Bonsai & Suiseki
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magazine
Bonsai&Suiseki magazine
Anno I - n.3
Marzo 2009
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editoriale
Bonsai & Suiseki magazine Marzo ©
2009
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DIRETTO DA Antonio Ricchiari IDEATO DA Luca Bragazzi Antonio Ricchiari Carlo Scafuri REDATTORE Carlo Scafuri REVISORE DI BOZZE Dario Rubertelli Pietro Strada CORRETTORE DI BOZZE Giuseppe Monteleone PROGETTAZIONE GRAFICA Salvatore De Cicco IMPAGINAZIONE Salvatore De Cicco Carlo Scafuri FOTO DI COPERTINA Daniela Schifano Roberto Smiderle Carlo Gori HANNO COLLABORATO Antonio Acampora Angelo Attinà Massimo Bandera Rocco Cicciarello Nicola Crivelli Armando Dal Col Gian Luigi Enny Giovanni Genotti Luciana Queirolo Hans Vleugels Tutti gli scritti, le foto, i disegni e quant’altro materiale pubblicato su questo sito rimane di esclusiva proprietà dei rispettivi Autori che ne concedono in via provvisoria l’utilizzo esclusivo al Napoli Bonsai Club ONLUS a titolo gratuito e ne detengono il copyright © in base alle Leggi internazionali sull’editoria. E’ vietata la duplicazione e qualsiasi tipo di utilizzo e la diffusione con qualsiasi mezzo (meccanico o elettronico). I trasgressori saranno perseguiti e puniti secondo gli articoli di legge previsti dal Codice di procedura Penale che ne regolano la materia.
Capolavori
L’aspetto astratto e nello stesso tempo oggettivo, legato al singolo albero,si evidenzia soltanto dopo molti anni. Il trascorrere del tempo conferisce al bonsai una particolare armonia che pervade la pianta in tutte le sue parti. I capolavori sono perciò molto rari e ciò è legato non solamente alla tecnica ma soprattutto al trascorrere delle stagioni. Spesso nelle dimostrazioni si crede di creare capolavori usando piante raccolte in natura dove il tempo ha modellato il tronco principale ma, l’uomo si limita ad organizzarne la chioma. Il risultato può rispondere ad un equilibrio estetico che non si fonde e non si plasma nell’armonia acquisita dalle strutture portanti delle singole essenze modellate dalla natura nel tempo. Ogni capolavoro si presenta in modo naturale dove le regole bonsaistiche pare non esistano. Ogni essenza ha le sue esigenze d’accettazione delle regole; l’aspetto naturale proprio è sinonimo di splendido. E’ un’armonia legata ad ogni singola pianta ed esula dai rapporti strettamente dettati dalle regole. Non dobbiamo scoraggiarci se il risultato ottenuto è lontano da quello che ci eravamo preposto. Rispettiamo le regole che ci permettono d’aver opere non banali. Il tempo ci aiuterà. Un capolavoro nasce da un qualsiasi tipo di pianta,conifera o latifoglia, di un qualsiasi stile a lei adattato. Anche la più semplice e umile essenza non è da buttare ma seguire. Se le tecniche sono corrette avrete molte soddisfazioni. Il risultato ottenuto sarà certamente il capolavoro nel tempo che rispetta la vostra personalità e vi lega alla natura.
Giovanni Genotti
Sommario
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki pag. 01 “Giardini giapponesi” - G. L. Enny pag. 03 “Alla ricerca dei suiseki in fiumi e torrenti” A. Attinà
Mostre ed eventi pag. 05 “Nasce la Med Bonsai” - G. Monteleone pag. 09 “Noelandres Trophy” - H. Vleugels
In libreria pag. 11 “Il Bonsai dalla A allo Zen” - A. Ricchiari pag. 11 “Bonsai d’avanguardia” - M. Bandera Bouganvillea coll. Graham Potter
L’essenza del mese
Bonsai ‘cult’ pag. 12 “Amare il bonsai” - A. Ricchiari
pag. 28 “Bougainvillea” - A. Ricchiari
Note di coltivazione pag. 31 “I concimi organici - evoluzioni tecniche” L. Bragazzi
Tecniche bonsai pag. 32 “Il rinvaso” - A. Acampora
Vita da club pag. 35 “Bonsai Club Messina” - R. Cicciarello
Che insetto è? pag. 36 “Patologia vegetale - III parte” L. Bragazzi
La mia esperienza pag. 13 “Bosco di faggi su pietra” - N. Crivelli pag. 15 ”Percorso evolutivo di un acero campestre” A. Dal Col
A lezione di Suiseki pag. 19 “Sabbiatura: soluzione da scartare?” L. Queirolo
A scuola di estetica pag. 23 “Note sull’estetica dei bonsai - A. Ricchiari
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
I GIARDINI GIAPPONESI - Gian Luigi Enny
Giardini Giapponesi
Gli elementi compositivi Testo e foto di Gian Luigi Enny
Le pietre
ll giardino deve esprimere lo spirito di una tecnica che trova origine nell’attenta analisi dell’ambiente naturale quale fonte di ispirazione creativa, anticamente i giardinieri si dovevano spostare in varie località famose per il loro paesaggio prima di accingersi alla progettazione di un giardino che avrebbe dovuto esprimere, sebbene molto modificata, la bellezza catturata in natura, e proprio durante questi viaggi si raccoglievano pietre e sassi adatti alla costruzione del giardino. Quasi tutti i giardini giapponesi contengono nell’elemento strutturale solido-roccioso la materia fondamentale necessaria per appoggiare la base della sua realizzazione. In generale, il Giapponese, poco incline alla regolarità e alla simmetria, preferisce delle pietre che abbiano aspetto, forma e colore naturali quindi non levigate artificialmente, ma lavorate solo dai segni del tempo, dall’erosione dell’acqua e dal vento e in parte coperte di muschio che ne aumenti la patina dell’età e il valore decorativo. Per questo si devono scartare le pietre troppo regolari, quadrate o sferiche, o dai colori intensi. Anticamente, nel giardino ciascuna pietra ha sempre avuto una funzione ben precisa, poteva servire a riprodurre simbolicamente un’oca, una tartaruga, un airone o qualche altro animale secondo i miti cari alla tradizione, poteva venire impiegata per costruire paesaggi in miniatura in cui si rappresentavano monti immaginari, una cascata
La ghiaia rappresenta il mare, le pietre rappresentano le isole
le sponde di un ruscello, un corso d’acqua. Raramente le pietre venivano usate in modo isolato, ma in gruppi dove il singolo componente non poteva mancare o essere rimosso senza distruggere l’armonia dell’intera composizione. Normalmente, l’intero complesso roccioso deve garantire una sensazione di stabilità, ottenuta conficcando saldamente e profondamente ogni pietra nel terreno, nel rispetto del suo baricentro e del lato da mostrare,in armonia con l’ambiente circostante. Seguendo queste regola compositiva si imbriglia la forza minerale guidandola lungo una direzione prescelta e si spinge ciascuna pietra ad esprimere pienamente la propria forza e potenza, ricreando nello stesso tempo quei paesaggi in miniatura che ci portano con la fantasia ad idilliache passeggiate.
La ghiaia
Quasi tutti i giardini più antichi avevano al loro interno un grande lago navigabile. Il “giardino-isola”, era infatti un’autentica espressione del tipico paesaggio orientale che rappresentava la costa marina. L’isola era una delle componenti classiche del giardino giapponese. Con il nome “giardino-isola” era solito chiamarsi un tipo particolare di giardino di epoca antica che veniva costruito con l’intenzione di riprodurre in miniatura un autentico paesaggio marino. L’acqua aveva anticamente un preciso significato religioso, i laghetti avevano parecchie isole ognuna delle quali serviva per venerare una divinità. Anche nel “giardino-paradiso” la disposizione delle isole prevedeva che il luogo di culto principale contenente le divinità, venisse eretto sull’isola più grande raggiungibile attraverso ponti. Molto spesso sulle isole prevalentemente rocciose, il tipico paesaggio costiero viene riprodotto nell’associazione con esemplari di pino, simbolo di costanza e forza contro le avversità naturali. Nei secoli seguenti, il lago, senza perdere la sua importanza compositiva fondamentale, rimpicciolisce progressivamente fino a raggiungere, talvolta, anche le dimensioni di uno stagno molto ridotto. Con l’avvento della filosofia Zen il lago scompare nella sua realtà fisica, ma rimane simboleggiato dalla ghiaia il cui curato disegno allude al movimento dell’acqua.
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
I GIARDINI GIAPPONESE - Gian Luigi Enny Le isole rimangono come elemento compositivo anche con l’avvento delle tecniche Zen, il giardino secco verrà chiamato Karesansui dove l’acqua viene sostituita dalla ghiaia e le isole sono realizzate con poche pietre più o meno grandi in singolo o in gruppo numericamente limitato.
La cascata
La cascata, vista come contesto compositivo del giardino non è prettamente fondamentale,ma se si ha la possibilità di costruirla, dovrebbe integrarsi nel paesaggio riprodotto senza dare alcuna impressione di artificiosità. Per questo vengono utilizzati schermi vegetali, composizioni di pietre che associno la cascata a suggestivi luoghi di montagna, si inseriscono cespugli e piante dal fogliame colorato in autunno per favorire pregevoli effetti cromatici sull’acqua. La pietra rimane comunque la componente costitutiva indispensabile per la costruzione di una cascata forse più della stessa acqua che viene invece contenuta nel volume e nella portata, anche per ovvi problemi di manutenzione. La riprova della non necessità, a volte, dell’elemento acqua, si trova nelle realizzazioni aride del giardino Karesansui dove l’impostazione e la particolare forma delle pietre usate sono sufficienti a suggerire l’immagine e il carattere della cascata.
La vasca
Le vaschette di pietra vennero adottate nella tradizione del giardino del tè diventando così elementi fondamentali e caratteristici del suo arredo. Ne esistono di due tipi principali, il primo tipo è la vaschetta chiamata Chotsubachi più alta e di dimensione maggiore che serve esclusivamente per lavarsi le mani e viene posta per lo più in adiacenza all’edificio dal quale può essere utilizzata. L’altro tipo detto Tsukubai, usato prima di accedere alla cerimonia del tè, è formato oltre che dalla vaschetta vera e propria, da un raggruppamento di rocce con la funzione di appoggiare la lanterna e il mestolo di bambù e a potersi inginocchiare per raccogliere l’acqua da usare per la bevanda del tè.
La pavimentazione L’uso della pavimentazione in pietra risale al XVI in pietra secolo ovvero alla nascita del giardino del tè ed alla necessità di permettere un comodo passaggio a quanti venivano invitati per la cerimonia, evitando di rovinare le delicate superfici a muschio del giardino o di bagnarsi i piedi. Le pavimentazioni devono essere al tempo stesso funzionali e decorative. L’uso della pietra non deve comunque mai dare l’impressione di monotonia, regolarità e asimetria devono garantire sempre l’aspetto funzionale. Suggestiva è l’abitudine di bagnare il passaggio all’arrivo degli ospiti le superfici dei percorsi in pietra, sia per tenerle pulite sia per trasmettere una patina di sottile freschezza al giardino.
Gian Luigi Enny
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
ALLA RICERCA DEI SUISEKI - Angelo Attinà
Alla ricerca dei suiseki in
Fiumi e Torrenti E’ sufficiente un ramo di prunus fiorito per vivere in comunione con la natura.
Assieme all’esperienza, acquisita in tanti anni, sulla ricerca del Palombino, non ho trascurato di dedicarmi anche alla raccolta di pietre di fiume. Ho esplorato le rive di vari fiumi italiani, traendone sempre grandi soddisfazioni. Le pietre di fiume variano nei colori, nelle forme e nell’estetica a seconda delle zone esplorate per la ricerca. Il Palombino non è troppo frequente ed i materiali che si possono incontrare sono molto differenti e non solo per la forma, ma anche per la durezza (Fig. 2). Possono trovarsi pietre disegnate (Fig. 3, 4, 5) o più raramente, forme significative di paesaggio o pietre oggetto (Fig. 6, 7). Non è facile inFig. 1 - Angelo Attinà dividuare esemplari bellissimi nella massa e la visuale d’insieme tende a disperdere la nostra attenzione. In aggiunta a questo, molti sassi si trovano rotti, nonostante la loro durezza, a causa del frequente rotolamento, soprattutto quando il fiume si gonfia d’acqua. L’esperienza in questa ricerca mi porta a consigliarvi di andare a passo molto lento, lasciando scarrozzare libera la fantasia: perché molte sono le pietre che aspettano solo di essere raccolte ed esposte per la loro bellezza.E’ possibile trovare sassi di fiume già puliti, ma, solitamente sono parecchio incrostati e la loro pulitura laboriosa. Conviene rivolgersi a persone competenti, prima di creare danni alla pietra con interventi approssimativi. Le pietre di fiume mi danno le stesse emozioni di altre pietre trovate sui monti con forme diverse: ritrovo in loro la stessa suggestione. Angelo Attinà Fig. 2 - Suiseki di palombino
Suiseki - Fig.4 Fig. 3
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Fig. 5
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
ALLA RICERCA DEI SUISEKI - Angelo Attinà
Fig. 7
Fig. 6
Andare alla ricerca di pietre, si dice: fare TANSEKI KOO. Lo scopo principale dovrebbe essere quello di stare nella natura per imparare ad amarla.
A. Matsuura
Non è una semplice passeggiata; non è semplicemente una caccia, una ricerca. Fare Tanseki Koo richiede un intensa attenzione nell’osservazione della natura, cambiando i parametri mentali; dimenticando le proporzioni, che regolano la comune visuale conoscitiva, per arrivare a riconoscere sconfinati paesaggi immaginari, in una piccola pietra racchiusa nella nostra mano. Tanseki Koo. Non è correndo o portandosi appresso i pesi della vita quotidiana, che si avvia il cammino spirituale: solamente vuotando la mente e collegando il pensiero con ciò che ci sta attorno, potremo captare le energie degli elementi e percepire il loro influsso, siano essi rocce, animali, piante, terra, acqua, aria. Durante le escursioni di gruppo sui monti, sono sempre quella che “rimane indietro”. Non me ne dolgo: non posso preseguire, se non ho esplorato ogni centimetro quadrato.
Per selezionare una pietra - paesaggio adeguata, è necessario “camminare” molto mentalmente, rivisitandola, con la sensazione di aver camminato per chilometri, essendosi spostati di pochi metri…
Francisco E. Sola Ringrazio un altro compagno di viaggio, sulla via del Suisekido. Luciana Queirolo
Fig. 8 - Felix Rivera
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Mostre ed eventi
NASCE LA MED BONSAI - Giuseppe Monteleone
Nasce la Med Bonsai
Testo di Giuseppe Monteleone
Il primo articolo che ho il piacere di scrivere per il nostro magazine riguarda l’inaugurazione ufficiale della scuola Medbonsai di Catanzaro (Fig. 1). In una Regione come la Calabria dove il bonsai è, purtroppo, poco presente la Medbonsai è la seconda scuola ad aprire i battenti e la prima in assoluto diretta da un Maestro calabrese, Cosimo Fragomena. Persona per nulla propensa ai protagonismi, quello che colpisce a prima vista è la disponibilità e la semplicità. Nel corso della sua via del bonsai ha avuto modo di partecipare a diverse mostre raccogliendo sempre consensi e riconoscimenti (Fig. 2, 3). Mai soddisfatto fino in fondo, dopo un periodo da autodidatta decide di fare sul serio e passo dopo passo arriva a terminare con successo la prestigiosa Accademia diretta da Sandro Segneri. Le caratteristiche che si riscontrano nell’uomo, le si ritrovano nel suo modo di lavorare. Il suo bonsai è essenziale, rispettoso della tipicità dell’essenza per nulla volto alla spettacolarizzazione della pianta, curato nei dettagli. Osservando le sue piante la prima sensazione che si prova è che siano sempre state li, che li siano nate e cresciute senza che nessuno sia intervenuto in alcun modo. E frequentando la scuola di Cosimo vedo che questo è il modo di lavorare e di approcciare la pianta che intende trasferire a noi allievi. Mai una lavorazione che non sia rispettosa della pianta, mai una concessione a stravaganze o fronzoli. Lavorare così, per me è un piacere, vedere piante da “palestra” entrare senza nessuna pretesa ed uscire con una nuova Fig. 1 dignità di “quasi” bonsai, mi entusiasma e dà quegli stimoli giusti per continuare senza Fig. 2 tentennamenti e ripensamenti. Non mi soffermo neanche sugli esemplari degli allievi più esperti… per me è una continua tortura avere vicine per un’intera giornata piante del genere e non poterci mettere mano…. pazienza …. presto arriverà il mio turno. L’atmosfera che si respira durante le giornate di lavoro è sempre gioviale e amichevole, le ore di lavoro passano veloci e piacevoli e l’ora di chiudere arriva sempre troppo presto. Dopo questa veloce presentazione veniamo all’evento principale. L’inaugurazione della scuola (Fig. 4). La giornata inizia presto, per le nove è previsto l’inizio della manifestazione e già da almeno mezzora prima si registrano i primi arrivi. Purtroppo c’è subito la prima, e unica, stonatura, Bonini non può essere presente perché influenzato. Così è il solo Carlo Cipollini che si trova costretto a dividersi tra tutti coloro i quali lo cercano. Ma tant’è, il Fig. 3 nostro Carlo riesce in maniera splendida a dare a tutti la giusta attenzione. Dopo aver brevemente atteso qualche ritardatario, attorno alle 9.15 inizia la cerimonia. Devo dirvi che è come me la aspettavo, semplice e senza fronzoli. L’unica deroga è il taglio del nastro…. pardon …. del filo di rame eseguito a quattro mani, nella migliore tradizione pianistica italiana, da Cosimo e Carlo (Fig. 5, 6). Eseguito l’improbo compito di tagliare un filo di 2 mm a quattro mani, la cerimonia, quella seria, continua all’interno. Con alle spalle il tokonoma autocostruito ed allestito per l’occasione, il padrone di casa, riuscendo anche a tenere a freno una comprensibile emozione, ci intrattiene con un breve discorso durante il quale Fig. 4 fa il punto sullo stato delle cose e soprattutto mette l’accento sul futuro di questa scuola (Fig. 7). A mettere un altro po’ di adrenalina addosso al Maestro Fragomena, ci pensano il Presidente e Vicepresidente del Club “Perla dello Jonio” che, non appena il discorso ha termine, consegnano a Cosimo una targa suscitando una comprensibile emozione (Fig. 8). Finita la parte “formale” dell’inaugurazione, rubandolo per qualche minuto ai Fig. 5 suoi ospiti, ho scambiato due chiacchiere con Cosimo.
Fig.7
Fig.8
Fig. 6
Mostre ed eventi
NASCE LA MED BONSAI - Giuseppe Monteleone Iniziamo con qualche notizie su di te? Presentati… Sono nato a Guardavalle nel 1960, dal punto di vista bonsaistico nasco in maniera ufficiale con la fondazione del Bonsai Club Perla dello Jonio di Catanzaro, in realtà ho fatto bonsai da autodidatta da diversi anni prima. Circa otto anni fa ho deciso di fare il salto di qualità diventare istruttore. È iniziata così la ricerca di una scuola che me lo permettesse, dandomi non solo la tecnica, ma aiutandomi ad affinare il gusto artistico. Questo percorso mi ha portato a diplomarmi all’accademia di Sandro Segneri. Nella tua collezione la parte del leone la fanno le conifere, cosa ti danno queste essenze rispetto ad altre? Credi che le mediterranee possano rappresentare una valida alternativa alle piante giapponesi? Le conifere sono, a mio avviso, le piante più adatte e più semplici per fare bonsai. A differenza delle latifoglie mettono infatti a disposizione più soluzioni. Questo si avverte maggiormente per esemplari di un certo valore. Per avere una latifoglia che ti offra valide soluzioni come per una conifera, sono necessari diversi anni di coltivazione e di cure assidue prima di poterla lavorare. Inoltre a differenza delle latifoglie, le conifere mi danno maggiormente una impressione di vissuto sofferto e di drammaticità. Per quanto riguarda le mediterranee, io non parlerei di alternativa alle piante giapponesi. Io credo che tutto dipende da come si interpreta una pianta, indipendentemente dalla sua provenienza. Ottimi risultati li possiamo ottenere con un olivo, piuttosto che con un pino silvestre (che io reputo almeno pari al nero giapponese), invece che con una pianta giapponese. La differenza la fa l’interpretazione che si da, in base ai risultati che ci si attende dalla pianta che si ha di fronte. Hai avuto modo di frequentare il gotha del bonsaismo italiano: Genotti e Cipollini solo per citarne un paio, qual è la maggiore differenza tra il loro modo di fare bonsai e quello delle nuove leve? Bhe… il loro modo di vedere il bonsai è più legato ad una visione “naturale” della pianta, con pochi interventi, dando maggiore spazio alla sua evoluzione spontanea, assecondandola piuttosto che imponendole una forma. I nuovi invece, e per tutti cito Sandro Segneri che è stato mio maestro, hanno una visione più artistica del bonsai. Per loro il bonsai è si espressione della natura, ma con un invisibile intervento delle mano dell’uomo. Quindi assolutamente inteso come una forma d’arte. Oriente e Occidente, due mondi diversi con un filo verde che li lega, cosa dovremmo tenerci stretto del modo Giapponese di fare bonsai e cosa dovremmo modificare? Dovremmo tenerci molto stretto il loro modo di concepire la natura, il loro senso della natura. La natura permea ogni aspetto della loro cultura. L’uomo non è che una delle componenti. La nostra cultura ha invece l’uomo al centro di tutto, e questo determina il nostro modo di rapportarci anche al bonsai. Per questo non credo sia corretto dire che esiste qualcosa da modificare. Io direi piuttosto che mantenendo la visione orientale delle natura dovremmo fare bonsai mantenendo la nostra identità di occidentali. Come valuti il bonsaismo in Italia? Ed in Calabria? Rispondo partendo dai miei inizi. Da allora i passi avanti sono tangibili ed è cosa ormai nota che anche i Maestri Giapponesi considerano il nostro bonsai il migliore al mondo …. ovviamente dopo il loro!! In Calabria purtroppo la situazione non è rosea e questo io credo che dipenda da un fattore culturale importante. Il bonsai è espressione della natura. Di conseguenza se non c’è amore per la natura non ci può essere bonsai. In aggiunta a questo, quei pochi bonsaisti presenti non sempre hanno la costanza necessaria o l’organizzazione per fare si che il loro impegno non sia frammentato e saltuario. Nel nostro Paese il bonsai è attraversato da polemiche e sospetti, secondo il tuo parere sono giustificati? Non parlerei di polemiche ingiustificate, ma di occasioni che se affrontate nel giusto modo possono rappresentare un momento di crescita collettiva, un modo per non appiattirsi e ancorarsi ciascuno sulle proprie posizioni. Un pregio ed un difetto delle federazioni Il pregio è quello di aver portato il bonsai ad un livello di eccellenza a livello mondiale. Basti pensare al lavoro fatto dall’UBI nell’organizzare mostre di così alto spessore. Il difetto è che, a mio avviso, non si tiene molto conto delle piccole realtà periferiche. Credi che il nostro sia un hobby d’elite? Purtroppo si. Visti i costi attuali raggiunti, e soprattutto quelli degli esemplari di pregio, credo che l’impegno economico richiesto sia molto elevato. Sia chiaro, si può fare bonsai con appagamento personale anche con materiali da vivaio e di poche pretese. Ma credo che se si vogliono raggiungere certi livelli si debbano avere piante adeguate. E i costi sono alti. Credi nelle mostre degli amatori come mezzo per crescere nel proprio percorso? No, non credo che le mostre da sole possano rappresentare un modo di crescere. Certamente rappresentano un momento di confronto, uno stimolo, ma non credo che abbiano grossa rilevanza nella crescita di un bonsaista. Discorso diverso è se la mostra si inserisce nel percorso didattico dell’amatore. Le regole ed i dettami che hanno caratterizzato il bonsai fin dalla nascita sono ancora validi per creare piante di qualità? Vale la considerazione che una volta acquisite le regole possono essere superate, o così facendo si rischia di creare degli ibridi che bonsai non sono? Un vecchio adagio recita “impara l’arte e mettila da parte”. Io credo che sia necessario conoscere le regole codificate, ma allo stesso tempo biso-
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Mostre ed eventi
NASCE LA MED BONSAI - Giuseppe Monteleone gna essere in grado di reinterpretarle in base alla pianta che ci si trova a lavorare. Non è possibile applicare in maniera fissa regole e dettami su qualsiasi pianta ci si trovi per le mani, bisogna piuttosto interpretarle e se necessario anche infrangerle. D’altra parte queste regole sono disattese proprio dai loro stessi creatori, quindi… Se dovessi dare un consiglio ad un neofita, quale sarebbe? Quello di associarsi ad un club dove muovere i primi passi. Poi di trovare una buona scuola per consolidare, affinare e andare oltre quanto appreso. Oggi l’inaugurazione di medbonsai, cosa rappresenta per te e cosa speri di trasmettere ai tuoi allievi? Sicuramente il mio sogno che si avvera. Oggi si concretizza quell’idea avuta oltre dieci anni fa di aprire una scuola bonsai in Calabria. Ai miei allievi spero di trasmettere tutto il mio bagaglio di conoscenza ed esperienza, la mia passione per il bonsai, nella speranza che possano superare il maestro aiutandomi a migliorare ancora!! Cosa ritieni possa rappresentare l’apertura di una scuola come questa in una Regione dove il bonsai è quasi sconosciuto? Spero possa rappresentare un punto di riferimento per gli appassionati Calabresi. Mi auguro che possa essere un trampolino di lancio per molti appassionati. Non voglio considerarla un punto d’arrivo, spero anzi che i miei allievi possano confrontarsi con altre realtà e con altri maestri che li completino e aprano loro nuovi orizzonti. Per concludere, un tuo augurio per i nostri lettori. L’augurio è che ognuno possa amare pienamente il bonsai e la natura. Che ognuno possa capire che siamo parte integrante di questa natura e che la sua buona conservazione dipende anche da noi. E ricordiamocelo ogni volta che pensiamo alla raccolta di yamadori… ma questo è un altro discorso. Ringrazio Cosimo per il tempo che mi ha dedicato e lo lascio ai suoi ospiti. Tornato in sala mi accorgo che qualcosa è cambiato, il rinfresco noto che è stato gradito, e ora sono tutti affaccendati a portare dentro del materiale…. piante…. piante da lavorare…. questi bonsaisti sono infaticabili!!! Anche oggi pensano a lavorare!!! Poi faccio attenzione ad un particolare…. ci sono strani fogli in giro… sono attestati…ma certo!!! Oggi si diplomano i ragazzi del club… ed hanno pensato di festeggiare con una bella lavorazione di gruppo, potendo contare tra l’altro della presenza di Carlo Cipollini. Così chiuso il capitolo inaugurazione si passa ad una giornata di lavoro. Il livello delle piante è alto, in particolare alcuni pini sono fantastici, e Carlo da perfetto ospite d’onore si divide tra tutti i ragazzi al lavoro (Fig. 8, 9, 10, 11). Fig.10
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Così mentre gironzolo tra i tavoli a sbirciare sperando di carpire qualche trucco mi viene un’idea….. un’intervista a Carlo Cipollini. E dire che quella a Cosimo di cinque minuti prima è stata la prima che abbia mai fatto!!! Mi avvicino… “Signor Cipollini… mi scusi … potrei farle qualche domanda per il magazine del forum???” …. “Certo!!! Ma solo se mi dai del tu!!!!” Così conosco Carlo, persona che molti di voi conosceranno già. Per chi non lo conosce dico solo che è una persona squisita, disponibile come pochi e che ti mette a tuo agio come non avrei mai creduto. Così, allontanatici di qualche metro dalla sala, faccio qualche domanda, ricordando quanto detto da Cosimo qualche minuto prima, la tentazione di saggiare i modi di pensare dei due Maestri è forte e decido che qualche domanda rivolta al primo la rivolgerò anche al secondo: Cosa ne pensi del bonsai in Calabria? Intanto ti dico che quella calabrese è una realtà. Un grosso contributo lo dà il Club Perla dello Jonio che è veramente encomiabile per entusiasmo, organizzazione e partecipazione a tutti maggiori eventi nazionali. Poi la scelta di lavorare su piante autoctone è secondo me una scelta vincente. Questa volontà di far bene e di crescere ha fatto in modo che negli ultimi anni si consolidasse la base esistente e che la stessa si ampliasse. Questo l’ho toccato con mano essendo da tanti anni partecipe delle attività del club come socio onorario. I personaggi in gamba ci sono, d’altra parte il fatto che oltre la scuola di Cosimo ci sia anche una sede della scuola di Andolfo mi fa credere che il movimento di base esiste e che si può incrementare.
Mostre ed eventi
NASCE LA MED BONSAI - Giuseppe Monteleone Come valuti la nuova generazione di bonsaisti? I giovani hanno molta fretta di bruciare le tappe. Io credo che nel bonsai bisogna fare un passo in avanti e due indietro. Non bisogna avere fretta, bisogna mantenere l’umiltà di una persona che riesce a fare un passo alla volta. La frenesia che vedo, temo che possa portare a perdere di vista quella che è l’anima del bonsai: la bellezza. Credi che l’aspetto economico abbia inquinato la bellezza del bonsai? Io credo che ci siano pro e contro. Quando Liporace ha iniziato ad importare piante dal Giappone, ha contribuito sicuramente a far fare un salto di qualità al bonsai italiano. Ora che si sono raggiunti livelli di eccellenza bisogna fare attenzione a non ridurre il tutto a servizio del vile denaro. Se si cadrà in questo errore rischieremo di fare delle brutte copie di bonsai giapponesi e null’altro. L’associazionismo in Italia, carente o adeguato all’entità del movimento? È funzionale alle caratteristiche degli Italiani. Vedo club che si trovano a 15 o 20 chilometri l’uno dall’altro che non si parlano e quando lo fanno è con astio. Perché? Io penso che sia campanilismo esasperato dalla nostra idea che ognuno di noi è depositario della giusta ricetta per fare bonsai. In più essendo l’associazionismo un po’ “calato dall’alto”, vedo difficoltà ad entrare a far parte dei club. Un ruolo importante i clubs lo potrebbero svolgere nel far raggiungere agli appassionati un livello tale da consentir loro di accedere ad una scuola. Non credo infatti che gli insegnamenti delle scuole possano essere pienamente recepiti se manca quella preparazione di base che solo una vita da club può dare. Vedi una differenza tra il tuo modo di fare bonsai e quello dei nuovi? Indubbiamente io amo le piante autoctone, pur non disprezzando quelle di importazione, mi danno una soddisfazione particolare. Nei nuovi vedo una tendenza a lavorare su piante importate già in parte lavorate o che comunque non hanno, a mio avviso, la stessa anima delle nostre piante. Vedo, ad esempio, dei ginepri che sono stilisticamente perfetti ma io li vedo senza anima, non li sento vicini come potrebbe essere una pianta delle mie zone. In ogni caso quello che ritengo fondamentale è cosa si vuole comunicare facendo bonsai. E si riesce a comunicare qualcosa allorchè la pianta suscita un’emozione, riesce a trasmettere la propria storia. In definitiva un bonsai maturo deve poter rappresentare la perfetta sintesi tra tre elementi: le caratteristiche intrinseche della pianta, la natura e la mano dell’uomo. Io credo inoltre che ci sia bisogno che l’uomo non “possegga” la pianta, ma che si instauri un rapporto simbiotico tra la pianta e l’uomo stesso. Quindi in questo modo avvaloriamo una volta di più la visione dei maestri giapponesi che non considerano normale che una pianta appartenga ad un solo uomo, ma che quasi si perpetui passando di mano in mano…. Esatto, l’idea che non debba mai essere finita, che non debba mai appartenere ad un solo uomo per migliorarsi ad ogni passaggio. Da quello che noto, in questo periodo c’è la tendenza a confondere l’estetica con la bellezza; l’estetica è molto più formale, la bellezza è una idealizzazione. La prima si basa sulla tecnica, la seconda va raggiunta durante il percorso di ciascuno. Ecco, dovremmo tendere tutti un po’ di più alla bellezza, è quella che ti arriva all’anima. Tra i nuovi istruttori, vedi qualcuno che si avvicina al tuo modo di fare bonsai? Si certo qualcuno c’è, ma non mi far fare nomi!!!! Vedo, con piacere che negli ultimissimi anni c’è in molti un ritorno al mio modo di fare bonsai, e questo mi fa un gran piacere!!! Ringraziandoti di cuore per il tempo che mi hai così gentilmente dedicato, approfitto per un’ultimissima considerazione: secondo te, le nuove tecnologie ed internet in testa, hanno avuto un ruolo di rilievo nell’avvicinare un crescente numero di persone alla cultura giapponese ed orientale in genere, o ritieni che questa maggiore conoscenza sia dovuta ad altri motivi? Sicuramente internet ha avuto un ruolo fondamentale nell’avvicinare tanta gente al Giappone e di conseguenza al bonsai e alle sue origini. Prima di internet le informazioni si scambiavano di persona con più lentezza, ma allora si parlava di più di filosofia bonsai, la domanda più ricorrente era “perché fare bonsai”? ora tutto è più veloce, ed anche le informazioni si scambiano in tempo reale, ma non ci si interroga più sul perché fare bonsai. Si è spersonalizzato il tutto, le discussioni vertono sulla nuda tecnica senza tenere in conto il percorso che ciascuno dovrebbe fare. Si vuole tutto e subito. Per fortuna però c’è ancora gente che il suo percorso lo fa tutto, senza fretta, passo dopo passo, e questo lo si capisce guardando le sue piante ed il suo modo di vivere il bonsai. Grazie Carlo per la tua disponibilità e cortesia Grazie a te!! Carlo torna al lavoro, insieme a Cosimo devono preparare la pianta del Club selezionata per la prestigiosa Mistral e il tempo è poco (Fig. 12). A questo punto mi accorgo che è quasi ora di pranzo. La famiglia reclama la mia presenza oggi che è sabato. E allora un saluto a tutti e buon lavoro, ma soprattutto un grande in bocca al lupo a Cosimo per questa splendida avventura. Una scuola che alla sua inaugurazione può contare su diversi allievi, alcuni dei quali già di ottimo livello, credo che abbia tutte le carte in regola per affermarsi come una splendida realtà.
Fig.12
Questa è la cronaca di una bella giornata passata tra amici, dove il bonsai è stato giustamente festeggiato, ma più di ogni altra cosa da dove è partita una nuova avventura di Cosimo verso la divulgazione di questa fantastica arte in un territorio che finora pare non apprezzare più di tanto. Giuseppe Monteleone
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Mostre ed eventi
NOELANDERS TROPHY - Hans Vleugels
Noelanders Trophy Testo di Hans Vleugels
Fig. 1
Vivo a meno di due chilometri dal Centro Culturale di Heusden-Zolder, centro in cui ogni anno viene allestito il Noelanders Trophy. Da bonsaista, sarei un pazzo a non andare a questo vero e proprio evento. E’ stato un vero piacere notare che anche questa decima edizione ha avuto moltissimi spettatori, sia semplici persone che appassionati di bonsai e suiseki (Fig. 1). Immediatamente ho avuto l’impressione che la mostra fosse stata allestita in modo impeccabile. E’ una meravigliosa mostra invernale, e come tale si sono potute ammirare sia caducifoglie nel loro aspetto invernale che fini conifere europee. La mostra è stata impreziosita da diverse dimostrazioni tenute da professionisti famosi, e da un mercatino davvero ricco dove era impossibile non trovare qualcosa da comprare. Non ho sentito commercianti lamentarsi, quindi ritengo che abbiano fatti buoni affari. Il mio amico John Pitt ha detto che è stata una delle migliori mostre mercato a cui avesse mai assistito (Fig. 2, 3). Sono stati molti i bonsaisti famosi che hanno visitato l’esposizione. C’è stata, ad esempio, la possibilità di seguire un tour guidato da Walter Pall che, attraverso la sua analisi critica, dava pareri e valutazioni sui bonsai esposti in mostra. Da quando Danny Use ha deciso di non organizzare la famosa Ginko Award, il Noelander Trophy è diventata la vetrina europea più importante per mostrare i propri lavori. Devo togliermi tanto di cappello di fronte alla Belgian Bonsai Association, gli organizzatori dell’evento che ogni anno riescono a radunare i più famosi bonsai europei. Pur essendo alla sua decima edizione, quella di quest’anno è stata caratterizzata da un’esposizione più semplice rispetto a quelle degli altri anni, tutto lo spazio è stato riservato agli oltre 100 bonsai provenienti da tutta Europa. L’area riservata all’esposizione di ogni esemplare è stata ottimale, così come l’illuminazione e lo spazio tra un bonsai ed un altro. Ancora una volta Willie Benz ha dimostrato d’essere il vero protagonista nella scena suisekistica (Fig. 4, 5). La sua collezione è stata una vera festa per gli occhi, caratterizzata da alcuni esemplari davvero unici! Purtroppo, durante una sessione fotografica, un suiseki è caduto in terra rompendosi. Per fortuna, tutto il materiale esposto in mostra era assicurato. Pur tuttavia la pietra resterà per sempre danneggiata. La formula delle demo è stata leggermente differente rispetto a quella degli anni precedenti. Kevin Smith e Salvatore Liporace hanno lavorato a loro materiali per due giorni. Il primo ha lavorato su un
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Mostre ed eventi
NOELANDERS TROPHY - Hans Vleugels Fig. 8
grosso ed impressionante yamadori di pino (raccolto da Mauro Stemberger) impostandolo nello stile kengai (Fig. 7). Salvatore Liporace invece ha lavorato un mugo mostrando al pubblico l’esecuzione di una grossa piega effettuata su una porzione di tronco spesso quanto un braccio, spiegando al contempo al pubblico la fisiologia e le caratteristiche degli yamadori (Fig. 6). Tra i dimostratori c’è stato anche Dana Quattlebaum che ha lavorato su uno yamadori di larice, essenza con la quale aveva poca dimestichezza visto che non vive bene nella sua regione.Usando una barra e dei tutori di metallo è riuscito a posizionare in modo corretto i rami principali del suo larice. Il giorno successivo si è invece concentrato sull’impostazione di un ginepro (Fig. 8). La premiazione degli esemplari in mostra è avvenuta durante la cena del sabato. Il primo premio è andato ad uno stupefacente acero su roccia di Udo Fisher (Fig. 13), che ha tra l’altro curato l’esposizione nei minimi particolari che sarebbe stata, secondo me, perfetta addirittura per una mostra come la Kokufu-ten. Gli altri premi sono andati alla Bouganvillea di Graham Potter (Fig. 18), al ginepro rigida di Ian Stewardson (Fig. 15), alla zattera di biancospino di Tony Tickley (Fig. 14), al tasso di Mauro Stemberger (Fig. 16) ed al pino silvestre di Carlos van de Vaart. Il premio come migliore esposizione di shohin è andato a Maarten van der Hoeven, che ha vinto tra l’altro il premio BCI come migliore esposizione (Fig. 17). Come già detto prima, il Noelander Trophy è giunto alla sua decima edizione, e la Belgian Bonsai Association ha deciso di pubblicare un imperdibile libro (disponibile a breve) con i migliori bonsai esposti in queste dieci edizioni.
Fig. 9 - Demo di Ivo Saporiti
Fig. 10 - Acer buergerianum, Walter Pall
Hans Vleugels
Fig. 11 - Ulmus parviflora, Bonsai Club Lorraine
Fig. 12 - Camaeciparis pisifera, Simon Temblett Fig. 14
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Fig. 17
Fig. 18
Per vedere tutte le foto della manifestazione potete andare sul mio sito cliccando sul seguente indirizzo: http://www.bonsaicafe.be/Noelanders%20Trophy%20X/
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In libreria
IL BONSAI - dalla A allo Zen - Antonio Ricchiari BONSAI D’AVANGUARDIA - Massimo Bandera Titolo: Il Bonsai - dalla A allo Zen Autore: Antonio Ricchiari Editore: Progettobonsai Pagine: 386 - Tiratura limitata a 1000 esemplari numerati, firmati e timbrati ISBN: ... Prezzo: € 19,00
Questo lavoro segue il metodo del “prontuario”: contiene tutto ciò che può interessare ed essere utile al bonsaista, ad un amante del verde, a chi vuole acquisire conoscenze botaniche, a chi vuole curiosare nel mondo del bonsai e dell’Oriente Estremo. Una enciclopedia non si legge dalla prima pagina all’ultima. Si consulta. Chi se ne serve intende soddisfare una curiosità oppure formarsi l’idea su un argomento. Ricerca perciò nozioni chiare e distinte, esposte in modo sintetico e disposte in un ordine semplice, facilmente comprensibile; uno sguardo d’insieme sull’intero argomento con concetti generali. Sono qui raccolte migliaia di “voci” con relativa spiegazione e disegni esplicativi. Una difficoltà dell’Autore è stata quella di raccogliere il maggior numero di informazioni e nozioni in una quantità ragionevole di pagine. L’altra quella di avere saputo raccogliere ciò che è essenziale e mettere da parte il superfluo nell’immenso universo del bonsai e di quello che attiene o sottende al bonsai stesso. Lo scopo di un simile lavoro, essenzialmente didattico, è stato pienamente centrato. Titolo: Bonsai d’avanguardia Autore: Massimo Bandera Editore: Fuji Sato Company Pagine: 605 ISBN: ... Prezzo: € 38,50
“Bonsai d’avanguardia”, un libro per la via... Cari amici, a trent’anni dall’inizio della esperienza bonsai pubblico il mio secondo libro, dopo “L’enciclopedia bonsai” ormai esaurita, che raccoglie un lavoro di otto anni, mio e degli allievi della FKB. La tecnica, con i segreti che mi ha insegnato il mio maestro Masahiko Kimura sensei che seguo dal 1993, la coltivazione frutto di esperienze e studi del tempo della facoltà di Scienze Forestali, tutti i ceramisti giapponesi che fanno vasi bonsai e soprattutto l’estetica e la cultura giapponese, guida al bonsai originale e naturale, riempiono le seicento pagine di questo volume, che ovviamente consiglio a tutti.
Bonsai ‘cult’
AMARE IL BONSAI - Antonio Ricchiari
Amare il bonsai
Testo di Antonio Ricchiari
Dobbiamo guardare al bonsai come manufatto artistico che parla ai nostri sensi, per apprezzarne la bellezza, ma allo stesso tempo il godimento che ne possiamo e dobbiamo trarne è di natura disgiunta da ciò che altrimenti indichiamo come piacere e di esso sospettosa. Il bonsai costituisce curiosa vicenda, non solo perché ha spostato inconsapevolmente il nucleo dell’esperienza estetica dall’intelletto all’occhio, ma anche perché ha indotto il perseguimento di un’algida forma pura. Da ciò ne deriva il godimento sublime (e non sublimato) e aristocratico del bello che rappresentano per il bonsai una vocazione da sempre radicata. I nostri occhi guardano la bellezza di un bonsai e la trasformano in estasi della mente e dei sensi insieme. L’amore per il bonsai ci spinge alla continua osservazione degli esemplari in natura. Per quel che mi riguarda, ho avuto modo di ammirare sui monti siciliani spettacolari alberi ultracentenari. Sono un esempio prezioso e irripetibile per i bonsaisti isolani. Sono una testimonianza della potenza e della caparbietà della natura, del suo accanimento nella difesa degli alberi, nella ferrea volontà di farli sopravvivere a tutti i costi. Il più vecchio in assoluto è un castagno che si trova a Sant’Alfio sulle pendici dell’Etna. E’ chiamato il “Castagno dei cento cavalieri” perché una leggenda narra che sotto la sua chioma si sarebbero riparati Giovanna d’Aragona con i cento cavalieri che la scortavano. Questo esemplare è radicato sulla lava da … 3000 anni. Se continuiamo questo itinerario delle meraviglie, in località Taverna, a Mascali, si potrà incontrare un castagno più giovane: 2000 anni! Tra i paesi di Baronia e Noto (culla del Barocco) vivono da 1500 anni in piena salute 4 olivi. A Castelbuono si incontra una maestosa roverella. Ogni naturalista che si trova in Sicilia dovrebbe percorrere l’itinerario che lo porta nello spettacolare Parco delle Madonie che offre una vegetazione ricca di oltre 1600 specie su 2700 presenti nell’area del Mediterraneo. Un ambiente prezioso, vario e complesso, quello madonita, che regala al visitatore una ricchezza inaspettata. E basterà l’incontro con superbe piante continentali, tipiche dei climi freddi, accostate a rare specie d’Africa e d’Asia. Vale la pena di soffermarci sui trenta esemp0lari di Abies Nebrodensis , stiamo parlando di esemplari unici al mondo, situati nel Vallone di Madonna degli Angeli, vicino il paese di Polizzi. Sono definiti dai botanici la “Cappella Sistina della natura”. Grazie ad un progetto si è proceduto ad isolare i 30 esemplari per salvare i semi dal calpestio di uomini ed animali. Il risultato è stato rassicurante per il rischio di estinzione: sono cresciute spontaneamente 60 piante, sono stati piantati centinaia di semi e ben 4 mila piantine sono state messe a dimora dal corpo della Forestale. Nel bosco di agrifogli di Piano Pomo si possono contare 320 esemplari, molti hanno un’età di circa 350 anni. Li chiamano i colossi delle Madonie: il rovere e l’acero montano di Pomieri, il leccio di Piano Zucchi, via via arrivando all’ulivo ultracentenario che ancora è in pieno rigoglio. Nel Parco si scoprono sempre con emozione e grande sorpresa questi giganti della flora: la roverella di “macchia dell’inferno” ha 1000 anni, un tronco di 10 m di circonferenza; la sughera di bosco Sugheri alta 16 mt con un tronco di 4,50 m e un’età di 500 anni. A Gratteri si può ammirare il pero mandolino alto 10 m con un’età di 400 anni. Gli agrifogli di Piano Pomo, tra Petraia Sottana e Castelbuono, alberi maestosi alti 15 metri con un’età di circa 350 anni. Immerso in un silenzio surreale, come se l’aspetto di questi esemplari lo imponga e pretenda, il visitatore affascinato potrà avvicinarsi al significato e all’interpretazione che gli orientali cercano di trasmettere. E’ una delle Vie del bonsai. Antonio Ricchiari
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13 BOSCO DI FAGGI SU PIETRA - Nicola Crivelli La mia esperienza
La mia esperienza
Bosco di faggi su pietra di Nicola Crivelli
Fig. 1 - 1998 - Ecco alcune delle piantine di faggi, che utilizzai per realizzare la composizione, in un contenitore da coltivazione
Fig. 2 - 2000 - Il bosco una volta realizzato
Lo stile Yose-ue (boschetto), come lo stile Ishizuki (bonsai su roccia), fa parte della categoria così detta CREATIVA. Bonsai Creativo, perché in uno spazio di tempo relativamente breve, e con materiali di poco valore, si possono raggiungere dei risultati molto evocativi ed emozionanti. Questo Bosco, in particolare, rientra nello stile ishizuki orizzontale. Forse non tutti sanno che l’ishizuki, bonsai piantato su roccia, a dipendenza della conformazione della roccia può essere verticale (più drammatico, ricorda una montagna o un isola) o orizzontale come in questo caso. Perciò, in un bosco coltivato su roccia, sono ammessi elementi d’accompagnamento, tipo piccoli arbusti ed erbette di sottobosco. Cosa che invece non è ammessa in un bosco coltivato in vaso. Raccolsi più di dieci anni fa il materiale per questo boschetto, giovani piantine di faggi, essenza, assieme al castagno, tipica della mia zona. Sui nostri monti abbiamo bellissimi boschi di faggio dalla corteccia liscia ed argentata. In natura il faggio forma un tipico nebari (piede) da bonsai; quando però si raccolgono materiali da lavorare a bonsai si scoprono spesso delle lunghe radici poco interessanti. La maggior parte delle piantine che raccolsi in quell’occasione, le utilizzai per formare questo bosco (Fig. 1). Spesso si sceglie di usare una pietra piatta quando si vuole realizzare un boschetto, per risparmiare sulla spesa del vaso bonsai. Anch’io feci questo ragionamento (Fig. 2).
Fig. 3 - 2000 - Particolare del sottobosco
La mia esperienza
BOSCO DI FAGGI SU PIETRA - Nicola Crivelli
Fig. 4 - 2001 - Si può notare come si siano seccati alcuni tronchi interni Fig. 5 - Autunno 2006 Colorazione autunnale
Fig. 6/7 - Autunno 2006
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Molto importanti, nella realizzazione di un bosco, sono le piante piccole e sottili, che servono a dare la prospettiva e la profondità alla composizione. In genere si scelgono una o due piante “leader”, attorno alle quali si costruisce la composizione. Non è importante che le piante leader abbiano rami bassi, essendo situate all’interno della composizione; i rami bassi sarebbero d’intralcio e dovrebbero essere eliminati. Bisogna vedere l’intero bosco come una pianta unica, perciò le piante secondarie, laterali avranno la funzione dei palchi bassi mancanti alle piante leader. È molto importante come si posizionano i vari tronchi (Fig. 3) perché una volta definita la composizione sarà molto difficile, in seguito, spostare delle piante. Questo perché con il tempo le singole piante tenderanno a fondersi tra loro, diventando un’unica grossa ceppaia. Il faggio, anche in natura, è una pianta che, con il suo fogliame fitto, impedisce il passaggio della luce sotto di lui. I boschi di faggio infatti sono quasi totalmente privi di sottobosco. Questa situazione si riscontra anche nella coltivazione di un bosco bonsai. Le piante piccole ricevono poca luce e perciò tendono ad indebolirsi ed a volte a seccare. Per questa ragione bisogna portare molta attenzione alla cura di queste piantine. Nel 2001 si è verificata la situazione appena illustrata (Fig. 4), alcune piante sottili che servivano a dare profondità alla composizione, sono seccate, quelle tra i due gruppi principali nella foto. Posizionai allora l’intera composizione su un piano girevole che mi dava la possibilità di ruotare con facilità il bosco. In questo modo la luce poteva raggiungere facilmente anche le zone interne della vegetazione. Oltre alla pinzatura delle gemme, un’altra tecnica che uso con i faggi, è la defogliazione parziale, quella effettuata tagliando a metà la foglia. Il faggio non sopporta la defogliazione totale, magari una volta la sopporta, ma non dà i risultati che ci si aspetterebbe da questa operazione, ossia la formazione di foglie piccole e raddoppiate di numero. Da anni oramai uso perciò la tecnica di dimezzare la superficie delle foglie. Per un migliore effetto estetico, si può sagomare la foglia in maniera che abbia una forma credibile. Questa operazione la eseguo una volta che la foglia si è sviluppata completamente, diminuendo di più la superficie delle foglie apicali forti e dominanti, intervengo meno sulle foglie basse, e per nulla su quelle deboli. Uso sempre il principio della dominanza apicale, applicabile su tutte le essenze. Nel gruppo di destra (Fig. 6/7) c’è una pianta leader che però per la sua forma prostrata copriva molto le altre piante più piccole, indebolendole. In seguito la eliminai, creando spazio. Siamo così arrivati ad oggi, Febbraio 2009. Fino ad ora avevo usato poco il filo su questi faggi, e solamente per direzionare qualche ramo ribelle (Fig. 8/9/10). Bisogna fare molta attenzione quando si mette il filo sul faggio. Questa essenza difatti incide velocemente, perciò usando il filo si rischia di rovinare la sua corteccia liscia e levigata. Il faggio poi mantiene, spesso, fin quasi alla ripresa vegetativa, le foglie secche. Questo rende poco visibile il lavoro fatto sulla ramificazione. Quest’anno però ho voluto riordinare la ramificazione, mettendo il filo su quasi tutte le estremità dei rami. Questa operazione, oltre ad avere un effetto estetico, mi ha permesso di posizionare la ramificazione in modo che, con il nuovo fogliame, non si formino zone d’ombra che impediscano lo svilupparsi corretto della vegetazione interna e sottostante. Nicola Crivelli
Fig. 8 - Febbraio 2009
Fig. 9 - Febbraio 2009 particolare della filatura
Fig. 10 - Febbraio 2009
15 ACERO CAMPESTRE - Armando Dal Col La mia esperienza
La mia esperienza
Percorso evolutivo di un acero campestre - I parte
di Armando Dal Col
L’Acero campestre è un albero di modeste dimensioni, e difficilmente può competere, per dimensioni, con gli altri aceri italiani come l’Acer Platanoides e l’Acero montano, per citarne due che sono sicuramente tra i più rappresentativi della flora italiana e che possono raggiungere i venti metri d’altezza e sviluppare chiome ampie e maestose. L’Acero campestre si trova invece spesso nella forma arbustiva, e sviluppa una folta ramificazione; per questa sua caratteristica è spesso coltivato per formare siepi frangivento. L’Acero utilizzato per questo articolo è stato scelto come oggetto di studio con alcuni allievi durante una giornata di lavoro, sviluppando alcune tecniche avanzate eseguite in am-biente naturale. Lo scopo dello studio era quello di cercare una “pianta difficile” e far emergere, durante la lavorazione, le sue potenzialità, per farla divenire, nel futuro, un Bonsai degno di questo nome. Dopo un’attenta analisi sulle piante spontanee presenti nel terreno (di proprietà di un allievo) sono stati visionati diversi soggetti meritevoli d’attenzione, e ognuno di essi presentava diverse chiavi di lettura. La scelta è caduta infine su di una pianta che nessuno degli allievi si sarebbe mai sognato di prendere in considerazione. Un acero campestre cresciuto ai margini della proprietà. Questo acero aveva una base ampia con le radici primarie disposte a raggiera, insomma un piacevole nebari. Svolta un’attenta “analisi” e “lettura” della pianta, chiesi al mio amico allievo l’autorizzazione all’espianto. Accettò con entusiasmo, ma sia lui che gli altri allievi erano piuttosto scettici e increduli in merito alla scelta di questa pianta. L’acero,infatti, in origine era alto più di quattro metri, con il tronco cilindrico e spoglio per oltre la metà della sua estensione. Impensabile quindi una sua utilizzazione a prima vista come materiale di partenza per ottenere un bonsai di un certo livello, ma, feci notare ai miei allievi, la presenza di un ramo basso che formava quasi una seconda cima, unita all’eliminazione del tronco principale, avrebbero ottenuto se pur “virtualmente” una buona conicità del tronco. Le caratteristiche dell’alberello erano quindi abbastanza interessanti come materiale di partenza, anche se i tempi di realizzazione per un futuro bonsai non sarebbero stati sicuramente brevi. E’ risaputo che una caducifoglia richiede tempi di realizzazione assai più lunghi rispetto ad una conifera, e la sequenza fotografica che vedrete vi darà un’idea della lenta evoluzione di questo progetto. Le operazioni di scavo intanto si erano complicate, per via delle radici delle piante vicine, che si intersecavano con quelle del ns. acero. Ma alla fine la pianta fu espiantata e, giunti a casa, venne provvisoriamente trapiantata in piena terra. Dopo l’avvenuto attecchimento del ceppo, visibile con l’uscita di alcuni germogli concentrati verso l’apice, si iniziò a programmare la ramificazione lungo l’asse del tronco, ma poiché questa non si è concretizzata nel modo sperato, si reso necessario intervenire con degli innesti per approssimazione, utilizzando dei rametti lunghi presenti nella pianta e fatti crescere liberamente. Alcune immagini in sequenza evidenziano l’esito positivo degli innesti fatti per approssimazione. Purtroppo non ci sono fotografie che mostrano l’acero fin dall’inizio dell’espianto. Per accelerare la formazione dei rami di base, sono stati utilizzati dei rametti nuovi cresciuti dopo la ripresa vegetativa innestandoli sul tronco, sempre per approssimazione. Correva l’anno 1993 quando raccolsi la pianta, ed era il mese di marzo. Vediamo ora passo dopo passo come è stato possibile “vestire” il tronco nudo dell’acero campestre. Fig. 1
Fig. 2
L’Acero campestre dopo l’espianto fu trapiantato in piena terra e, con l’uscita dei nuovi germogli lungo l’asse del tronco, si è iniziato a programmare il suo percorso sulla via di un futuro bonsai.
L’ Acero visto dopo la ripresa vegetativa
La mia esperienza
ACERO CAMPESTRE - Armando Dal Col
Fig. 3
Fig. 4
Fig. 5
Marzo 1994, l’acero è stato rimosso dalla piena terra per controllarlo, poiché all’epoca è stato interrato con il voluminoso apparato radicale. Una radice estranea si era introdotta fra le radici dell’acero.
Era necessario l’ausilio di un martello e uno scalpello per poter “sfilare” la grossa radice di un altro albero.
Forte riduzione dell’apparato radicale.
Fig. 6
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Fig. 8
L’ acero campestre è stato trapiantato in una cassetta di polistirolo per seguirne l’evoluzione con più accuratezza.
Al successivo rinvaso è stato controllato l’apparato radicale; in tale fase si è anche proceduto alla riduzione delle radici e alla selezione dei rametti.
L’acero è stato reinserito in un vaso grande di plastica al fine di fargli sviluppare i rametti selezionati.
Fig. 9
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Fig. 11
Dopo aver trascorso un anno nel vaso grande di plastica, è stato trasferito in una cassetta di polistirolo dalle dimensioni più contenute.
L’acero comincia a ramificare discretamente.
L’acero è stato rinvasato ancora in un vaso di coltivazione di plastica. Alcuni rami sono stati selezionati e lasciati liberi di vegetare; nel frattempo è stata ampliata l’area dello shari lungo l’asse del tronco.
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17 ACERO CAMPESTRE - Armando Dal Col La mia esperienza
Fig. 13
Fig. 14
Un ramo è stato inserito nel foro e fatto passare dal lato opposto.
Altri rami sono stati utilizzati per creare nuove branche con l’innesto per approssimazione. Un ramo vivo che “esce” su una zona morta del tronco infrange le regole. Lo scopo è quello di far uscire un ramo vivo sulla parte morta, creando un certo stupore o “incredulità” in chi osserva. Seguiamo da vicino con attenzione il percorso di questo ramo, il quale partendo dall’alto è stato fatto scendere ad angolo retto lungo l’asse del tronco, fino a infilarne la sua estremità attraverso il foro nel tronco della pianta. Dall’ampia area morta del tronco, infatti, “scaturisce” un giovane virgulto di ramo vivo il quale suscita una certa curiosità in chi osserva.
Fig. 12
Successivamente, sono stati praticati dei fori nel tronco dell’acero con l’ausilio di un trapano elettrico.
Fig. 15
Il ramo dopo essere stato fatto passare forzatamente attraverso il foro, ha subito delle forti lesioni in entrambi i “bionti”, ottenendo, grazie alla parte scortecciata del ramo, una buona saldatura con la zona del cambio nel tronco con la parte viva e questo, faciliterà lo sviluppo del ramo. Dalla foto è facile notare lo spessore del ramo nonché la differenza di spessore dello stesso, il quale, in origine era molto più sottile a mano a mano che scendeva, evidenziando la naturale conicità; ma ora, a causa della saldatura fra i due bionti, ne è seguito un naturale ingrossamento.
Fig. 16
Fig. 17
Fig. 18
Il ramo che si è sviluppato nel centro dello Shari, ha già iniziato a formare dei rametti secondari, ma il percorso nel creare una robusta branca ben ramificata è ancora lontano! Chissà se la saldatura avrà sufficiente energia da tenere in vita questo ramo che vive in una zona morta del tronco.
La mia esperienza
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ACERO CAMPESTRE - Armando Dal Col Un ramo è stato utilizzato per innestarlo sul tronco per approssimazione (Fig. 19). Rami che salgono, rami che scendono in un intrecciarsi per poter eseguire degli innesti per approssimazione nelle zone dove necessitano avere dei rami (Fig. 20). L’innesto per approssimazione si è ben saldato sull’asse del tronco (Fig. 21), e già si è formata una branca sufficientemente ramificata. L’effetto del callo cicatriziale sulla parte innestata è sorprendente, e l’acero si avvia con una certa celerità per raggiungere la forma programmata. Fig. 20
Fig. 21
Fig. 19
Fig. 23
L’effetto visivo di un innesto per approssimazione è affascinante, la cicatrice avvolge il ramo dell’acero in modo impeccabile, anche se il “volume” del ramo esce a dismisura dal tronco. All’epoca dell’innesto, il ramo era stato canalizzato completamente fino a sparire, ma con lo sviluppo è uscito creando questo rigonfiamento. La ramificazione si fa sempre più interessante, grazie agli innesti che hanno avuto esito positivo.
Fig. 22
E’ stato perfezionato lo Sharimiki, facendo risaltare il callo.
...continua
Armando Dal Col
19 SABBIATURA - Luciana Queirolo A lezione di suiseki
Sabbiatura: soluzione da scartare?
di Luciana Queirolo
Per chiudere il cerchio attorno al tema della pulitura seguendo i metodi comunemente adottati e non volendo tralasciare nulla di quanto sia stato sino ad ora sperimentato e forse anche contestato, non posso ignorare il metodo della sabbiatura: forse il più misconosciuto e criticato dei metodi; soprattutto da chi non è in grado di capire le sottigliezze e variabili che un suo corretto uso comporta. Dovrò tirare in ballo ancora le Youlan Stone, sperando che non se ne abbia a male l’amico Carlo Gori, possessore della pietra di Youlan, prima classificata alla Crespi Suiseki Cup 2008, di una tipologia forse già fin troppo citata a causa di questo…. ma queste pietre sono per noi, tradizionalisti amatori di suiseki e perciò di paesaggio, tra le più appetibili; oltre che a possedere caratteristiche che le accomunano alle nostre pietre calcaree ed anch’esse bisognose di pulitura. Sergio Bassi utilizza da anni la tecnica della sabbiatura ed ho potuto vivere assieme a lui la mia prima avventura in tal senso, alla scoperta delle forme di una pietra particolarmente dura a pulire. Sergio è un grande sostenitore di tale tecnica, a cui è giunto dopo avere pulito per molto tempo le sue pietre con le spazzole di acciaio. “I difetti che ho riscontrato nell’utilizzo delle spazzole, sono molti: - Si riesce a togliere solo lo sporco morbido come l’argilla fresca e solamente sopra superfici lisce o con solchi poco profondi. E’ vero che lo sporco possiamo decidere di lasciarlo, ma un conto è se fatto per scelta, un conto è perché con la spazzola non ci si arriva… ed a me non piace vedere ancora l’argilla nei canali: 1°- Lo sporco duro, quello che fa le scintille, non si toglie; 2°- Pur riducendo la grandezza delle spazzole, nelle insenature piccole, profonde o nei fori è impossibile arrivarci; Fig. 1, 2 - due Youlan Stones messe in vendita ancora parzialmente 3°- I licheni che possono esserci si “bruciano”, diventano scuri, lucidi ed è ancora più difficile tosporche glierli. L’unico sistema è di usare acido muriatico che non consuma il lichene ma corrode la pietra fino a eliminare dove è attaccato… ma l’acido corrode calcite e quarzo in modo pesante e dobbiamo prestare molta attenzione, non solo alla pietra ma anche alla nostra salute. 4°- Se sulla superficie della pietra ci sono delle piccole protuberanze, oppure delle sporgenze minute, non solo di quarzo o calcite, con la spazzola eliminiamo tutto e si tende ad arrotondare.” “IL MIO MAGGIOR PROBLEMA era lo sporco duro, anzi: durissimo, perché le mie pietre sono state rinvenute quasi tutte lontano dall’acqua, hanno incrostazioni molto dure e licheni vecchissimi. Parlandone al club è emerso che un sistema possibile era la sabbiatura. Ho cercato di approfondire l’argomento, prendendo in considerazione solo quello che mi poteva andare bene, considerando il mio utilizzo e quindi escludendo l’uso di attrezzature professionali e scoprendo che le possibilità erano molte…. sono andato sul classico: compressore (oggi ne ho uno da 150 litri), tubo lungo, pistola sabbiatrice e sabbia specifica. La mia esperienza in tal senso, mi ha fatto capire che i compressori piccoli da 25 o da 50 litri hanno un’autonomia molto ridotta, costringendoci a fermare molto spesso il nostro lavoro, aspettando che ricarichino. Il 100 litri va meglio e le soste sono meno frequenti; con il compressore da 150 litri, ogni tanto dobbiamo fermarci ugualmente, ma una sosta può servire per controllare il lavoro.” “La pistola merita un piccolo approfondimento: iniziai con una da poco prezzo ed all’inizio funzionava bene, ma l’uso produsse una corrosione del foro allargandolo e pregiudicando così il corretto funzionamento. Ora uso una pistola più professionale con l’augello di vidia (molto più resistente) e con il ricambio disponibile. Gli abrasivi usati per sabbiare sono molteplici, dalle graniglie metalliche, alle sfere di vetro e molti altri; solitamente vengono venduti in sacchetti o secchi, costano molto e, se non abbiamo una cabina per sabbiatura, diventa difficile il recupero dell’abrasivo per un secondo utilizzo… io uso la normale sabbia silicea da sabbiatura, reperibile in ogni negozio di laterizi: costa pochissimo ed esiste in due granulometrie. Preferisco quella grossa, perché utilizzandola si frantuma e diventa normalmente fine. Quando è troppo fine la smaltisco semplicemente spargendola nell’orto di mio cognato…” Beh! Con le spiegazioni ed i consigli di Sergio, così utili e dettagliati, siamo solo all’inizio. Potete seguirne ogni passaggio, collegandovi alle pagine didattiche del sito AIAS, (pulizia di una pietra) al link: http://www.aias-suiseki.it/it/Paginedidattiche/Preparazionepietra. Una pagina che, come altre, l’AIAS ha salvato da cancellazione certa, perché scritta per un sito di suiseki ora non più in vita. Noi qui, adesso, vedremo di analizzare i punti “A favore” della sabbiatura e credo che siano proprio gli stessi motivi che spingono altri appassionati e venditori ad utilizzare alla grande questo metodo, Cinesi in testa. Per questo, condividendo i pensieri di Sergio, mi aiuterò col supporto visivo di pietre di Sergio e pietre cinesi ed italiane dalla mia collezione.
A lezione di suiseki
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SABBIATURA - Luciana Queirolo
Fig. 3 - Stone forest
Fig. 4 - Mappa della Stone Forest
Fig. 5 - Stone forest
Le “YouLan stone” prendono il nome da un villaggio nella provincia di Guangxi, a sud della Cina, ma provengono da zone carsiche anche della provincia dello Yunnan (spesso riconosciute come Black Stone od forse erroneamente come Stalactite Stone): basti ricordare il drammatico paesaggio della Stone Forest (Shilin) a circa 120 km dalla capitale Kunming: un gigantesco deposito di picchi di pietra e stalagmiti che si estende per quanto l’occhio possa vedere, come una vasta foresta di pietra: forme animali, piante,figure umane… Esiste anche un immenso mondo sotterraneo fatto di caverne e laghi, per una superficie totale di circa tre chilometri quadrati, comprendente anche un lago sottomarino con caratteristiche stalattiti e stalagmiti e una piccola isola nel centro dell’acqua... (Fig. 3, 4, 5). Ma torniamo alle nostre piccole realtà…. Sabbiare: 1°- “Ci consente di arrivare con la sabbia dove altrimenti sarebbe impossibile pulire (fori, canali…)”…. anche solo per permetterci di ammirare la varietà dei colori e la diversa durezza e quindi resistenza all’usura, delle stratificazioni…. (Fig. 6, 7, 8) “… e , cosa più importante, riuscendo a togliere lo sporco duro. Così Fig. 6 Fig. 7 facendo, si arriva a tirare fuori quella ANIMA DELLA PIETRA che altrimenti rimarrebbe nascosta.”
Fig. 8
Fig. 10
Le immagini 9 e 10 ci mostrano altre due Youlan Stones, dal materiale veramente duro ma suddiviso in sottili “spaghetti alla chitarra”, simili alla pietra cinese di Carlo Gori. Avventurarsi nella pulitura con spazzole sarebbe un omicidio, su quelle puntine. Ma… seguendo canoni giapponesi, le pietre non sarebbero ancora correttamente pulite. Fig. 8
La foto 11, invece, ci mostra una pietra ligure di Daniela Schifano. La corrispondenza con il materiale cinese è evidente. Fig. 11
Fig. 14
Fig. 12
Fig. 13
Fig. 15
21 SABBIATURA - Luciana Queirolo A lezione di suiseki
Fig. 16
Fig. 17
2° “Ci consente di salvare piccole protuberanze…” Anche nelle pietre dallo sporco più tenero, puoi scoprire particolari o guglie che l’acqua ha eroso, riducendole con virtuosismo a delicati merletti (Fig. 16). La pressione ed i giri di una spazzola rotante li farebbero sicuramente volar via prima che ci se ne possa render conto.. “Con la sabbiatrice in azione, avendo sotto controllo costantemente la visione sulla pietra, potremo fermarci al momento in cui reputassimo giusto fermarci.” (Fig. 17). Quando la materia degradata raggiunge una durezza che sfida e resiste all’azione di una sabbiatura ragionevole (Fig. 18), credo sia il momento di desistere; anche Sergio è di questo avviso: “Usando sabbiatrici professionali, quindi dal costo molto elevato, e sabbie particolari, è possibile incidere anche il marmo… ma questo a me non interessa!” Quando pulii questa pietra (Fig. 19, 20), ora abbastanza famosa, penai molto con le spazzole, rischiando seriamente di perdere particolari importanti. Terminai a mano, su quei punti focali che divennero poi determinanti nella corretta lettura del suo nome poetico. 3°-“ I licheni si levano senza fatica…” e senza lasciare macchie: dove prima stazionavano allegramente i licheni, la superficie della pietra rimane leggermente butterata, ma questo non è un danno causato dalla sabbiatura, ma dalle sostanze caustiche prodotte dal lichene che, sciogliendo la pietra, si nutre.
Fig.19, 20
Fig. 18
4°- “Al contrario che con le spazzole rotanti, è difficilissimo, per non dire impossibile, ferirsi: se la sabbia colpisce le mani con forza, è evidente che avvertiremo subito il contatto e non ci saranno danni. Se la pietra è molto piccola o se teniamo al look delle nostre unghie, è sufficiente utilizzare un buon guanto.” Circa le YouLan stone, esse comprendono, come nel caso del nostro palombino, pietre che possono assumere aspetti diversificati, a seconda delle variabili dovute alle differenti condizioni geologiche in cui si sono formate, differenti apporti organici o terrigeni, differenti composizioni delle acque che le hanno erose (Fig. 21, 22, 23).
Fig. 21
A lezione di suiseki
22
SABBIATURA - Luciana Queirolo Fig. 22
Fig. 23
Fig. 24
Alcuni anni or sono, sul Forum del IBC americano, venne postata questa pietra (Fig. 24): Non ricordo, ora, se quella fu la prima o la seconda volta in cui ebbi la possibilità di posare lo sguardo su una di queste meraviglie…ricordo solo che conservai anche la foto di una pietra simile, esposta nel 2004 alla 44a Meihinten, l’esposizione annuale della Nippon Suiseki Association, per la quale solamente i suiseki più eccellenti sono scelti per la mostra (Fig. 25). Kev Bailey, il proprietario della pietra postata sul IBC, scrisse: “Fui così attratto dal dettaglio in questa piccola catena di montagna che la comprai. Normalmente non acquisto pietre, dato
Fig. 25
che preferisco raccoglierle. Questa era dal Green Club dopo il Kokufu-Ten in Tokio di quest’anno. Il cartellino del prezzo diceva 25000y, pagai 15000y = £75 o $140. Se qualcuno ha un indizio dell’origine della pietra, sarei veramente grato.” Gli rispose uno tra i più importanti collezionisti e conoscitori occidentali di pietre orientali, Peter Aradi: “Ho visitato anch’io il mercato al Green Club di Ueno durante il Kokufu-Ten. Ricordo che due tra i migliori venditori portarono pietre simili, il Sig. Zhou, un rivenditore gentiluomo cinese che ha negozi in Saitama, vicino a Tokio, e Shangai, ed il negozio della Cooperativa Giapponese dei Coltivatori di Bonsai. Quelle pietre mi sembrano come la tua e provenivano dalla Cina. La loro classificazione è “ Pietra nera cinese (black stone). Se non sono molto in alto sulla scala della durezza, loro appartengono probabilmente a questa categoria. Se sono al contrario molto dure e puoi vedere qualche vena colorata e agile, allora puoi aver acquistato una vera gemma a un prezzo da affare, un Furuya-ishi. Guardando attraverso il libro in riferimento al suiseki giapponese, l’unica altra area dove un tipo simile può essere trovato è Tamba, così potresti aver acquisito una pietra anche più rara, un Tambaishi. Al di sopra di quale possa essere la sua origine, è una pietra grande. Traine godimento.” Kev rispose che non vi erano vene agili, sulla sua pietra ma che sembrava molto dura e “inanellata” sulla base; che la sua piccola catena di monti era inalterata e quasi completamente piatta, “formata come le pietre liguri, che hanno belle basi naturalmente piatte.” (Fig. 26). Il venditore era stato in effetti Mr Zhou Yishan che stava chiudendo un negozio in Tokio. Mr. Zhou è un importante collezionista anche di fossili: possiede, ad esempio, un prezioso fossile di “capelli di pietra”, come quello che fu postato sul nostro forum da Chiara, durante il suo viaggio in Cina. I “capelli” sono di un colore giallo- bianco ed appartengono ad un animale marino, lo cephalodiscus, esistito milioni di anni fa. Dice mr. Zhou: “Un acquirente mi ha offerto un prezzo astronomico per questo fossile, ma ho girato il mio pollice verso il basso; per me è maggiore la gioia di condividere”. Fossili e 99 altri rari e preziosi fossili e minerali saranno esposti durante il World Expo 2010 di Shanghai e Mr. Zhou è uno dei membri dell’organizzazione . Bene ragazzi… la testa vi gira come dopo una solenne ubriacatura? Niente paura! Avrete modo di smaltire, da qui al mese prossimo. Ogni giornale, poi: può essere letto; puoi guardare solo le figure; puoi anche saltar le pagine senza darci neppure una occhiata…ma che io non debba accorgermene, però! Luciana Queirolo
Fig. 26
scuola di estetica 23 ANOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari
Note sull’estetica del Bonsai III parte
Testo e disegni di Antonio Ricchiari
La base delle radici di superficie ed il nebari sono l’origine, il punto di emergenza dell’espressione dell’albero. Questa esprime la forza, la stabilità, il mordente. La larghezza di questa base è relativa alla lunghezza del tronco.Le varie forme del bonsai sono definite per la posizione del tronco: forma verticale, forma più o meno inclinata, semicascata e cascata. Il diametro e l’inclinazione del tronco sono due caratteristiche indipendenti. Vi sono altre caratteristiche specifiche : radici – tronco – rami. Fig. 1
Il posizionamento delle radici è una delle operazioni che hanno priorità assoluta sul resto della pianta. A determinare la scelta del fronte del futuro bonsai concorre sicuramente la posizione delle radici di superficie e la forma che queste hanno. Le radici più robuste dovrebbero trovarsi sul fronte della pianta e, in generale, la dimensione delle radici deve essere proporzionata al tronco: pensate ad un fusto esile con grosse radici o viceversa, un albero possente con radici sottili che sensazione darebbero all’osservatore! Si provvede all’ispezione dell’apparato radicale in coincidenza della prima rinvasatura, avendo naturalmente cura di non danneggiarlo. Dunque, occhio alle radici sottili che sono le prime ad essere danneggiate da interventi grossolani ed attrezzi impropri. Per quanto riguarda la potatura delle radici dobbiamo intervenire sulle radici fibrose perché, come abbiamo visto, sono necessarie per l’assorbimento dell’acqua e del nutrimento necessario alla pianta; la potatura delle radici più grosse stimolerà la crescita dei capillari, più necessari alla vita della pianta stessa. Questo intervento è sempre fatto in relazione alla specie, alle caratteristiche stesse, alla stagione ed in funzione delle dimensioni a cui si vuole arrivare rispetto al vaso definitivo. Qualsiasi radice che si deve eliminare va potata appena possibile, senza aspettare le successive rinvasature, quindi all’atto del trapianto. Gli eventuali difetti, ad esempio: le radici che si incrociano, quelle che si annodano o che hanno un andamento circolare, quelle che crescono verso il tronco, quelle grosse che toccano il bordo del vaso, etc. vanno corretti al più presto, quando la pianta è in educazione. Quando si acquista un pianta in vivaio, spesso proprio per il metodo di coltivazione e di zollatura e per l’abbondante presenza di argilla, si ha un apparato radicale scarsissimo di radichette: esattamente l’opposto di quello che necessita ad una pianta che deve essere educata a bonsai. Da qui la necessità di impiegare una buona percentuale di sabbia o materiale equivalente (anche il 40% o più) che permetta una buona areazione delle radici e il controllo delle innaffiature. Inoltre, oltre all’appiattimento delle radici e alla loro sistemazione in orizzontale, si poteranno tutte quelle che si dirigono verso il basso. Insomma lo scopo di un intervento tempestivo e sollecito all’apparato radicale, prima ancora di preoccuparsi di altre parti della pianta, è quello di mettere ordine al groviglio di radici, di pulirle, di liberarle Fig. 2 ove possibile del materiale ove si erano fino ad allora sviluppate ed - Sistemazione radici di superficie abituarle alla nuova miscela di terriccio e soprattutto di “sistemarle” in quell’assetto che prevede la collocazione nel vaso basso e piccolo per Bonsai. Si può anche margottare la base del tronco per ricreare un apparato radicale oppure, in ultima analisi, adattare lo stile del Bonsai alla disposizione delle radici esistenti: nel caso delle radici poste su un solo lato, queste possono essere giustificate con un Cascata o con un Prostrato, in cui l’inclinazione esasperata del tronco rende naturale la crescita di radici di superficie sull’angolo più grande.
- Organizzazione dei rami - Loro distribuzione lungo il tronco - Loro orientamento -
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A scuola di estetica
NOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari
Forma triangolare
l principio sul quale si basa la silhouette di un bonsai è quello della forma triangolare. La forma triangolare, nel bonsai, ha un forte valore simbolico oltre che estetico. La forma triangolare permette di esprimere la stabilità: un triangolo equilatero o isoscele simbolizza un albero perfettamente equilibrato. I due lati sono uguali. L’addolcimento graduale dell’ampiezza dell’angolo dell’apice suggerisce l’arresto dello sviluppo. - La disposizione di più triangoli permette di creare una silhouette complessa. - La ramificazione di un ramo si iscrive più o meno dentro un triangolo. - Due triangoli contigui possono confondersi allorché i rami sono allo stesso livello. Fig. 3
- Schematizzazioni di disposizioni triangolari
Per l’aspetto generale di un bonsai vale il principio estetico che “i particolari di un’opera d’arte non sono mai autosufficienti”. Questo vuol dire che l’aspetto di ogni parte dipende, in varia misura, dalla struttura del tutto e a sua volta il tutto è influenzato dalla natura delle parti. Andando al linguaggio molto pratico, se le varie parti dell’albero sono ben impostate e ben strutturate avremo allora un bel bonsai e quindi la visione generale del bonsai dipende dai vari particolari che sono stati ben educati. Forme
Il concetto di forma è quello definito dal pittore Ben Shahn “La forma è la configurazione visibile del contenuto” ed è una formula abbastanza chiara che definisce la distinzione fra “configurazione” e “forma”. La configurazione la si prende come rappresentazione di qualche cosa, e quindi come forma di un contenuto che nel nostro caso è l’albero. Forma VERTICALE – apice verticale alla base Forma INCLINATA – apice inclinato in rapporto alla base Forma a CASCATA – apice più basso della base Forma a SEMICASCATA – apice allo stesso livello della base ll cerchio che potete osservare schematizza l’aspetto degli alberi che possiamo riscontrare in natura e l’andamento dei tronchi, la loro inclinazione, il palchi fogliari sono tutta una conseguenza dell’habitat della pianta, delle condizioni atmosferiche di quel sito e da ciò hanno un perché tutti i particolari che andremo a dare al nostro bonsai. Si comincia a parlare (e nutro qualche seria preoccupazione) di cosiddette “avanguardie”: avanguardia di cosa? Il processo evolutivo è ammesso per le forme d’arte figurative, per la scultura, per l’architettura etc. Per il bonsai, interpretazione della natura, possiamo elaborare alcuni particolari – è vero – ma non possiamo giocare di fantasia perché
Fig. 4 - Schematizzazione dell’aspetto degli alberi
scuola di estetica 25 ANOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari
non dobbiamo mai dimenticarci il modello che la Natura ci dà, passo passo. Vi rimando alla pagina che nel numero di febbraio 2009 ha scritto Giovanni Genotti a proposito degli Stili, lì vi sono contenuti i principi che non dovranno essere mai trascurati, altrimenti avremo, è già li vediamo, dei Bonsai assolutamente non credibili. Fig. 5 - Esempi di forme verticali
Forma verticale: la sequenza dei quattro disegni mostra nel primo come le palcature sono divise in due triangoli (due rami laterali ed uno sul fronte e sul retro). Le altre sono varianti. La soluzione 3 può sembrare simmetrica; il primo ramo deve essere di lunghezza diversa dal secondo. La variante 4 ha il primo ramo a sinistra, il secondo sul retro ed il terzo opposto al primo a destra. Fig. 6 - Esempio di forma casuale
Fig. 7 - Esempio di palcature
Nella forma casuale (Fig. 6)la somma dei triangoli si inscrive dentro la base più grande. Progetto di palcature per la forma casuale (Fig. 7). Diversi triangoli si iscrivono entro il perimetro di quello che ne determina la silhouette.
A scuola di estetica
NOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari Fig. 9
Fig. 8
- Forma semicascata con le varianti dell’apice
- Variante ad una e due linee per la forma a cascata con l’iscrizione di due apici
Proporzioni
Qualche pensiero legato alle proporzioni... Un rapporto armonioso analogo a quello creato tra le branche della struttura principale nel salire lungo il tronco andrà rispettato anche nella costruzione di ognuno di questi rami, di modo che staccandosi dal tronco esso dia origine a rami secondari sempre più sottili verso la periferia della chioma, ed acquisti conicità. La direzione di questa ramificazione accessoria, che va lasciata alterna ed all’esterno delle eventuali curve del ramo portante, è perlopiù laterale (cioè orizzontale), o comunque tale da portare il fogliame ad esporsi alla luce nel modo più efficace: non hanno senso perciò quei rametti diretti “troppo” verso l’alto o il basso, che esprimono solo l’esuberanza della pianta nel ricacciare a seguito delle cimature subite, e rendono la sua forma disordinata e poco verosimile. In realtà l’andamento più comune dei rami, con una certa concavità verso l’alto, è dovuta alla loro duplice tendenza a crescere allontanandosi dal tronco ed allo stesso tempo dirigersi verso l’alto: a seconda di quale prevale, la ramificazione della chioma può perciò assumere un aspetto “a coppa” più o meno allargata. Occorre ricordarsi di questo particolare quando si educano col filo i rami del futuro bonsai: dà modo di aggiungere credibilità alla loro forma.
Fig. 9
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scuola di estetica 27 ANOTE SULL’ESTETICA DEI BONSAI - Antonio Ricchiari
Fig. 10 Nel disegno è evidenziata la zona di equilibrio che in questo caso è assolta dalla massa del primo ramo che compensa bene l’andamento sbilanciato del tronco.
Fig. 10
E’ evidente a questo punto che nel bonsai la “naturalezza” è inevitabilmente una simulazione estetica e va imposta con una tecnica appropriata. Esiste infatti una notevole differenza nei modi di evolversi della ramificazione: in un grande albero cresciuto spontaneo, di una qualsiasi specie, essa si forma lenta, ed “ha il tempo” di disporsi rispondendo soprattutto alle condizioni di illuminazione dei diversi punti della chioma, mentre nel bonsai, per l’energia con cui il piccolo vegetale ricaccia a seguito delle frequenti cimature (e il fatto che la luce arriva quasi dappertutto) la struttura è spesso convulsa, e così si formano dei rami (in punti e con un andamento) che in una pianta grande non si avrebbero. Sono quindi solo l’osservazione e la coerenza che suggeriscono al bonsaista attento quali siano i rami poco verosimili e con una direzione “sbagliata” da eliminare al più presto. Questa percezione, che si affina studiando con attenzione le infinite forme della natura, costituisce una dote importante, e la si potrebbe chiamare “il senso dell’albero”.
Fig. 11
L’essenza del mese
BOUGAINVILLEA - Antonio Ricchiari
Bougainvillea Famiglia: Genere: Specie:
Nyctaginaceae Bougainvillea B. aurantiaca, B. buttiana, B. glabra, B. hybrid, B. spectabilis, B. splendens, B. trolli, B. valverde
E’ uno spettacolo vedere una bouganvillea in fiore, perché le cultivar che si trovano in vivaio hanno svariate tonalità che variano dal rosso al giallo, dal lilla al carminio; non sono soltanto viola le brattee che sorreggono i fiori: sono state selezionate eccezionali varietà in numerosi colori. Nelle regioni calde questa generosissima pianta ha una fioritura spettacolare dovuta appunto alla temperatura e alla particolare umidità. Qualche problema insorge nelle regioni del nord, dove la pianta ha, per i rigori del clima invernale, una fioritura ridotta e irregolare e dove si rende necessario proteggerla. Non sopporta le gelate, predilige esposizioni molto soleggiate ed Bougainvillea - Premio UBI 2007 Coll. Graham Potter aperte. Sopporta abbastanza bene la siccità e questo ci dovrebbe foto Andrea Trevisan far comportare di conseguenza anche per il suo utilizzo a bonsai. Il nome di questa pianta si origina da Luoise Antoine de Bougainville, vissuto nel ‘700, comandante di corvetta a cui il botanico Commerson, nel 1767 dedicò la sua scoperta fatta a Tahiti dove per la prima volta vide questo splendido rampicante che abbelliva tutti i giardini del luogo. Il nome scientifico è Bougainvillea spp. ed appartiene alla famiglia delle Nyctagynaceae. Pianta a foglia persistente, con lamina ovoidale o ovata-lanceolata, ad apice acuto, pronunciato con margine intero e ondulato. Le foglie sono lunghe 5-12 centimetri, picciolate, inserite in modo alterno sui rametti. Sono di colore verde più o meno intenso a seconda della varietà. Quelle che circondano i fiori sono colorate e hanno funzione vessillare. I rametti sono verdastri o verde-brunastri e spinosi. Chi abita le regioni mediterranee è abituato a vedere ovunque la bougainvillea protagonista nei giardini, nelle ville, presente nei vivai con due specie: la spectabilis e la glabra, mentre B. x buttiana - un ibrido naturale - deriva dall’incrocio di B. glabra con B. peruviana. La Bougainvillea spectabilis è una specie vigorosa, con foglie grandi e pelose, ha brattee lillà più ampie di quella di B. glabra raggruppa i fiori all’apice dei rami; produce grosse spine ricurve, non sopporta eccessivamente la potatura e soffre le gelate. La Bougainvillea glabra è invece più rustica, con foglie più piccole e prive di peli, brattee viola. La varietà che si presta di più alla coltivazione in vaso e alle potature è la “Sanderiana”, la quale sboccia senza interruzione per tutta la stagione vegetativa. La Bougainvillea x buttiana è conosciuta per il colore cremisi dei suoi fiori; le sue brattee sono ondulate e rosso cremisi quando si aprono, divengono più violacee esposte al sole. Altre cultivar impiegate sono “Jamaica White”, adatta alla coltivazione in vaso, a crescita lenta, rifiorente, da esporre in pieno sole. La “California Gold”, con brattee giallo-arancio, non sopporta basse temperature, cresce con moderazione e le sue foglie sono verde scuro. La “After Glow” viene anch’essa coltivata in vaso e ha fiori colore arancio. Nelle regioni settentrionali è opportuno esporre queste piante in sito soleggiato e quando la temperatura abbassa ulteriormente vanno protette con materiale coibente e ritirate in serra per proteggere anche la parte aerea. Comunque non deve permanere dove la temperatura si abbassa al di sotto dei 5° C, quindi per i bonsaisti del nord la Bouganvillea va catalogata come Bonsai da interni.
Con il clima giusto non ci sono problemi Nelle regioni settentrionali è opportuno esporre queste piante in sito soleggiato e quando la temperatura abbassa ulteriormente vanno protette con materiale coibente e ritirate in serra per proteggere anche la parte aerea. Comunque non deve permanere dove la temperatura si abbassa al di sotto dei 5° C, quindi per i bonsaisti del nord la Bougainvillea va catalogata come Bonsai da interni. La Bougainvillea fa parte di quel patrimonio di essenze autoctone che dal punto di vista bonsaistico possono permetterci di creare uno stile italiano inteso non Fig. 1 - Coll. Fausta Lepore soltanto come una nuova ricerca di forme e una nuova estetica, ma rivolto all’impiego e alla lavorazione di essenze tipiche del nostro Paese quali l’ulivo, il timo, il rosmarino, la sughera, il pino d’Aleppo, il leccio, la ginestra etc.: essenze che sicuramente spiccano anche se avvicinate alle sorelle giapponesi. La bougainvillea si distingue per la particolarità delle sue infiorescenze; queste ultime si compongono di brattee (foglie mutate), di vari colori e tonalità che circondano il fiore vero e proprio di color giallo-bianco. Il periodo della fioritura va da giugno alla fine dell’autunno.
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L’essenza del mese
29 BOUGAINVILLEA - Antonio Ricchiari Riproduzione Avviene anche per talea: in estate si prelevano talee legnose della lunghezza di circa 7 cm, che dovranno essere piantate in una composta sabbiosa, in vasi di circa 6 cm di diametro. Per un periodo di 3 settimane, il periodo del radicamento, è bene collocarle in apposite cassette al fine di garantire alle piantine una temperatura di circa 20-25 °C. In alternativa talee di 15 cm possono essere prelevate da rami più maturi a gennaio. La procedura da seguire per ottenere il radicamento è la stessa vista sopra; la temperatura da mantenere è di circa 18 °C. La moltiplicazione è molto facile anche per divisione di una grossa radice, sia per margotta, a patto che queste operazioni si eseguano in piena estate. In primavera inoltrata si possono prelevare talee semilegnose lunghe una decina di centimetri e si mettono a radicare in un composto di torba e sabbia per circa un mese ad una temperatura di 22-26°C. Quando le radici saranno sviluppate, si cambierà il vaso con uno più grande per trapiantare dopo un anno.
Fig. 4 - Bougainvillea glabra ssp. Sanderiana Coll. Rocco Cicciarello - Settembre 2004
Consigli per la coltivazione La Bougainvillea cresce bene in substrati di medio impasto, ben drenanti e non troppo calcarei. Ha necessità di essere allevata in un terriccio ricco, fertile e sciolto, che contenga molta sabbia o pomice (calcolate nella miscela circa 3-4 parti su 10); alla base del vaso un buon drenaggio per permettere all’acqua di penetrare bene e fuoriuscire. Per l’esposizione della pianta non dimenticate che ha bisogno di molta luce e molto sole, mentre per quanto riguarda la fertilizzazione, in autunno va somministrato un prodotto liquido completo e per tutto il periodo della fioritura un prodotto a lenta cessione. La bougainvillea va innaffiata con una certa generosità durante tutto il periodo vegetativo. La coltivazione della bouganvillea presenta qualche problema come d’altronde tutti i bonsai da fiore. Pretendere da un bonsai una abbondante fioritura è molto appagante dal punto di vista estetico, ma rischioso per l’esigenza energetica che richiede la pianta in quella particolare fase. A differenza di altre specie, le piante da fiore presentano tipi differenti di gemme e di rami. Questo significa una potatura più accorta e diversa. La dimenFig. 2 - Petali di bougainvillea su di una scalinata ai piedi di un sione dei fiori deve essere proporzionata ai tempio zen rami e alle impalcature. Nei soggetti giovani occorre limitare gli interventi di potatura. E’ bene tenere presente che la potatura è inversamente proporzionale al vigore della bouganvillea al momento dell’intervento e va controllato appunto il vigore dei rami che peraltro non è mai uniforme: i rami più deboli fruttificheranno prima, quelli più forti lo faranno in ritardo ma con abbondanza. Questa fiorisce sui getti maturi dell’anno precedente che vanno potati subito dopo la fioritura, per garantire ai nuovi getti il tempo necessario per crescere e maturare prima dell’inverno. Se vengono potati molto presto, alcuni soggetti possono produrre una seconda fioritura alla fine della stagione. Normalmente non è difficile distinguere fra getti del primo e del secondo anno: quelli del primo anno sono ancora flessibili e di solito verdi, mentre quelli del secondo sono per lo più grigi o brunastri. Quelli che hanno più di due anni hanno una corteccia ben sviluppata, in genere scura, e sono duri e legnosi. Durante la potatura occorre eliminare sempre tutto il legno morto o danneggiato e tutti i rametti in eccesso. Per fare ingrossare i rami e per non fare perdere vigore alla pianta in educazione è necessario togliere tutti i fiori. Nella potatura si interviene accorciando di circa un terzo i rami principali e più in generale sfoltendo la Fig. 3 - Coll. Michele Esposito
Fig. 5 - Aprile 2005
Fig. 6 - Agosto 2007
Fig. 7 - Settembre 2007
Fig.8 - Luglio 2008
L’essenza del mese
BOUGAINVILLEA - Antonio Ricchiari
Fig. 9 - Brattee color giallo-arancio di una B. “California Gold “
pianta eliminando i rametti più deboli. La Bougainvillea è un’essenza che da sempre affascina i patiti del verde; educarla a bonsai invece sollecita l’entusiasmo di un minore numero di bonsaisti, e francamente non si capisce bene il motivo, anzi si capisce benissimo, perché il bonsai è considerato un fatto di mode e quindi anche le varie essenze godono di preferenze come se anche lì si debba parlare di moda. Un bonsai di bougainvillea è di notevole effetto estetico per il colore delle brattee che sono molto decorative e persistenti (tutta l’estate). Per ottenere una buona fioritura la pianta va concimata con dosi leggere durante tutto l’anno con un concime liquido (0-10-10 NPK), integrato con Bio Gold in tutto il periodo di esposizione all’esterno, dal momento della fioritura al ricovero autunnale. Non è il caso di preoccuparsi se nelle regioni del nord, ai primi freddi, la pianta inizia a perdere le foglie anche se è posta all’interno: occorre allora diminuire drasticamente la quantità di acqua e concime ed aumentare il tasso di umidità, ponendo il vaso su un vassoio pieno d’acqua, il più vicino possibile ad una fonte luminosa.
Fig. 10 -Bougainvillea in formazione Coll. Giuseppe Messina
Fig. 11 - Bougainvillea in formazione Coll. Antonio Ricchiari
L’esemplare mostrato in questa foto (Fig. 11) appartine all’autore. L’acquistò anni or sono in un vivaio, le sue dimensioni in origine erano: - altezza: cm 145; - diametro nebari: cm. 46. Le prime operazioni effettuate furono quelle volte a ridurre l’altezza dell’esemplare, scegliere i rami utili al progetto finale (Fig. 12), e rinvasarla al fine di potare e selezionare le radici per formare un buon apparato radicale, povero in fittoni ma ricco di capillari.
Patologie
Fig. 12 - Progetto a medio-lungo termine della bouganvillea della Fig. 11
Per quel che riguarda i parassiti e le malattie si possono riscontrare: - afidi infestanti la vegetazione, cocciniglie (genere Eulecanium) infestanti i rametti, pseudo coccidi che infestano i germogli, Metcalfa pruinosa, i cui stadi giovanili e adulti infestano la vegetazione imbrattandola di melata e di secrezioni sericee biancastre; - marciumi del colletto, macchie necrotiche fogliari dovute ad alcuni agenti fungini. Antonio Ricchiari
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Note di coltivazione
I CONCIMI ORGANICI - Luca Bragazzi
I concimi organici - evoluzioni tecniche I parte
di Luca Bragazzi
Dopo aver descritto i benefici della concimazione organica nella pratica agronomica della concimazione applicata alla coltivazione bonsai, vediamo una tecnica che è stata interpretata ed intesa come evoluzione dello sfruttamento dei benefici della Sostanza Organica (SO). Ideai questa tecnica nel 2003 in seguito a degli studi in agronomia sulla decomposizione della SO in campi agricoli. Applicata e perfezionata negli anni successivi, è diventata una pratica molto utilizzata da parte di moltissimi amatori sparsi sul territorio nazionale che ormai la adottano sistematicamente nei periodi primaverile e autunnale. Da più parti, i risultati ottenuti hanno migliorato sostanzialmente le condizioni nutritive e di sviluppo delle collezioni in cui questa tecnica è adottata, non solo, grazie alla migliore comprensione delle fasi di decomposizione e alle complesse interazioni che interagiscono tra i substrati e i concimi utilizzati, si sono potuti raggiungere standard qualitativi fino a qualche anno fa insperati. La tecnica vede l’utilizzo di concimi organici in forma granulare o pellettata (bio-gold – hanagokoro – tamachi – stallatico ecc.) e dalle titolazioni idonee al periodo di utilizzo. Le modalità di applicazione del concime rispecchiamo quelle adottate dai professionisti di bonsai giapponesi, in cui la collocazione dei cilindretti rispetta un ordine di collocazione molto preciso tutt’intorno al perimetro del vaso, in uno spazio compreso tra il tronco ed il bordo del vaso. Questa applicazione segue due modalità di somministrazione: NORMALE e INTENSIVA; queste due modalità sono caratterizzate dalla distanza tra i cilindretti, in cui nella prima è pari alla grandezza del cilindretto stesso, nella seconda è pari a due volte la grandezza del cilindretto. Per poter ottenere risultati oltre le comuni somministrazioni di concime, bisogna applicare dello sfagno su tutta la superficie del substrato, avendo l’accortezza di coprire i cilindri di concime; la condizione che viene a formarsi è di costante umidità (non in eccesso), tale che la decomposizione della SO avviene molto più velocemente, attivando così micro flora e micro fauna terricola, indispensabile per la buona riuscita dell’operazione, non solo, anche la formazione della tipica muffetta grigio-bianca sui cilindri viene stimolata in modo da aumentare i ritmi di decomposizione. L’effetto principale è quello di un esaurimento dei cilindri in tempi nettamente inferiori a quelli normali di 40gg che in questo tipo di applicazione risulta essere di 20gg ca.. Il dimezzamento del tempo di esaurimento, indica un accelerazione delle fasi di rilascio dei nutrienti che stimolano l’attività radicale grazie anche alla produzione di sostanze umiche capaci di chelare molecole altrimenti inutilizzate. Le fasi biologiche, solide e gassose del suolo, sono in questi casi frenetiche e particolarmente produttive, garantendo un’evoluzione della SO ceduta dal concime, veloce ma allo stesso tempo utile all’evoluzione dell’apparato radicale. Vedremo nella seconda parte i parametri climatici che migliorano tale applicazione. Luca Bragazzi
Tecniche bonsai
IL RINVASO - Antonio Acampora
Il rinvaso
di Antonio Acampora
La tecnica del rinvaso ha un valore fondamentale nell’arte bonsai, sia dal lato della coltivazione, sia da quello della realizzazione del bonsai
Le finalità del rinvaso
1. Disposizione del ceppo radicale II bonsai vive nello spazio delimitato di un piccolo vaso: in uno spazio di tempo da uno a tre anni le sue radici si sviluppano al punto di riempire il volume a disposizione. Quando questo accade gli elementi nutrizionali non riescono più ad essere assimilati e la pianta entra nella fase di deperimento, la terra del vaso diviene così consistente e compatta da impedire l’infiltrazione dell’acqua. I bonsai giovani (una volta ogni due/tre anni) e quelli maturi (una volta ogni quattro/cinque anni) si rimuovono dal vaso per ordinare e spuntare l’apparato radicale e cambiare il terreno esaurito con un nuovo substrato. 2. Controllo della situazione delle radici II rinvaso permette di valutare attentamente lo stato dell’apparato radicale. Se le radici sono sane e vigorose possiedono abbondanti radichette, ben ramificate, con una struttura capillare evidente. Durante il trapianto si possono scoprire eventuali attacchi di parassiti allo stato iniziale, ed è quindi possibile intervenire subito con gli opportuni presidi. Nel corso dell’operazione si eliminano le radici non più attive o con segni di marcescenza, quelle fittonanti, e quelle troppo vecchie e poco efficienti, per facilitare la crescita di nuove radici capillari e quindi rinnovare l’apparato radicale, riuscendo ad avere di conseguenza una chioma sana e vigorosa. Se il trapianto è stato eseguito correttamente, l’albero può essere trapiantato ancora nello stesso vaso. 3. Cambio del vaso Quando l’albero attraversa differenti livelli di formazione è il momento di cambiare il vaso, passando da un iniziale vaso da coltivazione a un primo contenitore bonsai sino ad arrivare al vaso armonicamente più adatto per la pianta matura. 4. Cambiamento della posizione nel vaso Con il rinvaso è possibile cambiare la collocazione del bonsai nel vaso. Osservando accuratamente si può valutare una posizione nella quale il carattere del bonsai sarà meglio apprezzato.
I momenti del trapianto
La frequenza del rinvaso può variare in base alla specie, alle dimensioni del vaso, al tipo di terriccio utilizzato ed al vigore dell’albero. Indicativamente, le conifere in formazione si rinvasano ogni tre anni, mentre i bonsai ad un buon livello di realizzazione ogni quattro, cinque anni. Per le caducifoglie il rinvaso si opera ogni due anni sugli alberi giovani e ogni trequattro anni, sugli esemplari più maturi. Considerando le stagioni come riferimenti, i periodi ideali sono inizio e primavera inoltrata e l’autunno, intorno alla settimana dell’equinozio. Per i principianti con minore pratica è sempre consigliabile la primavera o la primavera inoltrata (secondo le specie). Una certa diversità si riscontra anche tra le specie giovani in formazione e quelle mature e formate e fra le varie specie. Per esempio il momento ideale del rinvaso del Kaki, si colloca fra agosto e settembre. Mentre l’acero palmato già strutturato si rinvaso preferibilmente all’inizio di giugno.
Come si rinvasa
Quando arriva il momento di rinvasare è bene annaffiare moderatamente per i due giorni precedenti l’operazione, in modo da lasciar asciugare la terra all’interno del vaso. In questo modo si eviterà la rottura delle radici capillari per il peso della terra bagnata durante le operazioni di districamento del pane radicale.
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Tecniche bonsai
33 IL RINVASO - Antonio Acampora
Operazioni di preparazione, da effettuare prima di procedere con il rinvaso, per evitare che le radici rimangano esposte troppo tempo all’aria, con il rischio della disidratazione. Ritagliare dei quadratini di retina di protezione contro gli insetti, corrispondenti al numero dei fori del vaso, sui quali saranno posizionati e fissate con cavallotti di filo d’alluminio a forma di “8”. Fissarli al vaso in modo che aderiscano bene.
Attraverso i fori verranno fatti passare uno o più fili metallici (linee gialle) con lo scopo di ancorare la pianta al vaso. I fili, fatti passare fuori del vaso sotto la base, entreranno attraverso due fori e si fisseranno a grosse radici o, in mancanza, alla base del tronco. In caso contrario la pianta tenderà a muoversi nel vaso traumatizzando le radichette o in caso estremo tenderà ad inclinarsi.
Si tagliano i fili d’alluminio che legavano la pianta al vaso.
Se le radici sono fitte è difficile staccare il bonsai dal vaso. In questo caso bisogna staccarle delicatamente dalle pareti interne del vaso spingendo un falcetto intorno al ceppo.
L’albero levato dal vaso va collocato su un piano o preferibilmente su un tavolino girevole, per districare tranquillamente le radici.
Afferrando il bonsai dalla parte inferiore del tronco con una mano, in posizione inclinata, si rimuove con riguardo il terreno facendo attenzione a non rompere le radici più sottili.
Di norma, in rapporto all’ intera massa di radici, si rimuove circa il 50-60% della vecchio terriccio, ma il rapporto differisce molto in base alla specie, all’età e alle condizione di realizzazione del bonsai. Se l’operazione si prolunga è opportuno mantenere umido il pane radicale con uno spruzzatore.
Dopo aver districato le radici si tagliano quelle vigorosi e fittonanti lasciandone a sufficienza per assicurarsi l’efficienza dell’apparato radicale.
Collocare sul fondo del vaso uno strato di inerti di buone dimensioni, per costituire lo strato di drenaggio (pomice, ghiaia, ecc.). Aggiungere, volendo, dei pezzetti di carbone di legna che, grazie al potere tampone molto elevato ristabiliscono eventuali variazioni di pH all’interno del vaso.
Tecniche bonsai
IL RINVASO - Antonio Acampora
Al di sopra dello strato di drenaggio è collocato il substrato di coltivazione, in funzione alla grandezza del ceppo ed alla profondità del vaso.
La corretta disposizione del bonsai nel vaso è molto importante, come il movimento del tronco fino all’apice e la distribuzione dei rami principali. Un’ altra questione rilevante è la posizione nel vaso. Non si posizioni il bonsai su una delle due linee mediane del vaso: la pianta va in genere posta all’interno di uno dei rettangoli posteriori, formati dalle mezzerie, e angolata più a destra o a sinistra a in base ai suoi volumi.
Una volta stabilita la giusta collocazione in vaso è necessario bloccare stabilmente il bonsai, facendo attenzione a non muoverlo nella fase del fissaggio. In questo caso, sono stati inseriti dei bastoncini di bambù nel pane radicale ai quali è stato fissato il filo di ancoraggio di alluminio.
Quando l’albero è ben ancorato si può a poco a poco riempire il vaso di terra, facendo attenzione a far entrare í grani tra l’apparato radicale, in modo che non rimanga dell’aria tra le radici.
Per fare entrare i grani di terra tra le radici occorre utilizzare dei bastoncini di bambù, da far ruotare gentilmente tra le radici.
Pressando lievemente le dita sulla terra ci si accerta che la terra sia ben assestata tra le radici e che non siano rimaste zone d’aria dentro il vaso. Poi, con l’aiuto di una palettina, si livella la superficie del substrato: per un effetto naturale occorre tenere lievemente più elevata la la base del tronco in confronto al bordo del vaso. Per conservare in questa fase una maggiore umidità si può disporre sulla superficie dello sfagno sminuzzato in prossimità della base del tronco.
CURE POST RINVASO
Terminata l’operazione occorre annaffiare abbondantemente finché l’acqua non fuoriesca limpida dai fori di drenaggio. Questo serve ad eliminare completamente la polvere.
Dopo il rinvaso è fondamentale che i bonsai rimangano ben riparati dal vento per lo meno per due settimane. In questo periodo è opportuno sistemare le piante all’ombra e in seguito a mezzombra. Dopo la prima annaffiatura, i bonsai vanno innaffiati come abitudine, quando il substrato si presenta asciutto, ciò nonostante per aiutare la ripresa è utile nebulizzare la chioma almeno una volta al giorno. Gli alberi rinvasati non vanno concimati fino a che le radici non riprendono pienamente la propria efficienza. Dopo quasi un mese, se i nuovi getti si sviluppano bene, di solito si possono riprendere le fertilizzazioni. In alternativa, se nelle proprie miscele è presente anche terreno universale o comunque sostanza organica, è possibile, nel breve periodo, ritardare l’apporto di concimi in quanto la pianta sfrutterà quanto messo a disposizione dal nuovo substrato.
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da club 35 Vita BONSAI CLUB MESSINA - Rocco Cicciarello
Bonsai Club Messina
di Rocco Cicciarello
Il Bonsai Club Messina (http://www.bonsaiclubmessina.com) vede i suoi albori dalla fusione di varie esperienze bonsaistiche, datate e non, di alcuni amici della provincia di Messina che insieme, dopo anni di “latitanza bonsaistica”, decidono di riunirsi per riprendere la “Bonsai do”. Trainati dall’incredibile voglia di crescere ed apprendere quanto più possibile sull’antica arte Bonsai il gruppo, alla paventata ipotesi di iniziare un percorso didattico gestito da un Istruttore qualificato, decide all’unanimità di iniziare questa nuova avventura……… e fu così che quello che era un gruppo di appassionati, diventa prima una classe di studenti dell’Andolfo Bonsai Studio, poi un vero e proprio Club Bonsai costituitosi il 10 Marzo 2006, che oggi ha sede presso le strutture dei Vivai S. Margherita “Arredo Verde” (ME) e dell’Azienda Agricola “La Mimosa” (Merì-ME). Lo scopo e l’obbiettivo che il Bonsai Club Messina si propone dalla sua costituzione è quello di diffondere il Bonsai come arte e approfondirne le conoscenze tecniche, tant’è che sono stati organizzati corsi per principianti, di perfezionamento per i soci più esperti e work-shop tematici con i maggiori esperti italiani. Il Bonsai Club Messina, a distanza di pochi anni dalla sua creazione, vanta già prestigiosi riconoscimenti nel panorama bonsaistico italiano ed europeo ed il palmares del club si spera possa ulteriormente arricchirsi. Ad esempio alcune creazioni sono state insignite - Premio IBS 1999 (Erica arborea di Amenta Ignazio) - BCI Award 2008 (Ceratonia siliqua di Miano Vito) - Premio IBS 2008 (Punica Granatum di Miano Paolo), - Premio Presidente UBI nel corso della Mostra So-Saku di Roma 2007 (Olea Oleaster di Miano Paolo), ed alcuni di questi esemplari sono stati ammessi nel corso di questi anni a partecipare alle Mostre Nazionali UBI e selezionate per il prestigioso Congresso Mondiale BCI-IBS tenutosi a Saint Vincent (AO) lo scorso Settembre 2008. Il Bonsai Club Messina offre a tutti coloro che lo richiedessero la possibilità di frequentare: - Corsi base di tecnica tenuti da Istruttori dell’Andolfo Bonsai Studio ed indirizzati a coloro che muovono i primi passi nel mondo del bonsai o desiderano confermare le proprie esperienze vissute da autodidatta. Ad ognuno verrà fornito: - Libro “Bonsai Corso Base”; - pianta per la prova pratica; - uso degli attrezzi e del materiale necessario per tutta la durata del corso. - Seminari di tecnica bonsai rivolti a chi desidera impostare o perfezionare la proprie piante con un Istruttore e potranno essere liberi o tematici , di gruppo o individuali ed avranno una durata relativa al tipo di lavoro da svolgere . - Aderire ad una delle più importanti associazioni bonsai nazionale quale l’UBI (www.ubibonsai.it ); - partecipare ad work-shop lavorando i propri Bonsai con i più famosi istruttori italiani ed europei; - partecipare alle Mostre cittadine, regionali ed Italiane usufruendo qualora possibile delle agevolazioni riservate.
Che insetto è?
PATOLOGIA VEGETALE III parte - Luca Bragazzi
Patologia vegetale - Parte III: I TINGIDI
Abbiamo trattato nei primi due numeri del magazine, due gruppi di insetti molto “popolari” tra i nostri bonsai: le cocciniglie e gli afidi. Vediamo ora un altro gruppo di insetti che colonizza i nostri bonsai quando questi non vengono opportunamente controllati con un programma di lotta preventivo. Questi insetti denominati Tingidi, insieme agli afidi e alle cocciniglie appartengono all’ordine dei Rincoti. I tingidi sono strettamente legati a specie botaniche del centro Italia e centro Sud, con inverni miti e lunghe primavere. Le specie botaniche coltivate a bonsai su cui sono stati maggiormente osservati, sono principalmente Peri, Mandorli, Salici, Melograni, Aceri e Pioppi. Gli insetti, nella loro forma adulta sono alati, quindi hanno facile accesso ad altri esemplari bonsai, per i processi di colonizzazione in seguito a deposizione delle uova. Sono altresì facilmente osservabili, data la loro dimensione che si aggira intorno ai 5 mm ca, con colorazioni sul marrone chiaro/scuro e giallastro. Come i loro parenti, svernano negli anfratti della corteccia, o sul terreno tra le radici affioranti e in primavera salgono sulle foglie dove dalla pagina inferiore depongono le uova nel mesofillo fogliare, ricoprendole di escrementi scuri. Le punture, eseguite numerose, provocano ingiallimenti fogliari con conseguenti riduzioni dell’efficienza fotosintetica, che comporta un indebolimento generale della pianta in seguito a defogliazione. Collocati sulle pagine inferiori, sfuggono facilmente al controllo degli eventuali trattamenti che eseguiamo in fase preventiva o curativa, per cui la nebulizzazione all’interno della chioma e sulle pagine fogliari inferiori, scongiurerà il protrarsi dell’attacco. Altro aspetto importantissimo è la tempistica di schiusa delle uova, che non avviene in un solo momento, ma in tempi successivi, per cui un solo trattamento è di scarsa efficacia, mentre adottando un programma con circa tre interventi fitosanitari a distanza di circa 10gg l’uno dall’altro, elimina efficacemente il problema. Nei diversi metodi di lotta presenti, consiglio quello preventivo, in cui l’adozione di trattamenti fitosanitari a bassa dose con l’alternanza di insetticidi sistemici e di copertura, durante tutto il periodo primaverile, scongiura l’attacco di qualsiasi patogeno di origine entomofila. In generale, nella formulazione dei programmi di lotta inerenti una collezione bonsai, dovremo sempre tener presente il grado di evoluzione dei nostri esemplari, lo stato fitosanitario al momento della programmazione degli interventi e soprattutto la condizione agronomica inerente i diversi esemplari. In generale, può sembrare eccessivamente dettagliato, ma un programma che vede l’alternanza di più prodotti, applicati con costanza e corretti mezzi evita problemi che in molti casi diventano non più gestibili a livello amatoriale. Luca Bragazzi
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Bonsai&Suiseki
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