ASTA
Barocco genovese da Villa Giulietta Opere del XVII e XVIII secolo 11 Giugno 2014
ASTA ASTE DI ANTIQUARIATO BOETTO s.r.l.
Barocco genovese da Villa Giulietta Opere del XVII e XVIII secolo Catalogo a cura di Anna Orlando Genova, Mercoledi 11 Giugno 2014 ore 21.00
Antiquariato e pittura sec. XIX
Martedì 10 Giugno 2014 ore 16.00 e ore 21.30 Mercoledì 11 Giugno2014 ore 16.00 e ore 22.00
Disegni
Martedì 10 Giugno 2014 ore 21.00
Arte Orientale Giovedì 12 Giugno 2014 ore 10.00
Gioielli
Giovedì 12 Giugno 2014 ore 16.00
Arte Tribale e Africana Giovedì 12 Giugno 2014 ore 21.00
Esposizione Venerdì Sabato Domenica Lunedì
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Giugno Giugno Giugno Giugno
10.00 10.00 10.00 10.00
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12.30 / 15.00 - 19.00 19.00 12.30 / 15.00 - 19.00 12.30 / 15.00 - 19.00
Mura dello Zerbino 10 rosso, 16122 Genova Tel. +39 010 25 41 314 Fax +39 010 25 41 379 Foro Buonaparte 48, 20123 Milano Tel. +39 02 36 76 82 80 e-mail: asteboetto@asteboetto.it www.asteboetto.it Barocco genovese da Villa Giulietta
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Condizioni di vendita 1. I lotti sono posti in vendita dalle Aste Boetto in locali aperti al pubblico , essa agisce quale mandataria in esclusiva in nome proprio e per conto di ciascun Venditore il cui nome viene trascritto negli appositi registri di P.S. presso Aste Boetto. Gli effetti della vendita influiscono sul Venditore e Aste Boetto non assume nei confronti dell’Aggiudicatario o di terzi in genere altra responsabilità oltre quella ad essa derivante dalla propria qualità di mandataria. 2. Gli oggetti sono aggiudicati al migliore offerente e per contanti; in caso di contestazione tra più Aggiudicatari, l’oggetto disputato potrà , a insindacabile giudizio del Banditore, essere rimesso in vendita nel corso dell’Asta stessa e nuovamente aggiudicato. Nel presentare la propria offerta, l’offerente si assume la responsabilità personale di corrispondere il prezzo di aggiudicazione, comprensivo della commissione dei diritti d’asta, di ogni imposta dovuta e di qualsiasi altro onere applicabile. 3. Aste Boetto si riserva la facoltà di ritirare dall’Asta qualsiasi lotto. Il banditore, durante l’Asta, ha la facoltà di abbinare o separare i lotti ed eventualmente variare l’ordine di vendita. Lo stesso potrà, a proprio insindacabile giudizio, ritirare i lotti qualora le offerte in Asta non raggiungano il prezzo di riserva concordato tra Aste Boetto e il Venditore. 4. Alla cifra di aggiudicazione sono da aggiungere i diritti d’asta del 23%. Sui beni contrassegnati con “*” che provengono da imprenditori non soggetti al regime del margine, è dovuto il diritto d’asta pari al 23% oltre Iva, e la vendita è soggetta ad Iva sull’intero valore di aggiudicazione, oltre spese. 5. Il Direttore della vendita può accettare commissioni d’acquisto delle opere a prezzi determinati su preciso mandato e può formulare offerte per conto del venditore. 6. Aste Boetto può accettare mandati per l’acquisto (offerte scritte e telefoniche), effettuando rilanci mediante il Banditore, in gara con il pubblico partecipante all’Asta. Le Aste Boetto non potranno essere ritenute in alcun modo responsabili per il mancato riscontro di offerte scritte e telefoniche, o per errori ed omissioni relative alle stesse. 7. Nel caso di due offerte scritte identiche per il medesimo lotto, lo stesso verrà aggiudicato all’Offerente la cui offerta sia stata ricevuta per prima. Aste Boetto si riserva il diritto di rifiutare le offerte di Acquirenti non conosciuti a meno che venga rilasciato un deposito ad intera copertura del valore dei lotti desiderati o, in ogni caso, fornita altra adeguata garanzia. All’atto dell’aggiudicazione, Aste Boetto potrà chiedere all’Aggiudicatario le proprie generalità, e in caso di pagamento non immediato e in contanti, l’Aggiudicatario dovrà fornire a Aste Boetto referenze bancarie congrue e comunque controllabili: in caso di evidente non rispondenza al vero o di incompletezza dei dati o delle circostanze di cui sopra, o comunque di inadeguatezza delle referenze bancarie, Aste Boetto si riserva di annullare il contratto di vendita del lotto aggiudicato. 8. Aste Boetto agisce in qualità di mandataria dei venditori e declina ogni responsabilità in ordine alla descrizione degli oggetti contenuta nei cataloghi, nella brochure ed in qualsiasi altro materiale illustrativo; le descrizioni di cui sopra, così come ogni altra indicazione o illustrazione, sono puramente indicative. Tutte le aste sono precedute
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Aste Boetto
da un’esposizione ai fini di permettere un esame approfondito circa l’autenticità, lo stato di conservazione, la provenienza, il tipo e la qualità degli oggetti. Dopo l’Aggiudicazione, né Aste Boetto né i Venditori potranno essere ritenuti responsabili per i vizi relativi allo stato di conservazione, per l’errata attribuzione, l’autenticità, la provenienza, il peso o la mancanza di qualità degli oggetti. Né Aste Boetto né il personale incaricato da Aste Boetto potrà rilasciare qualsiasi garanzia in tal senso, salvi i casi previsti dalla legge. 9. Le basi d’asta relative alla possibile partenza in asta di ciascun lotto sono stampate sotto la descrizione dei lotti riportata nel catalogo e non includono i diritti d’Asta dovuti dall’Aggiudicatario. Tali stime sono tuttavia effettuate con largo anticipo rispetto alla data dell’Asta e pertanto possono essere soggette a revisione. Anche le descrizioni dei lotti nel catalogo potranno essere soggette a revisione, mediante comunicazioni al pubblico durante l’Asta. 10. Il pagamento totale del prezzo di aggiudicazione e dei diritti d’Asta potrà essere immediatamente preteso da Aste Boetto, in ogni caso dovrà essere effettuato per intero, in Euro, entro sette giorni dall’aggiudicazione. L’aggiudicatario, saldato il prezzo e i corrispettivi per diritti d’asta, dovrà ritirare i lotti acquistati a propria cura, rischio, spese e con l’impiego di personale e mezzi adeguati entro 14 giorni dalla vendita. Decorso tale termine, le Aste Boetto . saranno esonerate da ogni responsabilità nei confronti dell’Aggiudicatario in relazione alla custodia, all’eventuale deterioramento o deperimento degli oggetti e avranno diritto ad applicare un corrispettivo, per singolo lotto, a titolo di custodia, pari a € 5,00 giornaliere per mobili e € 2,50 giornaliere per gli altri oggetti. Per le vendite fuori sede, gli oggetti aggiudicati e non ritirati saranno trasportati e custoditi presso i nostri magazzini. Le spese di trasporto sostenute saranno a totale carico degli aggiudicatari. Su espressa richiesta dell’Aggiudicatario, le Aste Boetto potranno organizzare, a spese e rischio dell’Aggiudicatario, l’imballaggio, il trasporto e l’assicurazione dei lotti. 11. In caso di mancato pagamento, le Aste Boetto s.r.l. potranno: a)restituire il bene al mancato venditore ed esigere dal mancato acquirente il pagamento delle commissioni perdute; b)agire per ottenere l’esecuzione coattiva dell’obbligo di acquisto; c)vendere il lotto a trattativa privata, o in aste successive, comunque in danno del mancato compratore, trattenendo a titolo di penale gli eventuali acconti versati. 12. Nonostante ogni disposizione contraria qui contenuta, Aste Boetto si riserva il diritto di concordare con gli Aggiudicatari forme speciali di pagamento, per le quali viene espressamente convenuto il patto di riservato dominio a favore di Aste di Antiquariato Boetto s.r.l. fino all’integrale e completa estinzione del debito. Resta pertanto inteso che il mancato o ritardato pagamento, anche di una parte soltanto delle rate stabilite, darà facoltà al venditore Aste di Antiquariato Boetto s.r.l. di ritenere risolta la vendita, di richiedere l’immediato restituzione del bene nel caso esso fosse già stato consegnato e di trattenere quanto già pagato a titolo di caparra confirmatoria. 13. Gli Aggiudicatari sono tenuti all’osser-
vanza di tutte le disposizioni legislative o regolamentari in vigore relativamente agli oggetti dichiarati di interesse particolarmente importante e per i quali il procedimento di dichiarazione è iniziato ai sensi dell’art. 6 es. del D.LGS. 29 Ottobre 1999, n. 490, con particolare riguardo agli artt. 54 e ss. del medesimo decreto. L’esportazione di oggetti da parte di Aggiudicatari residenti e non residenti in Italia è regolata dalla suddetta normativa nonché dalle leggi doganali, valutarie e tributarie in vigore. Il costo approssimativo di una licenza di esportazione è di € 200,00. I tempi d’attesa sono di 45 giorni circa dalla richiesta al Ministero dei Beni Culturali, Ufficio Esportazioni. La richiesta della licenza viene inoltrata al Ministero previo pagamento del lotto e su esplicita autorizzazione scritta dell’Aggiudicatario. Aste Boetto non si assume nessuna responsabilità nei confronti dell’Aggiudicatario in ordine ad eventuali restrizioni all’esportazione dei lotti aggiudicati, né in ordine ad eventuali licenze o attestati che l’Aggiudicatario di un lotto dovrà ottenere in base alla legislazione italiana. L’Aggiudicatario in caso di diritto di prelazione da parte dello Stato, non potrà pretendere da Aste Boetto o dal Venditore nessun rimborso di eventuali interessi sul prezzo e sulle commissioni d’Asta già corrisposte. 14. In caso di contestazioni fondate e accettate da Aste Boetto per oggetti falsificati ad arte, purché la relativa comunicazione scritta provenga a Aste Boetto entro 21 giorni dalla data della vendita, Aste Boetto potrà, a sua discrezione, annullare la vendita e rivelare all’Aggiudicatario che lo richieda il nome del Venditore, dandone preventiva comunicazione a questo ultimo. 15. Tutte le informazioni sui punzoni dei metalli, sulla caratura e il peso dell’oro, dei diamanti e delle pietre preziose colorate sono da considerarsi puramente indicative e approssimative e Aste Boetto non potrà essere ritenuta responsabile per eventuali errori contenuti nelle suddette informazioni e per le falsificazioni ad arte degli oggetti preziosi. Alcuni pesi in questo catalogo sono stati determinati tramite misurazioni. Questi dati devono considerarsi solo un’indicazione di massima e non dovrebbero essere acquisiti come esatti. 16. In aggiunta ad ogni altro obbligo o diritto previsto dalle presenti Condizioni di Vendita, Aste Boetto nel caso in cui sia stata informata o venga a conoscenza di un’eventuale pretesa o diritto di terzi inerente alla proprietà, possesso o detenzione del Lotto potrà, a sua discrezione, trattenere in custodia il Lotto nelle more della composizione della controversia o per tutto il periodo ritenuto ragionevolmente necessario a tale composizione. 17. Le presenti Condizioni di Vendita sono accettate automaticamente da quanti concorrono all’Asta e sono a disposizione di qualsiasi interessato che ne faccia richiesta. Per qualsiasi controversia è stabilita la competenza esclusiva del Foro di Genova .
Condition of sale 1. Lots are put on sale by Aste Boetto at a pub- lic auction. Aste Boetto acts as exclusive agent in its own right and on behalf of each seller whose name is registered at Aste Boetto. The seller is responsible for the items on sale and Aste Boetto accepts no responsibility with regards to the buyer other than that which may derive from its position as agent. 2. The items are sold to the highest bidder for cash: in the case of disagreement between more than one high bidder, the disputed item may, at the sole discretion of the auc- tioneer, be relisted for new bidding during the same auction. When making a bid, the bidder accepts full personal responsibility to pay the price agreed inclusive of the Auc- tion Commission and all other due fees and taxes. 3. Aste Boetto reserves the right to withdraw any lot from the auction. During the auction, the auctioneer has the right to separate or join lots and to change the order of their sale. The auctioneer may, furthermore, at his discretion, withdraw any lot which does not reach the reserve price agreed between Aste Boetto and the seller. 4. An auction commission of 23% is to be added to the final selling price. Goods marked “*” which are offered by sellers not subject to “margin regulations” (VAT paid on only the difference between the original purchase price and sale price) are subject to the auction commission of 23% plus VAT on the entire value of the sale item plus ex- penses. 5. The auction director may accept a specific mandate to bid for lots at a determined price and make offers on behalf of the seller. 6. Aste Boetto may accept mandates for buy- ing (written and telephonic) and raise bids through the auctioneer at public auctions. Aste Boetto may not be held responsible in any way for not receiving written or tele- phonic offers or for any errors or omissions in said offers. 7. In the case of two identical offers for the same lot, the offer will be awarded to the offer which was received first. Aste Boetto reserves the right to refuse offers from un- known bidders unless a deposit is raised which covers the entire value of the desired lot or in any case an adequate guarantee is supplied. At the time of assignment of a lot, Aste Boetto may require identification de- tails from the purchaser and in the case of referred and non cash payment, the pur- chaser must supply Aste Boetto with a con- gruous and checkable bank reference: in the case of references which do not correspond, are incomplete or inadequate, Aste Boetto reserves the right to annul the sale contract of the assigned lot. 8. Aste Boetto acts as agent for the seller and declines responsibility deriving from de- scriptions of the items in the catalogues, brochures or any other such descriptive ma- terial: the descriptions as stated above as with all other illustrations are purely indica- tive. Al auctions are preceded by an exhibi- tion in order to allow a thorough examination of the authenticity, condition, origin, type and quality of the items. After the assignment of a lot, neither Aste Boetto nor the seller can be held responsible for flaws with regards to the condition, for mis- taken attribution, origin, authenticity, weight or quality of the items. Neither Aste Boetto nor anyone charged by Aste Boetto can
release any guarantee in this sense other than in cases foreseen by law. 9. The starting price relative to the possible auctioning of each lot is printed under the description of said lot and do not include the Auction commission to be paid by the purchaser. These estimates are nevertheless made well before the date of the auction and may therefore de subject to modifica- tion. The descriptions of the lots in the cat- alogue may also be subject to revision via communication to the public during the auction. 10. Aste Boetto may require payment in full of the final price and Auction Commission, in any case, full payment in Euros must be made within seven days of the assignment. Having paid the final price and Auction Commission, the purchaser must collect the lots bought at his own risk, responsibility and expense within seven days of the purchase. At the end of said period, Aste Boetto will be exonerated of all responsibility with regards to the purchaser concerning storage and possible deterioration of the items and may exercise the right to apply a charge for the storage of each single lot at the rate of € 5.00 per day for furniture and € 2,50 per day for other items. Items sold off site and not collected will be transported and stored in our warehouses. Any transport costs will be the responsibility of the purchaser. If specifically requested by the purchaser, and at their risk and expense, Aste Boetto may arrange packaging, transport and insurance of the lots. 11. In the case on non-payment, Aste Boetto can: a) return the goods to the seller and de- mand from the buyer payment of the lost commission, b) act in order to obtain enforcement of compulsory payment c) sell the lot at a private sale or subsequent auction, and in any case detain as penalty any deposits paid. 12. Notwithstanding any disposition contrary to this content, Aste Boetto reserves the right to agree with the purchaser, special forms of payment, public or private warehouse storage, to sell assigned lots which have not been collected privately, to insure assigned lots, to resolve disputes and claims by or against the purchaser and to generally un- dertake actions considered appropriate in order to collect payment owed by the pur- chaser or even according to the circumstances, annul the sale according to articles 13 and 14 of Italian civil law and to return the goods to the purchaser. 13. Purchasers are required to uphold all laws and regulations in force with regards to the items declared to be of particular impor- tance and for which the procedure of decla- ration was began in accordance with article 6 es. Of the legislative decree 29 October 1999, n°490, with particular regards to arti- cle 54 of the same decree. The export of goods by the purchaser, resident and not in Italy, is regulated by the aforementioned de- cree and furthermore by customs, currency and tax regulations in force. The approxi- mate cost of an export license is E.200,00. Waiting time is about 45 days following the application to the export office of the “Min- istero dei Beni Culturali”.
The application for an export license is to be sent to the Ministry on payment of the lot and with explicit written authorization of the purchaser. Aste Boetto is not held responsible in any way to the purchaser with regards to any eventual export restrictions concerning the lot assigned, nor for any license or permit which the purchaser of a lot must ac- quire in accordance with Italian law. In the case of the State exercising the right of withdrawal, the purchaser cannot expect any reimbursement from Aste Boetto or from the seller, of interest on the price or Auction Commission already paid. 14. In the case of a reasonable contestation, ac- cepted by Aste Boetto, with regards to faked works of art, and given that a written com- munication is received by Aste Boetto within 21 days of the sales, Aste Boetto may, at its discretion annul the sale and should the purchaser so require, reveal the name of the seller informing said seller of this action. 15. All information regarding hall-marks of met- als, carats and weight of gold, diamonds and precious coloured gems are to be consid- ered purely indicative and approximate and Aste Boetto cannot be held responsible for eventual errors contained in said informa- tion nor for the falsification of precious items. Some weights in this catalogue have been ascertained by way of measurement. This data is to be considered approximate and must not be considered as exact. 16. In addition to all other obligations and rights as contained in these Conditions of Sale, Aste Boetto may at its discretion, in the case that is informed or becomes aware of claims by third parties concerning the ownership, possession or holding of a lot, hold the lot in custody for the duration of the claim or for the time deemed necessary for the claim to be made. 17. These Conditions of Sale are automatically accepted by all those participating in the auction and are available upon request to any interested party. Any dispute is to be under the jurisdiction of the court of Genoa.
Barocco genovese da Villa Giulietta
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I nostri esperti Antiquariato e pittura sec. XIX, Marco Capozzi info@asteboetto.it
Arte Orientale
Stefano Jin stefano.jin@yahoo.it
Gioielli
Maurizio Simonetti maurizio.simonetti@asteboetto.it
Arte Moderna e Contemporanea, Marco Canepa marco.canepa@asteboetto.it
Design e Arti Decorative sec. XX, Sergio Montefusco sergio.montefusco@asteboetto.it
Fotografia
Maura Parodi maurapar@libero.it
Fotografie
Claudio Grimaldi
Grafica
Sara Dossi
Redazione
Francesca D’Antimi
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Barocco genovese da Villa Giulietta L a storia di una collezione può essere quella di più generazioni, di una famiglia o di un singolo illuminato mecenate. In altri casi è più semplicemente la storia che corre parallela agli anni migliori di una vita, quando, quasi con naturalezza, ogni quadro e ogni oggetto occupa il proprio piccolo spazio in casa. Le opere conservate per alcuni anni in Villa Giulietta sono il risultato di scelte meditate e fatte con amore, per essere accolte nell’armonia di una semplicità domestica. Oculatezza negli acquisti, ma nessuna speculazione. Passione, ma nessuna pazzia. Questo ha guidato le scelte del capofamiglia, incoraggiato dalla moglie e dal figlio, all’insegna di una condivisione profonda e quotidiana. Forse per queste ragioni la collezione di Villa Giulietta ha la coerenza che si percepisce anche solo sfogliando velocemente questo catalogo. E più ancora si coglie se si ha la pazienza di leggere le schede critiche che accompagnano ogni opera. Non si tratta quasi mai di quadri banali, dal soggetto scontato, dall’appeal superficialmente “commerciale”. Piuttosto, sono dipinti particolari, ciascuno a suo modo, accomunati dall’appartenenza alla scuola genovese, e più in particolare alla sua gloriosa stagione barocca. Questa piccola antologia, 16 dipinti in tutto, consente di ripercorrere i momenti salienti del Seicento pittorico genovese, potendo vantare della presenza di alcuni suoi protagonisti e di una serie di pittori cosiddetti “minori”, rappresentati però con opere magistrali. Tra i protagonisti, Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto, con ben due opere, e Valerio Castello, con una squisita primizia giovanile. Ma anche Giovanni Battista Paggi, con un dipinto con la data 1593 che ne conferma l’esecuzione durante il soggiorno fiorentino, come ricorda anche, sullo sfondo, la splendida veduta della città che lo accolse quando fu esiliato da Genova. Tra gli artisti ben noti c’è Domenico Fiasella con una storia biblica, Sansone e Dalila, declinata sulle versioni note del Louvre e di Palazzo Bianco, e con la Strage degli Innocenti, un documento importante collegato al lunettone della cattedrale di Sarzana del 1653, quasi traduzione domestica dello stesso. Anche il Compianto dei progenitori sul corpo di Abele di Orazio De Ferrari è una delle tre versioni note di questo soggetto, evidentemente amato dalla committenza, che ne apprezzò nel genovese la soluzione scenica ben studiata. Sono due vere rarità le grandi tele di Luciano Borzone e Bartolomeo Biscaino, rispettivamente con la storia tassesca di Tancredi e Clorinda e la tragedia dell’eroina romana Lucrezia, rari a incontrarsi con opere dalla teatralità barocca così riuscita. Per rarità, tanto rispetto al nome dell’autore quanto alla qualità dell’opera con cui è presente in questa antologia, sono da segnalare la Sacra famiglia di Pellegro Piola e la grande pala di Clemente Bocciardo: l’una di un’intensità tutta intima e domestica, l’altra di un vigore cromatico e di un’efficacia compositiva eccezionali. La Predica del Battista di Simon Barabino, la tela siglata e datata di Andrea Ansaldo, la Sacra Famiglia di Bernardo Castello e la Carità di Anton Maria Piola sono tra i pochi dipinti inediti qui resi noti. Perché, e va sottolineato, la qualificata bibliografia che accompagna le opere di Villa Giulietta ne conferma la loro importanza come documenti storico artistici. Questo catalogo nasce per la volontà di lasciare traccia di questi importanti dipinti non solo nella loro individualità, ma come parte di una collezione, nel loro dialogo reciproco, che li completa l’uno con l’altro come accade nelle raccolte che, come questa, sono caratterizzate da coerenza e qualità. Anna Orlando
Barocco genovese da Villa Giulietta
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1 - Giovanni Battista Paggi (Genova, 1554 – 1627)
Gesù e la samaritana al pozzo con la città di Firenze sullo sfondo Olio su tela, cm 117 x 72 Firmato e datato su una pietra “GIO: BATTISTA/ PAGGI. P. 1593” Bibliografia: M. Newcome, Drawings and Paintings by G.B. Paggi, in “Antichità Viva”, 1/2, 1995, fig. 3, p. 15
Nato da una famiglia della nobiltà dedita al commercio, Giovanni Battista Paggi intraprende la carriera di pittore contro la volontà del padre che lo avrebbe voluto mercante come lui. Il primo biografo, Raffaele Soprani, nel 1674 ricorda che la sua formazione fu sostanzialmente quella di un autodidatta, che alle lezioni di lettere, matematica e mercatura inizia ad affiancare per proprio piacere quelle di pittura. Secondo le fonti fu l’incontro con Luca Cambiaso e i suoi incoraggiamenti a portare il Paggi su questa strada. Accusato di omicidio premeditato, nel 1581 scappa da Genova e ripara a Firenze, accolto dalla corte medicea, ove risiede sino allo scadere del 1599. Non si conoscono opere precedenti alla fuga dalla città natale, ma la sua statura di pittore doveva essere già di livello, visto che fin da subito a Firenze viene accolto negli ambienti artistici più importanti, divenendo membro dell’Accademia del Disegno nel 1586. Già nel 1582, quindi non appena arrivato a Firenze, affresca una lunetta nel chiostro di Santa Maria Novella, a dimostrazione del favore immediato che ricevette all’arrivo nella capitale artistica, grazie al suo status di nobile colto, ma indubbiamente anche per le sue doti di pittore. Molti disegni della sua abbondante produzione grafica recano il nome del committente e la data d’esecuzione e forniscono una quadro abbastanza chiaro dell’ambiente altolocato in cui si muoveva il pittore a Firenze. L’attività in Toscana è attestata da numerose pale d’altare per le chiese di Firenze, Lucca, Pistoia, Pisa e altre località minori e le prime opere con una datazione certa si riferiscono al nono decennio. Se nelle opere pubbliche si può affermare una certa convenzionalità nell’impostazione e anche una certa ripetitività degli schemi, è nei quadri da stanza per la committenza privata che il Paggi dà prova di tutta la sua raffinatezza. Il dipinto che qui si presenta è stato reso noto da Mary Newcome in un breve contributo sul Paggi apparso sulle pagine della rivista “Antichità Viva” nel 1995, in cui collega diversi dipinti, anche inediti, a disegni firmati o datati di Paggi. Per ciò che riguarda Gesù e la Samaritana con la città di Firenze sullo sfondo, la studiosa non era allora a conoscenza di un disegno che ha invece rintracciato successivamente e
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che dal generico riferimento alla scuola genovese ha opportunamente riconosciuto al Paggi. Si tratta di un foglio a penna acquerellato apparso in asta a Londra nel 1981 e proveniente dall’importante collezione grafica di Santo Varni (Londra, Sotheby’s, 6 novembre 1981, lotto 187 come scuola genovese). Su segnalazione di Mary Newcome, che si ringrazia, siamo in grado oggi di illustrarlo (fig. 1) accanto all’opera di Villa Giulietta al quale va evidentemente collegato. Tra foglio e tela resta sostanzialmente invariata l’impostazione scenica, studiata appunto preliminarmente con un disegno come era solito per il Paggi. Le variazioni delle due figure interessano solo la loro gestualità ma non la posizione sul “set”, imperniato simmetricamente sulla colonna alle spalle di Gesù. Se nel disegno apprezziamo la freschezza immediata del tratto, nel dipinto il Paggi dà prova di tutta la sua raffinatezza esecutiva nella scelta di una tavolozza ricercata, ricca di cangiantismi secondo la lezione, immediatamente appresa, dei toscani. Si noti in particolare la ricchezza delle vesti, tipica dei pittori fiorentini, e la dolcezza dei passaggi chiaroscurali, in cui mixa la lezione di Luca Cambiaso, maestro della luce, a quella dei toscani, eccellenti nello sfumato. Un tocco di eleganza si nota anche nella scelta di far riflettere la figura di Cristo in parte nello specchio d’acqua vicino al pozzo: un vero e proprio preziosismo come se il Paggi volesse dimostrare di essere davvero già nel pieno delle proprie capacità espressive, e all’altezza della committenza più colta della città. Quella stessa città, Firenze, a cui la bella veduta di sfondo, soffusa in un languido rosa, è un diretto omaggio. Anna Orlando € 25.000/30.000
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1. G.B. Paggi, Cristo e la Samaritana, disegno a penna acquerellato, mm 255x210, Londra, Sotheby’s, 6 novembre 1981, lotto 187 come scuola genovese, dalla collezione Santo Varni
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2 - Bernardo Castello (Genova, 1557 –1629)
Sacra Famiglia alle porte del Tempio Olio su tela, cm 130 x 104 Bibliografia: Inedito Bibliografia di riferimento per il pittore: R. Erbentraut, Der Genueser Mahler Bernardo Castello 1557?-1629, Freren 1989
Fratello minore del miniatore Giovanni Battista (Genova 1549 circa – 1639) e padre di Valerio (Genova 1624 – 1659), Bernardo Castello è stato allievo di Andrea Semino (Genova 1526 circa – 1594) e si forma negli anni in cui a Genova domina incontrastata la maniera di Luca Cambiaso. Verso il 1585, grazie a diversi viaggi, la sua pittura apre alla più aggiornata cultura pittorica tosco-romana. Nel 1588 è iscritto all’Accademia del Disegno a Firenze, come il concittadino Paggi là in esilio. Il suo ruolo di protagonista in ambito nazionale si attesta con l’incarico di eseguire i disegni per illustrare l’edizione del 1590 della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Nel 1604 è a Roma, al culmine della carriera, quando appronta anche un quadro per la basilica di San Pietro (poi sostituito con uno del Lanfranco). Pittore colto, amico di letterati e poeti, oltre al Tasso anche di Giovanni Battista Marino e Gabriello Chiabrera, risente sensibilmente del clima della Controriforma che infonde un’estrema semplicità di linguaggio,
1. B. Castello, Sacra Famiglia con san Giovannino, cm 122x95, collezione privata
un grande rigore formale e una trattazione composta delle tematiche anche profane, sia nelle opere da stanza che nei cicli di affreschi. L’opera che qui si rende nota raffigura la Sacra Famiglia, uno dei soggetti più amati dall’artista che ne esegue molte varianti (fig. 1; cfr. A. Orlando, Dipinti genovesi dal Cinquecento al Settecento. Ritrovamenti dal collezionismo privato, Torino 2010, pp. 72-73). In questo brano però, Castello racconta con la sua consueta semplicità e chiarezza di linguaggio, il momento in cui Maria e Giuseppe accompagnano Gesù giovinetto al Tempio, per il suo esordio pubblico. L’ingresso del Tempio è segnato dalle colonne-quinta sulla sinistra, e le architetture sullo sfondo indicano la città di Gerusalemme. Il set scenografico, rigoroso e semplificato, è una sua caratteristica, come si vede dal confronto con la grande tela con l’Alleanza di Romolo con Tazio re dei latini (fig. 2), analogamente studiata per una perfetta prospettiva centrale che conferisca il massimo ordine alla scena, proprio per l’esigenza di semplificazione imposta dai dettami artistici della Controriforma.
Anna Orlando
€ 10.000/12.000
10 Aste Boetto
2. B. Castello, Alleanza di Romolo con Tazio re dei latini, cm 80x165, già Parigi, mercato antiquario
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3 - Andrea Ansaldo
(Voltri, Genova, 1584 – 1638)
Mosè calpesta la corona del faraone
Olio su tela, cm 141 x 118 Siglato con il monogramma e datato “MDCXXX” sul cammeo al collo della figura centrale Bibliografia: Inedito Bibliografia di riferimento per il pittore: M. Priarone, Andrea Ansaldo 1584-1638, Genova 2011
Andrea Ansaldo opera a Genova negli anni tra il 1615 e il 1638 che rappresentano uno dei momenti più felici per la cultura pittorica cittadina. Gli artisti locali hanno modo di aggiornare la grande lezione dei maestri Luca Cambiaso e Giovanni Battista Paggi sui forestieri: i toscani come Aurelio Lomi, il Passignano e Pietro Sorri, i lombardi come Giulio Cesare Procaccini, il Cerano e il Morazzone, come pure i fiamminghi per la presenza di una vera e propria scuola locale dopo la venuta di Rubens prima e Van Dyck dopo. In questo contesto, un artista dotato come l’Ansaldo si mostra permeabile alle più svariate influenze pur trovando una propria collocazione stilistica precisa. Negli anni intorno al 1620, proprio quelli di maggiore avvicinamento ai lombardi, è suo allievo Gioacchino Assereto, col quale si può spesso rilevare una reciproca influenza. La genialità dell’Assereto si mostra così forte da suggestionare il suo stesso maestro, come dimostra ampiamente questo importante inedito. La tela, che qui si presenta, è di estremo interesse non solo perché reca la sigla del pittore, inserita con un monogramma con il gioco di due “A” accavallate nel cammeo che chiude l’ampio colletto della figura femminile al centro, ma anche per la presenza della data tracciata con un colore più chiaro e leggero sotto il monogramma in lettere romane “MDCXXX”. Questa data precisa circoscrive con maggiore precisione un momento di evidente adesione ai modi dell’Assereto. Di quest’ultimo si illustra qui uno dei tanti confronti possibili, il Servio Tullio con la chioma in fiamme dei Musei di Strada Nuova (fig.1), simile nelle scelte scenografiche: dal set di sfondo con colonne e tendaggi, alla disposizione delle figure su un piano ravvicinato, secondo uno stilema tipico dell’Assereto e di grande successo nel secondo quarto del XVII secolo a Genova. Rispetto alle complesse macchine sceniche della pale d’altare, l’Ansaldo adotta in questo quadro “da stanza” uno schema semplificato che non rinuncia al dinamismo reso con la gestualità e l’incrocio degli sguardi, ma che proprio nella compressione della scena, secondo la lezione del Procaccini e dell’Assereto, si fa più forte e diretta a colpire la sensibilità del riguardante. Così si rende il pathos, il momento drammatico in cui un
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1. G. Assereto, Servio Tullio con la chioma in fiamme, cm 162x136, Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco, inv. PB337
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vecchio della corte del faraone si scaglia sul piccolo Mosè, interpretando come una cattivo presagio il fatto che stesse calpestando la corona del faraone. La leggenda è narrata nel testo Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio (2,9,7) ed è ripresa, anche se non molto frequentemente, nell’iconografia seicentesca: il faraone, qui l’anziano sulla sinistra, si sarebbe messo a giocare con il bambino, adottato dalla figlia, che si vede al centro della scena con un lieve accenno a una coroncina in capo. Dopo che il faraone mise la propria corona sul capo di Mosé, questi l’avrebbe gettata a terra e calpestata. Un gioco fanciullesco, interpretato però secondo la leggenda come presagio dell’imminente rifiuto da parte di Mosè dell’autorità del faraone. La presenza della sigla e della data, oltre ad accertare la paternità all’Ansaldo che già i tanti possibili confronti con le opere certe del maestro rendevano palesi (cfr. per es. fig. 2), aggiunge al catalogo di questo maestro un utile tassello per la sua cronologia.
Anna Orlando
€ 15.000/18.000
14 Aste Boetto
2. A. Ansaldo, I santi Erasmo, Biagio, Chiara, Pietro e Caterina d’Alessandria, cm 320x220, Albisola Marina (Sv), chiesa di N.S. della Concordia, firmato “ANDREAS ANSALDUS P.”, particolare
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4 - Simone Barabino
(Genova, 1585 circa – Milano, 1629)
La predica del Battista
Olio su tela, cm 165 x 133 Bibliografia: Inedito Bibliografia di riferimento per il pittore: A. Acordon in Il dipinto di Simone Barabino in San Michele a Ruta e altri restauri nel territorio di Camogli, a cura di A. Acordon e F. Simonetti, Genova 2004; A. Orlando, Dipinti genovesi dal Ciquecento al Settecento. Ritrovamenti dal collezionismo privato, Torino 2010, pp. 31-35
Il Barabino è artista anticonvenzionale e in qualche modo eccentrico alla cultura pittorica genovese, per il fatto di coniugare le istanze artistiche locali - quelle del suo maestro Bernardo Castello, ma anche di Giovanni Battista Paggi e di Bernardo Strozzi - a quelle dei toscani conosciute per le presenze in città di artisti quali i senesi Francesco Vanni, Ventura Salimbeni e Pietro Sorri e il pisano Aurelio Lomi. Da loro in particolare desume quel modo di dipingere insistendo sui cangiantismi di colori ricercati. Fu determinante per lui anche la componente milanese, per gli artisti presenti a Genova, ma poi conosciuti direttamente a Milano durante i molti anni in cui fu attivo in quella città, dal 1619 alla morte, avvenuta lì nel 1629. La sua parlata popolare deriva anche dallo studio attento delle stampe nordiche e dall’osservazione della scultura lignea coeva, influenze, tutte, che vediamo anche in questo inedito dipinto raffigurante La predica di Giovanni Battista. Il Battista è ritratto al centro di una scena in cui si contrappongono le esigenze di ordine, da un lato, con quelle di ricreare efficacemente l’aspetto più emozionale della storia; una storia popolare, come sottolinea il pittore con tutte le “micro-storie” nelle quali divaga ai lati. La figura del protagonista è collocata come se fosse al centro di un palcoscenico e volge lo sguardo verso l’alto, per evidenziare l’ispirazione divina delle sue parole. Qui, una colomba bianca nello squarcio luminoso del cielo plumbeo è presentata in modo teatrale da una coppia di angioletti; un modo per il Barabino di trascrivere fedelmente le parole del Vangelo di Giovanni “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e portarsi verso di lui” (Giovanni, 1, 32). Ad arco, intorno al Battista, si dispongono una moltitudine di personaggi, secondo una modalità che troviamo in altre opere note del Barabino: per esempio nella tela con Il passaggio del Mar Rosso di collezione privata (fig. 1), che peraltro ha uno stile e misure così simili da lasciare praticabile l’ipotesi che possa trattarsi di una serie di grandi tele con storie bibliche. Ma altre scene di folla sono frequenti per il Barabino che proprio in esse esplica maggiormente la sua vocazione popolare. Si veda ancora, per esempio, la Crocifissione della chiesa di
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1. S. Barabino, Passaggio del Mar Rosso, cm 141x175, Genova, collezione privata
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S. Michele a Ruta di Camogli (fig. 2) dove il realismo della scena si deve proprio alla gestualità convulsa e alle espressioni forti delle figure, dalla sofferenza delle Marie, ai soldati che si giocano la veste di Cristo ai dadi e così via. La folla che assiste alla predica del Battista è colta nella naturalezza delle pose e delle situazioni: la mamma con i suoi piccoli sul primo piano, un’altra giovane donna col bambino in braccio più arretrata, mentre, sul lato opposto si dispongono su più piani che diradano verso lo sfondo personaggi maschili, in una varietà di pose, vesti e atteggiamenti ed espressioni. Il tutto con il risultato di una festosità d’insieme assai riuscita. Anna Orlando
€ 20.000/25.000
2. S. Barabino, Crocifissione, cm 292x195, Ruta di Camogli (Ge), chiesa di S. Michele
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5 - Anonimo pittore genovese inizi del XVII secolo
Incoronazione di spine
Olio su tela, cm 122 x 99 Bibliografia: Inedito
Il dipinto presenta in un interno buio, illuminato lateralmente da una fonte di luce che giunge apparentemente da fuori, la scena drammatica dell’incoronazione di spine, quando cioè dei manigoldi infieriscono su Cristo dopo la cattura, lo deridono e pongono un intreccio di rami spinati sul capo di colui che si era dichiarato re dei giudei. La scena è resa dall’anonimo artista con un particolare accento verista, soprattutto nell’abilità di rendere percepibile la violenza con cui la corona viene schiacciata sulla testa reclinata di Gesù che passivamente subisce con dignità questa ennesima tortura. Il set è molto ben orchestrato, con la figura di un armigero dall’elmo piumato che funge da quinta sulla sinistra, e il gruppo centrale dove si incrociano braccia e sguardi, posture ed espressioni, con indubbia verisimiglianza e sincero naturalismo. La cultura di stampo caravaggesco di questo pittore parrebbe sommarsi a quella genovese. Tra i pittori più vicini, al di là dei più generici riferimenti agli artisti delle generazione dopo il Merisi che nel loro catalogo hanno diverse prove suggestionate dal grande maestro, come per esempio Luciano Borzone, Gioacchino Assereto o Domenico Fiasella, si può ricordare un pittore meno noto, ma molto significativo
1. Gio. Domenico Capellino, Flagellazione, Genova, chiesa di S. Siro
per la sua adesione al caravaggismo: Gio. Domenico Capellino. Si vedano, a confronto con l’opera che qui si presenta, alcuni suoi dipinti che anche tematicamente mostrano coerenza con questo (figg. 1-3): la Flagellazione della chiesa di S. Siro a Genova, il Cristo condotto alla flagellazione di ubicazione ignota pubblicato da C. Manzitti (L’indice su Gio Domenico Capellino, in “Paragone”, anno LVI, n. 667, terza serie 63, settembre 2005, tav. 25) e il bellissimo Cristo deriso della collezione Koelliker (sulla quale raccolta cfr. Collezione Koelliker. Dipinti genovesi dal Cinquecento al Settecento, a cura di A. Orlando, Torino 2006). Il Capellino somma al cambiasismo della propria formazione un caravaggismo forse conosciuto con il filtro dei nordici piuttosto che diretto, come parrebbe anche qui.
2. Gio. Domenico Capellino, Cristo condotto alla flagellazione, ubicazione ignota
Anna Orlando
€ 5.000/6.000
20 Aste Boetto
3. Gio. Domenico Capellino, Cristo deriso, cm 100x130, Milano, collezione Koelliker, inv. LK1771
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6 - Domenico Fiasella detto il Sarzana (Sarzana, La Spezia, 1589 – Genova, 1669)
La strage degli innocenti Olio su tela, cm 183 x 203
Bibliografia: Inedito Bibliografia di riferimento per il pittore: P. Donati, Domenico Fiasella, il Sarzana, Genova 1974; Domenico Fiasella, catalogo della mostra a cura di P. Donati, Genova 1999; Domenico Fiasella 1589-1669 catalogo della mostra a cura di P. Donati, La Spezia 2008
Domenico Fiasella è detto il Sarzana per la sua nascita nella località dell’estrema Liguria di Levante. Egli si forma inizialmente con il padre Giovanni, orafo e argentiere, che però decide di avviarlo alla pittura mandandolo a studiare a Genova, prima nella bottega del toscano Aurelio Lomi, poi in quella del genovese Giovanni Battista Paggi, da poco rientrato dalla lunga permanenza a Firenze. Qui, a detta del biografo Raffaele Soprani (1674) rimane “alcuni anni”, dal 1600 al 1606 circa. All’indirizzo di evidente impronta toscana che oltre al Lomi lo stesso Paggi dovette trasmettergli, quindi ben saldo sui principi accademici del disegno, si innesta poi per il Fiasella il fondamentale soggiorno romano, in cui, anche grazie ai legami con uno dei suoi committenti, il marchese Vincenzo Giustiniani, entra in contatto con il più aggiornato circolo artistico. A Roma risiede “più di dieci anni” (Soprani 1674), tra il 1606 e il 1616 circa. Frequenta la bottega del Cavalier d’Arpino, lavora col Passignano e studia i marmi antichi e i maestri bolognesi, Reni in primis, ma conosce anche l’opera del Caravaggio, ancora in vita quando il ligure è a Roma, e ovviamente quella dei suoi molti stretti seguaci. Nel 1616 è documentata l’esecuzione della pala con San Lazzaro dell’omonima parrocchiale di Sarzana e si può quindi datare il suo rientro da Roma. Dal 1617 circa è a Genova dove risiede e lavora per tutto il resto della sua lunga vita, che si conclude nel 1669 quando il pittore ha ottant’anni. L’inedita tela qui presentata affronta nella grandi dimensioni e con indubbia resa scenografica un soggetto molto diffuso in ambito genovese. Lo stesso Fiasella lo dipinge nel grande lunettone della cappella delle Reliquie nella cattedrale di Sarzana, un’importante commissione che gli giunge quando egli è ormai pienamente affermato, nel 1653 (fig.1).
1. D. Fiasella detto il Sarzana, La strage degli innocenti, 1653, lunettone, cm 235x406, Sarzana, Duomo, cappella delle Reliquie
Ma a giudicare dallo stile, l’opera qui illustrata è precedente come datazione a quella più tarda del capolavoro di Sarzana. La ragione principale della fortuna di questa iconografia si deve in gran parte alla fama riscossa dalla tela di oltre quattro metri dipinta da Giovanni Battista Paggi per il collezionista e mecenate Gio. Carlo Doria prima del 1604. Di quell’opera magistrale Maria Clelia Galassi ha pubblicato il disegno (fig. 2), utile testimonianza del complesso affollatissimo apparato scenico (M.C. Galassi, La strage degli innocenti
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2. G.B. Paggi, La strage degli innocenti, disegno, mm 362x652, Londra, collezione privata
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di Giovanni Battista Paggi per Gio. Carlo Doria: un abbozzo inedito e qualche ipotesi per una “nobile gara”, in La storia dell’arte. Contributi di critica e storia dell’arte per Giovanni Carlo Sciolla, Milano 2000, pp. 369-377). Nel 2004 alla mostra L’Età di Rubens è stata esposta la tela che rappresenta un frammento di quella originaria, che forse proprio per le dimensioni eccessive a un certo punto della sua storia è stata diviso in più parti (cfr. M. C. Galassi in L’Età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi catalogo della mostra di Genova a cura di P. Boccardo e A. Orlando, Milano 2004, pp. 224-227). Il frammento, donato da un privato al Museo Civico e Diocesano di Arte Sacra di Colle Val d’Elsa (fig. 3), oltre che confermare la qualità straordinaria del testo paggesco, mostra una dettaglio che parrebbe confermare il più che probabile riferimento diretto da parte del Fiasella al capolavoro del suo maestro. E’ molto probabile, vista la vera e propria citazione del motivo del morso da parte di una donna a un soldato, che il giovane Fiasella si sia esercitato sull’opera del Paggi che aveva potuto studiare durante l’apprendistato presso di lui che risale al 1606. Quindi proprio quando egli realizzò La strage degli innocenti per Gio. Carlo Doria che è stata eseguita entro il 1604, anno in cui viene menzionata nel componimento poetico del letterato veneziano Giovanni Soranzo. Anna Orlando
€ 20.000/25.000
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3. G.B. Paggi, La strage degli innocenti (frammento), cm 255x178, Colle Val d’Elsa (Siena), Museo Civico e Diocesano di Arte Sacra
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7 - Domenico Fiasella detto il Sarzana (Sarzana, La Spezia, 1589 – Genova, 1669)
Sansone e Dalila
Olio su tela, cm 150 x 190 Bibliografia: Inedito Bibliografia di riferimento per il pittore: P. Donati, Domenico Fiasella, il Sarzana, Genova 1974; Domenico Fiasella, catalogo della mostra a cura di P. Donati, Genova 1999; Domenico Fiasella 1589 - 1669 catalogo della mostra a cura di P. Donati, La Spezia 2008
Il soggetto di Sansone e Dalila fu affrontato dal pittore genovese Domenico Fiasella in più di un’occasione. La storia biblica è tratta dal libro dei Giudici (16, 4-20) e narra di quando Sansone, uno dei giudici d’Israele, s’innamorò di una donna del popolo dei filistei che approfittarono di questo e corruppero la donna affinché chiedesse a Sansone di rivelare l’origine della sua forza: derivava dai capelli. Ecco perché, in un momento in cui Sansone si addormenta sul suo grembo, la donna gli taglia i capelli per privarlo della forza con cui si sarebbe potuto difendere dai nemici. Ben noti a critica e pubblico sono le due grandi tele conservate rispettivamente al Louvre di Parigi (fig. 1) e nella Galleria di Palazzo Bianco a Genova (fig. 2). Si tratta di fascinose pièces teatrali dipinte
1. D. Fiasella, Sansone e Dalila, cm 159x256, Parigi, Musée du Louvre, inv. 700
dal Fiasella nelle grandi dimensioni e capaci di coinvolgere l’astante in un momento di intenso pathos. Si conosce poi un’altra versione di proprietà del Banco di Napoli, di un momento più caravaggesco (fig. 4), e un’altra in collezione privata in cui il maestro parrebbe affiancato dalla bottega (fig. 3). L’inedita tela qui illustrata va accostata, tra le quattro versioni già note, a quella di Palazzo Bianco, più simile dal punto di vista delle scelte compositive e anche delle soluzioni narrative. Se in quel caso è la vecchia in secondo piano a far segno di tacere e non far rumore ai soldati pronti per l’agguato e di cui si scorgono i volti nella penombra di fondo, nella nostra tela vediamo quello stesso spunto narrativo usato per Dalila, anch’essa rivolta agli armati di cui si vedono volti e armature nella penombra sulla destra. Con un’ulteriore variante, il Fiasella sceglie
2. D. Fiasella, Sansone e Dalila, cm 182x227, Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco , inv. PB 1402
che a tagliare i capelli sia non Dalila ma un ragazzo che entra in scena da sinistra. E’ una licenza poetica che dimostra il gusto profondo del Fiasella per il racconto, aspetto della sua arte particolarmente apprezzato dalla committenza. Egli è infatti tra i pittori di maggior successo della sua epoca: vive molto a lungo, fino all’età di ottant’anni, e affianca importanti commissione pubbliche per chiese e palazzi in tutta la regione, a una abbondante produzione per i privati. Quadri come questo, dalle grandi dimensioni, erano intesi per adornare i saloni dei piani nobili dei palazzi e spesso concepiti come
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3. D. Fiasella e bottega, Sansone e Dalila, cm 121x211, collezione privata
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una narrazione in più episodi, talvolta anche realizzati da artisti diversi. Il Fiasella si preoccupa innanzi tutto dell’efficacia narrativa, con una teatralità contenuta che non esaspera l’aspetto drammatico della storia, ma la pone quasi in una quotidianità domestica più che in un aurea solenne. Ecco così che alcuni dettagli, come quello del bel brano del letto sfatto in questo dipinto alle spalle dei protagonisti, paiono proprio avere il ruolo di contestualizzare più vicino al riguardante la scena in atto. Per ragioni stilistiche l’opera dovrebbe collocarsi nella prima maturità del pittore, indicativamente intorno agli anni Trenta del Seicento.
€ 60.000/65.000
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Anna Orlando
4. D. Fiasella, Sansone e Dalila, cm 121x211, Napoli, collezione Banco di Napoli
del
Barocco genovese da Villa Giulietta 29
8 - Luciano Borzone (Genova, 1590 – 1645)
Tancredi e Clorinda
Olio su tela, cm 172 x 227 Bibliografia: C. Manzitti, Borzone, Luciano, voce biografica in La Pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, vol II, p. 649; T. Zennaro in Genua Tempu fa, catalogo della mostra a cura di T. Zennaro, Maison d’Art di Piero Corsini, Monaco, Monte Carlo 1997, pp. 38-42, n. 7; A. Manzitti, Luciano Borzone, Genova in corso di stampa (Sagep)
“Pittore, e poeta vivacissimo”, secondo quanto riporta il biografo Raffaele Soprani (Genova 1674) Luciano Borzone è una figura di grande interesse della scuola pittorica genovese. Ne è sempre stato sottolineato il suo apporto per un rinnovamento pittorico in chiave di naturalismo caravaggesco, coniugato alle moderne istanze pittoriche dei maestri lombardi (Cerano, Procaccini e Morazzone), conosciuti anche direttamente a Milano, oltre che attraverso le loro opere accolte in gran numero delle quadrerie di nuova formazione a Genova. Si formò inizialmente con lo zio Filippo Bertolotto (1600-1606 circa), specialista in ritratti, e poi con Cesare Corte (dal 1606 al 1610 circa), anche quest’ultimo ritrattista. Nel 1612 è già maestro indipendente, tanto che in quell’anno risulta tra i suoi allievi Gioacchino Assereto. A quella data è già in contatto con il raffinato ambiente intellettuale che ruota attorno a Gio. Carlo Doria, patrizio mecenate e grande amante della pittura, che accompagnò a Milano nell’ottobre del 1614 come consulente per l’acquisto di quadri. In questo contesto si collocano i suoi rapporti con i poeti Giovanni Battista Marino e Gabriello Chiabrera, e i suoi contatti con Orazio Gentileschi, Guido Reni, e la stima che
1. L. Borzone, Belisario cieco, cm 208,2x226,3, Chatsworth, collezione del duca di Devonshire, inv. PA 243
manifestava verso di lui il pittore colto Giovanni Battista Paggi, sono altrettante conferme per il suo alto profilo artistico e intellettuale. Non è quindi casuale né sporadica per il Borzone la scelta di un soggetto a sfondo letterario come questo splendido Tancredi e Clorinda, un episodio dalla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso che egli risolve con tutta la teatralità di cui è capace un pittore barocco, con l’utilizzo di luci che si riflettono sulle armature e che enfatizzano le espressioni e i gesti dei personaggi. La costruzione narrativa è molto simile a quella del famoso Belisario cieco della collezione del duca di Devonshire a Chatsworth (fig. 1), e le due figure con l’armatura sono davvero gemelle. Un confronto interessante, per la predilezione a descrivere i dettagli della corazza e in generale per le notazioni di costumi, piumaggi e setting, è anche possibile con il bel Ritratto di armigero della collezione Zerbone (fig. 2). Rispetto alla tradizionale rappresentazione iconografica del brano tassesco, in cui viene enfatizzato il motivo della conversione religiosa
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2. L. Borzone, Ritratto di armigero, cm 160x120, Genova, collezione Zerbone
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tramite l’episodio del battesimo di Clorinda, l’opera del Borzone raffigura il primo incontro tra Tancredi e Clorinda, narrato nel canto I. I due protagonisti sono ritratti con indosso le loro armature mentre un amorino situato al centro del dipinto impugna una spada richiamando l’attenzione dello spettatore. L’opera è intrisa di una forte componente erotica creata dal seducente gioco di sguardi tra i due protagonisti, mentre Clorinda solleva sensualmente la veste mostrando il ginocchio. E ovviamente anche il piccolo in primo piano ha una posa decisamente ambigua. La Gerusalemme Liberata, pubblicata a Genova nel 1590 e nel 1604 con incisioni derivate da disegni di Bernardo Castello, è fonte in quegli anni di numerose rappresentazioni, come prova il pagamento da parte di Ansaldo Pallavicino a Domenico Fiasella per la realizzazione delle due tele con soggetto Tancredi e Clorinda e Rinaldo e Armida oggi conservate in Palazzo Spinola di Pellicceria. Proprio la figura di Tancredi nel primo dei due dipinti è accostabile al medesimo soggetto della tela del Borzone, suggerendo una possibile relazione tra le due opere. L’utilizzo di una ridotta gamma cromatica e la morbidezza della pennellata hanno suggerito alla critica di ascrivere quest’opera all’attività tarda del pittore, in raffronto al dipinto dello stesso Borzone raffigurante il Martirio di Santa Barbara firmato e datato 1642, uno dei rari riferimenti certi del pittore. Anna Orlando
€ 65.000/70.000
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9 - Orazio De Ferrari
(Voltri, Genova, 1606 – 1657)
Compianto dei progenitori sul corpo di Abele Olio su tela, cm 51 x 197,5
Bibliografia: P. Donati, Orazio De Ferrari, Genova 1997, fig. 18 p. 28, p. 31, n. 4, p. 124
Non imparentato con gli altri pittori De Ferrari, deve il cognome al mestiere del padre Andrea, fabbro, in dialetto “ferré”. Nativo di Voltri, nell’immediato ponente di Genova come Andrea Ansaldo, Orazio ne diventa suo allievo e ne sposa la nipote (figlia del fratello). La sua attività si svolge inizialmente per le comunità religiose di varie località della Liguria di Ponente, ma dopo il trasferimento a Genova nel 1634, lavora anche per il capoluogo, ove lascia soprattutto pale d’altare. Più rari i quadri “da stanza” e soprattutto le tele a soggetto profano, così come solo di recente ne è stata riscoperta l’attività ritrattistica non esplicitamente ricordata dalle fonti, ma che ben si addice al suo interesse per la fisiognomica, e in generale a quel naturalismo espressivo che gli deriva probabilmente anche dalla frequentazione dell’accademia in casa di Gio. Carlo Doria. Nel 1652 Onorato II Grimaldi Principe di Monaco gli conferisce, a nome di Luigi XIV, il titolo di Cavaliere dell’Ordine di San Michele. Inizia un rapporto con la corte monegasca che lo vede attivo come pittore e anche come intermediario per l’acquisto di opere d’arte sul mercato italiano. Poco resta nell’opera di Orazio della lezione dell’Ansaldo, poiché l’adesione precoce al naturalismo di Luciano Borzone e di Gioacchino Assereto
lascia
poco
spazio
al
tardo-manierismo
del
maestro.
Dell’Assereto il De Ferrari assume il lessico, pur senza raggiungere gli stessi livelli di intensità. Del Borzone assume la tecnica pittorica debitrice anche della lezione di Van Dyck a Genova. Migliori quindi le sue prove quando lascia spazio a un certo classicismo, con esiti di inaspettata eleganza, oppure quando l’intensità degli affetti si coniuga
1. O. De Ferrari, Compianto dei Progenitori sul corpo di Abele, cm 139x197, Novara, Civiche Raccolte
con la delicatezza della stesura, come nel dipinto che qui si presenta. Disposti ad arco sopra la figura di Abele, i progenitori e due sorelle si struggono per la perdita violenta del giovane. Sono coperti di pelli animali, a ricordare l’essenzialità della vita agli albori del genere umano; i loro gesti e i loro sguardi sono ritmicamente alternati e si compongono in un lamento contenuto e silenzioso che il pittore, abile nel restituirci gli “affetti”, pare riuscire a farci sentire. Pathos e intensità del dramma sono qui espressi da Orazio De Ferrari come in rare altre sue composizioni e denunciano quanto il pittore abbia recepito del nuovo intenso linguaggio pittorico di Gioacchino Assereto. Dall’Assereto egli mostra qui di derivare non tanto la tecnica pittorica - in Gioacchino giocata
34 Aste Boetto
2. O. De Ferrari, Compianto dei Progenitori sul corpo di Abele, cm 149,5x201, Milano, collezione privata
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sugli effetti materici della stesura a piena pasta, in Orazio delicatamente studiata con leggere velature di matrice vandichiana -, quanto piuttosto la capacità di comporre scene a più figure dove l’orchestrazione gestuale gioca un ruolo principe nella comunicazione al riguardante di tutta la natura umana del dramma in atto. A Orazio giova l’attento studio delle anatomie, per l’assidua frequentazione delle “accademie”, come ricordano le fonti; ciò, unito a una ripresa della lezione luministica del Caravaggio - stemperato da un più delicato passaggio di luci ed ombre, ma pur sempre presente per la valenza emozionale del fattore luce - conduce l’artista a esiti di indubbia originalità stilistica, come qui. Si conoscono altre due versioni dello stesso soggetto, di mano di Orazio De Ferrari: una resa nota anch’essa da Piero Donati, conservata nelle Civiche Raccolte a Novara e proveniente dalla Villa Faraggiana di Albissola (fig. 1), l’altra sul mercato antiquario milanese (fig. 2). E’ probabile che lo scarto cronologico sia minimo, dovendosi porre tutte le tre versioni poco dopo il 1630, quando il suo stile è suggestionato dalle delicatezze di Van Dyck (a Genova dal 1621 al 1627), e quando il naturalismo si afferma nella pittura anche dei suoi contemporanei - Giovanni Andrea De Ferrari, Luciano Borzone, ecc. - e con Orazio si manifesta in una declinazione originale e ben riconoscibile. L’esistenza di tre versioni con minime varianti è molto interessante per capire il processo di elaborazione creativa del pittore e la sua progressiva messa a punto di una riuscita composizione di una certa complessità, certamente di ampio respiro e impegno. Le reiterazione dei temi in Orazio non sono inusuali e aiutano a comprendere il suo modus operandi, il gioco di equilibri tra poetica e mestiere, nonché, indubbiamente, il suo successo. Pare però ragionevole ipotizzare che in questo caso, la tripla declinazione del tema si debba al riferimento a un illustre testo. Il compianto sul corpo di Abele del pittore fiammingo Fans Floris (fig. 3), deve con ogni probabilità essere stato studiato dai pittori genovesi e Orazio parrebbe esercitarsi su quella soluzione compositiva. La tavola infatti, è conservata al Koninklijk Museum di Anversa dal 1996: prima apparteneva alla famiglia Balbi di Genova, una delle collezioni più importanti che anche i pittori usavano come “palestra” (cfr. N. Schrijvers in Anversa & Genova. Un sommet dans la peinture baroque, catalogo della mostra, Anversa 2003, pp. 96-97; P. Boccardo in L’Età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi, catalogo della mostra di Genova a cura di P. Boccardo e A. Orlando, Milano, 2004, pp. 163-167, fig. 5). Anna Orlando
€ 25.000/30.000
36 Aste Boetto
3. F. Floris, Il compianto sul corpo di Abele, olio su tavola, cm 160x206,7, monogrammato, Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Künsten, inv. 5138
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10 - Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto (Genova, 1609 – Mantova, 1664)
Viaggio di Abramo verso Canaan
Olio su tela, cm 149 x 174 (piccole giunte posteriori in alto e in basso; misura senza giunte h. cm 131,5) Provenienza: Arenzano (Ge), Castello, Pallavicini, Negrotto Cambiaso, 1645-1978; Milano, Napoleone Zecchini, 1978; Bibliografia: Inedito L’attribuzione è stata confermata su base fotografica da Timothy J. Standring (Denver Art Museum) e Jonathan Bober ( National Gallery di Washington) nonché da M. Newcome Schleier che ha visto l’opera direttamente. L’opera possiede l’attestato di libera circolazione
Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto si forma a Genova tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, molto probabilmente sotto l’influenza di Giovanni Battista Paggi, Sinibaldo Scorza e Giovanni Andrea De Ferrari, ma anche osservando le opere dei fiamminghi attivi a Genova. Tra loro, innanzi tutto Rubens, da cui trae stimolo per l’esuberanza cromatica, ma anche Jan Roos per la scelta dei soggetti. Animali e nature morte disposte sul primo piano e pretesto tematico religioso relegato sullo sfondo diverranno infatti una sua tipica sigla stilistica. Il Grechetto si trasferisce a Roma nel 1632 dove frequenta per almeno due anni l’Accademia di San Luca (1633-34). Nell’Urbe entra in contatto con artisti quali Bernini e Poussin, che contribuiranno molto all’arricchimento culturale della sua opera. Studia le stampe di Rembrandt e inizia una fervida attività di disegnatore e incisore, sperimentando anche tecniche nuove. I suoi spostamenti negli anni successivi sono continui e molteplici: è documentato a Napoli nel 1635; fa testamento a Genova nel 1639; nel 1645 firma e data la pala di S.
1. G.B. Castiglione detto il Grechetto, Viaggio di Abramo, cm 240x275, Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola
Luca per la chiesa gentilizia degli Spinola; nel 1647 è nuovamente a Roma. Negli anni Cinquanta, pur continuando a viaggiare e a mantenere contatti con la propria città, lavora per lo più per i Gonzaga a Mantova, dove è nominato pittore di corte e dove muore nel 1664. Il dipinto che qui si presenta vede il pittore alle prese con uno dei suoi soggetti preferiti. I viaggi dei patriarchi, con i quali peraltro acquisì gran fama già molto presto quando era a Roma, come ricordano le fonti, gli consentono di usare il pretesto della storia biblica per sbizzarrirsi in un entusiasmante assemblaggio di oggetti, animali e figure, dove al caotico effetto d’insieme si affianca una cura del dettaglio di grande qualità. Il grande formato e l’impostazione scenica sono simili a tante tele note. Si vedano per esempio i Viaggi di Abramo della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola (fig. 1) e quello di Palazzo Rosso (fig. 2).
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2. G.B. Castiglione detto il Grechetto, Il viaggio della famiglia di Abramo, cm 186x282, Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Rosso, firmato e datato 1654 ?
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In entrambi i casi le dimensioni sono maggiori, ma le soluzioni compositive del tutto analoghe. Una diagonale divide in due piani la scena: sul primo piano la straordinaria carovana, sul fondo alcune figure tracciate da un pennello molto più veloce e sommario. Anche nella definizione del paesaggio vediamo qui i suoi tipici schemi: la sagoma piramidale della montagna e il cielo scuro attraversato da nubi inquiete. Rispetto ai due dipinti citati, entrambi riferibili agli anni Cinquanta, la nostra opere dovrebbe essere precedente, come suggeriscono anche i tre studiosi che la hanno analizzata. A un’osservazione attenta della parte in primo piano, dove il pennello indugia sui dettagli sia per gli oggetti sia per le figure, queste ultime di evidente matrice rembrandtiana, si capisce che l’opera dovrebbe datarsi non oltre la metà del quinto decennio del secolo. La qualità e lo stato di conservazione di quest’opera ne fanno un’aggiunta notevole al ricco catalogo del maestro genovese. Anna Orlando
€ 50.000/55.000
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11 - Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto (Genova, 1609 – Mantova, 1664)
Paesaggio con pastorello Olio su tela, cm 75,5 x 99
Bibliografia: A. Percy, Giovanni Benedetto Castiglione: Master Draughtsman of the Italian Baroque, catalogo della mostra, Philadelphia 1971, p. 30 fig. 17; A. Orlando in L’Età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi, catalogo della mostra di Genova a cura di P. Boccardo e A. Orlando, Milano, 2004 fig. p. 265, p. 266; A. Orlando, Pittura fiammingo-genovese. Nature morte, ritratti e paesaggi del Seicento e primo Settecento. Ritrovamenti dal collezionismo privato, Torino 2012, p. 49
Le grandi carovane e i viaggi biblici per cui il Grechetto è conosciuto e con i quali ebbe un enorme successo in vita presentano scenari di paesaggio dove però è sempre la carovana, e quindi la gran messe di oggetti, l’affollamento di animali e persone a predominare. A ben guardare però, la capacità di descrivere una roccia o un cespuglio in primo piano o anche le fronde di un grande albero-quinta sono indubbie. In opere come questa, già più volte segnalata, questi aspetti sono decisamente rilevanti, tanto da far sì che la si possa considerare una delle tele fondamentali per capire il suo contributo al genere del paesaggio. In particolare, si notino le tinte smaglianti del blu del cielo, ma anche la tonalità più intensa di blu per definire la montagna e l’orizzonte. E’ un colore che otticamente si allontana dall’occhio di chi guarda e quindi è un espediente noto ai pittori per dare profondità. Al di là di questo però, va tenuta conto la forte influenza che il Grechetto subisce nei confronti dell’opera di Nicolas Poussin, conosciuto a Roma nei primi anni Trenta. Entrambi partecipano a quel fenomeno chiamato “neo-venetismo”, scaturito dalla presenza dei Baccanali di Tiziano nell’Urbe, tanto che anche la tavolozza del Grechetto si tinge di colori smaglianti (blu accesi, gialli e rossi vivi), molto diversi dai registri impostati sui rossi-bruni tipici della pittura genovese.
1. Paesaggio pastorale, cm 61x99,5, firmato “Gio. Ben. Castiglione Genovese”, collezione privata
Tra i dipinti simili a questo che aiutano a meglio valutare il suo interesse nei confronti del paesaggio si veda il Paesaggio pastorale, firmato, di collezioni privata (fig. 1), che Standring data alla fine degli anni Quaranta, ossia al momento di un secondo soggiorno romano in età più matura (cfr. T.J. Standring in Genua Tempu fa, catalogo della mostra a cura di T. Zennaro, Maison d’Art di Piero Corsini, Monaco, Monte Carlo 1997, pp78-80). Ancora, si veda il Paesaggio con gregge della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola (fig. 2), dove la natura è decisamente dominante rispetto al resto. Il Grechetto esegue numerosi schizzi probabilmente dal vero: si pensi al cosiddetto “Castiglione Album”, e si vedano due fogli pubblicati recentemente da Timothy J. Standring (Castiglione Lost Genius, catalogo
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2. Paesaggio con gregge, cm 33x38, Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, inv. 163
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della mostra di Londra a cura di T.J. Standring e M. Clayton, 2013, cat. 21 e 22; qui figg. 3 e 4). Va ricordato che il Grechetto a Roma collaborò con Agostino Tassi e frequentò il circolo di artisti a lui legato, dove conobbe anche il francese Claude Lorrain, maestro di un nuovo paesaggio classico. Ma il Grechetto mantiene sempre il suo temperamento più barocco, per cui la natura assume un vitalismo che si può ben notare anche in quest’opera straordinaria. Qui infatti alle componenti francesi e neo-venete si aggiunge quella più emozionale: gli elementi si ravvivano e il riguardante è coinvolto in un sentimento panico. Come in Poussin, Testa e Rosa i principi della filosofia stoica si riversano nella sua pittura: la natura
3. Paesaggio con mandria sullo sfondo, disegno, mm 165x219, England, Royal Collection, inv. RL 3937
si fa misteriosa, l’uomo, infinitamente piccolo in essa pare immerso nella propria solitudine cosmica; tutto è transitorio e forse anche le sue innumerevoli carovane che attraversano sempre nuovi scenari, alludono proprio al passaggio, al nostro essere transitorio. Anna Orlando
€ 25.000/30.000 4. Paesaggio con pastore e gregge, disegno, mm 338x478, England, Royal Collection, inv. RL 4089
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12 - Pellegro Piola, fratello maggiore di Domenico (1628-1703) (Genova, 1617 – 1640)
Sacra Famiglia con san Giovannino Olio su tela, cm 135,5 x 111 Bibliografia: C. Manzitti in Genua Tempu fa, catalogo della mostra a cura di T. Zennaro, Maison d’Art di Piero Corsini, Monaco, Monte Carlo 1997, pp. 32-36, n. 6 Esposizioni: Monte Carlo 1997
Pellegro Piola nasce a Genova nel 1617 e viene avviato alla carriera artistica da Gian Domenico Cappellino, pittore legato fortemente alla tradizione toscana. Questo limitava al giovane artista aperture e spunti sulle novità romane cosicché, all’età di diciassette anni, chiese il permesso al padre per potersi mettere in proprio. Non è possibile comunque ricondurre il particolare eclettismo artistico del Piola a una figura in particolare, come sottolinea anche Luigi Lanzi: “Non può precisamente descriversi lo stile di questo giovane […] Tentò indi più vie, e le battè sempre con una squisitezza di diligenza e di gusto che innamora.” Questo fatto e le poche notizie su un artista che muore giovanissimo, all’età di soli 23 anni, ha impedito agli studiosi di farsi un’idea chiara del suo stile e di conseguenza anche del suo catalogo, che si può ancorare a poche opere certe: la Sacra Famiglia con san Giovannino e sant’Elisabetta di Palazzo Rosso, la testa di sant’ Orsola di Palazzo Bianco, lo stendardo dipinto su due lati, raffigurante la Madonna del Rosario col Bambino tra i santi Domenico e Caterina (fig. 1) e la
1. P. Piola, Madonna del Rosario fra i santi Domenico e Caterina da Siena, cm 210x159 (gonfalone dipinto su ambo i lati) Genova, Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, inv. 372
Madonna degli Orefici sempre all’Accademia (fig. 2). Alle opere note del pittore la critica ha tentato di arricchirne il catalogo, talvolta con operazioni alquanto maldestre, in particolare quella relativa alla monografia del 1993, nella quale vengono inserite molte opere che davvero non gli possono essere attribuite (cfr. V. Zanolla, Pellegro Piola, Genova 1993). Più recentemente, ha tentato un più sensato recupero critico per Pellegro Piola C. Manzitti, proprio in occasione della scheda di presentazione di questa Sacra Famiglia con san Giovannino alla mostra della galleria Maison d’Art di Piero Corsini nel 1997, in cui l’opera inedita fu resa nota e studiata (cfr. bibliografia). La bellezza di questo quadro, al di là dell’indubbia qualità nella stesura, apprezzabile anche per l’ottimo stato di conservazione, si fonda sulla soluzione iconografica che in una semplice Sacra Famiglia con san Giovannino, aggiunge non solo il dettaglio dell’angioletto che irrompe nell’intimità della scena, a sinistra, ma il bel motivo della rosa dalla quale il putto fa cadere alcuni petali. Un’idea non banale per conferire naturalezza e veridicità all’episodio dell’incontro affettuoso tra i due
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2. 2. P. Piola, Madonna col Bambino, sant’Eligio vescovo e san Giovannino detta Madonna degli orefici, olio su ardesia cm 98,5x69,5, Genova, Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti
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bambini. Anche san Giuseppe, come al solito un po’ appartato, qui sulla destra, assiste alla scena, e la Vergine china gli occhi con sguardo amoroso verso i piccoli. La rosa, il fiore più bello e attributo mariano, poiché dotata di spine è anche allegoria della Passione: premonizione della sofferenza di Gesù e della corona che gli verrà posta in capo prima della sua morte. I petali tolti dal fiore, morbidi e vellutati e dunque contenenti un richiamo alla dolcezza dell’amore, indicano però anche la caducità e quindi l’idea di transitorietà della vita terrena. Tra le opere note di Pellegro questa è forse la più bella tela da stanza, molto simile, proprio per la dolcezza dei sentimenti che il pittore riesce a esprimere con la tela di analogo soggetto conservata nella Galleria Nazionale di Palazzo Spinola (fig. 3). Costruite in modo diverso, entrambe le tele denotano una indubbia originalità di approccio nei confronti di un soggetto che era così diffuso da poter indurre a tante soluzioni molto convenzionali. Non è così né per l’opera nel museo genovese, né per quella qui presentata. Anna Orlando
€ 40.000/45.000
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3. P. Piola, Sacra Famiglia con san Giovannino, cm 154,5x105,6, Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, inv. GNPS 171
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13 - Clemente Bocciardo detto il Clementone (Genova, 1620 – Pisa, 1658)
Assunzione della Vergine con cinque santi Olio su tela, cm 245 x 174
Bibliografia: M. Newcome in Kunst in der Republik Genua 1528-1815, Francoforte 1992, n. 65, p. 139, tav. 71; P. Carofano, F. Paliga, p. 174, nota 152 (con l’equivoco di identificazione con la pala già in S. Lorenzo alla Rivolta di Pisa) Esposizioni: Francoforte 1992
Secondo le fonti Clemente Bocciardo si sarebbe formato alla bottega di Bernardo Strozzi a Genova. La notizia parrebbe confermata dagli influssi stilistici del Cappuccino ravvisabili nella pala d’altare che egli firma e data nel 1623, conservata al Museo di Castelvecchio di Verona (inv. 447). In quella pala con la Madonna, il Bambino e sei santi, si vede fin da subito la sua predilezione per composizioni complesse che evidentemente gli assicurarono un buon numero di commissioni simili. Sempre stando alle notizie del biografo Raffale Soprani (1658), il Clementone, “molto studioso”, preferì poi passare con Gio. Benedetto Castiglione e con lui recarsi a Roma. Siamo dunque intorno al 163234. Dopo di che, tornato a Genova forse quando il Castiglione andò a Napoli, e dunque nel 1635, attese ad alcuni importanti incarichi pubblici per i quali fu molto apprezzato e ammirato. In casa sua, sotto la direzione di Gio. Domenico Cappellino e di Gioacchino Assereto istituì una “accademia del disegno”. Ma poi decise nuovamente di partire per andare a Firenze; sebbene sia infine a Pisa che lavorerà maggiormente, almeno dal 1639 fino alla morte, con una bottega in cui aveva anche diversi allievi. Tra le opere note del pittore questa pala d’altare di cui non si conosce l’originaria destinazione è senza dubbio il suo capolavoro. All’Assunzione della Vergine assistono alcuni santi, alcuni dei quali riconoscibili dai loro attributi. Il primo a sinistra è san Giacomo con la borraccia da pellegrino. Sul lato opposto la figura ammantata di rosso con i pesci in mano e un piede che poggia su una croce è riconoscibile in sant’Andrea, il pescatore che morì crocifisso. La figura del monaco sul secondo piano a sinistra ha la gestualità del predicatore; reca sul petto il “signum Christi”, cioè il monogramma “IHS” circondato di fiamme che dovrebbero ricondurre con buona certezza a Bernardino da Siena. Il santo gesuita con il Crocifisso potrebbe essere Francesco Saverio, proprio per la presenza del Crocifisso, e probabilmente dietro di lui è la figura di sant’Ignazio, fondatore dell’ordine dei Gesuiti. L’impostazione della scena è abbastanza convenzionale, ma la figura della Vergine colpisce per la sua posa e il suo dinamismo decisamente barocco. Barocco è anche lo spirito dell’allegoria di Vanitas,
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con la figura di Saturno alato con la falce accanto a un putto con la clessidra, tracciata con pennellate sapienti in monocromia sul fronte del sarcofago. Giustamente è stata notata una certa affinità con l’Immacolata nella grande pala oggi a Minneapolis del Castiglione (fig. 1), che sappiamo infatti essere uno dei pittori che il Clementone maggiormente studiò nel momento della sua formazione. Qui, tuttavia, ci troviamo di fronte a un’opera certamente matura, vista la qualità del risultato e la complessità dei riferimenti che vi si possono scorgere. La cultura pittorica che questa pala presuppone va ben al di là dei confini liguri e tanto la tavolozza squillante e variata, quanto il dinamismo delle figure nella loro varietà di gesti e pose obbligano a pensare a un barocco di matrice tosco-romana. Si pensi in particolare a un artista come Pietro da Cortona, che le fonti non menzionano in riferimento alla formazione del Bocciardo, ma che qui non può dirsi ignorato. Anzi, tanto i panneggi, quanto la tavolozza, denotano un vero e proprio cortonismo che ben si sposa con il naturalismo di matrice genovese del pittore. L’opera va assegnata alla maturità del pittore, che dovette eseguirla per un’importante commissione pubblica, probabilmente in ambito pisano, negli anni Cinquanta.
Anna Orlando
€ 35.000/40.000
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1. G. B. Castiglione detto il Grechetto, Immacolata concezione con san Francesco e sant’Antonio, cm 366x265, Monneapolis, Institute of Art, The Putham Dana McMilan Fund
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14 - Valerio Castello (Genova, 1624 – 1659)
Amorini che preparano le frecce
Olio su tela, cm 88 x 112 Provenienza: Monte Carlo, Galleria Ribolzi, 1990 Bibliografia: C. Manzitti in Dipinti e miniatura dal XIV al XVIII secolo, catalogo della galleria Ribolzi, a cura di A. Tartuferi, Monte Carlo 1990, n. 23, p. 78, fig. 79; C. Manzitti, Valerio Castello, Torino 2004, p. 78 n. 6 L’opera possiede l’attestato di libera circolazione
L a breve esistenza di Valerio Castello, consumatasi nel giro di poco più di tre decenni (1624-1659) rende ancor più sorprendente la portata della sua opera nell’ambito della pittura genovese del Seicento. Figlio di Bernardo (Genova 1557 ? – 1629), pittore controriformato della generazione successiva a quella di Luca Cambiaso, rimase orfano di padre a soli 5 anni. Non dal padre dunque, ma da Domenico Fiasella e Giovanni Andrea De Ferrari svolse il proprio apprendistato. La lezione dell’uno e dell’altro maestro lo avrebbe portato a muoversi nel solco maestro della pittura genovese, quello di un naturalismo pacato e colloquiale, se il suo estro non lo avesse precocemente condotto verso sperimentazioni ardite, dal punto di vista formale e contenutistico, tali da renderlo il più singolare esponente della pittura barocca genovese. Più che sul Fiasella e sul De Ferrari egli si formò osservando le fonti del manierismo presenti nella sua città, in particolare studiando le opere di Perino del Vaga al Palazzo di Andrea Doria a Genova. Il biografo Raffaele Soprani ricorda un viaggio a Milano (1643 circa) dove ha modo di vedere altre opere del Procaccini, già conosciuto a Genova. Fondamentale fu poi, intorno ai vent’anni, il viaggio a Parma per ammirare Correggio e Parmigianino (1644 circa). Il precoce barocco di Rubens e Van Dyck - entrambi attivi a Genova rispettivamente nel primo e nel terzo decennio del secolo - fornirono ulteriori stimoli per la messa a punto del suo stile personale, che miscela naturalismo e barocco in una formula nuova e affatto riconoscibile.
1. V. Castello, Angioletti con delfino, cm 68x91, Genova, già collezione Angelo Costa
Il suo percorso stilistico è fortemente accelerato e la sua maniera è da subito molto caratterizzata e affatto diversa da quella dei suoi contemporanei: dipinge in modo veloce e la sua pennellata leggera e corsiva lascia libere le forme. La tavolozza, assai variata nei toni cangianti dei rosa, arancio e azzurri in gioventù, si fa via via più essenziale verso i bruni-rossi e blu della maturità. Il capolavoro che qui si presenta è una delle più gradevoli composizioni della sua attività giovanile. Come le altre rare opere ascrivibili ai suoi esordi pittorici, mostra la sua componente manierista: ricchezza di cangianti nella tavolozza e grazia correggesca e parmigianinesca nelle forme.
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2. V. Castello, Angioletti con gattino, cm 68x91, Genova, già collezione Angelo Costa
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Lo stile è analogo a quello della ben nota tela con il Ritrovamento di Mosè apparsa sul mercato a Londra nel 1999 (fig. 3), alla quale si è potuto recentemente accostare un inedito giovanile con un Presepe di collezione privata (fig. 4). Con esse, l’opera di Villa Giulietta condivide la tavolozza squisita nelle tonalità ricercate e la fluidità delle forme. Per analogia anche di soggetto, oltre che di stile, si veda il confronto con lo splendido pendant della collezione di Angelo Costa dove alcuni angioletti, del tutto simili a questi, giocano con un delfino, in un caso, e con un gattino nella tela gemella (figg. 1-2). Vaporosi ed eterei questi sette amorini sono intenti a forgiare delle frecce. Sono il loro strumento per ferire d’amore le loro vittime.
3. V. Castello, Ritrovamento di Mosé, cm 100x126, New York, coll. Alfred A. Taubman
L’aspetto narrativo però soccombe sotto l’impulso di un pennello che non descrive, ma allude, non disegna ma tocca e vaporosamente crea figure come uscita da un sogno. E’ raro, anche per chi conosce Valerio e la quantità di sue opere magistrali, vedere raggiungere tali livelli di piacevolezza.
Anna Orlando
€ 60.000/65.000
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4. V. Castello, Presepe, cm 100x124, collezione privata
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15 - Bartolomeo Biscaino (Genova, 1629 – 1657)
Morte di Lucrezia
Olio su tela, cm 120 x 189 Bibliografia: C. Manzitti, Biscaino, Bartolomeo, voce biografica in La Pittura in Italia. Il Seicento, Milano 1989, vol II, p. 641; C. Manzitti in Genua Tempu fa, catalogo della mostra a cura di T. Zennaro, Maison d’Art di Piero Corsini, Monaco, Monte Carlo 1997, pp. 98-100, n. 19 Esposizioni: Monte Carlo 1997
Bartolomeo Biscaino nasce a Genova nel 1629. Dopo avere osservato il padre Giovanni Andrea, pittore, entra nella bottega di Valerio Castello, allo scadere del quarto decennio, e la frequenta fino alla morte precoce avvenuta durante la terribile peste che colpì Genova, decimandone la popolazione. E’ grazie a Valerio che studia anche il Parmigianino e il Procaccini. Un altro artista che il Biscaino ammirerà molto sarà Giovanni Benedetto Castiglione, soprattutto per la su attività incisoria. La vicenda artistica del Biscaino è parallela a quella di Stefano Magnasco, che però sopravvivrà alla peste, ma è oggi possibile distinguere i due artisti a lungo confusi, grazie a una serie di affondi critici che li hanno riguardati. Per ragioni anagrafiche la sua evoluzione stilistica è assai ridotta. Le opere datate si riducono a un paio di incisioni (1655 e 1656), tra le tante, splendide, che esegue sullo stile del Castiglione. Il corpus dei suoi dipinti si ricostruisce prendendo avvio da un’unica opera citata dal Soprani, la Pala di San Fernando, ove sono ben visibili le due componenti del suo stile: Grechetto e Castello. Esegue quasi esclusivamente quadri “da stanza” per la committenza privata, in cui i personaggi hanno spesso espressioni intense e una gestualità eloquente; i volti femminili sono sempre ben riconoscibili per la forma ovale e l’espressione dolce; i panneggi sono leggeri e a pieghe longitudinali e fitte, diversamente dal panneggiare assai più leggero e mosso del maestro o da quello più disegnato e gonfio di S. Magnasco. La tela di Villa Giulietta rappresenta la storica leggenda della morte dell’aristocratica romana Lucrezia, indotta dalle violenze subite da Tarquinio Sesto, figlio dell’ultimo re di Roma. Presentata in occasione della mostra presso la galleria Maison d’Art di Piero Corsini a Monte Carlo nel 1997, era nota da tempo a C. Manzitti a cui si deve la sua prima analisi critica. Dal punto di vista iconografico corre l’obbligo di confrontarla con la tela di analogo soggetto eseguita dal suo maestro, oggi conservata nella collezione della Cassa di Risparmio di Asti (fig. 1). Un analogo pathos teatrale, ma una diversa disposizione dei personaggi sulla scena.
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1. V. Castello, Morte di Lucrezia, cm 209x246, Asti, Cassa di Risparmio di Asti
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Più complessa e giocata su diagonali incrociate quella di Valerio, più semplificata quella del Biscaino, che predilige qui, come in altre tele, la sequenza paratattica delle figure e che delega a una lieve scansione dei piani il ritmo di questa sequenza. Si veda per esempio come risolve il racconto nella ben nota Negazione di Pietro di collezione privata (fig.2) e si noterà, oltre ad alcuni richiami puntuali nella somiglianza delle figure, specie nell’armato, una medesima capacità di ritmare per via di alternanze di gesti e sguardi, proiezioni in avanti della figura e leggero arretramento. E’ così che il Bascaino inscena lo sgomento dei suoi personaggi di fronte alla morte inaspettata di Lucrezia. In questo capolavoro il giovane pittore, qui in una fase precocemente matura che ahimè non ebbe sviluppi, riesce magistralmente a miscelare naturalismo e barocco in un brano di squisita genovesità. Anna Orlando
€ 55.000/60.000
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2. B. Biscaino, La negazione di Pietro, cm 125x173 , collezione privata
Barocco genovese da Villa Giulietta 61
16 - Anton Maria Piola (Genova, 1659 – 1715)
Allegoria della Carità
Olio su tela, cm 66 x 104 Bibliografia: Inedito Bibliografia di riferimento per il pittore: D. Sanguineti, Domenico Piola e i pittori della sua “casa”, Soncino 2004 A. Orlando, Dipinti genovesi dal Cinquecento al Settecento. Ritrovamenti dal collezionismo privato, Torino 2010, pp. 155, 208-209
Figlio primogenito e allievo di Domenico, Anton Maria vive e lavora con il padre ed è da ricercarsi tra i molti aiuti nelle sue opere soprattutto dopo il 1680, sebbene ciò non sia del tutto agevole. Poco dopo il bombardamento francese su Genova nel 1684 segue il padre insieme al fratello Paolo Gerolamo e a Rolando Marchelli in un viaggio nel nord Italia, con le tappe a Milano, Bologna, Bergamo, Venezia, Parma, Piacenza (1685) e Asti. Durante questo viaggio deve copiare non poche opere emiliane e affinare quella tecnica di vero e proprio copista, che mette in atto in più occasioni. Si conoscono sue copie da Van Dyck (Palazzo Bianco, depositi) e per esempio copia del Ritratto di Agostino Pallavicino da Domenico Fiasella della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. Ciò non facilita il rinvenimento delle opere di sua mano e di sua ideazione, fatta eccezione per alcune pale d’altare citate dalle fonti e alcuni quadri da stanza, sullo stile di Domenico. Non ci si deve comunque aspettare un catalogo consistente, poiché, a detta del Ratti, egli lasciò la pittura per vagabondare per l’Italia. Le fonti antiche pongono in evidenza l’”ottima somiglianza” con lo stile paterno (C.G. Ratti, Delle Vite de C.G. Ratti, Delle vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi, II, Genova 1769, p. 49). Nel 1697 gli viene pagata la pala con la Madonna addolorata e santi della parrocchiale di Bogliasco (Ge), che costituisce un punto fermo per ricostruire la sua attività e che si potrà confrontare con il presente dipinto, analogamente ad alcune opere menzionate dal Ratti in chiese genovesi. Inoltre, gioverà osservare la sua bella tela ovale conservata nella piccola cappella entro il Palazzo Spinola di Pellicceria e, ancor più, il tondo con Lo sposalizio mistico di santa Caterina dell’Accademia Albertina di Torino (fig. 1) per rilevarne le affinità.
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1. Anton Maria Piola, Matrimonio mistico di santa Caterina, diam. cm 118, Torino, Accademia Albertina, inv. 105
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Lo stile di Anton Maria si distingue per maggiore nettezza delle forme rispetto a quelle paterne e per una tavolozza dalle tinte più squillanti, con superfici spesso smaltate e levigate. Le fisionomie sono tipicamente piolesche, e a fatica si distinguono da quelle di Domenico, ma i profili sono solitamente più taglienti e gli scorci nelle pose a volte più arditi. Questo stile si nota in questa nostra tela inedita, come pure nella bella Madonna con Bambino e san Giovannino di collezione privata americana resa nota da D. Sanguineti su segnalazione di chi scrive (Sanguineti 2004, p. 109 fig. 56, qui fig. 2). L’inedito che qui si presenta, proprio in virtù delle affinità con i modi di Domenico, va datato ancora entro il
Seicento, probabilmente allo
scadere del secolo.
Anna Orlando
€ 15.000/20.000
64 Aste Boetto
2. Anton Maria Piola, Madonna con Bambino e san Giovannino, cm 109x100, già New York, collezione privata
Barocco genovese da Villa Giulietta 65
17 - Scultore genovese, ambito di Anton Maria Maragliano (metà del XVIII secolo)
Madonna Immacolata
Legno scolpito, dipinto e dorato, h. cm 58 (esclusa la base) Bibliografia: Inedito Bibliografia di riferimento sull’argomento: D. Sanguineti, Anton Maria Maragliano 1664-1739, Genova 2012
L a Vergine Immacolata è qui raffigurata secondo l’iconografia tradizionale: ai suoi piedi la mezzaluna, simbolo di castità, e il serpente del male che soccombe. Segue fedelmente le parola dell’Apocalisse che la descrive “vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle” (Apocalisse, 12,1). Secondo le precise indicazioni della Controriforma, la figura dell’Immacolata doveva essere quella di una giovinetta, con una veste bianca e una veste azzurra, le mani sul petto o giunte in preghiera. In questa variante iconografica, la Vergine si cinge il grembo con le mani, a ricordare la futura nascita di Gesù da quello stesso grembo immacolato. Il dettaglio relativo alla posa, e in particolare una posizione delle mani pressoché identica oltre che un’impostazione generale sostanzialmente uguale, si ha nella Madonna Immacolata di Anton Maria Maragliano (fig. 1), oggi nella chiesa di S. Teodoro, ma originariamente realizzata per l’altar maggiore della chiesa francescana di Santa Maria della Pace a Genova, in strada Giulia (oggi via XX settembre), opera riferibile ai primissimi anni del Settecento (D. Sanguineti, Anton Maria Maragliano 1664-1739, Genova 2012, pp. 241-242). Meno imponente rispetto al prototipo del Maragliano, sia per ciò che riguarda le dimensioni, sia per il volume del manto, le affinità sono molte e tali da indicare l’ignoto autore di questa scultura nell’ambito del grande maestro genovese che, come noto, aveva una numerosissima bottega, visto l’incalzare delle commissioni che riceveva, sia un grande seguito, da parte di scultori che dopo di lui, non potevano prescindere da quei modelli che nell’immaginario, anche della committenza, risultavano insuperabili. Così, un’opera come questa che rappresenta una riduzione in scala domestica, per la devozione privata, è uno dei tanti esempi reperibili in ambito locale e riferibili alla metà del XVIII secolo. Tuttavia, la buona qualità, oltre allo stato di conservazione, la distinguono da molte altre molto più banali e non così raffinate.
Anna Orlando
€ 5.000/6.000
66 Aste Boetto
1. Anton Maria Maragliano, Madonna Immacolata, h. cm 250, Genova, chiesa di San Teodoro
Barocco genovese da Villa Giulietta 67
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