Bonsai & Suiseki
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magazine
Bonsai&Suiseki magazine
Anno I - n.6
Giugno 2009
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Bonsai & Suiseki magazine Giugno
in collaborazione con
©
2009
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DIRETTO DA Antonio Ricchiari IDEATO DA Luca Bragazzi Antonio Ricchiari Carlo Scafuri REDATTORE Carlo Scafuri REVISORE DI BOZZE Dario Rubertelli Pietro Strada CORRETTORE DI BOZZE Giuseppe Monteleone PROGETTAZIONE GRAFICA Salvatore De Cicco IMPAGINAZIONE Salvatore De Cicco Carlo Scafuri FOTO DI COPERTINA Gian Luigi Enny Nicola Crivelli Daniela Schifano HANNO COLLABORATO Antonio Acampora Daniele Abbattista Sergio Bassi Armando Dal Col Antonio Defina Marco Tarozzo Gian Luigi Enny Carlo Maria Galli Giovanni Genotti Andrea Meriggioli Luciana Queirolo Roberto Smiderle Gennaro Terlizzi
Tutti gli scritti, le foto, i disegni e quant’altro materiale pubblicato su questo sito rimane di esclusiva proprietà dei rispettivi Autori che ne concedono in via provvisoria l’utilizzo esclusivo al Napoli Bonsai Club ONLUS a titolo gratuito e ne detengono il copyright © in base alle Leggi internazionali sull’editoria. E’ vietata la duplicazione e qualsiasi tipo di utilizzo e la diffusione con qualsiasi mezzo (meccanico o elettronico). I trasgressori saranno perseguiti e puniti secondo gli articoli di legge previsti dal Codice di procedura Penale che ne regolano la materia.
editoriale Il Bonsai non omologato Mi sono chiesto spesso: chi la pensa come me non è per un bonsai omologato… oppure io non sono omologato per il bonsai? Cosa significa bonsai omologato? Dobbiamo accettare passivamente l’omologazione o infrangerla? Io credo che tutta la vita sia una continua omologazione e infrazione, è nella natura delle cose e quindi in letteratura, in politica, nella religione, nell’arte… nel bonsai. Nel bonsai l’omologazione è dovuta a comportamenti e contenuti spesso discutibili e criticabili di chi lo esercita, dimenticando la professionalità e chi si ne assume tale onere professando una didattica ed una diffusione volti in tal senso. E’ la medesima responsabilità che mi assumo quando pubblico un libro o un articolo che hanno il triplice scopo, ripeto, didattico-divulgativo-promozionale. Perché ora più che mai l’impegno è maggiore in quanto sono emergenti i ceti affluenti dei nuovi bonsaisti. Si vedono sfilare in questa sorta di “vanity fair” personaggi assurti dal nulla che si omologano titoli e meriti che non hanno nessun riscontro. Se il bonsai si politicizzerà (nell’accezione negativa del termine), saranno problemi. Problemi per tutti. Il dilemma in cui incappano è la comprensione del bonsai per taluni, intuitiva e percettiva. Il godimento estetico riconosce schemi artistici, ma tali schemi non possono essere troppo rigidi o troppo ristretti. Il bonsai omologato ha portato oggi ad un uniformarsi estetico, ad un appiattimento della creatività che si è manifestata qualche volta in un esercizio ripetitivo di copiato. Il rischio è il venir meno l’esercizio della ginnastica della creatività. Il bonsai omologato è quello della competizione che non è competitività, delle passerelle e della visibilità data dai concorsi e mostre che dietro il paravento ed il pretesto dell’arte del bonsai hanno il vuoto dell’apparire, del vincere a tutti i costi un primo premio per quei cinque minuti di gloria, anzi di vanagloria che farà rodere i secondi ed i terzi classificati. Sono questi sani momenti di incontro per maestri ed allievi? Il dietro le quinte è fatto spesso da invidie, calunnie, pettegolezzi e alleanze e patti non scritti. Quale attendibilità poi ci si può aspettare in giudizi formulati da taluni elementi che non hanno preparazione estetica e percezione artistica perché presi di peso dai loro borghi contadini e portati agli onori (si fa per dire) dei palchi. La mia campagna di informazione e di consapevolezza (cosa si intende per consapevolezza? Il consapevole è colui che consà, cioè convive con la sua radice “sap” e sa come entrare nella realtà) che continuerà perché alcuni fanno finta di non vedere e non sentire (perché così va bene ed è più facile!) è volta a sollecitare un contraddittorio. Il mio è un invito al dibattito nell’interesse esclusivo del bonsai, di quella passione che comprende il commercio corretto ed il lecito guadagno, l’onestà intellettuale di chi lo fa per professione, la correttezza di chi esercita la didattica e se ne assume la responsabilità. Come nella musica, il bonsai deve contenere una vocalità che possa esser atta alla rappresentazione. Se non c’è stile vocale è inutile fare musica per il teatro, ed è inutile avere voci sulla scena. Se la drammaticità non è intrinseca alla musica è inutile “arredare” la scena con la musica. Bisogna chiarire un punto: vogliamo che l’arte del bonsai sia viva o morta? Se la vogliamo morta continuiamo pure con alcune cose che non vanno, se viceversa la vogliamo viva accettiamo una cosa fondamentale: l’arte pone dei quesiti, non dà delle risposte, le risposte le dà ciascuno di noi. Il problema della diffusione del bonsai in Italia è purtroppo viziato da una fase di crisi che nel marketing si chiama “del prodotto” ma anche da responsabilità di tendenza “politica” e da alcune distorsioni individuali. Se si elimina ciò che la tiene sveglia - vale a dire ciò che la mette in crisi - ovvero la presenza dell’artista, la società non ha più senso di esistere. Gli antichi ripetevano: “È bene che i poeti restino fuori dalle porte della città”; questo per dire che la forza critica e creativa del poeta ha sempre dato fastidio, ma un fastidio essenziale. Non possiamo dimenticare la funzione conoscitiva e didattica dell’arte, non possiamo limitarci a considerarla puro intrattenimento. Da sempre l’arte pone dei problemi, induce alla riflessione su concetti molto più ampi. L’arte serve a migliorarci e combatte l’omologazione. Rincorrere l’audience con l’arte è una barbarie. Purtroppo in Italia molti pensano che il pubblico sia più stupido di quello che effettivamente è. La memoria dell’italiano-medio è labile, credo sia onesto e corretto che la riconoscenza morale di tutti i bonsaisti italiani vada a personalità che si chiamano Genotti, Giorgi, Oddone e pochissimi altri!
Antonio Ricchiari
Sommario
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki pag. 01 pag. 04 pag. 08 pag. 10
“Il giardino Zen - II parte” - G. L. Enny “La base fa la differenza” - S. Bassi “Le terapie olistiche - II parte” - G. Terlizzi “Vuto ‘ndare in Giappon?” - M. Tarozzo
Mostre ed eventi pag. 13 “ArcoBonsai 2009” - A. Meriggioli pag. 15 “Mostra di Primavera” - D. Abbattista pag. 17 “Carignano Fiori & Vini” - A. Defina Azalea coll. Roberto Smiderle
L’essenza del mese pag. 43 “Azalea - II parte” - R. Smiderle
Note di coltivazione pag. 46 “I biostimolanti” - L. Bragazzi
In libreria pag. 19 “Bonsai. L’arte di coltivare alberi in minia tura” - A. Ricchiari pag. 19 “Lo spirito dell’arte giapponese” - A. Ricchiari
Bonsai ‘cult’ pag. 20 “Figura e ruolo del Maestro bonsai tra oriente ed occidente” - A. Ricchiari pag. 22 “Un giudizio sui giudici...” - G. Genotti
La mia esperienza Tecniche bonsai pag. 47 “Il tambahoo” - A. Acampora
Vita da club pag. 49 “Oltre il verde-BonsaiGymnasium” M. Tarozzo
Il Giappone visto da vicino pag. 51 “La Katana: una delle vie orientali” A. Ricchiari
Che insetto è? pag. 55 “Patologia vegetale - VI parte” L. Bragazzi
pag. 24 pag. 26 pag. 29
“Alcuni appunti sulla defogliazione” A. Meriggioli “Realizzazione di un ishizuki”- C. M. Galli ”Percorso evolutivo di un acero campestre” A. Dal Col
A lezione di Suiseki pag. 32 “Suiban, doban & sabbia & acqua…” L. Queirolo
L’opinione di... pag. 38 “Gianfranco Giorgi” - A. Ricchiari
A scuola di estetica pag. 40 “Lo stile inclinato” - A. Ricchiari
Viste le numerose domande e richieste di collaborazione alla rivista, ricordiamo che “Bonsai & Suiseki magazine” è aperto a tutti coloro che vogliano scrivere un articolo e dare così il proprio contributo alla diffusione delle arti del bonsai e del suiseki e di tutto ciò che vi ruota attorno. Per poter collaborare al magazine ed al fine di non incorrere in spiacevoli equivoci, troverete qui di seguito una serie di semplici norme che regolamenteranno i vostro contributi alla rivista. 1. L’articolo deve essere inviato in redazione con e-mail all’indirizzo bonsaiandsuisekimagazine@gmail.com 2. Le foto devono pervenire in formato .jpg, ad una risoluzione minima di 800x600 pixel e con una definizione non inferiore a 150 dpi. 3. I disegni in b/n al tratto devono essere inviati in formato .tiff o .jpg. 4. La redazione si riserva il diritto di revisionare e correggere il testo per quel che riguarda lo stile di scrittura o intervenire sulla forma laddove vi siano errori, ovviamente senza stravolgere il significato o il senso del periodo. 5. L’autore non potrà fare riferimenti a marche o prodotti commercializzati e nel caso di fertilizzanti e fitofarmaci dovrà riferirne soltanto la composizione per l’eventuale individuazione. L’articolo non dovrà in nessun caso contenere toni polemici o contraddittori o di censura nei riguardi di alcuno e che comunque ne ledano la suscettibilità e l’autore si dovrà limitare ai contenuti dell’argomento oggetto dello scritto trattato con estrema professionalità secondo i canoni deontologici richiesti. La redazione si riserva il diritto di procedere ad adeguata censura o, se del caso, di cestinare lo scritto stesso. 6. I tempi di pubblicazione dell’articolo sono di esclusiva valutazione e pertinenza della redazione. 7. La responsabilità circa l’autenticità e l’originalità del materiale pervenuto in redazione per la pubblicazione sul magazine (testi, foto e disegni), in base alle leggi vigenti che regolano il copyright, ricade unicamente sull’autore che eventualmente ne risponderà nelle Sedi competenti. 8. L’autore del materiale inviato in redazione non ha da pretendere in nessun caso e a nessun titolo alcun compenso economico anche nel caso di eventuale futura diffusione dell’articolo sotto qualsiasi forma.
Ricordiamo inoltre che fra tutti coloro che durante l’anno invieranno articoli per la sezione “La mia Esperienza”, sarà premiato alla fine dell’anno l’articolo che per completezza didattica delle varie fasi di lavorazioni di una pianta, e per il risultato estetico ottenuto, sarà ritenuto il migliore dai moderatori e dagli amministratori del Napoli Bonsai Club Onlus - FORUM (http://www.napolibonsaiclub.it/ forum). Il premio messo in palio dal Napoli Bonsai Club Onlus sarà un vaso pezzo unico, fatto a mano da Tiberio Gracco (in seguito sarà pubblicata la foto del vaso). Il nostro desiderio è che questo concorso sia particolarmente utile a mettere in comune e a far partecipe tutti gli appassionati della propria esperienza e della personale formazione culturale bonsaistica accumulata in anni di pratica e studio.
La presente “Nota ai collaboratori” viene sottoposta all’autore che ne prende visione e conoscenza, ne accetta tutti i punti elencati e ne concorda i termini incondizionatamente.
Con il patrocinio di
I.B.S. e U.B.I.
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
IL GIARDINO ZEN - Gian Luigi Enny
Il giardino Karesansui - II parte
Articolo a cura di Gian Luigi Enny
Come detto nell’articolo precedente il karesansui in giapponese significa paesaggio secco. Infatti, mentre il giardino occidentale è concepito come uno spazio aperto fruibile, utilizzabile per camminarci, per coltivare piante, fiori, per trascorrere momenti di relax, il karesansui è invece un giardino da meditazione. Lo si osserva e contempla all’esterno del suo perimetro, quasi sempre da un solo lato con la possibilità in alcuni casi di osservarlo da altre angolazioni, questa contemplazione dovrebbe essere fatta svuotando la mente ed al tempo stesso raccogliendo le sensazioni che la composizione intrinseca trasmette all’osservatore, che nella concentrazione e nel silenzio più assoluta riesce a captare. Mentre un giardino occidentale contiene numerosi elementi di distrazione come diverse varietà di piante alcune anche di frutta con forme e colori sgargianti, o animali domestici e bambini che giocano, di fronte ad un karesansui si trova la pace e si partecipa alla calma totale. È il monaco che pettina la ghiaia con uno speciale rastrello, affinché i segni che lascia possano essere interpretati in diversi modi, ad esempio possono rappresentare le onde del mare che vanno ad infrangersi sulle rocce di un isola, oppure nuvole attorno al picco di
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montagna. Mentre il monaco medita attivamente attraverso la costruzione e la manutenzione del karesansui, chi lo osserva e lo contempla cercherà dii svuotare la mente dai pensieri e dai problemi quotidiani. Questo è infatti l’obiettivo principale della meditazione buddista, creare il vuoto per ottenere lo spazio necessario all’illuminazione. Il più famoso Karesansui in Giappone è quello del tempio di Ryoanji.
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
IL GIARDINO ZEN - Gian Luigi Enny
Fig. 3 - Giardino karesansui del tempio di Ryoanji
Il monaco che l’ha costruito ha immaginato che un felino saltasse nel giardino e lo attraversasse (nella mia immaginazione un gattone). Il monaco ha posizionato le pietre “dove questo animale ha appoggiato le zampe”. Con questa metafora il monaco ha voluto indicare che le pietre non sono state posizionate seguendo un progetto o uno schema logico studiato precedentemente, bensì esattamente dove lo spirito del felino con le sue impronte gli ha suggerito. Una particolarità di questo giardino, sul quale si trovano 15 pietre disposte in più gruppi, consiste nel fatto che, da qualsiasi punto del lato di osservazione si guardi il karesansui, si possono sempre e solo vedere 14 pietre. Per il monaco che ha costruito questo Karesansui ha voluto rappresentare la verità, che ha sempre un lato nascosto. La ghiaia costituisce la base sulla quale vengono Fig. 4 posizionate le pietre, questa rappresenta l’acqua, il mare, ma anche il vuoto o lo zero assoluto. Il karesansui è sempre delimitato da una cornice, normalmente viene utilizzato un cordolo in pietra, le rocce che si trovano all’interno sono fondamentali nella realizzazione del karesansui, devono avere un aspetto naturale, non lavorate o tagliate dall’uomo ma solo levigate dall’acqua. Visto che le pietre rappresentano le montagne o le isole, nel karesansui, devono dare la sensazione di stabilità e di essere sempre state in quella posizione quasi si fosse costruito il giardino attorno ad esse, i colori devono essere omogenei e possibilmente tutte della stessa natura geologica. Fig. 5
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
IL GIARDINO ZEN - Gian Luigi Enny In quest’occasione è con piacere che vorrei mostrarvi la mia ultima (per il momento) fatica. Fatica fisica nel vero senso della parola, visto che ho realizzato da solo questo karesansui con le sole forze delle mie braccia aiutandomi esclusivamente con un carrello e delle leve senza l’aiuto di nessuno! Era una sfida che avevo intrapreso con me stesso due anni fa e con grande soddisfazione sono riuscito a portarla a termine, pensate solo che alcune pietre utilizzate per il cordolo che delimita il giardino karesansui, sono in granito e superano abbondantemente i 50 Kg come si può vedere se ne contano parecchie. Mentre la pietra più grande posizionata per un terzo della sua grandezza sotto la superficie della ghiaia, pesa circa 145 Kg. Fig. 6
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LA BASE FA LA DIFFERENZA - Sergio Bassi
La base fa la differenza la Via del Daiza
Articolo a cura di Sergio Bassi
Ricordo i miei primi tentativi di costruire i supporti per i suiseki, non conoscevo ancora le regole, li facevo come mi venivano, usavo la fantasia non solo per il disegno, ma anche nella ricerca di metodi sbrigativi, non prestavo attenzione al fatto di affossare la pietra nel Dai, mi andava bene anche appoggiata, se capitava che “largheggiasse” rimediavo con lo stucco, i piedini li facevo come venivano e non conoscevo il concetto di un “supporto in armonia con la pietra”, per il colore davo quello che avevo, era sufficiente che fosse più scura... e così via di errore in errore. Credo di non essere stato l’unico a cominciare così, del resto ancora oggi faccio degli errori, ma non gli stessi di allora. Ho imparato quanto è importante studiare la base che dovremo realizzare; possono esserci pietre simili, ma mai uguali, così ogni Daiza sarà diverso da qualsiasi altro. L’errore di concetto lo concepisco meno grave, ritengo che ognuno sia libero di interpretare la pietra a modo suo, anche attraverso la ricerca di soluzioni discutibili, ma sulle rifiniture sono convinto che ci si debba impegnare al massimo, se la natura ha impiegato millenni a dare una forma gradevole alla pietra che ho fra le mani, cosa saranno mai alcune ore o anche giorni che impiegherò per la rifinitura di una base? Quando prendiamo in mano una pietra e diciamo “adesso tocca a te”, ci assumiamo inconsciamente anche il compito di renderla più bella, completandola con un Daiza appropriato. Ho sempre sentito dire che un Daiza deve essere: discreto, anonimo, equilibrato, non invasivo, in sintonia con la pietra ecc. ecc. Questi termini generici non solo vanno capiti e interpretati, ma, cosa più difficile, vanno messi in pratica. Credo di poter dire che questa è la “Via del Daiza”, perché è fuori dubbio che “la base fa la differenza”. Intendiamoci, io “la Via” l’ho appena imboccata e di strada ne devo fare ancora tantissima, ma il fatto che mi diverta è basilare, l’esperienza si conquista solo attraverso il lavoro. Ascolto le critiche e quando sono giuste mi rammarico di non esserci arrivato da solo. Il mio intento è di mostrare attraverso le immagini, la differenza fra un Daiza che io considero sbagliato ed uno che considero più appropriato. E’ giusto sostenere che la cosa più importante è avere belle pietre, poi le basi le possiamo rifare quante volte vogliamo; facile a dirsi meno facile a farsi. In realtà, una volta terminata una base e scopriamo che non ci piace, ci sono due possibilità: o siamo convinti che la pietra sia “di valore” e in questo caso la rifacciamo subito, oppure si rimanda “a data da stabilirsi”. Se decidiamo per la seconda, ci sono ancora due possibilità: “il tempo porta consiglio”, infatti, capita di rivalutare una pietra dopo un periodo indefinito e in quel momento decidiamo di rifarla; oppure, nonostante i buoni propositi, l’entusiasmo per nuovi ritrovamenti e il tempo che è sempre tiranno, la base per quella pietra non sarà mai rifatta. Esempio n. 1
Nel giugno 2001 mi fu chiesto di mandare una pietra alla quarta edizione della World Bonsai Convention a Monaco di Baviera. Era la prima volta che mettevo una pietra a concorso, il mio intento era solo quello di partecipare, ma al club diciamo sempre che se partecipiamo a qualcosa, dobbiamo farlo sempre al meglio delle nostre possibilità, soprattutto per rispetto verso gli altri. Sinceramente non so se in quel momento fosse la più bella della mia collezione, ma sicuramente è una pietra molto particolare che mi piace molto ed ero sicuro che non avrebbe sfigurato. Questa pietra l’ho chiamata “La Creazione”; la forma ad uovo (simbolo di vita) che si rompe e dal suo interno nasce la montagna (la terra) simboleggia in modo forte “la nascita del mondo”, per me “la Creazione della terra”. E’ stata rinvenuta in Toscana nella zona del Mugello nel 1999. Non avevo ancora fatto la base, e di esperienza ne avevo
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LA BASE FA LA DIFFERENZA - Sergio Bassi molto poca. Immaginai un Dai simile a quelli che si fanno per le pietre montagna, ma una volta ultimato non mi piaceva (Fig. 1), sul momento il difetto maggiore mi pareva la dimensione.
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Decisi di rifarla, simile alla prima ma più piccola (Fig. 2). Inutile dire che non ero ancora soddisfatto, la pietra appoggiava sulla base, non era “contenuta” con armonia e ancora troppo vistosa. Dopo essermi consigliato con gli amici del club, l’ho rifatta per la terza volta. Questa volta ho cambiato completamente disegno (Fig. 3). Ho incassato maggiormente la pietra nella base, riducendola all’essenziale. I piedini avevo paura di farli troppo piccoli, questo errore avrebbe pregiudicato la stabilità della pietra, credo che non sia successo. Anche il colore è cambiato, ho deciso per un marrone chiaro, più in sintonia con il colore della pietra. Osservando tutte le foto possiamo notare quanto notevole sia la differenza e come la terza base sia decisamente più appropriata. Esempio n. 2
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Anche la seconda pietra sulla quale ho lavorato è fra le mie preferite. La forma può anche essere consueta, ma patina e superficie sono veramente da sballo. E’ bellissimo accarezzarla, ho l’impressione che anche a lei piaccia questo tipo di contatto, restituisce questo piacere come quando si coccola un gattino. Si tratta di un’arenaria molto dura, di forte carattere, dalla porosità fine ed elegante, calda, discreta, non vistosa. Non pratico lo Zen, ma sono sicuro che il Wabi e il Sabi sono questi. L’ho trovata durante un’escursione in Toscana alla fine degli anni novanta, ma sul momento non mi ero reso conto delle sue potenzialità intrinseche. Per la base decisi che doveva essere molto bassa (Fig. 4), con la parte esterna inclinata in modo da accompagnare la pietra. Svuotata la parte sottostante, creai dei piedini piccoli ed un pò movimentati.
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LA BASE FA LA DIFFERENZA - Sergio Bassi Oggi non farei mai una base così, infatti, tutte le scelte di allora le reputo sbagliate. Ho rifatto il Daiza in modo più profondo, fino ad incassare completamente la pietra, poi non l’ho vuotata sotto, così ne guadagna la stabilità; ho fatto solo tre piedi ma più grandi. La conformazione della pietra non mi ha consentito di stare molto basso sul fronte perché, sul retro del sotto ho uno sperone profondo (come si nota dalla Fig. 6), la pietra si inclina naturalmente in avanti e non volevo che lo facesse in modo eccessivo, questa soluzione mi è sembrata la più giusta. Il colore scuro (anche se ancora leggermente lucido nonostante una vernice satinata) si addice di più ad una pietra di questo tipo. Esempio n. 3
Ecco “Giulio”, una pietra rinvenuta in Liguria una quindicina d’anni fa. Da subito vedevo questa pietra sopra ad un piedistallo, ne avevo fatto uno (Fig. 7) molto semplice, forse troppo; nelle esposizioni ovviavo a questa “semplicità eccessiva” abbinandola ad un tavolino dello stesso colore, molto basso ma con i bordi a cornice, così appariva più solenne ed in sintonia con il personaggio raffigurato dalla pietra. Ho atteso anni per avere lo spunto giusto. Finalmente ho visto su internet una base che mi ha stimolato e in poche ore di lavoro l’ho modificata. Per dare un tono di austerità, ho usato un colore più scuro (Fig. 8).
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Esempio n. 4
Fig. 8
Capita che un amico mi chieda un favore, se posso lo aiuto con vero piacere. Questo amico è il possessore della pietra che vediamo nella foto 9; aveva fatto questa base ma non gli piaceva. Secondo me ci sono molte cose sbagliate: la forma è eccessivamente triangolare, quella punta verso l’osservatore (quello era il fronte) non va assolutamente bene; la seconda è lo spessore troppo elevato, nonostante i piedini a scomparsa è troppo pesante. Secondo il mio giudizio, dobbiamo cambiare il fronte e l’inclinazione che vediamo nella foto 10. La difficoltà maggiore che ho avuto nella costruzione del nuovo Daiza è stata la stabilità; come possiamo vedere la parte alta è molto più pesante di quella bassa; questo vuol dire che c’è sempre il pericolo di vederla cadere; aggiungo che la parte che va a contatto con la base, si allarga proprio pochi millimetri prima di finire.
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LA BASE FA LA DIFFERENZA - Sergio Bassi Chi fa le basi da solo capisce molto bene che questa particolarità costringe a togliere legno che servirebbe come appoggio per dare stabilità.Per risolvere il problema ho deciso di fare una base bassa (Fig. 11) ma leggermente larga, come si nota dalla foto 12; per evitare di renderla visivamente pesante l’ho alleggerita creando dei motivi a scalare e dei piedini sporgenti. Anche la colorazione non è come la faccio abitualmente perché io di solito nascondo totalmente le venature, in questo caso non l’ho fatto ritenendo che la pietra permettesse questa “divagazione”. Ho cambiato anche l’inclinazione (Fig. 12). Con questa nuova postura è possibile cambiare il fronte, così possiamo vedere la parte sotto allo sperone che purtroppo prima rimaneva coperta (Fig. 13)
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Esempio n. 5
Fig. 13
Anche questa pietra è dello stesso amico di prima, anche in questo caso non era soddisfatto del suo lavoro (Fig. 14). Io penso che lui volesse presentarla come “pietra ponte”, credo che questo sia stato il motivo che lo ha spinto ad elevare così tanto la parte sinistra.
Fig. 14
Fig. 15
Prima di decidere quale doveva essere la posizione finale, ho fatto numerose prove. Fra i due lati ci sono molte differenze: la prima è l’altezza, la seconda i modi completamente opposti di come finisce il sotto perché il sinistro pende a destra ed il punto dove appoggia allarga, il destro pende a sinistra ed il punto d’appoggio restringe. Ho preso in considerazione anche la possibilità di “trasformarla” in pietra oggetto (animale) ma la parte sinistra sotto è piatta, quindi ho dovuto abbandonare quest’idea. Ho provato anche a far toccare le due parti allo stesso livello, ma appoggiavano entrambe di traverso, lascio immaginare lo scompenso della parte superiore e che tipo di Daiza sarebbe uscito. Ho deciso per questa inclinazione, l’apice ed il disegno della superficie sono equilibrati, il Daiza sapevo gia che sarebbe venuto un pò pesante. Ne è uscita una base dall’andamento tondeggiante (Fig. 15); questo mi ha aiutato nelle rifiniture e credo si abbini bene con la pietra. Sergio Bassi
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LE TERAPIE OLISTICHE - Gennaro Terlizzi
Le terapie olistiche - II parte
Articolo a cura di Gennaro Terlizzi
Ciao a tutti, spero che l’articolo precedente abbia destato in voi un positivo interesse. In questo nostro secondo incontro parleremo del Dao e del Qi (Ki o soffio energetico), visti sotto l’aspetto della MTC. Dao - al Dao è attribuito il significato di strada, sentiero, la via da seguire per compiere qualcosa, la via personale e spirituale. E’ la strada che lo yin e lo yang percorrono nel loro rapporto di trasformazione. Secondo il concetto taoista Wu Wei (significa non agire, lasciar scorrere le cose senza intralciarne il loro percorso) è percorrere il sentiero della vita senza mutarlo per evitare di lederlo. E’ anche ciò che otteniamo percorrendo il sentiero della vita, essendo così nello stesso tempo mezzo e fine. In giapponese si pronuncia Do ed ha lo stesso significato come per i cinesi, è un termine presente in molte parole legate al Budo (Bu significa guerriero, quindi strada del guerriero), come Aikido, Kendo, dove Do sta a indicare la strada, la rettitudine.
Ideogramma del Dao
Ideogramma del Qi
Energia – Soffio - il soffio energetico o Qi (Ki per i giapponesi) è elemento fondamentale nella MTC. Fin dall’antichità, i cinesi ritenevano che tutte le cose dell’universo potessero essere rappresentate con il concetto d’energia. Nella forma antica l’ideogramma del Qi, raffigura i vapori che salgono dalla terra verso il cielo a formare le nubi. Nella forma più moderna, nell’ideogramma è presente il riso che cuoce (materia yin) e il vapore etereo (energia yang), dotato di forza sale verso il cielo. L’energia è globalmente una sola, ma è costituita da due polarità contrarie: - Polarità yin, che tende verso l’immobilità assoluta, verso la materia; - Polarità yang, che tende verso la mobilità estrema, verso l’energia più sottile, impalpabile. In MTC, l’alternanza dei movimenti yin e yang si trova nella circolazione dell’energia a livello dei meridiani. E’, infatti, quest’ultima ad animare l’organismo ed a permettergli di assolvere tutte le sue funzioni biologiche. Si comprende che il Qi è legato all’espressione del dinamismo legato alla materia e che da essa può essere emanato. Sul piano fisiologico il Qi è inteso come la manifestazione dello spirito vitale che anima il corpo. Da ciò comprendiamo che il Qi è l’energia che sorregge tutte le trasformazioni dello yin e yang attraverso la strada del Dao. Il soffio energetico o Qi, anima e consente il corretto funzionamento degli organi; è ciò che fa battere il cuore, funzionare il fegato, consentire allo stomaco di svolgere tutte le sue funzioni. Un perfetto equilibrio dei soffi da come risposta un corpo sano ed in perfetta salute. Lo shiatsu, l’agopuntura, il massaggio cinese ed altre tecniche terapeutiche, come la riflessologia plantare agisce sui soffi energetici per riequilibrarli. La MTC considera quattro principali forze energetiche a livello del corpo umano: energia ereditaria o Jing qi; energia nutrice o Ying qi; energia psichica mentale o Shen qi ed infine energia difensiva o Wei qi. L’energia ereditaria Jing qi è il soffio ereditario Xian Tian Zhi Qi (soffio del cielo anteriore), è ciò che ereditiamo dai nostri genitori ed è legato alle qualità dei loro soffi al momento del concepimento. E’ l’energia che nasce da due energie di polarità opposte: yin, quella della madre e yang, quella del padre. Questo capitale energetico, è utilizzato durante il corso della nostra vita, non può essere reintegrato ma tenuto in buono stato senza dissiparlo.
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LE TERAPIE OLISTICHE - Gennaro Terlizzi
Quest’energia ha sede nel punto chiamato Mingmen, posto tra i reni (con le ghiandole surrenali e gli organi genitali corrispondenti). Il soffio ereditario si manifesta sotto tre aspetti: Jing (essenza), Yuan Qi (soffio originario), Zong Qi (soffio ancestrale). Lo Jing è l’essenza raffinata, la sostanza fondamentale dell’universo. A questa essenza si associa il concetto di seme, sperma, vitalità. Nel nostro organismo lo Jing è presente sia sotto l’aspetto congenito sia acquisito. Abbiamo visto in precedenza che lo Jing congenito c’è trasmesso dai nostri genitori. Lo Jing acquisito è la quinta essenza dell’aria e degli alimenti ed è tesaurizzato dai cinque organi. Lo Yuan Qi è strettamente correlato allo Jing congenito. Questo fa si che nella pratica clinica è difficile distinguere questi due soffi. Lo Yuan Qi può essere definito l’aspetto attivo dello Jing congenito. E’ il catalizzatore di tutte le trasformazioni, colui che sovrintende sospinge tutti i processi metabolici. Lo Yuan Qi si manifesta a tre livelli: consente il concepimento; nutre il feto e gestisce lo sviluppo; dopo la nascita controlla lo sviluppo, la crescita e la riproduzione. E’ fisiologicamente attivo in tutto il corpo. Zong Qi (soffio ancestrale) o Zhong Qi (soffio centrale) è un soffio che si produce nel torace. E’ definito soffio ancestrale non per le sue caratteristiche, bensì per il significato dell’ideogramma che lo lega alla famiglia, agli antenati. In realtà è prodotto grazie all’apporto dei soffi ricavati dalla digestione e dalla respirazione. Dalla digestione si produce il “soffio dei cereali” (Gu Qi). Dal processo di respirazione si ricava il “soffio puro” (Qing Qi). L’interazione di questi due soffi da vita al soffio ancestrale o Zong Qi. Questo soffio si diffonde nel petto ed è colui che nutre cuore e polmone e sorveglia i ritmi cardio – respiratori. Anche se citato tra i soffi ereditari, appartenenti quindi al “cielo anteriore”, in realtà è chiaro che tale soffio, vista la sua genesi, appartiene al “cielo posteriore”. Energia nutrice Ying qi: ha il compito di nutrire tutti gli elementi dell’organismo; proviene dal metabolismo delle energie alimentari, prodotte dall’attività digestiva, e respiratorie, ricavate dai polmoni. E’ la differenziazione, sul piano fisiologico, del soffio corretto (Zheng Qi). Infatti, dal processo d’interazione tra il soffio prodotto dagli alimenti e quello dell’aria nasce il soffio ancestrale (Zong Qi) che a sua volta, sotto l’azione catalizzatrice del soffio originario (Yuan Qi) dà vita al soffio corretto (Zheng Qi) detto anche soffio autentico (Zhen Qi). Quest’ultimo, in base alle funzioni ad esso deputate, si differenzierà in soffio nutritivo, soffio difensivo, soffio dei vari organi e visceri e così via. Circola in particolare nei meridiani principali e, come avviene per quanto riguarda la fisiologia energetica della circolazione dei meridiani, il soffio energetico segue un ritmo cronologico preciso presentando, ad esempio, nel periodo nictemerale una concentrazione massimale per ogni successivo periodo di due ore in ciascun organo e nel viscere corrispondente (polmone – grosso intestino – stomaco – milza - ….). Il ciclo nictemerale riguarda il giorno e la notte. E’ l’alternanza ritmica di funzioni fisiologiche, collegata al succedersi della notte e del giorno, che continua anche quando si sottrae l’organismo all’alternanza naturale dei giorni e delle notti. La curva della temperatura, ad esempio, in un soggetto normale, ha sempre lo stesso decorso, ritmato dal ciclo nictemerale: temperatura min. alle ore 05.00 temperatura max alle ore 17.00. L’allungamento del ritmo nictemerale è stato recentemente sperimentato sull’uomo da speleologi francesi. Energia mentale Shen qi: i cinesi non hanno mai dissociato il corpo dalle sue attività mentali. Al contrario, vita funzionale e psichismo sono ritenuti strettamente legati. Lo psichismo e l’energia mentale sono chiamati shen. I cinesi inoltre definiscono cinque particolarità della mente che corrispondono ai cinque psichici, che i sinologi definiscono “ le cinque entità viscerali” o “ le cinque anime vegetative. Energia Wei qi: è l’energia più yang, la più mobile del corpo, quella più rapida, che serve a difendere l’organismo contro le aggressioni esterne. Essa circola soprattutto alla superficie del corpo, nella pelle e nella carne; apre e chiude i pori; riscalda i differenti tessuti e agisce a livello della vasomotricità e della termoregolazione del corpo, secondo il variare della temperatura esterna, e del sistema immunitario (ad esempio, nella reazione allergica). E’ su quest’ultima energia che i praticanti di arti marziali e metidative compiono degli studi approfonditi atti a sviluppare al meglio tale tipo di energia e di sfruttarne al massimo le sue potenzialità. Vi saluto ed alla prossima per un nuovo argomento. Gennaro Terlizzi
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
VUTO ‘NDARE IN GIAPPON? - Marco Tarozzo
Vuto ‘ndare in Giappon?
diario di una domenica “Diversa”
Articolo a cura di Marco Tarozzo
Sabato 9 maggio 2009, ore 22,15 al telefono: Alberto: <pronto chi parla?> Marco: <ciao Alberto, sono Marco… che dici, ti andrebbe di fare un “salto” in Giappone?> Alberto: <si certo, si può programmare….in che anno pensavi di andarci?> Marco: <hem….andiamo domattina, passo da te alle 8,30.> Alberto: <ok, bello lo scherzo…senti Marco, hai bevuto?> Marco: <no! Fidati, domani fatti trovare pronto alle 8,30, porta con te solo il cannone (n.d.r. la macchina fotografica), che passo a prenderti; faremo due ore di viaggio e poi vedrai.> Domenica 10 maggio 2009, ore 8,30 a casa di Alberto, busso alla porta: Apre Elisa, la moglie. Elisa: <Marco... voi siete matti!! Dove andate?> Marco: <andiamo a trovare un amico, vedrai stasera quando torniamo, Alberto sarà entusiasta... fidati!> Elisa scuote la testa, e mi dice qualcosa di “carino”... che non ricordo… Esce Alberto, ha lo sguardo che mi fulmina…. Sorrido. Marco: <caffè?> Alberto: <No!> Ok, non è convinto, saliamo in auto…. tanto so che alla fine sarà entusiasta! Eccoci, silenziosi, senza caffè (sig!) in viaggio; da Chioggia verso Gorizia. Destinazione? Casa Beltrame. Bruno Beltrame è un amico, un “compagno di classe” alla Bonsai Creativo School nella sede di Belluno; ritengo che la sua collezione sia unica, con pochi rivali in Italia e altrettanto pochi in Europa. Bruno è presente nel panorama bonsaistico da una decina di anni, mentre il suo primo viaggio in Giappone risale a sei anni fa. E’ stato folgorato (come non ricordo chi) sulla via di Damasco (ops…non pratico molto), da quella terra e quella cultura, e negli anni, dopo il suo primo viaggio, si è recato in Giappone numerose altre volte. Ad ogni viaggio un arricchimento, sia culturalmente che a livello di collezione. Molte volte mi è capitato, magari quando sono di passaggio in Friuli Venezia Giulia per lavoro, di fermarmi un’oretta da lui, e ogni volta, visitando casa sua e il suo giardino, ho scoperto qualcosa di nuovo e di magnifico nella sua collezione; collezione che non è fatta solo di piante ma anche di pietre, di vasi, di scroll, carpe koi….. Ecco, devo fare gasolio, Alberto accetta di bere un caffè (evvai….), fatto il pieno, si riparte. Ore 10,30 – Gorizia, arrivati! Parcheggio. Sulla porta Bruno ad attenderci. Ci salutiamo, presento Alberto a Bruno e a Monica, la moglie. Dio che pazienza questa donna e quanto è ospitale, ci ha bloccati per il pranzo e sta già sistemando il vino al fresco per l’aperitivo e la carne per la grigliata (Bruno, le devi fare un monumento!). Bruno ci dice che ci sono anche degli altri amici: Luca (Bragazzi) e Roberto (Nogherot). Bene dico io. Che bella giornata ci si presenta davanti! Il padrone di casa fa strada e entriamo in giardino. Mi volto e vedo Alberto sbiancare. Penso: “abbiamo fatto solo due metri dall’ingresso e se già ora è senza fiato, come mi diventa l’Alberto al termine della visita”? Subito ci accoglie un pentaphilla alto circa tre metri che con il ramo di “benvenuto” ci indica la via; dopo si “apre” il giardino. Mi giro e vedo Alberto che non sa più cosa guardare, dove andare…
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VUTO ‘NDARE IN GIAPPON? - Marco Tarozzo Vi descrivo la scena che si presenta davanti a noi (Fig. 1, 2, 3, 4): di là il laghetto con le koi, oltre lo stagno i bancali con le conifere, a fianco il biancospino, di qua i bancali con le azalee, oltre i faggi, i carpini. A terra convallaria nana, hosta, pietre, la Tsukubai, le lanterne, poi in fondo di fronte alla piscina, lì in fondo l’ultimo arrivato... raccolgo da terra la lingua di Alberto, lo scuoto e lo invito (con l’autorizzazione di Bruno), a fare foto.
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Si sta riprendendo e fa uscire il cannone, scatti a raffica (Fig 5, 6). Io, incredulo, mi avvicino all’ultimo arrivato; è un’opera d’arte straordinaria, di rara bellezza e intensità! Aveva ragione Bruno a dirmi, quando me lo descriveva, “Marco, non crederai ai tuoi occhi”. Ecco di che cosa sto parlando (Fig. 7). Fig. 5
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
VUTO ‘NDARE IN GIAPPON? - Marco Tarozzo
Questo master arriva direttamente dal giardino di Pius Notter e ora è qui, in Italia, a Gorizia! Roberto e Luca sorridono. Bravi... che forza... loro hanno già assorbito il colpo, per forza sorridono!!! Chiedo a Bruno se può staccarsi da Luca, che sta procedendo con le concimazioni (Fig. 8) e l’ultimo rinvaso, per accompagnarci a visitare il giardino prima di scendere in taverna a vedere la collezione di vasi e di scroll. A ogni pianta un commento. Bruno non è solo un collezionista, è anche un bravissimo bonsaista. Lo so per certo perché lo vedo lavorare alle sessioni della scuola a Belluno; inoltre ha molta esperienza. Ha lavorato con Suzuki, Liporace, Segneri... solo per citare dei “nomi da nulla”. I suoi bonsai hanno vinto premi all’UBI, Crespi, Arco. Beh, arrivano le 13, lo stomaco “brontola”… Monica e Roberto che, quando c’è da cucinare e mangiare non si fa mai da parte (n.d.r. chiedere ai cuochi della b,b&b di Arco), ci chiamano a tavola (Fig. 9). Arriviamo! Una bella porzione di grigliata, un ottimo nero friulano, il dolce, il caffè il Ron Fig. 8 Zacapa e arrivano le ore 16. Facciamo un ultimo giro del giardino, giusto per fare le ultime foto e poi i saluti ai padroni di casa e i ringraziamenti per l’ospitalità (Fig. 10). Uno scambio di abbracci con quel che è rimasto di Luca e Roberto e l’impegno di rivederci a Giugno a Belluno, alla scuola. Saliamo in auto e commento ad Alberto: “te l’avevo detto che il Giappone dista solo 2 ore da Chioggia, tu non mi credi mai…”. Sorride e, grazie alla famiglia Beltrame, rientriamo verso casa con un pezzo di Giappone nel cuore. Marco Tarozzo
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Sarà a Nole, Fraz. di Grange (TO) presso la Fujisato Company che si svolgerà l’ormai consueto
Congresso Nazionale degli Istruttori IBS, giunto alla XIV edizione e con una nuova formula. Il Congresso IBS apre le porte a tutti, professionisti e hobbisti del Bonsai e del Suiseki per assegnare i riconoscimenti previsti.
Vi invito a partecipare a questo evento i cui contenuti si basano su aspetti didattici di particolare interesse. Saranno previste conferenze, demo, la borsa di studio IBS oltre all’assegnazione di numerosissimi premi di prestigio. L’esposizione prevederà settanta spazi espositivi, uno di questi potrà essere il tuo! Il mio invito è rivolto a tutti per rendere questo evento una festa del Bonsai, del Suiseki e della didattica.
Sandro Segneri Presidente IBS
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Mostre ed eventi
ARCOBONSAI 2009 - Andrea Meriggioli
ArcoBonsai 2009
Un appuntamento da non mancare Articolo a cura di Andrea Meriggioli
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Anche quest’anno si è da poco concluso uno dei più importanti appuntamenti bonsaistici, sia per il livello delle piante esposte che per l’affluenza di appassionati che si danno appuntamento ad Arco, in questa stupenda località montana immersa nella natura (Fig. 1) ed in grado di ospitare al meglio la manifestazione con un’atmosfera che rende l’evento molto suggestivo. Un week end dunque immerso nel verde, alla scoperta del bonsai che ha potuto regalarci delle giornate fantastiche, le quali lasceranno una traccia nella memoria di tutti. Il grande mercatino bonsai (Fig. 2, 3, 4) ha dato prova di offrire una variegata ed interessante scelta di materiali provenienti da molte regioni e non sono neppure mancati rivenditori stranieri, come quelli che hanno presentato i vasi cechi. Tutti i partecipanti hanno potuto trovare una vasta gamma di articoli che spaziavano pure per differente qualità degli stessi, potendo così soddisfare le esigenze di tutti gli appassionati, dai neofiti ai professionisti. Ospite d’eccezione che la manifestazione ha potuto vantare, è stato il maestro giapponese Takashi Iura (allievo del maestro Kawabe) che nonostante la giovanissima età è già conosciuto in tutto il mondo per il suo spiccato talento particolarmente mirato alla lavorazione dei ginepri. Venerdì 1° maggio si è tenuto il workshop con il Maestro per gli istruttori, mentre alla domenica il Maestro ha tenuto una dimostrazione . Nel mentre si sono tenute le lavorazioni a confronto tra i 20 club partecipanti. Nella stessa giornata si è svolta una conferenza a carattere scientifico curata dall’istruttore IBS Luca Bragazzi.
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Mostre ed eventi
ARCOBONSAI 2009 - Andrea Meriggioli
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Sabato è stato dedicato all’8° trofeo Arcobonsai tenuto tra 18 istruttori italiani e alle due conferenze, una scientifica curata dal Prof. Ferruccio Poli ed una che riguardava la realizzazione e la progettazione delle piante dei convegnisti curata degli istruttori IBS Adriano Bonini e Carlo Cipollini. La mostra non era costituita unicamente dall’esposizione dei bonsai ma bensì arricchita da una bella esposizione di suiseki, i quali hanno attirato con il loro intrinseco fascino tutti i visitatori che li hanno potuti ammirare. L’evento si è svolto all’insegna di un’ organizzazione perfettamente curata: dalla cena di gala presso il Palace Hotel Città di Arco alla grande disponibilità del personale presente. Un plauso a tutti gli organizzatori e sponsor che con i loro sforzi ed il loro impegno consentono ogni anno di poter realizzare la manifestazione, ed un grazie in particolare al bonsai club organizzatore, il Club Garda Trentino e al suo presidente. Andrea Meriggioli
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Mostre ed eventi
MOSTRA DI PRIMAVERA - Daniele Abbattista
Mostra di primavera 2009
Orto Botanico di Roma - A.C. Roma Bonsai Articolo a cura di Daniele Abbattista
Non posso parlavi di questa Mostra senza parlare dell’Associazione Culturale Roma Bonsai e di Enrico Sallusti (Fig. 1). In un mondo bonsaistico ipercompetitivo e pieno di lotte fratricide alla caccia dell’ultimo appassionato da reclutare, alla Città dei Ragazzi, Enrico si è ritagliato negli anni uno spazio che rispecchia in pieno lo spirito del luogo, il genius loci, che li ospita da tanti anni e che è una cittadella inserita in una splendida cornice verde, che accoglie, educa e prepara al mondo del lavoro ragazzi disadattati e/o provenienti da famiglie in difficoltà. Il club di amatori è nato nel 1992 e conta a tutto il 2009 cinquantadue soci, tutti iscritti, come l’Associazione del resto, anche all’UBI. Lo stesso spazio è diviso anche da noi ragazzi della Scuola di Sandro Segneri, che è ospite dell’Associazione, ma molti di noi frequentano per motivi diversi sia la Scuola di Sandro (Bonsai Creativo Fig. 1 - Enrico Sallusti insieme a sua moglie durante le premiazioni School) che le riunioni del Club. Da Sandro si arriva per percorrere un certo percorso che porti un giorno al ruolo docente o comunque per apprendere tecniche avanzatissime di coltivazione e creazione bonsai. Da Enrico in Associazione si va per passare tra amici, anzi direi in famiglia, una bella giornata di bonsai, apprendendo i fondamentali e mantenendosi ad un livello più amatoriale che competitivo, pur non mancando personaggi di grosso spessore bonsaistico tra gli amici del club, uno su tutti Fabrizio Petruzzello, il cui leccio (Fig. 2), presentato in mostra fuori concorso, è nel catalogo UBI di quest’anno. Ogni riunione si conclude con una fantastica grigliata ed ognuno partecipa in qualche modo e secondo le sue disponibilità a far sì che la vita di Associazione sia più serena e divertente possibile. Per il nostro cuoco ufficiale, quest’anno alla Mostra c’è stata addirittura una premiazione ed una targa speciale (Fig. 3). La mostra di Primavera è uno dei due eventi che l’Associazione organizza ogni anno, insieme a quella d’Autunno che però si svolge alla Città dei ragazzi. Sino all’anno scorso anche la SO-SAKU BONSAI AWARD, la prestigiosa mostra della Scuola di Sandro Segneri, si avvaleva della meticolosa e volenterosa organizzazione dell’Associazione. Il contesto in cui si svolge la Mostra di Primavera, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università La Sapienza di Roma, Fig. 2 - Leccio fuori concorso - Coll. Fabrizio Petruzzello è decisamente invidiabile, situata com’è nel cuore di
Mostre ed eventi
MOSTRA DI PRIMAVERA - Daniele Abbattista
Fig. 3
di Trastevere, nell’Orto Botanico, nel giardino Storico di Palazzo Corsini, che è stata la residenza di Cristina di Svezia dopo la sua abdicazione (1654) e trasferimento a Roma, fino alla morte nel 1689. A sottolineare il carattere più associativo che competitivo, accanto a bonsai e suiseki d’autore, il Presidente ha istituito una categoria apposita, per ragazzi appena affacciatisi nel mondo dell’Associazione e del Bonsai in genere. Per la prima volta nella loro giovane carriera bonsaistica, hanno esposto i loro bonsai, sicuramente non maturi, ma promettenti, accanto ad esemplari di diverso spessore artistico. A corollario della manifestazione si sono svolte alcune manifestazioni: “Impostiamo insieme un bonsai” una intelligente attività di proselitismo ed imprinting con i bambini, futuri bonsaisti di domani, e due diversi workshop tenuti da personaggi di spicco della realtà bonsaistica romana. Per la cronaca i premi sono stati vinti dalla sughera a doppio tronco nella categoria assoluta (Fig. 5), la thuja (Fig. 6) in quella votata dal pubblico, la composizione shohin (Fig. 8) in quanto unica concorrente e l’olivastro di una delle giovani promesse. Ma come ha detto Enrico, i premi in questo genere di manifestazione sono decisamente superflui, perché quello che conta è passare una bella giornata tra noi e gli amici dei club nostri ospiti, insieme alle migliaia di visitatori dell’Orto Botanico, che hanno affollato curiosi ed estasiati la nostra mostra.
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Daniele Abbattista
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FIORI & VINO 2009 - Antonio Defina
Fiori & Vino 2009
Club Bonsainsieme - Carignano Articolo a cura di Antonio Defina
Come ormai da consuetudine, di anno in anno il club Bonsainsieme al quale sono tesserato, ha promosso per i giorni 9 e 10 Maggio, in occasione degli eventi di “Primavera”, una mostra amatoriale di bonsai. La mostra, sia per la parte organizzativa che per quella economica, è a nostro carico, ma questi dettagli non ci hanno mai spaventati, l’adrenalina e l’entusiasmo sono sempre stati ai massimi livelli. I preparativi iniziano venerdì 8 maggio, l’indomani, previa inaugurazione con le maestranze comunali è prevista l’apertura al pubblico dell’esposizione. L’inizio è fissato per le 16.30 del giorno 8 a casa del Prof. Genotti, dove ci sono i materiali. La lista è lunga: cavalletti, plance e piantoni, rotoli di tessuto, tavolini, cannicciati e fondali, ehi....ma quante cose servono oltre ai bonsai per realizzare una mostra?!? Si spolvera, si ramazza e si rammenda, tiriamo tutto a lucido per il grande evento. Ecco....è arrivato il camioncino! Riusciamo a stipare il tutto con grande fatica. Il locale da adibire per la mostra è il circolo ricreativo/sportivo dell’ ANSPI,una piccola palestra polivalente di circa 400 m quadrati. Fig. 2
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Mostre ed eventi
FIORI & VINO 2009 - Antonio Defina Il materiale e le piante vengono inizialmente posti al centro, per poi procedere all’allestimento. Il tempo vola, è già mezzanotte... ci sembra tutto in ordine, le piante schierate come tanti “corazzieri” fanno bella mostra di se! Il tokonoma al fondo chiude la trionfale parata. La fatica è finita, la fame è molta, ci si rilassa e spuntano i mezzi della sussistenza. Una piccola cena goliardica è proprio meritata. Arrivano finalmente i giorni più attesi, quelli di sabato e domenica. L’affluenza delle persone è stata elevata, il picco più alto nel pomeriggio di domenica. Mille domande, tante curiosità da soddisfare......occhi increduli e meravigliati nel vedere tali bellezze. In controtendenza rispetto ad altri eventi, nella nostra mostra la caducifoglia è al centro dell’attenzione. Molte le specie esposte, circa una quarantina di essenza tra caducifoglie, conifere e piante Fig. 4 autoctone. Si comincia a smontare, si pensa già al prossimo anno, alla prossima mostra. Siamo soddisfatti, ogni socio, da quello alle prime armi al più esperto, si è potuto esprimere con la propria pianta, tutti uniti da un’unica passione...... senza competizione. Antonio Defina
Fig. 4
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In libreria
BONSAI - Antonio Ricchiari LO SPIRITO DELL’ARTE GIAPPONESE - Antonio Ricchiari Titolo: Bonsai. L’arte di coltivare gli alberi in miniatura Autore: Giovanni Genotti Editore: De Vecchi Editore Pagine: 174 ISBN: 8841295104 Prezzo: € 28,00
Un altro libro di Giovanni Genotti che abbiamo voluto recensire anche se scritto dall’autore parecchi anni addietro, perché di grande attualità per le preziose informazioni che sono contenute. E’ emblematico, rileggendo a distanza la premessa, il fatto che Giovanni si definisca “un hobbistaamatore” assumendosi un ruolo che già invece lo vedeva molto più oltre avendo raggiunto una notevole esperienza nella coltivazione delle piante. Il volume rivela per intero l’esperienza del Maestro fatta tutta “sul campo”, secondo il rispetto per la fisiologia delle piante che Giovanni ha allevato ed educato secondo un training che se fosse applicato da tutti i bonsaisti eviterebbe di avere molte piante “sulla coscienza”. L’esperienza accumulata da Genotti in tutti questi anni costituisce davvero un prezioso patrimonio di notizie e metodologie difficilmente riscontrabile in altri bonsaisti. Gradevole dal punto di vista didattico la prosa semplice e molto chiara che questo grande bonsaista usa quando scrive.
Titolo: Lo spirito dell’arte giapponese Autore: Kazuko Okakura Editore: Luna Editrice Pagine: 127 ISBN: 8874351321 Prezzo: € 16,00
Insieme al famosissimo Libro del Tè, quest’opera di Kakuzo è uno fra i testi più importanti e profondi in lingua inglese che siano stati dedicati alla civiltà giapponese. Esso studia l’arte nazionale ponendola costantemente in relazione con la storia della Cina e dell’India. Mostrando come tutti gli sviluppi artistici siano strettamente collegati, uniti dalla progressiva diffusione del buddhismo nelle sue diverse correnti. Una storia dell’arte giapponese, più ampiamente orientale in cui l’Autore sottolinea costantemente il legame con i fondamenti spirituali e metafisici, al di là del semplice apprezzamento di carattere estetico o storico-archeologico che così spesso limita la visione dei critici occidentali.
Bonsai ‘cult’
FIGURA E RUOLO DEL ... - Antonio Ricchiari
Figura e ruolo del Maestro bonsai tra Oriente ed Occidente* Testo di Antonio Ricchiari
Il rapporto verticale a partire dagli ideali preposti alla formazione del gruppo sociale, in Giappone diventa il principio attivo che crea coesione tra i membri del gruppo. L’influenza dominante esercitata da questo orientamento verticale spinge individui - che pure condividono lo stesso ruolo - ad esprimere una differenza fra loro. Nella misura in cui ciò si consolida, prende forma un sistema gerarchico sorprendentemente raffinato e complesso. Questo senso della gerarchia così profondamente radicato si ritrova anche tra scrittori, attori, artisti, cioè in gruppi che diremo impegnati in attività fondate sulla capacità individuale, che non dovrebbero dunque essere vincolati da alcun sistema istituzionale. Basta pensare che anni addietro fu conferito dal governo giapponese il titolo di “Tesori viventi” a settanta grandi artisti artigiani che formano la confraternita più esclusiva del mondo, venerati dal popolo come garanti della sua memoria culturale. Anche all’interno di questi artisti artigiani vi sono i senpai, coloro i quali la carriera era iniziata prima degli altri e che avevano conseguito fama e celebrità prima degli stessi colleghi. Per i giapponesi dunque l’ordine gerarchico stabilito è basato sull’anzianità dell’attività lavorativa presso lo stesso gruppo e sull’età ed ha importanza preponderante nello stabilire l’ordine sociale e nel misurare il valore sociale dell’individuo. Per gli orientali il mondo è nettamente diviso in tre categorie: senpai = anziano kohai = giovane dorryo = collega Il rapporto verticale che abbiamo teoricamente presunto a partire dagli ideali preposti alla formazione del gruppo sociale, in Giappone diventa il principio attivo che crea coesione tra i membri del gruppo. L’influenza dominante esercitata da questo orientamento verticale spinge individui, che pure condividono lo stesso ruolo, a esprimere una differenza tra di loro. Appena tutto ciò si consolida, prende forma un sistema gerarchico sorprendentemente raffinato e complesso. I giapponesi non sfuggono mai alla consapevolezza di dovere distinguere tra senpai e kohai, anche nel caso di discussioni puramente accademiche; per loro è molto difficile esprimere apertamente il proprio dissenso da un’affermazione del proprio senpai. Il potere di un leader giapponese è molto condizionato dal consenso del suo gruppo. Ciò avviene anche nei villaggi dove la stessa organizzazione verticale informale diventa l’organizzazione de iure del gruppo; un prototipo di questo genere di organizzazione si trova nell’ambito dell’arte tradizionale - il No, l’ikebana, la cerimonia del tè, il bonsai - in termini di iemoto-sei. Al vertice dell’organizzazione vi è il caposcuola, iemoto (che nella tradizione significa “origine del casato”). Attraverso il rapporto maestro-discepolo la funzione di iemoto dà origine ad innumerevoli legami verticali e, nel caso delle scuole più antiche e prestigiose, la rete a forma di ^ copre quasi l’intero territorio del Giappone. Se vogliamo sintetizzare alcuni principi che abbiamo letto, diciamo che il sensei è colui che: - comunica a vari livelli con gli allievi e li arricchisce; - consiglia e allo stesso tempo punisce; - è un essere umano nel suo modo di controllarsi; - merita rispetto è stato ed è sempre alla ricerca del DO; - deve essere un buon maestro in grado di comunicare la sua conoscenza tecnica agli allievi; - è in grado di giudicare gli allievi e i loro problemi con imparzialità; - è più intransigente con chi ottiene progressi e più gentile con i principianti; - sa ascoltare, a seconda dei casi, come maestro o come amico; La lettura di questo articolo è raccomandata a tutti e farà molto bene allo spirito e alla salute di esperti, professionisti, artisti, “direttori artistici”, “direttori semplici”, “vicedirettori”, “vicedirettori-aggiunti in prova”, docenti, non docenti, docentistudenti, studenti-docenti, componenti Comitati a vario titolo, direttivi etc. (scusate l’immodestia sulla presunta necessità di una lettura profonda scritta in lingua italiana corrente e che impegni in alcuni soggetti i due emisferi del cervello!).
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Bonsai ‘cult’
FIGURA E RUOLO DEL ... - Antonio Ricchiari - controlla gli interessi degli allievi sia all’interno che fuori dal dojo, il loro comportamento con gli amici, con la famiglia, con il lavoro; - può essere tiranno o compassionevole, ma sempre nell’interesse dei suoi allievi; - è sempre attivo; - dona agli altri senza richiedere ricompense per sé; - non cambia: i suoi ideali e i suoi principi rimangono sempre un punto fermo. L’essenza del rapporto maestro-allievo viene efficacemente descritta da Giangiorgio Pasqualotto, grande esperto di orientalismo che scrive “la differenza qualitativa fra i due non risulta risiedere, come si è solitamente propensi a credere, nella maggior pienezza del Maestro in confronto con la natura vuota dell’allievo, per cui si finisce col ritenere che la trasmissione dell’insegnamento si risolva in un semplice travaso di nozioni; al contrario, la differenza consiste nel fatto che il Maestro è tanto più “potente” quanto più vuoto, ossia quanto più è consapevole della relatività del suo sapere, sia nei confronti della verità, sia nei confronti dell’allievo: al pari di Socrate, il Maestro buddhista, “sa di non sapere”, per cui vive ogni momento della consapevolezza di trovarsi in una condizione di costante “apertura”. (East & West, ed. Marsilio). Questi modelli di comportamento dovrebbero fare riflettere su molte cose di casa nostra, prima fra tutte la vanagloria, questo volere bruciare a tutti i costi le tappe, questa smania di non volere essere secondi a nessuno, di pretendere spesso un posto sul podio, di volere essere protagonisti dimenticando però che il bonsai è arte. Suzuki afferma che dai giapponesi è più apprezzata e cara l’arte che non la morale “La morale è disciplinatrice, mentre l’arte è creativa. L’una si impone al di fuori, mentre l’altra è un’irresistibile espressione che viene dall’intimo” (Suzuki, Zen Buddhism and its Influence, pag. 21). In qualche occasione abbiamo avuto il sospetto che da noi non si apprezzi né l’una né l’altra. Eraclito metteva in guardia contro le presunzioni e le illusioni coltivate dall’erudizione sentenziando “Il sapere molte cose non insegna ad avere intelletto”. Anche qui si dovrebbe fare una distinzione netta che qualche tempo fa faceva Socrate, dagli autentici “maestri” ai semplici istruttori o insegnanti che, per la sola ragione di essersi appropriati di una qualifica, possano definirsi, presentarsi e comportarsi come Maestri. In Italia, in particolare, le cose vanno diversamente. A prescindere dalla differenza dovuta a due mentalità, culture ed etnie che sono agli antipodi, malgrado il processo di globalizzazione in pieno sviluppo, il concetto di Maestro vs. allievo, che non è più quello inteso nelle botteghe artigiane del ‘700, presenta alcune lacune concettuali e comportamentali. Il concetto orientale di proteggere e salvaguardare il patrimonio che i “vecchi” detengono e che trasmettono, da noi viene trascurato. Si passa dalla creazione in Giappone dei Tesori Viventi al trascurare o addirittura ignorare personaggi che hanno fatto grande e noto il Bonsai in Italia. Volendo fare un passo indietro, vediamo quanto il ruolo del maestro sia stato declassato a partire dalla sua origine dei secoli scorsi che, specialmente in fase rinascimentale, gli aveva dato gloria ed onori. Non è un fatto generazionale ma credo di subcultura che mette in forte dubbio il ruolo di chi dovrebbe insegnare verso chi dovrebbe apprendere. E’ anche un discorso di percezione del tempo percepita in forma talmente accelerata che pretende una sosta fuggevole nel ruolo di discente, salvo poi a tuffarsi in ruoli ben diversi che richiedono esperienza, cultura, approfondimenti. Ma tant’è, la riconoscenza di noi bonsaisti dovrebbe andare ai pochissimi che si assunsero il ruolo e la fatica di diffondere il bonsai in Italia e portarlo al ruolo primario nel contesto di un panorama mondiale. La memoria è labile, ma quando si viaggia in territori culturali assai lontani per spazi e tempi, per concetti e caratteri, quando ci si addentra nelle zone impervie del pensiero orientale, tutto diventa molto più impegnativo e serio, perché il bonsai professato in maniera professionale non è più un hobby. I ruoli vanno riconosciuti e rispettati per un preciso dovere di onestà intellettuale. Se ciò non avviene, forse tutti stiamo perdendo tempo prezioso. Antonio Ricchiari
Bonsai ‘cult’
UN GIUDIZIO SUI GIUDICI - Giovanni Genotti
Un giudizio sui giudici... Testo di Giovanni Genotti
Quasi tutte le essenze possono essere bonsaizzate, fanno eccezione (ma sono molte poche) quelle che non accettano il vaso o le tecniche agli interventi bonsaistici. Il bonsai nella sua bellezza deve essere credibile ed avere le caratteristiche di albericità in ogni momento. E’ evidente che alcune piante sono magiche nella fioritura, nella colorazione delle foglie, nella fruttificazione, ma anche quando sono prive di queste peculiarità i caratteri del bonsai devono essere sempre presenti. Per la maggior parte delle piante legnose, ad alto fusto, si dovrebbe aver presente come riferimento gli alberi della medesima essenza presenti in natura, nelle diverse zone climatiche in cui crescono. Mentre per le cespugliose o arbustive, è possibile dare a esse una forma classica con riferimento, quasi sempre, allo stile eretto causale, solitamente applicato al pino nero. Non sarà utile educare a cascata un albero che in natura ha un comportamento eretto od imporre una forma eretta ad un’essenza che cresce prostrata o a cascata. Le forme imposte devono rispettare i canoni descritti e comuni alla natura dell’essenza. Giudicare un bonsai richiede una conoscenza approfondita delle differenti specie, oltre alle regole estetiche (sempre però legate alla natura), regole che sugli esseri viventi si fondono con le esigenze imposte dalla vita e che donano sempre caratteristiche uniche per personalità e bellezza. Fare bonsai con le sole conifere, non solo è riduttivo, ma denota una “non conoscenza”, un disinteresse ed una non considerazione della natura che ci circonda: dominio privo di comunicazione. Sulle conifere, infatti, è possibile stravolgerne l’aspetto con posizionamenti e torsioni dei rami preesistenti, portando la vegetazione dove esteticamente si giustifica più idonea, indipendentemente dal naturale flusso linfatico presente. Non interessa indi “l’educazione del bonsai” ma il suo aspetto estetico ferrando la vegetazione per un fine puramente estetico. Quale rispetto c’è in questo processo per il flusso linfatico? Qual è il rapporto che il bonsai ha nel suo “colloquio” con la natura? Questa premessa mi serve per affrontare il difficilissimo lavoro, quello di giudicare un bonsai. Un giudice deve motivare per iscritto il suo giudizio, con considerazioni che ritiene oggettive legate alle reali dimensioni dell’essenza in relazione a quelle ottenute. Considerare i punti focali, l’omogeneità e concordarli tra di loro, evidenziare eventualmente gli errori compiuti, la salute, il vaso e l’appartenenza ad una corrente bonsastica, giapponese o cinese. Esistono molte persone elevate (o “autoelevate”) al rango di giudici, che non distinguono un carpino da un faggio, un malebbo da un cornus e considerano i bonsai cinesi, dagli importanti significati filosofici, come un qualcosa di superfluo, obsoleto e poco interessante. L’essenza da cui nasce il bonsai, il suo significato più vicino all’astratto, viene declassato, definito non soltanto come poco interessante ma ignorato di fronte all’apparenza di un’estetica statica. Molti sono i giudici da “balcone” che non avendo mai sperimentato le tecniche blaterano consigli sui bonsai, anche sui materiali di partenza. Un giudice deve essere un botanico abbastanza esperto, ma soprattutto deve aver sperimentato le tecniche bonsai sulle essenze da giudicare ed aver notato le differenti reazioni. Esistono anche persone che avendo presentato, come proprio, ad una mostra un bonsai, e per motivi diversi aver ottenuto un giudizio positivo (anche se la pianta in oggetto era un lavoro altrui) si considerano espertissimi, ma non solo non sono a conoscenza delle diverse correnti bonsaistiche (come quelle cinesi, poetiche e tragiche) ma addirittura considerano in primis tutte le essenze a fioritura primaverile e pensano che una fitta ramificazione sia indispensabile per un glicine o per un noce e per assecondare la loro ignoranza non considerano le caducifoglie o peggio, consigliano la defogliazione totale ad un faggio. Ho coltivato una amamelis con cura per molti anni, la presentai in fioritura ad una mostra e fu giudicata, da un incompetente giudice pieno di presunzione, come insufficientemente ramificata. Non credo che abbia mai coltivato o addirittura visto tale essenza. Il bonsai deve essere la miniaturizzazione di un albero interessante. Le difficoltà di ramificazione devono essere tenute presenti, difficoltà legate al carattere della pianta ed alla sue possibilità; come è naturale per le
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Bonsai ‘cult’
23 UN GIUDIZIO SUI GIUDICI - Giovanni Genotti piante da frutto, si può rinunciare alla miniaturizzazione fogliare per ottenere una buona fruttificazione. Esistono dei giudici, anche dotti tecnicamente, ma completamente privi d’esperienza pratica. Identiche essenze reagiscono alla bonsaizzazione diversamente a seconda del vigore, del terreno e del clima. L’esperienza sulle diverse specie è quindi un fattore indispensabile per poter giudicare. Giudicare è molto difficile, ed è perciò indispensabile, ripeto, un rapporto scritto, nel quale oltre alle caratteristiche di albericità proprie nel bonsai in esame, devono essere descritte le principali caratteristiche dell’essenza e le difficoltà per la stessa nel raggiungimento a bonsai, con le diverse tecniche applicate o meno. Questo per avere il più possibile un giudizio oggettivo e ripetibile. Nel bonsai l’equilibrio linfatico o omogeneamente distribuito in tutte le sue parti, è fondamentale. Questo equilibrio da molti giudici non viene neppure considerato e non si può notare sulle piante ferrate che obbligano la vegetazione ad occupare gli spazi esteticamente necessari. Spesso alcuni rami particolarmente bistrattati per portarli nella posizione voluta, negli anni intristiscono mentre altri presentono significative dominanze. E’ quindi assurdo che si presentino in mostra piante educate da pochi anni o addirittura impostate nell’anno (o peggio da ancora da meno tempo). L’ignoranza, unita alla volontà di potere dell’uomo porta a formulare giudizi impropri (spesso anche su ciò che non si conosce e che perciò si sottrae ad esso) e ciò conduce in una apparente realtà di sensazioni estremamente negative, con giudizi non ripetibili. Succede che alcune piante premiate in un luogo, in un anno, l’anno dopo non sono neppure considerate. Alcuni che si considerano giudici, fondano “scuole” in cui soltanto le conifere vengono considerate, e con falsità presentano i lavori di altri come propri e come il risultato dei loro interventi, facendo balenare l’idea che queste piante fatte bonsai, siano esteticamente valide basandosi unicamente su un processo in cui sono sufficienti dei progetti fatti con semplistiche elaborazioni grafiche. Siffatto bonsai perde completamente quel colloquio, indispensabile ed imprescindibile, tra uomo e natura! Giovanni Genotti
La mia esperienza
ALCUNI APPUNTI ... - Andrea Meriggioli
La mia esperienza
Alcuni appunti sulla defogliazione La mia esperienza con un carpino nero di Andrea Meriggioli
Una tecnica che rientra nelle potature è la defogliazione. Questo tipo di intervento ha come scopo quello di ridurre la superficie fogliare, limitare il vigore dei getti apicali equilibrando lo sviluppo dei rami, ottenere degli internodi più corti, stimolare la vegetazione secondaria e terziaria emettendo una nuova cacciata e infine favorire la penetrazione di aria e luce nelle zone più interne favorendo così uno sviluppo corretto ed equilibrato. La defogliazione consiste nell’eliminazione delle foglie e può essere applicata anche parzialmente intervenendo a più riprese sulle zone della pianta. Usando l’apposito attrezzo giapponese avremo agevolato il nostro lavoro, ottenendone uno estremamente veloce e preciso, intervenendo anche nelle zone più interne e quindi di difficile accesso. Tale operazione deve essere eseguita prima della filatura e quindi dell’impostazione della pianta durante il periodo vegetativo; è ovvio che questo particolare intervento è indicato per le essenze che reagiscono bene alla tecnica come, per esempio, carpini, roverelle, aceri, etc. La defogliazione va eseguita esclusivamente su soggetti con buon vigore ed in piena salute poiché è richiesto un notevole sforzo linfatico e quindi non va assolutamente praticato su soggetti debilitati. Come funziona? Questo meccanismo consente di attivare le gemme ascellari alle foglie creando in tal modo una abbondante vegetazione essenziale per la costruzione dei palchi del bonsai. Il momento più adatto è quando la vegetazione è giunta a maturazione e i nuovi rami sono lignificati nel loro tratto iniziale. Questa tempistica è importante perché altrimenti si correrebbe il rischio che la pianta scarti i rametti e che le gemme ascellari non siano ancora sufficientemente sviluppate per “attivarsi” in seguito all’operazione. Il momento migliore coincide con il periodo dell’anno nel quale le giornate registrano il maggior numero di ore solari, quindi ciò avviene nel mese di giugno. Ovviamente ciò è puramente indicativo poiché abbiamo delle variazioni a seconda le regioni e anche dalla preparazione che abbiamo dato alla pianta. Su molte essenze, per esempio il carpino, se preparato con discreti regimi di fertilizzazione sia durante l’anno precedente che in quello in corso, sarà possibile eseguire anche due interventi di defogliazione nel medesimo anno ed allora il primo si eseguirà all’incirca verso la metà di maggio quando la prima vegetazione è giunta a maturazione. E’ importante durante l’operazione eseguire il taglio vicino al picciolo senza danneggiare le gemme ascellari. Terminata l’operazione la pianta va posta in luogo soleggiato, riducendo notevolmente le annaffiature poiché la pianta blocca quasi totalmente il fenomeno della traspirazione sino a quando non avrà emesso la nuova vegetazione. Ma passiamo al mio caso. Il carpino nero di cui parlo (Fig. 1) è stato raccolto a marzo del 2008 presso una ex-cava dove cresceva a ridosso di una rupe. Per la invasatura ho utilizzato un substrato molto areato e drenante composto dal 50% di agriperlite, 30% di pomice a granulometria fine e 20% di terriccio universale. La pianta ha reagito molto bene durante la stagione confermando perciò il suo attecchimento. Un fenomeno che si è verificato durante tale periodo è stato quello che ha visto coinvolto l’apice, che è seccato; ho dovuto procedere ad una ulteriore capitozzatura (Fig. 2); l’alluminio che si nota nella foto è quello che ha un lato adesivo e viene usato sui tubi: questo stimola la pianta a formare il callo cicatriziale). In un fase successiva alla raccolta ho scoperto che la pianta aveva abbandonato tutta la parte centrale del tronco preservando soltanto due vene vive ai bordi, le quali peraltro provvedono ad alimentare tutta la pianta. Nel settembre dello stesso anno si è avuta una abbondante vegetazione (Fig. 3), nonostante la pianta avesse subito lo stress dovuto all’espianto. In ottobre ho provveduto ad eliminare tutte le foglie per mandare in riposo vegetativo il carpino ed ottenere così per la prossima primavera una maggiore spinta (Fig. 4). Nel novembre ho iniziato a lavorare il secco. Considerate le caratteristiche della pianta (tronco interamente secco dai due lati che sale fino all’apice) ho deciso di realizzare un bonsai molto particolare in cui il secco ed il sabamiki – peraltro già definito di suo – costituiscano Fig. 1 Fig. 2
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mia esperienza 25 LaALCUNI APPUNTI ... - Andrea Meriggioli
Fig. 3
il punto focale del soggetto (Fig. 5, 6). Dopo le operazioni di fresatura, ho spennellato le parti con una particolare catramina per innesti che permette di ottenere risultati più che soddisfacenti. Questo prodotto, oltre che a proteggere dagli agenti atmosferici, va a fissarsi all’interno delle venature naturali e alle screpolature formato dalla legna secca, mettendo così in maggiore risalto il contrasto tra alti e bassi ed accentuare in tal modo il “gioco delle zone di luce ed ombra”, oltre che a dare un effetto più attenuato di quello che è definibile “finto bianco” ottenuto con l’applicazione del liquido per jin (Fig. 7). L’impostazione della ramificazione e la relativa potatura di selezione è stata rimandata invece all’inizio della stagione primaverile perché il carpino nero tende a scartare con una certa facilità se lavorato durante la stasi vegetativa invernale. Durante l’inverno invece ho provveduto ad eseguire un innesto per foro passante su un ramo primario che risultava troppo cilindrico nel suo tratto iniziale (Fig. 8). Ciò è stato fatto per ottenere una migliore struttura (cambi di direzione e di diametro). Questa prima fase di impostazione naturalmente tende ad eliminare il più possibile i difetti della pianta che, se lasciati, diverrebbe molto problematico eliminare. Il mese di marzo dell’anno successivo ha visto la prima impostazione della ramificazione. Due mesi dopo, considerato che la pianta aveva portato a maturazione la sua prima cacciata ed era sul punto di emettere la seconda, ho deciso di defogliare (Fig. 9, 10) ed eseguire dopo una seconda impostazione. Soltanto dopo dieci giorni dall’intervento, la pianta ha emesso alcune gemme non soltanto dal legno vecchio dei rami primari (Fig. 11, 12), ma anche dal tronco! Ho notato pure un allungamento di tutte le gemme ascellari, segno che la mia tempistica era esatta ed aveva rispettato la fisiologia del carpino (Fig. 13).
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 7
Fig. 8
Fig. 9
Fig. 10
Fig. 11
Fig. 12
Fig. 13
Andrea Meriggioli
La mia esperienza
REALIZZAZIONE DI UN ISHIZUKI - C. M. Galli
La mia esperienza
Realizzazione di un ishizuki I parte di Carlo Maria Galli
Quello dell’ishizuki è lo stile più ostico e solitamente meno usato per creare bonsai, anche se è per me quello che da solo costituisce un perfetto allestimento: abbiamo il bonsai, lo scroll, il tavolino, le shitakusa; il “bonsai su roccia” racchiude in se tutte queste caratteristiche. Con poche parole e molte foto vi mostrerò quali sono i vari passaggi per la composizione di un ishizuki, stile che ho imparato nel 1993 all’Università del Bonsai di Crespi, e che tuttora all’occorrenza metto in pratica.
Fig. 1 - Prima di tutto ci vuole una bella pietra
Fig. 2 - Siccome in questo caso la voglio fissare su un vassoio, inizio spianandola alla base
Fig. 3 - Cerco la posizione, la stabilità, il bilanciamento in conseguenza delle piante che vi inserirò
Fig. 4 - Segno la posizione sul vassio per poi forarlo
Fig. 5 - Una volta forati vassoio e roccia (con tasselli di plastica che durano di più), fisso il tutto
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mia esperienza 27 LaREALIZZAZIONE DI UN ISHIZUKI - C. M. Galli
Fig. 7 - Pur avendo un’idea di base, studio le diverse possibilità di posizionamento delle piante sulla roccia
Fig. 6 - Pietra fissata
Fig. 8 - Attenzione, bisogna valorizzare anche la pietra. Posizionando le piante in questo modo la parte più bella sparisce
Fig. 9 - Con la mia assistente inizio il lavoro
Fig. 10 - Una volta deciso dove mettere le piante segno con un pennarello tutta la zona dove inserirò le radici e il terriccio, e buco iniziando da dove metterò il colletto della pianta (la punta è di 3 mm)
Fig. 11 - Poi tutta la zona segnata, più fori ci sono meglio è io mi Fig. 12 - Preparo il filo raddoppiandolo facendo attenzione di las- Fig. 13 - Preparo 2 buchi alla volta perchè essendo piccoli non si veregolo a circa 10 cm, uno dall’altro ciare un asola per la grandezza del buco,il filo lo lascio lungo circa dono bene 15,20cm Fig. 14 - Dopo aver inserito il filo con l’asola nel buco lo blocco con delle torpille battendole,è il metodo più veloce per avere la presa immediata
Fig. 15 - Le torpille sono piombini affusolati che si trovano in commercio nei negozi di pesca,sono di diverse misure
La mia esperienza
REALIZZAZIONE DI UN ISHIZUKI - C. M. Galli
Fig. 17 - La Keto (terra di origine giapponese) è facilmente reperibile in commercio ed è la più indicata per composizioni su roccia e su lastra
Fig. 16 - Inizio la preparazione della terra (Ketotsuchi) va lavorata con le mani e bagnata un po’ alla volta sino a che non si trova la collosita giusta
Fig. 18 - Preparo delle palle di diverse dimensioni che mi saranno utili nel momento della messa in opera
Fig. 18 - Ho lavato e tenuta continuamente umida la pietra, ciò aiuterà la terra ad “attaccarsi“ meglio
Fig. 19 - Attenzione: la pietra deve essere umida e non molto bagnata se si vuole far attaccare bene la keto
Fig. 20 - Inizio a mettere uno strato di circa 2,3 cm di terra lungo tutto il perimetro che ho precedentemente segnato
Fig. 21 - Cerco di seguire il movimento della pietra...
Alla prossima... Carlo Maria Galli
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SHODŌ La via della scrittura SEMINARIO PRATICO DIRETTO DAL
Maestro Norio Nagayama dal 26 al 29
Giugno 2009 Agerola (NA)
BOKUSHIN SCUOLA DI CALLIGRAFIA ORIENTALE INFORMAZIONI ed ISCRIZIONI Per le informazioni e le iscrizioni rivolgersi a Daniela Di Perna Tel.: 320 811 34 41 / 081 060 87 63 E-mail: myoei@shobogendonapoli.it N.B.: il seminario è a numero limitato.
PRATICA
Il seminario sarà condotto dal Maestro Norio Nagayama. La pratica si svolgerà in una sala del Ristorante – Pensione “Leonardo’s” di Agerola. I partecipanti dovranno portare il materiale personale per la calligrafia. I principianti che non posseggono materiale proprio, dovranno farlo presente al momento dell’iscrizione, l’occorrente per la pratica sarà fornito in prestito. Portare della carta formato A4 e un panno lenci di colore scuro. Si consiglia l’acquisto del libro “Shodō La via della scrittura. Kaisho lo stile fondamentale”, Norio Nagayama, Stampa alternativa. Gli allievi saranno seguiti singolarmente, a prescindere dal livello di ciascuno. Le lezioni avranno inizio venerdì 26 giugno alle ore 9.00 e termineranno lunedì 29 giugno alle ore 12.00.
Come arrivare IN AUTOMOBILE Dall’Autostrada prendere l’ uscita al casello di Ca-stellammare di Stabia e proseguire, poi, sulla Strada Statale n.366 per Agerola, fino al bivio di Gragnano, da qui imboccare la strada per Agerola che sale, a risvolte, fino al paese. Superato il Tunnel che immette nel paese, dirigersi alla frazione “S. Lazzaro”. IN TRENO Raggiunta la stazione di Napoli Centrale prendere il Tram n. 1 direzione “Via Marina” fino alla fermata del “Varco Immacolatella” da dove partono gli autobus della Sita che collegano con Agerola; oppure la Circumvesuviana che arriva a Castellammare di Stabia da dove si prosegue con autobus della Sita. IN AEREO Dall’Aeroporto di Capodichino prendere l’autobus per Piazza Garibaldi (dove c’è la stazione di Napoli Centrale). N.B.: E’ possibile istituire, in accordo con la Pensione “Leonardo’s” un servizio navetta dalla stazione ad Agerola, qualora più partecipanti si accordino per giungere insieme in stazione.
ALLOGGIO E’ possibile alloggiare presso lo stesso Ristorante – Pensione “Leonardo’s”. www.albergoleonardos.it. ______________ In alternativa, il Campeggio – Ostello “Beata solitudo”, che si trova molto vicino alla sala per la pratica, offre varie possibilità di pernottamento. Per informazioni Tel. 081 8025048 www.beatasolitudo.it
AGEROLA
Soprannominata “La Piccola Svizzera” per il paesaggio gradevolmente montano, per le casette dai ripidi spioventi, e l’ammirevole ordine delle strade, come tutti gli altri paesi della Costiera Amalfitana, Agerola è meta ambita per chi cerca aria pura e cibi genuini. Il clima di montagna ed il vicino mare di Amalfi formano un connubio ideale. Ad Agerola si può godere del fresco naturale dovuto all’altitudine e dell’aria frizzante e ben ossigenata dai boschi circostanti. Si possono trascorrere giornate nella tranquillità più assoluta senza però rinunciare alle varie opportunità che offre il mare dei vicini paesi della Costiera. CARTIERA e MUSEO DELLA CARTA
Nella vicina Amalfi si trova una delle più antiche cartiere d’Europa ed un museo dedicato alla produzione della carta fatta a mano. Chi volesse visitarlo può prendere le informazioni al sito: www.museodellacarta.it/
A G I U G N O I N L I B R E R I A
mia esperienza 29 LaACERO CAMPESTRE - Armando Dal Col
La mia esperienza
Percorso evolutivo di un acero campestre - IV parte di Armando Dal Col
La storia di questo acero campestre è iniziata nel 1993, e grazie alla sequenza fotografica ripercorsa negli scorsi numeri del magazine abbiamo potuto seguire tutto il suo percorso evolutivo. Per chi si fosse perso le scorse puntate, vorrei riproporre l’immagine iniziale di questo percorso evolutivo e l’ultima foto della terza parte di quest’articolo che ci ha “intrattenuto” in un piacevole “viaggio” ricco di esperienza. Armando Dal Col
Fig. 1 - L’Acero campestre visto nel 1993, e di fianco visto nel maggio del 2007
Fig. 2 - Maggio 2008, un altro anno è trascorso e l’acero si è arricchito di nuovi rametti
Fig. 3 - Marzo 2009. L’acero campestre “in compagnia” ripreso dalla collina
Fig. 4 - Aprile 2009. L’acero visto dal suo fronte scelto all’epoca dell’ultimo rinvaso
La mia esperienza
ACERO CAMPESTRE - Armando Dal Col
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Fig. 5 - L’Acero campestre è l’ultimo a “svegliarsi” dal riposo invernale rispetto alle altre specie. La corona però ci permette di individuare la delicata ramificazione pazientemente costruita anno dopo anno
Fig. 6 - l’Acero visto più da vicino nella sua completa nudità
Fig. 7 - La struttura aerea dell’acero campestre non è riscontrabile con i suoi simili che vivono spontanei in natura, poiché la sua forma caratteristica è quella di un grande arbusto
Fig. 8 - Aprile 2009. Finalmente le gemme iniziano a muoversi
Fig. 9 - Maggio 2009. La livrea primaverile si è fatta piuttosto attendere quest’anno, complice il clima bizzarro!
Fig. 10 - Primo piano del Nebari di un altro mio “mitico” acero campestre. Quando raccolsi molti anni fa questa insignificante piantina di una trentina di centimetri di altezza e con il tronchetto delle dimensioni di una matita, mai avrei immaginato di riuscire a creare un nebari di queste dimensioni coltivandola sempre in vaso
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La mia esperienza
ACERO CAMPESTRE - Armando Dal Col
Fig. 11 - Acero campestre, l’aspetto finale. Altezza cm 80. Quest’acero come si ricorderà, infatti, in origine era alto più di quattro metri, con il tronco cilindrico e spoglio per oltre la metà della sua estensione, quindi impensabile a prima vista di utilizzarlo come un futuro Bonsai. Il bonsai possiede individualità, giacché creazione dell’uomo: il bonsai non è natura, la Natura è nutrice; resta compito dell’uomo dare a ogni pianta peculiarità uniche, che lo distinguano dagli altri. L’individualità, da sola, non è però sufficiente: è importante che vi sia armonia, che non è, o non è solo, bellezza di forme, ma soprattutto accordo con le leggi della Natura.
Fig. 12 - Acero campestre, altezza 37 cm. Raccolsi questo acero campestre sul ciglio di una strada di campagna; all’epoca (era la primavera del 1969) il fusticino della piantina aveva le dimensioni di una matita. Ad oggi, primavera 2009, l’acero ha raggiunto un aspetto maestoso nella sua estrema miniaturizzazione, così come testimoniato dal suo affascinante nebari!
A lezione di suiseki
SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo
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Suiban, doban & sabbia & acqua... ma questa è l’unica formula? Articolo a cura di Luciana Queirolo
Alla Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, vengono esposti praticamente ogni anno suiseki in suiban o doban, privi di sabbia (Fig. 1, 2, 3, 4): una soluzione non molto popolare, ma dalla tradizione antica.
Fig. 1 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1962
Fig. 4 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1970
Fig. 2 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1964
Fig. 3 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1965
Fig. 5 - Pietra a roccia costiera. il contenitore è pieno solo con l’acqua, che permette la visione del disegno (che suggerisce ninfee) sulla superficie interna del vassoio. luogo di origine: Giappone
Anche il libro di Covello, propone alcuni esempi di questa pratica (Fig. 5, 6, 7). Personalmente, ho una particolare predilezione per l’esposizione della nuda pietra sul bronzo del doban; naturalmente riferendomi agli attuali doban bassi ed essenziali, (tanto da poter essere confusi con suiban in gres marrone; mentre invece sono in commercio vassoi di gres, ambiti e molto pagati, con bordi decorati alla maniera dei doban antichi).
Fig. 6 - Pietra a cascata secca: un posizionamento più preciso della pietra sarebbe fuori dal centro verso il lato destro del suiban. Giappone Fig. 8 - Doban all’asta
Fig. 7 - Un suiban che esce totalmente dagli schemi, progettato da Willi Benz e commissionato all’artista Peter Krebs, per esporre un palombino ligure col tema cinese dei “Draghi giocosi” e che esclude l’uso di sabbia od acqua.
Fig. 9 - Un doban di estrema semplicità ed eleganza
lezione di suiseki 33 ASUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo E’ logico pensare che un doban o suiban profondi debbano servire soprattutto a contenere abbondante sabbia per nascondere irregolarità rilevanti del fondo della pietra o per sostenerla se più alta che larga. Ma questo può anche essere usato come un artifizio, un inganno per pietre che non hanno bisogno di quella profondità, se non per dare l’ illusione di una base naturale non tagliata, quando invece lo è …. le pietre tagliate andrebbero sempre poste in un suiban profondo e non in un daiza, per dare il senso dell’integrità della pietra che continua sotto la sabbia, così dice Morimae. Matsuura afferma che un suiban di profondità immodesta è accettabile, mentre un daiza di profondità inaspettata, no. Fig. 10 - Pietra in vendita con kiri-bako
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Fig. 12, 13, 14 - Prove di interpretazione con una pietra koreana
La valenza di un Suiseki può essere notevolmente aumentato da una attenta scelta del suiban, selezionandone la forma, le misure, il bordo ed i piedini, il colore, il tipo di smalto e la sua texture superficiale. Ideale sarebbe progettare il vassoio sulle necessità della pietra con l’aiuto e la competenza del ceramista. Diversamente, la sola soluzione è “cercare pazientemente”, provare e riprovare. L’accordo tra “Suiban & Suiseki” deve produrre un “tutt’uno armonico”. Tornando all’uso di esporre con acqua solamente …. - L’ Associazione della Nipponi Suiseki (NSA) insiste sull’ uso della sabbia nell’esposizione in suiban, e così dell’acqua usata con la sabbia. La NSA è la corporazione eletta dal Ministero degli Affari Culturali a rappresentare l’estetica del suiseki. - Yuji Yoshimura raccomandò di mantenere i suiseki nel giardino in contenitori (doban, solitamente) con acqua, dove lui non menziona la presenza di sabbia. - Kenji Murata (il padre di Keiji che anche fu rappresentante della Nippon Aiseki Kai) spesso pubblicò suiseki esposto in carrelli di acqua senza sabbia. Primavera: la stagione dei suiban smaltati…. Sull’uso di suiban smaltati ad altezza medio-bassa, con sola acqua, ho alcune riserve. Entrando nel particolare: preferisco riempire di sabbia i suiban smaltati molto chiari oppure bianchi e tozzi (solitamente di fattura cinese, ma non solo) onde smorzare quel bagliore che toglie respiro ed atmosfera attorno alla pietra, esasperandone il perimetro.
Fig. 16
Fig. 17
Fig. 18 - Ibigawa-ishi: il suiban alloggia il suiseki nel cosiddetto “punto morto”
Il posizionamento vicino al centro del vassoio, si rivela spesso la migliore soluzione per un suiban che non sia molto più largo della pietra. Condizione essenziale è che la pietra sia equilibrata, oppure che questa pietra equilibrata non voglia essere utilizzata come una montagna fronteggiante una grande pianura, oppure come un’isola lontana perduta in un mare sconfinato. Spesso è possibile osservare, anche su cataloghi giapponesi, vassoi che reputeremmo insufficienti per la dimensione del la pietra, mentre, a volte, succede l’esatto contrario….
A lezione di suiseki
SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo
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Ma di proporzioni tra pietra e suiban, leggerete sotto gli ombrelloni delle vacanze di luglio ….
Fig. 19 - Sperimentazione di Mike Pollok con un suiban prodotto da Nick Lenz
Con suiban smaltati a marezzature atte a richiamare fondali marini etc…. anche qui, meglio celare almeno la metà del fondo del suiban con la sabbia, perché quelle macchie spesso “ipnotizzano” la nostra attenzione deviandola via dalla pietra. Mettere sabbia solamente sotto la pietra ed attorno ad essa è una configurazione classica che permette di considerare comunque il fondo vetrificato di un suiban.
Sabbia ed acqua “Un suiban non è un solamente una scelta conveniente per ‘far cadere con un tonfo’ una pietra per la quale il raccoglitore non ha un daiza. Un suiban offre, alla pratica del suiseki, allusioni di stagione calda”. Certamente,il collezionista giapponese posiziona una pietra nel suiban solitamente in estate, aggiungendo acqua alla sabbia, (ma senza che il livello dell’acqua la sommerga) ed umidificando la pietra. Un suiban mai comunque dovrebbe essere riempito con sabbia posta ad un livello basso, che dovrebbe in- Fig. 20 vece colmare circa l’80% della profondità interna del suiban: in maniera che il bordo del vassoio rimanga libero per 3-4 mm.
Fig. 21
Fig. 22 - Un insolito suiban nero
D’inverno la sabbia deve essere imperativamente asciutta, oppure la pietra rimessa nel suo daiza. Per contro, in Korea è d’uso esporre le pietre nel Sobane (suiban), con l’acqua, in ogni stagione.
La sabbia e l’acqua, sono il terzo elemento nella composizione e rappresentano la base di scenari sia di acqua, sia di pianura. La funzione primaria della sabbia è dare stabilità alla pietra: come nel daiza, la pietra montagna va interrata profondamente: una montagna non “galleggia”; fuoriesce dalle viscere della terra che le ha dato origine; è profondamente “radicata” in essa. Fig. 23 - Fujieda-ishi: dall’aspetto poroso e ricco di inclusioni di calcite. Materiale simile è reperibile anche in Liguria. Mantenere questa pietra bagnata, la degraderebbe in un tempo relativamente breve
Fig. 24 - Una pietra dallo stato di Keistone (USA)
Fig. 25 - Una pietra dallo stato di Keistone (USA)
Le Pietre oggetto (barca, figura umana, animali,....) vanno “posate sopra”; fanno eccezione, pietre-capanna e pietre ponte. Le pietre a banco di scogli, roccia di mare, si presentano posate sopra la sabbia o nel suiban con acqua solamente. Le pietre astratte cercano nel substrato la stabilità. Per Matsuura, comunque, le pietre capanna e forma umana dovrebbero essere sempre su daiza.
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A lezione di suiseki
SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo Preparazione della sabbia. La sabbia deve essere preparata setacciandola con cura, lavandola sino ad ottenere l’acqua perfettamente limpida, liberata da materiale che disturbi l’uniformità di colore. La grana deve essere preferibilmente quarzosa, non deve essere troppo fine: da 1,5 mm sino a 2,5 mm; più piccola per piccoli suiseki o per paesaggi in lontananza; grossolana, con pietre dalle superfici accidentate e prospettive vicine.
Fig. 26 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1970
Fig. 27 - Sabbia abbastanza omogenea
Fig. 28 - Qui invece si prostetta un paziente lavoro per liberarla da impurità e granellini scuri
Fig. 29 - Masterpiece giapponese
Il colore della sabbia deve armonizzare con la pietra e col suiban, ma non deve essere una ripetizione delle stesse tonalità o colore; è concesso solo un piccolo richiamo a particolari del suiseki, non la ripetizione della nota dominante. Classico il beige o marrone chiaro: il colore del grano maturo.
Fig. 30 - Pietra nera proveniente da Taiwan
Dopo innumerevoli esperimenti, penso di poter descrivere un buon metodo per il livellamento della sabbia: 1) Disporre un primo strato utilizzando sabbia umida. 2) Batterla accuratamente per compattarla, indi spruzzarla. L’apporto diffuso di acqua appiattirà naturalmente i piccoli dislivelli. 3) posizionare la pietra, calcolando attentamente l’esatta posizione, prima di poggiarla. 4) distribuire lentamente ed uniformemente lo strato finale; battere piano con una scatolina di cartone, lisciare con un delicato pennello etc. etc. ed infine spruzzare nuovamente, onde ulteriormente livellare ed uniformare. Questo sistema mi ha consentito anche il trasporto di pietre già posizionate, senza danno. Ove sia richiesta una presentazione “asciutta” basterà attendere l’evaporazione. Livellare immergendo e fare scivolar via l’acqua in eccesso mi si è rivelato solo in teoria semplice. Agitando avanti ed indietro, la pietra scivola e la sabbia tende ad ammassarsi su di un lato. Qualora la sabbia sia troppo fine o non idonea alla bagnatura (vedi sabbie desertiche e rappresentazioni di landscapes) il livellamento può ottenersi riempiendo il suiban e passando poi una riga a filo dei bordi. La difficoltà sta nell’aggiustamento attorno alla pietra ed al raggiungimento di un livello omogeneo della sabbia al di sotto del bordo del suiban di un ½ cm scarso. “Ciao gente. ‘Sabbia’ ce n’è di molti tipi; ci sono così tanti tipi di sabbia, fuori di qui, tu puoi trovare facilmente il modo e trovare esattamente una bella sabbia color crema al magazzino vicino a casa, oppure sabbia per sabbiatura, sabbia che lavora molto bene ed è anche lavata. Oppure tu puoi raccogliere la tua sabbia, la pulisci, la lavi, la lavi e la lavi, quindi le permetti di seccare, e a mano scegli i colori che tu vuoi, un grano alla volta; ottenere mezzo gallone di buona sabbia richeide circa otto ore. Quindi tu devi vagliarla e lavarla. Ancora! Ecco perché costano più di 100 dollari per un chilogrammo! Ricorda che tu ottieni quello che tu paghi o ottieni per quello che tu lavori. Ho visto sabbia in Giappone che costa 350,00 $ per riempire un suiban di media dimensione. È molto strano ma pulendo e raccogliendo sabbia ti può venire piacere e disciplina, ma anche male agli occhi. Ma la ricompensa vale lo sforzo.” - Sean Smith
A lezione di suiseki
SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo L’acqua... La presenza dell’acqua nel suiban non è però legata esclusivamente alla stagione, bensì all’uso dell’acqua nel gioco interpretativo della scena che si vuole evocare: un velo d’acqua, con o senza sabbia, in estate creerà senso di frescura attorno ad una .pietra isola, mentre, in primavera, ci farà spettatori del disgelo, in fronte ad una copiosa cascata. Vedremo il riflesso della luna nella nostra pietra lago; mentre, in tutte le stagioni, l’uso di sola sabbia potrà proiettarci in paesaggi di grande ampiezza, immersi in lande sconfinate. Con questo non vogliamo negare l’importanza filosofica dello stretto rapporto tra Jing e Yang: il femminile (la fluidità, la malleabilità, l’arrendevolezza, l’umidità: visione rilassante e ristoratrice, elemento indispensabile per la vita) contrapposto ad equilibrare e completare il maschile della pietra, arida,dura, solida e fredda. Credo che altri elementi naturali possano dar vita alla nostra scenografia: l’aria, il vento, il sole. Tutto sommato, Fig. 31 - Kamogawa-ishi su doban finemente intarsiato. sono elementi che non vediamo, come l’acqua, ma che possiamo “sentire”. Questa Rappresenta una montagna al disgelo mancanza dell’elemento che non si vede ma si sente, dovrebbe essere in sintonia con l’astrazione orientale. In una esposizione di Desert Stones su suiban, ad esempio, gli elementi caratterizzanti sono: pietra, sabbia, SOLE.
Fig. 32 - Desert stone a strati di agata
Fig. 33 - Murphy stone, collezione James Greaves
Il calore che dà vita alla freddezza della pietra, le dà una carica così intensa ed esaltante che la pietra, incapace di trattenerla, di notte, infelice, quasi si lascia, a volte, morire, spezzandosi … In America, un concetto base per una classificazione delle” Pietre del deserto da ammirare” prese forma nel 1989 e venne portato avanti sino al completo riconoscimento (DESERT VIEW STONES) da Jim Greaves, l’autore del meraviglioso libro che vi raccomando nella lista delle pubblicazioni, sul nostro forum (http://www.napolibonsaiclub.it/forum) ... Seguendo la classificazione giapponese, si posizionano nel suiban: SHIMAGATA-ISHI ( pietre- isola di lago o di mare), IWAGATHA-ISHI (pietre a roccia costiera), ISOGATA-ISHI (pietre spiaggia), ARAISO-ISHI ( pietre a banco di scogli) , MIZUTAMARI-ISHI (pietre lago o stagno), FUNAGATA-ISHI (pietre barca), TAKI-ISHI (pietre cascata) , DOBUTSU-SEKI (pietra animale), YAGATA-ISHI (pietre capanna), Fig. 34 - Lago di montagna. Provenienza U.S.A. HASHI-ISHI (pietre a ponte). Ma possiamo esporre nei nostri suiban anche pietre di forma paesaggistica diversa, come altipiani e gradoni (DAN-SEKI, DOHA-SEKI), pietre riparo (AMAYADORI) etc., oppure pietre caratterizzate da particolare struttura e colorazione, (motivi di fiore o di corpi celesti, ad esempio) ove l’elemento acqua è indispensabile per spruzzare la pietra, onde esaltarne le peculiarità.
Fig. 35 - Suiseki esposto alla Soguten del 2004, Tokyo
Fig. 36 - Gensho-seki, pietra a fenomeni celesti
Fig. 37 - Baika-seki, pietra a motivo di fiori di susino
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A lezione di suiseki
SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo
Rapportandosi alla classificazione giapponese, mentre una levigata, nera pietra dell’Eel River, California, preparata nel suiban, calza alla definizione di DOHA o di SHIMAGATA, una altrettanto bella estrosa o drammatica forma “creata dal vento” del deserto del Mojave, no. Costringere una pietra del deserto entro la più vicina categoria giapponese, fa un torto alla pietra, al concetto giapponese ed a quel magnifico paesaggio. Un perfettamente formato, piatto, rosso desert stone, classificato e presentato come isola, ottiene come risultato una reazione negativa, mentre sarebbe un capolavoro indiscusso, se presentato per quello che è: una mesa del deserto. Zone desertiche, ma anche grandi pianure, steppa, nevai, ampi spazi, sono presenti in tutto il mondo e tutti degni di rievocazione. L’acqua è elemento principe, ma l’uomo si è sempre sentito al sicuro con la terra sotto i piedi. Ed allora ….Evviva anche per la sabbia asciutta! Ed alla prossima puntata! Luciana Queirolo
Fig. 38
L’opinione di...
GIANFRANCO GIORGI - Antonio Ricchiari
L’opinione di...
Gianfranco Giorgi
Intervista a cura di Antonio Ricchiari
Di Gianfranco Giorgi, di questo personaggio del bonsai italiano, “storico” non nel senso anagrafico della parola, l’età è sempre quella mentale e dello spirito, ma storico per portata ed importanza poiché gli stimoli e gli input dati da questo Maestro si sono rivelati fondamentali per tutti noi, ho già parlato in un profilo che ho pubblicato sul Forum del Napoli Bonsai Club. Doverosa rassegna quella che abbiamo deciso di fare in Redazione, perché purtroppo parecchi giovani delle nuove leve sorvolano spesso con superficialità la storia del nostro bonsai perdendosi la conoscenza di alcuni personaggi che hanno dato impronta al nascente movimento italiano. E lo definisco “movimento” usando un linguaggio da critico d’arte poiché agli inizi degli anni ’60, quando tutto era confuso, quando le informazioni e la letteratura in merito erano a dir poco inesistenti, quando non si sapeva da dove iniziare, quando la parola bonsai era piena di mistero, poche persone furono stimolate da una passione travolgente che li spinse a dedicarsi al bonsai devo dire anima e corpo ed a costo di sacrifici personali furono i fautori di una più larga diffusione e popolarità che ebbe inizio negli anni ’80. Il bonsai visto senza analisi e conoscenza del passato e dei trascorsi che ne hanno determinato una solida base che oggi vede l’Italia ai vertici mondiali, è deficitario e rimane debitore di una parte essenziale che è di completamento per ogni bonsaista che si rispetti. Saltare alcuni passi essenziali ignorandoli addirittura determina una lacuna nella formazione di ogni appassionato che si rispetti. Il patrimonio culturale e tecnico di quelli che chiamo senza alcuna enfasi i Padri del bonsaismo italiano (quattro-cinque persone in tutto) deve essere un bene condiviso da tutti noi consapevoli del bene che abbiamo a disposizione. Ignorare ciò è segno di presunzione ed arroganza. Parliamo tanto di Giappone, di orientalismo ma ignoriamo la ricchezza cognitiva che ci viene trasmessa dall’esperienza di chi ha iniziato prima di noi, quella che prima era la tradizione orale perché ostentiamo apparente sicurezza, apparente conoscenza, mancanza assoluta di modestia. Ed i risultati si vedono giorno dopo giorno! Vorrei ricordare che in Giappone stati d’animo come gentilezza o senso di rispetto sono inglobati nelle persone: il senso di armonia ha a che fare anche con questo, armonia nell’uso controllato delle parole, di pensieri non espressi e di silenzi da sapere interpretare! Tempo fa chiesi a Giorgi quale era il suo modo di interpretare una pianta. Mi rispose: “Io non uso stravolgere le piante. Credo che fra me e la pianta debba nascere un feeling che mi permetta di modificarla. In generale dirò che mi attengo a quello che la natura ha creato, cercando d’intervenire in termini bonsai attraverso il tempo. Adesso tendo ad allungare i tempi, proprio il contrario di quanto spesso vedo farer. Non scopro niente di nuovo – ricordi la poesia “Il sabato del villaggio” di Leopardi? – dicendo che spesso immaginare il cambiamento di una pianta è più appagante che attuarlo.” . Non ho posto domande specifiche a Giorgi, gli ho chiesto soltanto in diretta una sua testimonianza. E’ un’arte che diventa sempre più rara quella di sapere ascoltare. Quando Giorgi parla ha tutta la forza espressiva e l’ironia dei toscani e soprattutto tutta la grande simpatia di questa gente. “Il Giappone è un Paese lontano da noi non solo geograficamente, tanto che il professore Maraini diceva che i giapponesi e gli italiani sono così diversi fra loro che non riusciranno mai a capirsi. C’è di più: i giapponesi sentono e ci tengono ad essere diversi. Studiare in Giappone non è facile, la selezione inizia già alle scuole elementari, anche apprendere un lavoro non è semplice. Ricordo un maestro bonsai raccontare divertito di avere ricevuto una richiesta di un giovane che voleva andare a lavorare da lui “a pagamento”. Un tempo l’insegnamento ed i trucchi erano trasmessi al primogenito, che ereditava l’azienda e la posizione del padre. I fratelli potevano lavorare come operai o andarsene per altre strade. Ho scritto “un tempo” anche se alcune fra le più note famiglie di bonsaisti giapponesi si sono comportate esattamente così. Adesso proviamo ad immaginare un maestro bonsai giapponese proiettato nel nostro mondo che, in una serata o poco più, insegna a lavorare una pianta presto e bene e svela segreti e trucchi appresi dal padre, che a sua volta li aveva appresi dal nonno e così via in una lunga catena di generazioni … c’è qualcosa che non convince!
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L’opinione di...
39 GIANFRANCO GIORGI - Antonio Ricchiari Dopo queste premesse, che ho creduto necessarie per meglio localizzare e focalizzare il problema, lasciatemi spiegare il mio (forse non solo mio) errore: il bonsai italiano o all’italiana. Immaginatevi l’allora capo indiscusso del bonsai mondiale, Saburo Kato, affermare – durante una conferenza – che non dobbiamo seguire i loro schemi o finiremo solo per fare, nel migliore dei casi, delle brutte imitazioni dei loro bonsai. Io vi ho creduto e, per anni, mi sono guardato attorno cercando, nella nostra flora, aspetti diversi da quelli proposti dai giapponesi. Mi sembrava logico che in un’altra cultura e in un ambiente diverso si potessero immaginare modelli differenti da quelli nipponici. Se qualche spunto ho trovato, come la silhouette del Pinus pinea, lo sviluppo dei rami della maggioranza delle piante italiane sovente intrecciati tra loro o i rami secondari di alcune conifere rivolti verso il basso, questo mi è parso inconsistente per parlare di bonsai all’italiana. Ma c’è di più, queste realtà sono poco piacevoli e disarmoniche a scala ridotta. In seguito mi sono reso conto che la flora ha, più o meno ed escludendo le poche eccezioni che caratterizzavano alcuni paesaggi estremi, lo stesso aspetto. Le diversità più evidenti si riscontrano solo fra le piante di pianura e quelle di montagna. Ho scritto errori non solo miei. Poiché non credo di essere del tutto sprovveduto devo dire che, a confondermi le idee, ha stranamente contribuito la mia conoscenza di molti Maestri stranieri. Negli Stati Uniti, per esempio, già nel 1973 si vedeva e si teorizzava di microenvironment o micro-ambienti, come di “veri bonsai americani”, non solo, molti maestri statunitensi, senza dubbio geniali, fra cui Robinson e Banting, hanno più volte insistito che il loro modo di creare bonsai non seguiva i canoni estetici giapponesi. Era evidente che gli statunitensi, pur ammirando le vette raggiunte in questa arte dai giapponesi, non gradivano una dipendenza psicologica da loro. Ad un certo punto mi sono posto una domanda: se i giapponesi dicono di non seguire le loro regole ed i loro stili o rischiamo di fare solo delle brutte copie dei loro bonsai, loro non rischiano di imitarsi a vicenda e fare brutte copie uno dell’altro? Concludendo, vorrei dire che tutto questo è teoria, anche se la teoria serve a capire le tecniche prima di applicarle e partire con le idee giuste. C’è anche da chiarire che le regole e gli stili giapponesi non sono Vangelo o matematica e, neanche loro li applicano fedelmente. Credo inoltre che, al di là dei discorsi, praticando quest’arte da secoli, essi abbiano ormai teorizzato tutto il possibile. Ricercare il nostro “stile” e modellare le piante così come siamo abituati a vederle è certamente utile anche se, a parer mio, sarebbe presuntuoso pensare che questo comporti stili e regole diversi da quelli che già conosciamo. Ognuno potrà usare gli stili e le tecniche che crede più opportuno senza prescindere da una fondamentale: il risultato deve essere piacevolmente armonioso.” Non ho commenti da fare alle parole di Giorgi, ma soltanto profonde riflessioni.
A scuola di estetica
LO STILE INCLINATO - Antonio Ricchiari
Lo stile inclinato Testo e disegni di Antonio Ricchiari
La definizione sintetica dello Stile Inclinato parla del tronco, che può essere curvo o diritto, che pende lateralmente in modo che la proiezione del suo apice cada oltre il limite della base, indifferentemente a destra o a sinistra. Tipico di questo stile è che il primo ramo in basso, per compensare esteticamente l’equilibrio visivo, va sempre nella direzione opposta a quella in cui è inclinata la pianta. Se i rami prevalentemente si dirigono soltanto da un lato si chiamerà invece “stile battuto dal vento”. Questo stile rappresenta insieme all’Eretto Formale che abbiamo già visto, il più diffuso. Le caratteristiche peculiari sono
1. inclinazione del tronco 2. rami di compensazione 3. base del tronco (nebari) molto asimmetrica.
La verosimiglianza della struttura si ottiene ottenendo un corretto equilibrio tra l’inclinazione e la lunghezza dei rami cosiddetti di compensazione. L’inclinazione del tronco e la sua dimensione devono essere direttamente proporzionali alla lunghezza dei rami principali. La regola vuole che la porzione più alta del tronco debba piegarsi per ritornare verso il baricentro della pianta, dando in tal modo la percezione dell’inclinazione che sarà compensata dai rami e dal nebari. I rami che conferiscono interesse visivo allo stile sono quelli che scendono (detti anche “in caduta”) che vanno a compensare efficacemente l’inclinazione. La peculiaFig. 1 - Abete rosso – Coll. Vivai Ghellere rità di un ramo che scende permette di impegnare visivamente buona parte della pianta, quindi un solo ramo ci può risolvere i problemi derivanti da una scarsità di palchi o da una zona apicale avara di rami. L’angolo di inclinazione di norma si regola in base all’inclinazione del tronco. I disegni chiariscono questo concetto. Il ramo curvo può essere posizionato nello stesso lato dell’inclinazione, oppure nella parte opposta per creare compensazione. Nello stile inclinato, se ci troviamo di fronte ad un soggetto con un tronco robusto, è necessario avere comunque un certo numero di rami. Per evitare di occultare esageratamente il tronco si possono utilizzare dei rami che partono dal retro e vanno ad occupare lo spazio dei rami laterali. Un ramo che gira dietro al tronco e indirizzato verso destra o sinistra ha la funzione di riempire lo spazio vuoto della curva: in questo caso diventa un punto di interesse. Come è evidente, l’inclinazione del tronco, anche se azzardata, deve dare in ogni caso quella sensazione di equilibrio che in natura possiede l’albero anche se inclinato, evitando l’aspetto di instabilità o provvisorietà stabile. E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad un ramo dritto, anche se deve esistere un seppur modesto movimento del tronco, e la curva che forma la piegatura nella zona apicale deve essere evidente per contribuire esteticamente alla compensazione dell’inclinazione insieme ai rami. In tutto ciò, come avviene per gli altri stili, la scelta del fronte dovrà quindi essere effettuata scegliendo quanto più possibile un lato che possiede una certa movimentazione del tronco per evitare una linea eccessivamente rigida. Tenete sempre presente che più il tronco è diritto e più occorreranno rami. La lavorazione della legna secca ha anche in questo caso fondamentale importanza dal Fig. 2 - Faggio - Coll. dell’autore punto di vista estetico, anche se raccomando sempre di fare interventi mirati, dosati, senza forzature o esagerazioni come troppo spesso capita di vedere, con uno spirito creativo che deve vederne la realizzazione nel rispetto della struttura legnosa della specie che si sta lavorando. Naturalmente dal fronte della pianta sarà sempre necessaria la vista di una o più vene vive della corteccia. Come si vede dalla figura 4, i jin rivestono una importanza notevole soprattutto per quanto riguarda la loro posizione: lavorato nella parte apicale contribuisce a dare forza alla linea del tronco. Jin lavorati dalla parte opposta all’inclinazione conferiscono un maggiore senso coerente di forza ed equilibrio. Un’altra tipologia di jin riscontrabili nell’inclinato sono i jin in direzione verticale nel lato dell’inclinazione che possono riscontrarsi negli alberi inclinati. Questo tipo di jin può essere lungo ma deve essere molto sottile perché contribuisce ad accentuare l’inclinazione della pianta. La colorazione della legna secca devono essere più chiara che in altri stili perché essendo questa struttura più esposta alla luce e con vegetazione essenziale, riceverà molta luce che avrà un maggiore effetto sbiancante sul legno. Fig. 3 - Interpretazione dello stile inclinato
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di estetica 41 ALOscuola STILE INCLINATO - Antonio Ricchiari
Fig. 4
Fig. 5 - Schizzo elaborato per un progetto di un ginepro che mostra il ramo posteriore posizionato in basso
Fig. 6 - Schematizzazione delle linee di forza opposte ed equilibranti
Fig. 7 - Il primo ramo è sempre opposto all’asse di inclinazione
Fig. 8 - Unica linea di forza direzionale che conferisce una eccezionale dinamica visiva alla pianta. Il jin serve in questo caso da effetto contrappositivo
Fig. 9 - Una variante azzardata può vedere il primo ramo che segue la direzione del tronco. E’ una deroga allo Stile che viene eseguita raramente ed in questo caso è giustificata dalla curva del tronco
A scuola di estetica
LO STILE INCLINATO - Antonio Ricchiari
Fig. 10 - Corretta indicazione dell’angolazione. Il cerchio circoscrive una zona di interesse e di equilibrio
Fig. 11 - La fotografia mostra un altro esempio di primo ramo che segue la direzione del tronco. Malgrado la direzione che segue l’inclinazione sembra far pesare la composizione tutta da un lato; se osservato attentamente il ramo in caduta invece rafforza ed equilibra tutta la struttura.
La scelta del vaso
La tipologia dei vasi è forse tra le più varie possibili, perché la struttura del bonsai non ha grande compattezza, e l’effetto finale vede il vaso abbastanza isolato dalla chioma. Sarà opportuno scegliere dei vasi di grande semplicità, senza elementi di decoro come righe, cornici o piedi eccessivamente lavorati. I vasi rotondi ed ovali sono generalmente i più usati, anche se bisogna prendere in considerazione vasi con bordi rientranti da abbinare a piante molto slanciate e vasi aperti e svasati per bonsai con vegetazioni giovani e rami abbondanti. Le dimensioni dei vasi sono maggiori rispetto allo stile eretto informale anche perché l’altezza che è mimetizzata dall’inclinazione risulta notevole. La profondità del vaso corrispondere al diametro del tronco. Antonio Ricchiari
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L’essenza del mese
43 AZALEA - Roberto Smiderle Azalea satsuki - II parte Famiglia: Genere: Specie:
Ericaceae Rhododendron Rhododendron lateritium
In questo numero presenteremo la seconda ed ultima parte della monografia su una delle più belle essenze dell’intero panorama bonsaistico: l’azalea satsuki. Ricordiamo che a differenza delle passate schede, quella che vi stiamo per presentare non ha in se il carattere della “guida”, ma bensì mostarvi semplicemente il frutto della sola esperienza personale dell’autore, il neo istruttore della Scuola d’Arte Bonsai, Roberto ‘Banzai’ Smiderle.
Azalea satsuki Coll. Roberto Smiderle
Finalmente le nostre azalee sono fiorite, la soddisfazione è grande! I nostri sforzi e le nostre amorevoli cure sono state ampiamente ripagate…ma non è il momento di fermarsi ora: affinché le nostre satsuki restino sempre in gran forma bisogna applicare tempestivamente alcuni accorgimenti. Le nostre azalee vanno continuamente rinnovate, e questo è un ottimo sistema per conservarle vigorose ed in buona salute! Finito il momento della gioia della fioritura, si può iniziare una leggera concimazione, soprattutto se le temperature non sono troppo alte, e la stagione non è troppo avanzata. Vi ricordo sempre di usare concimi con un ridotto tenore di azoto, il biogold, per esempio, spinge molto, quasi troppo, ed è sconsigliabile su piante in via di rifinitura. Al contrario invece, l’hanagokoro o l’aburukasu sono molto adatti, perché dotati di un’azione più tenue ed equilibrata. E’ comunque preferibile procedere con l’applicazione di questi ultimi concimi già in fase di fioritura, in quanto la loro azione è rallentata di almeno una ventina di giorni. La nostra Kinsai in stile madre e figlio (sookan) è oramai sfiorita (Fig. 1), bisogna intervenire e togliere le parti di fiore rimanenti (Fig. 2) altrimenti i rametti che li sostengono si seccherebbero (Fig. 3).
Fig. 2 Fig. 1
L’essenza del mese
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AZALEA - Roberto Smiderle
Questo della foto 4 è un esempio di un rametto dell’anno scorso al quale non sono stati tolti i semi:
Fig. 3
Il risultanto visto da vicino (Fig. 5).
Fig. 4
Allora, a questo punto abbiamo tolto tutte le parti di fiore che restavano (Fig. 6).
Fig. 5
E’ finalmente giunto il momento di esprimersi con filo, tronchese e forbici; l’azalea reagisce molto meglio ad una lavorazione di fine primavera che ad una effettuata in autunno (Fig. 7).
Fig. 6
Fig. 7
L’essenza del mese
45 AZALEA - Roberto Smiderle Un nuovo fronte, una nuova posizione nel vaso, e qualche ramo di meno… ora la madre indica sicura, al figlio, qual è la strada da percorrere. Bisogna anche procedere con il rinvaso, perché questa satsuki era stata coltivata per alcuni anni in torba acida (di quella che solitamente si acquista nei garden center); risultato: marciume radicale, crescita stentata e generale difficoltà di coltivazione. L’albero svasato da poco, visto dal basso (Fig. 8). All’esterno del ceppo, tutto sommato la situazione sembrava andare benone, ma dopo aver attentamente scavato un po’ di più verso l’interno, l’amara sorpresa (Fig. 9). Le radici ancora inglobate nella torba oramai in putrefazione non davano una buona impressione, e quindi fu necessario un intervento drastico per rimuovere tutto il vecchio terriccio (Fig. 10). Non rischiamo oltre, il rinvaso è già molto azzardato così. Se dovessero arrivare, entro 20-30 gg, giornate molto calde, l’albero potrebbe anche non sopravvivere! Fig. 9
Fig. 8
Fig. 10
Ecco il nostro lavoro (Fig. 11)! Rinvasi di questo tipo, così drastici, sono consigliabili in primavera, a febbraio marzo, quando l’albero reagisce meglio, ed ha più tempo per prepararsi all’estate, ma in questo caso ho preferito eseguirlo ora perché la pianta stava lentamente perdendo forza a causa della sofferenza radicale. Le cure e le attenzioni post rinvaso, in questo caso, dovranno essere costanti e maniacali, perché il rischio di uno stress fatale, soprattutto nel caso dell’arrivo di un’improvvisa ondata di caldo, è reale. Vi ricordate la satsuki rinvasata questa primavera? Ora mi sta deliziando con una elegante fioritura… ve la ripresento (Fig. 12).
Fig. 11
A distanza di tre mesi, sembra che non abbia risentito minimamente dell’intervento. Lo ripeto per l’ennesima volta: ricordate, uno dei segreti per mantenere sane e vigorose le nostre satsuki è rinnovarle continuamente…
Buon lavoro, gentili amici bonsaisti. Il vostro Roberto ‘Banzai’ Smiderle
Fig. 12
Note di coltivazione
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I BIOSTIMOLANTI - Luca Bragazzi
I biostimolanti nelle pratiche agronomiche bonsai di Luca Bragazzi
In campo bonsaistico le sostanze biostimolanti hanno fatto la loro comparsa solo da qualche anno, non sono chiaramente prodotti specifici per le pratiche bonsai, ma di derivazione agricola professionale, ragion per cui il loro utilizzo, in tal senso, non è stato ancora compreso a pieno. Il bonsaista che utilizza tali sostanze, nella maggior parte dei casi è convinto di aver trovato la risoluzione a tutti i problemi di carattere nutrizionale e stimolante, senza sapere che tali sostanze hanno dei forti limiti e che se non impiegati correttamente svolgono un’azione sul vegetale tutt’altro che benefica. Innanzi tutto specifichiamo che definire un prodotto con azione biostimolante non è semplice, la definizione data a livello legislativo è: “I prodotti ad attività biostimolante sono inseriti nell’elenco dei concimi nazionali o concimi (ovvero degli ammendanti e correttivi), previa approvazione della competente autorità del relativo metodo di analisi. Per tali prodotti è obbligatorio descrivere in etichetta dosi d’impiego e modalità d’uso”. Tale definizione pone queste sostanze nella categoria concimi, mentre la loro funzione è a livello fisiologico non nutrizionale ma di incremento del metabolismo primario e secondario. I Biostimolanti sono sostanze organiche, capaci di far aumentare la crescita vegetale in modo nettamente diverso rispetto all’aumento di crescita imputabile all’impiego di comuni fertilizzanti. La differenza sostanziale, è quella che per poter agire nel migliore dei modi, vanno somministrati a concentrazioni molto ridotte, gli importanti risultati che si ottengono sono l’aiuto dato alle piante allorché queste si trovano in condizioni particolarmente stressanti, quali siccità, crescita in suoli salini, colpi di secco e non meno trascurabile, la presenza di popolazioni di patogeni. Gli esemplari che vengono a trovarsi in condizioni ambientali svantaggiate (cambio radicale del luogo di crescita), riducono la produzione fotosintetica con un conseguente indebolimento delle cellule predisposte alla fotosintesi, un tale decremento della produzione di energia potrebbe essere letale se non opportunamente trattata. Le sostanze ad attività biostimolante migliorano ed aumentano il metabolismo tramite una maggiore espansione dell’apparato radicale a livello capillare, rendendolo più finemente ramificato; una struttura così disposta, è, sotto il profilo dell’assorbimento dell’acqua e dei nutrienti in essa disciolti, molto più efficiente e di conseguenza in grado di incrementare lo sviluppo degli organi vegetativi, in più, l’aumento dei capillari radicali è in grado di poter invadere porzioni del substrato che altrimenti verrebbero trascurate e con esse i nutrienti presenti in queste zone. L’utilizzo nella coltivazione bonsai è molto importante se si pensa che piante in vaso sono molto più soggette a stress di qualsiasi tipo, ma l’utilizzo deve essere limitato ai soli esemplari fortemente debilitati (post-rinvaso, postlavorazione ecc.), ed il periodo in cui bisogna maggiormente programmare un loro utilizzo è certamente la primavera, quando, complici le favorevoli condizioni climatiche, l’assorbimento del principio attivo stimolante è agevolato da una migliore reazione da parte del vegetale. Ci sono purtroppo delle controindicazioni, che pongono delle restrizioni nell’utilizzo di tali prodotti; e sono l’impiego in dosi massicce pensando erroneamente che maggiori trattamenti accelerino la ripresa vegetale. I biostimolanti se impropriamente utilizzati inibiscono la crescita, riducendo o annullando le probabilità di successi, va anche ricordato che il loro effetto è diverso a seconda delle condizioni in cui la pianta cresce. Luca Bragazzi
Tecniche bonsai
47 TANBAHOO - Antonio Acampora
Tanbahoo Articolo a cura di Antonio Acampora
Esistono piante per Bonsai le cui foglie, molto grandi, non conferiscono equilibrio all’insieme. Quando si pratica il mochikomi su un Bonsai in vaso, le foglie si rimpiccoliscono gradualmente; esistono però essenze che non si comportano in questo modo sebbene si pratichi regolarmente la tecnica del mochikomi. Il Pino nero appartiene a questa seconda categoria, quindi, su questo, viene applicato il metodo del tanbahoo. In passato, per accorciare gli aghi, si concimava e bagnava poco la pianta in primavera in modo che gli aghi non crescessero; ma oggi, con la scoperta casuale, durante la coltivazione, del metodo tanbahoo, questa pratica è stata abbandonata. Quando si vuole applicare questo nuovo metodo è necessario rinforzare la pianta concimandola sufficientemente, già nell’anno precedente, nel momento della sua maggiore crescita; si deve inoltre potare la gemma primaverile uniformando la lunghezza degli aghi, obiettivo che si raggiunge utilizzando la gemma estiva. Se non si interviene, la candela dei Pini neri generalmente cresce fino a 10, 12 cm di lunghezza.
Fig. 1
Il metodo del Tanbahoo
Anche se esistono tecniche diverse che danno gli stessi risultati, il metodo qui illustrato è quello più semplice da capire ed eseguire. Per ultimare questo procedimento si impiegano due anni : il primo anno ci si limita a portare allo stesso vigore le gemme di tutta la pianta; il secondo anno verrà dedicato alla riduzione della lunghezza degli aghi.
Primo anno
Concimare e bagnare abbondantemente in primavera al fine di rinforzare il più possibile le candele. Per uniformare la dimensione delle stesse è necessario conservare tutti gli aghi vecchi su quelle piccole; per le candele vigorose si strappano gli aghi lasciandone solo tre o quattro coppie in modo da indebolirle. È inoltre importante pizzicare le candele vigorose, per portarle alla lunghezza di quelle medie prima che queste si allunghino (Fig. 1, 2). Dopo aver pizzicato le candele robuste, in poche settimane cresceranno, sul taglio, delle gemme nuove e quindi delle candele che si svilupperanno molto velocemente. Se queste fossero forti, le si deve accorciare nuovamente, rendendole della stessa lunghezza di quelle medie. In questo modo, l’anno successivo tutte le candele saranno della stessa dimensione. Le candele deboli si consolideranno mentre quelle vigorose, indebolendosi, si accorceranno. Bisogna attuare la pulizia degli aghi vecchi all’inizio di ottobre (Fig. 3).
Fig. 2 Fig. 3
Tecniche bonsai
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TANBAHOO - Antonio Acampora
Fig. 4
Fig. 5
Secondo anno
Fig. 6
La potatura dei germogli deve essere eseguita alla metà di giugno: tutte nello stesso momento, quando si sono aperti e gli aghi si sono allungati (Fig. 4, 5). In sintesi, i punti essenziali per la riduzione degli aghi col metodo tanbahoo sono: 1) Concimare e bagnare in primavera per rafforzare le gemme. Se le candele non sono uniformi in lunghezza, si cerca di portarle al pari di quelle medie. 2) Nel primo anno intorno alla fine di maggio o alla metà di giugno (in base alla zona geografica) pinzare tutti i germogli nello stesso momento lasciandone tre o quattro millimetri. 3) In estate si deve regolare la quantità di gemme presenti alla base dei tagli effettuati, lasciando due gemme della stessa dimensione (Fig. 6). 4) Dall’inizio di ottobre, fino alla metà dello stesso mese, dopo essersi accertati che siano maturati e consolidati gli aghi nuovi, si staccano tutti quelli vecchi (se questi germogli fossero troppo disuguali, ci si regola con gli aghi vecchi, tenendone molti sulle candele piccole e togliendone da quelle forti), concludendo il metodo tanbahoo (Fig. 3). Questo è il metodo per accorciare gli aghi dei Pini neri. In sintesi, durante il primo anno ci impegniamo a rinforzare le candele deboli e a frenare quelle vigorose; in questo modo prepariamo il tanbahoo, che verrà praticato su tutte le candele nello stesso momento verso la metà di giugno dell’anno successivo. In caso di Bonsai di dimensioni grandi (1 metro) anticipare di 15 giorni il tanbahoo. Nel caso di shohin, al contrario, aspettare 15 giorni dalla data consigliata. Antonio Acampora
Fig. 7 - Pino nero giapponese. Coll. Luca Bragazzi
Fig. 8 - Pino nero giapponese
da club 49 Vita OLTRE IL VERDE-BONSAIGYMNASIUM - Marco Tarozzo
Il BonsaiGymnasium nasce dalla passione per l’arte bonsai di due amici, Federico Springolo ed il sottoscritto, Marco Tarozzo (Fig. 1). Entrambi pratichiamo l’arte del bonsai da più di 15 anni e Federico, anche se molto giovane, è istruttore IBS dal 1997.Dopo aver frequentato i primi corsi base presso una scuola di Padova, il BonsaiGymnasium di Gigi Toso, scuola che oggi non esiste più, abbiamo iniziato un percorso che nel tempo ci ha portato a fare stage e workshop con rinomati professionisti; tra questi ci piace ricordare: Tarakawa, Suzuki, Noelander, Toso, Andolfo, Dal Col, Cettorelli, Liporace, De Capitani e per ultimo, ma non a caso, Sandro Segneri. Dicevamo non a caso Sandro Segneri, si perché riparte tutto da lui e più avanti vedremo come e perché. Dopo la delusione dovuta alla chiusura della scuola e all’interruzione del rapporto con Gigi Toso abbiamo perso i contatti col mondo del bonsai, ma, passato il primo periodo di sconforto, durante il quale ci siamo dedicati al solo mantenimento in vita Fig. 1 - Marco Tarozzo e Federico Springolo delle piante, abbiamo deciso di rincontrarci in sporadici ma intensi incontri di lavoro e “rimettere mano”sul materiale di cui eravamo in possesso (Fig. 2, 3, 4, 5, 6).
Fig. 2
Fig. 6
Fig. 4
Fig. 3
Fig. 5
Con l’aumentare della nostra voglia di crescere, sia dal punto di vista dell’esperienza che della tecnica, ci rendevamo conto che ci mancava qualcosa: il confronto con gli altri, la discussione critica dei lavori svolti. Discutevamo molto tra di noi e queste discussioni ci hanno portato, nel tempo, a maturare l’idea che nei vari incontri avuti negli anni precedenti con istruttori e dimostratori quello che più ci aveva colpito umanamente, tecnicamente e creativamente era stato Sandro Segneri (Fig. 7). Decisi, ad insaputa di Federico, di contattare Sandro per vedere se si poteva organizzare con lui un incontro didattico, un workshop…Si insomma, riprovare a “metterci in gioco”. Ma come mi sarei potuto proporre, cosa gli avrei potuto dire? - “Ciao, sono Marco Tarozzo, ti ricordi? Ci siamo visti più volte da Gigi Toso. ….mi fai entrare nella tua scuola?”. Figuriamoci, dopo anni mica ci si può ripresentare così ad un personaggio del calibro di Segneri (sempre che si ricordasse di me)?!? Tanto per farvi capire approssimativamente la mia situazione, mi sarei trovato di fronte ad un signore che nel mondo del bonsai è ovunque: cerchi un libro e ti propongono il suo, apri una rivista e c’è lui, vai in internet Fig. 7 - Sandro Segneri e Massimo Bandera e c’è sempre lui, ammiri un capolavoro ed è stato lavorato da lui…. suvvia, mica sarei potuto essere così sfrontato? Ma alla fine... pensa che ci ripensa, mi faccio coraggio e parto con la mia presentazione. Al telefono…. - “Ciao, sono Marco Tarozzo ti ricordi? Ci siamo visti più volte da Gigi Toso…. mi fai entrare nella tua scuola?
Vita da club OLTRE IL VERDE-BONSAIGYMNASIUM - Marco Tarozzo E lui - “Ciao Marchii…. come va, tutto bene? Dove ti sei perso?” …penso: “caspita, sono un genio... si ricorda, e si ricorda pure i particolari di qualche giornata passata insieme!” Emozione a tre mila giri…. è fatta! Sandro stava partendo per il Giappone e mi disse che mi avrebbe ricontattato al suo rientro, qualche mese dopo. Beh, pensai che dopo aver aspettato tanto non sarebbe stato qualche mese in più d’attesa a cambiarmi la vita. Di questo non dico nulla a Federico, preparo la sorpresa! Al rientro Sandro mi chiama e mi comunica che c’è la possibilità di un inserimento presso la sede della scuola a Belluno; non ci penso nemmeno su e gli rispondo che va bene! Prendo contatti con il “capoclasse”, come simpaticamente lo chiamiamo noi, e aspetto con ansia che arrivi il primo giorno di scuola, con la differenza che l’infanzia ed i sei anni li ho passati da un bel pezzo, ma in quel venerdì l’emozione era la stessa di allora! Lì a Belluno l’incontro con gli altri studenti, e la passione esplode in tutta la sua veemenza. Al rientro, vado direttamente da Federico perché ho la voglia di condividere con lui ciò che è successo. Ha nel frattempo avviato un’attività di realizzazione e cura di giardini (la “Oltre il verde s.n.c.”) e sta mettendo su casa e famiglia. Federico passa la mano: - ”Marco ora no, ne parliamo il prossimo anno, sono incasinato, non riesco neppure a seguire le piante...”. Do uno sguardo al giardino e mi rendo conto che è proprio preso: non ci penso su e carico le sue piante in auto, faccio tre giri, da casa sua a casa mia, ed alla fine la sua collezione è nel mio giardino in attesa che il proprietario “rinsavisca”. Passa un anno di scuola e torno da Federico, a vedere come si è sistemato: bene l’uomo c’è! E’ rinsavito, carico! Faccio di nuovo quei famosi tre giri, però sta volta da casa mia a casa sua, e le piante sono di nuovo sui suoi bancali! Passano altri tre mesi e il Fede è a scuola con me sotto la guida di Sandro (Fig. 8). Ora, dopo quattro anni di duro lavoro con il “capoclasse “(foto lavori a Belluno) ad entrambi nasce la voglia di rifondare insieme altri amici il vecchio club “BONSAIGYMNASIUM”. I tempi son cambiati, sono passati 10 anni da quando il vecchio Gymnasium ha chiuso, noi siamo cambiati, il bonsaismo è cambiato! Decidiamo che anche il nome deve cambiare da quello di allora, deve essere un insieme di ciò che fu e quello che c’è ora. Cosa allora può essere più indicato “OLTRE IL VERDE (oggi) BONSAIGYMNASIUM (ieri) ?”. Detto fatto! Ecco, così è nato il nostro club. Romantici? Sì, lo siamo. Nostalgici? Sì, lo siamo. Però noi siamo così e così lo sono anche i nostri compagni di viaggio (Fig. 9). Ora inizia il difficile perché, oltre alla nostra crescita tecnica e creativa, sentiamo sulla pelle la responsabilità di far maturare la passione per quest’arte anche ai nostri amici del club. Stiamo lavorando molto sulla didattica di base che servirà a preparare il gruppo e ad intraprendere un percorso formativo più articolato e completo dentro la “Bonsai Creativo School - Accademia”. C’è infatti anche la voglia, in un prossimo futuro, di aprire presso la nostra sede (in provincia di Padova) un distaccamento della scuola di Sandro Segneri. Sono passati dagli inizi 15 anni... e finalmente si inizia a camminare!! Marco Tarozzo
Fig. 8
Fig. 9
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Il Giappone visto da vicino
LA KATANA - Antonio Ricchiari
La Katana:
una delle vie orientali Articolo a cura di Antonio Ricchiari
Considerando il fatto che nell’Impero del Sol Levante il predominio della classe militare durò ben settecento anni, e che la spada, come arma e come simbolo della nazione ebbe una importanza che durò ben oltre, è naturale che l’uso della spada abbia goduto di un’attenzione e di una considerazione grandissima. Il budo (modo di vita caratteristico del guerriero giapponese) si è evoluto dopo il periodo di pace feudale durato quasi due secoli e mezzo (1603-1868, periodo Tokugawa), diventando un’espressione della identità storica giapponese. La dea Amaterasu, personificazione del sole, secondo la mitologia fece dono ai suoi discendenti di una collana, di uno specchio e di una spada (Kento), simboli del Giappone imperiale. E’ importante considerare che per i giapponesi la spada non è stata soltanto uno strumento di guerra. Nella cultura e nella vita dei samurai, la spada ricoprì il ruolo di un Kami, di un’entità divina preposta alla conservazione delle vite e alla distribuzione della morte; questa possedeva poteri che andavano ben oltre l’affilatura della lama e l’abilità del guerriero che la impugnava. Per i samurai, la spada era il centro della loro vita: con essa combattevano servendo il loro signore, difendevano l’onore e quello del loro clan, dimostravano la loro lealtà verso i compagni durante la battaglia. Con essa, spesso, si toglievano la vita facendo hara-kiri o peggio ancora seppuku. Ogni samurai, vedeva la sua prima spada addirittura al momento della nascita. I padri donavano al figlio neonato un talismano chiamato Mamori Gatana, che aveva la forma di una spada. All’età di 15 anni i giovani allievi cominciavano ad addestrarsi con vere e proprie spade in modo da prepararsi al loro destino di samurai. La pratica del combattimento con la spada, una disciplina chiamata Kenjutsu, richiedeva maestri molto preparati dato che solo grazie ai loro insegnamenti i nuovi guerrieri potevano vincere contro avversari di maggiore esperienza. Ogni samurai possedeva due spade di foggia e lunghezza diverse: la Katana, una spada lunga che i guerrieri portavano infilata in un fodero appeso alla cintura sul fianco sinistro; e il wakizashi, un’arma corta dalla quale i guerrieri non si separavano mai e che chiamavano “Guardiano dell’onore”, spesso usata durante il rito dell’hara-Kiri. Il Wakizashi, veniva infilato nella cintura all’altezza dello stomaco. Questa posizione, oltre che comoda per i movimenti, aveva un significato simbolico molto importante, infatti, il ventre, che i Giapponesi chiamano Hara, era considerato dai Samurai come il fulcro del corpo e della mente: in esso risiedevano la volontà, le emozioni e lo spirito di ogni essere umano. Le loro spade, mutarono spesso forma e materiali nel corso del tempo. Probabilmente soltanto all’inizio dell’VIII secolo d.C., vennero introdotti le Katana, dotate di una lama a doppio taglio. Precedentemente, le spade erano fatte in bronzo o in ferro, lunghe tra il mezzo metro e i 90 cm, dotate di una lama dritta e costituite da un pezzo unico tra lama e impugnatura o da due pezzi forgiati separatamente. Successivamente, intorno al IX secolo d.C., grazie soprattutto alla maggiore specializzazione degli artigiani giapponesi, le lame cominciarono ad incurvarsi acquistando la forma che ancora oggi conosciamo. I fabbri che le producevano ebbero un ruolo centrale per gran parte della storia del Giappone. Essi erano molto spesso di origini nobiliari e nel loro lavoro seguivano un rituale fatto di un abbigliamento e di una igiene personale particolari. Anche i luoghi in cui si svolgeva la forgiatura erano preparati con cura rituale, spesso somigliavano a dei veri e propri templi arricchiti da talismani utilizzati per attirare il favore degli dei e allontanare le influenze negative degli spiriti maligni. Gli artigiani custodivano in gran segreto le loro tecniche per la forgiatura delle spade, ed erano disposti ad uccidere piuttosto che vederle svelate. Il loro sapere veniva tramandato soltanto ai figli e si trasmetteva così da una generazione all’altra. Gli elementi fondamentali per la produzione di un’arma erano quattro: - la miscela di acciaio - il raffreddamento - la levigazione - il collaudo. Le miscele erano di due tipi: quelle in acciaio duro (detto Hagame), e quelle in acciaio morbido. Il raffreddamento era fondamentale in quanto da esso dipendeva la durezza della lama, esso veniva prodotto da acque riscaldate fino a raggiungere diverse temperature nelle quali le lame appena forgiate venivano immerse seguendo tempi ed intervalli molto precisi. Dalla levigazione dipendeva l’affilatura della lama, solo gli artigiani più esperti sapevano trattare lo strato esterno delle spade appena forgiate in modo da ricavare lame che non fossero soltanto taglientissime, ma anche il più possibile durevoli. I disegni riprodotti nell’articolo sono tratti da: Winston L. King, Zen and the Way of the Sword arming the Samurai psyche, Oxford University Press, Inc., New York, 1993
Il Giappone visto da vicino
LA KATANA - Antonio Ricchiari Il collaudo, era sicuramente la parte più cruda e hard della produzione, non bisogna infatti dimenticare che l’utilità di una spada, per quanto preziosa essa potesse essere, era quella di uccidere gli avversari. Per provarne l’efficacia, allora, venivano spesso utilizzati dei cadaveri, oppure, in alcuni casi particolari, con esse venivano eseguite le sentenze dei condannati a morte. La Katana non è l’unica spada che i guerrieri avevano a disposizione. Esistevano altri tipi di lama, tra cui, ad esempio la spada Tachi era leggermente più lunga e ricurva, oppure la Nodachi (letteralmente “spada da campo”), decisamente più lunga di una Katana. Quest’ultima, infatti, ha una lama con Fig. 1 una lunghezza che varia dai 60 ai 75cm ed una classica ed inconfondibile lama dalla curvatura moderatamente accentuata. L’affilatura è solo da un lato, vi è un’impugnatura per poterla afferrare con due mani. La Katana nasce per tagliare, consentendo grande velocità e armonia di movimenti. Insieme alla katana formava quello che era chiamato aisho (letteralmente “grande e piccolo”): la Katana era la parte lunga, il Wakizashi la parte corta. Successivamente, nel periodo Azuchi - Momoyama (dal 1573 - 1614) la spada subisce grosse rivoluzioni sia estetiche che di fabbricazione, mentre nel successivo periodo Tokugawa (fino al 1868) le spade con lunghezza superiore ai 60 cm furono riservate ai soli Samurai, come segno sociale distintivo. Fu con il periodo Meiji (1868-1912) che la casta dei Samurai fu dichiarata estinta e quindi fu vietato il portare il Daisho in pubblico. Al giorno d’oggi la produzione continua a ritmi molto bassi, soltanto per proseguire la tradizione. Sia i pezzi dei grandi maestri forgiatori del passato, sia i pezzi pregiati di oggi raggiungono cifre impensabili. Vediamo rapidamente la montatura della lama: abbiamo l’impugnatura (tsuka), la guardia (tsuba) e il fodero (saya). L’impugnatura è in legno e ricoperta di pelle, rivestita di seta intrecciata. Negli spazi che rimanevano dall’intreccio trovavano posto vari ornamenti. La guardia è di metallo finemente lavorato, una vera e propria opera d’arte che spesso riportava il simbolo del clan di appartenenza del guerriero. Il compito della guardia era evitare lesioni alle mani derivanti dallo scivolamento delle lame. Il fodero è in legno di magnolia laccato. Ciò che rende la Katana una spada così eccezionale, la migliore al mondo è la lama. Come ogni grande lavoro, anche la produzione della Katana vede coinvolti diversi maestri: abbiamo il produttore del ferro, il fabbro che lavora il metallo grezzo, un fabbro che lo piega su se stesso più e più volte, un addetto alla lucidatura ed uno specialista per affilarla. L’acciaio utilizzato per la Katana è solo ed esclusivamente la qualità Tamahagane, ovvero “acciaio gioiello”. Ricavato dalla sabbia nera, viene sciolto in forni molto particolari, dal nome Tatara. Il compito del lucidatore è quello di rendere la spada artisticamente bella da vedere. Per farlo sono necessarie diverse settimane e diversi tipi di pietra (una delle quali ha un costo esagerato e viene usata in quantità minime. Assistiamo a due fasi: la prima viene chiamata Shitaji togi, mentre la seconda Shiage togi. Nella Shitaji togi la prima cosa che si fa è raddrizzare la lama se, per qualche motivo, è storta (attenzione: non si tratta di togliere la curvatura del dorso, ma raddrizzare la lama perpendicolarmente all’impugnatura). Inoltre è qui che vengono corretti tutti i piccoli difetti, che potrebbero rendere la lama instabile o fragile in alcuni punti. Questo viene fatto utilizzando pietre molto grosse e abrasive. Nella Shiage togi, invece, si rende la spada lucida come uno specchio: in questo modo si esaltano le caratteristiche della lama. Non ci devono essere difetti, in nessun caso. Le pietre utilizzate sono molto più piccole. Ovviamente è tutto rigorosamente fatto a mano. La lucidatura è fondamentale, soprattutto nella fase di “Shitaji togi”: infatti un’abrasione errata o eccessiva potrebbe rovinare irrimediabilmente la lama, mentre un lavoro accurato e di qualità può addirittura migliorarla. In questa fase viene anche curata l’affilatura: data la natura sottile della parte tagliente, si può procedere alla molatura senza scendere a compromessi; difficilmente, infatti, la lama si rovinerà. Entra ora in gioco l’ultima figura, ovvero il montatore (Sayashi). Il compito è teoricamente semplice, in realtà non lo è: dopo una produzione così minuziosa, a partire dal ricavare il metallo dalla sabbia, non si può lasciare l’ultima fase al caso. La lama viene infilata e fissata accuratamente nello tsuka (l’impugnatura) attraverso un pezzo di bambù e poi viene montata l’elsa, che come abbiamo detto in precedenza è finemente ornata. Inoltre viene prodotto anche il fodero: ai tempi dei samurai era doppio (uno di legno da esposizione ed uno sempre di legno ma molto più decorato da portare in battaglia), ora si tende ad usarne uno solo. Il processo intero di produzione ha superato i 3 mesi. Si dice che nella spada vi sia l’anima del forgiatore: vi sembra davvero così esagerata, come affermazione? Come molte altre armi sviluppatesi in territorio nipponico, la Katana ed in genere tutte le tipologie di spada giapponese
Fig. 2 - Alcuni esempi di spade
Fig. 3
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Il Giappone visto da vicino
53 LA KATANA - Antonio Ricchiari Fig. 4
Fig. 6
Fig. 5
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Fig. 8 - I componenti della Katana
furono probabilmente un’evoluzione della spada cinese. Il Giappone, infatti, attorno all’VIII secolo d.C importò dalla Cina le prime armi in ferro acciaioso dopo secoli durante i quali i soldati nipponici si erano armati esclusivamente con strumenti in ferro e in bronzo. La spada cinese era lunga circa 90 centimetri ed era a doppio taglio; la katana a taglio singolo che ancora oggi Fig. 9 - Le parti della spada conosciamo, rappresentò quindi una mutazione sostanziale rispetto al prototipo d’importazione cinese. Il fabbro iscriveva il proprio nome in ideogrammi cinesi (kanji) sulla lama della katana, nel tratto che sarebbe stato ricoperto dall’impugnatura, il codolo. Le lame forgiate dai fabbri rinomati (soprattutto prima del 1350) divennero oggetti molto ammirati ed apprezzati, e alcune di queste inestimabili cimeli di famiglia. La venerazione dei giapponesi per le spade forgiate dai maestri era ed ancor’oggi è tale che fu allestita una cerimonia per l’esame delle spade.
Fig. 10 - Estrazione della katana e colpo di taglio
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LA KATANA - Antonio Ricchiari
Fig. 11 - Combattimento con due katane
L’uso del pezzetto di stoffa per toccare la spada aveva lo scopo di prevenire il formarsi della ruggine, un problema delle spade giapponesi. Sguainare la spada in maniera fulminea sarebbe stato rozzo ed irriverente, sfoderarla completamente sarebbe stato un segno di ostilità, una proibizione stilistica equivalente alla proibizione per i samurai di sguainare la spada alla presenza e nella casa di un amico o del signore feudale. Il modo di portare e sguainare la spada si modificò con il cambiare dei sistemi di combattimento sul campo di battaglia. Anche il suicidio rituale dei samurai vede la katana in primo piano. Il seppuku procurava la morte emendatrice che toglieva l’onta di un reato da parte del samurai. Il seppuku fu attuato anche come mezzo di protesta. Per la cerimonia veniva allestita una stanza speciale oppure si utilizzava un tempio buddhista, un giardino oppure un cortile che veniva cosparso di sabbia bianca che in Giappone indica il colore della morte. Oltre al condannato erano presenti varie autorità, una persona che leggeva l’accusa, il testimone ed il kaishaku che eseguiva la decapitazione finale. Quest’ultimo di solito era un samurai anziano Fig. 12 - Rituale del seppuku che sapeva ben usare la spada. Aveva vicino un aiutante nel caso esitasse nel trovare la forza d’animo di eseguire la decapitazione. Il condannato si sedeva a gambe incrociate su una piattaforma di fronte ai testimoni. Davanti a questi vi era un vassoio con un pugnale corto. Dopo la lettura dell’accusa il condannato procedeva al suicidio che omettiamo nei dettagli per una questione di buon gusto. Il seppuku era un gesto conclusivo di libertà ed estrema dignità, era un modo di morire scelto dalla persona e praticato per mano propria, era un modo di riscattare la reputazione del proprio signore o della famiglia. Ricollegandoci alla storia contemporanea, prendendo in esame l’eredità dei samurai, abbiamo registrato il risorgere dei loro valori durante la seconda guerra mondiale, evento in cui il soldato giapponese, come il bushi pronto a morire, si gettava con assoluta abnegazione con il proprio aereo sulle navi nemiche: erano i famosi kamikaze. I medesimi valori sono alla base della struttura della odierna società giapponese, come lo sono negli ambienti di lavoro, nella scuole e nella famiglia. Antonio Ricchiari
Che insetto è?
55 PATOLOGIA VEGETALE VI parte - Luca Bragazzi
Patologia vegetale - Parte VI: I CERAMBICIDI
Vediamo in questo sesto numero del Magazine un gruppo di insetti che sempre più sono presenti nelle collezioni bonsai, destando serie preoccupazioni tra gli amatori per il danno che provocano ma soprattutto per i pochi o poco efficaci metodi di lotta presenti. I cerambicidi, meglio conosciuti come “rodilegno”, sono insetti molto vistosi per le loro dimensioni (5-6 cm), ma anche per le antenne che li contraddistinguono, perché presenti in un numero fino a 50. Le forme adulte si nutrono di foglie e linfa, ma il vero danno è provocato dalle larve. Gli adulti depongono le uova negli anfratti della corteccia, nel terreno nei pressi del nebari, o peggio in gallerie scavate nel fusto con relativo danno meccanico di interruzione dei fasci linfatici. Tale danno viene ad essere amplificato nel momento della schiusa delle uova, quando le larve, vere e proprie divoratrici di tessuti vegetali (fitofaghe e xilofaghe), continuano la loro azione di scavo, interrompendo repentinamente i fasci Xilematici e Floematici, devitalizzando intere branche a volte frutto di anni di lavoro. L’azione delle larve è molto lunga, in quanto la durata dello stato larvale è di qualche anno, per cui i danni prolungati nel tempo sono a volte letali per l’intero esemplare colpito. La lotta è chiaramente di tipo chimico e in questi casi, si adottano sistemi pratici che risultano essere invasivi dal punto di vista vegetale, ma risolutivi nei confronti del patogeno. La pratica di iniettare prodotti insetticidi sistemici direttamente nelle gallerie è molto efficace, con la ripetizione del trattamento per almeno tre-quattro volte nell’arco della stagione primaverile. Tali insetticidi devono essere “ovo-larvo-adulticidi”. L’osservazione giornaliera della nostra collezione è d’obbligo perché ci consente di intervenire repentinamente quando si presenta il problema, identificato nella presenza di piccole tracce di segatura sul terreno o sui rami della chioma, o con disseccamenti rameali apparentemente inspiegabili. Luca Bragazzi
09 20 o gn
I n. 6
magazine
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Bonsai&Suiseki
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