ospitalità, dal vino che rallegra i cuori, dal riso degli amici, che faranno certo del nostro pasto qui, un pasto da ricordare.
orestiero meno avvezzo alla lingua
critta che fino a poco tempo fa era della cucina del Centro di Priocca.
onerebbe più che mai attuale oggi.
uel “li” tempio operoso e silenzioso,
ondo separato dalla sala da pranzo
mica di Elide, che dosa e trasforma
elezionate tra le colline di Roero, gli
Flavio Boraso prezioso tartufo.. Nel suo crogiolo le
onalità, personalità, ma anche con
a popolare che qui si tramandano
re, nelle delicate fritture, nel saggio
la presenza di Rita, la mamma di
he per tanto tempo ha animato, la nelle preparazioni più tradizionali.
più vicino al commensale, è Enrico 187
La Cantina e i produttori Azienda Agricola Azelia
Via Alba-Barolo 53 - 12060 Castiglione Falletto (Cn) tel. 0173 62859
Azienda Agricola Bera
Via Castellero 12 - 12050 Neviglie (Cn) tel. 0173 630194
Azienda Agricola Bric Cenciurio Via Roma, 24 - 12060 Barolo (Cn) tel. 335 5652312
Sconfinare nella cantina non assume il concetto di un limite nello spazio, è un passaggio che unisce due sponde non divise, è andare oltre e al contempo rimanere nel ristorante; varcare, esplorare, ricercare altra poesia per svelare la passione che Enrico dedica al vino, l’attenzione con cui lo conserva, sentire il racconto delle vendemmie e degli anni... la cantina del Centro è un luogo di libertà nel quale convergono stili, voci e valori umani di quei produttori che definiamo artisti.
Azienda Agricola Ca’ du Sindic di Grimaldi Sergio
Località San Grato - 12058 Santo Stefano Belbo (Cn) tel. 0141 840341
Azienda Agricola Cascina Gilli
Via Nevissano 36 - 14022 Castelnuovo Don Bosco (At) tel. 011 9876984
Azienda Agricola Cascina Val del Prete Strada Santuario 2 - 12040 Priocca (Cn) tel. 0173 616534
Azienda Agricola Conterno Fantino Via Ginestra 1 - 12065 Monforte d’Alba (Cn) tel. 0173 78204
Azienda Agricola Cornarea Cascina Cornarea - 12043 Canale (Cn) tel. 0173 65636
Azienda Agricola Domenico Clerico Località Manzoni 67 - 12065 Monforte d’Alba (Cn) tel. 0173 78171
Azienda Agricola Edoardo Sobrino Via Farinetti 14 -12055 Diano d’Alba (Cn) tel. 0173 440850
Azienda Agricola Elio Altare
Frazione Annunziata 51 - 12064 La Morra (Cn) tel. 0173 50835
Azienda Agricola Elio Grasso
Località Ginestra 40 - 12065 Monforte d’Alba (Cn) tel. 0173 78491
Azienda Agricola Filippo Gallino Frazione Valle del Pozzo - 12043 Canale (Cn) tel. 0173 98112
Azienda Agricola Gaja
Via Torino 18 - 12050 Barbaresco (Cn) tel. 0173 635158
Azienda Agricola G.D. Vajra Via delle Viole 25 - 12060 Barolo (Cn) tel. 0173 56257
Azienda Agricola Gastaldi Via Albesani 20 - 12052 Neive (Cn) tel. 0173 677400
Azienda Agricola Gillardi
Località Corsaletto 69 - 12060 Farigliano (Cn) tel. 0173 76306
Azienda Agricola Hilberg-Pasquero Via Bricco Gatti 16 - 12040 Priocca (Cn) tel. 0173 616197
Azienda Agricola La Spinetta
Via Annunziata 17 - 14054 Castagnole Lanze (At) tel. 0141 877396
Azienda Agricola Marchesi Alfieri Piazza Alfieri 28 - 14010 San Martino Alfieri (At) tel. 0141 976015
Azienda Agricola Matteo Correggia Case Sparse Garbinetto 124 - 12043 Canale (Cn) tel. 0173 978009
Azienda Agricola Negro Angelo e Figli Frazione Sant’Anna 1 - 12040 Monteu Roero (Cn) tel. 0173 90252
Azienda Agricola Provenza
Via Colli Storici - 25015 Desenzano del Garda (Bs) tel. 030 9910006
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Guido Berlucchi & C.
Piazza Duranti 1 - 25040 Borgonato di Corte Franca (Bs) tel. 030 984381
Mgm Mondo del Vino
Via Umberto I - 12040 Priocca (Cn) Importatore Marie Stuart - Reims tel. 0173 636311
Produttori del Barbaresco
Via Torino 54 - 12050 Barbaresco (Cn) tel. 0173 635139
Prunotto
Regione San Cassiano 4/g - 12051 Alba (Cn) tel. 0173 280017
Società Agricola Ca’ del Bosco Via Albano Zanella13 - 25030 Erbusco (Bs) tel. 030 7766111
Azienda Agricola Puiatti
Via Aquileia 30 - 34070 Capriva del Friuli (Go) tel. 0481 809922
Azienda Agricola Rabajà di Bruno Rocca Via Rabajà 60 - 12050 Barbaresco (Cn) tel. 0173 635112
Azienda Agricola Rizzi Via Rizzi 15 - 12050 Treiso (Cn) tel. 0173 638161
Azienda Agricola Roberto Voerzio Località Ceretto 1 - 12064 La Morra (Cn) tel. 0173 509196
Azienda Agricola Silvio Grasso
Frazione Annunziata 112 - 12064 La Morra (Cn) tel. 0173 50322
Azienda Vitivinicola Ca’ d’ Gal Strada Vecchia di Valdivilla 12058 Santo Stefano Belbo (Cn) tel. 0141 847103
Aziende Vitivinicole Ceretto
Località San Cassiano 34 - 12051 Alba (Cn) tel. 0173 282582
Bolis Distribuzione Vini
Via Bernardo da Pavia 9/11 - 27100 Pavia tel. 0382 302363
Cascina Ca’ Rossa
Località Cascina Ca’ Rossa 56 - 12043 Canale (Cn) tel. 0173 98348
Contratto
Via G.B.Giuliani 56 - 14053 Canelli (At) tel. 0141 823349
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Società Agricola Monfalletto
Frazione Annunziata 67 - 12064 La Morra Cn tel. 0173 50344
Società Agricola Montalbera
Via Montalbera 1 - 14030 Castagnole Monferrato (At) tel. 011 9433311
Società Agricola Parusso Armando Località Bussia 55 - 12065 Monforte d’Alba (Cn) tel. 0173 78257
indice 3 5 13 20 28 40 50 60
La cucina del “Centro” di Priocca Il Roero: rocche, vigneti e prelibatezze Tra storia, cultura e gastronomia Pierin del Centro, Lidia, Margherita La tradizione è un’innovazione ben riuscita Il Centro è la casa degli amici Un futuro che non è esperanto gastronomico, ma identità Il centro è tutto questo
antipasti 64 66 68 70 72 74 76 78 80 82 84 86 88 90 92 94
Coscette di rane fritte su verdure croccanti e puré di piselli Coscia di vitello in salsa Cavour Il mercato ortofrutticolo di Canale Crema di gorgonzola con barba di frate o agretto Filetto di coniglio grigio con zucchine e uova di quaglia in carpione Verdure con bagna caöda Insalata di carne cruda Fiore di zucchino con gamberi di fiume Fonduta di Grana Padano e barbabuc Insalata di lepre Insalata di quaglie con favette Maialino laccato al miele Nervetti fritti con emulsione di aceto Storione in salsa di dragoncello con patate del bec e asparagi Peperone farcito con vinegrette e pane al rosmarino Tinche gialle di Ceresole in carpione
primi 98 100 102 104 106 108 110 112 114 116 118 120 122
I plin di langa Agnolottini del plin al sugo d’arrosto Agnolotti della domenica al sugo di fegatini Ceci e costine Fettuccine con favette novelle e pomodori Gnocchi di patate e funghi porcini Maltagliati con sugo di finferli Tajarin, la pasta di Langa Minestra di cipollotte di Ivrea Risotto alle erbe Tagliatelle al profumo dell’orto Il tartufo Zuppa di lumache e porri
C 190
C secondi
126 128 130 132 134 136 138 140 142 144 146 148 150 152 154 156 158 160
Il fritto misto
Anguilla ai ferri con verdure dell’orto
Capretto della Langa Astigiana al forno Fagiano con verza e castagne Fegato di coniglio Finanziera
Funghi alla griglia con fonduta di Raschera Lumache al verde
Merluzzo al verde con polenta Il bollito
La Cougnà
Pancetta di maiale al miele di castagno
Pernice rossa con mele e salsa di fegatini Pollastro alla cacciatora Testina di vitello
Quaglie con polenta
Sella di coniglio farcita con i suoi rognoncini Stinco di maiale
dessert
164 166 168 170 172 174 176 178 180 182 184 186 188
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Zuppa inglese
Torta di cioccolato e granita di ciliegie Pesche ripiene
Pere Madernassa al Nebbiolo
La selezione di grappe Marolo Meringa con marron glacés Gelato al latte con ciliegie
Crema di mascarpone e gelato al caffè Cassata piemontese Bonét
Il caffè
Al bon a ven da si
La Cantina e i produttori
testi
Mario Busso altri testi
bor azio ne di
Flavio Boraso Bernard Degiovanni Giorgetto Giugiaro Luca Missoni Editore
Gustosì snc Progetto grafico, impaginazione
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Francesco Busso Immagini
ac
Vincenzo Lonati
co nl
(food+pagg. 28, 35, 49, 50, 52, 57, 98, 99, 189, 172, 173)
Alice Massano
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(reportage fotografico)
Francesco Busso Altre immagini
Paolo Cerutti (still life tartufo pag. 120)
Archivio Fotografico Parrocchiale (pag. 16)
at
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(pagg. 70, 88, 103, 120, 121, 160)
Il
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Comune di Priocca
Prima edizione 2008 Finito di stampare in ottobre 2008 presso Arti Grafiche Dial Mondovì © gustosì, Canale (Cn)tutti i diritti riservati, nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o trasmessa in alcun modo, senza il permesso scritto dell’editore. info@gustosi.net tel. +39 0173 95699