Bonsai & Suiseki magazine - Luglio/Agosto 2009

Page 1

൬ ዚས ༉

Bonsai & Suiseki

magazine

Bonsai&Suiseki magazine

Anno I - n.7/8

Luglio/Agosto 2009

/

七 8 7 八


in collaborazione con

Bonsai & Suiseki magazine ©

editoriale

Luglio Agosto

2009 7/8 DIRETTO DA Antonio Ricchiari IDEATO DA Luca Bragazzi Antonio Ricchiari Carlo Scafuri REDATTORE Carlo Scafuri REVISORE DI BOZZE Dario Rubertelli Pietro Strada CORRETTORE DI BOZZE Giuseppe Monteleone PROGETTAZIONE GRAFICA Salvatore De Cicco IMPAGINAZIONE Salvatore De Cicco Carlo Scafuri FOTO DI COPERTINA Luca Bragazzi Nicola Crivelli Daniela Schifano HANNO COLLABORATO Antonio Acampora Daniele Abbattista Claudio Cofani Nicola Crivelli Dirk Dabringhausen Armando Dal Col Gian Luigi Enny Enzo Ferrari Carlo Maria Galli Giovanni Genotti Giuseppe La Susa Lino Pepe Luciana Queirolo Daniela Schifano Roberto Smiderle Anna Lisa Somma Federico Springolo Marco Tarozzo

Tutti gli scritti, le foto, i disegni e quant’altro materiale pubblicato su questo sito rimane di esclusiva proprietà dei rispettivi Autori che ne concedono in via provvisoria l’utilizzo esclusivo al Napoli Bonsai Club ONLUS a titolo gratuito e ne detengono il copyright © in base alle Leggi internazionali sull’editoria. E’ vietata la duplicazione e qualsiasi tipo di utilizzo e la diffusione con qualsiasi mezzo (meccanico o elettronico). I trasgressori saranno perseguiti e puniti secondo gli articoli di legge previsti dal Codice di procedura Penale che ne regolano la materia.

Le prime frasi di una conferenza, i primi passi di un’escursione, sono sempre attimi di grande apprensione. Anche un anno fa, quando intraprendemmo questa avventura del Forum del NBC e della rivista Bonsai & Suiseki magazine un po’ più tardi, non posso nascondere che lo stato d’animo era di gioia mista a preoccupazione. Allora mi venne in mente quando da piccolo vedevo mio nonno falegname, iniziare a lavorare delle tavole di legno per costruire un armadio. Davanti al mio dubbio se avesse mai costruito quell’armadio, egli serenamente rispose: “L’importante è cominciare”. E’ vero “l’importante è mettersi in cammino” e poi la via che appare incerta e confusa comincerà a definirsi sempre più distintamente davanti a noi. Vorrei esprimere alcuni concetti consolidati in me, che spero andranno a caratterizzare questa nostra Rivista, come strumento di contatto e di dialogo. Non dobbiamo dimenticare che una rivista, per essere valida deve rappresentare una struttura nella quale tutti mettono le loro esperienze non solamente tecniche, ma anche il proprio modo di sentire e vivere il “Bonsai ed il suiseki”, per poterle trasmettere agli altri, deve essere la via per conoscersi e farsi conoscere. L’importante nella vita è capire che il nostro modo di vivere e di pensare non è il solo, e soprattutto non è il solo giusto. Solamente imparando a scoprire come vivono e pensano gli altri daremo valore aggiunto alla nostra vita. Purtroppo l’attuale cultura, anche quella bonsaistica, porta ad essere competitivi e perciò conflittuali anziché concorrenziali. Competere significa che uno vince e l’altro perde, imboccando due direzioni diverse, mentre concorrere (dal lat. cum “con” e currere “correre”) significa lottare e vincere correndo in una sola direzione. Traendo delle conclusioni da quanto detto: per chi vorrà scrivere per la rivista, che sia se stesso, che faccia trasparire il suo modo di essere e di vivere queste arti, e per chi legge, di non giudicare solo se l’articolo ci insegna tecnicamente qualcosa, ma di pensare che dietro c’è una persona che sta apprendendo qualcosa di nuovo. La nostra è una rivista amatoriale, nella quale tutti avranno uno spazio per raccontare le proprie esperienze, per mezzo delle quali molte persone si avvicineranno al mondo del Bonsai e del Suiseki, acquisendo nozioni che permetteranno loro di “sbagliare di meno”. Il cammino è iniziato. Buon viaggio a tutti! Antonio Acampora


Sommario

/

七 8 7 八

Dal mondo del Bonsai & Suiseki pag. 01 pag. 03 pag. 07 pag. 08

“Progettare il giardino giapponese - I parte” - G. L. Enny “Non solo suiseki” - C. M. Galli “BCI Artist, photographer, writer Award 2009” - A. Ricchiari “Lo Zen e l’acquario” - C. Scafuri

Mostre ed eventi pag. 10 “Nationale Bonsai e Suiseki Show” - E. Ferrari pag. 15 “XI Mostra Naz. Bonsai e Suiseki” - D. Abbattista, D. Schifano

In libreria Azalea coll. Roberto Smiderle

L’essenza del mese

pag. 19 “Sentieri bonsai” - A. Ricchiari pag. 19 “Bonsai - corso base” - C. Scafuri

Bonsai ‘cult’

pag. 56 “Azalea - III parte” - R. Smiderle

Note di coltivazione pag. 60 “I biostimolanti - II parte” - L. Bragazzi

Tecniche bonsai pag. 61 “La legna secca” - A. Acampora

Vita da club pag. 65 “Bonsai Club Castelli Romani” - C. Cofani pag. 67 “Bonsai Club di Lorena” - L. Pepe

Il Giappone visto da vicino pag. 68 “Il Giappone: l’impero dei gesti” - A. Ricchiari pag. 70 “Nel Giappone delle donne” - A. L. Somma pag. 70 “Novelle orientali” - A. L. Somma

Che insetto è? pag. 71 “Patologia vegetale - VII parte” - L. Bragazzi

pag. 20 “Lo stile. Dettagli di bellezza” - A. Ricchiari pag. 22 “La raccolta in natura” - G. Genotti

La mia esperienza pag. 24 pag. 27 pag. 30 pag. 33 pag. 37 pag. 40

“The magic tree” - A. Dal Col “Il battesimo sul campo”- D. Dabringhausen “Il biancospino dedicato a mio padre”- G. La Susa ”La nostra demo ad Arco di Trento” - F. Springolo, M. Tarozzo ”Realizzazione di un ishizuki - II parte” - C. M. Galli ”Un week-end a Metz” - N. Crivelli

A lezione di Suiseki pag. 44 “Il ma attorno ad una pietra” - L. Queirolo

L’opinione di... pag. 49 “Giorgio Castagneri” - G. Monteleone

A scuola di estetica pag. 52 “Lo stile a cascata” - A. Ricchiari


Bonsai & Suiseki

൬ ዚས ༉

magazine

Ho scritto sul numero precedente del magazine che la memoria umana è molto labile, troppo, e questa caratteristica che appartiene purtroppo al genere umano molto e spesso l’oblio suona come ingiustizia e mancanza di riconoscenza. Ho ritenuto perciò opportuno e doveroso, assieme al Comitato di Redazione del magazine (devo dire che l’idea è partita proprio dai suoi componenti) di conferire una targa, ogni anno, ai bonsaisti e suisekisti che per meriti artistici o associazionistici o quant’altro, finalizzati naturalmente alla diffusione ed alla qualificazione del bonsai e del suiseki italiano, si sono nel tempo distinti. La scelta del personaggio sarà fatta ogni anno in base a questi parametri di valutazione e la prima targa sarà consegnata a Settembre in occasione della IX So-Saku Bonsai Award. Siamo orgogliosi di essere i promotori di una iniziativa che sicuramente altri e molto prima di noi avrebbero dovuto mettere in atto, al di là di tutte le considerazioni partigiane che con lo spirito ed il valore artistico nulla hanno a che vedere. Il rispetto per la personalità, l’umanità e la professionalità di coloro i quali hanno contribuito e contribuiscono a fare grande nello scenario internazionale il bonsai ed il suiseki di casa nostra avrà così il giusto riconoscimento.

Antonio Ricchiari - La redazione


Con il patrocinio di

I.B.S. e U.B.I.


1

Dal mondo del Bonsai & Suiseki PROGETTARE IL GIARDINO GIAPPONESE - Gian Luigi Enny

Progettare il giardino giapponese Cosa sapere prima di mettersi all’opera - I parte

Articolo a cura di Gian Lui Enny

Dopo aver ricevuto molte e-mail di richiesta sul come iniziare la costruzione di un giardino giapponese, ho preparato questo articolo corredato da foto esplicative con l’intento di suggerire ai non addetti alcuni importanti consigli prima di iniziare il lavoro. Scopo di questo articolo è quello di dare la gioia e la soddisfazione a chiunque possieda un pezzo di terra, anche di pochi metri quadrati, di progettarsi il proprio giardino in stile giapponese senza incappare in grossolani errori. Un bel giardino giapponese non nasce per caso, è l’insieme armonico di diversi elementi, siepi, prato, macchie di alberi e arbusti, pietre, ghiaia, cancelli, recinzioni, camminamenti, vasche e lampade, in alcuni casi anche muri e scale, e lo scopo finale è quello di far apparire il tutto il più naturale possibile anche se l’artificiosità dell’uomo ha contribuito non poco alla sua realizzazione. Creare un giardino vuol dire mettere insieme tutti gli elementi a disposizione in modo gradevole esteticamente, in armonia con il luogo e con lo stile della casa, ma soprattutto pratico ed agevole da mantenere negli anni a venire. Il clima, il paesaggio, le tipologie vegetali presenti cambiano molto man mano che ci si sposta lungo la nostra penisola, ed il giardino dovrebbe integrarsi perfettamente ed in maniera armoniosa in esse. Tutto ciò servirà a raggiungere lo scopo di creare qualcosa di piacevole alla vista dell’osservatore e nello stesso tempo possa permettere di meditare o anche solo cercare riposo mentale dopo una lunga giornata di lavoro e di stress.

Fig. 1 - Sono sufficienti pochi metri quadrati purché si utilizzino elementi idonei posizionati in modo armonico

Fig. 2 - Paesaggio circostante con case e siepe presi a prestito per una buona realizzazione nel completamento del giardino


Dal mondo del Bonsai & Suiseki PROGETTARE IL GIARDINO GIAPPONESE - Gian Luigi Enny

Ultimo ma non meno importante il budget. E’ bene progettare secondo le proprie disponibilità finanziarie; anche un giardino giapponese in cui pensate di investire poco, può essere bello, purché disegnato e realizzato con cura, utilizzando gli elementi d’arredo indispensabili allo scopo. Ricordatevi comunque che le spese che affronterete, serviranno a valorizzare l’insieme dell’intera casa! Altro parametro fondamentale da considerare è il clima. Quest’ultimo, per ogni regione della nostra penisola, influenza profondamente le caratteristiche dei luoghi. I principali fattori climatici da tenere in considerazione nella progettazione di un giardino sono: la temperatura diurna e notturna, la durata dell’inverno, l’intensità dell’esposizione solare in estate, la forza e la direzione dei venti, la piovosità. E’ importante sapere, non solo a quanto arriva la temperatura minima in inverno, ma anche se, è soggetta a brinate e gelate tardive. Da non sottovalutare il vento, che aumenta l’effetto del freddo e d’estate secca le piante facendone aumentare la traspirazione, pertanto, prima di fare dei cambiamenti in un giardino, bisogna considerare se la disposizione delle piante esistenti non Fig. 3 - Con una vasca, una lampada e poche piante, ecco realizzato sia già a protezione dai venti dominanti un piccolo giardino in miniatura e soprattutto, dalla spesa contenuta o meglio ancora crei ombra per i giorni di calura. La quantità delle precipitazioni e l’andamento stagionale influenzano notevolmente la struttura del giardino, per esempio, mai usare piante amanti dell’acqua in luoghi siccitosi, pur avendo un ottimo impianto d’irrigazione, queste non crescerebbero mai al meglio. Anche la neve deve essere tenuta in considerazione, se si è in posti ove nevica di frequente, va limitato l’uso di piante a foglia persistente. Prima della progettazione del giardino verificate le temperature estive, nei climi caldi sarà opportuno tenere in considerazione un luogo ombreggiato, utilizzando magari piante con delle grandi fronde. Fig. 4 - Le forti nevicate potrebbero mettere a dura prova la struttura delicata dei rami curati per anni nelle piante del giardino nipponico.

Gian Luigi Enny

2


3

Dal mondo del Bonsai & Suiseki

NON SOLO SUISEKI - Carlo Maria Galli

Non solo Suiseki

Articolo a cura di Carlo Maria Galli

Quando vado alla ricerca dei suiseki, parto sempre con l’idea di trovare poco e buono; mi sento stranamente calmo e tranquillo, so che vado nella casa della natura, e con calma, sereno tranquillo, seguo con semplicità i tempi della madre terra. Non sempre però, il ritorno a casa è segnato da un buon bottino, da pietre particolarmente interessanti. Il più delle volte mi capita che pulendole, perdono quel ‘qualcosa’ che avevo visto raccogliendole; ed è in tali circostanze che sorge la domanda: “cosa ne faccio delle pietre che non hanno i requisiti per divenire suiseki?”. Permettetemi di aprire una piccola parentesi. In un paio di occasioni mi è capitato di vedere alcuni suiseki (in esposizione) a cui erano state “rifatte” alcune parti. Da esperto ci rimasi male, perchè nella mia semplicità non avevo MAI pensato di molarne delle parti per migliorarle, specie il palombino che ha una patina particolare creata da anni e anni (patina ben diversa da quelle pietre di fiume a cui le correnti ‘lisciano la pelle’ di continuo). Quindi, una volta rovinate, è praticamente impossibile poter rimediare. L’Uomo non si da limiti. Ma a quale prezzo? Se solo seguisse il ritmo della natura... che rabbia! L’arte Suiseki insegna che la “lavorazione” di una pietra è sì fattibile, ma solo su determinate tipologie di pietre, come ad esempio i biseki; perché mai modificare le pietre di palombino per “esaltarne” i colori, le forme o i disegni? Se lo si fa non si è più suisekisti, ma scultori. Ecco arrivati al nocciolo del tema. Pietre d’arte create dall’uomo. Anche io ne creo (quando, come dettoprima, mi rendo conto che non ho un suiseki tra le mani), ma poi le regalo. Vediamo insieme alcune possibilità per poter riciclare queste atipiche creazioni.

Fig. 1 - Questa ‘scultura’ mi è riuscita bene perchè è bifacciale - lato a

Fig. 2 - lato b


Dal mondo del Bonsai & Suiseki

NON SOLO SUISEKI - Carlo Maria Galli

Fig. 3

Fig. 4

Fig. 5 - Paesaggio circostante con case e siepe presi a

Fig. 6 - Questo Gallo l’ho fatto per mia moglie e me; rappresenta lo stemma di famiglia.

Fig. 7 - Un altro aspetto di come sfruttare le pietre è per farne degli ishizuki (bonsai su roccia).

Fig. 8 - Ishizuki - fronte

Fig. 9 - Ishizuki - retro

4


5

Dal mondo del Bonsai & Suiseki

NON SOLO SUISEKI - Carlo Maria Galli

Fig. 10 - Questa pietra si presta per un bonsai importante. Fronte

Fig. 12 - Un aItro modo per usare queste pietre è quello di utlizzarle nei giardini

Fig. 11 - retro

Fig.13

Fig. 13 - Come fermacarte...

Fig. 14 - ...ciondoli

Fig. 15 - ...o pietre per dei girocollo


Dal mondo del Bonsai & Suiseki

NON SOLO SUISEKI - Carlo Maria Galli Concludo: ho imparato che quando si dice “bello” bisogna chiedersi “perché?” Solo allora si inizia a capire il vero senso del bello. Quindi, quando andiamo a cercare pietre ed addentrandoci nella natura veniamo estasiati dagli ambienti, dai paesaggi, da tutto ciò che ci circonda, chiediamoci “perché?” Solo in quel momento in noi si accenderà quella scintilla che ci farà comprendere che gli alberi, l’erba, i colori, la luce, il cielo... e le pietre, sono parte di quello che ci piace! Carlo Maria Galli

Fig. 16 - Questa è rimasta lì

Fig. 17 - Questa è rimasta lì

Fig. 18 - Questa è rimasta lì

Fig.19 - Questa è rimasta lì

6


7

Dal mondo del Bonsai & Suiseki

BCI ARTIST... AWARD 2009 - Antonio Ricchiari

BCI Artist, photographer, writer Award 2009 Articolo a cura di Antonio Ricchiari

Anche quest’anno si è tenuto presso il Giardino Botanico di New Orleans in City Park il Convegno della BCI svoltosi dal 19 al 21 giugno. Annuale appuntamento per una Convention di cui è superfluo sottolinearne l’importanza. Il Direttivo della BCI aveva scritto prima del Convegno che “la città è vivace, anche se vi sono ancora molti quartieri in rovina. Per continuare il nostro sforzo di ricostruzione, si invitano gli appassionati di bonsai e di suiseki di tutto il mondo a unirsi a noi per una celebrazione di tre giorni “I superstiti della tempesta”. I nomi erano tutti ai massimi livelli: Peter Chan (Gran Bretagna); Nacho Marin, (Venezuela); Sandro Segneri e Massimo Bandera (Italia); Glenis Lindsay e Bebb (Australia); Tedy Boy (Indonesia e Stati Uniti); Jim e Linda Brant (Pennsylvania, USA); Guy Guidry (Louisiana, USA); Ed. Trout (Florida, USA); William N. Valavanis (New York, USA); Willi Benz (Germania); IC Do (Taiwan); Richard Cranford Dora e Ross (Louisiana, USA). City Park si estende per 1500 ettari donati alla città più di 150 anni fa e comprende il New Orleans Museum of Art e il giardino di Sculture, il Gardens Amusement Park, Storyland, e il Giardino Botanico. Il Parco ospita la più grande collezione di querce al mondo. Il Giardino botanico aperto nel 1926 come il Rose Garden di New Orleans. Comprende il treno Giardino, il Giardino Giapponese, il Rose Garden, il Conservatorio delle Due Sorelle e il Padiglione delle Due Sorelle, che è stato il luogo del BCI 2009. In particolare, questo riconoscimento è assegnato al migliore articolo (migliore sotto il profilo tecnico, artistico, fotografico) pubblicato l’anno precedente sulla rivista della BCI. Possiamo definirlo un riconoscimento sulla professionalità del premiato anche a livello giornalistico e sappiamo quanto sia importante la “carta stampata” per il bonsai ed il suiseki. Siamo convinti che questo ulteriore riconoscimento premia a 360° l’estro di Sandro che segue la sua elezione a Presidente dell’IBS. Una curiosità: Sandro Segneri e Guy Guidry sono stati gli unici a lavorare conifere di grandi dimensioni. Auguri quindi al mio Presidente anche a nome del Comitato di Redazione del magazine. Antonio Ricchiari


Dal mondo del Bonsai & Suiseki

LO ZEN E L’ACQUARIO - Carlo Scafuri

Lo Zen e l’acquario

Articolo a cura di Carlo Scafuri

Lo Zen rappresenta nel pieno senso della parola una “religione filosofica” che permea di significato la vita degli orientali (ed in particolare dei giapponesi); una dimensione, questa, che andrebbe più correttamente osservata dall’interno, attraverso la sua pratica, per non incorrere nel paradosso di applicare categorie estranee a contesti culturali differenti dai propri. Per arrivare a comprendere come lo Zen abbia influito su una molteplicità di attività, come l’arte bonsai e quella dell’acquario, è forse necessario ripercorrere le varie tappe che possono spiegare quello che con l’avvento di Takashi Amano (Fig. 1) è divenuto un vero e proprio fenomeno. In origine lo Zen definiva genericamente una categoria di monaci buddisti dediti specialmente alle arti e alla meditazione col fine di raggiungere il Satori, ovvero l’illuminazione che porta ad un più elevato livello di coscienza. Il Satori, a differenza del Nirvana (il cui raggiungimento implica il distacco dell’interesse dalle questioni terrene) si propone come arte del fare, come partecipazione attiva e consapevole al mondo. Lo Zen si fonda su tre concetti chiave (tra l’altro di difficile traduzione): Yûgen, Sabi e Wabi. Yûgen rappresenta il mistero che si cela dietro le apparenze, Sabi è il fascino del mutamento e si trova in ciò che è passato e segnato dal tempo, Wabi è la solitudine, l’austerità, la calma. In breve tempo la visione zen divenne origine e fondamento delle arti e della cultura, nuovo cuore pulsante della poesia, della cerimonia del tè, dell’arte bonsai, dell’arte dell’ikebana, delle arti marziali, dell’arte del tiro con l’arco ecc. Fu allora che l’arte del giardino acquistò un rinnovato slancio diventando la massima espressione d’interazione creativa fra l’uomo e la natura. Il giardino zen prende forma prima di tutto nella mente: è un occasione di purificazione mentale e d’immersione nei misteri della natura e della vita; ogni elemento ha una sua ragion d’essere, e viene Fig. 1 - Takashi Amano - Foto tratta da internet opportunamente collocato allo scopo di raggiungere una completa armonia d’insieme. La tipicità di questi giardini è quella di ricreare l’atmosfera del paesaggio (a cui il giardiniere-artista s’ispira) in uno spazio minimo. In definitiva, il giardino zen è un microcosmo i cui elementi posseggono significato e vita propri, sebbene strutturati dalla mano dell’uomo che con raffinate tecniche ortocolturali ed infinita pazienza tenta di raggiungere la perfezione. Il giardino è dunque la metafora di un modello di perfezione e contemplazione stupendamente integrato nel circolo infinito di vitamorte. Nel 1972 Takashi amano fece la sua prima apparizione nel mondo dell’acquariologia con l’allestimento di un acquario che ricreava Fig. 2 - Foto tratta da internet un paesaggio naturale ricostruito seguendo i canoni classici del giardino Zen.

8


9

Dal mondo del Bonsai & Suiseki

LO ZEN E L’ACQUARIO - Carlo Scafuri

Fig. 3 - Foto tratta da internet

Da allora gli allestimenti di acquari con piante che erano tipicamente di stile olandese iniziarono ad evolversi e cambiare; nell’acquario olandese, le piante vengono disposte seguendo i classici canoni dei giardini e delle aiuole europee, ossia vengono collocate accostando piante diverse fra loro ma somiglianti nei colori o nelle forme delle foglie. In quello naturale, invece, gli accostamenti tra le piante servono per esaltare non sono la naturalezza dell’acquario stesso ma anche per accentuare la tridimensionalità del paesaggio ricreato (grazie ad un uso sapiente di colori ed ombre). Amano introdusse inoltre in vasca legni e rocce, dando maggior risalto allo spazio vuoto, che come lo stesso Zen insegna, non è inteso nel senso di vuoto, di nulla, ma bensì di “pieno di niente” (lo spazio ha un’importanza ancor più fondamentale quando si realizzano gli Iwagumi, i tipici layout con sole rocce e piante). Tali allestimenti rispecchiano in pieno il carattere zen: è proprio il vuoto la chiave per ottenere un risultato soddisfacente, ed è grazie ad esso che si ha l’impressione di trovarsi in uno spazio sconfinato. In definitiva si è passati da una concezione di acquario schematico ed ordinato, ad un vero e proprio ecosistema che mira non tanto a ricreare il paesaggio Fig. 4 - Foto tratta da internet (o una sua immagine mentale) a cui l’artista si ispira, bensì a suscitare nell’osservatore le stesse emozioni che hanno guidato il creatore dell’acquario stesso.

Fig. 5 - Foto tratta da internet

Fig. 6 - Foto tratta da internet

Fig. 7 - Foto tratta da internet

Fig. 8 - Foto tratta da internet

Fig. 9 - Foto tratta da internet

Fig. 10 - Foto tratta da internet


Mostre ed eventi NATIONALE BONSAI & SUISEKI SHOW - Enzo Ferrari

Nationale Bonsai e Suiseki Show ovvero

Esposizione Nazionale Svizzera 2009 Articolo a cura di Enzo Ferrari foto di Nicola Crivelli

Il 23 e 24 maggio di questo anno si è tenuta l’annuale esposizione di bonsai e suiseki che regolarmente si tiene in Svizzera. Da noi, l’esposizione nazionale si svolge alternativamente tra quella allestita ogni due anni al centro Zulauf di Schinznach-Dorf nel Canton Argovia e uno dei diversi club disseminati nei Cantoni della Confederazione Svizzera. L’edizione 2009 si è tenuta a Burgdorf, cittadina alle porte della Valle dell’Emmen, luogo pieno di colline e foreste, costellato di fattorie, famoso per il formaggio omonimo. Possiede un centro storico medievale esemplare con case patrizie in tardo barocco e un impressionante castello. La città è il punto di partenza ideale per gite nella Valle dell’Emmen o per visitare le città vicine di Berna, Soletta, Bienne e Thun. Nell’ambito delle due giornate espositive il caro amico Nicola (alias Kitora) è stato invitato come dimostratore ed ha fatto parte della giuria con Udo Fischer. Altro dimostratore d’eccezione è stato Georg Reinhard, Presidente dell’Associazione Svizzera Amici Fig. 1 - Il Castello di Burgdorf

Fig. 3 - Geoer Reinhard inizia il lavoro sul chinenis

Fig. 2 - Scorcio della cittadina

del Bonsai, che è il club centrale a cui fanno capo tutti i clubs dei vari Cantoni svizzeri che vi volessero aderire. Assieme all’amico Mario Pedrazzetti, anche lui come me allievo della Scuola d’Arte Bonsai, ho avuto il privilegio di assistere Nicola nella sua dimostrazione dove è stato lavorato un ginepro chinensis da giardino,che avrà sicuramente la possibilità per divenire un magnifico bonsai.

Fig. 4 - A lavoro terminato

10


11

Mostre ed eventi NATIONALE BONSAI & SUISEKI SHOW - Enzo Ferrari

Fig. 5 - Il ginepro di Nicola prima della lavorazione

Fig. 6 - Lo sguardo vigile di Nicola sui due assistenti Enzo e Mario

Fig. 8 - Nicola “Kitora” impegnatissimo

Fig. 7 - Lavorazione a sei mani

Fig. 9 - Da sinistra - Mario “Pedro”, Nicola “Kitora” e Enzo “Mugo Mugo”

Fig. 10 - Il lavoro ultimato di Kitora


Mostre ed eventi NATIONALE BONSAI & SUISEKI SHOW - Enzo Ferrari Altri ospiti d’eccezione presenti a quest’edizione sono stati Udo Fischer e Willi Benz, che ha portato una piccola parte della sua personale collezione di suiseki, tra l’altro pezzi meravigliosi.

Fig. 11 - La parte espositiva con le pietre di Willi Benz

Fig. 12 - Scorcio della mostra

Fig. 13 - Scorcio della mostra

Fig. 15 - Ishizuki di Nicola (fuori concorso)

Fig. 14 - Juniperus chinensis di Nicola ( fuori concorso)

Fig. 16 - Juniperus chinensis di Nicola (fuori concorso) già vincitore della Crespi Shohin Cup 2008

Nell’arco delle due giornate ho pure, con Mario, partecipato al nuovo talento svizzero, per la selezione del talento europeo 2010, con la lavorazione di piantine di taxus baccata. Con mio rammarico ho ottenuto il secondo posto, anche se a detta di molti la mia realizzazione sembrava la più meritevole, ma, dopotutto gli apprezzamenti di chi giudica sono soggettivi e quindi bisogna adattarsi ai verdetti.

Fig. 17 - La pianta lavorata da me. 2° classificato

Fig. 18 - 1° classificato

Fig. 19 - Udo Fischer non sembra convinto del verdetto

12


13

Mostre ed eventi NATIONALE BONSAI & SUISEKI SHOW - Enzo Ferrari Durante la cena di gala, tenutasi al sabato sera in un suggestivo ristorante ai bordi di un bosco, si è tenuta la premiazione delle varie categorie, perché, da noi, a differenza di altre manifestazioni, le piante sono divise in tre categorie, ossia, conifere yamadori autoctone e d’importazione, lo stesso vale per le latifoglie e per l’essenze reperite nei vivai locali. Quest’anno poi, per la prima volta, sono stati assegnati premi anche ai suiseki. Tornando alla premiazione, ad un tratto , per l’attribuzione del terzo premio nella categoria latifoglie d’importazione, con grande sorpresa, sono chiamato sul palco per essere premiato per il mio faggio crenata. Poi è la volta di Mario, con la sua bellissima cydonia, che viene premiata con il secondo posto nella categoria latifoglie d’importazione.

Fig. 21 - La cydonia di Mario premiata con il secondo posto nella categoria latifoglie d’importazione e menzione all’ultima edizione del Gingko Award

Fig. 20 - Il mio faggio crenata, premiato con il terzo posto nella categoria latifoglie d’importazione

Fig. 22 - Mario ritira l’attestato per il secondo posto latifoglie d’importazione

La manifestazione continua nel suo svolgimento e quasi senza rendermene conto, perché ero ancora sorpreso dal primo avvenimento che mi concerneva, venivo di nuovo chiamato sul palco. Il mio mugo aveva ottenuto il miglior riconoscimento con il primo premio per la conifera yamadori d’alta montagna autoctona. Ero evidentemente con il morale alle stelle! Il mio primo massimo riconoscimento per una mia pianta! E’ stato fantastico, soprattutto pensando che ho cominciato l’avventura con questo bonsai solo nel 2004.

Fig. 23 - Il mugo con la sua erba di compagnia, un juncus ensifolius, primo classificato come conifera yamadori autoctona

Fig. 24 - In dettaglio


Mostre ed eventi NATIONALE BONSAI & SUISEKI SHOW - Enzo Ferrari

Il gruppo ticinese, non aveva ancora finito di mietere allori, sì, perché giunti alle premiazioni per i suiseki, il nostro carissimo amico e compagno di viaggio Amedeo Ducoli, che solo all’ultimo minuto era riuscito ad aggregarsi all’allegra comitiva (tra l’altro facendoci da autista), ha sbalordito tutti vincendo il primo premio con la sua isola verde.

Fig. 25 - Il momento dell’ambito riconoscimento con la consegna dell’attestato da parte di Chris Mathis, organizzatore dell’edizione dell’esposizione nazionale 2009

Fig. 26 - L’isola verde di Amedeo, primo classificato

Fig. 27 - Amedeo, raggiante con l’attestato del primo premio (l’attestato è quello alla sua sinistra!)

Fig. 28 - Primo piano dell’Isola verde

In conclusione, si può giustamente dire che il gruppo ticinese all’esposizione nazionale svizzera, pur essendo in netta minoranza, abbia fatto la parte del leone! Enzo Ferrari

14


15

Mostre ed eventi 11a MOSTRA BONSAI & SUISEKI - D. Abbattista, D. Schifano

11a Mostra Bonsai & Suiseki Articolo a cura di Daniele Abbattista e Daniela Schifano

La vera spina dorsale del bonsaismo italiano non sono le solenni riunioni nazionali che si svolgono una volta l’anno. Il vero carburante che ha fatto dell’Italia forse la nazione più bonsaisticamente evoluta al di fuori dell’Impero del Sol Levante è la rete di Club che capillarmente presidia il territorio nazionale ed in modo spesso silenzioso ma tenacemente efficace forma le nuove leve con il più puro spirito divulgativo. Il Bonsai Club Castelli Romani ne è il classico esempio. Nato nel 1990 con lo scopo di divulgare la conoscenza del bonsai nei suoi aspetti tecnici, culturali e scientifici, nel corso di una ultra decennale attività ha visto una crescita esponenziale sia in termini di nuovi iscritti, che in miglioramento del livello tecnico e di organizzazione di eventi e corsi sempre più validi. Nel 1996 ad esempio il B.C.C.R. è stato uno dei promotori del “Coordinamento Lazio Bonsai e Suiseki”, ideato con lo scopo di organizzare le attività di tutti i Club del Lazio e la partecipazione dei vari Club Bonsai di Rieti, Cisterna, di Latina e di Roma. Il Coordinamento è divenuto nel tempo una costante fissa di interscambio che stimola il confronto e promuove le conoscenze. La più importante manifestazione del Coordinamento è la Mostra Regionale ed il B.C.C.R. ha avuto l’onore, nell’anno 2000, di organizzarne la quarta edizione. In collaborazione con l’Associazione Armonia di Frascati, il programma prevedeva accanto all’esposizione permanente di opere di calligrafia giapponese, di ceramiche Raku, di bonsai, di Ikebana e tre mostre fotografiche una serie di eventi dimostrativi pratici riguardanti la Cerimonia del Tè, le composizioni floreali Ikebana, gli Origami e le tecniche di realizzazione di ceramiche Raku. Ma l’entusiasmo da solo non basta e grazie al grande lavoro di pubbliche relazione del presidente Claudio Cofani e del comitato direttivo, il Club ha stabilito rapporti idilliaci con le istituzioni locali, tanto da organizzare la IX mostra Bonsai & Suiseki presso i cortili delle Scuderie Aldobrandini del Comune di Frascati.

Fig. 1 - Locandina della 10a Mostra Bonsai & Suiseki

Fig. 2


Mostre ed eventi 11a MOSTRA BONSAI & SUISEKI - D. Abbattista, D. Schifano Per la cronaca i premi per i bonsai sono andati a : - Premio miglior conifera , e Premio miglior tokonoma: Giovanni Vegliandi - Bonsai club di Cosenza (Fig. 3, 4); - Premio miglior latifoglia: Valentino De Vitis - BCCR (Fig. 5).

Fig. 4

Fig. 3

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7

Fig. 9

Fig. 10

Fig. 8

Fig. 11

E per i suiseki? Per i suiseki abbiamo la nostra inviata Daniela Schifano col suo puntualissimo reportage.

Il Club, e di questo lo ringrazio, ha messo a disposizione alcuni tokonoma per chi volesse esporre le proprie pietre: per me un’occasione davvero speciale, non solo per presentare i miei suiseki, ma soprattutto per intrattenere il pubblico e per divulgare i principi fondamentali di quest’arte. Per la mostra avevo selezionato una pietra lago ed una pietra oggetto entrambe di origine ligure, ed una pietra isola di origine giapponese, che avevo già presentato alla Mostra di Primavera all’Orto Botanico, ma che in questa occasione ho preferito esporre su suiban.

16


17

Mostre ed eventi 11a MOSTRA BONSAI & SUISEKI - D. Abbattista, D. Schifano Ogni pietra ha tante storie : la sua storia geologica, a noi sconosciuta, la storia che l’ha portata fino a noi, la storia che la lega a noi e che la rende speciale ai nostri occhi, la storia che non vedremo mai. Voglio utilizzare questo spazio per raccontare le loro storie, almeno quelle a me conosciute e soprattutto quelle parti a cui voi, proprio voi, popolo disponibile del Napoli Bonsai Club Forum, avete contribuito. Questa pietra lago è un palombino ligure nero e compatto ed il particolare che mi ha conquistato è il fiume che dolcemente scende nel piccolo lago e lì pare scomparire. L’esposizione di questa pietra è stata impreziosita dall’apporto di un vero ebanista, Sergio Biagi, che ne ha progettato e costruito il tavolo. E per la pianta di compagnia ho chiesto consiglio a voi, e dai vostri suggerimenti sono nate le mie incursioni alla ricerca dell’Asplenium tricomanes o del equisetum… ricordate?

Fig. 12

Anche questa piccola pietra oggetto ligure ha una storia che me la rende cara: è il frutto di uno scambio con un socio dell’AIAS (e certamente nel cambio io ne ho guadagnato!) e quindi mi ricorda un momento sereno, una persona generosa e disponibile ed abbondanti libagioni! Della pietra ammiro la grazie del suo movimento, e nello stesso tempo la fatica dell’incedere. Anche lo scroll ha una sua storia che me lo rende prezioso: messo in palio da Luciana Queirolo, l’ho vinto alla divertente Lotteria che anima le cene sociali dell’AIAS !

Fig. 13

Per quanto riguarda la storia più recente della pietra isola, da me affettuosamente chiamata ‘frittella’, forse qualcuno di voi già ne conosce un breve capitolo, perché è stata la protagonista di un lungo thread sul forum, in cui ci siamo divertiti a proporre lo stile del tavolo più adatto alla sua semplicità. Adesso questa parte del suo percorso si è conclusa nel microcosmo racchiuso di un tokonoma, e la ‘frittella’ è diventata ‘L’isola non trovata’ (“...ma bella più di tutte l’ isola non trovata…”), nome poetico che l’accompagnerà nelle prossime esposizioni. Ma la storia del tavolo continua, perché ancora non sono soddisfatta… Anche in questo caso evidenzio il vostro contributo: il suiban in gres è stato realizzato a mano e su misura da un membro del Forum, Tiberio Gracco, che ringrazio… anche per i limoni! Fig. 14


Mostre ed eventi 11a MOSTRA BONSAI & SUISEKI - D. Abbattista, D. Schifano

Fig. 15

Fig. 16

Le altre pietre esposte erano di Fabrizio Buccini: purtroppo non ne conosco la storia che le lega al suo proprietario. Ne posso però descrivere gli aspetti salienti. Questa pietra oggetto è un palombino ligure di non comune potenza espressiva e di dimensioni importanti. Mi rendo conto che in foto non è semplice giudicare, ma provate a guardare… non vedete forse un frate? La seconda pietra esposta da Fabrizio Buccini è una pietra montagna imponente: la sua superficie erosa dal tempo, il ghiacciaio sulle cima, i segni del disgelo sono le particolarità che me la fanno apprezzare. Non molti ma di grande qualità, quindi, i suiseki esposti, che io spero possano crescere nel numero anno dopo anno. Tornando alla pura cronaca di tre giorni pieni di momenti preziosi, per la sezione suiseki era prevista l’assegnazione del premio “Migliore suiseki esposto”, ma la giuria ha preferito premiarne due ex-aequo: la mia pietra lago e la pietra oggetto di Fabrizio Buccini. Daniele Abbattista Daniela Schifano

18


Sarà a Nole, Fraz. di Grange (TO) presso la Fujisato Company che si svolgerà l’ormai consueto

Congresso Nazionale degli Istruttori IBS, giunto alla XIV edizione e con una nuova formula. Il Congresso IBS apre le porte a tutti, professionisti e hobbisti del Bonsai e del Suiseki per assegnare i riconoscimenti previsti.

Vi invito a partecipare a questo evento i cui contenuti si basano su aspetti didattici di particolare interesse. Saranno previste conferenze, demo, la borsa di studio IBS oltre all’assegnazione di numerosissimi premi di prestigio. L’esposizione prevederà settanta spazi espositivi, uno di questi potrà essere il tuo! Il mio invito è rivolto a tutti per rendere questo evento una festa del Bonsai, del Suiseki e della didattica.

Sandro Segneri Presidente IBS



19

In libreria

SENTIERI BONSAI - Antonio Ricchiari BONSAI. CORSO BASE - Carlo Scafuri Titolo: Sentieri bonsai Autore: Sandro Segneri Editore: AIEP Editore Pagine: 167 ISBN: 9788888040202 Prezzo: € 36,15

Opera prima di un bonsaista che negli ultimi anni si è nettamente distinto per la sua qualità di “artista” del bonsai. Vi sono ottimi coltivatori di bonsai, ottimi bonsaisti, ottimi artisti. Sandro appartiene a quest’ultima categoria, certamente non numerosa però, senza voler togliere niente ad alcuno, necessariamente non numerosa ripeto perché l’estro, l’originalità e quel pizzico di follia creativa è riservato a pochi. Sandro non fa clamore attorno a sé, riservato fino ad essere schivo ha lavorato e lavora quasi in sordina producendo esemplari che il lettore ha l’opportunità di ammirare su questo suo libro che raccoglie quelli che chiamo “progetti”, schizzi, disegni comunque che io ho sempre privilegiato per la loro chiarezza esplicativa e didattica. Il volume di grande formato dà respiro a foto e disegni e ne permette di cogliere ogni particolare. La dinamicità delle sue opere bonsai dimostrano ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, quell’immaginazione e quella creatività dote intrinseca di ogni artista. Come si legge nella introduzione questo libro non rientra nella categoria dei manuali (a quello, con buona pace, ci penso io!) bensì è la testimonianza di un percorso e della sua evoluzione che nel giro di pochi anni ha portato alla ribalta internazionale Segneri. Un libro tutto da guardare e riguardare per coglierne attraverso foto e disegni stimoli e particolari, un libro che sicuramente non può essere una omissione nella libreria di ogni cultore del bonsai. Antonio Ricchiari

Titolo: Bonsai - Corso base Autore: Antonio Ricchiari Editore: Barbieri Selvaggi editori srl Pagine: ISBN: 9788861871250 Prezzo: € 10,00

La didattica del bonsai e quasi tutte le branche ad esso inerenti sono in continua evoluzione. Se puntualmente abbiamo una novità editoriale di Antonio Ricchiari, di cui ometto la sua meritoria e prolifica attività nel campo appunto dell’informazione e della diffusione del bonsai, è proprio perché questo Istruttore ne va continuamente aggiornando, attraverso le sue pubblicazioni, il settore tecnico-estetico. Questo suo lavoro, il diciottesimo da quando nel lontano 1985 pubblicò “Il Grande Manuale del Bonsai”, si inquadra in una rinnovata metodologia didattica che l’Autore sta seguendo con professionalità e forte impegno. E lo si nota immediatamente, scorrendo le pagine del libro. Il metodo step-by-step offre sequenze di particolari molto interessanti e preziose dal punto di vista tecnico. Credo che un po’ tutto il mondo bonsaistico gli debba qualcosa, se non altro perché i suoi lavori ed i suoi articoli, nell’arco di questi venticinque anni di attività pubblicistica, hanno segnato l’avvicinarsi ed il seguire questo nostro piccolo mondo del bonsai e del suiseki da parte di tanti, veramente tanti appassionati. Carlo Scafuri


Bonsai ‘cult’

LO STILE. DETTAGLI DI BELLEZZA - Antonio Ricchiari

Lo stile. Dettagli di bellezza Testo di Antonio Ricchiari

Nell’inter­pretazione occidentale il termine “stile” implica il concetto di conformità a una tendenza specifica. Le caratteristiche stilistiche sono determinate dall’assieme dei tratti formali che caratterizzano un gruppo di opere, costituito su basi tipologiche o storiche. Criteri che non hanno alcun riferimento a quello che i giapponesi inten­dono con la parola “stile”. Un altro equivoco è quello di associare l’aggettivo “giapponese” ai concetti di linearità, puri­smo e minimalismo. E’ pur vero che l’arte giapponese non conosce lo sfar­zo, è semplice, ma sempre in termini occidentali perché ciò che noi definiamo “semplice” per la sensibilità giapponese potreb­be essere prezioso e sofisticato. Inoltre il termine minimalismo dovrebbe essere sostituito con “chiarezza”. L’architettura e i manu­fatti artistici giapponesi hanno sempre contorni ben definiti e sono funzionali, ma proprio l’irregolarità e la casualità sono due delle caratteristiche più evidenti dell’arte di questo paese. Vor­rei riassumere la peculiarità dell’estetica giapponese in due punti: l’uso oculato dello spazio e l’asimmetria. Un punto fon­damentale dell’estetica nipponica è l’asimmetria. La sim­ metria ha in sé qualcosa di statico, mentre l’asimmetria comu­nica un senso di dinamismo e mobilità. Il buddhismo zen ha profondamente influenzato l’estetica della dinamica in Giappone. Il nucleo del pensiero Zen è il concetto di “vuoto”, di immate­riale. Secondo questa filosofia le cose non hanno materia, tutto fluisce. Le cose sono soltanto l’insieme dei diversi elementi che, dopo un certo tempo, si disgiungono per creare nuovi insiemi. Le conseguenze del pensiero Zen nell’ambito della creatività sono il vuoto nell’area centrale e l’asimmetria, che suggerisce l’i­dea di movimento nella partizione dello spazio di stanze, giar­dini, composizioni di fiori e disposizione delle vivande. Perfino i numeri pari destano diffidenza e si cerca di evitarli. L’ordine, secondo il gran­de poeta e filosofo francese Paul Valéry (1871-1945), è una grande e innaturale impresa. Questo concetto base di un pensatore europeo risulta evidente dalla disposizione giapponese dello spazio: negli edifici urbani, nei giardini, in architettura e nelle diverse espressioni artistiche come pittura, calligrafia e ceramica. L’artista nipponico si pone in rapporto diretto con gli elementi cosmici. Il mondo non è altro che il mondo delle apparenze. Se il soggetto non ha in sé un punto di riferimento centrale, autonomo, nell’ambito della percezione estetica, è intuitivo e non produrrà mai forme pianificate, calcolate. I manufatti artistici occidentali particolarmente preziosi si distinguono generalmente anche per il valore del materiale: negli oggetti, per esempio, si tratta di argento, oro, legni pregiati, porcel­lana e pietre preziose, nelle arti figurative di colori a olio o bronzo, mentre in architettura di materiali nobili come il marmo o l’intonaco decorato. Nell’arte shintoista giapponese il valore del materiale risiede invece nell’essenza non alterata, ma conservata nel suo stato naturale. Sono considerati pregiati la pietra ruvida, la nervatura del legno con tutte le sue tracce di vita, la paglia e il bambù, la lacca opaca. Mentre in Occidente ci si impegna nel restauro delle opere d’arte antiche, in Giappone è molto apprezzato il concetto di beauty born by use. Si attribuisce un grande valore proprio alle tracce visibili lasciate dall’uso, che creano motivi propri, inconfondibili e uno “stile” proprio, mentre l’età di un’opera non conta nulla. La domanda “è d’epoca?”, cioè originale di un determinato periodo, tanto spesso ricorrente in Occidente quando si calcola il valore di un oggetto d’arte, in Giappone è del tutto irrilevante. Poiché l’arte giapponese vanta una tradizione di duemila anni, decisiva è la qualità, la sublimazione di una

Le foto sono state tratte dal volume LO STILE GIAPPONESE di S. Slesin, S. Cliff & D. Rozensztrhoch – Ed. Arnoldo Mondadori Editore

20


21

Bonsai ‘cult’

LO STILE. DETTAGLI DI BELLEZZA - Antonio Ricchiari determinata forma e di una determinata estetica. Le arti giapponesi hanno lo stesso scopo della meditazione praticata nel buddhismo zen, che richiede di assumere una determinata posizione del corpo. Imparare a sedersi in questa posizione educa anche lo spirito, perché esso deve seguire il corpo. La meta che si vuole raggiungere è l’unità di corpo e spirito, di soggetto e oggetto. Da questa ricerca di armonia deriva anche la profonda dedizione alle stagioni dell’anno, ai fiori di ciliegio, ai mutamenti di colore delle foglie, e la radicale temporalità delle feste che celebrano invariabilmente l’impermanenza. Lo spirito Zen è racchiuso anche negli oggetti esili, silenziosi che arredano stanze serene, per riconquistare la calma dopo una giornata passata fuori. L’arredamento post-moderno rivaluta e valorizza lo stile Zen, reinterpretando il passato con un nuovo rigore formale. Il mobile in rovere bianco con un gioco di venature contrapposte; le sedie dalla linea purissima; la grande ciotola in acero scozzese lavorata a mano; una pietra-simbolo usata come fermacarte; un sacchetto a busta in carta stropicciata lavorata a mano, trattenuta da uno spago per contenere pochi versi o poche parole. Nessuna concessione al superfluo. Tutta la semplicità e la raffinatezza racchiusi in questi oggetti. E non è un fatto di mode passeggere. Antonio Ricchiari

Fig. 1 - Con il trucco cerimoniale e gli abiti tradizionali, una geisha posa

Fig. 3 - Nel soggiorno alcuni tronchi ricavati da un albero kiaki, un legno duro, sono stati lavorati in modo da formare un tavolino basso

Fig. 2 - piccoli e preziosi pezzi di antiquariato della famiglia e gli oggetti usati per la cerimonia del tè sono tenuti in questo cassettone di legno duro, di quasi 200 anni addietro

Fig. 4 - Alcune opere di maestri vasai


Bonsai ‘cult’

LA RACCOLTA IN NATURA - Giovanni Genotti

La raccolta in natura Testo di Giovanni Genotti

Il bonsaista, quando si addentra nei boschi o osserva alberi solitari in particolari ambienti, partecipa alla vita dell’albero, analizza e riconosce le cause che hanno determinato il suo aspetto. Cause dovute al susseguirsi delle stagioni, al clima, alla posizione, al tipo di terreno, ad improvvisi traumi verificatisi casualmente nel tempo: assume l’aspetto del bonsai, dove l’equilibrio vitale è anche legato ad una sua bellezza umile e personale. L’albero diventa centro indiscusso del pensiero del bonsaista. Scatta automaticamente il desiderio di poterlo osservare in ogni istante, di poterlo collocare in un contenitore che come una cornice lo esalti meglio che nell’ambiente d’origine. Diventa perciò quasi indispensabile raccoglierlo e, pensando di indirizzare o tagliare alcune sue fronde secondo il modo di pensare del bonsaista, (fronde utili nell’aspetto artistico ma inutili alla vita dell’ambiente), si cerca di creare un esemplare artisticamente migliore. E’ quella raccolta in natura a cui difficilmente si sottrae ogni bonsaista. Prima però di raccogliere osserva attentamente le piante, le dimensioni, la salute, il tipo di terreno in cui cresce, la possibilità d’estirpazione e di attecchimento. Pensa poi, contemporaneamente, agli interventi da fare senza stravolgere ciò che la natura ha prodotto. Penso che tutti i bonsaisti amatori abbiano raccolto in natura alcune piante che spesso nel loro luogo d’origine erano destinate a soccombere. Questo comportamento, nella raccolta in natura di qualche esemplare è accettabile, è testimone di un vero colloquio con la stessa. Succede invece, che per motivi puramente venali, alcuni asportano dall’ambiente alberi, in modo particolare conifere e querce, con l’unico scopo del guadagno. Non c’è la minima preoccupazione della vita futura dell’albero. Lo stesso viene poi venduto a prezzi anche molto alti senza la certezza del suo avvenuto attecchimento. L’apparente vita della pianta, nell’anno successivo alla raccolta, è spesso dovuto alla linfa residua nel tronco. Un albero raccolto richiede almeno due o anche tre anni di vaso per essere considerato franco, poiché il flusso linfatico è lento anche se la parte aerea appare “vegetativamente” attiva. Lo è tale per le modalità dei trattamenti fatti nell’attecchimento, posto in serra dopo la raccolta.

Fig. 1 - Ecco un esempio di uno yamadori raccolto malissimo. Questo tasso è stato preso segando di netto il nebari e venduto in una grossa cassetta con agriperlite e terriccio come perfettamente attecchito.

Fig. 2 - Nella parte superiore della foto si può osservare il taglio netto del nebari.

22


Bonsai ‘cult’

23 LA RACCOLTA IN NATURA - Giovanni Genotti Stimolanti, concimi fogliari e umidità appropriata fanno apparire l’albero in salute ma ritardano solamente il raggiungimento dell’equilibrio tra la parte aerea a quella radicale. I particolari trattamenti, per l’attecchimento, riducono drasticamente l’attività radicale, indispensabile per una vita autonoma. Spesso, poi, il contenitore in cui viene posto l’albero dopo la sua raccolta è di notevoli dimensioni e la futura posizione in vaso diventa impossibile. Alcuni raccoglitori, sfruttando anche le conoscenze coi responsabili dell’ambiente, depredano alcune zone senza il minimo rispetto. Tali individui non sono certo dei bonsaisti; provocano un impoverimento paesaggistico perché estirpano anche alberelli che in futuro potrebbero essere ecologicamente utili. Infatti vengono raccolti tutti quegli alberi che offrono anche le minime possibilità con opportune potature di ottenere l’oggetto di ”minialbero”. Ho constatato come tutti i ginepri e non solo, raccolti in natura e splendidi, apparentemente attecchiti, in vaso dopo quattro anni con le ferrature e i pochi interventi, siano morti. Ho notato anche come quelle conifere in cui la chioma è quasi totalmente rifatta e rimodellata, perdono quell’equilibrio tra tronco e fronde, assumendo un aspetto giovane e contrario alla natura del bonsai, ovvero a piante vissute dal cui aspetto traspare una ricca esperienza di vita. Di moltissime di quelle piante, raccolte e usate come materiale da lavoro o per dimostrazioni d’impostazione, non si riscontrano per la presenza negli anni futuri. La raccolta di alcune piante (e sono sempre poche e distanziate negli anni) fatte da un bonsaista per se stesso, può essere accettata, mentre giudico irrispettosa dell’ambiente la raccolta indiscriminata, spesso eseguita malamente e a scopo di lucro. Sempre più spesso vengono raccolte piante non sempre vecchie e parzialmente bonsaizzate dalla natura, e commerciate a prezzi notevoli anche non affrancate o addirittura prive di un sufficiente apparato radicale. Totalmente immorale! Il rispetto dell’ambiente per questi raccoglitori-commercianti non esiste; sono lontani anni luce dal bonsai. Sono persone che uccidono il 90% delle piante raccolte. Provocano squilibri e forti disastri sulla superficie del terreno, asportando pietre e non livellando i buchi fatti per eseguire queste operazioni. Ho avuto notizie di un noto maestro giapponese (il M° Ando che insegna alla scuola “Scuola d’arte Bonsai”) che non accetta, per i suoi lavori o per quelli fatti sotto la sua guida, alberi raccolti in natura e già miniaturizzati (anche solo parzialmente). Penso che tale maestro sia anche un vero amatore, perché solo educando lentamente una pianta nel tempo la si rispetta, la si ama, e si imparano le metodiche utili per i trattamenti tecnico-artistici nella educazione di un bonsai. Giovanni Genotti

Fig. 3 - Al contrario delle precedenti, questa foto mostra uno yamadori perfettamente attecchito ed in piena salute

Fig. 4 - Ecco un altro esempio di yamadori di olivastro raccolto correttamente. Le nuove cacciate, sia sulla parte aerea che alla base di questo esemplare stanno ad indicare l’affrancamente dello stesso.


La mia esperienza

THE MAGIC TREE - Armando Dal Col

La mia esperienza

The magic tree

L’albero verde impossibile di Armando Dal Col

Dal Medioevo all’800, sotto l’influsso della pittura, della filosofia, della letteratura e della musica, l’arte di creare ha rispecchiato in modo suggestivo una realtà estetica e filosofica in perenne mutamento. Tutte le arti nel corso dei secoli hanno subito profonde innovazioni grazie alla creatività di taluni artisti. Eppure in ogni epoca il linguaggio legato alle arti si è ripetuto all’infinito, imitandosi a vicenda in un circolo vizioso, anche se la mano di ogni artista era ed è riconoscibile. Imporsi con qualcosa di nuovo che lasci una traccia è sempre stato difficile, e che dire della musica, le note musicali nel pentagramma sono sempre sette. Ed anche queste sono state mescolate e rimescolate all’infinito imitandosi a vicenda, sì da far pensare che non ci sia più nessuna possibilità di dire qualcosa di nuovo. Creare qualcosa di veramente innovativo e valido, come dicevo, non è facile; e con tutta probabilità quando questo si verifica il più delle volte è casuale, oppure nasce dalla sofferenza, o da uno stato d’animo intriso di malinconia. Quello che vi presento come l’albero verde impossibile chiamato “MAGIC TREE”, nasce dal dispiacere di aver assistito impotente alla morte di un piccolo Larice cui ero molto affezionato,passato a miglior vita a causa di “un colpo di secco” troppo prolungato per agevolare la formazione di una grande quantità di gemme da fiore con la successiva formazione delle pigne. E che dire del titolo in anteprima che precede il nome di “MAGIC TREE”: l’albero verde impossibile? Si, perché questo tipo di albero in natura non esiste, l’ho inventato io. Vediamolo insieme attraverso le immagini come sono riuscito a pensarlo e a realizzarlo, grazie anche al prezioso aiuto di mia moglie Haina. Armando Dal Col

Fig. 1 - Il Larice sarà trasformato in un albero “magico” impossibile ad esserci, poiché in natura non esiste, l’ho inventato io! Spiegai a mia moglie Haina l’idea di creare un albero verde con il piccolo larice morto facendo crescere l’erbetta sopra la ramificazione delle branche. Per poter trattenere il terriccio fangoso con i semi mescolati dell’erbetta, era necessario sostenerlo con un materiale resistente, leggero e traspirante. Ed è per questo che pensai di utilizzare delle compresse di garza da medicazione, affidando ad Haina il compito di fissarle sotto ad ogni branca dell’albero.

24


esperienza 25 LaTHEmiaMAGIC TREE - Armando Dal Col

Fig. 3 - L’intelaiatura del Larice con le compresse di garza è stata completata. L’immagine è suggestiva anche in questa fase di sviluppo, poiché l’albero sembra innevato.

Fig. 2 - Haina si rivolge a me dicendomi se il lavoro affidatogli è come lo desideravo. Tutto Ok. La prima fase di preparazione era stata abilmente portata a termine; la fase successiva consisteva nel mettere una sufficiente quantità del composto preparato in precedenza sopra i piccoli palchi sorretti dalle compresse di garza, dopodiché era necessario mettere la pianta dentro un sacco di plastica chiuso, ma ben arieggiato all’interno. Nebulizzai frequentemente l’albero per facilitare la crescita dell’erbetta che apparve dopo una decina di giorni.

Fig. 4 - Uno dei miei Larici carico di pignette ottenute con la tecnica del “colpo di secco” alto solamente 25 centimetri.

Fig. 6 - L’albero Verde impossibile: “The Magic Tree”. Per ottenere dei palchi verdi compatti è necessario tagliare l’erbetta almeno una volta alla settimana, nebulizzando l’albero con una certa frequenza per mantenere l’erba costantemente umida. Fig. 5 - L’albero magico costituito dalla nascita dell’erbetta sopra le branche del larice esprime una profonda emozione. Le radici dell’erba sembrano dei delicati tentacoli di alcune specie marine che si muovono delicatamente nell’acqua.

Fig. 7 - L’albero magico in esposizione. Questa esposizione mista è stata esposta in anteprima alla Mostra-Congresso di ARCOBONSAI nel 2001.


La mia esperienza

THE MAGIC TREE - Armando Dal Col

Fig. 8 - Esposizione nel mio Tokonoma del “Magic tree”.

Fig. 9 - L’albero cambia l’abito. Invece di usare l’erbetta ho preferito “vestire” i rami di questo larice con il trifoglio nano. L’effetto è altrettanto affascinante e ben proporzionato con la struttura dell’albero.

Fig. 10 - Un vaso cinese decorativo ospita e fa da supporto all’albero magico.

26


mia esperienza 27 LaIL BATTESIMO SUL CAMPO - Dirk Dabringhausen

La mia esperienza

Il battesimo sul campo di Dirk Dabringhausen traduzione a cura di Carlo Scafuri

Il ginepro sabina presentato in questo articolo è stato realizzato in tre ore durante una dimostrazione alla Mostra Nazionale Tedesca. Protagonista di questa demo è Dirk Dabringhausen, giovane promessa tedesca che ha intrapreso la sua Bonsai-do appena quattro anni fa. Dirk ha partecipato al Nuovo Talento Europeo organizzato dalla European Bonsai Association (EBA) a marzo di quest’anno, piazzandosi al terzo posto. Quella che vi mostreremo è la sua prima dimostrazione pubblica. Il materiale usato è un ginepro sabina yamadori proveniente dalle Alpi. Raccolto tre anni fa, da allora è stato coltivato e concimato al meglio, finché, la scorsa estate la vegetazione si presentava vigorosa ed in perfetto stato tanto da poter lavorare la pianta. La prima fase della lavorazione ha riguardato il tronco; analizzato a fondo, sono stati messi in evidenza pregi e difetti (Fig. 1). Per meglio fissare questi concetti, i risultati di questa prima fase sono stati fissati in un progetto su carta (Fig. 2). Questa prima fase d’analisi è stata fondamentale per definire il giusto fronte del futuro bonsai. Per l’impostazione si è deciso per uno stile Moyogi (eretto informale). Fig. 1 - Ginepro sabina

I pro del fronte scelto sono: - Le vene vive che partono dal tachiagari con un bello shari naturale nel mezzo; - vene vive a spirale; - elegante movimento del tronco; - zona molto movimentata nella parte superiore dell’albero; I difetti del tronco: - metà superiore del tronco noiosa; - una leggera controconicità nella parte superiore del tronco. Dopo aver analizzato i pro ed i contro del tronco, bisogna trovare la migliore soluzione stilistica che permetta di esaltare i pregi e nascondere i difetti. Per enfatizzare il movimento a spirale delle vene e per risolvere il problema della controconicità superiore del tronco, si è deciso per uno shari. Quindi la parte noiosa e doppia viene separata in due vene vive. Il naturale movimento a spirale del tronco è stato così ben messo in bella mostra, facendolo risaltare ancora di più. Poiché è la prima volta che questo ginepro subisce una lavorazione, e per essere sicuri di non creargli ulteriori traumi, lo shari è stato fatto sottile e non per tutta la lunghezza del tronco. In futuro verrà esteso e portato fino alla base (Fig. 4). La pesantezza del tratto superiore verrà mitigata grazie ad un altro shari. In questo modo si riuscirà a dare maggior carattere all’albero ed il bianco dello shari sottolineerà meglio il movimento del bonsai. Finita questa prima fase, si passa alla prossima. La selezione dei rami. Fig. 2 - Schizzo che ben mette in evidenza il movimento del tronco


La mia esperienza IL BATTESIMO SUL CAMPO - Dirk Dabringhausen

Fig. 3 - Dirk durante la spiegazione al pubblico delle operazioni che andrà ad eseguire.

Ma a questo punto sorgono i primi interrogativi di rito: quali rami bisognerà tenere? Dove posizionare i palchi in modo da nascondere i difetti e dove per accentuare la dinamicità dell’albero? Vedremo... Intanto, oltre ai dubbi, ho anche dei punti fermi sui quali basare il lavoro futuro. La direzione dell’albero è verso sinistra ed è la lunga corsa verso questo lato della curva principale del tronco che gli conferisce questa direzione. Come si vede dalla foto, anche il jin superiore e quello più grosso al centro fanno risaltare questo movimento (Fig. 5). Quindi, saranno queste le parti dell’albero che dovranno essere mostrate e non coperte dai palchi di vegetazione. L’ultima certezza che ho è che c’è anche bisogno di compattare maggiormente la vegetazione ed avere dei palchi piccoli e ben definiti. Fatte queste considerazioni, le lavorazioni hanno riguardato la selezione e potatura della vegetazione inutile. Durante questo lavoro sono stati lasciati dei monconcini di pochi centimentri che verranno successivamente trasformati in piccoli jin (Fig. 5). Il ramo principale è molto più grosso degli altri e molto più difficile da muovere. Per essere sicuro di farlo senza causare danni, bisogna rafiarlo per bene e poi coprire con nastro gommato. Questi accorgimenti proteggeranno il ramo evitando eventuali rotture dovute dalle pieghe. Per poFig. 4 - Particolari dello shari della zona superiore del tronco terlo abbassare e portare nella posizione adeguata ad un ramo principale, è stato ferrato fino al punto in cui si divide in due. Dopo questo lavoro tutti i rami vengono messi a filo. Questa operazione richiede un po’ di tempo, ma è importante posizionare il filo nel modo corretto (Fig. 6). Una volta messo nel modo giusto, possono essere posizionati i rami nella posizione voluta facendo attenzione a non spezzare i rametti (Fig. 7). E’ fondamentale posizionare la vegetazione nel modo giusto affinché tutte le parti ricevano luce ed aria. Quando la vegetazione viene posizionata in malo modo e non riceve sufficiente luce, pian piano verrà scartata dalla

28


mia esperienza 29 LaIL BATTESIMO SUL CAMPO - Dirk Dabringhausen

Fig. 6

Fig. 5

pianta e morirà. Tre ore sono passate e la prima impostazione di questo ginepro è finalmente finita (Fig. 8). La ramificazione è stata accorpata un po’ troppo, ma è stato necessario per dare una maggiore sensazione di bonsai finito. In futuro, quando la vegetazione arretrerà, la ramificazione verrà risistemata utilizzando quest’ultima vegetazione. Anche il nuovo shari verrà ingrandito ed esteso fino alla base del tronco. I jin verranno rilavorati e rifiniti con più attenzione. C’è ancora molto lavoro da fare in futuro, ma ora la strada è presa ed il ginepro ha iniziato il suo percorso come Bonsai. Dopo questa dimostrazione il bonsai è stato posizionato all’ombra e nebulizzato molto spesso. Questi accorgimenti servono a farlo riprendere dallo stress indottogli dalla messa a filo e dal posizionamento dei rami. La prossima primavera, il ginepro potrà essere rinvasato per la prima volta in un vaso bonsai. Dirk Dabringhausen

Fig. 7

Fig. 8


La mia esperienza UN BIANCOSPINO DEDICATO A MIO PADRE - G. La Susa

La mia esperienza

Il biancospino dedicato a mio padre di Giuseppe La Susa

Il primo aprile del 2008 ero intento a elaborare questa foto (Fig. 1) per pubblicarla sul web e così condividere con gli amici la gioia per la splendida fioritura di questo biancospino. Durante le operazioni necessarie giunse la triste notizia della dipartita del mio amato padre. Uomo retto e di sani principi morali, da lui ho ereditato l’amore per la famiglia, il rispetto per il prossimo e per la natura. Uomo a volte giustamente severo ma sempre pronto a soccorrermi qualora ne avessi avuto bisogno, non molto incline a manifestare i suoi sentimenti e il suo affetto, segno per lui di debolezza, ma capace di gesti d’amore commoventi. Di lui mi piace ricordare, fra i tanti, un aneddoto in particolare. Quando lo aiutavo nella raccolta delle olive e mi vedeva compiere acrobazie per riuscire a far cadere dall’albero fino all’ultima oliva, mi diceva sempre “Lassala qualcuna pì l’aceddi, altrimenti a ccà nun ci Fig. 1 - L’autore accanto al suo biancospino vennu cchiù a cantari“ (“Lascia qualche oliva per gli uccelli altrimenti non verranno più ad allietarci con il loro canto”). Questi in sintesi era mio padre. Da quel giorno, per me, questo biancospino ha assunto un valore simbolico particolare, seppur legato com’è a un triste ricordo, ogni volta che lo osservo nelle sue fasi evolutive, mi trasmette un senso di pace e di serenità. Circa tredici - quattordici anni addietro, dopo i primi inevitabili insuccessi nella raccolta in natura, gironzolando ai margini dell’oliveto di famiglia (che si trova a circa 600 metri sul livello del mare) mi sono imbattuto in questo biancospino. Dei tanti era l’unico che ai primi controlli presentava un apparato radicale superficiale e non il solito fittone che scende profondo nel terreno rendendo difficile la raccolta di questa essenza, con tutte le gemme gonfie segno che si stava risvegliando. Munitomi di una zappa, di un saracco e di una forbice da potatura, lavorando molto più a mani nude che con la zappa, operai la zollatura e individuato il fittone lo tagliai. Il saracco risultò rovinato quasi irrimediabilmente, ma la soddisfazione di averlo cavato con un discreto pane di terra mi appagava della fatica fatta. Avvolto il pane radicale in un sacchetto di plastica e legato ben stretto con dello spago, lo portai a casa. Senza tagliare nulla della ramificazione lo invasai in un grosso vaso con un terriccio composto dal 50 % di ghiaietto da costruzione setacciato, 30 % di terra da giardino e il 20 % di compost di foglie. Dopo circa una settimana, favorito dalla temperatura più alta di casa mia, aprì tutte le gemme da legno vegetando come un matto. Per tre anni lo lasciai stare tranquillo annaffiandolo e concimando ogni primavera con stallatico pellettato arricchito con ferro, finchè. finalmente sicuro dell’attecchimento, lo rinvasai in un vaso molto più piccolo. Osservando la sua naturale sinuosità non ebbi nessun dubbio sulla scelta dello stile da imporgli... bunjin! Operata la prima capitozzatura e sostituzione dell’apice, ecco come si presentava (Fig. 2). Fig. 2 - Ecco come si presentava il biancospino dopo una primissima impostazione

30


31

La mia esperienza UN BIANCOSPINO DEDICATO A MIO PADRE - G. La Susa Per la successiva lavorazione, mi avvalsi dei consigli che il Prof. Giovanni Genotti mi diede durante le visite al nostro club. Seguendo, non proprio alla lettera, i consigli ricevuti, e facendo un po’ di testa mia, selezionai ed impostai i rami primari e lavorai all’infoltimento dei palchi. Vista la facilità con la quale il filo segnava i rami lasciando dei bruttissimi segni, optai per l’uso di tiranti e per il metodo del “taglia e lascia crescere”. Nel 2003 spostai la pianta nell’attuale vaso bonsai pur non essendo idoneo per questo tipo di essenza. Essendo l’unico che riuscii a reperire come forma e dimensioni, feci buon viso a cattivo gioco e lo utilizzai. Dopo un paio d’anni di coltivazione, finalmente nel 2005 il biancospino mi regalò la prima, se pur esigua, ma promettente fioritura. Purtroppo non ci sono altre foto che testimonino le successiva fasi di lavorazione. A quel tempo, mai avrei pensato che una documentazione fotografica mi sarebbe stata utile per ricordare meglio le varie fasi evolutive. Il 2007 fu l’anno della prima fioritura (Fig. 3), copiosa ed omogenea, ma anche l’anno in cui rimodellai l’apice abbassandolo e riportandolo verso il tronco (Fig. 4).

Fig. 3 - Particolare della prima fioritura

Fig. 4 - L’apice è stato abbassato e riportato verso il tronco.

La precedente soluzione non mi entusiasmò molto, infatti, dopo aver partecipato ad una mostra nel 2008, riportai l’apice nella sua posizione originale (Fig. 5). Siamo praticamente arrivati ad oggi, la pianta da quando fiorisce e fruttifica ha infoltito la chioma molto più velocemente. Il motivo è da ricercasi nel fatto che i frutti lasciano dei rami molto corti e rifiorenti, fondamentale però è tenere sotto controllo il vigore dei succhioni con regolari cimature a una-due gemme. Ed ecco il mio biancospino nella sua veste attuale:

Fig. 5 - Ecco come si presentava nel 2008

Fig. 6 - Fronte

Fig. 7 - Retro

Nella prossima primavera lo rinvaserò in un vaso che mi sono fatto realizzare appositamente da un artigiano del posto, su mio disegno e scelta dei colori, aggiustando un pochino l’inclinazione e il fronte. Nel seguente virtual potete vedere come lo immagino nella sua sistemazione definitiva.


La mia esperienza UN BIANCOSPINO DEDICATO A MIO PADRE - G. La Susa

Fig. 8 - Virtual di come sarĂ una volta rinvasato

32


esperienza 33 LaLAmia NOSTRA DEMO... - F. Springolo, M. Tarozzo

La mia esperienza

La nostra demo ad Arco di Trento di Federico Springolo e Marco Tarozzo Foto di Alberto Naccari

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

Fig. 4

Due mesi fa, sabato 2 maggio per la precisione, Federico Springolo ed io ci siamo recati ad Arco di Trento per la lavorazione di un pino silvestre yamadori in occasione della demo IBS di cui lo stesso Springolo fa parte; l’albero (Fig. 1) era stato raccolto qualche anno prima da un amico, socio del Bonsai Gymnasium oltre che allievo della Bonsai Creativo School, Ezio Corradin. Il pino era molto vecchio, ma il giusto tempo nel contenitore per consentirle l’attecchimento (4 anni), e le concimazioni eseguite ad hoc da parte di Ezio l’avevano sufficientemente fortificata; era una pianta generosa e pronta a superare lo stress alla quale sarebbe stata sottoposta. Precedentemente, prima di recarsi ad Arco, avevamo operato una pulizia degli aghi. L’operazione forse era stata troppo aggressiva, e, giustamente, qualche collega istruttore di Springolo ce lo fece notare, li ringraziammo per l’osservazione e procedemmo con il lavoro. Alle nove eravamo pronti per cominciare. I compiti erano stati precedentemente decisi, dopo la potatura dei rami in eccesso mi sarei concentrato sulla parte di legna secca posteriore mentre Federico su quella anteriore. Iniziammo, come dicevo, con la lavorazione del legno; avevamo deciso che per questo tipo di lavorazione non avremmo usato nessuno strumento elettrico ma solo sgorbie, scalpelli e martello. Il tempo a disposizione era poco ma sapevamo che sarebbe stato possibile riuscirci nei tempi previsti (Fig. 2). Lo stop alle lavorazioni era previsto alle 19. Usando delle sgorbie e dei coltellini, che normalmente servono a modellare gli zoccoli dei cavalli e che avevamo adattato al nostro scopo, pulimmo tutta la corteccia, iniziando da quella che ricopre i rami già secchi da tempo per terminare con quella dei rami che avevamo appena potato. Con gli scalpellini incidevamo le parti di legno che poi avremmo strappato con le pinze, scavando tra le fibre, ricavando delle anse e dei rilevi sui rami secchi trattati. Lavorando in questa maniera, incidendo e “strappando” le lingue di legno, provavamo ad imitare gli agenti atmosferici, i traumi meccanici e il

Fig. 5

Fig. 6


La mia esperienza

LA NOSTRA DEMO... - F. Springolo, M. Tarozzo

Fig. 8

Fig. 7

Fig. 10

Fig. 11

Fig. 9

passare del tempo che solitamente rendono unici jin e shari degli yamadori. Dopo aver lavorato grossolanamente le porzioni di legno iniziammo un minimo di approfondimento delle linee degli “scavi”, per far ciò usavamo anche delle “sgorbiette coreane” di varie misure dallo 0,1 mm allo 0,8 mm di larghezza della lama, che alternavamo a seconda delle dimensioni del ramo o della porzione del legno da trattare. Creati i vuoti nel legno, usammo il fuoco per rendere più vecchio e naturale la porzione di ramo trattata e, nello stesso tempo, scaldando bene nei punti giusti e con l’ausilio delle pinze, operammo delle torsioni e delle piegature dei jin per posizionarli la dove li volevamo. Sentivamo i commenti dei visitatori, alcuni si “dissociavano” da questo tipo di lavorazione, altri, invece, ne erano entusiasti… (Fig. 3, 4 , 5, 6). Mah, dissi a Fede: <la solita storia, l’Italia è divisa a metà!>. Un cenno d’intesa, un sorriso e ci rimettemmo all’opera. Sia la parte posteriore che quella anteriore della legna secca avrebbe dovuto avere un portamento verso “avanti”, infatti l’idea che ci eravamo fatti della forma dell’albero era quello di un battuto del vento e prostrato, una forma che, dove era stato raccolto lo yamadori, non è affatto inusuale.La scelta dello “stile” era quindi anche condizionata da ciò che i nostri occhi avevano visto spesso sulle montagne del Cadore o dell’Alto Adige dove solitamente ci rechiamo ad osservare le piante. La lavorazione del legno era finalmente terminata, Federico procedeva con il liquido da jin sulle parti lavorate (Fig 7, 8) mentre io cominciavo la rafiatura dei due grossi rami e la successiva applicazione della “camera d’aria” (Fig. 9, 10). Questa operazione serviva a rendere meno “traumatica” per i rami le forti piegature che avremmo operato; solitamente questo tipo di pieghe sui pini vengono fatte qualche tempo prima della ripresa vegetativa, all’incirca verso la metà fine di febbraio. In tale maniera ci si avvicina il più possibile al periodo della ripresa delle attività vitali

Fig. 12

Fig. 13

34


35

La mia esperienza

LA NOSTRA DEMO... - F. Springolo, M. Tarozzo

Fig. 14

Fig. 15

Fig. 16

dell’albero; in questo modo la reazione alle sicure sfibrature è più celere. Spesso adottammo anche il metodo di non usare il filo ma operammo le pieghe dei rami per gradi solo dopo un’abbondante raffiatura, avvalendoci di tiranti. Il mese di maggio era secondo noi sfavorevole per queste pieghe, ecco quindi il perché di queste accortezze e l’uso del filo di rame di grosso diametro sopra le protezioni. Alla fine di questo intervento si erano fatte le 12,30, e, come richiesto dall’organizzazione, sospendemmo il lavoro per la pausa pranzo. Prima di uscire dalla sala demmo uno sguardo al lavoro degli altri dimostratori, erano tutti molto più avanti di noi… mangiammo il panino in silenzio e con Alberto (mitico fotografo) che ci rincuorava: “tranquilli, siete nei tempi e il lavoro è molto pulito”, gli venne in soccorso pure Luca (Bragazzi) che sembrava soddisfatto più di noi del lavoro che stavamo facendo. Che personaggio Luca, un grande, un amico! Era il momento di riprendere. Iniziammo con il posizionare il filo di rame, da 4 mm, (Fig. 11) nel primo ramo basso per procedere alla torsione, per gradi; c’era un altro accordo tra Federico e me, non avremmo usato delle leve ma avremmo alternato i tiranti fino a posizionare il ramo dove sarebbe dovuto andare. Posizionato il ramo procedemmo poi con la legatura di tutti i rametti secondari e terziari usando il filo di dimensioni dal 1, 5 mm allo 0,8 mm (Fig. 12,13). A questo punto eliminammo i tiranti in eccesso e ne rimasero solamente due, uno ancorato nella parte più acuta dell’angolo della curva e uno quasi all’apice del ramo stesso. Iniziava ora, per Federico, la fase di modellatura del ramo, ogni singolo rametto veniva posizionato dalla parte opposta a quella da dove “soffia il vento” (Fig. 14, 15, 16). Il procedimento appena descritto l’adottammo anche per il ramo posizionato più in alto. Avevamo quasi finito, eravamo soddisfati, alzammo lo sguardo: i colleghi di Federico avevano tutti terminato e noi eravamo i soli a soffermarci ancora dietro i tavoli da lavoro, erano le 18 e 45 minuti!!!! Un gruppetto nutrito di persone si concentrava attorno a noi che commentammo: “non c’è altro da vedere, per forza stanno qui...”. Sapevo che la gente a Federico metteva un poco di ansia, ma un talento come lui dovrà, per forza, farci l’abitudine, quindi sdrammatizzai ancora dicendogli che in realtà “la gente stava ferma a guardare il lavoro che stavamo facendo perché li avevano chiusi dentro alla stanza con noi”. Sorridemmo (Fig. 17, 18)... Posizionato l’apice ci sollevammo da tavolo e girammo la pianta verso la gente (Fig. 19). Un applauso!

Fig. 17

Fig. 18

Fig. 19


La mia esperienza

LA NOSTRA DEMO... - F. Springolo, M. Tarozzo Era davvero ben riuscito questo primo step su “Silvestro”, era contento anche Ezio che ci stava guardando. Bene, foto di rito alla quale invitammo anche il nostro “Luca nazionale” (Fig. 20). Eravamo soddisfatti e poi, era chiaro che il pubblico aveva notato ed apprezzato il lavoro“a mani nude”. Grazie, Arco! Al rientro a casa, vista la stagione, togliemmo tutto il filo e lasciammo solo i tiranti a fare il loro lavoro sui due grossi rami. “Silvestro” è stato poi posizionato in mezz’ombra e nebulizzato spesso, ha reagito bene e ora i germogli si sono allungati vigorosi. Tra qualche anno l’amico Ezio lo potrà far ammirare in qualche esposizione. Federico Springolo Marco Tarozzo

Fig. 20

36


37

La mia esperienza

REALIZZAZIONE DI UN ISHIZUKI - C. M. Galli

La mia esperienza

Realizzazione di un ishizuki II parte

di Carlo Maria Galli

C’eravamo lasciati il mese scorso con la preparazione di un ishizuki e di tutto ciò che serve per poter realizzare questa affascinante tipologia di bonsai. Abbiamo visto come praparare la roccia che ospiterà le piantine, i fili per gli ancoraggi, e come realizzare un terriccio adatto allo stile. Vediamo ora quali sono le fasi successive che ci porteranno al risultato finale. Carlo Maria Galli

Fig. 1 - Le piante vanno annaffiate precedentemente,vanno spruzzate spesso. Questo accorgimento gli permette di rallentare la traspirazione.

Fig. 2 - Bisogna fare attenzione nel disticare le radici.

Fig. 4 - Spruzzo spesso acqua sulle radici per non farle disidratare.

Fig. 5 - Nel posizionarlo sulla roccia, blocco prima di tutto il colletto.

Fig. 7 - Gli altri fili vengono usati in un secondo momento.

Fig. 8 - Inizio a coprire le radici con la terra facendo attenzione a lasciare sacche d’aria, lasciando i fili all’esterno e seguendo il movimento della pietra.

Fig. 3 - Essendo già bonsai non taglio le radici, semmai levo quelle che andranno all’esterno della pietra.

Fig. 6 - Lego bene col filo in modo da immobilizzarlo

Fig. 9 - Una volta finito di aver messo la terra, inizio dal basso intrecciando i fili come in una rete.


La mia esperienza

REALIZZAZIONE DI UN ISHIZUKI - C. M. Galli

Fig. 10 - Può andare... manca ancora il muschio e le piante di compagnia.

Fig. 11 - Preparo delle forcelle della lunghezza pari allo spessore del terriccio che ho steso sulla pietra.

Fig. 12 - Mi serviranno per ancorare meglio il muschio.

Fig. 14 - La potatura della pianta serve a far la riprendere prima dallo stress da rinvaso.

Fig. 13 - Il muschio va bagnato prima di poterlo applicare. Io uso miscelare nell’acqua gli ormoni in polvere, così avrò una spinta in più per l’attecchimento. Fig. 15 - Va messo a piccoli fazzoletti, di vari colori e tipologie, possibilmente a semipalla in modo di dare ancora più movimento.

Fig. 16 - La potatura serve anche a far rientrare la chioma nella sua silhouette migliore.

Fig. 17 - Alcuni particolari della roccia vanno enfatizzati con un uso accorto del muschio e delle erbe da compagnia.

Fig. 18 - Altro particolare della pietra.

38


mia esperienza 39 LaREALIZZAZIONE DI UN ISHIZUKI - C. M. Galli

Fig. 19 - L’ishizuki è terminato, non resta che controllare che tutto sia andato per il verso giusto.

Fig. 20 - Lato sinistro.

Fig. 22 - Lato posteriore.

Fig. 23 - Fronte.

Fig. 24 - Ecco come si presenta l’ishizuki ad un anno di distanza. La foto è stata scattata a maggio 2009

Fig. 21 - Lato destro


La mia esperienza

UN WEEK-END A METZ - Nicola Crivelli

La mia esperienza

Un week-end a Metz di Nicola Crivelli

Viaggiando per bonsai si conoscono persone e nascono nuove amicizie. Conobbi l’amico Lino Pepe durante un viaggio in Giappone (naturalmente per bonsai), lo rincontrai poi in Belgio in occasione dell’ultima Ginkgo Award, già lì, sul ritorno, ci fermammo un salto a Metz, città al nord della Francia, che lì per lì non mi aveva impressionato molto, forse anche perché mi era piaciuta moltissimo Gent, una specie di Venezia nordica, dalle atmosfere moto simili a quelle di Amsterdam. Lino mi aveva già parlato della Mostra organizzata dal Bonsai Club di Lorena (www.bonsaiclublorraine.fr) di cui è presidente, e del Trofeo delle quattro Frontiere, e mi ero promesso di parteciparci un giorno. Così il 24 aprile, accompagnato da mia moglie, si parte per Metz. In tempi antichi Metz, allora conosciuta con il nome di Divodurum (la città dal “monte sacro”), era la capitale dei Mediomatrici, tribù celtica il cui nome, contratto in Mettis, è alle origini dell’attuale nome della città. Agli inizi dell’era cristiana, il sito era già occupato dai Romani. Metz divenne una delle città principali della Gallia, più popolata di Lutetia, ricca per merito delle sue esportazioni di vino e con uno dei più vasti anfiteatri della regione. All’incrocio di numerose strade militari, ed essendo anche una città molto ben fortificata, divenne presto di notevole importanza. Una tra le ultime roccaforti romane ad arrendersi alle tribù germaniche, fu conquistata da Attila nel 451, e infine passò, verso la fine del V secolo e attraverso pacifiche negoziazioni, nelle mani dei Franchi. Teodorico d’Austrasia la scelse come residenza nel 511; il successivo regno della regina Brunilde donò grande splendore alla città. - Tratto da Wikipedia -

Tra una cosa e l’altra sono riuscito anche a visitare la città e la Cattedrale di Santo Stefano che mi sono piaciute davvero molto (Fig. 1, 2, 3).

Fig. 2 - La cattedrale gotica di Santo Stefano con le sue vetrate artistiche disegnate da Marc Chagall

Fig. 1 - La cattedrale di Santo Stefano

Fig. 3 - L’organo sospeso della cattedrale

40


41

La mia esperienza

UN WEEK-END A METZ - Nicola Crivelli

Fig. 4 - I partecipanti al nuovo talento quattro frontiere

Oltre a portare due piante alla mostra, partecipai al Nuovo Talento 4 Frontiere (Fig. 4). I partecipanti erano: Francis Lecuyer (Francia), José Lefilon (Belgio), Markus Becker (Germania) ed io (Svizzera). Ognuno lavora su una propria pianta, io ho portato un ginepro coltivato da me per diversi anni... un materiale da talea (Fig. 5).

Commento sull’impostazione del ginepro (Shinpaku) Il juniperus chinensis è una delle mie essenze preferite. Il punto di forza dello shinpaku sono i jin e gli shari; un’altra caratteristica molto importante per la tipicità dell’essenza è quella di avere il tronco piatto. Se il materiale di partenza non è uno yamadori con già del Fig. 5 - Il mio ginepro chinensis; materiale ricavato da talea. secco a vela naturale, il metodo per realizzarlo è quello di fare degli shari lungo il tronco, seguendo il movimento sinuoso delle vene. Annualmente si allarga lo shari di qualche millimetro (dai 4 ai 6 mm), in questo modo il tronco si allarga solo dove ci sono le vene, appiattendosi. Un’altra caratteristica dello shinpaku è il movimento dei rami. Come il tronco devono avere un bel movimento, ma non necessariamente devono scendere verso il basso come in un pino. Possono avere dei rami che partono verso l’alto, che poi hanno un brusco cambiamento di direzione verso il basso, con jin nella zona dove c’è stato il cambiamento di direzione. Generalmente anche sui rami si formano degli shari a spirale, che lo appiattiscono. Anche gli apici hanno spesso dei bruschi cambiamenti di direzione, ed i vecchi apici diventano dei tenjin. In questa impostazione ho cercato di evidenziare queste caratteristiche. Da un materiale cespuglioso e rigoglioso ho cercato di estrarre il succo, la sintesi di un esemplare cresciuto in natura in un ambiente aspro ed impervio.

Fig. 6 - Tutti al lavoro

Fig. 7 - Ho deciso di abbassare la pianta. Il tronco, già di un certo spessore, non si presta alla creazione di una pianta alta e snella


La mia esperienza

42

UN WEEK-END A METZ - Nicola Crivelli

Fig. 8 -

Fig. 9 - Le piante a lavoro ultimato. I bonsai sono stati ordinati da sinistra verso destra dal primo al quarto classificato

Fig. 10 - Luigi Maggioni, ospite della manifestazione

Fig. 11


43

La mia esperienza

UN WEEK-END A METZ - Nicola Crivelli

Fig. 12 - Ecco come si presentava il ginepro una volta tornato a casa

Fig. 13 - Lato destro

Fig. 15 - Dopo un mese la pianta ha reagito bene all’impostazione, nonostante in aprile scorresse già molta linfa ed era molto difficile filare la vegetazione senza danneggiarla

Fig. 16 - Particolare dello shari.

Fig. 17 - Ecco come intendo sviluppare i palchi in futuro.

Fig. 14 - Retro


A lezione di suiseki IL MA ATTORNO AD UNA PIETRA - Luciana Queirolo

44

Il ma attorno ad una pietra: il cielo, l’oceano... lo spazio.

Articolo a cura di Luciana Queirolo

...la parola ‘Spazio’ (ma) ha un significato molto speciale per la gente giapponese. Lo spazio non è solo quello che noi occupiamo, ma esso è anche un ritmo, un tempo, una distanza ed un vuoto.

Quando iniziammo la ”Grande Avventura” di questo magazine e ci impegnammo a farlo uscire mensilmente… beh! Mi vennero i capelli bianchi. Puoi creare un bonsai praticamente da ogni creatura vegetale di questa terra: la crescita, i riposi ed i risvegli, le cure, le malattie, la riproduzione … un materiale veramente infinito, da trattare. Non così illimitato per le pietre, pensai…. Ma se qui stiamo ancora spulciando l’argomento suiban (e siamo al terzo appuntamento con questo argomento)… beh! qualche speranza, per il prossimo futuro, di non sprofondare nel silenzio forse mi rimane. Perché ancora Pietra & Suiban? Perché , dopo ragionate, teoriche scelte estetiche e pratiche su abbinamenti di colore, su granulometria, su profondità, proporzioni, etc…. al dunque, la nostra pietra dobbiamo pur piazzarla e piazzarla nel posto giusto ed al primo tentativo; pena lo sconvolgimento totale di eventuali, precedenti, elaborati, giochi di sabbia.

La posizione della pietra nel suiban deve essere prima di tutto asimmetrica, (asimmetria = hitaisho). La tradizione, poi dà la preferenza a pietre che sul fronte abbiano la parte più alta a sinistra, in maniera che la pendenza più lieve degradi dolcemente verso destra, determinando così l’accostamento al bordo sinistro (naturalmente, non ci strapperemo i capelli, se la nostra pietra dovesse avere un fronte con massa predominante nella sua parte destra e la piazzeremo tranquillamente più accostata verso destra.) Per eseguire correttamente il posizionamento della pietra nel suiban, ci si dovrebbe affidare alla Regola Aurea ed alla Sequenza numerica progressiva di Fibonacci; tenendo cioè presente il rispetto per l’asimmetria della composizione. In pratica: il punto centrale della pietra dovrebbe trovarsi ad un terzo sia della lunghezza sia della profondità del suiban: arretrato verso il fondo, verso destra o verso sinistra a seconda che le linee di forza preminenti della pietra siano a destra od a sinistra. Se il flusso della pietra (KATTE) scende dal punto di forza, verso il lato opposto, là vi sarà il maggior spazio vuoto (area riposante per la vista). La Regola Aurea detta che la cima principale dovrebbe trovarsi vicina al bordo a circa il 38% della lunghezza totale del suiban. A volte, però, trasgredire un poco (dilatando una misura a discapito delle proporzioni ed allontanandosi dalla “ragionieristica” Regola aurea) si rende necessario, proprio in funzione di quell’indispensabile, insopprimibile spazio vuoto, senza il quale non vi è atmosfera né armonia. Così pure, diviene spesso difficile procurarsi il suiban adatto ad ogni pietra: già dal ‘94 in Giappone venivano presentati suiseki posizionati al centro (punto morto) di suiban troppo piccoli. Anticamente non esisteva regola che indicasse le misure del contenitore adatto. Dipinti delle dinastie Tang e Song illustrano splendide rocce verticali entro bacinelle, stabilizzate da ciottoli . Anche l’orizzontalissimo “Ponte galleggiante sui sogni” illustrato nel magazine di Aprile, è adagiato in un incensiere di epoca Ming che appena lo contiene: un sostegno degno della pietra.


di suiseki 45 AIL lezione MA ATTORNO AD UNA PIETRA - Luciana Queirolo L’arte del Suiseki è soprattutto Gioco: gioco di interpretazione, area di serenità, al di fuori di tutto ciò che sia spiacevole o faticoso da vivere; quindi, lungi da me sminuire la valenza delle sue proprietà terapeutiche, conoscitive, introspettive etc …. “Aristotele accostò il Gioco alla Gioia ed alla Virtù, distinguendolo dalle attività praticate per necessità.” … (ma io credo che giocare un poco con noi stessi, prima ancora che con gli altri, sia una necessità oggi sempre più impellente) …

Fig. 1 - Prima di divagare e magari dimenticare, vi piazzo qui una regola poco conosciuta ma che viene per senso, appena ci pensate un po’ su. Un suiban va di preferenza posizionato su tavoli bassi, per poter godere non solo il profilo del suiseki, ma anche il simbolismo dello spazio creato attorno ad esso. In questa foto, il magnifico diaspro,che i piccioni adottarono come abbeveratoio.

Fig. 2 - una pietra a forma di luna … calante??? Scelsi il “punto morto”: posizionai cioè la mia luna con la sua punta più alta nel centro del suiban … perché? Son passati circa 10 anni e l’interpretazione che potrei tentare di dare oggi di quella scelta, potrebbe non collimare col pensiero di allora … Visualizzando come elemento principale la falce della luna, il suo punto di forza sarebbe proprio sulla sua punta più alta; seguendo questo ragionamento, la luna andrebbe spostata verso sinistra. Io ho perso di vista questa pietra ormai da tempo ma, osservando con attenzione la foto, credo di poter riesumare il ricordo di una figura femminile, seduta accanto alla luna. Ecco che, allora, questa figura gentile diverrebbe padrona della scena: lo spazio attorno è un tributo a lei, io credo: una quieta oasi di pace, in una quieta notte di luna calante.

Ora, proviamo a giocare con una pietra ed un suiban: quando il nostro gioco ci avrà visto vincitori contro le incertezze di un problematico posizionamento, allora entrerà nel gioco la scelta di un suiban più adatto; entreranno in gioco gli elementi acqua e sabbia. Ma, per ora, giochiamo solo con questi due elementi: un suiban e qualche pietra scelta quasi a caso … e nemmeno troppo pulita: anche pulirla con maggiore cura, farà parte della sua “trasfigurazione”. Qui un’altra nota da non trascurare: la preparazione di una pietra da esporre nel suiban passa attraverso una accurata pulitura, ma non dallo strofinamento con le mani né tantomeno da una ingrassatura che precluderebbe alla sua superficie impermeabilizzata dall’unto, la capacità di trattenere l’umidità: qualità propria della cura da esterno. Allora... giochiamo? Questa dovrebbe essere (cm più, cm meno) la posizione per queste due pietre nel nostro suiban:

Fig. 3

Fig. 4

Più chiaramente identificabile la posizione della prima, per la seconda potrebbe sorgere qualche incertezza presto fugata perché, come pietra isola, sul lato di sinistra presenta una piccola insenatura, che invita all’approdo chi giunge dal mare aperto; mentre quello sperone sul lato destro, respinge.


A lezione di suiseki IL MA ATTORNO AD UNA PIETRA - Luciana Queirolo

Fig. 5 - Suiseki interessante, di origine malese.

Fig. 6 - La parte dominante di sinistra ha una forte pendenza proprio verso sinistra … abbiamo quasi la sgradevole sensazione che possa crollare oltre il bordo del suiban, da un momento all’altro: la parte tozza di destra, otticamente, trattiene a fatica la rovinosa caduta.

Fig. 7 - Il posizionamento della pietra verso destra, ristabilisce l’equilibrio e la nostra calma: un faraglione sul mare aperto, piccole calette in cui ormeggiare, per la pesca subacquea.

Fig. 8 - Questa è abbastanza facile: l’equilibrio di proporzione tra il vassoio e la pietra è dato dalla “media” tra misura della base e misura del top della pietra. Se l’ampiezza del top è un poco eccessiva rispetto al suiban, il piede più stretto permette all’occhio di spaziarci sotto.

Fig. 9 - Un basalto nero-verde che non riesco a giustificare se non posizionandolo verso il centro. La massa è troppo “corposa” per essere defilata in un punto che sia più stretto del diametro corto del suiban (nel suo punto massimo, cioè nel centro). La propaggine ribassata, sulla destra, le da movimento e vita.

46


di suiseki 47 AIL lezione MA ATTORNO AD UNA PIETRA - Luciana Queirolo

Fig. 10 - La pietra è troppo piccola, ma ha personalità: pare che voglia farsi notare; la sua parte frontale tenta di abbracciare chiunque si avvicini.

Fig. 11, 12 - Una piccola isola … per me, perfetta: un gioiellino nella sua linea semplice e pulita. Sarebbe assurdo abbandonarla in un angolo di questa piazza d’armi mentre, posata nel centro, mi dà una gran senso di quiete. Non di abbandono, però. E’ un piccolo mondo autosufficiente che non si nega, ma sta lì nel mezzo, un po’ sulle sue. Possiede una ottima triangolarità e questo le da un buon equilibrio nell’asimmetria. Si distingue bene quale è il fronte: nella seconda immagine pare voglia dirti: gira un po’ di là!

Fig. 13 - Come per la piccola isola precedente, questo grosso banco di sabbia (sia che si voglia interpretare come mare o che sia deserto) ha veramente bisogno dell’ausilio della sabbia per “venire a galla”. E’ una lastra talmente sottile e poco pronunciata che non credo necessiti di un grande spazio attorno: è “Spazio” essa stessa.

Fig. 14, 15 - Il suiban è un po’ più del doppio del suiseki se visto frontalmente, ma la forma della pietra, articolata da promontori ed insenature poste lungo una diagonale, riempie lo spazio in maniera equilibrata. Non potrete negare, soprattutto osservando la pietra nella seconda immagine,come sia necessario questo posizionamento, nonostante che, con questa sistemazione, la parte dominante si trovi ad essere nel centro e non di lato. Potrei invertire il fronte e girare la pietra: avrei così la parte dominante tranquillamente sulla destra … è vero! Ma l’altra metà dell’ isola rimarrebbe nascosta dietro alla montagna più alta.


A lezione di suiseki IL MA ATTORNO AD UNA PIETRA - Luciana Queirolo

Fig. 16, 17 - Per buona pace di tutti, ecco una pietra isola classica, buona misura, buon equilibrio di elementi differenti tra loro di forma e texture. Il posizionamento coincide su entrambi i fronti. L’approdo è possibile: con qualche difficoltà in più sul retro (e per questo verrà bollato come retro) ma possibile. Una bella pietra che dà soddisfazione osservare...

… perché l’immagine si crea nella mente. “Creare un’atmosfera di meditazione e godimento” è forse il motivo principe che spinge ad esporre nel suiban: accogli un immaginario ospite, egli ti siede accanto. Tu bagni la pietra ed insieme osservate i lievi mutamenti prodotti dall’acqua che, trattenuta dalla patina, fugacemente si dissolve … per l’ospite, reale o immaginario, hai restituito alla superficie di una pietra pulita, la capacità di trattenere l’umidità. Coltivazione e tempo: può volerci una vita... e con materiali nobili e duri, una vita potrebbe anche non bastare; noi ne godiamo il presente: che qualcuno dopo di noi ne possa godere, assieme al proprio ospite ...può essere solo un sogno … un sogno niente male, però! ...ed alla prossima! Luciana Queirolo

48




di... 49 L’opinione GIORGIO CASTAGNERI - Giuseppe Monteleone

L’opinione di...

Giorgio Castagneri

Intervista a cura di Giuseppe Monteleone

B

en ritrovati, dopo la bella intervista a Gianfranco Giorgi realizzata lo scorso mese da Antonio Ricchiari, in questo numero vi presento un altro eccellente istruttore del bonsai in Italia, Giorgio Castagneri. Ho conosciuto Giorgio a Salerno lo scorso marzo, mi ha subito colpito la semplicità dell’uomo unita ad una grande passione per la nostra arte. Uomo di poche parole, ma sincere e dirette, ha lasciato in me un ottimo ricordo. Consigliere ed istruttore IBS, tiene corsi e dimostrazioni in giro per l’Italia e l’Europa, di quest’uomo dal gran carisma ci sarebbe da dire molto, ma è il caso che sia lui stesso a raccontare. Sperando di non aver fatto torto al nostro ospite con queste poche righe di presentazione, vi auguro buona lettura e vi lascio alle parole di Giorgio Castagneri. Giuseppe Monteleone Nella presentazione ti ho definito semplice ed appassionato, ti riconosci in questa descrizione? Cos’altro aggiungeresti per descriverti meglio? Mi riconosco bene nella definizione di appassionato bonsaista, e da quando è diventato anche il mio lavoro a tempo pieno ho sempre molta voglia di fare; semplice come persona non saprei, molti dicono che sono complicato, ”bonsaisticamente” troppo puntiglioso. Questo però è il mio modo di essere e di praticare Bonsai. Dicci qualcosa in più del Giorgio Castagneri quando non è alle prese con corsi e dimostrazioni. Al di fuori di corsi e demo, tutto il mio tempo è dedicato al mio giardino a lavorare piante ed alla mia attività, di import e vendita di vasi, piante e accessori per Bonsai. Quindi gli altri hobby a poco a poco sono svaniti, ma è una cosa voluta da me perciò non mi pesa. Molti appassionati lamentano l’incompatibilità tra le cure da dedicare ai nostri beniamini e quelle da destinare a famiglie/mogli/fidanzate? Per te vale la stessa cosa? È difficile dirlo ma è proprio così, in più se il Bonsai diventa una professione, di tempo ne rimane veramente poco, questo a discapito della famiglia. Basti pensare che i congressi occupano i fine settimana, poi c’è la scuola e alcune volte di sera bisogna lavorare sulle piante dei clienti. Meglio cambiare discorso… Veniamo alle domande tecniche.... qual è lo stile che più ti appassiona? Lo stile che preferisco ormai lo sanno tutti, è il Bunjin. Non c’è un motivo particolare però mi attrae molto. È uno stile tirato all’essenziale ma con una grande forza. Per cui sono sempre alla ricerca di piante adatte per creare Bunjin. Non posso farne a meno. Un’osservazione fatta da molti e che è sempre più ricorrente riguarda la poca presenza delle latifoglie nelle mostre più importanti, a cosa credi che sia dovuto? Ultimamente c’è molta polemica su questo fatto, si dice che ci sia poca conoscenza sulle latifoglie, quindi si lavorano più conifere in quanto


L’opinione di...

GIORGIO CASTAGNERI - Giuseppe Monteleone subito pronte per essere presentate alle mostre. Non sono assolutamente d’accordo su questo, penso che il problema sia che le mostre importanti sul nostro territorio sono tutte concentrate nei mesi di aprile-maggio e settembre-ottobre, periodi non così idonei per esporre latifoglie. Dovremmo organizzare le manifestazioni come in Giappone, una mostra a febbraio per poter ammirare la ramificazione delle caducifoglie, una a fine maggio riservata alle azalee, ed una a novembre per i colori di aceri, faggi ecc. in tutti questi periodi le conifere vengono comunque esposte senza però sminuire le latifoglie. E a questo punto ti chiedo, tu cosa preferisci? Perché? L’essenza da me preferita è il pino silvestre perché da sempre li ammiro sulle montagne a me vicine poi sicuramente le azalee, piante molto affascinanti per i colori dei fiori e anche perché contrariamente a ciò che si pensa, si possono lavorare veramente molto. Ti dirò che l’ultima mia esperienza in Giappone è stata proprio sulle azalee, pensa che per un mese ho lavorato e preparato mostre solo per questa essenza, “si impara veramente molto” poi mi piacciono tassi, aceri, mirti ed olivi. Una buona collezione, perché possa essere definita tale, credi che debba essere composta da pochi pezzi, ma di elevato valore (artistico intendo...), o da molte e diversificate essenze magari di valore più modesto? A livello hobbistico penso sia giusto avere più essenze a costi modesti, questo per poter fare più esperienza possibile. Invece quando si diventa professionisti i pezzi personali diminuiscono di numero ma aumenta il valore artistico... e non solo quello. La tua collezione com’è composta? A cosa dai la tua preferenza? La mia collezione è composta da una quarantina di Bonsai ma sempre in evoluzione, come tutti ne vendo alcuni per averne altri magari più importanti. La preferenza? AKAMATSU (pino rosso) poi tassi, larici e azalee. Tra le tante attività sei istruttore IBS, è una cosa cercata e voluta o è stato un passo obbligato durante il tuo percorso? Insomma, che rapporto hai con l’attività di docenza? Diventare istruttore IBS è stata una cosa voluta, in quanto già tenevo dei corsi di base presso diversi club in più c’era l’idea della scuola, ma non ero riconosciuto come istruttore, quindi anche un passo obbligato. Oggi con circa ottanta allievi l’attività di docenza mi da molte soddisfazioni. importanti. Della tua attività di istruttore, cos’è che ti da più soddisfazione? Sicuramente quando uno dei miei allievi riesce a lavorare bene da solo arrivando ad esporre anche solo una buona pianta in modo corretto, questo mi gratifica molto. Lo stesso si può dire quando durante una demo il lavoro fatto da il risultato che volevo. Nelle molte esperienze da te fatte sono da annoverare molteplici workshop, ti hanno maggiormente emozionato quelli con i maestri giapponesi o quelli con gli italiani? Sono due cose molto diverse, le esperienze fatte con gli Italiani mi hanno aiutato molto nella creatività e nell’inventare sempre qualcosa di nuovo, di dinamico. Di workshop con i Giapponesi ne ho fatti parecchi, ma quello che più mi ha emozionato è stato poter vivere a casa del maestro Kobayashi lavorando piante famose. Si impara molto a rifinire esemplari molto importanti pronti per andare in mostra, ad allestire tokonoma in modo corretto. Però con gli italiani si crea di più. A proposito della tua “internazionalità”, sei consigliere in un club spagnolo, hai una scuola di specializzazione sempre in Spagna, tu che li vedi da vicino, dicci qual è il modo di fare bonsai degli spagnoli. Attualmente le scuole da me aperte in Spagna sono due ed una terza in prossima apertura a fine anno, questo grazie anche al mio collaboratore e amico Miguel Angel. Per ciò che riguarda il modo di fare Bonsai in Spagna è molto simile al nostro anzi si stanno avvicinando sempre più come tecnica a noi. Già che ci siamo …. un po’ di pepe.... ti da più soddisfazione la scuola italiana o quella spagnola? Le soddisfazioni arrivano da entrambe, la differenza è che in Spagna hanno molta fame di apprendere tutto ciò che gli si insegna e attualmente la crescita è vertiginosa. In Italia invece le soddisfazioni sono i premi che i miei allievi stanno vincendo, questo vuol dire che siamo sulla strada giusta, ad esempio il fatto che uno di essi dopo soli tre anni di studio sul Bonsai vince un primo premio come miglior esposizione è davvero appagante. Cosa ne pensi del bonsai fatto come lavoro? Secondo te qual è la differenza tra il giusto guadagno e quello che giusto non è? Bisogna avere una grande passione e costanza perché il Bonsai diventi un lavoro, io ho la fortuna di avere al mio fianco la mia compagna che mi segue nei congressi, e si prende cura della parte commerciale. Il giusto guadagno è difficile da dire ma di sicuro oggi è più bilanciato. Parecchi anni

50


51

L’opinione di...

GIORGIO CASTAGNERI - Giuseppe Monteleone fa tutto veniva venduto ad uno sproposito, perché non c’era informazione, oggi con internet tutti possono sapere i prezzi praticati in tutto il Mondo, quindi le trattative sono più normali e allineate. C’è qualcosa che cambieresti degli attuali regolamenti di mostre e concorsi? Cambierei solo una cosa, dividerei in due categorie l’assegnazione dei premi: amatori e professionisti. Si parla di questo già da anni, spero che si concretizzi. È opinione abbastanza diffusa che la frenesia che regola le dinamiche della società moderna si stia impossessando anche del mondo bonsai. Quanto credi che questa affermazione corrisponda al vero? Si sta recriminando molto il mondo del Bonsai moderno in questo senso, ad esempio non viene condiviso che dopo tre anni circa dalla prima lavorazione le piante vadano in mostra, oppure che le piante esposte abbiano il filo. Io penso che ci stiamo solo adeguando ai tempi, d’altra parte anche in Giappone in mostre come la KOKUFU-TEN, quasi tutte le conifere hanno il filo. Questo è il Bonsai di oggi, può darsi che un giorno si torni indietro. Le tre caratteristiche principali che bisogna avere per diventare un bonsaista di qualità? Oggi diventare dei bravi bonsaisti è più semplice rispetto a quando ho iniziato io ventidue anni fa, ci sono scuole qualificate in tutta Italia. Comunque secondo me umiltà di apprendimento, tanto lavoro e un po’ di talento… che non guasta. E le tre cose che fanno di una pianta discreta un bonsai di pregio? Sarebbe normale rispondere che bisogna avere un buon nebari, una buona sinuosità e conicità del tronco, ma è scontato. Credo che un Bonsai di pregio lo si ottenga nel tempo, con anni di mochikomi, lavorando con pazienza e con metodo, alla fine con il passare del tempo si vedono i risultati e quasi senza accorgercene otteniamo il Bonsai di pregio. Cosa ne pensi di una iniziativa come questo magazine? Credi che una rivista online e per di più gratuita possa “dire la sua” nel panorama editoriale italiano? Penso che la vostra iniziativa sia molto interessante, questo tipo di interviste fatte con professionisti del settore dovrebbe essere estesa anche ad amatori, così che con l’opinione di tutti si possa crescere sempre di più, avere sempre prospettive nuove. Il fatto che sia gratuita è un segnale forte, sicuramente questa vostra rivista online farà strada nel panorama bonsaistico. Ti ringrazio per la tua disponibilità e ti auguro un futuro pieno di successi. Prima di chiudere questa intervista lo fai un saluto ai nostri lettori? Ringrazio io voi per avermi dato questa opportunità. Il mio saluto va a tutti i lettori di questo magazine anche quelli che non conosco, sperando di vederci presto, auguro buon Bonsai a tutti.


A scuola di estetica

LO STILE A CASCATA - Antonio Ricchiari

Lo stile a cascata Testo e disegni di Antonio Ricchiari

Simile al Semi-cascata (Han-Kengai) lo Stile a Cascata, chiamato dai giapponesi Kengai, differisce da questo perché l’apice inferiore oltrepassa l’altezza del vaso. Nel Giappone sono state classificate molte tipologie di Cascata, dalla mezza cascata alla cascata estrema, dalla cascata formale alla cascata a più tronchi. La cascata classica prende il nome non dal movimento dei rami ma dall’aspetto tra la forma del bonsai e la cascata d’acqua. In questo riferimento estetico si deve ricercare l’andamento della massa dell’acqua, in equilibrio con una forma logica della disposizione dei rami e degli apici. La cascata formale è la più tradizionale ed è impostata basandosi sulla ricerca del baricentro come nel caso dell’Eretto Casuale. Devono coincidere sullo stesso asse l’apice superiore, il centro del vaso, il nebari della pianta e l’apice inferiore. Questa forma si rivela dal punto di vista estetico un capolavoro d’armonia estetica. L’apice inferiore, che si curva per ritornare nel baricentro, compie un movimento estremamente innaturale, perché un ramo non si piegherebbe mai verso la parete della montagna. Nelle forme naturali della Cascata bisogna fare molta attenzione a conservare la coerenza tra la forma scelta e l’ambiente che rappresenta quella pianta, la coerenza con la specie che si sta lavorando, per non fare ciò che in natura non troverebbe riscontro, l’apice inferiore sempre rivolto verso l’esterno e la credibilità della testa. Le cascate bonsai sono definite tali, cioè kengai, quando i rami passano al di sotto del bordo inferiore del vaso e questa convenzione è sostenuta ancora oggi, proprio per differenziarsi dalla mezza cascata che ha tutto un altro carattere. La cascata ha rappresentato nei secoli uno degli stili più affascinanti e difficili. La difficoltà reale nel creare un capolavoro kengai è proprio nel riuscire a dare una grande drammaticità necessaria a trasmettere le sensazioni di sofferenza, di lotta e di trionfo di una pianta che vive in ambienti estremi; è forse per questo motivo che per creare una bella cascata, tanto più d’avanguardia, è necessaria una pianta yamadori come praticamente unica possibilità fra i materiali di partenza, a parte qualche raro caso. Nel movimento del tronco, si possono scegliere diverse soluzioni, ma bisogna sempre prestare attenzione a non cadere nell’errore frequente della ripetitività dei movimenti, cercando un equilibrio difficilissimo, tra gli elementi che fanno da filo conduttore e la non ripetitività.

Fig. 1

Fig. 2

Le foto rielaborate che accompagnano l’articolo sono state tratte dal catalogo: 7th International Bonsai and Suiseki Exhibition, pubblicato dalla Nippon Bonsai Association. L’evento si svolse dal 27 aprile al 6 maggio 1986 ad Osaka.

52


di estetica 53 ALOscuola STILE A CASCATA - Antonio Ricchiari L’apice superiore è una delle parti di primo piano della cascata. Per rispondere al requisito di “alberalità” e quindi di credibilità non ci dovrebbe essere nessuna parte superiore, essendo per forza di cose martoriata o spezzata dai forti eventi atmosferici. Ecco perché l’apice superiore della cascata formale potrebbe sembrare una forzatura estetica. E’ quindi una alternativa lasciare il tronco libero nella parte alta, possibilmente lavorando il secco con jin, shari, ed altro. Naturalmente il tronco deve esteticamente prestarsi a queste lavorazioni e la corteccia deve avere un aspetto particolarmente vetusto. Naturalmente per tutto ciò ci riferiamo alla impostazione di conifere, mentre le latifoglie subiscono un effetto analogo, dovuto però ad altri eventi naturali come frane e venti. Il movimento del tronco a cascata è il punto di interesse di questo stile. Riuscire a dare un movimento naturale al tronco, quindi che risulti asimmetrico e ritmico al contempo non è facile. E’ necessario che la direzione del tronco, cercando la luce, abbia una risalita verso l’alto. Il disegno illustra un esempio tipico delle parti della cascata classica con il movimento del tronco e l’andamento dell’apice inferiore. La caduta del tronco può essere più o meno accentuata e questa caratteristica deve essere messa in relazione anche con la scelta del fronte, che naturalmente oggi nelle cascate non deve essere così preciso. La torsione deve essere in relazione alla specie, privilegiando le torsioni accentuate sui ginepri e le contorsioni sui pini. Per quanto riguarda le specie da fiore è meglio privilegiare movimenti delicati, per evitare eccessivi contrasti con le fioriture. La caduta è, insieme allo shari, l’elemento che più concorre a donare il punto di maggiore interesse, trasmettendo un effetto spesso drammatico, talvolta un effetto che evoca altri scenari. Il tronco in caduta deve essere molto visibile soprattutto nei primi tratti, primeggia certamente più che negli altri stili. Nella cascata l’ultimo ramo si dirige verso il centro del vaso cercando l’equilibrio. L’apice inferiore deve allontanarsi dal vaso e deve essere costruito con le parti terminali leggermente all’insù per conservare una Fig. 3 dominanza apicale ed un vigore sufficiente della parte inferiore. L’apice inferiore deve essere molto sottile per le cascate a tronco sottile, massiccio e arrotondato per le cascate a tronco robusto. Nel lavorare uno shari, si deve privilegiare una linea verticale che accompagni l’occhio verso il basso. L’effetto di caduta, che visivamente è il più drammatico, è accentuato dallo scortecciamento e dalla solcatura verticale del legno.

Fig. 4 - Punto di interesse primario determinato dallo shari e dalla vena viva posti in estrema evidenza.


A scuola di estetica

54

LO STILE A CASCATA - Antonio Ricchiari La foto di questa cascata (Fig. 4) mostra una pianta che dal punto di vista della naturalezza è certamente più credibile poiché è priva dell’apice superiore ed il tronco è tormentato da uno shari che evidenzia la vena viva, quindi questa lavorazione è il risultato delle drammatiche intemperie del luogo dove la pianta è cresciuta. Il colore scelto per gli shari deve essere molto bianco, perchè in natura, questi luoghi sono molto esposti ai raggi del sole, e questa luce fortissima accentua il colore. Gli eventuali jin devono essere realizzati nelle direzioni verso il basso perché il tronco segue appunto questa direzione. Dovranno essere particolarmente lunghi sempre per l’effetto naturale di rami travolti da frane o da masse di ghiaccio che li travolgono. La scelta dei vasi per lo stile a cascata si rivolge a vasi alti, rotondi, quadrati o esagonali. Un vaso alto crea una massa massiccia, e perciò deve essere molto piccolo e a misura. Il bordo, svasato è indicato per piante leggere e lunghe ed il bordo chiuso per piante con tronco massiccio e vegetazione compatta. La cornice sui lati del vaso è adatta soprattutto per i ginepri. Il fronte del vaso nel caso in cui sia quadrato può anche essere scelto nell’angolo che dal punto di vista estetico offre un aspetto più leggero. Le specie da scegliere non sono tante poiché bisogna adattare a piante che in natura effettivamente sopravvivono a queste condizioni. Si devono privilegiare naturalmente ginepri, pini, pruni, tassi, camelie, rododendri, gelsomini, tsuga. Antonio Ricchiari

Fig. 5 - Altro esemplare con lavorazione della legna.

Fig. 6

Fig. 7 - Esposizione con pianta di accompagnamento.


di estetica 55 ALOscuola STILE A CASCATA - Antonio Ricchiari


L’essenza del mese

AZALEA - Roberto Smiderle

Azalea satsuki - III parte Famiglia: Genere: Specie:

Ericaceae Rhododendron Rhododendron lateritium

In questo numero presenteremo la terza parte della monografia su una delle più belle essenze dell’intero panorama bonsaistico: l’azalea satsuki. Ricordiamo che a differenza delle passate schede, quella che vi stiamo per presentare non ha in se il carattere della “guida”, ma bensì mostarvi semplicemente il frutto della sola esperienza personale dell’autore, il neo istruttore della Scuola d’Arte Bonsai, Roberto ‘Banzai’ Smiderle.

Azalea satsuki Coll. Roberto Smiderle

Le nostre satsuki, sono facili da formare perché crescono rapidamente, emettono nuovi getti in continuazione, ed in tutte le direzioni. È però necessario stimolarle adeguatamente affinchè questo avvenga! Non dimentichiamo per prima cosa la loro natura, ed il loro carattere tipicamente arbustivi, il famoso detto ”taglia e lascia crescere”, è un motto perfetto per la formazione delle satsuki. Per mantenere le nostre azalee sane, forti e vigorose, è consigliabile rinvasarle spesso, quasi tutti gli anni, soprattutto se non disponiamo di una sufficiente riserva di acqua piovana, quindi tenera e priva o quasi di carbonati. E’ questo un ottimo sistema per prevenire crescite stentate, clorosi ed indebolimenti vari. Il delicato apparato radicale delle azalee, soffrirebbe tantissimo di un pH non più adeguatamente acido, a causa dell’azione tampone dei carbonati. Dopo il rinvaso, superata la prima fase di stress, la nostra pianta si impegnerà intensamente a formare dappertutto nuove vegetazioni, soprattutto se contestualmente al rinvaso, abbiamo tolto tutta, o quasi, la vecchia vegetazione! Il “debà”(debà = perimetro del palco) di questa azalea shohin (Fig. 1), è oramai fuori dalle dimensioni massime.

Fig. 1 - Dopo la fioritura è necessario intervenire con una potatura mirata a ridimensionare i palchi.

56


L’essenza del mese

57 AZALEA - Roberto Smiderle Non voglio che questa pianta acquisisca eccessivo vigore, né che cambi troppo forma, mi piace così come è. D’altra parte non è stato facile arrivare a questa fase della formazione, è mia intenzione quindi farla durare il più a lungo possibile! Per questo la coltivo solo con acqua piovana “riposata” (Fig. 2), con concimazioni e potature mirate, al fine d’ottenere il mantenimento delle forme e delle dimensioni attuali.

Fig. 2

Fig. 3 - Una bella pulizia da muschio, erbacce e dalla terra annerita superficiale, con uno spazzolino a setole dure, aiutati da un vecchio bidone aspiratutto(!!!), è proprio necessaria!

Fig. 5 - Questa azalea shohin è invece ad inizio carriera

Fig. 4 - Tolgo tutti i semi che si stanno formando dopo l’abbondante fioritura, e con una potatura leggera e mirata sistemo il debà dei palchi, riportandolo ad una dimensione pressoché perfetta. Ecco il risultato.

Fig. 6 - E’ stata lasciata crescere liberamente, ben concimata, e coltivata in un vaso eccessivamente grande, ora è pronta per un intervento di inizio carriera.

Fig. 7 - Ecco qua la nostra satsuki a fine potatura. Ora si può procedere con il rinvaso.


L’essenza del mese

AZALEA - Roberto Smiderle Questa azalea shohin (Fig. 5) è invece ad inizio carriera. E’ stata lasciata crescere liberamente, ben concimata, e coltivata in un vaso eccessivamente grande, ora è pronta per un intervento di inizio carriera (Fig. 6). Potando drasticamente buona parte dei rami, senza lasciare foglie, si stimolano le gemme latenti ad uscire fuori e a mostrare il meglio di loro. Al contrario i rami che non desidero che si allunghino o che si intensifichino, li lascio intatti con le loro foglie apicali, togliendo solo il seme che si stava formando dove prima cera un fiore. In questo modo non cresceranno molto; inoltre, in autunno, perderanno le foglie vecchie.

Fig. 8 - Sempre con l’aiuto del vecchio aspirapolvere...

Fig. 9 - Quale sarà quello più adatto?

Fig. 11 - Questo verde? Non è male.

Fig. 10 - Eccola pronta per il rinvaso.

Fig. 12 - O questo bianco? No, questa volta non voglio angoli retti.

Fig. 14 - Alla fine ho deciso: questo! Tanto, prima che la mia azalea sia formata, ho tutto il tempo di rivalutare questa scelta….

Fig. 13 - Oppure questo? No, troppo grande...

Fig. 15 - Dopo una decina di giorni, la risposta al nuovo vaso non si è fatta attendere: nuovi germogli dappertutto!

58


L’essenza del mese

59 AZALEA - Roberto Smiderle

Fig. 16 - Ecco come le gemme latenti si sono attivate producendo nuovi e vigorosi germogli .

Anche se si sarebbe potuto fare, ho preferito non impostare i rami di questa satsuki con il filo di alluminio, sarebbe stato uno stress inutile. Ho rimandato l’impostazione di base dei rami al prossimo anno, quando anche i nuovi getti si saranno formati e consolidati. Allora avrò la situazione ben più chiara e potrò intervenire correttamente. L’avventura è appena cominciata, ma l’emozione è già grande! Un consiglio sulla conservazione dei fiori “diversi” nelle vostre satsuki come questa (Fig. 17). Se non volete perdere i fiori di colore diverso, perché sono importanti, contrassegnate i rametti che li portano con un anello di filo (Fig. 18) o con qualcosa che vi aiuti a riconoscerli; in questo modo, non rischierete di tagliarli durante le potature di mantenimento.

Fig. 17

Fig. 18

Buon lavoro gentili amici bonsaisti, il vostro Roberto “Banzai” Smiderle


Note di coltivazione

I BIOSTIMOLANTI - Luca Bragazzi

I Biostimolanti - II parte

di Luca Bragazzi

Tra le principali sostanze naturali biostimolanti utilizzate per la formulazione di prodotti presenti in commercio, troviamo le sostanze umiche e gli estratti di alghe. Entrambi i prodotti vengono ottenuti secondo metodi di lavorazione diversi e pertanto i loro risultati sono altrettanto differenti, anche se su di un punto convergono i risultati: sia i primi che i secondi hanno un effetto sulle piante ormonosimile ed in particolare di tipo auxinico. Le sostanze umiche vengono estratte da torbe, leonardite ecc., ottenendo due frazioni: acidi umici e fulvici. I primi con dimensioni molecolari più grandi ed i secondi, molto più attivi a livello vegetale, con dimensioni molecolari più piccole. Gli effetti di queste sostanze sono molteplici, sia come ottimi miglioratori delle varie attività biotiche del terreno (microfauna e microflora terricola), sia a livello di un migliore svolgimento dei processi fisiologici vegetali, dei quali si è osservato un miglioramento in termini di assorbimento radicale di alcune sostanze, in particolare ferro e zinco, grazie alla naturale azione chelante delle sostanze umiche che rendono meglio disponibili i microelementi. Gli estratti di alghe, come è noto, sono sostanze derivanti da alghe marine. Queste, raccolte sia nei mari del Nord, ma anche ai Tropici, appartengono a generi diversi e le più usate sono Fucus, Macrocystis, Ecklonia ecc.; in base alla specie e al periodo di raccolta cambia anche l’effetto biostimolante nel vegetale. I più importanti risultati ottenuti in seguito al loro utilizzo sono il miglioramento dell’intero sviluppo della pianta in termini di regolazione dei processi d’allungamento di nuovi germogli, con riduzione degli internodi, migliore sviluppo delle radici ed aumento dell’efficacia d’assorbimento, sia per via radicale che fogliare. Altro importante risultato è l’aumento dell’efficacia del sistema interno di protezione della pianta contro patogeni e soprattutto contro stress ambientali (basse ed alte temperature, siccità, suoli sodici ecc.). Dai benefici constatati dall’utilizzo di prodotti ad azione biostimolante nella coltivazione bonsai, si deduce che un loro utilizzo è auspicabile e, considerando le condizioni quasi estreme di crescita, quali quelle di vasi piccoli e poco profondi, è anche consigliabile. Controindicazioni al loro utilizzo ci sono e sono quasi tutte imputabili ad un loro incontrollato ed a volte ingiustificato impiego: per avere massimi risultati è meglio applicarli a basse concentrazioni con una maggior frequenza, anziché a dosi più elevate e sporadicamente. Luca Bragazzi

60


61

Tecniche bonsai

LA LEGNA SECCA - Antonio Acampora

La legna secca Articolo a cura di Antonio Acampora

Quanto più difficili sono le condizioni ambientali ove crescono le piante, tanto maggiore sarà la presenza di legno secco che, unitamente a tronco e rami contorti, darà un aspetto drammatico all’insieme. Gli yamadori, cioè gli alberi raccolti in natura, sovente si presentano così all’osservatore. È appunto tale effetto che il bonsaista cerca di ricreare nella propria pianta da vivaio. Esistono tecniche che permettono di ottenere risultati somiglianti. Prima, però, di applicarle è necessario accertarsi che le qualità specifiche dell’albero siano adatte alla creazione di legno secco. La scelta delle conifere è anche sostenuta dal fatto che il legno di queste piante è ricco di resina e perciò resistono meglio all’aggressione degli agenti atmosferici, inoltre un jin non aggiunge alcun senso di naturalezza al bonsai se non esistono nell’albero quei particolari che chiariscono come e perché si è formato: se un ramo muore, ad esempio è perché non riceve più luce trovandosi nascosto da un ramo superiore. Il legno morto è espressione di un ambiente naturale sfavorevole, quindi i rami e le foglie della pianta da scegliere devono mostrarsi in armonia con quest’aspetto. Questo concetto rende adatti alla lavorazione del legno morto ben poche specie, tra le quali vi sono specialmente conifere, es. ginepri sabina e fenicio, prunus e piante mediterranee quali l’olivo, il bosso, la phillirea. In generale ben si adatta ad alberi dal legno duro che resistono all’esposizione degli agenti atmosferici. Per le latifoglie, ad eccezione di quelle sopra menzionate, il jin non è indicato e pertanto il taglio del ramo verrà effettuato netto alla sua base. Secondo dove si realizza questa specifica tecnica, la zona di legno secco ottenuta è identificata in arte bonsai con nomi diversi. Fig. 1 - Albero in natura con vaste zone di legna secca

Jin

Sono traccie di rami che raccontano di intemperie ed avversità. Quando la parte secca è presente all’apice della pianta colpito da un fulmine, prende il nome di ten jin; ten in giapponese significa alto, ma ha anche il significato spirituale di cielo; (l’imperatore nipponico, figlio del cielo, ha tra i suoi nomi quello di ten-no,) oppure è presente solo su un ramo o sezione di ramo. Viene effettuato soprattutto sulle conifere, e tra queste, trovano la loro massima espressione in ginepri contorti e sofferenti, quali J. sabina e J. phoenicea raccolti in natura. Poiché in natura il loro ambiente naturale è costituito da zone impervie, dove i fattori climatici sfavorevoli causano queste modificazioni. I jin servono non solo per donare fascino alla pianta, ma anche come accorgimento per ridurne l’altezza, nascondere una brutta capitozzatura o dissimulare un moncone di ramo. E’ da tener presente che il jin costruito con un ramo vivo si consumerà in breve tempo, mentre quello fatto con un ramo spezzato da uno, due anni non marcirà facilmente, dato che durante questo periodo si sarà impregnato di resina. Inoltre all’attaccatura del ramo spezzato si determina il confine tra la parte viva e quella morte. Se invece si scorteccia un ramo vivo, lasciandone il colletto, la corteccia alla base mantiene le sue funzioni vitali, e cicatrizza creando uno sgradevole ingrossamento. E’ importante scortecciare anche il colletto del ramo spingendosi lungo il tronco nella parte sottostante il jin. La base del jin dovrà avere una forma di fiamma rovesciata.

Shari

Quando il disseccamento interessa l’intero tronco. In questo caso occorre fare molta attenzione a non scortecciare la parte che affonda nel terriccio per non provocare marciumi al colletto; è importante inoltre, garantire il flusso della linfa lungo la zona trattata. Anche lo shari viene utilizzato soprattutto sulle conifere, preferibilmente adulte. Tra i fattori che provocano lo shari ricordiamo: per i pini l’esposizione al sole violento, quando manca l’acqua. Quando sul tronco mancano completamente i rami da un lato, la corteccia si secca. Questo può accadere anche quando si pota un unico grosso ramo, solo su un lato. Oppure quando si pota o muore una grossa radice, di


Tecniche bonsai

LA LEGNA SECCA - Antonio Acampora conseguenza questa radice si secca causando la morte del vaso linfatico ad essa collegato e della corteccia.

Fig. 2 - Esempio di jin in natura

Fig. 3 - Tipico esempio di shari

Sabamiki

Uromiki

Fig. 4 - Un sabamiki in natura

Quando il tronco è scavato in parte o spaccato. Questo tipo di effetto viene creato soprattutto allo scopo di eliminare difetti del tronco come antiestetiche cicatrici. Le essenze che si prestano maggiormente a quest’ applicazione sono sopratutto le Querce, i Castagni, i Prugni, ma anche le conifere Tronco profondamente cavo fino alla base dell’ apparato radicale.

Fig. 4 - Sezione del tronco

La funzione del sistema vascolare

Il fusto trasporta acqua alle foglie per sostituire le quantità d’acqua che esse perdono con la traspirazione. Trasporta anche i prodotti della fotosintesi dalle foglie per

62


Tecniche bonsai

63 LA LEGNA SECCA - Antonio Acampora nutrire le parti non fotosintetizzanti della pianta (radici, fiori e frutti) e molte cellule non fotosintetizzanti del fusto stesso. Queste funzioni di trasporto vengono svolte dal sistema vascolare della pianta. Cellule che facilitano il sostegno meccanico sono presenti sia all’interno del sistema vascolare che al suo esterno. Il sistema vascolare di una pianta è costituito da due tessuti strutturalmente e funzionalmente assai diversi, lo xilema o tessuto legnoso ed il floema o libro, deputato al trasporto dei prodotti della fotosintesi. Questi due tessuti sono sempre separati, ma tipicamente decorrono secondo direzioni parallele, fianco a fianco Tra lo xilema ed il floema è interposto il cambio vascolare, una sottile lamina di cellule in divisione invisibile a occhio nudo, che determina l’accrescimento in diametro del fusto. Se prendiamo ad esempio il ginepro, vediamo che la capacità di spingere l’umidità verso l’alto è del 90% . Aggiunta a questa spinta ci sono le pressioni che fanno muovere l’umidità lateralmente diagonalmente e verso il basso. Da questo meccanismo si può analizzare quali piante hanno maggiori o minori capacità di tollerare le incisioni sul fusto. Come creare jin e shari

La legna secca è una tecnica molto usata nella creazione dei bonsai, soprattutto quando si utilizza materiale da vivaio di grandi dimensioni. Invece di utilizzare esclusivamente il procedimento della potatura drastica, si scelgono e si scortecciano, alcune zone trasformandole in jin e shari, con le quali sarà più semplice dissimulare le tracce della potatura di creazione. Scortecciare il tronco è un’operazione da effettuare con molta cura. Se si rimuove la corteccia nel modo errato, si rischia di perdere dei rami, poiché qui scorrono i vasi linfatici che trasportano la linfa. Spesso i vasi linfatici non scorrono verticalmente lungo il tronco, ma si avvolgono intorno ad esso, pertanto è indispensabile determinarne la direzione di scorrimento prima di iniziare il lavoro. Ecco come si procede: 1) Individuare le zone infossate raschiando delicatamente il tronco con uno spazzolino metallico, si rimuove dall’albero in lavorazione la vecchia corteccia, scoprendo il movimento dei vasi linfatici. I primi ad essere eliminati saranno i meno attivi, per esempio quelli che sono collocati intorno ai tagli dovuti alla potatura dei rami: qui la corteccia apparirà leggermente infossata. In mancanza di cicatrici, osservando il tronco con attenzione si possono distinguere comunque quelle zone nelle quali i vasi linfatici sono poco attivi, poiché anche in questo caso la corteccia si presenta leggermente infossata. 2) Incidere definendo con precisione i margini. Individuate le zone è consigliabile segnarle e delimitarle con una sgorbia o un coltellino premendo verso l’interno con un angolo di quarantacinque gradi, abbozzando cosi lo shari. L’individuazione del decorso delle vene è alquanto complessa. Non è necessario completare il lavoro in un’unica volta: all’inizio, più vasi vengono lasciati intatti meglio sarà: va tenuto presente però che tutte le zone superflue andranno gradualmente scortecciate. 3) Dare rilievo al legno secco, riducendo il numero dei rami e sfoltendo la vegetazione. A questo punto si può operare una prima selezione e potatura dei rami. Al fine di porre in rilievo jin e shari la ramificazione deve essere ridotta il più possibile, ma inizialmente i rami alimentati direttamente dalle vene vive dovranno essere lasciati crescere liberamente. Col passare del tempo le vene vive si ingrosseranno e la legna secca apparirà molto più naturale. Nel modellare il legno secco, conviene assottigliarlo gradualmente, controllando passo dopo passo che sia mantenuto l’equilibrio con le zone vive. La scultura del legno si basa sulla creazione di diversi “piani ottici“, ossia pieni/vuoti, chiaro/scuri che daranno profondità e naturalezza al risultato finale. Con l’aumento dei rami e della vegetazione le vene tenderanno ad ingrossarsi. Per evitare che si estendano troppo, occorre ogni anno intaccare leggermente i margini poiché in questo modo, non solo acquisiranno una forma arrotondata e matura, ma risalteranno maggiormente . È fondamentale ricordarsi di effettuare costantemente (una volta all’anno) trattamenti in estate con liquido jin diluito (la proporzione è 1:5 per le latifoglie, e 1:3 per le conifere o a scelta del bonsaista in base all’effetto che vuole rappresentare, a volte si aggiunge della tempera nera o fuliggine per attenuare il colore bianco del liquido essiccato ), allo scopo di evitare problemi di marcescenza e attacchi fungini. Nel caso di legno secco appena scolpito da una parte viva, non si applica subito il solfuro di calcio che penetrando nei tessuti comprometterebbe la salute. Conviene aspettare da 6 mesi ad un anno, il completo disseccamento della zona scortecciata.


Tecniche bonsai

LA LEGNA SECCA - Antonio Acampora Lo sbiancante per il legno nudo

Quando il lavoro di scultura del legno è stato ultimato e la parte debitamente rifinita ed è passato un certo periodo di tempo, giunge il momento di applicare uno speciale preparato chiamato liquido jin, lo scopo principale del preparato è quello di fare da conservante della legna, impedendo che con il tempo marcisca. Per questo lo zolfo agisce da fungicida e la calce da pietrificante; l’effetto sbiancante si realizza perché è questo il colore che assume in natura la parte morta di una pianta. Per la preparazione a casa, vediamo come fare.

Ricetta per il solfuro di calcio

Si mescolano 60 g. scarsi di calce idrata da giardinag­gio a circa 8 l. d’acqua e si porta ad ebollizione me­scolando lentamente. Si aggiungono un po’ al­la volta 85 g. di fiori di zol­fo, rimestando in continua­zione la soluzione e man­tenendo il tutto in leggera e costante ebollizione. Dopo un certo tempo lo zolfo si scioglierà ed il composto assumerà un co­lore giallo-bruno. La calce impiegherà più tempo a solubilizzarsi, la­sciando spesso tracce den­se che non scompaiono comunque. Fate raffreddare, scolate il liquido e fil­trate utilizzando uno strac­cio di nylon, versando quindi in una bottiglia. È importante eseguire l’operazione fuori dalle pa­reti di casa, possibilmente in una zona ben ventilata del giardino, perché i fumi prodotti dalla soluzione, di per loro poco gradevoli, ri­sultano spesso tossici. Tenete il solfuro di cal­cio fuori dalla portata dei bambini; per precauzione, applicate alla bottiglia un’etichetta con l’insegna che solitamente si accom­pagna ai veleni.

Alcune regole di base

Quelli che seguono sono consigli generici. Prima di lavorare sulla pianta esercitarsi fino a quando non si acquisirà una certa sicurezza su pezzi di rami o tronchi morti e questo consiglio vale anche per la vostra sicurezza dato che gli attrezzi che andate ad adoperare sono tutti affilatissimi non è la prima volta che un principiante deve ricorrere a diversi punti di sutura alla mano o qualche dito! Questa esercitazione vi servirà, anche per dosare la pressione dei vostri bisturi, delle vostre lame ed evitare pressioni esagerate sulla corteccia o di sbagliare la zona da circoscrivere. Se non siete tanto precisi,disegnate con un pennarello la zona da rimuovere e poi procedete con un coltello. Nella rimozione della corteccia o del legno procedete sempre con molta gradualità e progressione: meglio togliere poco materiale alla volta che sbagliare senza possibilità di rimediare all’errore e quindi mettere a rischio la vita della pianta.

Quali attrezzi adoperare?

Dipende dalle vostre esigenze, e dalla pianta che andrete a lavorare e anche dalla dimensione dei rami e dei tronchi: sono indispensabili una serie di coltelli e cutter che potrete reperire benissimo in un negozio di articoli di belle arti. Utili una serie di sgorbie e scalpelli usati dagli scultori o dagli ebanisti: necessari anche attrezzi giapponesi per scortecciare e poi una serie di frese adoperabili con fresatrice elettrica o con utensile similare che potrete trovare nei negozi di ferramenta. Se conoscete un dentista o un odontotecnico vi potrete fare regalare frese che il vostro amiFig. 5 - Attrezzi elettrici usati per la legna secca co non usa più. Antonio Acampora

64


65

Vita da club BONSAI CLUB CASTELLI ROMANI - Claudio Cofani

Bonsai Club Castelli Romani di Claudio Cofani

Il Bonsai Club Castelli Romani si costituisce nel 1990 con lo scopo di divulgare la conoscenza del BONSAI nei suoi aspetti tecnici, culturali e scientifici; conoscenza che si concretizza attraverso incontri, conferenze, organizzazione di mostre e qualsiasi altra iniziativa ritenuta idonea alla diffusione di quest’Arte. Il B.C.C.R. è un’associazione che non ha scopo di lucro ne’ carattere commerciale, politico o religioso. Nel corso di questa ultra decennale attività, le capacità dei soci nella creazione e coltivazione del Bonsai sono notevolmente migliorate, e alcune loro creazioni hanno ottenuto riconoscimenti in numerose mostre regionali e nazionali. Nel 1996 il club è stato uno dei promotori del “Coordinamento Lazio Bonsai e Suiseki”, nato con lo scopo di organizzare le attività di tutti i Club del Lazio. La più importante manifestazione del Coordinamento è stata la Mostra Regionale ed il B.C.C.R. ha avuto l’onore, nell’anno 2000, di organizzarne la quarta edizione. Il Club cura l’organizzazione di corsi che trattano i seguenti temi: Storia, formazione e mantenimento dei bonsai Riconoscimento delle varie essenze Scelta del terreno più idoneo alla coltivazione dei bonsai Malattie delle piante ed uso degli anticrittogamici Tempi e modi della concimazione. Attualmente i soci del B.C.C.R. si riuniscono presso i “Vivai Graziella”, in Via Appia Nuova (davanti Aeroporto Ciampino). Gli incontri sono alternati da passeggiate ecologiche, per l’osservazione delle condizioni di vita delle piante nel loro habitat naturale o visite ai maggiori siti bonsai italiani. Vengono anche organizzate giornate a tema, dedicate alla trattazione di problemi specifici relativi alla creazione ed al mantenimento di piante bonsai che, di volta in volta, sono presentate dai soci ed incontri con altri club per conoscere e sviluppare tecniche di lavorazione con altri appassionati bonsai. L’anno 2007 per il B.C.C.R. è stato caratterizzato dallo svolgersi di due eventi fondamentali: il primo legato all’ospitalità data dal club alla prestigiosa Scuola d’Arte Bonsai che si fregiava della collaborazione del maestro giapponese Hideo Suzuki. Infatti, grazie alla caparbietà e alla tenacia, nonché alle capacità organizzative del Presidente del Club, si è svolto il 1° Corso Bonsai della Scuola d’Arte Bonsai. Un grande successo di partecipazione, che ha visto i partecipanti confluire da diverse parti d’Italia, e non solo dalle zone limitrofe al Club. Possiamo dire che questo incontro ha colmato un vuoto, tra gli appassionati delle zone centrali della nostra penisola, che dovevano spostarsi al nord per trovare risposte al loro desiderio di miglioramento e di crescita nelle tecniche e nello stile che connotano l’arte giapponese del bonsai. Grazie alla saggezza ed alla conoscenza del maestro Suzuki, si sono notati subito notevoli miglioramenti, che hanno stupito gli stessi partecipanti all’iniziativa. Infatti, i lavori effettuati in quei giorni hanno raggiunto un livello tale da rappresentare potenziali capolavori futuri. Il secondo evento è rappresentato dall’organizzazione della IX mostra Bonsai & Suiseki presso i cortili delle Scuderie Aldobrandini del Comune di Frascati. Questa mostra ha visto la gradita partecipazione anche dei Club Bonsai di Cisterna di Latina e di Roma. La massiccia presenza di pubblico è stata confermata dalle centinaia di schede votate nel concorso indetto dal club per premiare quanti, tra i visitatori, avessero apprezzato la manifestazione, esprimendo il proprio gusto estetico in materia di bonsai. E’ stato quindi un giusto premio allo sforzo dei soci che hanno contribuito al successo dell’iniziativa. La divulgazione di consigli, tecniche, suggerimenti ha avuto come effetto quello di appassionare a tale forma d’arte molte persone che, a volte con diffidenza o preoccupazione, guardavano al mondo bonsai come ad un paese meraviglioso e impenetrabile, o, peggio ancora, ad un luogo di tortura per poveri esseri viventi. L’amore espresso da coloro che vivono il bonsai ha coinvolto talmente tanto i visitatori che il BCCR ne ha beneficiato in termini di nuove iscrizioni. Il BCCR ha inoltre perpetuato una tradizione che ormai li vede protagonisti da più di 10 anni. L’organizzazione di una mostra a scopo benefico che si svolge ad Albano Laziale presso il convento dei Frati Cappuccini, in occasione della festa di San Francesco, che serve per raccogliere fondi da destinare in beneficenza. L’anno 2008 ha inoltre rappresentato per il BCCR l’occasione di dimostrare la propria “maturità” nell’organizzazione degli eventi sociali, in quanto quest’anno ricorreva il decennale della mostra di Bonsai e Suiseki della città di Frascati. Grazie all’incredibile entusiasmo e alla disponibilità del Sindaco di Frascati, Sig. Franco Posa, che ha ospitato la mostra nei locali del Comune di Frascati, ed alla verve creativa ed organizzativa dei soci, è scaturita la più bella mostra mai organizzata dal nostro club. Lo splendido scenario delle sale comunali, nelle quali sono stati presentati degli esemplari di autentico pregio, accompagnato dalla partecipazione di una scuola di ikebana, e di un maestro di shodo, ha visto la manifestazione popolarsi di tantissimi visitatori, che hanno molto apprezzato gli eventi proposti, e che sono stati motivo di orgoglio per tutti noi. Anche per l’anno 2008 il BCCR ha ospitato la Scuola d’Arte Bonsai, che ha visto quest’anno la prestigiosa guida del maestro Mr Keyzo Ando, che ha portato in Italia la delicatezza e il fascino della visione orientale del bonsai, arricchendo i partecipanti al corso della sua vasta cultura. Anche per il 2009, il BCCR non ha mancato all’appuntamento con la sua tradizionale mostra per onorare con la propria presenza l’impegno per divulgare a quante più persone possibile l’amore ed il rispetto per la natura e per gli altri. Valori che incarnano i


Vita da club BONSAI CLUB CASTELLI ROMANI - Claudio Cofani principi a cui si sono ispirati i fondatori del club ed a cui tuttora si ispirano coloro che fanno parte dell’associazione. La mostra tenutasi nelle sale del Palazzo Comunale è stata visitata da un gran numero di persone, anche se in numero minore rispetto allo scorso anno, forse per il gran caldo che ha favorito la fuga dalle città e la corsa verso il mare. Quest’anno la collocazione temporale della mostra nel mese di maggio ha fornito l’opportunità a molti visitatori di apprezzare le bellezze del territorio, vista la concomitanza della manifestazione “Giochi d’acqua” che consentiva di fare il giro delle ville tuscolane e visitarne le più belle. (L’elenco completo delle ville è reperibile sul sito del Comune di Frascati). I premi per i bonsai sono andati al socio Valentino De Vitis del BCCR, nonché vice-presidente ed a Giovanni Vegliandi del Bonsai Club di Cosenza, mentre per i suiseki il premio è stato dato a pari merito a Fabrizio Buccini (Bonsai Club Rieti) e Daniela Schifano (B.C.C.R.). Tutti i club partecipanti sono stati omaggiati dei prodotti tradizionali dei castelli romani: Olio , Vino e Miss Frascati. Claudio Cofani

Di seguito alcune foto scattate durante la XI Mostra Nazionale Bonsai & Suiseki di Frascati

66


67

Vita da club BONSAI CLUB DI LORENA - Lino Pepe

Bonsai Club di Lorena di Lino Pepe

Il BCL (Bonsai Club di Lorena) esiste da una trentina d’anni e per i primi venti ha fatto bonsai come si usava in molti altri club francesi o occidentali, vale a dire come hobby, come attività ricreativa. All’epoca le conoscenze sul bonsai erano frammentarie e mancavano sia le persone qualificate che potessero indirizzarci, sia i contatti con il Giappone. I bonsai prodotti dai membri erano delle piantine nanificate certo, ma senza alcuna caratteristica di vero bonsai. Alla fine degli anni ’90 venne invitato al club Salvatore Liporace, e da quell’incontro nacque nel club un rinnovato entusiasmo, ed una nuova voglia “di fare”. Da allora le ambizioni di questo club sono molto cresciute. Nel 2003 il club organizzò il Congresso Nazionale Francese; da quel momento molti membri si sono impegnati attivamente per partecipare a congressi internazionali come i quelli dell’EBA, Mistral, Ginkgo Award ecc. Molti altri iscritti, avidi di imparare ed ormai consci della visione francese un po’ troppo ristretta, si sono iscritti a scuole come l’EEBF di Salvatore Liporace o la Scuola d’Arte Bonsai con Hideo Suzuki, e non hanno più smesso di viaggiare, frequentare congressi, incontrare maestri e istruttori. Due volte al mese, viene “consacrata” un’intera giornata alle lavorazioni sui bonsai; lavorazioni sempre coadiuvate da lezioni teoriche. Inoltre annualmente, durante due interi week-end, diversi istruttori sono invitati a presentare al club le loro esperienze e a condividere la loro visione del bonsai. Dal 2008 il BCL é l’organizzatore del Trofeo delle quattro Frontiere, evento così denominato a causa del fatto che Metz é città frontiera tra la Francia, il Belgio, il Lussemburgo e la Germania. Questo Trofeo vuole portare avanti un bonsai d’alto libello, creativo, nell’intento di sviluppare ed incrementare una visione europea del bonsai; é un evento aperto a tutti i partecipanti europei che vogliono mettersi in gioco con un bonsaismo “di alto livello”, al di là delle frontiere, delle scuole e degli interessi personali! Lino Pepe


Il Giappone visto da vicino IL GIAPPONE: L’IMPERO DEI GESTI - Antonio Ricchiari

Il Giappone:

l’impero dei gesti Articolo a cura di Antonio Ricchiari

Il Giappone è luogo di ombre, di silenzi, di vuoti, di gesti misurati, di sguardi chini. Nessuno grida, per quanto l’umanità brulichi. La visione estetizzante ha il merito di superare la contrapposizione dialettica tra materialismo e spiritualismo e di comprendere entrambi in una dimensione cosmica e vitalistica, senza tuttavia modificare il ruolo assegnato all’Oriente sulla base di un’equazione che identifica in esso gli impulsi emozionali e nell’Occidente la forza della ragione. Flavia Arzeni scrive che “la diversa sensibilità artistica giapponese non si volge verso la natura per coglierla nella sua interezza e vastità, nella sua dimensione per così dire romantica, che sovrasta e trascende quella dell’uomo, ma la filtra attraverso schemi culturali per ridurla alla portata e alla disponibilità dell’individuo. Vi è un’altra affinità, forse ancora più appariscente. L’arte orientale in genere, e quella giapponese in particolare, tende a separare la realtà visibile in frammenti e a dare a uno o a alcuni di essi il significato del tutto. E’ il procedimento che ispira la pittura Kanō e della sua scuola, che sta alla base di un haiku o di un ikebana”. Eleganza del gesto, ovvero regola codificata, quando il corpo esegue un gesto con significato: mai gesticolare a caso, senza la consapevolezza che si sta comunicando qualcosa o che si sta offrendo un’immagine della propria apparenza che conta molto più della sostanza. E poi come può esistere sostanza senza forma? Eleganza, cioè rigore anche del corpo immobile che deve assumere una postura tale da dimostrare come l’assenza di movimento non implichi abbandono ma concentrazione, preludio al gesto. Codici rigorosi quindi per il giapponese quando esegue una qualsiasi funzione, anche la più semplice, che lo impegna nella totalità del proprio essere. Nei megastore le ragazze degli ascensori compiono, a ogni piano, un gesto preciso con la mano calza un guanto bianco, annun­ciando allo stesso tempo il piano al quale si è giunti e invi­tando i clienti a scendere; poi, con un gesto simile ma con una variante per la quale la mano si rivolge all’interno con il braccio alzato all’altezza del petto, invitano a acco­modarsi chi deve salire ai piani superiori. Questo gesto, ripetuto fino a diventare naturale, sacralizza il mestiere di ascensorista, af­f ascina gli occidentali anche se molti lo trovano eccessiva­ mente manierato. Cosi è per gli inchini che, sempre nei megastore, le ra­gazze che attendono i clienti accanto al primo gradino della scala mobile, eseguono con precisione rigorosa, sempre con la stessa esatta curvatura della schiena. Il rituale degli inchini devono impararlo tutti, fin da bambini. Ci si inchina, sia pure in maniera appena percettibile, anche quando si risponde al telefono. Per questo i nuovi assunti, in una banca o in una qualsiasi altra azienda, seguono dei corsi di istruzione collettivi sul modo di

68


Il Giappone visto da vicino

69 IL GIAPPONE: L’IMPERO DEI GESTI - Antonio Ricchiari parlare al telefono. Radunati in una stanza, con un foglio di carta in mano ripiegata a cono che, con la destra, tengono all’altezza della guancia, leggermente protesi in avanti, si concentrano prima di dire, in coro, mushi mushi, cioè “pronto”. Al turista capiterà di osservare, in una qualsiasi stazione della metropolitana di Tokyo, il gesto che compie il capostazione che attende, fermo sulla banchina, il convoglio in arrivo. Con la mano guantata di bianco, il braccio proteso in avanti, è come se benedicesse le rotaie. Così, quando il convoglio parte, il capotreno si sporge dal finestrino del vagone di coda e compie un simile gesto rituale. Sono gesti fine a se stessi il cui scopo è quello di far partecipare tutto il corpo alla sorveglianza che esercitano con l’attenzione dello sguardo. Sono estremamente dignitosi, eleganti. Ma questa codificazione dei gesti si applica con rigore ancora più estremo a quelle che si potrebbero definire attività arti­stiche, creative. Tutte le arti, in Giappone, sono conside­rate una Via, un Do. Quindi tutte le arti devono svolgersi secondo una regola, dal bushido, le arti marziali, alla cerimonia del tè, alla Ikebana, alla calligrafia. Osserviamo un maestro calligrafo: si concentra con il pennello in mano e poi, im­provvisamente, traccia di getto un capola­voro di ideogramma. Però quel gesto è stato ripetuto mille volte nella fase dell’ap­prendimento, per imparare a tracciare una linea ci sono voluti almeno due anni di ripetizione, sempre di quella stessa li­nea, sempre con la stessa angolatura e presa del pennello. Anche quando si com­pie la Cerimonia del tè, ogni posizione e movimento delle mani, dei piedi, di tutto il corpo, devono essere conformi a regole precise e lo stesso vale per la lotta Sumo, lo scontro tra due uomini nudi vestiti sol­tanto con un perizoma, due enormi masse di grasso che si sfidano in un minuscolo recinto sacralizzato: c’è soltanto una ripre­sa, lo scontro si risolve in un minuto, a volte in frazioni di minuto, il vincitore è quello che riesce a spingere fuori del recinto l’avversario seguendo una tecni­ca che ha appreso diligentemente dedicandovi anni. Però tutto si risolve nell’attimo, con l’effetto della massima ap­parente spontaneità. Così è anche per il karate, per una danza del Teatro Nō, dove quel che appare come arte è il risultato di ripetizione e concentrazione perché, si dice in Giappone, per riuscire a esprimere qualcosa bisogna che di questo qualcosa si sia profondamente impregnati. Sol­tanto allora si può essere liberi, creativi. O apparire come tali perché, giunti a quella che si può chiamare la perfe­zione, tra essere e apparire non c’è nessuna differenza. Osserviamo lo spazio domestico e i gesti di chi lo abita. Nella casa giapponese è seduto al centro di uno spazio di per sé non significante e gli arredi, piccoli e scorrevoli, sono disposti intorno. Non deve quindi raggiungerli, semplicemente portarli verso di sé, con gesti misurati, studiati. Vediamo come si entra in una stanza: gli occidentali varcano la soglia, stanno in piedi, salutano, si guardano attorno e poi si siedono su di una poltrona o su di una sedia posta intorno a un tavolo; i giapponesi invece no, cioè oggi giorno anche loro entrano e si accomodano su una sedia o un divano, ma non fa parte, della loro tradizione. Tradizionalmente ci si inginocchia, si apre con una mano la porta scorrevole, lo shoji, si entra senza rialzarsi, si richiude lo shoji, se è il caso ci si inchina, poi ci si alza e si cammina fino al punto, in cui ci si siede di nuovo, sempre per terra. La sequenza di movimenti è molto più complessa se si porta qualcosa; per esempio un vassoio: l’occidentale porta semplicemente il vas­soio nella stanza; il giapponese deve appoggiarlo per terra quando fa scorrere la porta; poi metterlo dentro, quindi riprenderlo in mano dopo essersi inchinato. Quando un giapponese porge il suo biglietto da visita, lo fa con due mani e con due mani bisogna riceverlo, affrettandosi a porgere contemporaneamente il proprio, sempre con tut­te e due le mani, perché è il gesto codificato e appreso che esprime la relazione tra due persone, non le parole delle quali i giapponesi diffidano. Le parole possono esse­re bugiarde, il gesto no. Anche se lo fosse, l’impegno e la disciplina necessari per apprenderlo, condizionano la falsità dell’intenzione al punto di smussarla; addirittura di annullarla. Ossessionati dalla rigi­da codificazione del loro comportamento, forse dovuta alla consapevolezza di essere sempre osservati e di dover quindi proiet­tare un’immagine dignitosa di se stessi, i giapponesi sentono la vergogna, dipen­dono dal giudizio degli altri in maniera to­tale; e gli altri possono essere sia la società nel suo insieme, sia gli appartenenti ad un gruppo preciso, a una data classe sociale, a un ordine professionale. Allora, alle consuete e generali regole di compor­tamento, se ne aggiungono di nuove, altri gesti e posture carichi di significato e de­cifrabili soltanto all’interno del gruppo, strumenti di comunicazione che esprimono dei valori par­ticolari che il rispetto della gestualità contribuisce ad af­f ermare. Da molti anni l’estetica giapponese si è trasfor­mata in una sorta di culto, la metafora di una tendenza del gusto spesso opposta a quella occidentale, perché la sensibilità estetica e il senso della bellezza nipponici in un certo senso contrastano con l’ideale artistico occidentale. Antonio Ricchiari


Il Giappone visto da vicino

NEL GIAPPONE DELLE DONNE - Anna Lisa Somma NOVELLE ORIENTALI - Anna Lisa Somma

Il Giappone visto da vicino Recensioni a cura di Anna Lisa Somma

Sono sempre stata dell’idea che spetti alle donne scrivere della condizione femminile; spesso, infatti, mi pare che gli uomini, nel trattare di ciò, manifestino un certo distacco o un fastidioso paternalismo. Ho apprezzato quindi fin dagli intenti Nel Giappone delle donne di Antonietta Pastore (Einaudi, 2004, pp. 204, 9,50 €): la studiosa, grazie al suo lungo soggiorno nel Paese del Sol Levante, ha acquisito una solida conoscenza dell’universo muliebre nipponico e ne dà prova nel testo. Esso è articolato in diverse sezioni, ciascuna delle quali è dedicata ad un tema (nell’ordine: matrimonio, famiglia, femminismo, divorzio, giovani, lavoro, mizu shōbai, arti tradizionali, terza età), delineato in modo sintetico e chiaro e, successivamente, descritto con numerosi esempi tratti dalla vita dell’autrice. Pagina dopo pagina, dinanzi ai nostri occhi si spiega un ventaglio di esistenze, talvolta vissute nell’ombra: studentesse, mogli, lavoratrici, artiste, ribelli, vedove… Ogni figura è diversa, ma accomunata alle altre dal difficile compito di essere donna, oggi (poiché, purtroppo, la femminilità ― prima che una condizione fisica e ontologica complessa ― è spesso percepita innanzitutto come un insieme di doveri e di ruoli). E se, ad uno sguardo veloce, il panorama può apparire statico, persino opprimente, è in verità attraversato da un silenzioso conflitto, che ha luogo principalmente all’interno della donne e per le donne, manifesto indizio del disagio verso se stesse e la società che contrassegna tuttora il processo di emancipazione, non solo in Giappone, ma, purtroppo, in gran parte del pianeta.

La Biblioteca universale Rizzoli, per festeggiare il suo primo sessantennio di vita, ripropone, insieme ad una serie di classici, una nuova edizione delle Novelle orientali di Marguerite Yourcenar (Rizzoli, pp. 120, 4,90 €). Il titolo lascerebbe intuire facili seduzioni levantine, eppure, in realtà, in questo caso appare difficile tirare in ballo, sbrigativamente, l’esotismo, coi suoi clichés e le atmosfere di maniera. Le pagine, difatti, appaiono quasi sottratte al deserto, alle fini pergamene, alle oziose ore di un pascià. Ma non c’è quiete: l’equilibrio e l’incanto si mostrano sempre sul punto di spezzarsi; soltanto la parola ― lieve, aggraziata, talvolta impalpabile ― riesce a distillare l’ombra inquieta che vaga su questi cammei dal sapore fiabesco, ma tutt’altro che infantili. Con la sua caratteristica, misurata eleganza, la Yourcenar fa rivivere sulla carta scenari da leggenda: il suo sguardo solca il Mediterraneo e si spinge ancora più in là, fino ad approdare sulle sponde dell’arcipelago giapponese. Qui è ritratto con estrema delicatezza l’ultimo amore dello splendente principe Genji (come ricorda l’omonimo titolo del racconto, ispirato al romanzo di Murasaki Shikibu) o, meglio, della Signora-del-villaggio-dei-fiori-che-cadono, concubina e dama d’onore che si consuma per lui nell’ombra da lunghi anni. Fra le innumerevoli amanti del Rifulgente, solo lei ha la tenerezza e la forza di restare al suo fianco nel romitaggio in cui il nobile attende la morte, dissimulando ogni giorno se stessa ed il suo passato con infelice devozione; ma il suo pertinace amore è destinato a scontrarsi con le squisite, ultime vanità del principe dalla bellezza divina, incapace di accettare l’inevitabile condizione di mortale.

70


71

Che insetto è?

PATOLOGIA VEGETALE VII parte - Luca Bragazzi

Patologia vegetale - Parte VII: LA PROCESSIONARIA

la Processionaria del Pino, il cui nome scientifico è Traumatocampa pityocampa, è caratterizzata dalla curiosa abitudine di spostarsi nel luogo dove si interrerà (per formare la crisalide) in forma colonnare, appunto in una processione. Questa, è mantenuta per tutto il tragitto dal nido fino al punto prescelto. Questa processione avviene in tarda primavera (Aprile-Maggio) dopo che hanno svernato nel nido tutte insieme. Il nido si presenta come un grosso involucro formato da una fittissima rete di fili biancastri e le sue dimensioni, a volte ragguardevoli e paragonabili ad una busta di plastica gonfia, lo rendono facilmente individuabile perché appeso alle branche giovani dei pini (Pinus spp). La lotta contro la processionaria, resa tra l’altro necessaria e obbligatoria dal D.M. del 1938, è purtroppo molto difficile da realizzare in quanto attacca piante di interesse forestale ad alto fusto come ad esempio i Pinus Nigra che possono raggiungere altezze anche di qualche decina di metri. La lotta la si effettua con mezzi meccanici come asportando il nido dal ramo a cui è appeso, oppure aprendogli un varco in pieno inverno per fare morire di freddo le larve, ma siccome le processionarie formano nidi molto numerosi nelle foreste di conifere, è risultato efficace irrorare le chiome degli alberi con prodotti a base di Bacillus Thuringiensis o con insetticidi sistemici ad azione larvicida ma applicati con mezzi aerei, che però sono risultati essere molto costosi. La processionaria del pino, non è solo dannosa a livello vegetale, ma anche a livello animale: purtroppo il corpo dei bruchi è interamente ricoperto da peli fortemente urticanti che possono facilmente innalzarsi con le correnti d’aria ed essere inalati, provocando fastidiosissime irritazioni alle vie respiratorie, ma anche irritazioni cutanee se a contatto con parti esposte (sugli animali e l’uomo). Il contatto diretto con tale patogeno dev’essere sempre evitato, in quanto non sono assenti casi veterinari letali di animali da compagnia venuti accidentalmente a contatto con processionarie in fase di spostamento su terreni forestali. Luca Bragazzi



09 20 o st go /A

n. 7/

io

I 8

magazine

gl

no

Bonsai&Suiseki

Lu

An

൬ས ዚ༉


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.