i luoghi di Napoleone

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I luoghi di Napoleone

I luoghi di Napoleone

Un viaggio tra Liguria, Corsica, Sardegna e Toscana

Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico

Ajaccio~Carloforte~Livorno~Lucca Massa Carrara~Pisa~Sarzana~Savona

www.napoleonsites.eu



I luoghi di Napoleone Un viaggio tra Liguria, Corsica, Sardegna e Toscana

Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico

Ajaccio~Carloforte~Livorno~Lucca Massa Carrara~Pisa~Sarzana~Savona


Quest’opera è stata realizzata dalla Direzione Editoriale di Touring Editore su iniziativa di Provincia di Lucca, Provincia di Livorno, Provincia di Massa-Carrara, Provincia di Savona, Consorzio per la promozione turistica del Comune di Carloforte, Città di Sarzana - Itinerari Culturali S.c.r.l., Ville d’Ajaccio, Provincia di Pisa, Provincia di Grosseto con il finanziamento del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale nell’ambito del Programma Operativo Italia - Francia Marittimo 2007-2013 – Progetto “Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico – BONESPRIT” Testi: rielaborazione dei testi tratti da www.napoleonsites.eu (progetto editoriale e realizzazione software di Liberologico Srl) - Coordinamento scientifico Roberta Martinelli a cura di Federica de Luca e Saul Stucchi

Edizione promossa dal Settore Iniziative Speciali di Touring Editore strada 1, pal. F, Milanofiori - 20090 Assago (Mi) tel. 0257547509, fax 0257547503 iniziative.speciali@touringclub.com Direttore: Luciano Mornacchi Si ringraziano per la cortese disponibilità: le Province, i Comuni, gli Uffici periferici del MIBAC e tutte le istituzioni pubbliche e private dei territori partner che a vario titolo hanno collaborato alla realizzazione della guida Redazione e impaginazione: Alcos Pr&pressoffice s.r.l. - Milano www.alcoscomunicazione.com Stampa e legatura: Lalitotipo s.r.l. - Settimo Milanese (Mi) © 2013 Touring Editore S.r.l. - Milano www.touringclub.com Finito di stampare nel mese di gennaio 2013

Iniziativa finanziata con il Fondo Europeo di sviluppo Regionale, è vietata la vendita fino a gennaio 2018

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Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico

Ajaccio~Carloforte~Livorno~Lucca Massa Carrara~Pisa~Sarzana~Savona

Napoleon Bonaparte and his spirit, his dynamic reforming energy that changed the countries and peoples of Europe, seen through a project financed by the European Community, which seeks to highlight the traces that the great Corsican and the members of his family left in their path. Public works and far-reaching changes (social, cultural, urban and legislative) are rediscovered in a network of tourist-cultural itineraries that showcase the important Napoleonic legacy of Corsica, Liguria, Sardinia and the coastal Provinces of Tuscany.

Partner territories: Ajaccio, Carloforte, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa-Carrara, Pisa, Sarzana, Savona

Provincia di Massa-Carrara

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Sommario 7

Introduzione Un grande condottiero

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Napoleone Bonaparte I luoghi della memoria

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Madame Mère, al secolo Maria Letizia Ramolino Bonaparte Tra città e campagne

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Luciano Bonaparte Collezionista d’arte 67 Cardinale Joseph Fesch Una donna di polso 79 Elisa Baciocchi Indirizzi 90

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Non è facile scrivere qualcosa su Napo-

leone che ancora non sia stato scritto, né è lo scopo di questo volume. Lo spirito o il “Bonesprit” che lo anima è invece narrare, da una diversa angolatura, l’ascesa di un personaggio che i libri di storia ci hanno insegnato ad amare o, talvolta, a guardare senza troppa simpatia. Un leader del suo tempo che, insieme alla sua famiglia, ha contribuito a cambiare la storia e la geografia di tutta Europa. L’epopea napoleonica si può dire davvero archiviata? Tutt’altro. Numerose località, in Italia e in Corsica, raccontano ancora quel periodo che ha fatto da spartiacque tra due secoli e due mondi. Ad accompagnarci in questo viaggio a cavallo del tempo ci sono cinque personaggi chiave che tratteggiano un insolito mosaico storico–turistico fra Toscana, Liguria, Corsica e Sardegna. 7


A guidarli, ovviamente, Napoleone in persona. Partito da Ajaccio, ha lasciato il segno fin dalla prima campagna d’Italia: nel Savonese ancora non s’è spenta l’eco del suo passaggio a Dego, a Millesimo, a Cosseria. Ha poi viaggiato per mezzo mondo, “dall’Alpi alle Piramidi/dal Manzanarre al Reno”, conquistando Madrid, Mosca, Berlino, Vienna, Malta, Il Cairo, ma non la Sardegna. Anzi, all’inizio della carriera, vide infrangersi il tentativo d’invasione dell’isola e la sua piccola flotta franco-corsa sconfitta nelle acque di La Maddalena da un Ammiraglio di Carloforte. Il compito di tramandare la memoria di famiglia va poi a Letizia Ramolino. Testimone dell’ascesa e della caduta del suo secondogenito, ha visto i figli ricevere in dono un regno o un principato e fuggire al precipitare delle cose. Sarà lei a guidarvi in un itinerario che tocca i luoghi della memoria, palazzi, ville e musei ricchi di testimonianze delle imprese, delle passioni e delle tragedie del numeroso clan Bonaparte. Città e campagna, soffermandosi sui paesaggi modificati dai vari Bonaparte, sono invece i temi illustrati da Luciano Bonaparte, terzogenito di Letizia e Carlo Maria. Fu il vero rivoluzionario della famiglia, e in età ormai matura, ormai latifondista imborghesito, nel suo feudo maremmano rivelò discrete doti da archeologo e una profonda passione per la storia. 8


Alla volitiva sorella Elisa, Principessa di Lucca e di Piombino, va il piacere di introdurvi a Corte e farvi ammirare quei palazzi e quelle ville che insieme al consorte Felice Baciocchi ha lasciato ai posteri. Ultimo Cicerone, nella visita ai luoghi di fede (chiese, cattedrali e cappelle commemorative), è il Cardinale Joseph Fesch, fratellastro di Letizia Ramolino. Uomo dalla vita intensa e ricca di soddisfazioni, sperimentò anche il dolore dell’esilio e della contrapposizione frontale con suo nipote Napoleone che, in gioventù, aveva seguito nella campagna d’Italia, Paese dove si era innamorato dell’arte. A loro il compito di delineare le coordinate di un nuovo modo di viaggiare. Seguendo il filo della storia e di curiosità da colmare ad ogni sosta. Federica De Luca e Saul Stucchi

Buona lettura e buon viaggio!

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I luoghi di Napoleone Un viaggio tra Liguria, Corsica, Sardegna e Toscana


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Un grande condottiero Napoleone Bonaparte

M

i considero l’uomo più audace

in guerra che sia mai esistito. Sono stato coraggioso, ma tutt’altro che avventato. Fin da bambino ho dimostrato invece nervi ben saldi che insieme a un carattere fermo e a un’intelligenza particolarmente viva mi hanno portato lontano. “Granito arroventato da un vulcano”, mi ha definito una volta il professore di Lettere alla scuola militare di Brienne. Forse un aneddoto è quello che ci vuole per illustrarvi la mia indole, predisposta per natura al comando. Nell’inverno del 1783 Brienne fu sepolta da una forte nevicata e i professori ne approfittarono per insegnare a noi allievi 13


i fondamenti dell’attacco e della difesa. Ci divisero in due gruppi lasciandoci liberi di muoverci a nostro piacimento. Io presi subito il comando di uno dei due schieramenti ed esortai i miei compagni a trattenersi dallo scagliarsi con foga contro i “nemici”. Li convinsi invece a costruirsi un bastione dietro cui trovare riparo contro gli attacchi avversari che non ottenevano alcun effetto, ma che anzi lasciavano sul campo pesanti perdite a causa delle nostre sortite ben organizzate. Quella curiosità che notarono alcuni tra i miei primi professori non mi è mai venuta meno: perfino prima di imbarcarmi per il lungo viaggio che mi avrebbe portato a Sant’Elena volli visitare tutte le fortificazioni dell’isola di Aix, progettate da Vauban, il grande ingegnere del Re Sole. Mi sono sempre considerato un “tecnico”, attento alle innovazioni e convinto che in epoca moderna per vincere una battaglia la cura dei dettagli e la preparazione siano più importanti dell’ardore guerresco. Ma basta una fugace menzione a questi due piccoli lembi di terra circondati dal mare per riportare la mia mente all’isola che mi ha dato i natali il 15 agosto del 1769: la Corsica. 14


Po

PIEMONTE

Cosseria Millesimo

Dego

EMILIA ROMAGNA

LIGURIA

Sarzana Massa La Spezia

Savona Albenga

MAR LIGURE

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Il viaggio in cui ho il piacere di accompagnarvi alla scoperta dei siti militari non può che iniziare da Ajaccio. Nel Salone Napoleonico dell’Hôtel de Ville potete ammirare un quadro realizzato nel 1853 da Adolphe Yvon per arricchire la galleria del castello di Compiègne, dove io stesso soggiornai in diverse occasioni e che mio nipote Napoleone III scelse come residenza autunnale. In questa tela l’artista, celebre per le scene di tema bellico, mi ha ritratto a cavallo mentre varco le Alpi nel maggio del 1800. Se lo confrontate con la più celebre versione di Jacques-Louis David (che in realtà ne realizzò diverse copie), potete notare non soltanto un diverso approccio stilistico, ma anche constatare quanto gli avvenimenti successivi abbiano influito sulla composizione di Yvon. Qui mi vedete con le spalle curve, in una posa tutt’altro che eroica, mentre David mi ha immortalato mentre controllo con piglio sicuro il mio destriero rampante e indico la di-

rezione dell’Italia. Ricordo perfettamente quell’epica traversata sulle orme di Annibale e Carlo Magno: lottavamo contro il ghiaccio, la neve, le tempeste e le valanghe. Il San Bernardo, come stupito e offeso da quell’imponente armata che guidavo, ci opponeva ostacoli. Ma invano. Le battaglie in cui ho condotto le mie armate hanno segnato il territorio e insieme hanno lasciato profonde impressioni nell’immaginario collettivo, anche grazie a un’accorta operazione di diffusione e propaganda: quadri, incisioni, racconti, monumenti e oggetti comuni della vita quotidiana hanno diffuso in tutta Europa le mie imprese. I siti militari in cui vi guiderò sono luoghi in cui le vicende locali si sono intrecciate con la grande Storia, vi sono passati eserciti organizzati e truppe sbandate e nelle acque cristalline davanti ai forti a picco sul mare si sono affrontate flotte battenti bandiere di regni e repubbliche che non esistono più.

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Sardegna Carloforte

Ma è ora di iniziare finalmente il nostro viaggio e per farlo dobbiamo compiere un piccolo passo indietro, lasciando la Corsica per approdare alla sua sorella mediterranea, la Sardegna. Anzi, per essere più precisi, vi voglio condurre nella piccola isola di San Pietro che insieme a Sant’Antioco compone l’Arcipelago del Sulcis. La sua storia è molto interessante ed è un po’ l’emblema di una delle caratteristiche fondamentali del nostro

“piccolo mare interno”: l’estrema mobilità che è sempre esistita tra le sue sponde. Pur essendo frequentata dall’antichità, a turno da Fenici, Greci e Romani – questi ultimi la chiamavano Isola degli Sparvieri – l’isola rimase a lungo disabitata finchè non venne ripopolata verso la metà del Settecento da un gruppo di marinai liguri provenienti dall’Isola di Tabarka, in Tunisia. Ancora oggi, passeggiando per le stradine del capoluogo Carloforte o gustando il rinomato tonno rosso in uno dei ristoranti del lungomare potete sentire l’inconfondibile

Gli scontri di Monte Negino visti dal Bagetti

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cadenza della parlata ligure, conservatasi nel dialetto locale. Carloforte deve il suo nome al re Carlo Emanuele III di Savoia in ricordo e ringraziamento della concessione dell’isola alla comunità tabarkina. Nel 1767 il duca di San Pietro ordinò, su antiche vestigia fenicie, la costruzione di una fortificazione a difesa del paese, il Forte San Vittorio, che ha ospitato un importante osservatorio astronomico. Ma anch’io ho fatto qualcosa per gli isolani: intercedetti infatti a favore di un gruppo di Carlofortini rapiti durante un’incursione piratesca

e deportati a Tunisi. È la migliore prova che non serbai rancore per il ruolo decisivo che l’ammiraglio isolano Vittorio Porcile (17561815) giocò nella battaglia navale dell’Isola de La Maddalena in cui la flotta franco-corsa ebbe la peggio. Il 22 febbraio del 1793 infatti la nostra flottiglia, composta da una quindicina di imbarcazioni, su una delle quali comandavo, quale ufficiale di artiglieria, un battaglione di fucilieri corsi, fu respinta senza troppe difficoltà, facendo svanire il nostro sogno di invadere e conquistare la Sardegna. Fu la dimo-

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strazione che le distese del mare non erano il luogo adatto per mettere in mostra il mio talento strategico. Tutto sommato per me quell’episodio non ebbe gravi conseguenze, mentre per Vittorio Porcile fu forse l’evento più glorioso di una vita passata sul mare, finchè non arrivò per lui il momento di ritirarsi nella sua Carloforte, dove morì nel 1815. Le sue spoglie ancora riposano nella chiesetta dei Novelli Innocenti, fatta restaurare e riaperta al culto proprio dalla sua famiglia. Ma Carloforte conserva anche testimonianza di un altro Ammiraglio ben più famoso (in tutto il mondo!) di Vittorio Porcile: il mio acerrimo nemico Horatio Nelson! Fu lui a distruggere la mia flotta nella battaglia di Aboukir, nel corso della campagna d’Egitto e qualche anno più tardi a infliggere a noi Francesi la tremenda batosta di Trafalgar (vittoria che però gli costò la vita). Una targa posta dall’Amministrazione Comunale in occasione del bicentenario ne ricorda il breve passaggio sull’isola. Recita così: “Il 23 maggio 1798 al comando delle navi “Vanguard”, “Orion” e “Alexander” l’Ammiraglio inglese Lord Horatio Nelson gettava l’ancora nella rada dell’isola di San Pietro dove, grazie alla solidarietà dei Tabarkini, riparava i danni delle sue navi, e riprendeva il mare”. La nave ammiraglia aveva infatti subito gravi danni alle alberature che in appena quattro giorni gli esperti maestri d’ascia carlofortini riuscirono a riparare. L’Ammiraglio rimase talmente ammirato dalla loro bravura da elogiarla in una lettera che inviò alla moglie, peraltro abbandonata qualche tempo dopo per andare a convivere con la sua amante Emma

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Lyon, moglie di sir William Hamilton, ambasciatore britannico presso la corte dei Borbone a Napoli. Ma come sapete, io sono l’ultima persona a poter esprimere critiche a questo comportamento dell’Ammiraglio inglese, avendo più di una scappatella da farmi perdonare. È arrivato il momento di raccontarvi anche di un altro personaggio che ha legato il suo nome a Carloforte, un discendente del grande Michelangelo. Mi riferisco al pisano Filippo Buonarroti, attivo come ideologo e rivoluzionario nella piccola isola sarda e in “continente”. Insieme alla popolazione isolana innalzò l’Albero della Libertà nel gennaio del 1793, qualche mese dopo l’approdo delle navi francesi. San Pietro venne proclamata “Isola della Libertà”, guadagnandosi il primato di prima repubblica dell’era moderna in Italia. Buonarroti partecipò anche alla stesura della Costituzione che poco dopo avrebbe illustrato a Parigi, dove si recò per affermare la volontà dei Carlofortini di far parte della Repubblica Francese. Trascorse l’anno successivo in Liguria come Agente Nazionale e Proconsole presso il Commissariato di Oneglia, impegnandosi in un’intensa attività giacobina di organizzazione del governo di occupazione dei territori conquistati su modello dell’amministrazione francese. Ma l’ardore rivoluzionario lo portò allo scontro con il potente marchese Del Carretto di Balestrino, nelle cui antiche scuderie sono esposte preziose tavole del catasto napoleonico nel Savonese. Il suo tentativo di abolirne i privilegi feudali che gravavano sugli abitanti del paese fallì per la riabilitazione del marchese che provocò la sua caduta


in disgrazia a cui seguì l’arresto nel febbraio del 1795. Condannato in un primo momento al carcere, gli furono imposti il confino e poi la deportazione a vita. Ma continuò a portare avanti la sua azione politica di organizzazione e sostegno di molti movimenti rivoluzionari, fino alla morte a Parigi nel 1837.

Liguria Dego, Monte Negino, Montenotte e Cosseria: agli appassionati di storia la semplice menzione del nome di questi luoghi accende forti emozioni. In questi paesaggi che oggi appaiono ai turisti così tranquilli e ameni poco più di due secoli fa io e il mio esercito abbiamo scritto alcune delle pagine più gloriose dell’epopea che porta il mio nome. Se Tolone è stato il primo gradino della scala verso la gloria, le vittorie conseguite in queste contrade sono state la conferma delle mie doti di comando e hanno contribuito alla formazione del mio mito. Il punto di partenza per rivivere quegli eventi può essere Porto Vado Ligure: partendo da qui, attraverso il giogo di Altare, che separa gli Apennini dalle Alpi, con l’aiuto di un prelato locale, Don Queirolo, le nostre truppe giunsero a Monte Negino l’11 aprile del 1796. Che uomini avevo ai miei ordini! Il capo brigata Rampon fece giurare alle sue truppe di morire con le armi in pugno piuttosto che arrendersi ai nemici. Il giorno successivo i generali Massena e Laharpe sferrarono l’attacco a Montenotte e il 13 toccò a Cosseria. Il 14 aprile io stesso capovolsi a Dego le sorti di una battaglia che per noi sembrava ormai perduta.Ma già l’anno precedente, verso

la fine del 1795, la Liguria era stata teatro di un’epica battaglia. Dopo tre mesi di appostamenti le nostre truppe e quelle austro-piemontesi erano venute allo scontro a Loano dando occasione al generale Massena di dimostrare a tutti il suo talento di stratega e condottiero. A partire dal 23 novembre e per i due giorni successivi 25 mila Francesi e 40 mila imperiali si erano affrontati tra Loano, Toirano, Castelvecchio di Rocca Barbena, il passo dello Scravaion e Monte Lingo.

Albenga

Una grande battaglia Dal terrazzo del Fortino di Albenga, guardando verso levante, si può osservare la linea di difesa dell’armata rivoluzionaria francese, una dorsale naturale che, partendo dal mare, passa da Capo Santo Spirito e attraverso i rilievi orografici, termina sulle alture di Ormea.Per avere un’idea corretta di come si presentava alla mia epoca dovete tenere in conto che a causa degli apporti alluvionali del fiume Centa la linea di battigia si è progressivamente allontanata dal ciglio della costruzione che ora si erge nella campagna a ben 200 metri di distanza dal mare. Anche in questo caso l’edificio è stato sottoposto in anni recenti a un intervento di restauro che ha permesso di ricavare spazi espositivi per ospitare iniziative culturali.

Loano

La cittadina rappresenta l’epilogo finale della ritirata delle truppe austro-piemontesi dall’omonima piana. Con la battaglia di Loano l’esercito francese acquisì la piena consapevolezza della loro superiorità morale e

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militare. I soldati erano galvanizzati, agguerriti, temprati dai combattimenti e dalle privazioni, fiduciosi nei confronti dei loro vigorosi e risoluti ufficiali. A Parigi, il sogno di vedere piegato il nemico principale

della rivoluzione divenne una possibilità concreta. Nei primi mesi del 1796 il Direttorio inviò proprio me nel Ponente savonese per assolvere questo compito e proprio da qui ebbe inizio l’itinerario della prima

Andrea Massena Non vorrei parlare oltre del papa perchè mi mettono di cattivo umore i ricordi del rapporto burrascoso tra me e Sua Santità. Preferisco che per un tratto di strada ci accompagni uno dei generali più valorosi che abbia mai conosciuto, un uomo tenace e coraggioso come pochi altri. Il suo valore cresceva con l’aumentare del pericolo e quando veniva sconfitto non si arrendeva mai, anzi ricominciava con la stessa brama di vittoria di prima. Vi presento Andrea Massena, a cui venne dato il soprannome di “figlio prediletto della vittoria”! Di origini modeste, nacque a Nizza quando la città apparteneva al Regno di Sardegna e divenne cittadino francese quando le truppe rivoluzionarie la annetterono nel 1792. L’anno dopo era con me all’assedio di Tolone. Allora avevo ventiquattro anni ed ero un tenente colonnello d’artiglieria: un perfetto sconosciuto. Gli Inglesi avevano conquistato Tolone e per noi era indispensabile riprendere la città. La riconquista fu il mio primo successo e mi rimarrà per sempre nella memoria come uno dei ricordi più belli. Mandato sul luogo vi avevo trovato disordine e confusione, ma seppi in fretta conquistarmi la fiducia di superiori e sottoposti grazie alla mia competenza tecnica, frutto di anni di studio e di un indubbio talento. Per aver dato un importante contributo a quell’eroica impresa Massena venne promosso generale di brigata e sembrava destinato al comando dell’Armata d’Italia. Nel 1796 aveva 37 anni ed era avido di donne e di denaro, non soltanto di gloria. Ma gli fui preferito io, che pure avevo appena 26 anni, su indicazione di Paul Barras, il componente più influente del Direttorio. Durante la campagna d’Italia si distinse in molte occasioni e durante il Consolato e poi l’Impero prese parte a quasi tutte le mie campagne. Lo nominai maresciallo di Francia e principe di Essling, ma fui per lui anche fonte di dolore. Nel settembre del 1808, pochi mesi dopo averlo nominato Duca di Rivoli in memoria di una delle sue battaglie più gloriose, lo invitai a una partita di caccia a Fontainebleau. Purtroppo per lui la precisione nella mira non è mai stata il mio forte e così si trovò impallinato in pieno viso, perdendo l’occhio sinistro. Il generale Berthier volle dare l’ennesima prova della sua fedeltà alla mia persona assumendosene cavallerescamente la responsabilità.

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Andrea Massena duca di Rivoli principe D’Essling, maresciallo di Francia

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campagna d’Italia, nella quale, nel breve volgere di cinque giornate, riuscii a battere ripetutamente le forze alleate di Austriaci e Piemontesi a Montenotte, Dego, Cosseria e Millesimo. Mi avvalsi delle idee di riforma della tattica militare elaborate dal Guibert in epoca prerivoluzionaria, adattandole a un esercito rivoluzionario animato da grande passione patriottica. Un esercito dotato di grande mobilità, poco legato ai rifornimenti dalle retrovie, che scarseggiavano tremendamente e che traeva sostentamento dal territorio che riusciva a occupare, causando spesso grandi problemi alle popolazioni locali.

Dego

In Liguria uno dei luoghi a cui il mio nome è più strettamente legato è senza dubbio Dego, in provincia

di Savona. Qui le truppe francesi e austriache si scontrarono una prima volta il 21 aprile del 1794, ma fu la seconda battaglia, avvenuta tra il 14 e il 15 aprile del 1796, a essere determinante per l’esito della campagna d’Italia. Se avessi perso in quell’occasione, probabilmente tutto sarebbe andato in modo diverso, ma la mia vittoria sullo schieramento austro-piemontese ci aprì la strada verso la conquista del Piemonte. Dalla fine del 1797 Dego entrò a far parte del Dipartimento del Letimbro che aveva Savona come capoluogo: insieme a tutta la Repubblica Ligure veniva annessa al primo Impero Francese. Negli anni successivi con il mutare degli ordinamenti francesi cambiò anche la giurisdizione di Dego, ma l’evento più rimarchevole di quell’epoca turbolenta rimarrà il breve soggior-

Giuseppe Pietro Bagetti Forse non lo sapete, ma quando pensate alle battaglie napoleoniche molte volte vi vengono in mente scene che portano la firma di un disegnatore torinese che non è esagerato chiamare artista: Giuseppe Pietro Bagetti (1764-1831). I libri di storia sono spesso arricchiti da sue illustrazioni che hanno il notevole pregio di unire precisione maniacale per i dettagli a un’armonica visione panoramica d’insieme. Le sue vedute restituiscono i profili di cittadelle fortificate prese d’assalto dai soldati francesi, mentre sullo sfondo puntini appena percettibili paiono avanzare in ordine perfetto. Altre volte invece il moltiplicarsi dei fumi testimonia il disordine degli scontri, quando gli schieramenti si scompongono in tante piccole battaglie per la conquista di una cascina o di un terrapieno. Ho molto apprezzato i suoi lavori che hanno immortalato le vittoriose campagne del 1796, del 1797 e del 1800. Nel 1811 ho decorato Bagetti con la Legion d’Onore per la sua veduta dell’Italia dalle Alpi fino a Napoli e lui mi ha seguito anche nella sfortunata impresa di Russia. Stanco forse di tante scene di guerra, negli ultimi anni della sua carriera passò a sperimentare una pittura più di fantasia.

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no di papa Pio VII. Il pontefice fu costretto dalle cattive condizioni del tempo a fermarsi qui durante il viaggio che l’avrebbe riportato a Roma dopo il periodo di prigionia a cui l’avevo costretto in Francia e poi a Savona. Il giorno della mia prima abdicazione decisi di liberarlo definitivamente e il suo rientro si trasformò in un viaggio trionfale: anche a Dego la popolazione lo acclamò mentre fendeva la folla seduto sul baldacchino che ancora oggi è conservato nel palazzo comunale.

Millesimo

Museo Napoleonico Le epiche battaglie della campagna d’Italia del 1796 sono il tema di molte delle opere conservate nel Museo Napoleonico di Millesimo (in provincia di Savona), ospitato

a Villa Scarzella. L’edificio fu realizzato come dimora estiva alla fine del Settecento da Giuseppe Scarzella e poi ampliato da suo figlio Alberto che fu sindaco di Millesimo dal 1888 al 1913. Nelle sale del museo sono infatti esposte numerose riproduzioni grafiche raffiguranti imprese e protagonisti dei fatti d’arme avvenuti nella provincia di Savona. Ma accanto alle stampe ci sono carte geografiche, manifesti e bandi, tutti documenti che raccontano le vicende storiche alle quali la Liguria fornì la scenografia. Grazie alla ricca collezione di incisioni, i visitatori possono ripercorrere la cronologia degli eventi, dai precedenti degli scontri del 1795 fino all’occupazione francese in Val Bormida e in Liguria e alla costituzione del Dipartimento di Montenotte, passando di tappa in

Dego, incisione di Pietro Bagetti

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La presa del Castello di Cosseria in un’incisione di Schroeder

tappa dagli inizi della campagna del 1796, alle battaglie di Monte Negino e Montenotte e alla conquista di Millesimo e di Cosseria. Una sezione è interamente dedicata alla battaglia di Dego. Anche i plastici risultano particolarmente utili per comprendere il corso di quegli avvenimenti il cui reale svolgimento spesso sfuggiva a noi protagonisti, immersi nella confusione della battaglia. L’alternarsi di attacchi e respingimenti, il disordine nei ripiegamenti e nelle avanzate impediva il più delle volte di avere un corretto quadro generale e la maggior parte dei soldati si ritrovava nella stessa condizione del protagonista de La Certosa di Parma di Stendhal, Fabrizio del Dongo, sul campo di Waterloo.

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L’Alcova Che anno il 1796! Ricordo ancora quella sera di primavera (era il 15 aprile) quando, dopo molti giorni di scontri nella zona di Savona, finalmente potei vedere il frutto dei nostri sforzi ricevendo l’atto formale di resa dei nemici che consegnarono le proprie bandiere. Li accolsi in una sala del palazzo della nobile famiglia dei Del Carretto a Millesimo, edificio che oggi ospita il Municipio. Quell’evento storico è stato immortalato in una incisione di Delanoy del 1838 che mi ritrae seduto su un divano nella stanza illuminata dalle lampade mentre ricevo l’omaggio degli sconfitti. L’ambiente in cui siamo è chiamato “l’Alcova”, un nome poco adatto all’illustre ospite che accoglierà qualche anno più tardi: niente di


Sarzana (La Spezia), Fortezza di Sarzanello

meno che Sua Santità Pio VII, al secolo Barnaba Chiaramonti.

Cosseria

Castello dei Del Carretto Torniamo alla formidabile primavera del 1796, quando le nostre truppe si scontrarono con gli AustroPiemontesi. Il 13 aprile io stesso guidai l’attacco al castello dei Del Carretto di Cosseria, abbarbicato sulla sommità di un ripido pendio sul quale era stato costruito con funzione di controllo dei percorsi che dal mare portavano in Piemonte. Esistono prove che il castello esistesse già prima dell’anno mille e fu possesso di Bonifacio del Vasto dal 1091 e poi dei marchesi di Clavesana nel XII secolo, prima di appartenere ai Del Carretto. Dopo essere stato abbandonato cadde progressivamente

in rovina durante il Seicento. Nella zona vengono organizzate rievocazioni storiche in occasione degli anniversari delle battaglie.

Forte della Castellana

Avevo grandi progetti per la baia delle Grazie, nel golfo di La Spezia. Avrei voluto realizzare un arsenale militare e una nuova strada che collegasse la città a Portovenere. Affidai l’incarico di costruire un forte al generale Chasseloup, ma il disastro di Lipsia e la conseguente caduta dell’Impero ne impedirono il completamento. Sulla sommità del Monte Castellana, nei pressi di Portovenere, sorge a oltre 500 metri di altezza sul livello del mare l’omonimo forte che domina il golfo spezzino. Un ampio fossato ne circonda la struttura, a forma

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di esagono dai lati irregolari, alla quale si accede attraverso un ponte in muratura posizionato sul lato nord che conduce a un portale in legno. Sull’unica corte interna si affacciano la caserma e i magazzini, mentre sui lati est e ovest si trovano le fronti di combattimento, contenenti rispettivamente due e tre piazzole per i pezzi di artiglieria. Essendo la cima del monte particolarmente esposta ai fulmini, sopra il tetto del forte fu installato un sistema anti-fulmine che è tuttora in funzione. Anche se noi Francesi non facemmo in tempo a completarlo, il lavoro che avevamo intrapreso dovette essere fatto piuttosto bene se il forte venne utilizzato sia durante la prima che la seconda guerra mondiale. Oggi è di pertinenza della Marina Militare che lo impiega come centro per le telecomunicazioni.

Fortezza Firmafede

Fu Lorenzo il Magnifico a volere la costruzione della Fortezza Firmafede di Sarzana, realizzata tra il 1487 e il 1492, anno della sua morte. Esempio notevole di architettura militare fiorentina della fine del Quattrocento l’imponente struttura della Cittadella ebbe fin dall’origine una pianta a forma rettangolare con sei bastioni a cui sono abbinati i nomi di Santa Barbara, San Martino, San Pietro Martire, San Francesco, San Girolamo e San Bartolomeo. L’impianto non subì profondi rimaneggiamenti quando i Genovesi tornarono padroni della città e del suo territorio, limitandosi a portare a termine la cinta muraria della città. Il maschio, ovvero la torre più

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alta delle altre che rappresentava il centro nevralgico della fortezza, costituendone anche l’estremo rifugio in caso le truppe assedianti avessero superato le fortificazioni esterne, si erge ancora isolato e indipendente all’interno di un recinto quadrangolare a cui corrisponde simmetricamente un altro cortile – un po’ più grande – a est. Quest’ultimo ospitava le stalle e gli alloggiamenti dei soldati. L’ingresso principale avveniva attraverso una porta carraia posizionata sul lato meridionale, dove trovava posto il corpo di guardia. La Rivoluzione Francese, ispirata ai principi dell’Illuminismo, ebbe conseguenze anche sulla vita dei carcerati, migliorando le condizioni igieniche dei luoghi di reclusione. Nel periodo dell’occupazione francese ebbero inizio i lavori che avrebbero dovuto trasformare la fortezza in carcere e in casa di polizia municipale, affidati all’architetto Maguin. Il progetto prevedeva per la Cittadella una lunga serie di interventi, finalizzati ad aggiornare la struttura per renderla compatibile con le nuove norme, pensate con l’obiettivo di correggere e riabilitare i prigionieri in vista del loro reinserimento nella società. I servizi igienici diventavano dunque indispensabili per garantire dignità e sanità ai reclusi, così come i servizi sociali e i luoghi di cura e di degenza per i malati. La realizzazione di quest’ambizioso progetto fu però interrotta dalla capitolazione del governo francese su Genova e la Liguria, avvenuta nell’aprile del 1814 in conseguenza alla mia prima abdicazione dopo la disastrosa sconfit-


Portoferraio, Biscotteria (ora Municipio)

ta a Lipsia (nell’ottobre dell’anno precedente). Un secolo esatto dopo la Rivoluzione Francese, la riforma carceraria del nuovo Stato Italiano prevederà la realizzazione di celle singole per i detenuti. Dopo oltre cinquecento anni di alterne vicende, la Fortezza Firmafede è stata finalmente riaperta al pubblico nel 2003 in seguito a un attento restauro per ospitare iniziative e manifestazioni culturali.

Fortezza di Sarzanello

L’importanza strategica di Sarzana, ambita preda di molti appetiti, è confermata dall’esistenza della Fortezza di Sarzanello, una fortificazione militare che si erge sull’omonima collina a dominare la Val di Magra. La sua struttura testimonia un’incessante serie di trasformazioni, a partire dal nucleo più antico risalente probabilmente

al X secolo. Una data importante è il 1487, anno in cui i Fiorentini sconfissero i Genovesi e la Signoria entrò in possesso di Sarzana e Sarzanello. I Medici compresero bene l’importanza strategica della città, provvedendo a una radicale ristrutturazione dell’apparato difensivo che affidarono a Francesco di Giovanni detto il Francione insieme a Luca del Caprina. In meno di dieci anni, tra il 1493 e il 1502, furono completati i lavori che comportarono la demolizione del cassero medievale. Nel periodo della dominazione napoleonica la fortezza rischiò di essere demolita, ma per fortuna di voi visitatori a quel progetto non venne dato seguito, mentre nella seconda metà del secolo scorso una lunga operazione di restauro e di ripristino ne ha permesso l’apertura al pubblico. Oggi le uniche truppe che

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ospita sono quelle dei figuranti durante le rievocazioni storiche come il Napoleon Festival, una manifestazione tutta dedicata alla mia epopea. Ma i suoi ambienti ospitano anche spettacoli, eventi, laboratori didattici e mostre d’arte: Sarzanello si è così trasformata in una fortezza della cultura!

Toscana

Portoferraio

Sono sicuro che al giorno d’oggi il termine Biscotteria vi fa venire in mente pensieri dolci, lontanissimi dall’idea della guerra. E invece ai miei tempi rimandava a un edificio che aveva una funzione legata, anche se non esclusivamente, al mondo militare, ovvero la produzione del “biscotto”, il pane destinato alle guarnigioni. La Biscotteria di Portoferraio sull’Isola d’Elba oggi ospita il Municipio, ma fu realizzata per volere del Granduca di Toscana Cosimo I nella seconda metà del XVI secolo appunto con lo scopo di provvedere ai rifornimenti delle guarnigioni e della nuova città a cui era stato dato il nome di Cosmopoli, in suo onore. Durante il periodo della presenza francese le sue sale vedevano un incessante via vai di giovani perchè proprio in quest’edificio si svolgevano le operazioni di reclutamento dei soldati per sorteggio. Io sono sempre stato contrario all’esenzione dal servizio militare e ho cercato di porvi freno, ma non fatico a immaginare che i genitori di quei ragazzi fossero tutt’altro che contenti nel ricevere la notizia dell’arruolamento. Nella Biscotteria

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avvenivano anche le sedute del consiglio comunale. Raccontano le cronache che durante una di queste fu deciso di inviarmi quattro cavalli durante la terribile ritirata di Russia nel 1812. Chissà se quei cittadini così generosi avrebbero mai immaginato che di lì a poco tempo mi avrebbero avuto come loro “ospite”! Lo ricorda una lapide sulla facciata dell’edificio, posta in memoria del mio breve soggiorno dopo lo sbarco sull’isola nel maggio del 1814, prima del trasferimento alla Palazzina dei Mulini, sempre a Portoferraio. Pur abituato alle ristrettezze della vita militare, come dimostra il mio inseparabile lettino da campo, volli conferire per quanto possibile un’aria di lusso alla mia residenza e per arredarla presi i mobili dalla Reggia di Elisa a Piombino.

Forte San Giacomo

Nel Comune di Porto Azzurro sull’Isola d’Elba (in provincia di Livorno) si erge ancora il Forte San Giacomo, il cui toponimo storico è in realtà Forte di Longone, dal nome del golfo prospiciente. Ma il forte in origine avrebbe dovuto chiamarsi “Pimentel” o “Benaventano”, in onore del vicerè Giovanni Alfonso Pimentel, conte di Benavente. Nei secoli sono cambiati i nomi così come si sono modificate le funzioni della fortezza, costruita tra il 1603 e il 1606 su ordine del re di Spagna Filippo III che ne affidò il disegno a don García di Toledo. Posta a corona di un piccolo promontorio si eleva a una settantina di metri sul livello del mare, dominando l’entrata del golfo. In origine faceva parte del


Isola D’Elba, Forte San Giacomo

sistema di controllo organizzato dagli Spagnoli a protezione delle rotte navali dello Stato dei Presìdi, fondato nel 1557. L’importanza strategica di questo staterello era inversamente proporzionale alle dimensioni territoriali che si limitavano al promontorio dell’Argentario con Orbetello, Porto Ercole e Porto Santo Stefano, con Ansedonia e Talamone e, appunto, Porto Longone. L’impianto a forma di stella pentagonale irregolare si apprezza maggiormente nelle fotografie aeree e nelle piante d’epoca che permettono di individuare con un colpo d’occhio i cinque baluardi, collegati tra loro da cortine murarie a loro volta protette da “mezze-lune”. Il forte ospitava la palazzina del Governatore, gli alloggi per gli ufficiali e le caserme per i soldati della guarnigione, ma c’era anche posto per una polveriera, l’armeria, due officine (per l’Artiglieria e

per il Genio), un forno, un mulino a vento e l’immancabile magazzino dei viveri. È rimasto di proprietà demaniale e oggi viene utilizzato come penitenziario. Termina qui la visita ai siti militari. Forse vi è venuta la curiosità di sapere quale di essi consideri il più difficile da espugnare.Vi rispondo come feci con l’ammiraglio Cockburn sull’Isola di Sant’Elena. Al termine di una cena mi domandò quale piazzaforte considerassi la più formidabile al mondo. Gli dissi che non era possibile stabilirlo perchè ciascuna presentava caratteristiche interne ed esterne del tutto specifiche. Ne citai comunque alcune sparse per l’Europa, tra cui Gibilterra e Malta. Dell’Italia menzionai soltanto Mantova, che pure riuscii a conquistare dopo un lungo assedio nel 1797, grazie alle vittorie al Ponte di Arcole e a Rivoli che resero vane le ultime resistenze degli Austriaci.

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I luoghi della memoria

Madame Mère, al secolo Maria Letizia Ramolino Buonaparte

A

quattordici anni, quando nel 1764 lasciai

la casa di mio padre, ispettore del Genio Civile italiano per la Corsica, promessa sposa del nobile Carlo Maria Buonaparte (la “u” fu tolta poi da Napoleone), ero ben lungi dall’immaginare che cosa mi attendesse: il “governo” di otto figli (altri morirono prematuramente), destinati a intrecciare e determinare – nel pubblico e nel privato – le sorti del vecchio Continente, fece di me una madre austera, severa quanto equilibrata. Grintosa e con “i piedi per terra”, direbbero i contemporanei. Nel 1785, appena trentaquattrenne, ero già una vedova che affrontava l’incognita di tempi diffici. Anni di ristrettezze che si risolsero solo con l’avvento al potere di Napoleone, il mio 31


secondogenito, che riportò la famiglia ad un certo benessere ed agli onori delle cronache. Non sempre condivisi decisioni e smanie dei miei figli. Per ragioni che solo io so - e che gli storici continuano a discutere - non volli neppure assistere alla autoincoronazione dell’Imperatore. Mio figlio non me la perdonò, al punto da farmi comunque raffigurare sul palco d’onore nell’immensa tela celebrativa di David, ora esposta al Museo del Louvre! Lontano da corte, conducevo una vita modesta e ritirata, seguendo le sorti della mia discendenza e battendomi per custodirne integra la memoria. Lasciata la Corsica, vessata da continue rivolte, trovai riparo a Marsiglia e poi a Parigi dove approdai nel 1804, pochi mesi prima di essere proclamata, per decreto, “Son Altesse impériale, Madame, Mère de l’Empereur”. Appellativo altisonante su cui presto prevalse il più colloquiale “Madame Mère”. Nel 1814, dopo l’abdicazione di Napoleone con cui trascorsi alcuni mesi nell’esilio elbano, decisi di vivere a Roma, sotto la protezione del papa, insieme a mio fratellastro, il cardinale Joseph Fesch. Vi rimasi per il resto dei miei giorni, pregando, scrivendo lettere rimaste senza risposta a Napoleone, ormai confinato nella lontana isola di Sant’Elena. Nel cuore, la natìa Ajaccio e quella piccola isola dove tutto era cominciato. 32


PIEMONTE EMILIA ROMAGNA

LIGURIA

Sarzana

Savona La Spezia

Albenga

MAR LIGURE

Massa Lucca Arno Pisa San Miniato Livorno

Portoferraio

TOSCANA

A r cip elag

Isola d’Elba

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CORSICA

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Marciana

LAZIO

Ajaccio

MAR TIRRENO SARDEGNA

Fondata dai Genovesi, Ajaccio vigila sulle acque limpide del mare aperto, in un alternarsi di coste alte e rocciose e spiagge di sabbia finissima. Lontana da quella costa tosco – ligure a cui la legano sottili trame di una lunga storia. Quel litorale, come vedremo in seguito, che gli stessi avi di mio marito lasciarono alla fine del XV secolo, per vivere in un’isola che era ancora sotto il dominio della Repubblica di Genova e tracciare il proprio nuovo destino. Napoleone non poteva che nascere qui, in questa terra dalla marcata identità culturale. “Potrei riconoscerla a occhi chiusi dal soave profumo della sua macchia”, era solito dire. In realtà, in Corsica visse poco. Ma tutto in città, ancor oggi, evoca figura ed imprese di quel figlio indomito e dei Bonaparte in genere: chiese, palazzi, vie, piazze, case di campagna, musei in cui mi accingo a condurvi sono i cardini di iti-

nerari tematici che invitano quei viaggiatori oggi chiamati turisti, a ripercorrere l’affermarsi di un mito. Napoleone stesso sarebbe stato fiero di tante attenzioni e ogni anno, il 15 agosto, giorno che lo vide venire al mondo e che coincide con la Festa dell’Assunta, è come se tornasse in vita, per ritrovare un po’ della serenità della prima infanzia e le tracce di un passato che non tramonta.

Corsica Ajaccio

La Maison Bonaparte che più di ogni altra preserva lo spirito della nostra famiglia a prima vista forse non vi dirà granchè. Nulla di fastoso, di diverso dai tanti caseggiati giallo ocra che profilano le stradine strette di questo borgo, abitato fino al XVI secolo solo da Genovesi. Dal 1682 si erge su Rue Saint Charles, testimone di una dinastia che seppe affermarsi in-

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tessendo accordi e matrimoni d’interesse. Apparentemente modesta, io vi entrai nel 1764, sposa giovinetta di Carlo Maria, unico discendente maschio degli allora Buonaparte. Anch’egli intese abbellire e ampliare la residenza degli avi con una bella terrazza, leggiadre tappezzerie cremisi nella sua camera da letto, camini in marmo e un grandioso tavolo in sala da pranzo! Dettagli utili a consolidare il prestigio sociale acquisito. Nel 1766 era già uno degli edifici più rappresentativi di questo pittoresco rione. Dietro la sobria facciata che reca lo stemma di famiglia, diedi alla luce sette dei miei otto figli divenuti adulti. Il 15 agosto 1769 fu la volta di Nabulione di Buonaparte, nome - in omaggio allo zio fratello dell’arcidiacono Luciano, scomparso da poco - che il futuro Imperatore considerava «una virtù virile, poetica e ridondante». Gli annali d’allora raccontano che fui colta dalla doglie mentre assistevo alla messa dell’Assunta. Portata di fretta a casa con la portan-

tina che potete ammirare al piano terra, questo figlio impetuoso non mi diede il tempo di raggiungere la mia camera da letto e così partorii su un canapè. Una nascita “sul campo”, in linea con la semplicità di un futuro soldato e quella che sarà poi la sua camera da letto: spoglia, dai muri in calce bianca e dagli arredi essenziali. Nulla a che vedere con i raffinati arazzi a sfondo rosso del mio salone al primo piano, provenienti da Parigi, o con la sala ove si ammira l’albero genealogico dei Bonaparte fino al 1959, con autografi, armi, ritratti e altri cimeli, o ancora con quella dove è rievocato il viaggio in Corsica di Napoleone III e dell’imperatrice Eugenia (1869). Fu questo il mio regno domestico, dove svolsi, spero al meglio, il mio ruolo di madre. Non nascondo di essere stata autorevole e, a detta di molti, maniaca delle regole. Fare il bagno era una prassi giornaliera, contrariamente all’uso del tempo che lo prevedeva una volta a settimana anche fra le classi più agiate!

Carlo Maria Buonaparte, uomo, marito, padre Quando fu colto da morte improvvisa, nel 1785, a Montpellier, mio marito Carlo Maria, nobile Corso e brillante avvocato formatosi in diritto a Pisa e Roma, non aveva quarant’anni. Poco presente come padre e consorte, fu un buon politico e nel 1767, quando era già nell’aria il passaggio della Corsica dalla Repubblica di Genova alla Francia, rientrò ad Ajaccio per affiancare Pasquale Paoli, il vate della lotta per l’indipendenza dell’isola. Sposati già da tre anni, con lui condivisi il periodo della Resistenza. Dopo l’esilio di Paoli e la sconfitta degli indipendentisti, aderì alla causa francese e venne nominato membro del neocostituito Ordine Corso della Nobiltà. Primo passo di una ascesa che, nel 1778, lo portò a rappresentare la Corsica presso la corte di Luigi XVI.

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Anne Louis Girodet de Roussy-Trioson, Ritratto di Carlo Maria Buonaparte. Ajaccio, Salone Napoleonico dell’hotel de Ville

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Ajaccio, Casa Bonaparte sopra in un’incisione d’epoca, sotto uno scatto di come si presenta oggi

La scomparsa di Carlo Maria mi lasciò in una precaria situazione economica. Giuseppe, il primogenito, aveva solo diciassette anni. A sostenerci provvide così lo zio, l’arcidiacono Luciano. Nel 1783, la casa fu saccheggiata dai partigiani di Paoli e poi adibita dagli Inglesi a deposito di armi ed alloggio per le truppe. Da Marsiglia, dove ci eravamo rifugiati, tornammo in patria alla fine del 1796 e, grazie anche all’indennizzo concesso dal Direttorio ai Corsi dopo l’occupazione inglese, comprammo l’appartamento al secondo piano. Con Giuseppe affidammo i lavori di rinnovo all’architetto svizzero Samuel-Etienne Meuron. Ingentilita da decori e mobilia di grande raffinatezza, alla mia partenza per Parigi, nel 1799, lasciai la Maison alle amorevoli cure di Camille Ilari, nutrice di Napoleone che la ricorderà poi nel suo testamento. L’immobile passò nel 1805 a mio cugi-

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no Andrè che, esternamente, fece aprire la graziosa piazza Lètizia e il giardino dove, nel 1936, a cento anni della mia morte, fu posto il busto di Venzin raffigurante il re di Roma (il figlio di Napoleone). Successivamente passò di mano


in mano fino a Giuseppe e poi a sua figlia Zenaide, principessa di Canino che nel 1852, la cedette al cugino Napoleone III. Tentando al contempo il recupero dell’originario arredamento, ormai disperso, quest’ultimo diede incarico di ristrutturarla all’architetto Alexis Piccard, artefice del Palazzo di Fontainebleu, e al pittore Jérôme Magliol. Confiscata nel 1870, venne riconsegnata al principe Imperiale nel 1874 e, alla sua morte, assegnata al suo erede. Nel 1923 fu donata allo Stato che nel 1967 la adibì a Museo Nazionale della Maison Bonaparte. È uno dei monumenti storici oggi più visi-

tati della Corsica. Se volete fare conoscenza della mia famiglia, non mancate di osservare l’ovale in velluto dove sono raffigurata insieme a Carlo Maria e tutta la nostra prole. Io poi mi commuovo ancora dinanzi l’uniforme militare del Primo Impero e le maschere mortuarie di Napoleone, due in gesso ed una in bronzo. Era il 21 luglio 1771 quando Napoleone fece il suo primo, ignaro, ingresso in società. Nella cattedrale di Nostra Signora della Misericordia, insieme alla sorella Maria Anna, scomparsa ancora in fasce, ricevette il sacramento del batte-

I Milelli A 3 km circa dal centro, sulle alture che corollano di ulivi l’entroterra di Ajaccio, i Bonaparte avevano la propria residenza di campagna. I Milelli, il cui atto di acquisto è conservato a Maison Bonaparte, una tenuta agricola a pianta quadrata, con belle cantine a volta e vari ettari di terreno coltivati per lo più per le necessità domestiche. Fu lasciata ai gesuiti da Paul Emile Odone, cognato di mio marito e avo dell’Imperatore. Insieme ad altri beni, fu poi rivendicata dai Bonaparte dopo l’espulsione dei religiosi voluta da Luigi XV, e nel 1785 - lo stesso anno in cui rimasi vedova - tornò alla nostra famiglia. Costretta a grandi economie per pagare gli studi di Giuseppe e Luciano e assicurare un’educazione anche ai figli più piccoli (Girolamo aveva appena un anno), accolsi con sollievo il sostegno di Joseph Fesch, mio fratellastro e futuro cardinale, che la gestì con grande capacità da economo. Fu questo il rifugio in cui riparai, con le mie figlie Elisa e Paolina, assieme allo stesso Fesch, nel 1793, per sfuggire ai seguaci di Pasquale Paoli. Per Napoleone questo fu luogo di svago e spensieratezza. Ogni volta che tornava in patria non mancava mai di farvi visita. Al ritorno dalla campagna d’Egitto, nel 1799, vi trascorse le giornate del 2 e 3 ottobre, insieme a Murat, al maresciallo Lannes e al contrammiraglio Gantheaume. Due giorni dopo, lasciava per l’ultima volta la sua terra natale. Per testamento, fu donata dallo zio arcidiacono alla città di Ajaccio. Tra gli anni ‘70 e ‘80 del ‘900, ospitò parte della collezione di Louis Dozan oggi esposta al Museo della Corsica di Corte. Svuotata dei suoi ricordi, da allora è chiusa al pubblico. Merita comunque salire fin quassù per bearsi dei profumi della campagna circostante e delle essenze dell’arboretum.

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simo. Per rivivere un po’ di quei momenti, basta visitare l’Hôtel de Ville di Ajaccio, sobrio edificio eretto sotto il regno di Carlo X, sede del Museo Napoleonico. Qui, nel cosiddetto Salone Napoleonico, una vetrina ottocentesca in legno bianco e dorato sormontata dalla grande “N” coronata e cinta di alloro, e dal busto napoleonico di Antoine Denis Chaudet, acco-

glie l’atto battesimale del futuro imperatore. Un manoscritto logoro, redatto in italiano, dove in corsivo si legge il nome di Napoleone seguito più in basso da quello della sorella Maria Anna, del padre Carlo Buonaparte e da quelli di padrini e madrine. Con altri cimeli, sono parte del lascito alla città del mio fratellastro, il cardinale Joseph Fesch. Oltre al certificato,

I Bonaparte, protagonisti del tempo Doveroso che, a questo punto, vi presenti la mia illustre prole. Il maggiore dei miei figli, Giuseppe, nacque a Corte nel 1768. Agli studi di diritto e ai richiami del commercio, preferì affiancare Napoleone nella campagna d’Italia. L’avvento dell’Impero lo portò prima alla guida del regno di Napoli poi, nel 1808, del regno di Spagna, dove però non fu ben accetto. Rientrò così in Francia e qui rimase fino alla caduta del fratello. Dopo una parentesi negli Stati Uniti, nel 1839 tornò in Europa e a Firenze visse fino alla fine dei suoi giorni. Dopo il secondogenito Napoleone, che di sè vi ha già parlato ampiamente, nel 1775, diedi alla luce Luciano. Fratello cadetto di Napoleone, si batté con Pasquale Paoli per l’indipendenza dell’isola, e fu un acceso rivoluzionario. Fine politico, nel 1799 fu eletto presidente del Consiglio dei Cinquecento, favorendo così la presa di potere di Napoleone e di riflesso la sua nomina a ministro dell’Interno e poi ad ambasciatore a Madrid. L’intesa con Napoleone s’incrinò per via del suo matrimonio, in seconde nozze, con Alexandrine de Bleshamp. Dovette così accettare l’esilio a Roma dove papa Pio VII lo insignì del titolo di principe di Canino e solo alla vigilia dei cento giorni si riavvicinò a Napoleone. Elisa, al secolo Marianna, fu invece educata in un convitto vicino a Parigi e si riunì a noi durante gli anni passati a Marsiglia. Una volta tornata a Parigi, con disappunto di Napoleone, sposò il capitano Felice Baciocchi. Nel 1805 principessa di Lucca e Piombino e dal 1809 granduchessa di Toscana, ebbe una vita movimentata, vissuta secondo i disegni del fratello che la definiva “il migliore dei suoi Ministri”. Il destino la portò a Trieste, poi ad Aquileia, e infine a Bologna, dove è sepolta nella basilica di San Petronio. Venne poi Luigi, di cui Napoleone seguì la formazione

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la cui autenticità è ritenuta dubbia dalle malelingue, il salone è un’apoteosi di quadri, statue, medaglie, ritratti, busti, riguardanti la famiglia imperiale e provenienti anche da altre donazioni. Al Museo Fesch, nell’omonimo Palazzo che fu del mio fratellastro, si trova invece una delle maschere funebri del mio compianto figlio. Un manufatto bronzeo ispirato dal calco

in gesso di François Antommarchi, uno dei medici che ne decretò la morte in quel di Sant’Elena. Prima di diventare indiscusso stratega, Napoleone fu un bambino come tanti. Un bambino che sognava già grandi imprese, alla guida di eserciti fantastici, non senza combinare qualche guaio. Ai margini della città, nella spia-

a Parigi. Erano doppiamente imparentati: fratelli e generi avendo Luigi sposato Ortensia.Trasferitosi in Italia, si dedicò alla letteratura. Dei tre figli avuti da Ortensia, l’ultimo, Carlo Luigi Napoleone, sarà poi l’imperatore Napoleone III. Di Paolina, o meglio Maria Paola, tutti conoscono fascino e bellezza. Vedova del generale Leclerc con cui visse a Santo Domingo, rispettosa dei piani di Napoleone, sposò il principe romano Camillo Borghese e conquistò la mondanità capitolina dell’epoca, oltre che l’ammirazione dei più illustri artisti del tempo. Dopo la fuga di Napoleone dall’Elba, fu una sorvegliata speciale ed anche lei visse i suoi “cento giorni” nella residenza lucchese di Compignano, proprietà di Elisa. L’ultima figlia fu Carolina, donna dal carattere forte che spuntò il consenso di poter sposare Gioacchino Murat, aiutante di campo di Napoleone, nonostante fossero per lei in vista altri progetti. Con il consorte guidò il regno di Napoli, ove avviò un’ampia campagna archeologica a Pompei. Tensioni, dissapori, la stessa caduta di Napoleone la costrinsero a riparare in Austria. Nel 1824 le fu concesso di tornare in Italia, ma solo a Trieste. Sette anni dopo si trasferì a Firenze, ove morì. L’ultimo dei miei figli, Girolamo, entrò in Marina nel 1800, e poco dopo si sposò con Elisabeth Patterson, giovane borghese statunitense. Il matrimonio, su pressione dello stesso Napoleone, fu annullato, favorendo così le nozze con Caterina di Württemberg, figlia del re Federico I e la nomina a re di Vestfalia. Pur al seguito dell’imperatore nella campagna di Russia e poi a Waterloo, solo con l’ascesa del nipote Napoleone III tornò alla politica, nominato maresciallo di Francia e poi presidente del Senato. Con Napoleone e il fratello Giuseppe, riposa nella Chiesa di Saint-Louis des Invalides a Parigi.

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nata di Casone un tempo dei Gesuiti, amava lasciare correre la sua florida fantasia in una grotta, ora detta di Napoleone: un anfratto formato da grossi monoliti poggiati uno sull’altro tra ulivi centenari. Leggenda vuole che qui sia ritornato anche in età adulta, durante uno dei suoi rari passaggi ad Ajaccio. Per anni abbandonato a se stesso, come sottolineò nelle sue note sulla Corsica (1872) la scozzese Thomasina Campbell, il luogo è ora una delle più belle piazze di Ajaccio, Place d’Austerlitz. In omaggio alla gloriosa battaglia, una sottoscrizione pubblica finanziò la costruzione di un’imponente piramide in granito al culmine di uno scalone fiancheggiato da due aquile con le ali spiegate. A sormontare l’insieme, la copia della statua imperiale eseguita da Charles-Emile-Marie Seurre nel 1833, collocata sulla colonna di Place Vendôme a Parigi. L’inaugurazione, nel 1938, fu prestesto per quattro giorni di animati festeggiamenti, dal 14 al 17 agosto.

Liguria Sarzana

Non è un caso che il soprannome Francesco, primo Buonaparte insediatosi ad Ajaccio, fosse “le Meure de Sarzana”. A dir il vero, il primo in assoluto fu Giovanni Buonaparte, che a metà del ‘400 partì da questo piccolo centro al limite fra Liguria e Toscana, alla volta di Bastia, al seguito del Governatore Tomasino Campofregoso. Non voglio addentrarmi in discorsi certamente più adatti agli uomini di famiglia, ma Sarzana, e con essa la Lunigiana, già nel ‘200 era un polo strategico, crocevia di commerci e comunicazioni, di grande interesse per l’imperatore Federico II, determinato ad espandersi al resto della Toscana, isole comprese, e alla Sardegna. A Sarzana, mercato fra i più importanti della Penisola, affluivano commercianti ed artigiani di tutta la Toscana che qui potevano vendere liberamente le loro merci; nonchè professionisti, notai in particolare, che potevano sotto-

Eterni custodi della memoria di famiglia L’ultimo Buonaparte rimasto, si fa per dire, a San Miniato, è Iacopo, vissuto tra il 1478 e il 1541 e probabile autore del “Ragguaglio storico del Sacco di Roma del 1527”. Vi attende nella navata sinistra della cattedrale di Santa Maria Assunta dove lo scultore senese Giovanni Dupré e sua figlia Amalia, su incarico del preposto Giuseppe Conti, nel 1864 realizzarono alcuni monumenti di illustri sanminiatesi. Il suo ritratto a mezzo busto si trova sulla parte alta del cenotafio in marmo bianco ornato dal bassorilievo dell’Allegoria della Storia. I tratti del volto svelano una certa somiglianza con Napoleone e molte sono le affinità con una celebre scultura del Canova, eseguita a Parigi nel 1802, che non escludo abbia ispirato l’opera sanminiatese.

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scrivere gli atti necessari per definire un gran numero di affari. E notaio era Bonapars, probabile capostipite dei Buonaparte, toscano originario di San Miniato, che nel 1245 compariva già fra i membri del Consiglio comunale sarzanese. Dopo di lui, molti i Buonaparte investiti in alte cariche pubbliche, ecclesiastiche, e della buona società locale. Per meriti, ma anche per un’abile politica matrimoniale, via via si imparentarono con le casate più illustri di Lunigiana: primi fra tutti i Calandrini, molto vicini al pontefice Niccolò V e i marchesi Malaspina della Verrucola. In città - come meglio di me vi spiegherà il mio illustre figlio,

che fece più volte riferimento alle sue lontane ascendenze sarzanesi - permangono i segni di un sistema difensivo ben articolato di cui Porta Romana, detta anche Porta Nuova, è un esempio. Sebbene siano passati secoli, la memoria della nostra stirpe è tuttora viva ed ogni due anni la rievocazione storica del “Napoleon Festival’’ celebra il ruolo di Napoleone nella storia dell’umanità. A Sarzana, il ramo dei Buonaparte unitosi ai Malaspina poteva contare su parecchi beni e fra questi una casa - torre ancora oggi visibile nella centralissima Via Mazzini, forse parte di un più ampio edificio che arrivava fino all’odierno numero civico 36. Per quanto fortemente trasformata, al piano terreno preserva parte dell’originaria fisionomia medievale e gli antichi archi ogivali fra i quali si notano una piccola edicola votiva e due iscrizioni. Non mi è possibile, ahimè, mostrarvi gli interni in quanto è un’abitazione privata. Vi suggerisco però di passare da queste parti quando, in primavera, il pubblico può accedere eccezionalmente nell’atrio, in occasione appunto di Atri in fiore. Fra muri in sasso e mattoni a vista, potrete così immaginare di tornare agli anni in cui, a partire dal ‘300, fu questa la roccaforte dei Buonaparte.

Toscana

San Miniato

Ajaccio, Les Milelli

È a San Miniato, incantevole borgo nei pressi di Pisa, la culla della dinastia, poi articolatasi in

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Ajaccio, la grotta di Casone

due rami distinti - i Buonaparte Speziali e i Buonaparte Franchini estintisi sul finire del ‘700, rispettivamente con Giuseppe Moccio e con il canonico Filippo. Per circa due secoli, il loro quartier generale, fu l’attuale Palazzo Formichini, in via IV Novembre 45. Non stupitevi di trovare le insegne di una banca. Dal 1953 è la sede della Cassa di Risparmio di San Miniato. La sua origine risale al XVI secolo, quando Vittorio di Battista Buonaparte di San Miniato lo commissionò all’architetto Filippo di Baccio d’Agnolo, figlio del noto artista fiorentino. Passato poi

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alle famiglie Morali e Bertacchi, nel 1877 fu acquistato dal cavalier Filippo Formichini, prima di essere ceduto all’istituto bancario che al suo interno conserva una pregevole collezione d’arte. Fra le tele più significative, insieme al bozzetto preparatorio, L’ingresso di Napoleone a San Miniato, dipinto a olio del toscano Egisto Sarri (1837-1901). Visibile solo su prenotazione, documenta artisticamente l’incontro nell’allora San Miniato al Tedesco (nome dovuto alla sua origine germanica), nel giugno 1796, fra il giovane generale Napoleone Bonaparte, impegnato nella presa di Li-


Da Maria Letizia

vorno, ed il canonico Filippo. Episodio fu ripreso nella cronaca della Gazzetta Toscana, edita proprio a San Miniato. Napoleone domina la scena, su un cavallo bianco alla testa del suo esercito. Con la feluca saluta l’anziano parente procedendo in direzione del clero sullo sfondo della Torre di Federico II. Le fonti locali raccontano anche di una precedente visita. Nel 1778, quando il mio secondogenito aveva solo 9 anni, giunse in paese con papà Carlo Maria per recuperare i documenti attestanti le origini nobiliari dei Bonaparte, utili per la sua ammis-

Durante il suo esilio elbano, Napoleone amava ritirarsi talvolta in solitudine. Le lunghe escursioni a cavallo nei dintorni boschivi di Marciana l’avevano portato a scoprire il santuario della Madonna del Monte, il più famoso edificio sacro dell’isola. Affascinato dal luogo e dalla straordinaria vista, che da qui spaziava fino alla Corsica, decise di trattenervisi qualche giorno, tra fine agosto e inizio settembre 1814. L’episodio, che il mio fratellastro, il cardinale Fesch, ben vi ha illustrato, costituì una “fuga” dal quotidiano per mio figlio che, in un raro momento di intimità familiare, si riunì alla contessa polacca Maria Walewska ed al piccolo Alessandro, loro erede illegittimo. Per restare in contatto con i suoi fidi, Bonaparte fece erigere un telegrafo ottico sul cosiddetto Masso dell’Aquila. Nei pressi del santuario, era poi solito soffermarsi vicino a Zanca, sedendosi su uno scoglio piatto, in tempi più moderni detto “La Sedia di Napoleone”. La tradizione tramanda che da qui volgesse sguardi nostalgici verso la terra natìa. Paolina invece, non lontano da Procchio, prendeva il bagno laddove affiora lo scoglio che oggi porta il suo nome.

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Ajaccio, Salone Napoleonico dell’Hôtel de Ville Antoine Denis Chaudet, Busto di Napoleone I e vetrina con Atto di Battesimo dell’Imperatore

sione nel collegio militare francese di Brienne.

Isola d’Elba

Dopo la Corsica, la seconda isola degli affetti, per Napoleone fu l’Elba. Vi sbarcò nel maggio del 1814 e, benché in esilio, l’Imperatore vi trovò un’accoglienza benevola. Io, per qualche tempo, in questa circostanza delicata rimasi al suo fianco. Non si sentiva un vinto, e da vero sovrano contribuì a modernizzare l’isola, migliorando l’organizzazione stradale, sociale e istituzionale. Ma anche a dare un po’ di luce alla vita culturale e mondana elbana, con l’aiuto di Paolina, sua ospite abituale. Fu però solo un passaggio. Il 26 febbraio 1815, una della tante feste di Carnevale mascherò la sua fuga,

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forte di un migliaio di fedelissimi e di una piccola flotta, da qui prese il mare a bordo del brigantino L’Inconstant, cammuffato da nave inglese. Pronto a riconquistare trono e potere. Napoleone trascorse i suoi primi giorni di esilio all’Elba, in quel che oggi è il Municipio di Portoferraio, così come ricorda una lapide sulla facciata. All’epoca era la Biscotteria, forno del pane per le guarnigioni, per la nuova città medicea e poi per tutta l’isola. Gli alloggiamenti che mio figlio scelse come residenza ufficiale non erano infatti ancor pronti e per allestire degnamente la dimora, portò molti oggetti personali da Parigi. Di lì a poco però si trasferì nella Palazzina, o Villa, dei Mulini,


nell’omonima località nella parte alta di Portoferraio. La Villa dei Mulini costituisce oggi con villa San Martino i Musei delle Residenze Napoleoniche dell’Isola d’Elba. Una dimora panoramica, tra i Forti Stella e Falcone, particolarmente esposta ai venti e per questo in origine destinata alla costruzione di quattro mulini, distrutti poi per consentire la realizzazione di un giardino all’italiana. Eretta nei primi anni del ‘700 dal granduca Gian Gastone de’ Medici, e poi sede dell’Artiglieria e del Genio, constava di un corpo centrale, ad un solo piano che ai lati si allungava in due padiglioni simmetrici. Secondo i desideri dello stesso Napoleone, furono apportate radicali modifiche e il nucleo centrale fu elevato, così da

portare tutto ad uno stesso livello e poter disporre di un ampio salone al piano rialzato da destinare a feste e ricevimenti, particolarmente gradite da Paolina, ospite abituale della dimora. Artefice dei lavori, l’architetto livornese Paolo Bargigli. Professore all’Accademia di Belle Arti di Carrara, non nuovo al nostro entourage familiare, avendo già svolto prestigiosi incarichi a Massa e a Carrara per conto di mia figlia Elisa. Per i decori interni fu invece chiamato Vincenzo Revelli, pittore ufficiale di corte, autore anche dei soffitti della galleria e delle stanze superiori del palazzo. Un piccolo luogo delle delizie che anche io ho condiviso e che poteva vantare anche un teatro, la cui risistemazione fu affidata all’archi-

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tetto Luigi Bettarini. Motivo di grande orgoglio era poi la Biblioteca che Napoleone rifornì con volumi provenienti da Fontainebleu e successivamente con quelli donati dal cardinale Fesch. Libri di storia e di arte militare, ma anche di letteratura, geografia e legislazione, assieme ad un consistente numero di classici greci e latini. Pochi i libri italiani, tra cui uno soltanto stampato a Livorno. Come tutte le biblioteche imperiali, anche questa prevedeva due nuclei distinti: uno ad uso esclusivo di mio figlio, l’altro destinato alle letture della corte. Gran parte dei suoi libri personali, rilegati in marocchino, furono contrassegnati, dalla “N” circondata da due rami di lauro incrociati o accompagnata dallo stemma imperiale. Della raccolta fanno anche parte due esemplari appartenuti a Paolina Borghese, connotati da una “P” dorata sovrastata da corona, mentre tre ex-libris con l’iniziale “C” rivelano una probabile provenienza dalla biblioteca della sorella Carolina. La biblioteca, dopo la sua rocambolesca partenza, fu poi donata alla città di Portoferraio. Con l’Unità d’Italia, al lascito napoleonico si aggiunsero le donazioni di vari personaggi. Attualmente la Biblioteca, di proprietà comunale, si trova nella Villa dei Mulini ed è parte delle collezioni dei Musei. Fu nuovamente il Bargigli ad apportare le modifiche strutturali di Villa San Martino, scelta da Napoleone come sua residenza privata durante l’esilio sull’isola. Defilata dal contesto urbano, si trova fra

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boschi e vigne dell’omonima vallata, a 5 chilometri da Portoferraio. Tutto, secondo mio figlio, doveva essere come a Parigi (“que tout soit comme à Paris”), e così venne riplasmata in una dimora nobiliare. Su due piani, a pianta quadrata, fu ampliata ed aperta su un giardino pensile da cui si godeva - e si gode tuttora - di una vista straordinaria sulla rada di Portoferraio. Nei decori, nei dettagli, frammenti di vita pubblica e privata dell’epopea napoleonica. Dagli affreschi della Stanza del Nodo d’amore ispirati all’unione di Napoleone con Maria Luisa d’Asburgo-Lorena, opera del torinese Antonio Vincenzo Revelli, ai trompe-l’oeil con geroglifici, piramidi e un grande zodiaco della Sala Egizia. Momenti salienti delle imprese imperiali, ma anche curiosità vezzose come la vasca ottagonale a pavimento, destinata ad accogliere piante di papiro, all’uso orientale. Lungo la salita Napoleone, che dal centro storico di Portoferraio conduce alla Palazzina dei Mulini, il Museo della Misericordia, adiacente alla chiesa dell’omonima Confraternita raccoglie in tre sale parte degli oggetti donati nel 1852, dal principe Demidoff, grande estimatore delle imprese napoleoniche. Oltre alla copia del sarcofago dove l’Imperatore riposa a Les Invalides, sono da ammirare la sua maschera mortuaria in bronzo, opera del 1841 dei fratelli Susse di Parigi su modello del calco effettuato a Sant’Elena dal suo medico Antonmarchi, unitamente all’urna funeraria ed al calco della


mano donato dall’Armée di Parigi. Vi invito però a soffermarvi sulla bandiera elbana. Napoleone decise i colori del vessillo del suo nuovo stato durante il trasferimento sull’isola. Il drappo con banda rossa diagonale e tre api d’oro in campo bianco, pochi giorni dopo il suo sbarco sull’Elba sventolava già su tutti i forti e in tutti i centri isolani! Ispirata all’antico stendardo degli Appiani, governatori dell’Elba dopo la caduta della Repubblica Pisana, la bandiera elbana conferiva inviolabilità ai vascelli che la issavano, in base all’articolo IV del trattato di Fontainebleau. L’ultimo atto della sua presenza sull’isola, il mio indomito figlio lo “recitò”al Teatro dei Fortunati, poi detto dei Vigilanti Lo donò a Portofferaio affidando la trasformazione della settecentesca chiesa del Carmine all’architetto

di corte Paolo Bargigli, ed ancor oggi è sede di spettacoli, concerti e attività congressuali. Un teatro moderno all’italiana dalla tipica pianta a ferro di cavallo con quattro ordini di palchi ed una loggia imperiale al centro del secondo ordine, sormontati da un loggione. Rifinito da stucchi dorati del livornese Campolmi e decorato dal pittore Antonio Vincenzo Revelli, autore anche del sipario dipinto, fu inaugurato il 24 gennaio 1815. Dopo alterne vicende, un primo restauro tra il 1922 e il 1923, la conversione in cinema, attorno al 1980 fu oggetto di un importante recupero su progetto dell’architetto Maria Berta Betazzi. Il Ballo di Carnevale del 26 febbraio 1815 che doveva mascherare la sua fuga dall’Elba si tenne infatti proprio in questa sala. L’Imperatore la lasciò segretamente per imbarcarsi sul brigantino e riaprire il suo personale dialogo con la Storia.

La Galleria Demidoff Quando Napoleone lasciò l’isola, Villa San Martino fu temporaneamente abbandonata. A ridarle smalto fu il principe russo Anatolio Demidoff, sposo di Matilde, una delle nipoti di Napoleone, che la acquistò dagli eredi. Grande mecenate, incaricò l’architetto fiorentino Niccolò Matas di realizzare una grandiosa galleria - l’attuale Galleria Demidoff - destinata ad accogliere cimeli e opere d’arte per celebrare il mito del grande Còrso. Inserita nel contesto paesaggistico ed impreziosita da richiami neoclassici, la galleria si poneva come piedistallo della villa soprastante, con cui oggi forma un insieme unico. Inconfondibili i richiami ai simboli imperiali dei decori: l’effigie dell’aquila imperiale nel fregio che corre lungo tutta la facciata, le tre api, la “N” e l’insegna della Legion d’Onore. A ben vedere, quando aprì al pubblico nel 1861, la Galleria Demidoff fu il primo vero museo napoleonico della storia, tanto ricco che, inizialmente, molte delle sue opere d’arte andarono ad arredare la villa soprastante.

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Tra città e campagna Luciano Bonaparte

I

l vero rivoluzionario della famiglia Bonaparte

sono stato io. Lasciate che mi presenti: sono Luciano, terzogenito di Letizia e Carlo Maria Buonaparte, almeno a contare i figli diventati adulti. Sono nato ad Ajaccio il 21 maggio del 1775, l’anno in cui scoppiò la guerra d’Indipendenza americana. Anche la nostra Corsica era in lotta per guadagnarsi l’indipendenza e io mi avvicinai giovanissimo al movimento guidato da Pasquale Paoli. Ho poi partecipato alla Rivoluzione Francese e sono stato determinante nel colpo di stato del 18 Brumaio 1799, quando in qualità di presidente del Consiglio dei Cinquecento riuscii a mantenere il controllo di una situazione che era diventata partico49


larmente pericolosa per mio fratello Napoleone, contro il quale si erano già levate richieste di arresto. In quell’occasione feci prevalere il legame familiare agli interessi della Repubblica e senza quel mio intervento la storia avrebbe preso un’altra piega. Eppure la riconoscenza di Napoleone evaporò in fretta, limitandosi alla mia nomina a ministro dell’Interno e in seguito ad ambasciatore a Madrid. A dividerci fu la mia decisione di risposarmi con Alexandrine de Bleschamp dopo che ero rimasto vedovo di Christine Boyer. Napoleone aveva i suoi piani dinastici e io glieli avevo in parte compromessi. L’unione con Alexandrine mi rese padre di ben nove figli, ma mi costò anche l’esilio. Non fui invitato alla cerimonia dell’incoronazione imperiale di Napoleone e in quello stesso 1804 mi trasferii a Roma, dove papa Pio VII mi nominò principe di Canino, vendendomi un ampio latifondo nell’alto Lazio. In quelle campagne scoprii la passione per l’archeologia e promossi scavi in numerose località di origine etrusca: i reperti antichi che riportai alla luce presero in seguito la strada dei più importanti musei d’Europa. A Monaco di Baviera, per esempio, potete ammirare uno dei “miei” tesori più splendidi: la celebre coppa di Exekias con la raffigurazione di Dioniso circondato dai pirati etruschi trasformati in delfini. Io e Napoleone ci 50


siamo riconciliati soltanto alla vigilia dei cento giorni, tra il suo rientro dall’Elba e Waterloo, penultima tappa della sua epopea prima della definitiva relegazione a Sant’Elena. A questo punto, forse, vi sarà venuta la curiosità di conoscere il mio aspetto. Vi invito allora a visitare il Museo Fesch di Ajaccio, con sede nel Palazzo di nostro zio il cardinale Joseph Fesch, che può essere considerato l’archivio storico della nostra famiglia e il punto di partenza ideale per numerosi itinerari napoleonici, compreso questo dedicato alle città e alla campagna. In un ritratto realizzato da Jacques Sablet esposto mi vedete raffigurato in primo piano vestito di un’eleganza sobria, con lo sguardo un po’ assente e melanconico. In secondo piano compare invece l’amore della mia vita, mia moglie Christine Boyer, prematuramente scomparsa nel 1800 a soli 29 anni: la distanza tra noi allude infatti alla dolorosa separazione impostaci dal destino. Feci molta fatica a riprendermi da quella disgrazia e per un lungo periodo mi ritirai nella residenza di Plessis-Charmant in Piccardia, tralasciando tutte le mie occupazioni. Trovavo soltanto la forza di recarmi quotidianamente a far visita alla tomba della mia povera Christine. Dovette intervenire Napoleone per smuovermi dallo stato di apatica malinconia in cui ero caduto. 51


PIEMONTE

Albenga

La Spezia

Carrara

Portovenere

Massa Livorno

MAR LIGURE

Bagni di Lucca Lucca Arno Pisa

TOSCANA Piombino

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Isola d’Elba

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CORSICA

EMILIA ROMAGNA

Sarzana

LIGURIA Savona

Ajaccio

LAZIO

MAR TIRRENO

Roma

SARDEGNA

Dopo gli esordi burrascosi ai tempi della Rivoluzione, quando ero più estremista di Napoleone, gli eventi della vita hanno smussato molti angoli del mio carattere e quasi senza che me ne accorgessi mi sono ritrovato latifondista imborghesito, addirittura principe. Ne ho fatta di strada dalle barricate alle dolci colline laziali, dove la natura mi faceva dimenticare le asprezze di quell’epoca turbolenta e i dissidi con il mio fratello imperiale. Ma parlando di paesaggi, urbani o campestri, non posso che ricordare con orgoglio gli ambiziosi progetti che i vari componenti della mia famiglia promossero nei territori sottoposti alle rispettive autorità. In particolare si distinsero Napoleone ed Elisa che cambiarono in profondità l’aspetto di molte aree. Nelle città aprirono nuove piazze abbattendo edifici vecchi o addirittura antichi, senza curarsi troppo del malumore dei cittadini, mentre fuori dagli spazi urbani approntarono la costruzione di nuove strade, investirono nell’ammodernamento di miniere e di stazioni termali, cercando di unire

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– come si suol dire – l’utile al dilettevole. Entrambi avevano in mente la “grandeur” parigina che tentarono di esportare, con i necessari adattamenti, nei domini italiani. Non tutti i progetti furono completati secondo le direttive che li avevano ispirati, ma nei lavori furono sempre coinvolti i migliori tra architetti, ingegneri e artisti e ancora oggi molti luoghi conservano testimonianza delle loro opere.

Liguria

Tra La Spezia e Portovenere Nell’Impero Francese le strade rivestivano un ruolo fondamentale: facilitavano gli scambi commerciali e permettevano rapidi spostamenti alle persone, ma come ai tempi dell’antica Roma, la prima finalità del sistema viario era quella militare. Così la strada di collegamento tra La Spezia e Portovenere (oggi SP 530), chiamata anche Via Napoleonica, fu progettata per consentire il raggiungimento del


Torino, Archivio di Stato. Mappa catastale del comune di Finale Ligure (Savona).

I piccoli tesori di La Spezia La Biblioteca Civica di La Spezia custodisce un piccolo tesoro di carta: un corpus di circa 270 rilievi topografici realizzati dall’èquipe di Pierre-Antoine Clerc (1770-1843). Napoleone aveva piani ambiziosi per il golfo spezzino e la squadra guidata da Clerc si impegnò in una campagna topografica (tra il 1809 e il 1811) mettendo a frutto le innovazioni più recenti, come il metodo delle curve di livello, introdotto per rappresentare l’altimetria dei luoghi raffigurati. Di quell’impresa scientifica rimangono tre album rilegati, una cartella di carte sciolte e una serie di acquarelli. Questi preziosi documenti si sono conservati grazie alla lungimiranza dello scienziato spezzino Giovanni Capellini, tra i fondatori della geologia moderna, che trovò i documenti in Francia e li acquisì per farne dono alla sua città.

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futuro Arsenale Militare e della città di Napoleonia che avrebbe visto la luce sulla costa occidentale del Golfo di La Spezia. Grazie al diario del colonnello Morlaincourt, inviato da Napoleone a ispezionare il Golfo, potete conoscere lo stato dei luoghi prima che l’opera modificasse il paesaggio. Nel 1808 l’Imperatore ordinò la realizzazione della via

di collegamento, affidando il progetto a Graziano Lepére, ingegnere capo del Dipartimento degli Appennini; quattro anni dopo, alla fine del 1812, venivano già collaudati i lavori.

Sarzana

Napoleone vi ha guidato nella visita dei siti militari, tra i quali sicuramen-

Place De Gaulle Ajaccio è la patria di noi Bonaparte, anche se l’albero genealogico della nostra famiglia affonda le sue radici in Toscana. In questa città mediterranea siamo nati e ci siamo formati, ciascuno col proprio carattere, ma in fondo uniti da un legame fortissimo che neppure guerre, rivoluzioni e scelte personali hanno potuto recidere. Anche se era più giovane del primogenito Giuseppe, Napoleone è stato per noi la figura di riferimento dopo la morte di nostro padre e il suo carisma viene messo bene in risalto da un monumento molto particolare, collocato in Place De Gaulle, a poca distanza dalla Cattedrale cittadina e dallo splendido lungomare. Rappresenta Napoleone in trionfo a cavallo, nella posa di un imperatore romano vittorioso, attorniato dai noi quattro fratelli: Gerolamo, Luigi e Giuseppe. La storia del monumento si intreccia con quella della Francia: l’idea del monumento venne nel 1854 al Consiglio Generale di Ajaccio e nel 1862 fu istituito un comitato per la raccolta di fondi attraverso una sottoscrizione pubblica. A presiederlo era il principe Girolamo Napoleone e tra i primi sottoscrittori ci furono i ministri di Napoleone III. Il risultato finale fu un’opera collettiva, a più mani: su un progetto di Eugene ViolletLe-Duc, Antoine-Louis Barye realizzò la statua equestre di Napoleone, Aimé Millet quella di Giuseppe; Jean-Claude Petit quella di Luigi; Jacques-Lèonard Maillet quella di Girolamo; mentre la mia è opera di Gabriel-Jules Thomas. L’inaugurazione ufficiale avvenne nel 1865 con il monumento rivolto in direzione del mare su espressa indicazione del responsabile del progetto. Un secolo dopo, nel 1969, in occasione del bicentenario della nascita di Napoleone, venne deciso di spostarlo per rivolgerlo verso la città. Come vedete, anche i monumenti si muovono! Del resto non dovreste essere stupiti se solo pensate all’obelisco che abbellisce Place de la Concorde a Parigi, fatto arrivare da Luxor da mio nipote Napoleone III: ci vollero circa 5 anni di lavori e una spesa di oltre un milione di franchi per soddisfare quel “capriccio”. Seguendomi in questo viaggio constaterete che la mania di modificare i paesaggi cittadini ed extra-urbani ha contagiato diversi membri della famiglia Bonaparte, non soltanto Napoleone.

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te ricorderete le fortezze Firmafede e Sarzanello a Sarzana. Io invece voglio accompagnarvi a fare una passeggiata alla Porta Romana della bella cittadina posta al confine tra Liguria e Toscana. Si tratta di una delle quattro porte d’accesso alla città che facevano parte del sistema difensivo con cui Sarzana si era circondata nel XII secolo, l’unica insieme a Porta Parma a essersi conservata fino a oggi. In epoca napoleonica venne chiamata Porta Nuova dopo i lavori di ammodernamento realizzati nel 1783 da Pietro De Franchi che le diedero l’aspetto che tuttora mantiene. Come vedete è una porta monumentale a fornice unico con un rivestimento marmoreo il cui manto bianco ne rivela l’inconfondibile provenienza: la vicina Carrara. Se vi avvicinate potete osservare lo stemma di Genova e leggere l’iscrizione con la data dei lavori, mentre in un’edicola noterete una statua della Vergine Maria. All’interno della volta, invece, campeggia lo stemma di Sarzana raffigurante una luna montante su cui splende una stella a otto punte. Passeggiando per le stradine del centro storico di Sarzana finirete inevitabilmente per imbattervi nel Teatro degli Impavidi che sorse sui resti della quattrocentesca chiesa dei Domenicani e dell’annesso convento. Si occupò dei lavori l’architetto Paolo Bargigli che iniziò l’opera nel 1807 per portarla a compimento due anni dopo, come ricorda la lapide posta all’ingresso. Ne risultò un edificio in cui elementi settecenteschi come la pianta a “ferro di cavallo” si sposano perfettamente ad altri neoclassici come le eleganti decorazioni dei parapetti dei palchetti e del boccadopera. Lo impreziosisce un affresco di Giovan Battista Celle che ha

dipinto la volta centrale con una fantasia di amorini suonatori. Gli spettatori trovano posto nella platea e nei tre ordini di palchi sovrastati dal loggione, mentre il palcoscenico e il porticato occupano l’area su cui un tempo sorgeva il chiostro del convento. Proprio sotto il palco si trova ancora l’antico pozzo e nei camerini degli attori si può vedere una lunetta affrescata, residuo della precedente struttura.

Toscana Piombino

Nel XV secolo gli Appiani, principi di Piombino, commissionarono all’architetto fiorentino Andrea Guardi la costruzione della Cittadella che avrebbe accolto la corte signorile. Oltre al Palazzo Appiani comprendeva una cappella dedicata a Sant’Anna, una cisterna e tutte le strutture indispensabili alla vita dei sovrani e della corte. Il piglio risoluto di Elisa arrivò anche in quest’angolo del suo Principato, dove tra il 1805 e il 1807, venne approntata una complessa opera di risistemazione che risultò nella realizzazione del Palazzo Nuovo, nato dalla ristrutturazione delle sale di quello Vecchio e dall’unione delle varie dipendenze. Venne anche creato un ampio giardino, il tutto al prezzo dell’abbattimento di una porta e di un bastione dell’antica struttura. Un piccolo sacrificio, tutto sommato: noi Bonaparte siamo sempre stati convinti della necessità che il vecchio, quando ha fatto il suo tempo, lasci il posto al nuovo. La Strada della Principessa A questo punto è il momento di parlarvi di un’altra strada, la provinciale della Principessa che collega

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Piombino a San Vincenzo in un tracciato sinuoso tra le dune della costa e la pineta. Il precedente nome di strada “Cavalleggeri” le veniva dal fatto di essere costantemente pattugliata da soldati che avevano il compito di controllare le torri costiere, mentre il nuovo e più nobile soprannome le deriva dall’essere stata ampliata e ammodernata in tempi record per poter ricevere come si conveniva la principessa di Lucca e Piombino, nostra sorella Elisa. Sorprendentemente, a dispetto dell’importanza che ha sempre avuto per il sistema viario locale, questa strada è rimasta in terra battuta fino agli anni Cinquanta del secolo scorso.

Livorno

Villa Mimbelli a Livorno è dal 1994 sede del Museo Civico Giovanni Fattori. Naturalmente la maggior parte dei visitatori arriva qui per ammirare le opere del maestro livornese e di altri Macchiaoioli come Silvestro Lega e Telemaco Signorini, ma le raccolte comprendono anche una coppia di busti, di provenienza non nota, che ritraggono il sottoscritto e la mia indimenticata Christine. Queste opere fecero la loro apparizione nelle collezioni civiche livornesi poco meno di un secolo fa, nel 1920, e solo grazie al ritrovamento di due busti simili in alabastro, attribuiti al grande Lorenzo Bartolini, lo scultore ufficiale della nostra famiglia, sono state identificate come nostri ritratti. I due busti conservati al Museo sono forse opere di copisti, incaricati di diffondere i ritratti dei componenti della famiglia imperiale, secondo le direttive della propaganda ufficiale così abilmente orchestrata da mio fratello Napoleone.

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Massa

La tappa successiva dell’itinerario dedicato alle città e alla campagna ci porta nel centro di Massa, dove la natura si mostra sotto una forma piuttosto insolita. A dare il nome alla Piazza degli Aranci sono infatti gli alberi da frutto che la circondano su tre lati. Anche in questo caso mia sorella Elisa non si è fermata di fronte a nulla pur di vedere realizzato il suo progetto, affidato in un primo momento all’architetto Paolo Bargigli a cui subentrò poi Giovanni Lazzarini. A farne le spese è stata l’antica chiesa di San Pietro che fu abbattuta nonostante la contrarietà delle autorità cittadine: i resti sono tornati alla luce nei recenti lavori di ripavimentazione della piazza. Nel 1806 Elisa aveva ottenuto da Napoleone la reggenza del Ducato di Massa e una piazza spettacolare doveva servirle come scenografica “anticamera” al suo Palazzo Ducale. A Carrara è imprescindibile una visita all’Accademia di Belle Arti che ha sede a Palazzo Cybo Malaspina. Nel cortile coperto è ospitata la Gipsoteca, ricca di circa 250 bozzetti in gesso realizzati tra XIX e XX secolo. Osservando l’edicola romana detta “dei Fantiscritti” potrete individuare una semplice iscrizione con le firme del Canova e del Giambologna.

Tra Lucca e Castelnuovo

Ma i piani di mia sorella non si limitavano alle città del suo Principato: nel 1810, per esempio, Elisa ordinò la costruzione di una strada che doveva collegare Lucca a Castelnuovo. Il percorso della regionale (ex statale) n. 445 della Garfagnana corrisponde proprio a quello della strada voluta da Elisa. Tra il 1807 e il 1810, invece, venne realizzata la strada postale da Lucca a Bagni di Lucca, il cui


Sarzana (La Spezia), Teatro degli Impavidi Giovan Battista Celle, Fantasia di amorini suonatori, affresco

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tracciato corrisponde in quel tratto a quello dell’attuale Strada Statale 12 “dell’Abetone e del Brennero”. Anche in questo settore si usavano i più innovativi sistemi di costruzione, come la disposizione di tre strati di ghiaia di

spessore diverso, dal più grande al più piccolo verso la superficie.

Lucca

L’Orto Botanico di Lucca è un luogo ricco di storia, dove la natura

I Catasti Napoleonici della provincia di Savona Mio fratello Napoleone ha avuto numerosi detrattori e anch’io sono stato spesso critico con il suo operato, tuttavia gli va riconosciuto il merito di aver promosso una riforma che ha fatto epoca e scuola. Mi riferisco al Catasto Napoleonico con il quale l’Imperatore ha voluto chiudere con il passato, portando anche in questo settore una ventata di modernità ed efficienza. Razionalizzare e uniformare sono così diventate parole d’ordine e il nuovo catasto è stato lo strumento per censire (e di conseguenza tassare) il territorio. Come la straordinaria compagine di scienziati, artisti e tecnici aveva “mappato” l’Egitto all’epoca della sfortunata impresa nella terra dei Faraoni (17981801) con il risultato di fare un ritratto aggiornato e preciso di quel paese, così l’opera dei funzionari del Catasto disegnò i territori del Regno Italico con un’accuratezza fino ad allora mai sperimentata, anche grazie a nuove tecniche di rilevamento e all’utilizzo del sistema metrico decimale. Napoleone era giustamente fiero della sua “creatura” e a Sant’Elena lo definì “la più salda istituzione dell’Impero, vera garanzia della proprietà, salvaguardia dell’ordine sociale e sicurezza dell’indipendenza individuale”. Diventato padrone di mezza Europa si era trovato a gestire un immenso territorio estremamente frammentato e a questa situazione aveva voluto porre rimedio con l’editto del 1807 con il quale istituiva appunto il Catasto, da approntare con parametri precisi che imponevano l’esclusivo impiego di determinati colori, fogli di formato rettangolare e segni convenzionali di immediata comprensione. Un’altra caratteristica innovativa era la presenza del “sommarione” che indicava le quantità, i nomi dei proprietari, le qualità e le superfici degli appezzamenti. Per quanto riguarda il territorio savonese i lavori di mappatura si protrassero dal 1808 al 1815 sotto la direzione del prefetto del Dipartimento di Montenotte Gilbert Chabrol de Volcic (1773-1843), la cui nomina era stata imposta direttamente da Napoleone. Il capoluogo Savona visse sotto la sua amministrazione un periodo di prosperità e la città lo ricorda ancora grazie alla piazza del centro storico che gli è stata dedicata. L’Archivio di Stato di Savona conserva numerosi fogli di quell’impresa titanica.

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intreccia i suoi cicli vitali a quelli delle generazioni degli uomini. La sua istituzione venne promossa nel 1813 dalla Facoltà Medica e dal Comitato di Incoraggiamento di Lucca con la finalità di conservare le specie vegetali tipiche della Lucchesia, ma fu Elisa ad approvarne la fondazione l’anno seguente, poco prima di dover abbandonare la città sull’onda degli effetti della prima abdicazione di Napoleone. Il progetto venne accantonato per essere poi ripreso e portato a compimento sotto il governo di Maria Luisa di Borbone. All’interno dell’Orto c’è ancora un testimone di quell’epoca: un cedro del Libano alto 22 metri che misura oltre 6 metri di circonferenza, con una chioma che si estende per circa 500 metri quadri di superficie. Lo piantò nel 1822 il primo direttore, Paolo Volpi. L’Orto Botanico è diviso in vari settori, dall’arboreto in cui sono piantati soprattutto alberi e arbusti esotici al laghetto in cui vivono anche specie di fauna locale, passando per la montagnola che dà spazio alle piante delle montagne lucchesi e pisane. Il

Palazzo Ducale e l’antistante piazza costituiscono il cuore di Lucca, almeno da sette secoli, da quando cioè nel 1316 Castruccio Castracani, signore della città, impose una modifica radicale ai luoghi del potere. In questa area fece costruire la Fortezza Augusta e il Palazzo che da allora divenne fulcro della Repubblica e della classe mercantile che la governava. Quando Elisa arrivò in città nel 1805 mise subito mano a un progetto di profonda trasformazione, finalizzata alla realizzazione di una piazza che facesse risaltare il Palazzo, le cui sale dovevano essere decorate secondo i dettami della nuova moda, lo “stile Impero”. La rivoluzione urbanistica destò molti malumori tra la popolazione e anche tra gli uomini di cultura, ma i lavori procedettero a ritmo vorticoso tra abbattimenti di edifici, livellamenti del terreno e piantumazione di grandi alberi. Il risultato fu un collage di edifici più che un insieme architettonico armonioso come da progetto. Anche il monumento celebrativo di Napoleone che avrebbe dovuto abbellire la piazza (piazza Napoleone) ebbe

Massa, Piazza Aranci, Palazzo Ducale

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Lucca Via Elisa, a fianco giardino Froussard

una genesi tutt’altro che lineare: anche se Elisa propendeva per una soluzione più scenografica con tanto di fontana, alla fine la spuntò il progetto dello scultore Leopoldo Vannelli che aveva presentato un preventivo di spese particolarmente contenuto. Ma Elisa non fece in tempo a vedere ultimato il monumento perchè dovette lasciare Lucca nel marzo del 1814 e la statua “perse” la testa di Napoleone che venne sostituita con quella dalle fattezze di Carlo III di BorboneParma e venne spostata sui baluardi delle mura, prima di finire nel Museo Nazionale di Villa Guinigi dove oggi è conservata. Nel 1817 Maria Luisa di Borbone avrebbe preso il posto di Elisa sul trono di Lucca in base alla nuova mappa geopolitica disegnata al Congresso di Vienna e la sua ef-

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figie, scolpita da Lorenzo Bartolini, andò a occupare il centro della piazza nel 1843. Grazie a un attento lavoro di risistemazione urbana la piazza, che era divenuta col tempo un immenso parcheggio per le automobili, è tornata a esprimere quel perfetto equilibrio tra magnificenza e sobrietà a cui aveva pensato Elisa quando l’aveva ideata. Mia sorella Elisa ordinò numerosi interventi, tesi a modificare l’aspetto di Lucca secondo i suoi gusti personali. Uno dei più importanti fu l’apertura di una nuova porta, decisione che univa all’aspetto pratico di migliorare l’accessibilità al nucleo cittadino una profonda valenza simbolica: la Principessa voleva che Lucca si aprisse verso est, ovvero verso Firenze, la rivale di sempre. Il messaggio era che la Toscana, di cui


era stata nominata granduchessa il 3 marzo 1808, dovesse da allora considerarsi come territorio pacificato e unito sotto il suo governo. Il progetto molto ambizioso prevedeva che la porta conducesse alla magnifica piazza intitolata a Napoleone tramite una strada ampia e porticata. Porta Elisa era dunque pensata come arco di trionfo sotto il quale si sarebbe passati dopo aver percorso un ampio viale alberato, tratto finale (per chi arrivava) della strada che avrebbe unito Lucca a Firenze. Ma anche in questo caso i piani “faraonici” dovettero essere rivisti al ribasso e la porta venne eretta nel 1811 utilizzando anche marmi provenienti dalla demolizione della chiesa della Madonna. Il risultato scontentò tutti, tanto da generare una copiosa serie di proposte

migliorative, ma solo nel 1937 saranno aggiunti i due fornici laterali. Nel 1812 cominciarono i lavori della Via Elisa, affidati all’architetto Giuseppe Marchelli, fresco di un soggiorno a Parigi dove aveva potuto perfezionarsi osservando i recenti cambiamenti che avevano interessato la capitale dell’Impero.

Bagni di Lucca

Molti luoghi della Toscana sono legati al nome di Elisa: non soltanto le città che ha voluto abbellire e ammodernare, ma anche siti immersi nella natura come i Bagni di Lucca. Le sorgenti termali erano già apprezzate dagli antichi Romani, ma fu la contessa Matilde di Canossa nell’XI secolo ad avviare quello che sarebbe stato il primo periodo di splendore del

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Lucca, stabilimento termale Bernabò

complesso. Ci vollero però il fascino e l’abilità di mia sorella a innalzare i Bagni alla fama internazionale. Il periodo napoleonico fu un concentrato di grandi e piccole rivoluzioni, anche nella vita quotidiana. Fu proprio allora, per esempio, che venne adottata la vasca individuale al posto di quelle comuni, retaggio di una lunga tradizione che risaliva ai Romani. Il piano di ammodernamento riguardò diversi bagni, come il Bagno Bernabò, fondato nel 1593, che venne ingentilito da un nuovo prospetto con loggiato aperto, mentre i due corpi laterali consentivano un accesso differenziato per classe sociale: la Rivoluzione Francese aveva abbattuto molte barriere, ma evidentemente non questa.

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Particolare attenzione fu riservata ai Bagni Caldi, le terme più antiche del sito, destinate a diventare il fiore all’occhiello di un “pacchetto all-inclusive” che comprendeva trattamenti in un centro di cura all’avanguardia, ma anche momenti di svago e divertimento da trascorrere nella sala da ballo e nel casinò appena costruiti. Una delle due grotte a vapore naturale deve il suo nome alla principessa Borghese, l’altra nostra sorella Paolina, più volte ospite della struttura.

Isola d’Elba

Il nostro viaggio approda ora all’Isola d’Elba e a quella Villa San Martino che Napoleone elesse a sua residenza privata durante i dieci mesi


di esilio, dal 4 maggio del 1814 al 26 febbraio dell’anno successivo. L’architetto Paolo Bargigli, che aveva già lavorato per Elisa (ricordate Piazza degli Aranci a Massa e il Teatro degli Impavidi a Sarzana?), ricevette l’incarico di trasformare una villa circondata da boschi e vigneti in una residenza privata degna di accogliere un imperatore, anche se ormai privo del suo impero. Lo standard qualitativo doveva essere quello di Parigi e per adeguarvisi l’edifico fu ingrandito e il prospetto fu aperto su un giardino pensile: da qui l’illustre esiliato poteva ammirare una spettacolare vista sulla rada di Portoferraio e voi visitatori moderni condividete oggi quel privilegio. Le decorazioni pittoriche sono opera dell’artista torinese Antonio Vincenzo Revelli che dedicò gli affreschi della Stanza del Nodo d’amore all’unione di Napoleone con Maria Luisa d’Asburgo, mentre la Sala Egizia presenta una vasca ottagonale da cui spuntavano piante di papiro, un chiaro rimando alla campagna napoleonica in Egitto, al pari dei motivi a geroglifici e alle piramidi che ricoprono le pareti. Dopo la rocambolesca partenza di Napoleone dall’Elba, Villa San Martino rimase abbandonata per qualche tempo fino all’acquisto da parte del principe russo Anatolio Demidoff, che aveva sposato nostra nipote Matilda, figlia di nostro fratello Gerolamo. A lui si deve la creazione di una galleria – che oggi porta il suo nome - , in cui vennero esposti cimeli e opere d’arte a ricordo e celebrazione del mito napoleonico. Insieme alla Palazzina dei Mulini Villa San Martino è sede del Museo Nazionale delle Residenze Napoleoniche dell’Isola d’Elba.

Maremma

Ancora in epoca napoleonica la Maremma era una terra selvaggia, flagellata dalla malaria che ogni anno riscuoteva dagli abitanti il consueto e sempre pesante tributo di vite umane. Etruschi e Romani avevano valorizzato i siti della costa e i centri termali come Saturnia, mentre sotto il governo di Siena si preferì investire nello sviluppo di nuovi centri nell’entroterra per sfruttarne le miniere. In seguito il pendolo della storia spostò di nuovo l’attenzione verso la costa e Fiorentini e Spagnoli prestarono attenzione soprattutto alla difesa della costa, provvedendo alla fortificazione di siti come Talamone, Orbetello e Porto Ercole. Leopoldo II d’AsburgoLorena (1747-1792), granduca di Toscana con il nome di Pietro Leopoldo, diede avvio all’opera di bonifica delle paludi per guarire quella che chiamava la “figlia inferma”, la sua Maremma. Ma l’operazione fu particolarmente lunga e laboriosa, tanto che potè dirsi conclusa soltanto dopo la caduta del regime fascista. Oltre a migliorare la qualità di vita dei maremmani, la bonifica consentì l’impianto di nuove colture e la costruzione di nuove infrastrutture, volano per un’economia che cominciò a crescere in fretta, soprattutto da quando il turismo ha scoperto le perle del litorale, da Punta Ala all’Argentario. Nonostante le profonde trasformazioni subite dal territorio, i caratteri tipici della Maremma non sono andati perduti grazie all’istituzione di aree naturali protette, come il Parco Interprovinciale di Montioni con gli antichi insediamenti legati all’estrazione mineraria. Per natura fieri e gelosi della propria indipendenza

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Lucca, Palazzo Ducale

(come noi Corsi) i maremmani non accolsero con favore i nuovi regnanti e i malumori sfociarono in aperte rivolte tra il 1800 e il 1801 a Prata di Massa Marittima e in frequenti imbo-

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scate contro le truppe francesi. Soltanto l’accorta opera di ricomposizione promossa da Gioacchino Murat, all’epoca comandante francese in Toscana, portò alla pacificazione grazie


a un’amnistia che graziava i responsabili dei disordini. Forse è bene fare un veloce ripasso di storia per ricapitolare i vari passaggi di potere, a cominciare da quando, con il trattato di Lunèville del 1801, l’Austria cedette alla Francia il Granducato di Toscana che venne subito soppresso per dare vita al Regno d’Etruria. Come ho già ricordato, nel 1805 Napoleone istituiva il Principato di Lucca e Piombino che assegnava a nostra sorella Elisa. Due anni dopo, nel dicembre del 1807, anche il Regno d’Etruria veniva archiviato con l’annessione diretta all’Impero Francese e la nomina di Elisa a granduchessa di Toscana. In quel periodo, fino alla caduta di Napoleone, la Maremma rientrava nel dipartimento dell’Ombrone che aveva per capoluogo Siena. Ma torniamo a Montioni: di quel borgo che un tempo era denominato Comune di Elisa, mentre oggi si chiama Montioni Nuovo, restano alcune testimonianze dirette come alcuni edifici adibiti ad abitazioni, il forno per l’allume, il bagno termale, una cisterna e una stele celebrativa. In particolare un edificio è stato restaurato di recente per mostrare ai visitatori come viveva la comunità del villaggio minerario, composta da operai delle miniere, tagliaboschi, carbonai e vetturini. Si conserva anche il Palazzo del Direttore: il primo a ricoprire questo incarico fu il francese naturalizzato toscano Louis Charles Marie Porte (1799-1843) che riuscì a entrare nelle grazie di Elisa e di suo marito Felice Baciocchi. Mia sorella si era messa in testa di puntare sulle allumiere e sul patrimonio boschivo di Montioni per sviluppare l’economia del Principato. In quell’epoca la comunità mineraria arrivò a con-

tare oltre 400 addetti impegnati nei lavori nelle cave, nelle fornaci e nelle caldaie o come vetturini e tagliatori. Provenivano dalle montagne toscane, lucchesi e modenesi ed erano in prevalenza stagionali. Se foste passati da queste parti allora, vi sareste sicuramente sorpresi nel vedere all’opera anche numerosi dromedari. Fu proprio Porte a introdurre questi animali esotici per il trasporto dell’allume dalle miniere al porto di Follonica. Da Grosseto verso la maremma laziale La città di Grosseto può essere presa come punto di partenza per un itinerario molto bello e istruttivo che unisce tesori d’arte e bellezze naturali. Per conoscere la storia del territorio la prima tappa non può che essere l’Archivio di Stato in Piazza Socci, dove sono conservati importanti documenti del periodo della dominazione francese. Il vicino Museo Archeologico e dell’arte della Maremma custodisce invece un calice e una patena, doni secondo la tradizione di Napoleone al vescovo della città monsignor Fabrizio Selvi. Il nostro itinerario prosegue verso il mare e raggiunge prima Marina di Grosseto e poi attraversa Castiglione della Pescaia per entrare nel Golfo di Follonica. In epoca napoleonica Castiglione confinava con il Principato di Piombino e rivestiva un importante ruolo nel trasporto marittimo di ferro e allume da e per l’Isola d’Elba, la Corsica e la Francia. A Follonica vi invito a visitare il Museo del ferro e della ghisa ricavato all’interno dello stabilimento, mentre la vasca da bagno di Elisa è esposta nel giardino di Villa Granducale, oggi sede del Corpo Forestale.

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Collezionista d’arte Cardinale Joseph Fesch

N

el più maestoso ritratto di famiglia

che sia mai stato dipinto, ovvero l’Incoronazione di Napoleone, compaio anch’io: mi trovate in mezzo al gruppo di osservatori raffigurati nell’angolo in basso a destra, alle spalle del papa. A onor del vero la gigantesca opera di Jacques-Louis David esposta al Louvre rappresenta l’incoronazione di sua moglie Giuseppina, ma la sostanza non cambia: il quadro immortala un avvenimento senza precedenti, l’apoteosi di un uomo che si è fatto da sè fino ad arrivare a 35 anni a porsi da solo sul capo la corona di imperatore dei Francesi. Ma il particolare più emblematico è il ruolo di secondo 67


piano in cui viene relegato Pio VII. Fui io a convincere Sua Santità a venire a Parigi per assistere a quella fastosa cerimonia che aveva più del rito pagano che della celebrazione cattolica. Ma è ora che mi presenti: il mio nome è Joseph Fesch e sono nato ad Ajaccio nel 1763. Dunque solo sei anni mi separavano da mio nipote Napoleone, secondogenito della mia sorellastra Letizia Ramolino, anche se è facile cucirmi addosso il ruolo del “vecchio zio prete”. Mio padre era un capitano svizzero al servizio della Repubblica di Genova e aveva sposato la vedova di Giovanni Geronimo Ramolino, già madre di Letizia. Venni consacrato prete prima dello scoppio della Rivoluzione Francese che anche per me segnò una cesura molto netta, spingendomi ad aderire alla Costituzione Civile del Clero e poi a rinunciare all’abito talare per accodarmi al seguito di Napoleone nella prima campagna d’Italia, in qualità di Commissario dell’esercito francese. Fu in Italia che scoprii il meraviglioso mondo dell’arte rimanendone innamorato per sempre! Ma la parabola rivoluzionaria era già entrata nella sua fase calante e nel 1801 Napoleone e papa Pio VII firmarono il Concordato con cui il Cattolicesimo veniva riconosciuto come la reli68


gione della maggioranza dei Francesi, pur non essendo religione di Stato, in cambio del riconoscimento della Repubblica come legittima forma di governo da parte della Santa Sede. Per me venne il momento di rientrare in seno alla Chiesa e la mia carriera ebbe una rapida accelerazione: divenni arcivescovo di Lione e poi cardinale di San Lorenzo in Lucina a Roma, dove in pratica esercitai il ruolo di ambasciatore francese. Ottenni anche la carica di gran cappellano dell’Impero di Francia, ma a questo punto avvenne una nuova rottura. Questa volta però non seguii Napoleone, schierandomi invece apertamente con il pontefice. La pagai perdendo tutti i benefici che avevo accumulato: venni mandato in esilio a Roma dove nel 1814 mi sistemai a Palazzo Falconieri. Poco tempo dopo Napoleone si sarebbe dovuto arrendere definitivamente, mentre io continuai a condurre una vita dedita ormai soltanto all’arte e alla beneficenza. Non dimenticai mai la mia Ajaccio per la quale mi impegnai in numerose opere di carità e che volli arricchire di un moderno centro di studi, quel Palazzo Fesch che dopo la mia morte, avvenuta nel 1839, avrebbe accolto la mia ricchissima collezione d’arte. 69


PIEMONTE

EMILIA ROMAGNA

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Savona Albenga

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CORSICA

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L’itinerario in cui voglio accompagnarvi prende le mosse da Palazzo Fesch, dove ancora oggi sono esposte numerose opere che mi ritraggono. Non sono soltanto delle “fotografie” dipinte per immortalare lo status ecclesiastico che ho raggiunto, ma anche delle testimonianze dirette della mia grande passione per l’arte. Nel ritratto realizzato da AntoineClaude Fleury, mi vedete seduto alla mia scrivania mentre redigo il Concordato. Indosso la veste cardinalizia e porto la croce pettorale. In quello realizzato da Jérôme Maglioli otto anni dopo la mia morte, invece, sono in piedi e indosso l’abito talare. Se guardate sotto il tavolo, vi trovate numerosi dipinti, “spia” del mio amore per l’arte. C’è poi un ritratto opera di Jules Pasqualini, in cui compaio seduto su una poltrona dai bordi di legno dorato mentre tengo in mano una lettera. In questo caso guardo direttamente negli occhi il pittore e alla decorazione della Legione d’Onore si

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sovrappone la croce, a richiamare – neppure troppo velatamente – la preminenza della seconda sulla prima: io ero uomo di Chiesa prima che zio dell’Imperatore! Ma i miei ritratti non sono solo dipinti sulla tela: il Museo conserva infatti un busto in marmo del grande Antonio Canova, commissionato nel 1807 ma realizzato l’anno seguente. Cambia la tecnica ma non la mia espressione che rimane calma e composta, anche se lo sguardo non trattiene un lampo d’arguzia. Nel cortile del Palazzo, poi, trova posto una statua commemorativa, opera di Vital-Gabriel Dubray. Lasciate che vi racconti in breve la storia di questo monumento: commissionato dalla Municipalità di Ajaccio che aveva ottenuto la preventiva autorizzazione imperiale, venne eretto nel 1856 su progetto di Jérôme Maglioli. Il Consiglio Municipale aveva votato lo stanziamento di 40 mila franchi per la sua realizzazione, ma la somma non era nelle disponibi-


lità della città e quindi si dovette richiedere un prestito. L’artista non fu libero di scegliere da sé i temi dei bassorilievi, ma dovette assecondare le richieste del Consiglio che prescrisse queste scene: la mia consacrazione ad arcivescovo di Lione, la fondazione di scuole cristiane e la mia figura di protettore delle Belle Arti. Ma all’inaugurazione avvenuta il 15 agosto del 1856 il Consiglio Municipale rimase deluso dall’opera perchè riteneva che i miei ritratti non fossero fedeli. L’artista però non si scompose e quando venne invitato a giustificarsi spiegò che si era servito della collaborazione del pittore Jules Pasqualini che mi aveva conosciuto di persona e che anzi aveva goduto della mia protezione.

Corsica Ajaccio

A Palazzo Fesch si intrecciano i ricordi della mia storia personale e quella dei due Napoleoni, il primo e il terzo (Napoleone II, lo sfortunato figlio del Piccolo Caporale e di Maria Luisa d’Asburgo fu imperatore dei Francesi solo virtualmente e per pochi giorni in seguito alle due abdicazioni di suo padre). In particolare la Cappella Imperiale, ricavata nell’ala destra del mio Palazzo, riporta ai fasti di Napoleone III che la volle per rispettare le mie disposizioni testamentarie, disattese invece da mio nipote Giuseppe che era stato l’esecutore testamentario. L’opera venne realizzata dall’architetto Alexis Paccard tra il 1857 e il 1859 con una struttura a croce

latina, tre navate e una cupola che si eleva all’incrocio dei bracci. Quello stesso Jèrôme Maglioli che abbiamo già incontrato fu l’autore delle decorazioni monocrome che ricoprono l’interno della Cappella. Fate correre gli occhi sulle vetrate e lì incontreranno i simboli imperiali uniti ai miei attributi ecclesiastici e alla F di Fesch, mentre un’iscrizione in latino posta sul frontone della facciata mi commemora insieme ai genitori di Napoleone e a Napoleone III. La cripta, dalla forma ottagonale con un rivestimento in marmo bianco, ospita i miei resti mortali e quelli di altri componenti della famiglia Bonaparte, da Letizia e Carlo Maria, fino al principe Louis-Napolèon, morto nel 1997. Un crocifisso copto donato dallo stesso Napoleone ricorda ancora la sua campagna in Egitto e in Siria. Durante quella spedizione in Oriente valutò l’ipotesi di abbracciare la fede musulmana per compiacere gli Arabi e addirittura di fondare una nuova religione, ma poi abbandonò entrambi i progetti. Da uomo di chiesa non posso che raccomandarvi una visita alla Cattedrale di Santa Maria Assunta (Nôtre-Dame de l’Assomption): per la comunità còrsa è il cuore della vita religiosa e proprio qui, il 21 luglio del 1771, ricevette il battesimo Napoleone insieme a Maria Anna, la terza delle sorelle a cui i genitori imposero quel nome, nessuna delle quali purtroppo superò il primo anno di vita. Il registro della Cattedrale conserva ancora l’atto del battesi-

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mo con l’indicazione del padrino e della madrina, rispettivamente Lorenzo Giuberga e Geltruda Bonaparte, amico e sorella maggiore del capofamiglia Carlo Maria. Vicino all’entrata, una targa riporta le ultime volontà di Napoleone, esiliato a Sant’Elena. Qualora gli fosse stato negato che le sue spoglie riposassero a Parigi, avrebbe voluto essere seppellito “vicino ai miei antenati nella Cattedrale di Ajaccio, in Corsica”. Nell’area di un precedente edificio di culto venne eretta l’attuale Cattedrale i cui lavori iniziarono nel 1554, mentre la consacrazione ebbe luogo solo nel 1593. Guardando sopra il portale potrete osservare lo stemma nobiliare, un castello e un’aquila ad ali spiegate, di monsignor Giulio Giustiniani a cui si deve l’avvio dei lavori. La Cattedrale presenta una pianta a tre navate con transetto poco sviluppato e ampio coro, mentre lungo le navate laterali si aprono tre cappelle per parte. A Nostra Signora della Misericordia è dedicata la più importante, in cui è esposta una statua della Madon-

na, perfetta riproduzione di un’effigie venerata a Savona e chiamata Madonnuccia dagli abitanti di Ajaccio. Tra le opere d’arte di cui è ricca la chiesa mi soffermo almeno sulle pitture murali attribuite a Domenico del Tintoretto e su un piccolo quadro di Eugène Delacroix raffigurante la Vergine del Sacro Cuore (datato 1822). Permettetemi di intrattenervi ancora un poco nella mia amata città, giusto il tempo di guidarvi nel Salone Napoleonico dell’Hôtel de Ville dove sono custoditi un busto di Napoleone, opera di Antoine Denis Chaudet, e una vetrina ottocentesca in legno bianco e dorato contenente l’Atto di Battesimo dell’Imperatore. L’inconfondibile iniziale di Napoleone, coronata e cinta di alloro sta a guardia di un manoscritto segnato dal tempo e ricoperto da una fitta scrittura corsiva. Avvicinandosi è possibile leggere sulla pagina di sinistra il nome di Napoleone e poco più sotto quello della sua sfortunata sorellina Maria Anna. Gli studiosi, in realtà, dibattono sull’effetti-

Il Leonardo del Cardinale Palazzo Falconieri sulla via Giulia a Roma, residenza del cardinale Fesch, divenne presto insufficiente per ospitare la sua immensa collezione d’arte. Lo zio di Napoleone dovette così affittare un secondo Palazzo, il Ricci-Paracciani, per collocarvi i dipinti che comprava sul mercato antiquario. Non aveva remore a girare lui stesso per le botteghe, dove il suo occhio d’esperto sapeva distinguere le opere di valore dalle croste. Il suo colpo più clamoroso fu l’acquisto in due parti del “San Girolamo” di Leonardo (datato attorno al 1480) oggi conservato ai Musei Vaticani. Un giorno individuò una mezza tavola con la raffigurazione di un leone e parte del corpo di un anacoreta. Solo più tardi scoprì da un altro antiquario il resto della tavola, ovvero la testa del Santo.

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Ajaccio la statua dedicata al cardinale Fesch e la Cappella Imperiale

va autenticità del documento che proviene direttamente dal mio lascito: insieme ad altri oggetti e mobili lo conservavo nel mio palazzo romano.

Sardegna Carloforte

Nell’epoca turbolenta in cui siamo vissuti io e i componenti del “clan” Bonaparte le chiese hanno rappresentato anche un rifugio e un luogo dove esprimere con preghiere e con opere la riconoscenza per i pericoli scampati. Molti uomini di fede hanno offerto chiari esempi di carità e di dedizione alla propria comunità. È il caso per esempio del giovane sacerdote Nicolò Segni che per cinque anni, dal 1798 al 1803, diede conforto ai suoi concittadini di Carloforte rapiti da pirati tunisini durante un’incursione e

deportati in Nord Africa. Il prete rinfocolò la loro fede nella Vergine Maria, anche sotto forma di devozione per una scultura lignea rinvenuta su una spiaggia vicino a Tunisi, venerata come un’effigie della Madre di Dio (anche se probabilmente si trattava di una polena di nave). Tornati finalmente sulla piccola isola di San Pietro, don Segni fece erigere un oratorio per custodire quella immagine che tanto era stata loro di consolazione e motivo di speranza. L’Oratorio della Madonna dello Schiavo è chiamato nel dialetto locale di impronta genovese “Gexetta d’u Prevìn”, ovvero la “chiesetta del pretino”. Nella chiesetta sono conservate anche altre testimonianze di quella drammatica deportazione: nella controfacciata riposano i resti di uno schiavo ignoto traslati da Tunisi nel 1988, mentre una

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targa apposta nel medesimo anno commemora i 117 isolani morti sul suolo africano. Mio nipote Napoleone diede il suo contributo alla liberazione degli schiavi, sollecitando l’intervento del console francese presso il Bey tunisino, ma solo dietro il pagamento di un ingente riscatto da parte del re Carlo Emanuele IV di Savoia si ottenne il sospirato lieto fine. Nella stessa cittadina di Carloforte, centro principale dell’Isola di San Pietro, potete visitare anche la chiesa dei Novelli Innocenti. Lasciate che ve ne racconti la storia che riporta indietro al Medioevo, quando, agli inizi del XIII secolo, un gruppo di Crociati ancora fanciulli avrebbe lasciato Marsiglia per andare in Terra Santa. Il convoglio era composto da sette navi, due delle quali naufragarono davanti all’isola di San Pietro. Papa Gregorio IX chiese che in loro memoria venisse costruita una piccola chiesa. Sorse così la chiesetta dei Novelli Innocenti sulle cui rovine secoli dopo intervenne con ogni probabilità l’architetto tardobarocco Augusto della Vallea, già impegnato nel 1738 ad apportare migliorie all’assetto urbano di Carloforte. Lo stile piemontese è messo in evidenza dalla semplicità armoniosa delle linee architettoniche con i pinnacoli della facciata che richiamano le realizzazioni di Filippo Juvarra, l’architetto dei Savoia. All’interno della chiesetta riposa il combattivo ammiraglio Vittorio Porcile che sconfisse la flotta franco-còrsa alla quale partecipò Napoleone. Come vi ha

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già raccontato mio nipote nell’itinerario alla scoperta dei siti militari, lui era partito dalla Corsica alla conquista della Sardegna, ma nelle acque davanti a La Maddalena tra il 24 e il 25 febbraio del 1793 si era scontrato con l’inaspettata reazione dei Sabaudi. La famiglia dell’Ammiraglio aveva poi provveduto al restauro della chiesetta che era stata riaperta al culto alla fine del 1796. In seguito l’edificio rimase inaccessibile per un lungo periodo, finchè non venne nuovamente riaperto nel 1928. In epoca più recente, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, è stato oggetto di un restauro conservativo.

Toscana Massa

Proseguiamo il nostro itinerario sui luoghi di fede approdando in Continente, con una tappa alla Cattedrale dei Santi Francesco e Pietro a Massa. L’edificio sorse come chiesa conventuale francescana e la sua genesi si collega al papa umanista Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini. Fu lui a concedere nel 1460 alla marchesa Taddea Pico della Mirandola, consorte di Jacopo Malaspina marchese di Massa, la facoltà di erigere un convento per i Frati Minori Osservanti. Poco meno di due secoli dopo, nel 1629, l’ingegnere Gian Francesco Bergamini di Carrara operò una profonda trasformazione sulla struttura dell’edificio che venne quasi completamente ricostruito. Mia nipote, la volitiva principessa Elisa, nel 1807 ordinò l’abbattimento


Carloforte, chiesetta dei Novelli Innocenti

dell’antica chiesa di San Pietro e come effetto di quella decisione ne conseguì che la vicina chiesa di San Francesco e l’annesso convento dovettero accogliere il capitolo di San Pietro e assumere la doppia titolazione, diventando al contempo “chiesa abbaziale”. Pochi anni dopo, nel 1821, quando fu istituita la Diocesi di Massa, la chiesa dei Santi Francesco e Pietro fu eretta a Cattedrale.

Pisa

La tappa successiva del nostro viaggio ci porta in un luogo il cui nome può risuonare lugubre, ma che in realtà rappresenta uno dei monumenti più insigni e

ricchi di storia di Pisa, il Camposanto. Venne fondato nel lontano 1277 per ospitare i sarcofagi di epoca romana, fino ad allora disseminati attorno alla Cattedrale e riutilizzati per accogliere le spoglie dei Pisani più illustri. Nei due secoli successivi le sue pareti vennero affrescate con importanti cicli pittorici (impossibile non citare almeno il Trionfo della Morte realizzato da Buonamico Buffalmacco tra il 1336 e il 1341). Queste caratteristiche fecero sì che il Camposanto, anche in conseguenza delle soppressioni napoleoniche, divenisse al principio dell’Ottocento uno dei primi musei pubblici d’Europa, ricco di

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straordinarie opere d’arte provenienti dalle chiese e dai monasteri soppressi.

Isola d’Elba

Il nome dell’Isola d’Elba è indissolubilmente legato a quello di mio nipote Napoleone che qui trascorse dieci mesi in esilio. I turisti visitano le sue due residenze, ora Musei, ma non dovrebbero tralasciare altri luoghi, come il Santuario della Madonna del Monte a Marciana, il più antico e venerato dell’isola. Vi si arriva percorrendo un suggestivo sentiero segnato dalle 14 cappelle della Via Crucis e al suo interno è custodita un’immagine della Madonna Assunta, dipinta su un blocco di granito murato nella parete, risalente al XIII-XIV secolo, mentre dietro un altare in marmo del 1661 sono stati rinvenuti affreschi attribuiti a Giovanni Antonio Bazzi detto Il Sodoma. La tradizione vuole che Napoleone abbia scoperto il Santuario in una delle sue escursioni a cavallo, rimanendo colpito dalla bellezza del sito e dalla straordinaria vista che spazia fino alla Corsica. L’Imperatore vi si trattenne per un breve periodo, dal 23 agosto al 14 settembre 1814, proprio mentre la sua amante, la contessa Maria Walewska, sbarcava all’Elba in compagnia del piccolo Alessandro, avuto da lui. Per qualche giorno i tre si unirono a formare una parvenza di famiglia e l’Imperatore potè allontanare la tristezza per l’abbandono dell’Imperatrice e soprattutto per la lontananza di suo figlio, il piccolo Napoleone II.

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Grosseto

Per raggiungere i suoi scopi mio nipote Napoleone era pronto a tutto: diceva anzi di essere disposto senza problemi a baciare il fondoschiena di chiunque in quel momento gli servisse. Non ebbe scrupoli a far arrestare il papa, ma era perfettamente consapevole del ruolo rivestito dagli uomini di fede e sapeva come ingraziarseli quando ne aveva bisogno. Non lesinava infatti doni “diplomatici” e alla sua personale generosità può forse essere ricondotto un calice in argento oggi conservato nel Museo Archeologico e d’Arte della Maremma di Grosseto. Fu realizzato a Parigi tra il 1811 e il 1813 e presenta un piede circolare zigrinato e tre cartelle con simboli dell’eucaristia e della passione alternate a grappoli d’uva nel corpo, mentre nella coppa ci sono tre medaglioni con i simboli della passione e San Lorenzo, protettore di Grosseto, a cui è intitolata la Cattedrale; nel cavetto della patena, infine, è rappresentata l’Ultima Cena. Si racconta che il calice sia stato donato personalmente da Napoleone Bonaparte a Monsignor Fabrizio Selvi, vescovo di Grosseto (dal 1793 al 1835). L’argomento è oggetto di discussione. È certo però che Selvi appartenesse a un gruppo di prelati filo napoleonici (detti “rossi”) e che venne insignito dell’Ordre Imperial dè la Rèunion (1814). Il calice fu realizzato a Parigi dall’orafo J.-B. Famechon, attivo fra il 1789 e il 1820. Come uomo di Chiesa vedo in questo rovescio della fortuna l’ennesima conferma che le opere degli uomini passano, mentre quelle dello spirito restano.


Grosseto, Museo Archeologico e d’Arte della Maremma. Calice in argento

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Una donna di polso Elisa Baciocchi

M

i chiamo Maria Anna, in ricordo

di due sorelle morte prematuramente, ma per tutti sono Elisa. Nata ad Ajaccio nel 1777, la lasciai presto per studiare in un convitto parigino. Dopo una breve ricongiunzione con i miei familiari a Marsiglia, tornai a Parigi e nel 1797, nonostante il disappunto del mio esimio fratello, sposai il Capitano Felice Baciocchi. Da poco Imperatore, Napoleone, nel 1805 ci nominò principi di Lucca e Piombino. Un anno dopo il nostro dominio si estese al Ducato di Mantova ed al Marchesato di Carrara. Nel 1809 ero granduchessa di Toscana, inquilina di quel Palazzo Pitti di Firenze da me in parte impreziosito. 79


Fui una donna di polso, al punto che Napoleone, mi definì spesso “il migliore dei miei ministri!”. Ligia al suo stile ed al suo metodo, regnai con severità e intraprendenza mutando, in soli nove anni, il volto del mio piccolo Impero e promulgando riforme come il “Codice rurale del Principato di Piombino” del 24 marzo 1808 ed un nuovo codice penale. Sempre al passo con la moda del tempo, sprigionavo femminilità, come ben denota il busto conservato al Museo Fesch di Ajaccio che mi raffigura con i capelli trattenuti da una fascia ornata di stelle da cui sfuggono morbidi riccioli a contorno del viso. Le mie armi? Eleganza, razionalità e saggio uso dell’architettura. I miei atti di “francesizzazione” spesso furono accolti con diffidenza e fra il popolo mi guadagnai il nomignolo di La Madame. Ma io non me ne curai. La caduta di Napoleone ci costrinse a lasciare la Toscana. Riparammo a Bologna e poi a Vienna ove fui anche rinchiusa nello Spielberg. Trascorsi gli ultimi anni tra Trieste e Bologna ove riposo nella Basilica di San Petronio, dopo che, a soli 43 anni, prima dei fratelli Bonaparte, passai alla cosiddetta “miglior vita”.

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FRIULI VENEZIA GIULIA

TRENTINO ALTO ADIGE

VALLE D’AOSTA LOMBARDIA PIEMONTE

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Da qui inizia il mio viaggio, seguitemi! Un perimetro di mura cinquecentesche che cela l’armonia di strade e piazzette d’ impronta medievale, ariosi slarghi che si spalancano teatralmente al cospetto di nobili residenze. È la beltà di Lucca, città che nei nove anni di mio governo, dal 1805 al 1814, reinterpretai con estro e determinazione, avviando tra gli altri anche il grande progetto dell’acquedotto. E nei panni di vera sovrana, vorrei mostrarmi a voi dal dipinto che mi raffigura con l’abito ed i monili indossati per l’Incoronazione di Napoleone nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, alla presenza di papa Pio VII. Un quadro che ben evidenzia i simboli del potere Imperiale e che solo nel 1929 fu attribuito alla sua vera autrice, Marie – Guillemine Benoist, pittrice molto vicina allo stile di Gérard, artista per me insuperabile. È conservato alla Pinacoteca del Museo Nazionale di Palazzo Mansi, in via Galli

MOLISE

C A M PA N I A Napoli

Tassi 43, che vanta i capolavori lasciati da Leopoldo II d’Asburgo Lorena ed opere di donazioni private. Seguitemi ora a Palazzo Ducale dove aleggia ancora un lontano senso di magnificenza. Di grandeur, appunto.

Toscana Lucca

Piazza Napoleone e Palazzo Ducale Finalmente sgombra dalle auto, Piazza Napoleone è tornata ad essere la piazza grande di un tempo. L’idea di aprire uno spiazzo di stampo francese dinanzi alla mia regale dimora, scatenò le ire del popolo. Non tenni conto delle proteste e feci così abbattere proprietà private, l’Archivio, la Torre di Palazzo e i Magazzini del Sale. Nessuno scampo anche per la cinquecentesca chiesa di San Pietro in Cortina, in cui si venerava una miracolosa immagine della Madonna dei Miracoli. Traslata nottetempo l’effigie della Vergine, la piaz-

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za potè così prendere forma. Fra indecisioni, rinvii, discussioni su come doveva essere il monumento celebrativo di Napoleone, non la vidi del tutto conclusa. La statua ad opera di Leopoldo Vannelli fu consegnata solo dopo la mia partenza e per Lucca si prospettava un altro destino. Ed un’altra sovrana. Sul piedistallo vi saluta oggi Maria Luisa di Borbone, già regina d’Etruria, scolpita da Lorenzo Bartolini. Palazzo Ducale, ora sede della Provincia e della Prefettura, è permeato d’orgoglio lucchese. Sin dal 1316, quando su quest’area Castruccio Castracani eresse la fortezza Augusta. Il suo valore simbolico non sfuggì ai miei intenti di francesizzazione. Dato il via all’abbellimento della piazza, con Giovanni Lazzarini e Théodore Bienaimé pensai a riplasmare l’edificio che, lasciato incompleto da Bartolomeo Ammannati, nel primo ‘700 era stato rivisto dal geniale Filippo Juvarra. Nell’ala centrale, l’appartamento invernale degli Anziani lasciò spazio al Quartiere del Trono in cui vi invito ad ammirare le riproduzioni moderne dei parati in seta, realizzate in occasione del Giubileo del 2000 seguendo gli inventari dell’epoca. A me e Felice riservai stanze in puro stile Impero. Inutile dire che rinnovai gli arredi: raffinatissimi mobili neoclassici all’opificio lucchese del francese J.B.G. Youf. Per dare visibilità al nuovo corso puntai soprattutto su tappezzerie e mobilia, di più veloce collocazione rispetto ad impegnative decorazioni. Nel mio corredo figuravano

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anche due diversi tipi di “tazze” o “chicchere” per servire la cioccolata, bevanda liquida del momento, e i “vasetti” dotati di manico, utilizzati per la mousse. Nel 1817 Maria Luisa di Borbone darà incarico a Lorenzo Nottolini, Regio Architetto di Corte, di completare il cortile e ricostruire il ripido scalone di accesso al piano nobile. Porta Elisa - Via Elisa Vi invito, non senza un pizzico d’orgoglio, ad entrare in città dal varco che reca il mio nome. Porta Elisa, come vi ha anticipato mio fratello Luciano, è l’urbano prolungamento della via Cassia. Un segnale che la città, con la riunione del Granducato, si apriva al mondo e a più distesi rapporti con Firenze. L’architetto Lazzarini, mi propose di rimodulare radicalmente un intero settore della città, abbattendo chiese e varchi medievali. Viste però le limitate finanze la porta fu meno trionfale del previsto e provvidenziale fu il riutilizzo dei marmi della chiesa della Madonna. In linea con la porta, Via Elisa, ispirata alla parigina Rue de Rivoli, era il trait d’union con Piazza Napoleone. Seppur realizzata solo in parte, denota le intenzioni iniziali. Grazie anche al porticato neoclassico che profila parzialmente il grandioso emiciclo e il rettilineo di Via Elisa. Fluidi elementi di raccordo, sono le sedi di rappresentanza dei due unici Alti funzionari di cui poteva disporre il Principato: Luigi Matteucci ministro della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri ; e il francese Jean-Baptiste Froussard, segretario di Stato e di


Gabinetto. Rispettivamente al 40 e al 50 di Via Elisa, Palazzi Matteucci, già “delle Undici Arcate” (ora delle Religiose di Santa Maria e non visitabile) e Froussard (ora Sodini) hanno giocato un ruolo chiave nella riformulazione urbanistica lucchese. Ben riconoscibili, presentano fattezze dell’inizio del XIX secolo impreziosite da gradevoli spazi verdi. Un affetto particolare mi lega al giardino di Palazzo Froussard. Allungato e vagamente triangolare, è noto come Giardino di Elisa. Per quanto modificato nella simmetria di aiuole, parterre e gradoni, custodisce gelosamente piante importanti a cui nel tempo si sono aggiunti un cedro del Libano, due magnolie, un leccio, cespugli e siepi. Al di là dei muri di cinta degli alti palazzi che affacciano su Via Elisa, fra scorci di cielo e chiome di alberi secolari, si intuiscono spazi verdi a cui raramente si può accedere. Fanno eccezione l’Orto Botanico di cui Luciano vi ha rifatto la storia e Villa Bottini, al civico 9, che ben si distacca dall’uniformità medievale di Lucca. Nota anche come Villa Buonvisi al Giardino, risale infatti alla seconda metà del XVI secolo Un vero gioiello, affrescato alla fine del ‘500 con scene mitologiche e allegoriche da Ventura Salimbeni, che Felice acquistò per 5000 franchi, nel dicembre1811. Durante la mia reggenza, le dipendenze del palazzo furono collocate nel vicino convento di San Micheletto. Restaurata e riaperta al pubblico è attuale sede dell’Ufficio Cultura e di un centro convegni.

Villa di Marlia Già nota nel XI secolo per le sue terme, questo borgo adagiato nel verde delle prime alture a pochi chilometri dalle mura cittadine, stuzzicò la mia vanità femminile. Con il mio sostegno conquistò la fama di elegante luogo di villeggiatura internazionale. Tutto ruotava attorno alle terme a Villa Reale di Marlia, che acquistammo dai conti Orsetti. Una simmetria di ambienti, scandita da ricorrenti elementi ellenici tipici dei canoni neoclassici, e incorniciata da un bel loggiato e da una sequenza di aperture sul fronte posteriore. Al piano terreno aleggia l’eco dei balli dati nella grande sala affrescata da Stefano Tofanelli e Jean Baptiste Desmaires. Acquisiti terreni vicini, la dotai di un parco degno del suo ruolo, prendendo spunto dal giardino privato di Napoleone, a Malmaison. Il Teatro di roccia, d’acqua e di statue, il giardino dei limoni con la peschiera e le statue dell’Arno e del Serchio, che potete vedere nella parte alta del giardino, risalgono all’originario disegno secentesco. Il mio gusto si avverte invece nella parte inferiore del parco dove dilatai lo spazio prospettico antistante la Villa. Nella zona più bassa fu così creato un lago circondato da boschetti popolati da daini, capre, pecore merinos e attraversati da ruscelli e da viottoli ombreggiati dafaggi, pini, lecci, querce, tigli, platani, ginkgo biloba, aceri, ippocastani. Di tali bellezze si beò poi Maria Luisa di Borbone che incaricò Lorenzo Nottolini di costruire un osservatorio astronomico - la Specola. Dal 1923 la Villa e il parco sono proprietà dei conti Pecci Blunt.

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Viareggio e Villa Paolina Le influenze imperiali conquistarono anche la Versilia, ove si diffuse fra la nobiltà la moda dei bagni estivi. Paolina, la mia vezzosa sorella non si astenne da tale

novità, e sul litorale di Viareggio, in Via Machiavelli, nel 1822 diede via al cantiere di una bellissima residenza, ora sede dei Musei Civici, dove visse momenti di sincero amore con il suo amante Giovanni

Felice e Elisa Napoleona Baciocchi Felice Pasquale Baciocchi, quel marito che seppi imporre al mio ostinato fratello e che mi diede sei figli, era un nobile Còrso d’ origine genovese. Una coppia di successo, immortalata dal lucchese Stefano Tofanelli, Maestro di disegno e di pittura dell’Università e primo pittore di Corte, in due ritratti conservati a Palazzo Orsetti, ora sede del Comune di Lucca. Io appaio con l’abito in seta bianca dall’ampia scollatura bordata in pizzo indossato per la cerimonia dell’incoronazione di Napoleone a Nôtre Dame di Parigi, il 2 dicembre 1804; mentre Felice mostra le insegne del Toson d’oro e della Legion d’onore sull’uniforme di generale di Divisione in velluto azzurro profilata da ricami in oro. Avviato giovanissimo alla vita militare, una volta capitano del Reggimento Reale, fu destituito dalla Rivoluzione e costretto a emigrare. L’innata vocazione al comando dei Bonaparte fece di me la vera sovrana. Felice mi fu accanto, da buon principe consorte. Lo lasciai ahimè presto, ed una volta vedovo visse a Bologna, dove morì nel 1841. Elisa Napoleona, la nostra secondogenita, fu la sola dei nostri figli a raggiungere la maggiore età. Nata nel Palazzo Ducale di Lucca nel 1806, crebbe a Trieste. Dedita a lunghe cavalcate e al tiro con la balestra, amava poco l’etichetta, e ben presto rivelò il cipiglio materno ed una energia degna del padrino di cui portava il nome. Non fatevi fuorviare dall’apparente mitezza di quella bimba dalla semplice tunichetta bianca, amorevolmente poggiata a me nel dipinto di Pietro Nocchi esposto al Museo Fesch. Un’opera che, ad essere sincera, non mi soddisfò: pose troppo lunghe per me sempre presa da mille impegni, ma che ben incarna l’ingenua bellezza di mia figlia. Dopo il naufragio del breve matrimonio con il conte Filippo Camerata-Passionei di Mazzoleni e la nascita di un figlio, tornò a Trieste ospite di mia sorella Carolina nella reggia un tempo da me abitata. Vani i suoi tentativi di portare sul trono di Francia, vacante dopo l’abdicazione di Carlo X, Napoleone Francesco, unico figlio dell’Imperatore, prigioniero degli Asburgo.Tornò in campo dopo la prematura scomparsa del giovane (1832), a sostegno dell’ascesa al potere di un altro cugino, il futuro Napoleone III. Dopo la perdita del figlio in circostanze misteriose, si allontanò da corte. Soggiornò in Veneto, e poi in Bretagna impegnata nella creazione di allevamenti di pesca e della tenuta agricola di Korn-er-Hoüet, dove si spense nel 1869.

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Lucca, Villa di Marlia, e la palazzina con l’orologio

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Pacini, musicista che a Viareggio possedeva una casa. Giovanni Lazzarini, la pensò esternamente compatta, quasi massiccia, ma internamente aperta su un intimo ed appartato cortile. In questo piccolo mondo lontano dall’etichetta di Parigi, e dai fasti romani di Palazzo Borghese, dove Paolina viveva con il consorte Camillo, l’idillio si nutriva della complicità del mare e delle inebrianti fragranze del romantico giardino. Dalle camere da letto e dai salotti, ornati dal pittore Federico Marsili con richiami abituali del repertorio decorativo del tempo, la vista spaziava sulla spiaggia che, nel 1823 Paolina ottenne di poter utilizzare per realizzare una doppia alberata. Alla morte di Paolina, nel 1825, la villa passò a Carolina, la nostra sorella più piccola. Salita sul trono del Regno di Napoli, nel 1808, insieme al marito Gioacchino Murat, si occupò di arti e seguì personalmente una campagna di scavo nell’area archeologica di Pompei. Quando Murat fu cacciato da Napoli, Carolina si trasferì a Venezia, poi a Trieste dove accolse anche mia figlia Elisa Napoleona, e a Pizzo Calabro dove si spense il marito. In Austria convolò a nuove nozze con il generale Francesco Macdonald, ma nel 1830 si ritirò a Firenze nel Palazzo di Annalena, sfarzosamente restaurato. Anni in cui soggiornò più volte a Viareggio, in questa villa degli affetti che ristrutturò in ricordo di Paolina.

nesse al mio governo nel 1806. Mi piacque l’idea di trasferirmi, con tutta la corte, in quel Palazzo Ducale che Alberico I Cybo Malaspina iniziò nel 1567, ma che solo nel Settecento, sotto la guida della duchessa Teresa Pamphili prese una forma definitiva. Seguendo i consigli prima del Bargigli (che nella vicina Sarzana aveva anche firmato il Teatro degli Impavidi) e poi da Giovanni Lazzarini, lo adattai alle mie esigenze, ricavando l’appartamento reale, le stanze per le dame e i cortigiani, il gran salone degli ufficiali. Sede della Provincia e della Prefettura, nonchè centro congressuale e di eventi, nulla vi vieta comunque di sbirciare nel cortile mosso da un bel loggiato. Una monumentale scala conduce al Salone degli Svizzeri, ornato con eleganti motivi decorativi, e al suggestivo Salone degli Specchi. Dalla corte si accede anche al Ninfeo dal ricco ornato barocco, posto tra la Biblioteca Ducale e il Palco reale del teatro. Davanti al Palazzo, non senza abbattere un’antica chiesa secondo una prassi oramai divenuta regola, creai la quadrangolare Piazza Aranci. Il via ai lavori fu dato il 7 agosto 1807 e per ovviare l’attenzione dalla demolizione della chiesa, raccontano che feci aprire un banco per l’estrazione del lotto nel cortile di Palazzo Ducale. Io però non mi ricordo di questi futili dettagli.

Massa

A Carrara, volli lasciare un tempio dell’arte, quella Accademia di cui Lorenzo Bartolini, fu uno dei più valenti professori. Artefice di

Palazzo Ducale e Piazza Aranci Nelle retrovie a nord della Versilia, le terre di Massa furono an-

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Carrara


Pisa,Villa Baciocchi (facciata sul giardino)

Scuola Normale di Pisa Nel Palazzo detto anche della Carovana ha sede la Scuola Normale Superiore. Istituita da Napoleone nel 1810 su modello delle scuole francesi e riorganizzata per volere di Leopolodo II di Lorena venne solennemente inaugurata nel 1847. Tra i ‘normalisti’ (ex allievi), tre premi Nobel: Giusuè Carducci, Enrico Fermi e Carlo Rubbia.

molte opere a tema imperiale, organizzò la produzione scultorea come una vera impresa commerciale. Sua la mia effigie ufficiale e il busto di mio marito Felice oggi al Museo Civico Rivoltella di Trieste. Il calco, ritrovato solo nel 1981, è una rarità della gipsoteca dell’Accademia, uno dei pochi modelli del Bartolini sopravvissuti alla sollevazione antinapoleonica avvenuta a Carrara nella primavera del 1814. Lo scultore, dopo il 1815, fu praticamente messo all’indice e molte sue opere distrutte.

Pisa

Palazzo Lanfranchi Sul lungarno Galilei di Pisa vi posso far rivivere l’atmosfera del salotto di Sophie Caudeiron. Si trovava a Palazzo Lanfranchi, dal 2007 Museo della Grafica in cui è esposta una raccolta di grafica dell’Ottocento e del Novecento tra le più importanti d’Italia e

d’Europa sorta nel 1957 per iniziativa di Carlo Ludovico Ragghianti. Il nome è ancora quello della famiglia pisana che lo edificò, a partire dal 1539, su un precedente nucleo di case-torri. Ai miei tempi era già proprietà dei Vaccà Berlinghieri: Andrea, mio personale geriatra ed attivo sostenitori dei Bonaparte, fondatore della cattedra di Chirurgia all’Università Imperiale di Pisa, e sua moglie Sophie Caudeiron. Originari di Massa ma legati a Montefoscoli, dove avevano una casa ora divenuta Museo, i Vaccà Berlinghieri sposarono la causa Imperiale. La bella dama francese fu protagonista della vita culturale e sociale pisana, e grazie a lei Palazzo Lanfranchi ospitò poeti, scrittori, politici, uomini di cultura e nobili aristocratici. Tra questi, da ricordare i coniugi Shelley e, nel 1830, mio nipote Mario Felice Francesco Giuseppe Bacioc-

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chi, accompagnato dalla moglie Maria Teresa Pozzo di Borgo e dalla figlia neonata Anna. Camposanto Monumentale In piazza dei Miracoli, il Camposanto Monumentale accoglie alcuni monumenti funebri di molti illustri scienziati e docenti dello Studio pisano. Fra questi, è il Cenotafio marmoreo di Andrea Vaccà Berlinghieri, che il danese Berthel Thorvaldsen nel 1830 ornò con episodi biblici. L’Inconsolabile, effigie neoclassica di Lorenzo Bartolini, incarna invece un’ affranta Elena Mastiani Brunacci, moglie di Giovan Francesco Mastiani, esponente di uno dei casati più ricchi e potenti di tutta Toscana. Sottoprefetto per volontà dello stesso Napoleone, ottenne il titolo di conte dell’Impero e la nomina a cavaliere dell’ordine imperiale de la Réunion. Nel 1809 fu lui ad accompagnarmi a Parigi

per le nozze di Napoleone con Maria Luisa d’Austria. Museo Villa Baciocchi Capannoli Nei dintorni di Pisa, a Capannoli, Villa Baciocchi porta ancora il nostro nome. Sorta sulle antiche rovine del castello di Capannoli, benchè sull’architrave della facciata compaia il nostro stemma, in realtà fu acquistata dai Marchesi Baciocchi nel 1833, tredici anni dopo la mia morte. Oggi proprietà comunale, ospita il Museo Zoologico ed un Centro di Documentazione Archeologica. Il giardino di gusto romantico è tutt’oggi caratterizzato da una folta vegetazione ad alto fusto.

Piombino

Palazzo Nuovo della Cittadella Di Piombino e della Cittadella, dal 2001 Museo Archeologico del Territo-

Mode e modi Tra me e Napoleone vi era una sottile intesa. La supremazia sul campo e la forza delle armi, trovarono una salda alleanza nella mia arte del convivio e della diplomazia. Con “pugno di ferro e guanto di velluto” mi feci interprete del ruolo Imperiale costruendo ville, residenze, teatri un po’ in tutta la Toscana. Ovunque io fossi, i miei salotti ridondanti d’oro e di velluti erano teatro di accordi e strategie che davano smalto a tutta la famiglia. Lo stesso lusso lo manifestavo nel vestire, con gran rimprovero dell’abate Chelini. Da Parigi, città che presi a indiscusso modello, mi pervenivano i figurini del Journal des dames et des modes. In una continua ricerca del bello dettai i canoni della moda lucchese e di un agiato stile di vita, chiamando sarte e modiste per vestire me e tutto il mio seguito. A corte, nel 1719, giunse il cacao, il “cibo degli Dei” portato in Europa dai Conquistadores spagnoli e inizialmente utilizzato come medicinale. Una novità che conquistò subito le classi più abbienti e che divenne una dolce arma di seduzione anche nei convivi di Palazzo Ducale.

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Piombino Palazzo Nuovo della Cittadella ora sede del Museo Archeologico

rio di Populonia, vi ha già riferito mio fratello Luciano. Vi abitai tra il 1805 e il 1807, periodo in cui diedi al complesso una spiccata funzionalità. Le antiche scuderie furono adibite a locali di servizio - cucine, dispense, lavatoi, forni - mentre al primo e al secondo piano furono allocate le camere per la corte e per il personale. Preservai invece, so che vi stupirà, la quattrocentesca Cappella - non a caso ribattezzata Cappella Imperiale - e la Madonna con Bambino, terracotta policroma di Andrea della Robbia. Anzi, mi adoperai per dotarla di nuovi arredi sacri,

quadri e argenti così da conferirle un aspetto privato. Contrariamente a mia madre e a Paolina, io non feci mai visita a Napoleone durante l’esilio elbano. Diciamo però che, dalla terraferma, contribuì a rendere più confortevole il suo soggiorno. Palazzina del Mulini, scelta come sede di rappresentanza, fu adeguata negli spazi e nei decori da architetti di mia fiducia, Paolo Bargigli e Luigi Bettarini. Bargigli fu inoltre incaricato di dare una fisionomia più urbana alla rurale Villa San Marino. Sua anche la firma di quel Teatro dei Vigilanti di Portoferraio che Napoleone lasciò in segreto il 26 febbraio 1815.

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Indirizzi ELENCO UFFICI TURISTICI DELLE CITTÀ COINVOLTE NEL PROGETTO Ajaccio Office de Tourisme 3 Boulevard du Roi Jérôme Tel. +33 (0)4 9551 53 03 www.ajaccio-tourisme.com Pisa Aeroporto di Pisa (lato arrivi) Tel. +39 050 502518 aeroportoturismo@provincia.pisa.it piazza Vittorio Emanuele II 16 Tel. +39 050 42291 Piazzavittorioturismo@provincia.pisa.it Parcheggio Via Pietrasantina Tel. +39 050 830253 pietrasantina@samovarincoming.it Portale ufficiale del turismo in provincia di Pisa www.pisaunicaterra.it San Miniato (Pi) Piazza del Popolo 1 Tel. +39 0571.42745 ufficio.turismo@sanminiatopromozione.it Pontedera (Pi) Via della Stazione Vecchia 6 tel. +39 0587 53354 ufficioturistico@comune.pontedera.pi.it Lucca Piazzale Verdi Vecchia Porta San Donato Tel. +39 0583.583150 info@luccaitinera.it www.luccaitinera.it www.comune.lucca.it/Turismo Piazza S. Maria 35 Tel. + 39 0583.919931 info@luccaturismo.it www.turismo.provincia.lucca.it

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Bagni di Lucca Via Umberto I Tel. +39 0583.805745 Piazza Jean Varraud 1 Tel. +39 0583.805813 turismo@comunebagnidilucca.it www.bagnidiluccaterme.info Capannori Piazza Aldo Moro 1 Tel. +39 0583.428588 infoturismo@comune.capannori.lu.it www.capannori-terraditoscana.org Viareggio Viale Carducci 10 Tel. +39 0584.962233 Piazza Dante – c/o Stazione FS Tel. +39 0584 46382 infoturismo.versilia@provincia.lucca.it www.turismo.provincia.lucca.it Livorno Via Pieroni 18/20 Tel. +39 0586 894236 info@costadeglietruschi.it www.costadeglietruschi.it Isola d’Elba Via Carducci 150 - Portoferraio (LI) Tel. +39 0565 914671 www.aptelba.it Grosseto Provincia di Grosseto – Ufficio Turismo Viale Monterosa 206 Tel. + 39 0564 462611 www.turismoinmaremma.it Marina di Massa Uffico IAT Lungomare Vespucci 24 Tel. +39 0585 240063 +39 0585 816617 info@aptmassacarrara.it www.turismomassacarrara.it


Aulla Ufficio IAT c/o Palazzo comunale P.zza Gramsci 16 Tel. +39 0187 409474 info@aptmassacarrara.it Pontremoli Ufficio IAT P.zza della Repubblica Tel. +39 0187 832000 info@aptmassacarrara.it La Spezia Viale Italia 5 - Tel. +39 0187 770900 Fax +39 0187 023945 iat_spezia@provincia.sp.it c/o Stazione FF.SS Tel. +39 0187 718997 iat_speziastazione@provincia.sp.it www.turismoprovincia.laspezia.it Sarzana (Sp) P.zza San Giorgio Tel. +39 0187 620419 Fax +39 0187 634249 iatsarzana@orchestramassacarrara.it Carloforte (CI) Proloco associazione turistica Corso Tagliafico 1 Tel. +39 0781 854009 www.prolococarloforte.it www.consorzioturisticocarloforte.it Savona Ufficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Savona Via Paleocapa 76r Tel. +39 019.8402321 www.turismo.provincia.savona.it Albenga Ufficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Albenga Piazza del Popolo 11 Tel. +39 0182 558444 Fax +39 0182 558740 Bardineto apertura stagionale Ufficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Bardineto Via Roascio 5

Tel. +39 019 7907228 Fax +39 019 7907228 Loano Ufficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Loano Corso Europa 19 Tel. +39 019 676007 Fax +39 019 676818 Millesimo apertura stagionale Ufficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Millesimo Piazza Italia 2 – Palazzo Comunale Tel. +39 019 564007 Fax +39 019 564368 Toirano Ufficio di Informazione ed Accoglienza Turistica di Toirano Piazzale Grotte Tel. +39 0182 989938 Fax +39 0182 98463 ELENCO MONUMENTI/LUOGHI DEL PERCORSO

CORSICA Ajaccio Museo Nazionale Maison Bonaparte Rue Saint-Charles 18 Tel +33 (0) 495214389 www.musee-maisonbonaparte.fr Museo Salone Napoleonico HĂ´tel de Ville Place Foch Tel. +33 (0)4 95 51 52 53 www.ajaccio.fr Palazzo Fesch Museo delle Belle Arti Rue Cardinal Fesch 50-52 Tel. + 33 (0)4 95 26 26 26 www.musee-fesch.com Cappella Imperiale di Palazzo Fesch Rue Cardinal Fesch 50-52 Tel. + 33 (0)4 95 26 26 26 www.musee-fesch.com

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Tenuta I Milelli Route des Milelli Tel. +33 (0)4 95 51 52 53 www.ajaccio.fr www.napoleon.org Cattedrale di Santa Maria Assunta Rue Forcioli-Conti Tel. +33 (0)95 21 07 67 Grotta di Casone Place d’Austerlitz www.corsicanews.net

Sardegna CARLOFORTE (CI) Chiesa dei Novelli Innocenti Via dei Novelli Innocenti Tel.+39 0781 855735 Oratorio della Madonna dello Schiavo Via XX Settembre Tel.+39 0781 855735

LIGURIA Sarzana (Sp) Casa Buonaparte Via Mazzini 26-28 www.sarzana.org Fortezza Firmafede Via Cittadella Tel. 0187 614232 www.sarzana.org Fortezza di Sarzanello Via alla Fortezza Località Sarzanello Tel. +39 0187 6141 info line Fortezza Tel +39 339 4130037 info@earthambiente.it Teatro degli Impavidi Piazza Garibaldi www.sarzana.org Portovenere (Sp) Forte della Castellana Località Le Grazie (non visitabile al pubblico)

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Savona Archivio di Stato Via Quadra Superiore 7 Tel. +39 019 8335227 www.archivi.beniculturali.it Monte Negino – luogo degli scontri della 1^ campagna d’Italia Santuario di N.S. Della Misericordia di Savona - luogo degli scontri della 1^ campagna d’Italia Albenga (Sv) Fortino – museo napoleonico Piazza Europa Toirano (Sv) Certosa di Toirano Via Certosa – luogo di scontri della Battaglia di Loano Balestrino (Sv) Scuderie del Marchese di Balestrino museo catasto napoleonico Santuario di Monte Croce – punto di osservazione dei territori teatro delle battaglie napoleoniche Castelvecchio di Rocca Barbena (SV) Osservatorio di Massena – punto di osservazione dei territori teatro delle battaglie napoleoniche Pian dei Prati punto di osservazione dei territori teatro delle battaglie napoleoniche Colle dello Scravaion - trincee napoleoniche Zuccarello (Sv) Taverna dei tre diavoli luogo di incontro tra il Generale Massena ed i suoi ufficiali Bardineto (Sv) luogo di scontri della Battaglia di Loano Boissano (Sv) luogo di scontri della Battaglia di Loano Loano (Sv) epilogo finale della ritirata delle truppe austro-piemontesi dalla piana di Loano Magliolo (Sv) luogo di scontri della Battaglia di Loano


Rialto (Sv) Santuario della Madonna della Neve – luogo di presidio e difesa dell’esercito francese durante la Battaglia di Loano Mallare (Sv) luogo di scontri della Battaglia di Loano Altare (Sv) - tappa itinerario luogo di arrivo di Napoleone all’armata d’Italia Quiliano (Sv) Cadibona – luogo della memoria della 1^ campagna d’Italia Cairo Montenotte (Sv) Parco dell’Adelasia – luogo degli scontri della 1^ campagna d’Italia Dego (Sv) luogo degli scontri della 1^ campagna d’Italia Palazzo Comunale - Via Municipio 10 Tel. +39 019 577792 www.comune.dego.sv.it/storia Cosseria (Sv) - tappa itinerario Ruderi del castello Del Carretto Località Castello luogo degli scontri della 1^ campagna d’Italia Millesimo (Sv) luogo degli scontri della 1^ campagna d’Italia Palazzo Comunale Piazza Italia 2 Tel. +39 019 564007 www.comune.millesimo.sv.it Museo Napoleonico di Villa Scarzella Via Del Carretto 29 Tel. +39 019 564007 www.itinerarionapoleonico.com

TOSCANA Massa - Carrara MASSA (MS) Palazzo Ducale Piazza Aranci Tel. +39 0585 816111 www.provincia.ms.it

Cattedrale dei Santi Francesco e Pietro Via Dante Tel +39 0585 42643 Castello Malaspina Via del Forte Tel +39 058544774 www.istitutovalorizzazionecastelli.it CARRARA (MS) Accademia di Belle Arti di Carrara Via Roma 1 Tel. +39 0585 71658 www.accademiacarrara.it Cave dei Fantiscritti www.cavamuseo.com FIVIZZANO (MS) Palazzo Fantoni-Bononi Museo della Stampa Via Labindo 6 Tel. +39 0585 942128/52 www.comune.fivizzano.ms.it Monumento sepolcrale a Giovanni Fantoni “Labindo” Chiesa di S.Carlo Chiesa delle Carceri Via Umberto I Tel + 39 0585 942128/52 www.comune.fivizzano.ms.it MULAZZO (MS) Archivio Museo dei Malaspina Piazza Malaspina www.archiwebmassacarrara.com BAGNONE (MS) Museo Archivio della Memoria Palazzo della Memoria Piazza Marconi 7 www.archiwebmassacarrara.com PISA Palazzo Reale Lungarno Pacinotti 46 Tel. +39 050 926539 www.sbappsae-pi.beniculturali.it Palazzo Lanfranchi Museo della Grafica Lungarno Galilei 9 Tel. +39 050 2216060 www.museodellagrafica.unipi.it

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Cimitero Monumentale Piazza dei Miracoli Tel. +39 050 835011 www.opapisa.it Capannoli (Pi) Villa Baciocchi Via del Castello 1 Tel. +39 0587 607035 www.comune.capannoli.pisa.it Montefoscoli (Pi) Casa Vaccà Berlinghieri Via A. Vaccà 47 Tel. +39 0587 657072 www.museomontefoscoli.it Tempio di Minerva Medica Località Torricchio Tel. +39 0587 657135 www.tempiodiminerva.com San Miniato Palazzo Formichini a Collezione Cassa di Risparmio di San Miniato Via IV Novembre 45 Tel +39 0571-405295 Cattedrale di Santa Maria Assunta Piazza Prato del Duomo Accademia degli Euteleti Palazzo Migliorati Via XX Settembre 21 Tel +39 0571 42598 Sistema Museale San Miniato Tel. +39 0571-42598 www.comune.san-miniato.pi.it LUCCA Palazzo Ducale Cortile Carrara 1 Tel. +39 0583.4171 www.palazzoducale.lucca.it Villa Bottini Via Elisa 9 Tel. +39 0583.44214. Il giardino è visitabile tutti i giorni dalle ore 9 alle 18. Ingresso gratuito. www.comune.lucca.it Orto Botanico Via del Giardino Botanico 14 Tel +39 0583.442160 www.ortobotanicodilucca.it Museo e Pinacoteca Nazionale di Palazzo Mansi Via Galli Tassi 43

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Tel. +39 0583 55570 www.luccamuseinazionali.it Palazzo Matteucci (ora delle religiose di Santa Maria) - Via Elisa 40 Tel. +39 0583 491974 visibile solo dall’esterno. Palazzo Froussard (ora Sodini) Via Elisa 54. Visibile solo dall’esterno Palazzo Orsetti (ora Palazzo Comunale) Via Santa Giustina 6 Tel +39 0583.4422 www.comune.lucca.it BAGNI DI LUCCA Palazzo alla Villa Via Monache 1 www.bagnidiluccaterme.info CAPANNORI Villa e Parco Reale Viale Europa Loc. Marlia Tel. +39 0583.30108 Visitabile solo il parco www.parcovillareale.it VIAREGGIO Villa Paolina (sede dei Musei Civici) Via Machiavelli 2 Tel. +39 0584.966342 - 966346 www.comune.viareggio.lu.it Livorno Museo Civico Giovanni Fattori Villa Mimbelli Piazza Sant’Jacopo in Acquaviva 65 Tel.+39 0586 804847 museofattori@comune.livorno.it museo www.comune.livorno.it Piombino (Li) Cappella della Madonna di Cittadella Piazza della Cittadella La cappella è aperta in orario diurno Palazzo Nuovo Piazza della Cittadella 8 Abbazia con cattedrale di Sant’Antimo Via XX Settembre 15 Tel + 39 0565 32036 (Diocesi di Massa MarittimaPiombino)


Isola D’Elba(Li) Portoazzurro Forte San Giacomo o Forte Longone www.comune.portoazzurro.li.it Portoferraio - Elba La Biscotteria (ora Palazzo Comunale) Via Garibaldi 7 Tel. +39 0565 937111 Palazzina dei Mulini Piazzale Napoleone www.sbappsae-pi.beniculturali.it Villa San Martino Galleria Demidoff Località San Martino Tel. +39 0565 914688 www.sbappsae-pi.beniculturali.it www.infoelba.it Museo Napoleonico della Venerabile Arciconfraternita della Misericordia Salita Napoleone Tel. +39 0565 918 785 Pinacoteca foresiana Centro Culturale De Laugier Salita Napoleone Tel. +39 0565/937380 - 917649 (Centro Culturale) www.comune.protoferraio.li.it Marciana – Elba Santuario della Madonna del Monte Località Madonna del Monte Tel. +39 0565 901041 (Diocesi di Massa MarittimaPiombino). Il santuario è sempre aperto e l’ingresso è gratuito Grosseto Archivio di Stato Piazza Socci 3 Tel. +39 0564 421947 -24576 www.archivio.beniculturali.it Museo Archeologico e dell’arte della Maremma Piazza Baccarini 3

Tel. +39 0564/488750-760-752 www.museidimaremma.it Follonica (Gr) MAGMA Museo delle Arti in Ghisa della Maremma (apertura primavera 2013) Comprensorio ex Ilva - 58022 museo@comune.follonica.gr.it www.comune.follonica.gr.it/museo Villa Granducale (attuale sede Corpo Forestale dello Stato) Via Bicocchi 2 Tel. +39 0566 40019 ALTRI LUOGHI Canino (Vt) Collegiata di SS. Giovanni e Andrea Piazza Bonaparte www.canino.info Roma Villa del Principe Borghese (sede del Museo e Galleria) Piazzale del Museo Borghese 5 Tel. +39 068413979 www.galleriaborghese.it Firenze Palazzo Pitti Piazza dei Pitti Tel. +39 055 294883 - 2388763 www.palazzopitti.it Bologna Basilica San Petronio Piazza Maggiore 1 Tel. +39 051 231415 www.basilicadisanpetronio.it

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Immagini: Archivi fotografici Provincia di Lucca, Provincia di Pisa, Provincia di Grosseto, ARTEmisia Servizi Culturali S.c.a r.l., Ufficio del Turismo Provincia di Massa Carrara, Circolo fotografico Sarzanese, Earth S.c.r.l., Giorgio Dagna, Massimiliano Nucci, Luigi Pellerano, Silvia Simi, Beatrice Speranza, Stefano Vannucchi, Enrico Zunino

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I luoghi di Napoleone

I luoghi di Napoleone

Un viaggio tra Liguria, Corsica, Sardegna e Toscana

Esperienze di rete culturale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio napoleonico

Ajaccio~Carloforte~Livorno~Lucca Massa Carrara~Pisa~Sarzana~Savona

www.napoleonsites.eu


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