Bonsai & Suiseki magazine - Febbraio 2009

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Bonsai & Suiseki

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magazine

Bonsai&Suiseki magazine

Anno I - n.2

Febbraio 2009

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Bonsai & Suiseki magazine Febbraio ©

2009

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editoriale

DIRETTO DA Antonio Ricchiari IDEATO DA Luca Bragazzi Antonio Ricchiari Carlo Scafuri REDATTORE Carlo Scafuri REVISORE DI BOZZE Dario Rubertelli Pietro Strada CORRETTORE DI BOZZE Giuseppe Monteleone PROGETTAZIONE GRAFICA Salvatore De Cicco IMPAGINAZIONE Salvatore De Cicco Carlo Scafuri FOTO DI COPERTINA Antonio Acampora Antonio Defina Luciana Queirolo HANNO COLLABORATO Antonio Acampora Sergio Bassi Sergio Biagi Antonio Defina Luciana Del Fico Gian Luigi Enny Giovanni Genotti Francesco La Rosa Giuseppe La Susa Luciana Queirolo Tutti gli scritti, le foto, i disegni e quant’altro materiale pubblicato su questo sito rimane di esclusiva proprietà dei rispettivi Autori che ne concedono in via provvisoria l’utilizzo esclusivo al Napoli Bonsai Club ONLUS a titolo gratuito e ne detengono il copyright © in base alle Leggi internazionali sull’editoria. E’ vietata la duplicazione e qualsiasi tipo di utilizzo e la diffusione con qualsiasi mezzo (meccanico o elettronico). I trasgressori saranno perseguiti e puniti secondo gli articoli di legge previsti dal Codice di procedura Penale che ne regolano la materia.

L’anno che verrà… Una famosa canzone di Lucio Dalla parla di buoni propositi per l’anno nuovo. Potremmo adattare il testo della canzone al bonsai ed al suiseki. Per quel che riguarda il Forum, credo che il 2009 sia nato sotto i migliori auspici proprio per la nascita del magazine che è già alla sua seconda uscita, al numero due di Febbraio. Noi speriamo di dimostrare che con la passione e la buona volontà si può andare lontano. Il primo numero del magazine ha ricevuto una accoglienza lusinghiera e questo ci spinge a fare di più e meglio. Miglioreremo numero dopo numero, dateci tempo. In fin dei conti ci sentiamo degli artigiani che cercano di fare manualmente ciò che altri fanno con mezzi ben diversi e più potenti. Ma è proprio questa sfida che ci esalta e ci corrobora. Le cose semplici e a portata di mano non ci hanno mai interessato. Il vostro consenso ed il vostro seguito saranno l’input e la forza necessaria per continuare questa scommessa con noi stessi. Ci piacerebbe ricevere consigli e suggerimenti: questo magazine è tutto vostro ed è aperto ad ogni forma di collaborazione. E’ un prodotto tutto nostrano e noi siamo un popolo con infinite risorse, non dimenticate che siamo abituati ed allenati a gestire la difficoltà. Noi speriamo che il 2009 sia un anno che veda il piccolo meraviglioso mondo del bonsai e del suiseki: tutti … uniti e coesi tutti … lanciati verso una collaborazione più proficua tutti … con un solo interesse comune tutti … con meno interessi personali tutti … un po’ più modesti tutti … più tolleranti tutti … più generosi tutti ... più bonsaisti e suisekisti! In fondo il bonsai ci aiuta a vivere meglio e ci evita assunzione di ansiolitici, non è una sfida all’ultimo… albero, non è una pole position perché non vi è un primo ed un ultimo, non è una guerra di trincea perché non vi sono schieramenti (???), non è una competizione permanente perché la competitività spesso viene vissuta con livore, non è un business perché se qualcuno ha frainteso la possibilità di fare quattrini… è completamente fuori strada! Il bonsai non è un sublime modello formale o un coerente canone metodologico: rientra invece in una sana concezione del mondo, in un sistema di valori che oggi è diventato sempre di più un miraggio. Appaga l’ansia di certezza, il bisogno di assoluto, la ricerca di verità permanenti. Colma alcuni vuoti che il baratro incolmabile della società postmoderna ha provocato all’uomo. Il futuro del bonsai italiano è tutto contenuto nel passato.

Antonio Ricchiari


Sommario

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Dal mondo del Bonsai & Suiseki pag. 01 “Giardini giapponesi” - G. L. Enny pag. 04 “E sopra le nuvole... un mondo” - S. Bassi

Mostre ed eventi pag. 06 “Coordinamento Bonsaisti Siciliani” - F. La Rosa pag. 07 “I° trofeo per principianti NBC” - L. Del Fico

In libreria pag. 09 “Wabi-Sabi” - A. Ricchiari pag. 09 “Bon-Sai” - A. Ricchiari Olivo coll. Antonio Ricchiari

L’essenza del mese

Bonsai ‘cult’ pag. 10 “Gli stili bonsai” - G. Genotti

pag. 21 “Olivo” - A. Ricchiari

Note di coltivazione pag. 24 “I concimi organici” - L. Bragazzi

La mia esperienza pag. 11 “Ricottura del filo di rame” - S. Guerra pag. 12 ”Cipresso toscano inclinato” - S. Biagi

Tecniche bonsai pag. 25 “I terricci” - A. Acampora, P. Strada

Vita da club pag. 30 “Bonsaisieme” - A. Defina

Che insetto è? pag. 31 “Patologia vegetale - II parte” L. Bragazzi

A lezione di Suiseki pag. 14 “Introduzione al suiseki” - L. Queirolo

A scuola di estetica pag. 18 “Note sull’estetica dei bonsai - A. Ricchiari


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Dal mondo del Bonsai & Suiseki E SOPRA LE NUVOLE... UN MONDO - Sergio Bassi

E sopra le nuvole... un mondo

Chi, come me, ama “andar per sassi” non è mai sicuro di trovarli, però… ci spera sempre. Se poi trovo un buon pezzo (non ho detto eccezionale) ogni volta che esco, sono al settimo cielo. A chi come me ama “andar per sassi”, sarà sicuramente successo di girare, girare e girare (sia nel senso di sassi sia nel senso di camminare) e non trovare niente. Ricordo bene quella mattina di quattro anni fa, quando con l’amico Claudio Nuti “ruzzolavo sassi” sul monte Amiata in Maremma ormai da un paio d’ore ed avevo il sacco ancora vuoto. Una vera eccezione perché, in verità, una pietra qualsiasi ce la metto appena si arriva. Sia per conquistarmi il primato della mattinata, sia per fare invidia al mio amico.

Comincio col dire che l’ho trovata bellissima, senza fargliela vedere; piuttosto, mi invento una scusa e cerco di farlo arrabbiare; poi, alla prima occasione, la sostituisco con una buona. Se però non ho trovato neppure la buona, mi porto a casa la ciofeca che ho messo nel sacco: lui non saprà MAI della sua bruttezza (della pietra! ). Credo però che sospetti qualcosa, perché si allontana, rimanendo a contatto di voce, e comincia a dire: ooohhhhh bella questa, eccezionale...... vedessi com’è......... ha delle guglie meravigliose... perfette; e si allontana, in modo che, anche avvicinandomi, non possa vedere niente... Così inizia il nostro divertente rituale - gli chiedo di farmela vedere e lui mi risponde che prima vuol vedere la mia... e così scherzando passiamo delle ore spensierate e piacevoli. Siamo dell’idea che il primo obbiettivo sia quello di divertirsi - poi, se troviamo qualcosa è meglio, altrimenti va bene ugualmente. Stavo dicendo: avevo il sacco ancora vuoto, quando, rivoltando l’ormai ennesimo ciottolo, vidi comparire una punta... Era il momento mio! Intanto, potevo buttare lo scorfano (che comunque pesava) per metterci qualcosa di buono; ma soprattutto, fui sinceramente convinto di aver trovato il “pezzo della mattinata”. Non vi dico se quel giorno trovai ancora qualcosa, anche voi come Claudio... Ho avuto la fortuna di “andare per sassi” con la Luciana, è incredibile, appena ha per le mani una pietra, ti spiega immediatamente quale è il suo lato migliore, come deve essere il daiza, come si espone (tavolino compreso)... insomma è in grado di “leggerla” immediatamente sotto tutti i punti di vista. Io mi reputo un amatore di livello standard (… fermi! ora stiamo parlando di sassi)… ed ho bisogno di tempo per realizzare tutte queste cose: preferisco affrontare un problema alla volta. Nonostante questo, sospettavo da subito che la realizzazione del supporto sarebbe stata complicata, non immaginando però quanto. La pietra presenta una parte sottostante molto profonda, avrei potuto tagliarla. Non l’ho fatto per due semplici motivi:primo, non ho mai tagliato una pietra alla quale tengo; secondo, il fronte basso volevo che si vedesse bene. Quindi il problema non era eliminare la parte sotto, ma come costruire un daiza che potesse contenerla tutta, evidenziando anche il sotto, ma soprattutto NON ESSERE INVADENTE. Mi rendevo conto che sarebbe servita una tavola piuttosto alta. Ne trovai una di cedro; è risaputo che il legno di conifera è sconsigliato, perché è possibile che all’improvviso si verifichino fuoriuscite di resina, ma sul momento era l’unico che avevo del giusto spessore e grandezza, inoltre ho ritenuto che fosse sufficientemente stagionato. Pietra vista da dietro, in posizione capovolta.

Aggiungo che il legno di cedro durante la lavorazione sprigiona un profumo molto piacevole. Per cominciare, mi dedicai solo alle profondità; poi, aiutandomi con la carta carbone, cercai anche la precisione. Non è stato facile capire quando fermarmi. L’esperienza fatta in questi anni, mi ha insegnato che è meglio scendere qualche millimetro in più rispetto a quello che serve. Vi spiego il perché di questa scelta: usando la carta carbone per fare lo scavo interno, è possibile che i bordi alti risultino involontariamente segnati di nero. Quando si ha poca esperienza, si tende a togliere quella parte di legno macchiata ritenendola una operazione necessaria, accorgendosi dell’errore quando è ormai tardi. Acquisendo un poco di esperienza in più, questo errore è meno frequente, ma una disattenzione può sempre egualmente capitare. Se invece scendiamo di qualche millimetro in più, in fase di rifinitura, avremo ancora la possibilità di togliere il legno sopra a confine con la pietra fino a ritrovare il punto di contatto migliore possibile.


Dal mondo del Bonsai & Suiseki E SOPRA LE NUVOLE... UN MONDO - Sergio Bassi Se nella lavorazione staremo molto accorti, il risultato sarà sicuramente buono. Decisi che era il momento di fermarmi, quando la parte sinistra fu incassata a sufficienza. Ma non poteva essere lo stesso anche per il lato destro; come è facile notare, esso presenta una protuberanza sottile e lunga. Incassare anche questo lato mi avrebbe creato il problema di come rifinire la parte sottostante, inoltre era inutile ai fini del mio progetto Ricercando la discrezione nel daiza, eseguii un taglio molto aderente, senza dare importanza al fatto che la pietra debordava da tutti i lati fuorché sul fronte.

A questo punto mi cimentai nella realizzazione dei piedini, ed a rifinirla. Decisamente non mi piaceva.

Confesso che sul momento fui deluso del mio lavoro. L’aspetto d’insieme era decisamente troppo “pesante”

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Dal mondo del Bonsai & Suiseki E SOPRA LE NUVOLE... UN MONDO - Sergio Bassi Quando inizio una base, non sempre ho chiaro in mente, come la realizzerò nei particolari; nella mia testa ho chiare le proporzioni ma spesso decido sul momento come procedere. Via via che il legno diminuisce, la paura di sbagliare aumenta; i margini per rimediare ad un errore od a una distrazione, sono sempre minori; immaginate cosa vuol dire buttare via il lavoro di molte ore, per un piede che salta... Guardando attentamente la base, decisi di alleggerirla più che potevo e delicatamente cominciai a levare. Ho parlato di progetto, ma non ve l’ho spiegato: sicuramente conoscerete la favola di Giacomino e dei fagioli magici... quando arrivò in cima alla pianta, sopra le nuvole, trovò un mondo nuovo con un castello... io vedo quel mondo sopra le nuvole.

Ma per rendere questa idea, era necessario che io togliessi molto legno… …non poteva essere “semplicemente” una pietra montagna, il mio obiettivo era di elevarla a qualcosa di fantastico, irreale; evitando di ottenere un aspetto pacchiano. Credo che questa pietra, pur non essendo niente di eccezionale, rappresenti un tassello importante nel mio bagaglio tecnico nella costruzione dei daiza; un passaggio che mi ha insegnato molto. Non ho mai detto che sia perfetta, infatti nell’ottobre 2006, quando ho chiesto un’opinione a Felix Rivera, mi ha consigliato di togliere ancora sotto il lato destro.

Con l’esperienza di oggi credo che il suo consiglio sia stato bonario nei miei confronti, probabilmente dovrei togliere ancora da tutte le parti.

Pur sentendo la necessità di modificare una base che a suo tempo considerammo “finita”, non si trova mai il momento, il coraggio o (forse) la voglia di modificarla: tendiamo sempre a rimandare; chi sa, forse un giorno... Mi piace finire con una frase non mia: “non è difficile realizzare lavori di scultura, basta togliere tutto quello che c’è in più.”

Sergio Bassi


Dal mondo del Bonsai & Suiseki

I GIARDINI GIAPPONESI - Gian Luigi Enny

Storia del moderno

Giardino Giapponese Il

Giappone odierno prova una incantata meraviglia di fronte alle proprie passate opere, e vuole mantenere l’arte acquisita, pur reinterpretandola per le esigenze della realtà presente. Su tali basi si colloca l’amore per il giardino privato, che anche nelle soffocanti e tentacolari metropoli odierne sopravvive come spazio irrinunciabile, fosse anche per la sola funzione di allargare metafisicamente gli angusti spazi fisici ma anche psicologici dell’uomo affannato continuamente dal logorio della vita moderna.

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Dal mondo del Bonsai & Suiseki

I GIARDINI GIAPPONESI - Gian Luigi Enny Questo piccolo angolo verde offre ai suoi ospiti l’occasione del distacco dal caos urbano a favore di una nuova comunione con la natura. L’importanza del giardino situato nel cortile delle case, detto Tsuboniwa, ha origini antiche, come testimoniano le descrizioni riportate nel romanzo del principe Genji, datato intorno all’anno 1000. Le abitazioni in stile Shinden, infatti possedevano tra una costruzione e l’altra, dei piccoli cortili di separazione tenuti a giardino dagli abitanti delle stanze adiacenti. Esempio classico è il giardino della Lespedeza nel palazzo imperiale di Kyoto. La tradizione dello Tsuboniwa sopravvisse anche nell’età feudale, come attestano i giardini interni alle residenze dei monaci buddisti; dai siti religiosi i piccoli giardini si diffusero anche in città, situandosi generalmente sul retro dell’abitazione, in uno spazio cinto da un muro di argilla su tre lati e dalla Muro di cinta (foto: Enny) veranda della casa sul quarto lato. Particolare riferimento va fatto per l’arredo dello Tsuboniwa, che riflette il gusto individuale espresso dagli abitanti della casa, non soggetto alle regole indicate nei manuali del tempo. A partire dal periodo Momoyama lo Tsuboniwa risente fortemente della cultura del tè che ne provoca il cambiamento morfologico in base al rinnovato gusto. La pratica di bere il tè trova luogo nella E’ sufficiente un ramo di stanza affacciata sul giardino, avvalendosi del verde per ottenere un ambiente riposante e al contempo prunus fiorito per vivere in meditativo. Questo genere di giardino fa propri gli elementi tipici , ovvero lanterne, pietre da passo e comunione con la natura. soprattutto le basse vasche in pietra contenenti l’acqua purificatrice. L’estensione, talvolta assai esigua, non gli permette di emulare al meglio il giardino del tè da cui si differenzia in quanto viene contemplato staticamente, in posizione seduta dall’interno della casa. Al giorno d’oggi la superficie riservata al giardino urbano è altamente limitata. Tuttavia nello spazio concessogli si compie ogni sforzo possibile per ricreare un ambiente quanto più piacevole, che dia l’illusione della vastità grazie ad abili effetti prospettici: ad esempio non si disporrà il gruppo roccioso addossandolo al muro di cinta, ma ponendolo verso il centro in modo da aumentare le visuali. Un altro trucco è quello di piantare gli alberi a foglia grande e chiara in primo piano mentre quelli a foglia piccola e scura andranno posati sullo sfondo con vialetti che si restringono e scompaiono tra gli arbusti, in questo modo il giardino assumerà otticamente una profondità maggiore, dando al visitatore l’impressione di essere più grande. Ciò che è Giardino visto dal piano alto dell’abitazione, una visione insolita ma dall’effetto stupefacente fondamentale è il risultato globale, l’equilibrio ottenuto attraverso l’eliminazione degli eccessi di vegetazione, garantendo invece la varietà di linee e tessiture, in modo da non stancare mai lo sguardo. La perfezione è poi raggiunta quando il giardino soddisfa non solo lo spettatore situato al pianterreno, ma anche, quando ne occorra il caso, chi è sito al secondo piano. Il giardino moderno trova quindi svariate possibilità espressive derivandole dalle precedenti tradizioni. Si nota ancora fortissima l’influenza del giardino del tè, che maggiormente realizza la dimensione di tanto ricercata tranquillità. Se il privato deve accontentarsi dello sgocciolio della fontanella di bambù e del piccolo specchio d’acqua che il poco spazio gli consente, negli ambienti destinati al grande pubblico è ancora possibile creare uno stagno sinuoso dove guizzano grosse carpe bianche e rosse, e dove lo scroscio di una cascata rallegri il cuore e la vista, mentre tutto attorno fanno da cornice alti alberi dalle varie forme e colori. Parco pubblico in una cittadina giapponese (Consolato generale del Giappone)

Pertanto la storia del giardino, fatta di continue evoluzioni, concatenate in una linea ininterrotta, dimostra l’esigenza dello spirito giapponese di non interrompere il rapporto con la natura, a tale scopo può bastare una striscia di terra accanto all’uscio di casa, una pianta ben accudita, una miniatura di giardino un paesaggio su un vassoio (Bonkei, fig.1), un albero in un vaso (Bonsai, fig.2), dei fiori dentro una ciotola (Ikebana, fig.3), una pietra paesaggio (Suiseki, fig.4) poiché è sufficiente un piccolo accenno per ricordare e talvolta enfatizzare una componente essenziale per l’umana felicità. Gian Luigi Enny

Foto pagina precedente: - Wang Mien del XIV sec. - Giardino moderno con laghetto ( foto Nippon Bonsai)

Bonkei - Fig.1

Bonsai- Fig.2

Ikebana - Fig.3

Suiseki - Fig.4


Mostre ed eventi COORDINAMENTO BONSAISTI SICILIANI - Francesco La Rosa

Nasce il Coordinamento Bonsaisti Siciliani

Testo di Francesco La Rosa Foto di Michele Impero

L’idea della creazione di un coordinamento siciliano risale al 1997 quando, in occasione della mostra organizzata dall’”Aretusa Bonsai Club”, i rappresentanti dei club partecipanti proposero la fondazione di un coordinamento. Purtroppo la riunione si chiuse con un nulla di fatto a causa di diverse opinioni esposte da alcuni bonsaisti presenti. Nel 2008, durante una manifestazione organizzata dal Bonsai Club Palermo, a seguito di una proposta dei soci del club palermitano, i Presidenti delle associazioni partecipanti hanno dato mandato alla Associazione del capoluogo siciliano di riproporre l’istituzione del “Coordinamento Bonsaisti Siciliani“. Grazie alla collaborazione ed alla solerzia di alcuni soci, hanno aderito undici club siciliani e alcuni singoli bonsaisti quali i fratelli Paolo e Francesco Miano, Paolo Licari, Francesco Barbagallo, Francesco Giammona che con le loro piante si sono distinti in vari concorsi. Il 14 dicembre 2008 presso la Biblioteca Scarabelli di Caltanissetta si è così costituita l’Associazione denominata “ Coordinamento Bonsaisti Siciliani “ con sede a Palermo e che non interferisce nell’attività dei club associati che operano secondo il loro statuto. Lo statuto del coordinamento ha lo scopo di promuovere e coordinare l’attività dei club regionali, migliorare la formazione dei propri iscritti attraverso workshop e dimostrazioni di esperti riconosciuti in ambito nazionale ed internazionale ; favorire seminari ed agevolare la conoscenza delle tecniche bonsaistiche promuovendo gemellaggi con altri club italiani ed europei. Inoltre l’Associazione ha come obiettivo la promozione dei talenti siciliani emergenti e la istituzionalizzazione di una mostra regionale itinerante. Un altro fine del Coordinamento è quello di favorire lo scambio di esperienze tra i vari club e lo scambio degli esperti presenti all’interno di essi. Fanno parte del Coordinamento: Bonsai Club Contea di Modica (RG) Bonsai Club Messina Drago Verde Bonsai Club (ME) Bonsai Club 5 Torri (TP) Ibla Bonsai Club Avola (SR) Bonsai Club Ragusa Bonsai Club Palermo Bonsai Club Favara (AG) Bonsai Club Catania Bonsai Club Caltanissetta Bonsai Club Vittoria (RG)

Il Consiglio Direttivo è così costituito: Presidente, Francesco La Rosa Vice Presidente, Paolo Nastasi Segretario, Vincenzo Tralongo Tesoriere, Nicola La Pica

Francesco La Rosa

La redazione ringrazia il Sig. Giuseppe La Susa per aver reso possibile il reperimento di questo articolo

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Mostre ed eventi

I° TROFEO NBC - Luciana Del Fico

I° Trofeo per Principianti Napoli Bonsai Club

di Luciana del Fico

Un Club è, generalmente, un luogo dove persone con gli stessi interessi decidono di riunirsi per fare un percorso insieme, un percorso condiviso nel rispetto reciproco e con l’intenzione di scambiare esperienze e conoscenze. Il Napoli Bonsai Club è tutto questo… e anche di più. E’ un luogo dove si viene innanzitutto accolti. E dicendo questo intendo dire veramente accolti, sentendosi da subito uno del gruppo, con semplice benevolenza e cordialità. Dal Giugno dello scorso anno è cominciata la mia esperienza nel Club: pochi mesi ma già tanto ho ricevuto, in insegnamenti, amicizia, simpatia e…conoscenza dei bonsai, naturalmente. Oggi vorrei raccontarvi il I° Trofeo del Napoli Bonsai Club. Nel corso dell’anno viene organizzato un corso gratuito per principianti di avvicinamento al bonsai. Il docente è il Presidente del Club Dr. Antonio Acampora ed è grazie alla sua abilità nell’insegnare agli aspiranti “bonsaisti” la storia, gli stili, la tecnica e l’estetica dei bonsai, che i principianti si affezionano a quest’arte e si adoperano nel mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti. Al termine del percorso di insegnamento del 2008 è stato organizzato il I° Trofeo per i principianti. Naturalmente c’è stato un grande entusiasmo da parte di noi allievi, ci siamo iscritti in molti e abbiamo atteso con ansia, che arrivasse il fatidico giorno. La mattina di sabato 6 dicembre eravamo in dieci partecipanti, la sala del Club è stata predisposta con tavolino e sedia per ogni postazione di lavoro e si è proceduto all’estrazione a sorte (per equità fra tutti) dei bellissimi Juniperus Procumbens pronti per essere lavorati. Così, ognuno con la sua piantina, i propri attrezzi e tanta voglia di fare, è iniziata la “gara”! Che bella giornata! Con un sottofondo di musica classica abbiamo esaminato le piante per decidere innanzitutto lo stile più adatto alla struttura naturale della pianta che ci era capitata. Dopodichè si è potuto passare alla potatura e poi alla filatura. L’ambiente, sempre amicale, si è andato via via affiatando: qualche battuta, uno scambio di idee e suggerimenti scambievoli, la pausa per una colazione veloce a base di pizza, la ripresa del lavoro e il tempo è volato. Sotto lo sguardo attento dei Soci “anziani” componenti il Direttivo,i principianti hanno impostato i gineprini in vari stili, kengai, hankengai, bunjin. Solo nelle ultime fasi ci è stato concesso di ricevere qualche consiglio dagli “esperti” o qualche piccolo intervento manuale per dare maggiore enfasi alla impostazione messa in atto.


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Mostre ed eventi

I° TROFEO NBC - Luciana Del Fico All’ora X cioè dopo circa 5 ore di lavoro, abbiamo consegnato le nostre “creaturine” e abbiamo lasciato la sala per dare modo alla giuria, composta dal Direttivo del Club, di scegliere il vincitore. Una breve attesa e … tutti dentro ad ascoltare la proclamazione. Con una “platea” attenta e interessata il Presidente Acampora ha esposto ad ogni partecipante il giudizio della giuria sul lavoro eseguito, con i relativi pregi e difetti, dando consigli su come migliorare in futuro. Il Vincitore è stato Antonio Matrullo. A lui è andata la bella targa ricordo con inciso la data e il nome del Club e un attrezzo da lavoro. La motivazione del primo premio è stata quella che con l’impostazione data dall’allievo, lo stile era subito riconoscibile, il filo ben messo e buono anche il rapporto tra il tronco e la chioma. Si sono poi classificati secondo Emiliano Neri e terzo Gennaro Terlizzi. A chiusura della giornata il tempo di scattare una foto ricordo del gruppo con la soddisfazione sui volti di tutti e l’arrivederci al prossimo incontro. Dimenticavo: portando via ognuno il proprio ginepro, offertoci dal Club, per continuare a coltivarlo, con pazienza ed umiltà, con passione e cura fino a farlo diventare un amore di bonsai. Grazie, Napoli Bonsai Club! Luciana Del Fico


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In libreria

WABI-SABI / BON-SAI - Antonio Ricchiari Titolo: WABI-SABI per artisti, designer, poeti e filosofi Autore: Leonard Koren Editore: Ponte alle Grazie Pagine: 92 ISBN: 8879285858 Prezzo: € 10,00

Wabi-Sabi: uno stile di vita, un modello filosofico, un ideale estetico, un cammino spirituale, ma soprattutto un’esperienza interiore che cambia il nostro modo di vedere gli oggetti (bonsai e suiseki compresi!), di abitare la natura, che esalta la nostra capacità di trovare l’armonia anche nelle cose apparentemente più dimesse, più semplici. Un modo di pensare degli orientali che investe tutti gli ambiti della vita e che porta la bellezza, l’eleganza e l’essenzialità del quotidiano. Arriva dal Giappone, ma è un concetto universale, prezioso e seducente, che può arricchire e completare la nostra cultura, capace di restituire all’arte del vivere saggezza ed equilibrio.

Titolo: Bon-sai. Storia, arte e filosofia Autore: Antonio Ricchiari Editore: Fabio Orlando Editore Pagine: 145 ISBN: ... Prezzo: € 19,00

Senza comprenderne il significato filosofico da cui scaturisce e le implicazioni religiose, capire il Bonsai rimarrebbe un tentativo privo di successo. Credo che chi voglia iniziare a fare Bonsai con impegno e serietà debba risalire alle sue origini, dato che il Bonsai non è un semplice hobby, come qualcuno ha tentato superficialmente di definirlo. L’interpretazione storico-artistica-filosofica ne rende chiaro il significato. Questo libro è il risultato di uno studio approfondito su testi stranieri, alcuni dei quali rari e introvabili e su Autori del secolo precedente. Il vasto pubblico di bonsaisti è ormai maturo per impegnarsi in una lettura più profonda che non sia la già vasta letteratura che parla soltanto di tecniche. Era necessario fare il cammino a ritroso: un impatto iniziale con la cultura del Bonsai - prima dell’approccio pratico - avrebbe forse spaventato il lettore facendolo allontanare da questo meraviglioso mondo. L’Autore ha scoperto una serie di notizie storiche attraverso Autori latini e greci che danno una diversa interpretazione sulla paternità del bonsai.


Bonsai ‘cult’

GLI STILI BONSAI - Giovanni Genotti

Gli stili bonsai. A cosa servono?

Testo di Giovanni Genotti

Gli stili sono stati codificati dalle scuole giapponesi di bonsai, derivano dall’osservazione delle piante più rappresentative cresciute in luoghi e climi diversi. E’ da notare che ogni pianta in natura, nella sua lunga vita, elimina cio’ che non le serve, con la maturità resta quella vegetazione che le è indispensabile; l’equilibrio vegetativo vitale si riflette in ogni sua parte. Si giunge con una pianta quasi astratta e sofisticata, inquadrata in un’armonia ed estetica che comunica una profonda sensazione. Gli stili sono nati come esempio al bonsaista che segue per non creare cose banali e per raggiungere con gli interventi, simili a quelli naturali, un risultato in tempi brevi. Sono quindi schemi da conoscere e seguire nella tecnica bonsaistica, per tutti. Schemi che si devono adottare sulle piante, conoscendone il loro comportamento, ed eventualmente superarne la loro rigidità. Questo superamento di essi però dev’essere ben valutato e sempre a favore di un’armonia d’insieme della pianta. Armonia giustificata anche da precedenti inconvenienti e particolari sviluppi di crescita. La conoscenza dei diversi stili è perciò fondamentale poiché poggiandosi sulla storia di vita del materiale di partenza lo si può esaltare e migliorare nel raggiungere la maturità come bonsai. Gli stili dicono non soltanto dove un’essenza cresce (una latifoglia a scopa rovesciata difficilmente cresce in un terreno roccioso o di montagna), ma ricordano anche l’andamento stagionale e climatico. Le curve del tronco nell’eretto causale o la cima arrotondata ,ricordano le nevicate abbondanti sopportate nei primi anni o negli ultimi di vita. Lo stile inclinato suggerisce uno smottamento su un ripido pendiosu cui è cresciuta la pianta, suggerisce il protendersi di essa verso la luce, e quindi superare l’impedimento dovuto a rocce o altre piante. Ogni singolo stile si adatta quasi esclusivamente ad un tipo d’essenza; abeti o leggere caducifoglie per i boschi, ulmacee per la scopa rovesciata. Educare un acero a forma di scopa è innaturale perchè esso cresce in luoghi con substrati poco profondi. Una cascata o un prostrato saranno adatti a ginepri. L’eretto causale sarà lo stile a cui si adattano quasi tutte le piante che crescono in zone a clima temperato. E’ però uno stile difficile da creare nelle giuste proporzioni, come l’ampiezza delle curve del tronco nello spazio, posizione e angolazioni dei rami. Proprio perché offre molte possibilità interpretative è molto sfruttato ma è facile incorrere in errori grossolani. Una grossa chioma a semisfera, giovane e precisa, su di un tronco contorto, che presenta innumerevoli e pesanti shari, jin e parti morte è un grosso errore che spesso si vede. Oppure la creazione di curve regolari simmetriche poste su un piano. Col seguire pedestremente le regole degli stili si educheranno bonsai piacevoli ma non eccezionali. La conoscenza di esse però è indubbiamente indispensabile; applicarle al giusto materiale e superarle nell’equilibrio ed armonia propria della vita stessa in oggetto, si possono creare capolavori. E’ da considerare anche che pochissimi bonsaisti sono artisti (nel senso di rispetto della natura risaltandone l’aspetto nella strutturazione di un bonsai). I capolavori perciò si possono contare sulle dita, come si suol dire, spesso le dita di una mano sono sin troppe. Non accetto assolutamente le forme disegnate al computer (virtual) basate sull’estetica dettata dalle nostre regole su ciò che osserviamo ed in particolare sulle cose inanimate ed il tutto questo senza conoscere lo stile a cui meglio si adattano i materiali di partenza e le sue reattività alla tecnica bonsaistica. Dopo aver giustamente educato in diversi stili molte e ripeto molte piante, delle quali si conosce il comportamento, si potrà o si dovrà scegliere per il materiale di partenza un compromesso alle regole. Compromesso voluto e accettato dall’essenza che potrà rendere il bonsai non solamente unico ma espressivo e forse con il tempo un capolavoro; un tangibile risultato che lega l’uomo alla vita vegetale della natura. Un compromesso (non frutto del caso) che unito alle tecniche e alla sensibilità del bonsaista ne può per esso giustificare l’appellativo di maestro. La conoscenza profonda degli stili è quindi indispensabile per chi intraprende un qualsiasi lavoro bonsaistico ma dev’essere piu’ che mai approfondita per colui che vuole dedicarsi all’insegnamento delle tecniche bonsai. Giovanni Genotti

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La mia esperienza

RICOTTURA DEL FILO DI RAME - Sergio Guerra

La mia esperienza

Ricottura del filo di rame di Sergio Guerra

Fig. 1 - Fornello

Fig. 2 - Matassa di rame

Fig. 3 - Colore dopo la cottura

All’inizio della mia avventura nel mondo dei bonsai non ho mai avuto problemi nel trovare il rame per le legature. Questo perchè ricevetti l’aiuto da parte di un amico di mio padre, anch’esso interessato ai bonsai. Questo signore recuperava, dalla rottamazione di grossi trasformatori elettrici dismessi, i fili dal diametro 1,5 mm./4 mm., mentre i diametri inferiori li reperiva da artigiani addetti al ripristino degli avvolgimenti dei motori elettrici. Stiamo parlando del 1990, anni in cui il rame d’importazione giapponese costava come l’oro ed era reperibile solo in pochissimi centri specializzati... Purtroppo nel 1999 questo caro amico è mancato, lasciandomi come ricordo parecchio rame, ma soprattutto le informazioni utili per una corretta ricottura. Il filo di rame utilizzato dai bonsaisti per le legature deve essere molto malleabile nella fase di avvolgimento e dopo questa fase deve irrigidirsi per mantenere in piega il ramo. Queste caratteristiche si ottengono solo dopo la ricottura. La ricottura può essere fatta in svariati modi, con cannello da saldatore, forgia e altre fonti di calore capaci di far sì che il filo raggiunga una temperatura variabile da 350° a 600° centigradi. L’estate scorsa andai in visita a dei conoscenti, stavano cucinando e usavano un fornello a gas...osservando la fiamma mi tornò in mente il filo di rame. Ad Ottobre recuperai 3 kg. circa di filo suddiviso in 3 misure 0.8-1,5 e 2 mm, mi feci prestare il fornello (Fig. 1) e cominciai il lavoro. Facendo inizialmente delle matasse, iniziai a riscaldarle, una matassa alla volta (Fig. 2) ribaltandole su se stesse un paio di volte fino a portarle a temperatura. Il filo deve assumere un colore arancio-giallo (Fig. 3), un colore simile al sole quando tramonta (frase rubata ad un amico). La fase di riscaldamento dura all’incirca 5-7 minuti. A questo punto, una volta tolte dalle fiamme, le matasse vanno fatte raffreddare all’aria sopra una tavoletta di legno (Fig. 4), in quanto più si allunga il tempo di raffreddamento, più il filo rimane morbido. Il risultato è ottimo ed ecco come si presenta il filo dopo il trattamento (Fig. 5). Subito dopo sono sceso in giardino, ho tagliato due rametti dal faggio pendulo e ho fatto la prova di avvolgimento, il risultato?….più che ottimo direi eccellente, molto morbido nell’avvolgimento e rigidità elevata dopo la piega (Fig. 6). Riassumendo il tutto in poche parole, con il FAI DA TE si possono risparmiare diversi soldini da impiegare in altre spese indispensabili. Buon lavoro a tutti.

Fig. 4 -Matasse lasciate a raffreddare

Fig. 5 - Rame dopo il raffreddamento

Fig. 6 - Rami di faggio avvolti col rame

Sergio Guerra


La mia esperienza

CIPRESSO TOSCANO INCLINATO - Sergio Biagi

La mia esperienza

Cipresso toscano inclinato di Sergio Biagi

Questa è una storia forse come tante, in un momento in cui il bonsai italiano comincia ad assomigliare sempre più a quello Giapponese per il passare di mano in mano di alcune piante che vengono via via esposte alle manifestazioni e poi cedute, per essere di nuovo presentate alla manifestazione successiva da un altro proprietario. Il cipresso che vi presento prima di essere presentato a Fermo UBI 2007 era di mia proprietà e fu raccolto da me nel lontano 1997. La pianta presentava come motivo di interesse un movimento del tronco abbastanza marcato considerata l’essenza e una corteccia che più avanti fu definita corticosa, tipica di quella zona. La vegetazione era scarsa e andava costruita passo dopo passo durante la coltivazione. In quel periodo scrivevo qualche articolo su di una rivista che ora non esiste più (BonsaItaliano) per cui alcune delle foto che seguiranno si riferiscono a quel periodo. (Fig. 1 e Fig. 2 - 1998) Il cipresso ben attecchito è pronto per la prima impostazione, lo possiamo vedere nel fronte e nel retro. (Figg. 3, 4, 5, 6, 7 e 8 ) Il lavoro principale si è focalizzato nel dissimulare il taglio del tronco, cercando di renderlo il più naturale possibile - e ad avvolgere la poca vegetazione presente in quel momento. Verso la fine degli anni ‘90 le tecniche e le attrezzature evolute per la lavorazione della legna secca, quali la sabbiatura, la bruciatura ecc. non erano diffuse ed evolute come ai giorni odierni. In quel momento esisteva la fresatrice per cui il lavoro fu eseguito per mezzo di questo utensile e poi, successivamente, una volta asciugato il legno, sulla pianta venivano passate varie spazzole abrasive in modo da sfibrare i tessuti più morbidi. In Fig. 6 si vede la pianta impostata, il primo ramo posizionato sulla destra. Nell’autunno ’99 la pianta (Fig. 9), nonostante il rinvaso dimostrava di aver reagito positivamente. E nella primavera del 2001 la vegetazione appariva abbastanza matura (Fig. 10).

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 9 Fig. 7

Fig. 10

Fig. 8

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13 CIPRESSO TOSCANO INCLINATO - Sergio Biagi La mia esperienza

Dopo un’ulteriore rifinitura e un intenso programma di concimazioni nel 2002 fu esposta alla mostra del Coordinamento Regionale Toscano (Fig. 12). Nel 2004 decisi di eliminare il grosso jin apicale, dato che era in contrasto con la vegetazione ormai matura. Tagliai inoltre il primo ramo di destra, a sinistra quello che era un piccolo germoglio era ormai diventato un ramo (Figg. 11, 12). Intanto il cipresso aveva fiorito, sintomo che cominciava a dare segni di sofferenza, l’anno successivo si rese necessario il rinvaso, colsi l’occasione per ruotarlo di quel tanto che mi consentiva l’apparato radicale per poter mettere in risalto ancora di più il movimento del tronco (Fig. 13). Nel 2006 la pianta passò di proprietà di Stefano Frisoni, che la preparò al meglio per presentarla a Fermo UBI 2007. Ecco invece come si presentava in occasione di Arco 2007 (Figg. 14, 15). Da allora Stefano ha lasciato riposare il cipresso, libero dal filo, ed ora è diventato di proprietà di un appassionato Versiliese aderente al club Associazione Versilia Bonsai dove anch’io insieme ad altri amici coltivo il mio hobby. In primavera quando la temperatura si farà mite verrà preparato per essere esposto di nuovo, ma onestamente non so dirvi dove e quando.

Fig. 11

Come si può vedere anche in Italia le piante passano di mano in mano, quello che mi fa più piacere è che questa pianta sia tornata in Versilia, e avere di nuovo la possibilità di seguire e toccare questa pianta che in qualche modo sento sempre un po’ ancora mia.

Fig. 12

Fig. 13

Fig. 14

Fig. 15

Sergio Biagi


A lezione di suiseki

INTRODUZIONE AL SUISEKI - Luciana Queirolo

Introduzione al Suiseki... di Luciana Queirolo

Tenterò di seguire un filo conduttore…Ma già so che fallirò…Mi riesce sempre così difficile… La colpa non è solo mia, ma è che, nel fantastico mondo del Suiseki, Bacheca al Congresso AIAS - Museo geopaleontologico – Lerici - anno 2000 troppi sono i richiami incantatori. Troppi i ricordi e gli aneddoti; troppe le cose che vorrei raccontare, per catturare tra voi anche gli ultimi scettici: … c’è questo! Ma sarebbe bene dire anche quest’altro!...i pensieri si affastellano…. Potrei iniziare con qualcosa di leggero; accaduto in un giorno qualunque di “tranquilla e ordinaria follia”… “Affinità”: parola grossa, dirai, se associata al legame tra l’anima mia a quella di una … pietra. Bene! A favore di chi inizia ora con me, proviamo a recuperare…

...brani e note scritte nel tempo Dato a SUISEKIONLINE, Agosto 2004

Feeling: quando è la pietra che ti sceglie. Scendiamo al fiume, un fiume vergine, per noi. La zona intorno è buona, perciò il greto non può deludere. Fatti 20 metri… un sasso; poi un altro. “Guarda questo; cosa ti sembra quest’altro?” Ci allontaniamo per discrezione, uno di qui, uno di là, per non soffiarci le cose di sotto il naso: è sempre imbarazzante… Ti rimane, comunque, la sottile smania dell’arraffo: quasi corressi il rischio che ti venga tolto il pane di bocca. Riempi veloce la cassetta, come se tutto quel ben di Dio dovesse svanire. Non ti fermi a valutare: la macchina la vedi, tanto è vicina; a casa avrai tempo. A casa, il giorno dopo, ti chiedi cosa ti sei portato dietro. Cosa mai ci avrai visto. Un Dan-seki sì ma l’altipiano è uno solamente e quello piccolo sul fondo, non fa testo. Per non dire che i più smaliziati ti diranno: che te ne fai di quella pietra rotta? Perché poi l’avrò presa… Me la giro tra le mani… Ma cosa è nato, lì dietro? Eccola lì, la mia deliziosa famigliola di funghetti; è lì la mia fattoria: sul fronte, davanti alla casa padronale c’è la stalla per le mucche; più indietro, il ricovero per maiale e galline. Angelo dice: “non l’avrei vista neanche io”. E questo, per me, è una bella consolazione: ciechi entrambi, fortunata io. *******

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15 INTRODUZIONE AL SUISEKI - Luciana Queirolo A lezione di suiseki

Ho cercato già sul Forum di approfondire il tema della pulitura di una pietra delle nostre, ma credo di aver sorvolato un pochino sopra la sua fase iniziale, di base. Vi ripropongo, allora, alcune semplici considerazioni, postate… Per un forum francese, anno 2003

… in queste foto c’è tutto ciò che mi occorre; le spazzole immortalate dimostrano di aver ANCHE lavorato … :-) … la polvere, poi, ne è la riprova. La dimensione delle pietre, che risulta agevole pulire con il trapano a colonna, dipende dalla forza dei nostri polsi; da quanto possa essere bloccante e per quanto tempo. Questo metodo è oltremodo pratico e per più di una ragione: 1)Il numero di giri del motore è regolabile e comunque minore che nei trapani a mano: questo rallenta il lavoro, ma crea anche minor rischio di rottura. La velocità del motore è determinata dalla maggiore o minore tensione delle cinghie: premendo con forza contro la spazzola, potrete infatti notare un equivalente rallentamento del motore stesso.

2)La spazzola è bloccata nella posizione orizzontale e noi avremo a disposizione entrambe le mani, libere di ruotare la pietra a seconda della direzione della piega in cui intendiamo penetrare. 3) Con il trapano a mano, naturalmente, hai in mano anche il peso del motore, mentre la pietra deve essere bloccata. Le braccia sono in tensione per tenere saldamente l’attrezzo; gli occhi e la mente sono concentrati su ciò che stai scoprendo… Spesso accade di scoprire ... che le tue mani sono avvinghiate sopra le prese dell’aria del trapano. :-( Risultato? Vuoi perché si surriscaldano (i trapani), vuoi perché aspirano quasi tutta la polvere che fai....il mio fanatico spirito del “non si butta niente” ha raccolto in cantina un cimitero di trapani che finisco per non far aggiustare, seguendo la logica che comperarne uno nuovo costi meno. :-( :-( Difficilmente riesci a bruciare un trapano a colonna; dopo un uso prolungato puoi avere problemi di sfibramento delle cinghie; le ricerca di “quel tipo” di cinghia e di “quella esatta misura”, è una storia infinita evitabile, se ti informi dal venditore prima dell’acquisto. 4) L’esperienza porta a formulare una infinità di banali consigli, forse utili a chi comincia. Si è parlato di cinghie… Fortuna è, ad esempio ....avere un posto, dove spazzolare le pietre all’aperto. Una bella giornata di sole...c’è anche un discreto venticello a spazzare via polvere e calore; il lavoro rende e la giornata passa…c’è un ombrellone aperto sopra il carrello e ripara dal sole non la mia testa, ma quella del trapano! Circa il mio cervello, non nutro speranze di recupero, mentre temo molto di più il surriscaldamento ed il conseguente spappolamento della gomma delle due cinghie… È bene usare il teflon ove occorra delicatezza. In questo caso, una pietra strana, complessa perchè costituita da vari corpi collegati tra loro da esili porzioni di quarzo. Il teflon è necessario per pulire colori chiari ( a volte, è bene non usare neppure quello!). Non dobbiamo, però, insistere a lungo, perchè la fibra si surriscalda, rimanendo “spalmata” sulla pietra. C’è ancora qualche cosa da notare, nella solita inquadratura: le spazzole vecchie. Ebbene sì: sono di Genova: di quella stirpe che insegnò l’avarizia agli scozzesi. Vendono spazzole di misure diverse: diverso spessore e diversa lunghezza di fili. A fili lunghi, ci sono due spessori, come pure a fili più corti. Poi ci sono le spazzoline di diametro inferiore. Non vi è eccessiva differenza di prezzo, tra fili lunghi e fili corti, ragion per cui, COMPRO SPAZZOLE A FILI LUNGHI, le utilizzo per lavori di fino e per entrare in profondità poco accessibili diversamente, UTILIZZANDOLE POI, una volta consumate, per sgrossare parti dure o pianeggianti, per la pulizia del fondo della pietra (quando occorre) etc... (che pigna secca!!!) Ci sono poi le spazzole a tazza, che consiglio per le spazzolature più Bene! Fatta un po’ di pratica con trapani e spazzole, per ottenere risultati ottimali, toste. Vi sono in commercio spazzole di ac- spero possano valere i consigli che vi ho dato nei post del Forum Suiseki, sulla ciaio di diversa durezza; quelle dai pulitura. fili di acciaio tenero costano meno Abbiamo lasciato indietro l’argomento forse più importante, anche se apparentema le lascio a chi le vende. :-) mente meno visibile, di una pietra Palombino: il suo fondo.

Venti anni fa, quel poco di estetica che masticavamo, ci imponeva il “pulito è bello!” e noi lo si intendeva in modo totalitario. … E giù di spazzola, punteruolo e punte al diamante, allorquando la pietra si fosse ribellata, opponendo resistenza. Ci si fermava solamente davanti al suo fondo - schiena perfettamente lustro, un vero dorso di “tartaruga”, come i pettorali di un palestrato. Devo mettere anche qui una delle mie “zampate acide”. Lo stesso effetto naturale può essere infatti riprodotto, dopo aver tagliato una pietra per migliorarne l’aspetto estetico (o per eliminare rotture), con una sosta del taglio in un velo di acido, per un tempo che vada dai 10 ai 15 minuti, a seconda della resistenza del materiale che, soprattutto in prossimità delle basi, contiene un maggior apporto di silice. Pietre sottoposte a questo trattamento sono state vendute per naturali, ma è purtroppo riscontrabile che, a volte, contraffazioni simili si possano trovare anche in mostra.


A lezione di suiseki

INTRODUZIONE AL SUISEKI - Luciana Queirolo

Una piccola dimostrazione: Lasciare intonso il fondo di un palombino, aiuta il compratore ad apprezzare maggiormente il pedigree della sua pietra. Al di là comunque del concetto “mi hanno…. frodato”, c’è un valore estetico, che fummo in grado di conoscere ed apprezzare in seguito, con la diffusione di materiale illustrativo. Scoprimmo così che in Giappone non vi erano solamente pietre storiche da Furuya con basi pulite, bensì anche pietre dove lo zoccolo era stato preservato. Dire “preservato”non è neppure esatto. Molto meglio è dire che lo zoccolo non viene tolto quando raggiunge una durezza quantomeno atta a soddisfare il concetto di durezza sufficiente per un suiseki. Tra l’altro, se la zona degradata è troppo morbida, pretendere di circoscriverla dentro una base di legno è impresa assai ardua: nelle frequenti prove durante la costruzione, si staccheranno piccole schegge, mutando continuamente la linea del perimetro di base. Nel caso qui sotto riportato, pulire il fondo della pietra è d’obbligo:

Ora, alcuni esempi di pietre giapponesi con il degrado marrone conservato e spesso ritoccato allo scopo di togliere parte degli spigoli. Il primo esempio è una pietra di Arishige Matsuura. Un altro meiseki storico:

Alcune immagini tratte da numeri del 2008 di Juseki, rivista giapponese facilmente reperibile. E’ veramente interessante come si possa facilmente distinguere a quale livello estetico siano giunti i proprietari delle pietre. Pietre di esperti collezionisti, vengono affiancate ai saggi di nuovi appassionati: proprio come da noi… Noi che spesso ci troviamo a trasgredire alle regole ma che, in certi casi, siamo legati al dogma giapponese che ci fu insegnato, più di quanto lo siano i giapponesi stessi.

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17 INTRODUZIONE AL SUISEKI - Luciana Queirolo A lezione di suiseki

Anche questa arenaria non è da meno (i nostri giudici la bollerebbero perché arenaria e perché sporca, qualcuno di mia conoscenza ne ha fatto le spese…..) Mentre qualcun altro avrebbe qualche cosa da dire su questo daiza (vero, Sergino?)

Nell’immagine qui sotto, abbiamo una pietra in primo piano, con base naturale non pulita ed una sul retro, saldata su quarzo, come pietre mie che già vi postai: un genere di bianco a “banco di nuvole o foschia” molto apprezzato e di cui vi parlerò, ma un’altra volta. Questa mia aggressiva “testa di gallo” attende una altrettanto aggressiva pulitura, ma ipotizzo la mia resa, di fronte alla durezza della sua cresta e dei suoi bargigli.

“domata dal tempo” ha tutta l’aria di una pietra trovata anch’essa, fasciata da morbido fango.

Un altro piccolo mame, nascosto in un pugno di terra:

Il fondo invece è intatto, in grado di dimostrare a chiunque ed all’occorrenza, la sua integrità.

Uno spesso strato non eliminabile, se non usandogli violenza: Se poi abbiamo pietà di ciò che una sabbiatrice ha risparmiato….. Per nostro diletto e per godere al meglio la suggestione di questa curiosità, ho voluto essere indulgente ed andare leggera: … ma la costruzione del daiza (da ultimare) sta richiedendo una pazienza ed una attenzione a livello quasi… “chirurgico”

Ci sarebbe altro da dire, ma…. Basta! Ed alla prossima.

Luciana Queirolo


A scuola di estetica

NOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari

Note sull’estetica del Bonsai II parte

Testo di Antonio Ricchiari

L’estetica è stata definita tradizionalmente come lo studio del bello. Alcuni studiosi la hanno definita lo studio delle arti. Altri hanno preferito trattare sia il bello sia l’arte, separando i due campi dell’estetica, ma analizzandoli entrambi. Ognuno di questi due concetti – il bello e l’arte – appartiene senza dubbio ad una sfera diversa. Il bello non è limitato all’arte, mentre l’arte non è esclusivamente ricerca del bello. Nel caso del bonsai l’estetica è una ricerca del bello; l’estetica spiega l’azione del bello. Cicerone descrive la bellezza quale ordine e convenientia partium, cioè accordo fra le parti. Hegel dice che quanto poco definibile è il bello, altrettanto non si può rinunciare al suo concetto. Così l’esperienza estetica della natura e quindi del bonsai è una esperienza di immagini. Il bonsai non è un mezzo per suscitare nel discente uno stupore. Nel contesto di una natura silente, pagina dopo pagina viene plasmata la visione del bonsai che si fonde in un vortice in divenire con la natura che ognuno si immagina e che è diversa dalla natura che ci circonda in una condizione metropolitana. Ecco allora che il bonsai prende forma, una forma a volte incerta ma che, giorno dopo giorno, è pronta a rinascere, a trasformarsi in mano a chi è riuscito infine a manifestare l’essenza assoluta dell’albero. Dalle mie interminabili discussioni con chi ha voglia di apprendere emergono sempre quanta attenzione e quanto interesse in realtà si celano per il bonsai. La realtà visibile della natura, percepita nelle tre dimensioni dell’ottica naturale, non si deve limitare all’osservazione dell’albero, ma alla possibilità di indagarlo negli anfratti più intimi. I medesimi principi di estetica che sono retaggio dello Zen si applicano al bonsai. Asimmetria, che impedisce l’impressione di staticità e mette in moto quella di movimento. Armonia, tra i diversi elementi, in modo che nessuno risulti esagerato ed esasperato rispetto agli altri. Ritmo, che viene fuori dall’armonia costruita con l’asimmetria. Questi tre elementi sono realizzabili nel bonsai con l’uso calibrato del vuoto visto come condizione essenziale nell’evidenziazione dei rapporti tra i singoli elementi della pianta. Questo processo che, mediante il vuoto, pone in risalto elementi e le loro relazioni appare ancora più esplicito nell’impalcatura del bonsai. Semplicità, condizione essenziale nel bonsai perché valorizza ed esalta la forma stessa della pianta e ne agevola la percezione visiva. Naturalezza, la quale dovrebbe essere il risultato finale apprezzabile dall’osservatore quando sono stati applicati a regola tutti i i principi che condizionano un albero. Solo allora si potrà parlare di bonsai. È importante tenere presente che ogni parte dell’albero che si deve impostare serve per comunicare una immagine coerente e “veritiera” del bonsai. Soprattutto, nessun elemento deve disturbare l’immagine della pianta che si sta educando. Tutto ciò significa che la progettazione non deve essere unidimensionale né tanto meno risultare monotona. La tensione è molto importante per il disegno, ma la coerenza dell’insieme deve essere la regola che governa la fase progettuale. In fase progettuale, una maniera semplice per verificarne la validità è quella di porsi alcuni interrogativi su tutti quegli elementi che sono fattori di una particolare efficacia estetica: - Come è la linea del tronco? - Qual è il suo movimento corretto? - Il diametro e l’altezza sono realmente proporzionati? - La sua collocazione nel vaso è azzeccata? - I rami hanno la giusta disposizione? - La parte apicale è ben strutturata? - L’apparato radicale di superficie è sviluppato in maniera proporzionata al nebari? - La varietà di albero cosa vuole comunicare all’osservatore? Ecco alcune risposte che vi aiuteranno nella valutazione: Il tronco comunica: Potere, mascolinità, età Le radici di superficie comunicano: Forza, età, mascolinità, movimento direzionale I rami comunicano: Delicatezza, femminilità, immaturità, tranquillità Il tronco comunica: Condizioni che alterano la linea del tronco, la femminilità I rami comunicano: Forza, mascolinità, stabilità, rigidità

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A scuola di estetica

NOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari

Gli stili di base

Iniziamo da un’attenta analisi dei cinque stili-base canonizzati dai giapponesi perché è nostro convincimento parlare di critica estetica che riguarda il bonsai contemporaneo che rimane ancorato, in fondo, alla elaborazione degli stili. Non ricordo chi disse: “è assurdo imparare le regole per poi non saperle infrangere!”. Chi parla di bonsai d’avanguardia ignora che le avanguardie, le eterne avanguardie hanno sempre alimentato la cecità delle masse nei confronti dell’arte, e il giudizio estetico ha finito per lasciare il posto alla rivoluzione artistica. In un bonsai la bellezza è intuitiva, non deriva da nessun ragionamento: lontana dalla ragione e dai concetti sul bello. Il bonsai esiste in tre dimensioni e il tempo è legato alla forma della pianta. La differenza sostanziale fra gli stili giapponese e cinese sottendono la difficoltà per gli occidentali nel creare uno stile particolare. Lo stile cinese predilige la forma del tronco e dei rami mentre in quello giapponese e altrove è preferito il fogliame.

CHOKKAN, lo stile eretto formale

Il bonsai con il tronco rigidamente verticale si può ottenere seguendo alcune semplici regole. In natura si trovano alberi con portamento simile in soggetti vetusti; nel costruire un bonsai con questo stile bisogna idealizzarne quelle che sono le caratteristiche fondamentali. Un buon Eretto formale ha il tronco perpendicolare al suolo, che si dirige verso l’alto e che nel quinto superiore si divide in piccoli rami. In natura si trova del materiale di partenza con il quale si può realizzare un soggetto non troppo rigidamente, con ampia chioma e un nebari robusto. La costruzione prevede il tipico tronco verticale che si va sempre più assottigliando, i rami orizzontali, alternati, lungo un percorso a spirale che si snoda verso l’apice. Nella parte anteriore si pretende la visibilità del tronco e dei rami bassi. Particolare importanza per il bonsai in questo stile riveste il primo ramo. Bisogna fare attenzione che il diametro del tronco sia proporzionato alla larghezza della chioma. I bonsai con chioma larga hanno bisogno di un tronco robusto, soggetti con tronco più esile vogliono una chioma rarefatta e il diametro del tronco deve essere il 10% della larghezza del bonsai. L’impostazione dei rami richiede molta attenzione della definizione del progetto; il primo ramo, quello inferiore posto più in basso, deve avere un aspetto robusto, marcato perché delinea la personalità del bonsai. Il secondo va posto nella parte opposta al precedente e deve essere pur’esso robusto. Gli altri vanno assottigliando e si alternano via via verso l’apice, disposti tutt’intorno al tronco e su esso distribuiti. Nel tratto di tronco esistente fra i palchi conservati, non deve essere lasciato nessun altro ramo. Un buon “piede” con un apparato radicale di superficie disposto a raggiera, ben equilibrato costituiscono un’ottima premessa per avere un bonsai ben costruito. Nella disposizione dei palchi bisogna fare in modo che gli spazi fra ramo e ramo diventino più brevi man mano che si arriva alla zona apicale. I vasi adatti a questo stile possono essere rettangolari od ovali. La grandezza del vaso dipende dalla larghezza del bonsai e dal diametro del tronco.

MOYOGI, lo stile eretto casuale

Questo è forse lo stile più comune sia in natura che nel bonsai e si adatta alla maggior parte delle specie. A causa delle condizioni ambientali - vento, ombra e competizione con altri alberi nella ricerca di luce e acqua - il tronco si inclina, si piega e cambia direzione. La pianta presenta un portamento tendenzialmente eretto - verticale o con angolazioni entro i 15° dalla verticale - e di profilo ben equilibrato. L’inclinazione o una curva piuttosto marcata del fusto devono trovarsi sul piano orizzontale del fronte e non in direzione dell’osservatore. Si ha un tronco robusto e sofferto, con forti radici di superficie, che si erge inclinato dal terreno. I rami principali più bassi sono robusti e disposti nelle parti laterali del tronco. La disposizione del primo ramo è posta all’esterno di una curva, è robusto e dà carattere al bonsai. I rami successivi vanno posti sempre all’esterno delle successive curve del tronco e questo mette in rilievo la forma del fusto. All’apice della pianta i rametti si collocano a raggiera in tutte le direzioni. Gli interspazi fra i rami diminuiscono via via verso l’apice assieme al diametro del fusto e dei rami principali. Il tronco e la corona apicale si inclinano verso l’osservatore: visto lateralmente il bonsai è proteso in avanti.


A scuola di estetica

NOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari

Stile prostrato

Spesso assumono questo portamento gli alberi che crescono sopra o accanto a pareti verticali di roccia o lungo fiumi e laghi dove l’acqua, riflettendo la luce sulla parte inferiore dei palchi fogliari, invita i rami più bassi ad estendersi al di sopra della superfici luminosa. Come principio generale, la linea di un tronco è prostrata quando è compresa tra i 45° sopra e appena sotto l’orizzonte, e termina all’altezza del bordo del contenitore, o poco più in basso. Questa regola non è assoluta e molto dipende dall’impatto d’insieme: un andamento marcatamente orizzontale sarà definito prostrato anche se termina al di sotto del bordo dei vaso. La presenza di radici esposte funge da contrappeso all’angolazione del tronco, come avviene nello stile inclinato.

Stile inclinato

Un albero esposto a forti venti tende a crescere nella direzione del vento più costante, mentre alberi che crescono all’ombra di edifici, rupi o altri alberi mutano l’inclinazione del tronco per cercare la luce. Caratteristica di questo stile è l’angolo costante del tronco dalla base all’apice, un’apertura massima di 45 gradi dalla verticale; il tronco in sé può essere diritto o curvo. Le specie botaniche adatte sono numerose. Le radici visibili assumono una connotazione di ancoraggio e sono generalmente compresse sul lato con angolo acuto e distese dalla parte opposta, per reggere il peso squilibrato della pianta.

Stile a cascata

Rappresenta un albero che cresce sporgendosi da un dirupo. La direzione del tronco verso il basso è dovuta al peso della pianta, della neve e persino di eventuali valanghe o slavine. Generalmente la linea del tronco, in questi bonsai, cade al di sotto dell’orizzonte e termina sotto il livello del fondo del vaso. Quest’ultima tuttavia non è una regola assoluta, poiché se l’impatto visivo è fortemente direzionale verso il basso, il bonsai può venire definito a cascata anche se l’apice non giunge a livello della base del vaso. Come per il prostrato, questo stile non si adatta ad alberi con un marcato portamento verticale.

Stile a ceppo comune

Avviene quando più tronchi crescono dallo stesso apparato radicale in formazione compatta e si dipartono dal piede a cercare il proprio spazio vitale. Ne esistono numerosi esempi naturali in certi boschi dove, un tempo, si eseguiva la ceduazione: una pratica in disuso per la produzione di legname in cui gli alberi venivano capitozzati e i nuovi getti, diritti e vigorosi, costituivano ottimo materiale per recinzioni e altri lavori di costruzione. Vi sono alcune specie con una naturale tendenza a sviluppare tronchi in questo modo.

Stile a zattera

Si ispira a quegli alberi che, in natura, sono caduti al suolo ma hanno continuato a svilupparsi e i loro rami sono cresciuti verticalmente diventando nuovi tronchi. Nel bonsai, questa caratteristica offre l’opportunità di ricavare un progetto interessante da un misero alberello con rami unilaterali, non altrimenti utilizzabile.

Stile sinuoso

Questa conformazione si presenta, in natura, quando spuntano polloni da una radice superficiale o quando un ramo molto basso sfiora il terreno ed emette radici dando vita a nuovi tronchi. Le specie più adatte a questo stile sono quelle con tronchi e rami flessibili (come pino e tasso) o con la tendenza a emettere polloni dalle radici affioranti (come olmo e cotogno); le essenze che non presentano questa tendenza sono meno idonee. Il termine ‘sinuoso’ sta a definire la sequenza dei tronchi sul terreno che segue una linea curva 0 contorta dovuta alla crescita disordinata dei polloni, mentre nello stile a zattera la direzione del tronco caduto determina la sequenza dei nuovi tronchi.

BOSCO O GRUPPO DI PIANTE

Questo metodo di impianto crea l’effetto di un gruppo di alberi che crescono vicini, di un bosco o di una foresta. L’effetto deve essere molto naturale e non artificioso, cosa più facile da ottenere con un numero dispari di esemplari. I bonsai presentano un minimo di cinque alberi. Il numero dispari, anche se raccomandato dai giapponesi, non è indispensabile per gruppi numerosi, cioè quando sia necessaria una certa concentrazione per contare i singoli esemplari; vale a dire che un gruppo non sarà mai formato da quattro alberi ma da cinque, mentre sedici potranno dare già una buona impressione e trenta creeranno un effetto di vera foresta. Antonio Ricchiari

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L’essenza del mese

OLIVO - Antonio Ricchiari

Olivo Famiglia: Oleaceae Genere: Olea Specie: Olea europaea

L’Olivo interpreta l’essenza e l’identità del bacino del Mediterraneo, la sua millenaria storia, di popoli antichi e mitici, dalle Città Stato Elleniche fino alla Spagna Saracena, passando per l’Impero Romano. Nei secoli l’olivo ha rappresentato una fonte di ricchezza alimentare e spirituale rendendosi aduso ai più svariati impieghi ed ancora oggi rappresenta, dal punto di vista paesaggistico, il caratteristico complemento alle aree collinari ed a quelle pianeggianti, inducendo nei viaggiatori quell’idea di casa cui fare riferimento.

Una visione maestosa

Il fascino e l’attenzione stupefatta che si subisce osservando un possente e vecchissimo olivo, la bellezza del disegno delle sue radici, del suo “legno”, dei suoi rami inducono l’immaginazione a ripercorrere, dunque, preistoria e storia dell’uomo attraverso questo “materiale” fornito dalla natura e assunto dallo stesso uomo sin dalla primitività. La pianta dell’olivo ha origini antichissime: reperti archeologici del neolitico attestano l’uso di olive come alimento e presenza di olivi già in quello terziario. La coltivazione dell’olivo affonda le sue origini nel lontano Medio Oriente per poi svilupparsi in tutto il bacino del Mediterraneo. I primissimi frantoi, rinvenuti sia in Siria che in Palestina, risalgono intorno al 5000 a. C. Circa 6000 anni fa, durante l’età del Rame, alcune comunità di agricoltori che abitavano nelle regioni litoranee del Mediterraneo Orientale, ovvero sull’attuale costa siro-paestinese, intervennero su alcuni olivi a frutti grandi e cominciarono a scegliere le varietà in modo sistematico e non casuale. L’Olea Europaea è tra le specie arboree più antiche coltivate nel bacino del Mediterraneo in cui ancora oggi si ottiene il 95% circa della produzione mondiale di olive.

Le caratteristiche botaniche

L’Olivo ha un apparato radicale assai sviluppato, anche se superficiale, e caratterizzato da particolari iperplasie dette ovoli, che mantengono la capacità di radicare, quando vengono separate dal resto della pianta, e di emettere polloni. In condizioni di vegetazione spontanea esso assume l’aspetto di un grosso cespuglio formato da numerosi fusti ravvicinati e coperti da piccole branchie e da ramaglia. Per effetto della potatura di allevamento può però assumere un portamento maestoso ed altezze variabili dai 5 ai 20 metri. Il fusto che in tal modo si forma è sovente contorto e, nelle piante più vecchie, percorso all’esterno da corde e cavo all’interno. Le foglie portate da rami di 1 - 3 anni sono persistenti e si rinnovano di solito ogni due anni, il che conferisce alla pianta il carattere di sempreverde. Esse portano una gemma all’ascella fra picciolo e fusto, sono di forma lanceolata, coriacee, di colore verde grigiastro nella pagina superiore e verde argento in quella inferiore. Assieme al forte sviluppo dell’apparato ipogeo, consentono alla pianta di crescere in ambienti siccitosi e aridi. Le dimensioni dell’apparato radicale ne fanno inoltre una pianta sufficientemente rustica per quanto riguarda le condizioni del terreno. L’olivo non tollera invece abbassamenti termici sensibili e prolungati, restando danneggiato da temperature inferiori a -5, -6 C°. Per questo motivo in Italia, il limite di coltivazione è costituito a Nord dalla dorsale appenninica, con latitudine non superiore a 45°, fatta eccezione per alcuni ambienti limitati, esposti a Sud e ben protetti dai venti di Settentrione, in particolare per la zona del Garda. Tuttavia anche nelle regioni meridionali dove la coltura dell’olivo si estende fino a 30° di latitudine, gli ambienti più adatti sono prossimi al mare, freschi e miti, e raramente si hanno coltivazioni oltre i 1000 mt. La fioritura ha inizio in aprile con la comparsa, sui rametti di un anno, dell’infiorescenza, detta mignola, formata da una decina di fiori o poco più ma l’antesi vera e propria si verifica verso la fine di maggio. Poiché la maggior parte delle cultivar sono autosterili, è innanzitutto necessario, perché si abbia una regolare allegagione, che nell’oliveto siano presenti alberi di altre varietà con funzioni di autoimpollinatori. Va inoltre segnalato che il trasporto del polline è operato dalle brezze, mentre non hanno importanza gli insetti pronubi.


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OLIVO - Antonio Ricchiari

Olivastro in formazione Coll. Leo Samarelli

Olivo Chuhin Coll. Luca Bragazzi

Olivo Coll. Antonio Ricchiari

Le cultivar

La famiglia delle Oleacee, a cui appartiene l’olivo, comprende circa 30 generi e 600 specie distribuite in vaste regioni a clima caldo e freddo. Al genere Olea, specie O. europaea L., appartiene un numero imprecisato di varietà coltivate. E’ necessario chiarire che il termine “cultivar” in olivicoltura è improprio perché ci troviamo di fronte anche a cultivar composte da individui con fenotipo relativamente simile, e con genotipo differente; per queste cultivar si dovrebbe usare il termine di “popolazione di cloni” o di “cultivar-popolazioni”; per uniformità con la letteratura utilizzeremo comunque il termine “cultivar”. Le cultivar descritte o citate in Italia sono 476 con 1599 sinonimi, ciò ha portato nel passato ed ancora oggi, ad una confusione tra i nomi delle cultivar e i loro sinonimi. Questa situazione evidenzia una notevole variabilità dei caratteri morfologici, riscontrata nelle diverse zone di coltivazioni, determinando probabilmente l’alto numero dei sinonimi conosciuti.

Interesse bonsaistico dell’olivo

Possiamo affermare che, nel mondo del bonsaismo italiano, la “parte del leone” la fa l’olivastro perché molto più diffuso dell’olivo fra gli amanti del genere e nella maggior parte dei casi si tratta di esemplari presi in natura. Il periodo favorevole è la fine dell’inverno. Anche qui il mio consueto invito è quello di non farvi prendere dal sacro fuoco… del disboscamento, andando senza alcun criterio a sradicare piante come fanno taluni senza alcuna pietà. Questa pianta è, bonsaisticamente parlando, abbastanza giovane risalendo la sua diffusione in questo mondo attorno ai primi anni del 1970. Quindi, rispetto ad altre piante, è da poco tempo che il bagaglio di esperienze comincia ad essere soddisfacente. Man mano che si è proceduto con la sua coltivazione a bonsai si è capito come questa pianta si comportava e rispondeva alle varie tecniche. Per esempio uno dei punti deboli è il ceppo, per l’emissione di abbondanti radici di superficie laddove vi sia il pericolo di gelate che mettono in pericolo la vita stessa del soggetto. Bisogna considerare che la vegetazione sopporta escursioni che vanno da 6 ad 8°C. Per le piante in formazione è consigliabile usare una miscela di terriccio molto porosa e permeabile, che favorisca lo sviluppo dell’apparato radicale. Dal punto di vista stilistico, mi è capitato di vedere piante impostate come Pini o comunque con forma che non rispecchiano la forma che Olivo ed Olivastro assumono in natura.


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Antonio Ricchiari

bisognerebbe avere l’accortezza di vedere come crescono nel loro habitat naturale e poi impostare il progetto, altrimenti ci si ritroverà di fronte a bonsai innaturali con un aspetto che nulla ha a che vedere con ciò che la natura ci offre. La rusticità dell’olivastro, la corteccia vecchia, le fronde sono un pregio che esteticamente ripaga dalla fatica di impostare una pianta cosiffatta, un bonsai italiano che i giapponesi cominciano ad apprezzare e ad invidiarci. Questo ci deve fare apprezzare il fatto che la macchia mediterranea offre degli esempi irripetibili che sono retaggio e patrimonio tutto nostro, per cui ne dovremmo sfruttare in pieno tutte le peculiarità.

Olivo secolare pugliese fonte Wikipedia

Infiorescenze d’olivo fonte Wikipedia

Note di coltivazione

E’ una pianta sempreverde molto longeva e pollonante con tronco irregolare che negli esemplari più vecchi spesso è cariato, in questi casi dal tronco centrale ormai consumato, frazionandosi si formano vari tronchi minori che solo alla base mostrano l’origine comune. I rami giovani sono angolosi (nelle forme selvatiche spinescenti) formano una chioma rada di forma ovale-allungata Le foglie sono perlopiù opposte, di forma lanceolata acuminate all’apice, coriacee ed a margine intero. I fiori sono riuniti in piccole pannocchie ascellari alle foglie e presentano una corolla imbutiforme di colore bianco. La varietà coltivata presenta i rami giovani non spinescenti e le foglie strettamente lanceolate generalmente acute di dimensioni di 1 x 4-7 cm. Predilige terreni argillosi a reazione neutra o alcalina. Non teme la siccità ma non sopporta il gelo per cui la sua coltivazione a bonsai nelle zone a clima rigido presenta alcune difficoltà e presuppone accorte protezioni invernali. L’Olivo si può spingere a latitudini leggermente più elevate dell’Oleastro, ma comunque caratterizzate sempre da un clima mite. E’ interessante, anche se spesso l’argomento è trascurato, conoscere le avversità alle quali vanno incontro le piante che coltiviamo. In questo caso i parassiti animali che possono infestare Olivo ed Oleastro sono: mosca delle olive; tignola dell’Olivo che infesta tutti gli organi dell’apparato aereo; tripide dell’Olivo, che infesta i germogli ed i frutti; cocciniglia mezzo grano di pepe, che infesta le foglie e gli organi legnosi; cocciniglia cotonosa, che infesta la vegetazione; cotonello dell’Olivo che infesta i rametti ed i germogli; oziorrinco, che danneggia le foglie nei soggetti adulti e le radici (larve). Gli agenti di malattia sono: occhio del pavone dell’Olivo, micopatia fogliare; carie fungina del legno dovuta a vari funghi; lebbra delle olive derivanti dal fungo; tracheomicosi da Verticillium spp.; rogna dell’Olivo; tumore batterico. La chioma di questa pianta può presentare all’inizio della potatura qualche difficoltà perché si presenta disordinata ed incontrollabile e perché alcune parti dell’albero possono accusare il ritiro della linfa con facilità. Potando durante la stagione primaverile o estiva si ha una migliore e veloce cicatrizzazione della pianta ma si può verificare una nuova germogliazione, per cui si deve intervenire eliminando le gemme immediatamente. I polloni vanno pure eliminati assieme ai germogli che crescono lungo il tronco. Antonio Ricchiari


Note di coltivazione

I CONCIMI ORGANICI - Luca Bragazzi

I concimi organici

di Luca Bragazzi

In questa seconda parte sulla concimazione, trattiamo un argomento, che, a mio avviso è di estrema importanza per la perfetta riuscita delle tecniche bonsai di realizzazione: i concimi organici e i benefici della concimazione organica. Sottovalutata e spesso ignorata, è effettivamente molto complicata da comprendere in pieno perché le varianti che intervengono sono molte e i processi di decomposizione non sono governabili da chi non ha esperienza. I concimi organici sono caratterizzati, a differenza di quelli chimici, da un particolare processo di cessione dei nutrienti chiamato “ a lenta cessione”. Questo processo, garantisce il rilascio dei nutrienti molto lentamente, graduale e costante nel tempo e nelle quantità che corrispondono ai momenti irrigui. Con i concimi organici i problemi relativi all’aumento di concentrazione con relative bruciature radicali vengono scongiurati, mettendo le radici in una condizione di crescita omogenea e salutare. Il contenuto degli elementi nutritivi, solitamente è molto equilibrato anche con presenza di microelementi e le titolazioni dei tre macroelementi non hanno grandi differenze tra loro. Molti sono i miglioramenti che questo tipo di concimazione apporta; primo fra tutti il miglioramento della struttura del suolo, sviluppo della microflora e fauna terricola capace di rendere assimilabili composti organici altrimenti poco utili, e, cosa importante, evita il costipamento strutturale superficiale dovuto a cementificazione da non movimento terra, tipica dei substrati da vaso bonsai. La concimazione organica, se adottata, non dev’essere sostituita in corso di applicazione con concimi chimici o di sintesi, pena la perdita dei suddetti benefici, inoltre, il cambio di categoria comporta forte presenza di antagonismi dell’assorbimento. I concimi organici si dividono in organici di origine animale e organici di origine vegetale. A seconda dello stadio di coltivazione, si utilizzeranno gli uni o gli altri, in base alla spinta vegetativa che s’intende dare. In commercio, ormai da molti anni, esistono concimi organici di origine giapponese specifici per bonsai, a mio avviso idonei per categorie di esemplari in fase di mantenimento, mentre per esemplari in fase di coltivazione l’utilizzo di concimi professionali agricoli, danno maggiori risultati in termini di produzione vegetativa. Le modalità di somministrazione seguono quelle dei professionisti giapponesi, l’unica accortezza, è che siccome l’Italia è un paese lungo e con una varietà climatica molto ampia (come in Giappone), l’applicazione deve seguire le caratteristiche della propria zona di residenza. Luca Bragazzi

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Tecniche bonsai I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada

I substrati

I Il ruolo importante che ha il terriccio per il bonsai viene spesso sottovalutato e troppo spesso si vede acquistare un sacchetto di terra senza che se ne conosca la composizione o, peggio ancora, riciclare la terra presa dal giardino di casa. La salute dell’albero dipende dalle radici e la salute delle radici dipende dal terriccio. In un vaso bonsai, che rappresenta un sistema chiuso e dove spesso le dimensioni sono molto ridotte, la relazione tra il terreno e la salute dell’albero è ancora più stretta. Quindi è indispensabile conoscere le varie tipologie di terricci e saperli usare nella maniera adeguata. Partendo da alcuni principi di base. Il terriccio deve avere un mix di caratteristiche di base: - buon drenaggio; - buon mantenimento della struttura; - buon passaggio d’aria; - buona forma delle particelle e colore (dal punto di vista estetico).

Caratteristiche fisiche del substrato

Nella preparazione del terriccio il primo elemento da considerare è la permeabilità del terriccio all’aria. Tra i grani di terra esiste uno spazio che, per un fenomeno conosciuto come capillarità, trattiene acqua e aria. Questo spazio è detto atmosfera del suolo. Come norma generale, maggiore è la dimensione dei grani della terra, maggiore è la percentuale di aria disponibile. Questa percentuale influisce sulla crescita della pianta: maggiore è la % di aria, maggiore è la crescita delle radici, al contrario, minore è l’aria contenuta nel terreno, minore è la crescita delle radici. Pertanto, se si vuole che un Bonsai cresca più velocemente vanno preferiti grani grossi, al contrario, se si vuole una crescita più contenuta è necessario utilizzare granulometrie più fini. Per grani fini non si intende la polvere (che va sempre scartata), perché questa non permette il passaggio dell’aria nelle radici e quindi ne provoca l’asfissia. Ad ogni trapianto si aggiunge sempre terriccio nuovo; per diversi motivi – sia energetici, quindi fornire nuova fonte di sostentamento alla pianta, ma soprattutto sostituire i grani disgregati dalle annaffiature giornaliere e dall’azione erosiva delle radici. La presenza di aria nel substrato migliora anche la moltiplicazione della microflora e microfauna utile del terreno (es. batteri nitrificanti, funghi della micorriza ecc.). Mentre l’albero cresciuto spontaneamente può scegliere dove sviluppare al meglio le radici, nel vaso Bonsai questo non è possibile. Per essere permeabile il terriccio deve essere poroso , cioè costituito da particelle piuttosto grossolane (da 2 a 4 mm) che formino una quantità di piccoli interstizi tra loro, in modo da permettere il passaggio dell’acqua e dell’aria. Con l’alternarsi di bagnato e asciutto l’aria viene rinnovata continuamente, cosa che se il terreno è molto compatto non avviene. Vi sono tre elementi essenziali per determinare la validità di un buon terriccio di coltivazione. Quando il terreno è normalmente bagnato, questo è costituito da una parte solida (grani di terra) una parte liquida (acqua) e una parte gassosa (aria). Una quantità standard raccomandata consiste in un 40 % di parte solide , 30 % di liquidi , 30 % di gas . Sicuramente diverse specie di piante richiedono delle differenti proporzioni. Gradualmente come la pianta cresce, a causa dell’attività delle radici ed al naturale scioglimento delle particelle di terra, la presenza di aria nel terreno diminuisce, mentre proporzionalmente aumentano le parti solide e liquide. Un requisito che deve avere il terriccio per BONSAI è di non essere troppo fertile, non perché i BONSAI siano piante denutrite, ma perché terricci e concimi devono essere strumenti separati che in mano al bonsaista sono usati per ottenere i risultati prefissati. Bisogna quindi sempre tenere presente che il terriccio serve a formare una bella radice, attiva, ramificata ed equilibrata, mentre è il concime che deve nutrire la pianta.

Caratteristiche chimiche del substrato

E’ opportuno ricordarsi che la struttura fisica, che assicura la porosità, è più importante della natura dei componenti. La prima non si può infatti più correggere fino al rinvaso successivo, mentre si riesce sempre a ritoccare la situazione chimica o biologica del substrato. In un giardino il pH del suolo è tra il 4 ed il 7,5. Oltre questi limiti non può crescere nessun tipo di vegetale. Il pH ideale dipende dalle specie da coltivare. La maggior parte delle specie arboree richiede un terriccio leggermente acido con un pH tra 6,2 e 6,5. E’ molto importante conoscere la natura chimica del terreno, l’esame si può fare molto facilmente usando un pH tester. Questo esame serve a stabilire il grado di acidità ed eventualmente a modificare lo stato: per esempio, il valore di alcalinità si abbassa aggiungendo terricci vegetali (torba, di foglie ecc. ) o gesso agricolo; per i terricci acidi si aggiunge calce spenta o cenere di legna per ridurre l’acidità. La nutrizione delle piante, più che dal potere assorbente, è regolata dalla acidità del substrato, per l’influenza che essa esercita direttamente, sia sulla nutrizione, sia sullo sviluppo della flora batterica favorendo o inibendo le attività microbiche. Una pianta rinvasata con una miscela sbagliata, avrà come conseguenza un rallentamento dello sviluppo poiché non riuscirà ad assimilare le sostanze presenti nel terriccio. Durante la coltivazione, il ph del terreno spesso


Tecniche bonsai I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada

va verso l’alcalino perché quasi sempre l’acqua del rubinetto che si usa è calcarea. Questo cambiamento può ad esempio impedire l’assorbimento radicale del ferro, in quanto esso viene assorbito solo a condizione che il terreno sia acido. Composizione del substrato

La terra è composta da materia organica e inorganica. Quella organica deriva da materiale vegetale ed animale ed è denominata humus, mentre quella inorganica proviene dalla corrosione delle rocce. Il tipo di suolo è determinato dalle diverse quantità di humus e sostanze rocciose presenti. In molti libri degli anni ottanta è sovente proposta la miscela tra sabbie, torbe e terra di campo, considerata oggi una soluzione pessima che non permette il controllo del vigore del bonsai. La qualità di queste miscele di vecchio stile era migliorata proprio con l’uso di pomice, lave e terricci di foglie, che talvolta portava a buoni risultati. La ragione è che si devono rispettare diverse esigenze della pianta, quali : un substrato vivo, poroso, lievemente acido capace di reggerla, e capace di trattenere una sufficiente quantità di acqua. Il compromesso si raggiunge preparando un miscuglio di sostanze con differenti caratteristiche.

Sabbia

La sabbia è un sedimento detritico proveniente dalla disintegrazione della roccia per azione chimica o meccanica, ha peso specifico superiore a 1, con granulometria variabile, da 0,2 ad oltre 4 mm e pH generalmente neutro. La sabbia garantisce un buon drenaggio; ma asciuga facilmente e contribuisce ad aumentare il peso dei vasi. Si adatta in percentuale maggiore alle conifere che hanno dei fabbisogni d’acqua più limitati. Se una pianta e’ posta in una miscela di terriccio dove prevale la sabbia si avrà un ispessimento ed un aspetto rozzo della corteccia dovuto alla carenza d’acqua. Questo e’ un’altro motivo per cui si adopera la sabbia per le conifere, le quali assumono così un aspetto più vecchio. Può essere di fiume o di montagna, quella di fiume è composta da grani arrotondati ed è utile per Bonsai già formati ,mentre quella di montagna è composta da grani spigolosi ed è usata nei vasi di coltivazione. La sabbia va setacciata facendola passare attraverso maglie di 5 mm e da maglie di 2 mm. Altra precauzione da usare è quella di procedere al lavaggio della sabbia , poiché le particelle attirano la polvere (limo) e quando questa viene ceduta per le innaffiature, ostruendo i pori del terriccio. La sabbia favorisce l’infittimento delle radici e la porosità. Quindi le sabbie o le ghiaie possono garantire il drenaggio, ma rappresentano materiali inerti, sterili. Hanno il vantaggio di essere facilmente disponibili e con costi ridotti, ma hanno come svantaggio il peso elevato e la necessità di aumentare la durata/quantità delle irrigazioni e delle concimazioni perché il loro potere tampone è in pratica nullo. Inoltre, non avendo scambi cationici con la soluzione circolante, se non minimi, non apportano i vantaggi dell’uso di un materiale granulare d’origine lavica o vulcanica

Lapillo vulcanico

ll lapillo con le sue particelle a superficie ruvida trattiene capillarmente l’acqua meglio di altri tipi di sabbia. Il problema principale per l’uso delle lave nella coltivazione dei bonsai è il controllo dell’irrigazione, e l’eccessiva fertilità. Le lave, soprattutto il lapillo, trattengono molto l’umidità nel fondo del vaso, causando, in alcuni periodi dell’anno, marciumi radicali, ed è pertanto necessario il controllo molto preciso dell’irrigazione, anche in relazione al luogo. Anche la fertilità eccessiva delle lave può essere un problema nei programmi di coltivazione con concimazioni differenziate.

Pomice

La pomice è un materiale derivante dalla frantumazione di rocce d’origine vulcanica, composto da granuli leggeri e porosi, di colore grigio/marrone, con granulometria compresa tra 0,1 e oltre 10 millimetri. E’ utilizzata, in varie percentuali, per alleggerire i substrati di radicazione e coltivazione e per la radicazione di piante che non gradiscono ristagni d’acqua ma discreti tassi d’umidità radicale (es. conifere). L’utilizzo della pomice è diretto a soddisfare due esigenze. 1) A favorire lo sviluppo dell’apparato radicale; 2) A migliorare il drenaggio in vaso ,con conseguente miglioramento dell’aerazione e, indirettamente del fissaggio dell’azoto dell’aria mediante microflora. E’ una sostanza con un pH quasi neutro (7,5), molto leggera, con ottime capacità igroscopiche . E’ atossica, inattaccabile da acidi e basi e quindi non produce nessuna interferenza nell’uso combinato di fertilizzanti ed anticrittogamici. Ha una notevole capacità di trattenere l’acqua, cedendola su richiesta delle radici. Non va sottovalutato l’azione fertilizzante della pomice. E’ infatti un silicato complesso contenente importanti elementi quali; boro, potassio, magnesio, calcio, ecc.. La pomice in quanto igrometrica, ha la spiccata capacità di saturarsi di soluzioni di sostanze fertilizzanti nell’arco di 3-6 giorni che poi cede lentamente al terreno attraverso il fenomeno della diffusione. E’ disponibile sul mercato ad un prezzo superiore a quello della sabbia, ma ha il vantaggio

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Tecniche bonsai I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada di avere un peso nettamente inferiore. Prima dell’utilizzo è opportuno setacciarla e lavarla per eliminare la parte pulverulenta. Zeolite

Le zeoliti naturali sono minerali di origine vulcanica appartenenti alla classe dei tettosilicati. La loro struttura è caratterizzata dalla presenza di canali e cavità in cui trovano alloggio ioni e molecole dotati di estrema mobilità. Le zeoliti consentono di: - correggere le qualità dei substrati tramite l’incremento della capacità di scambio cationico; - consentire un lento rilascio di macroelementi (potassio ed azoto ammoniacale) e di mi croelementi vari, con il duplice vantaggio relativo alla riduzione dei concimi da apportare e al mantenimento delle riserve nutritive del terreno; - incrementare la ritenzione idrica del terreno e/o del substrato (torba/terriccio) con riduzione della frequenza delle irrigazioni e dei fenomeni di stress idrico; - tamponare l’azione bruciante dei fertilizzanti chimici e degli antiparassitari; - ridurre i fenomeni di dilavamento degli elementi nutritivi fondamentali. Da utilizzare miscelata con altri elementi.

Perlite (o agriperlire, serlite, etc.)

La perlite è un materiale d’origine lavico sottoposto a trattamenti termici (1800 °C), per mezzo dei quali l’acqua contenuta evapora e il materiale assume la forma di piccoli granuli spugnosi, di colore biancastro e molto leggeri. E’ sterile ed esente da agenti patogeni, riduce il rischio di marciumi radicali, non fornisce sostanze nutritive al terreno. Ha una bassa capacità di scambio cationico e favorisce lo sviluppo delle piante per il rapporto ottimale aria/acqua. E’ generalmente impiegata per la realizzazione di substrati di semina e radicazione di talee, assieme a sabbia e torba o in sostituzione della stessa. Nella preparazione dei terricci può essere utilizzata (miscelata) sfruttando le sue principali qualità (estrema leggerezza, rapporto ottimale aria/acqua). NB – La polvere di Perlite può provocare danni temporanei agli occhi o disturbi se inalata. Durante l’uso è opportuno l’utilizzo di mascherine protettive/occhiali e/o presidi di protezione. Per ulteriori riferimenti si rimanda alla scheda del prodotto.

http://www.bpbitalia.it/soluzioni/schede_sicurezza/perlite.pdf Leonardite

E’ la sostanza fossile con il più alto contenuto di sostanza organica umificata, scoperta dal dr. A. Leonard negli anni quaranta. Può presentare sino al 80-85% di acidi umici naturali. Ha origini più antiche della torba, ma è più giovane della lignite. E’ disponibile sia in polvere sia in scaglie. Va miscelata con altri elementi o sparsa nel periodo autunnale/invernale sulla superficie del terreno. E’ disponibile anche in forma liquida.

Akadama

E’ una terra argillosa a grumi, svolge molte funzioni tra cui la nutrizione della pianta; piccole particelle di sostanze minerali chiamate colloidi, che sono silicati di alluminio idrato, che agiscono chimicamente al cambiare della temperatura. Questo significa che nella struttura granulare avviene una scissione e vengono rilasciati le parti nutritive che saranno utilizzate dalla pianta, quali idrogeno, sodio, potassio, magnesio, ecc.. Inoltre assicura una eccellente ritenuta d’acqua. Quindi un’argilla ottimale dovrebbe avere un pH neutro o leggermente acido, ideale per la maggior parte delle specie ; avere grani molto solidi e resistenti alla pressione, ed al tempo senza disfarsi. Essa dovrebbe essere porosa e avere una alta capacità di interscambio di ioni, cioè la capacità delle particelle del terreno di trattenere e poi liberare le sostanze nutritive. Una argilla del genere in Italia non esiste , ma è presente in Giappone (zona pianura Kanto, dove c’e’ Tokyo) ed è l’Akadama. Il colore di questo terriccio (AKA significa rosso) e’ dato dalla presenza elevata di ossido di ferro, favorisce lo sviluppo delle radici capillari e di conseguenza favorisce una ramificazione sottile.

Torba

E’ un prodotto delle torbiere, paludi dove le piante , per mancanza di aria muoiono e si decompongono, la sua caratteristica specifica è l’acidità , che la rende molto resistente alla decomposizione batteriologica. Le torbe, pur essendo fondamentali in un suolo naturale, non sono particolarmente interessanti nella coltivazione bonsai, per la loro rapida degenerazione nel vaso, in seguito agli sbalzi idrici e termici. Sono stati usati in passato per i bonsai che erano coltivati in ambienti molto ombreggiati, ma il loro uso oggigiorno non è più interessante per i bonsai di alta qualità. I materiali organici hanno una forte ritenzione idrica ed un’elevatissima fertilità (a parte le torbe), con conseguenti rischi di marciume radicale; inoltre essendo molto fini, ostruiscono il drenaggio ed impediscono il discorso delle granulometrie.


Tecniche bonsai I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada Kanuma

Terricci di foglie ed humus di lombrico

Questo terriccio originario del Giappone, della periferia di Tokyo provincia Saitama e’ di colore giallo, chiaro, molto leggero e mantiene bene l’umidità permettendo un buon passaggio d’aria, garantisce inoltre un buon drenaggio. Siccome e’ un terriccio acido (PH circa 5) si adatta particolarmente alle azalee o per lo sviluppo delle talee. E’ molto fragile perché molto poroso, non lasciare gelare.

Possono avere un uso corretto ancora oggi per alcuni casi particolari. Humus: sostanza organica in decomposizione del suolo . Essa corregge i difetti del terreno quali: indurimento del terreno , difficoltà di asciugamento, sviluppo radicale ridotto, minore assorbimento d’acqua e di elementi nutritivi . Ad opera dei microrganismi rifornisce gradualmente la soluzione circolante e le radici di macroelementi e microelementi. In definitiva l’humus diviene il regolatore dell’alimentazione minerale delle piante. L’aggiunta di humus di lombrico di buona qualità , nel substrato ne migliora le caratteristiche e vi introduce la vita biologica, sotto forma di batteri e funghi utili , enzimi ecc... La flora batterica “ buona” dell’humus , esplica una azione quasi antibiotica, creando una specie di barriera biologica all’ingresso dei batteri “cattivi”. L’humus di lombrico è il materiale organico più interessante, da miscelare con l’akadama ove necessario, per la sua capacità drenante, rara qualità fra i terricci organici ) Ad esempio per i Meli bonsai si può inserire un 10% di humus nell’akadama, per sostenere le fruttificazioni. Anche nel caso dei Ficus, un 20% di materiale organico nell’akadama, può migliorare la capacità di sopravvivenza in appartamento. È da ricordare che miscelando terriccio organico all’akadama, si diminuisce notevolmente la sua capacità di far radicare (le torbe, anche le migliori come quelle d’Irlanda, non sono indicate per i bonsai per la loro difficile capacità di reidratazione una volta asciugate). I migliori terricci di foglie sono quelli derivati dal bosco di Faggi e dal bosco misto (Querce, Carpini, Olmi, ecc.) di pianura.

Mizugoke (sfagno)

Si usa per mantenere l’umidità’ del terriccio e durante gli attecchimenti o le margotte. La sua lunghezza media e’ 10 - 18 cm. Normalmente si usa con kanuma per le azalee.

Kiryu

La Kiryu è un substrato di origine giapponese, specifico per le conifere, ma idoneo anche nella coltivazione di tutte le latifoglie sempreverdi di origine mediterranea. Presente in granulometrie differenti e selezionabili tramite setacciature, ha un valore di pH che è tendenzialmente acido, e grazie a questa caratteristica rende disponibili i microelementi ferrosi di cui è ricchissima. Parallelamente al pH, il suo valore di CSC è pari a ca 25 (di poco inferiore all’akadama ed alla Kanuma). Queste sue caratteristiche la rendono eccellente alla prolificazione dei capillari radicali e nelle specie che be-neficiano di micorrize, aumenta l’allungamento ifale. La sua presenza nei substrati dev’essere in percentuali molto basse (max 20 %), in quanto non essendo un substrato completo nella sua componente chimica, se usata al 100% potrebbe dare problemi di antagonismo nell’assorbimento di altri elementi nutritivi. La sua struttura, povera in micropori, la rende inoltre poco idonea in climi caldo-mediterranei per il non trattenimento di acqua utile (caratteristica preziosa delle pomici). Le migliori prestazioni della kiryu, sotto il profilo chimico-fisico le si hanno miscelandola con substrati ben strutturati tipo akadama, pomici e kanuma. Il suo utilizzo, solitamente ignorato per le latigoglie, è invece indicatissimo nella formulazione di substrati di specie sempreverdi che necessitano di alimentazione fogliare costante perché i microelementi ferrosi intervengono nella biosintesi della clorofilla.

CAPACITA’ DI SCAMBIO CATIONICO

La capacità di scambio cationico dei suoli individua la quantità di ioni positivi che possono essere scambiati e trattenuti dal suolo; dalla CSC dipende la capacità del suolo di trattenere tutti gli elementi chimici presenti in forma di ioni positivi e, in particolar modo, i metalli pesanti.

POTERE TAMPONE

Con questa definizione s’intende la possibilità, da parte di un substrato, di assorbire dosi eccessive di sostanze (concimi, antiparassitari etc.) e rilasciarli in maniera bilanciata senza variazioni sostanziali del Ph. In sostanza maggiore è il potere tampone, maggiore la capacità del terreno di assorbire shock evitando danni all’apparato radicale.

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Tecniche bonsai

29 I TERRICCI - Antonio Acampora, Pietro Strada RAPPORTO CARBONIO / AZOTO

Con il termine rapporto C/N s’intende il rapporto, in proporzione percentuale, tra la sostanza organica (C) e l’azoto (N). Il valore di questo rapporto deve essere inferiore o uguale a 20. Se si hanno valori < =20, si ha una maggiore efficienza nella mineralizzazione del substrato, mineralizzazione che andrà ad aumentare la percentuale d’azoto disponibile per la pianta.

SUBSTRATO SECONDO LA SPECIE

Un buon terriccio lo si ottiene mescolando in differenti proporzioni queste sostanze . Con una serie di setacci si vagliano queste sostanze, allontanandone la parte polverulenta che renderebbe il terriccio troppo compatto. Quindi conviene utilizzare tre differenti setacci . Il materiale che non passa dal primo setaccio (5 mm) è troppo grosso, è può essere usato solo come drenaggio, il terriccio che non passa attraverso le maglie di 3 mm viene utilizzato con il resto che rimane all’interno dell’ultimo setaccio , il resto va scartato. E’ importante ricordare che le proporzioni dei componenti del terriccio possono variare in base alle situazioni climatiche , ad esempio un esemplare posto in akadama pura nelle regioni meridionali calde e asciutte richiederebbe continue innaffiature , con il rischio di subire un colpo di secco. In queste zone è preferibile mescolare una percentuale di materiale organico, che aumenta la ritenzione di umidità del substrato. Al contrario , in zone a clima umido con piogge tutto l’anno, è indispensabile un drenaggio ottimale, per scongiurare asfissia o marciume delle radici. In questo caso si consiglia di aumentare la proporzione di sabbia, o pozzolana, oppure usare una granulometria maggiore. Il composto migliore è quello che consente alla pianta di crescere sana e vigorosa, considerando le condizioni climatiche, la posizione, la disponibilità del coltivatore ad intervenire per rispondere alle necessità della pianta, e anche la disponibilità dei materiali stessi. E’ bene preparare un miscuglio tale per cui, nel pieno dell’estate, possa bastare mediamente una innaffiatura al giorno. Ogni bonsaista ha sviluppato con il tempo e l’esperienza una sua miscela specifica per i vari tipi di piante. Sarebbe perciò utile che ognuno trovasse, sperimentando, una miscela personale ed ottimale per la propria pianta.


Vita da club

BONSAISIEME - Antonio Defina

La nascita del Club “BONSAISIEME” è indubbiamente legata alla grande passione del prof. Giovanni Genotti. Già negli anni ‘90 gli amici amatori s’incontravano con altri appassionati del bonsai di Torino in un club fondato dallo stesso Genotti assieme ad altri appassionati. Visto il successo ed il crescente numero di amanti di quest’arte, si decise di intraprendere mensilmente degli incontri d’apprendimento a Carignano. Nel 1993 sorse così la necesittà d’inquadrare in modo organico e definitivo queste riunioni; fu così che nacque il club BONSAINSIEME. Sotto la guida del maestro/presidente, nel giro di pochi anni i soci crebbero sia dal punto di vista numerico che da quello delle conoscenze acquisite, tanto da permettere (anche grazie alle risorse umane fortemente motivate) l’allestimento delle prime mostre. L’evento culminante di tutto ciò ci fu nel 1995, portando a Carignano la conoscenza della cultura orientale; esposizioni di bonsai, suiseki, ikebana, arti marziali ed origami. Sulle piazze principali e nelle più rilevanti palazzine dei Savoia, la grande iniziativa “Ventaglio sul Giappone” portò meraviglie sconosciute, affascinando sia il semplice cittadino sia gli ospiti illustri invitati. Questa mostra nel corso del tempo diede vita ad altre innumerevoli iniziative e partecipazioni. Nel 2000 il club ospitò la mostra del Coordinamento AIAS. Per la prima volta in Italia si creò un connubio tra una mostra locale di bonsai ed una nazionale di suiseki. Nel 2001 fu la volta del Coordinamento Regioni Piemonte e Lombardia, associata a quella del Bonsainsieme. Nel 2003 il club, nuovamente, ospitò le due relative mostre dei Coordinamenti, dando vita ad un’incantevole ed emozionante mostra sui bonsai e suiseki. Come di consuentudine, il Bonsainsieme tutti gli anni, con le sole proprie risorse economiche ed umane, allestì una serie di mostre in concomitanza di alcuni eventi cittadini. Le riunioni del club nel secondo e quarto mercoledì del mese sono programmate

annualmente da tutti gli iscritti, cercando di sviluppare in ogni incontro un argomento teorico e pratico, rispettando il momento vegetativo dei materiali. Senza nulla togliere alla parte teorica, penso comunque che dopo aver acquisito quelle “quattro nozioni” bisogna intervenire “sul campo”. Da questa considerazione sono nate alcune lezioni, pratiche, divertenti ed istruttive svolte direttamente “con le mani nella terra” presso il campo del nostro Maestro. Qui si crea il vero rapporto uomo/pianta; zollature, potature aeree e radicali di materiali giovani e/o grezzi che con il tempo e la costanza degli interventi applicati porteranno a risultati più che soddisfacenti. D’altra parte alcune nozioni teoriche riguardanti gli stili, angolatura ed andamento della ramificazione, conicità, silhouette del tronco, ecc. ecc. vengono vissute all’aria aperta. Essendo il prof. Genotti un grande sostenitore dell’armonia e della naturalezza, si organizzano gite ed escursioni in gruppo, in natura o presso giardini botanici proprio per cercare di carpire i segreti estetici della natura stessa. Periodicamente vengono invitati istruttori riconosciuti per svolgere dei workshop, serate d’informazione sulla tecnica sperimentale, o di critica di bonsai o di materiali di partenza. Inoltre, come nuova iniziativa di confronto e apprendimento, quest’anno abbiamo visitato le collezioni di alcuni amatori/istruttori. Ci siamo sentiti rinfrancati nel poter constatare che le collezioni dei nostri iscritti potevano dignitosamente competere con molte di loro, e quindi di poter allestire da soli una mostra bonsai degna di qualsiasi altro club. Infine, desidero aggiungere a quanto già detto che questo club è essenzialmente un luogo d’incontro tra amici credono e rispettano il bonsai nel suo vero significato. l’umiltà e l’amore per la natura sono per noi al primo posto.

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Che insetto è?

32 PATOLOGIA VEGETALE II parte - Luca Bragazzi

Patologia vegetale - Parte II: LE COCCINIGLIE

Proseguendo il discorso sugli insetti dannosi ed in particolare su quelli considerati “vettori” come gli afidi, vediamo in questa parte la cocciniglia. Presente in natura in diverse forme, possono manifestarsi sui nostri alberi le diverse specie presenti: mezzo grano di pepe, cotonosa e normale a dorso bianco. Questi insetti, sono caratterizzati da una immobilità tale da renderli facilmente individuabili e riconoscibili, la suzione della linfa elaborata, avviene sempre nel medesimo luogo su cui è arrivato l’esemplare o l’intera popolazione e lì compiono la loro azione trofica, indebolendo e disidratando l’intero esemplare vegetale. Anche questa tipologia d’insetto, durante le fasi di alimentazione potrebbe trasmettere i temutissimi virus. Le cocciniglie, sono insetti che colpiscono la maggior parte delle specie coltivate a bonsai, in particolare le conifere, oltre che tutta una serie di specie a foglia caduca e sempreverde nel particolare periodo primaverile. Quest’ultima stagione, infatti, presenta le migliori condizioni agroclimatiche dell’intero anno solare, in cui, la maggior disponibilità di cibo risveglia e mobilita tutti gli insetti… dannosi e non. La loro collocazione in fase trofica, è appunto su tutti i tessuti teneri, peduncoli fogliari ed anche sui frutti e calici fruttiferi, tutti luoghi dove il nutrimento si concentra abbondantemente e dove sovente la chioma protegge con le foglie dalla luce, vento e da eventuali predatori. Difficilmente ad un occhio poco esperto, gli individui sono rintracciabili all’interno della chioma, se non fosse per una traccia biologica, che le caratterizza; la melata. Questa sostanza, che caratterizza anche gli afidi, è un prodotto zuccherino molto denso e appiccicoso, espulso in eccesso dall’addome dell’insetto in seguito ad intensa azione trofica. Questo gocciolando sui tronchi e bancali, è un segno inequivocabile della loro presenza, oltre che di scarsa attenzione e cura da parte del bonsaista. Le uova di cocciniglia, svernano in ambienti protetti come anfratti della corteccia, interno di biforcazioni rameali e ferite non del tutto cicatrizzate. La lotta, è, come al solito, ambivalente: curativa o preventiva. La prevenzione, come anche la lotta curativa è effettuata tramite l’utilizzo di principi attivi insetticidi sistemici, capaci di rendere inappetibile la linfa elaborata, l’utilizzo degli olii minerali è ormai pratica obsoleta, data la fitotossicità sviluppata dagli ospiti vegetali. Sicuramente la lotta a calendario evita l’arrivo di ospiti indesiderati tutto l’anno.

Luca Bragazzi



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