Bonsai & Suiseki
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magazine
Bonsai&Suiseki magazine
Anno I - n.9
Settembre 2009
九 9
Con il patrocinio di
I.B.S. e U.B.I. ASSOCIAZIONE ITALIANA AMATORI SUISEKI
BONSAI CLUB TICINO
Per informazioni sulla manifestazione
Per informazioni sulla manifestazione
A.I.A.S. Segrateria
BONSAI CLUB TICINO Segreteria
Sig.ra Elvira MANUTI DI VENERE Via M. Luther King, 57 I-70124 Bari Info: vdivenere@yahoo.it
Sig. Nicola CRIVELLI Via ai Boschetti, 23 CH-6828 Manno Info: info@bonsaiclubticino.ch
REGOLAMENTO
La partecipazione è riservata ai soci AIAS. Per partecipazione al concorso è necessario iscriversi nell’anno in corso e l’iscrizione varrà solo per quell’anno (2009). Possono essere presentate fino a 3 pietre, delle quali, massimo 2 pietre per ogni categoria (esposizione con multi-stand vale per 1) La quota di iscrizione per ogni pietra è di € 5.00. I suiseki premiati in mostre AIAS precedenti, non potranno essere esposti in concorso. Non saranno ammesse pietre senza supporto (daiza o suiban). Il giudizio della giuria sarà insindacabile.
REGOLAMENTO
La partecipazione al concorso BCT avviene tramite spedizione documentazione fotografica delle piante via Email al segretariato del BCT entro il 30.06.2009. Verrà confermata l’accettazione. Si chiede la presentazione di: bonsai, tavolino, erbe di accompagnamento e scroll.
1° PREMIO MIGLIOR CONIFERA 150.-- CHF
1° PREMIO MIGLIOR LATIFOGLIA
TROFEO ANNUALE AIAS
150.-- CHF
Il trofeo AIAS rimane al vincitore per un anno e viene riconsegnato l’anno successivo. Sul trofeo verrà applicata una targhetta con il nome del vincitore.
2° PREMIO attestato
PREMIO TARGA UBI PREMIO TARGA IBS
3° PREMIO attestato
CONCORSI PER CATEGORIE: PIETRE PAESAGGIO 1°-2°-3° classificato
PIETRE OGGETTO 1°-2°-3° classificato
TAVOLINI MULTIPLI 1°-2°-3° classificato
PIETRE BISEKI
1°-2°-3° classificato
PIETRE DA CONTEMPLARE 1°-2°-3° classificato
Altre informazioni www.bonsaiclubticino.ch
PROGRAMMA MANIFESTAZIONE
GLI OSPITI
PERNOTTAMENTI - PRANZI Il pacchetto n°1 comprende:
VENERDI’ 11 13.30 - 16.00 Accettazione piante e suiseki 17.00 - 18.30 Riunione Consiglio Direttivo AIAS
AIAS
Sig. Martin Pauli Giudice unico (Suiseki)
BONSAI
SABATO 12 8.30 - 10.30 Accettazione piante e suiseki 11.00 - 13.00 Valutazione Giuria 13.30 Rappresentazione di musica giapponese (Koto); cerimonia di vestizione del Kimono 14.00 - 17.00 Demo Shodo - Bruno Riva 20.30 Cena di gala e premiazione presso Cantina Ticinese
Sig. Aurelio De Capitani Giudice unico (Bonsai) http://decabonsaistudio.blogspot.com
SHODO
Sig. Bruno Riva Accademia europea di Shodo Ruimo bruno.riva@ti.ch
Il pacchetto n°2 comprende:
HOTEL ROSA ** Via Landriani 2/4 CH-6900 Lugano www.albergorosa.ch per un soggiorno dal 11 al 13 settembre 2009 (2 notti) 4 camere doppie con docia/WC, TV e radio Sfr. 160.-2 camere doppie uso singola con doccia/WC, TV e radio Sfr. 120.-I prezzi sono per camera, per notte con prima colazione continentale, servizio, tassa di soggiorno e IVA inclusi. Contingente messo a disposizione fino al 15 luglio 2009.
Il pacchetto n°3 comprende
HOTEL LOCANDA CASTAGNOLA ** Contrada Vecchio Municipio 1 CH-6976 Lugano-Castagnola - www.locanda-castagnola.ch la Locanda Castagnola, ha disposizione di 12 camere doppie.
Il pacchetto n°4 comprende
DOMENICA 13 9.00 - 18.00 Apertura mostra 9.30 - 11.00 Assemblea Generale Soci AIAS 14.00 - 16.00 Demo tecnica bonsai - membri BCT 15.00 - 17.00 Demo Shodo - Bruno Riva 15.00 - 17.00 Commento Critico sui suiseki esposti 18.00 Chiusura mostra
HOTEL PESTALOZZI ** Piazza Indipendenza 9 - CH-6901 Lugano per un soggiorno dal 11 al 13 settembre 2009 (2 notti) 5 camere doppie con doccia/WC, TV, al prezzo di Sfr. 172.-- per due persone, per notte e camera. Il prezzo indicato comprende la prima colazione, il servizio, le tasse ed IVA. Il supplemento per mezza pensione è di Sfr. 22.-- a persona
ASSOCIAZIONE CAMELIE CLUB GIAPPONESE (C.C.G) http://cameliaclub.blogspot.com
HOTEL DISCHMA *** Vicolo Geretta 6 - CH-6902 Lugano-Paradiso www.hotel-dischma.ch per un soggiorno dal 11 al 13 settembre 2009 (2 notti) 12 camere doppie con bagno/doccia/WC, tel., Radio e TV via cavo, accesso wireless Internet, safe e minibar a Sfr. 150.-- al giorno per 2 persone con il buffet della colazione, tasse e servizio. 2 camere singole con doccia/WC, tel., Radio e TV via cavo, accesso, wireless Internet, safe e minibar a Sfr. 82.-- al giorno con il buffet della colazione, tasse e servizio. (ev. Parcheggio in Autosilo Sfr. 10.-- al giorno.) Opzione: fine aprile 2009
ll pacchetto n°5 comprende
HOTEL FEDERALE *** Via Ragazzoni 8 - CH-6900 Lugano www.hotel-federale.ch per un soggiorno dal 11 al 13 settembre 2009 (1 o 2 notti) 10 camere doppie o doppie uso singolo a Sfr. 250.-- per notte inclusa la piccola colazione. Tassa di soggiorno Sfr. 0.80 per persona, per notte non inclusa nella ariffa sopra menzionata Supplemento mezza pensione Sfr. 33.-- per persona, al giorno. Le prenotazioni saranno fatte direttamente da ogni singolo partecipante usando un codice, BCT2009, per la prenotazione
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Il Giappone. Dove primeggia l’estetica. di Antonio Ricchiari
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er il lettore che vuole scrutare il mondo giapponese dalla prospettiva estetica, le occasioni di conversione dal piccolo all’immenso sono frequenti e sempre strabilianti. Ad esempio l’estetica del bonsai è l’estetica di una natura interpretata in una dimensione miniaturizzata che con la complicità dell’osservatore “calato” in quel mondo in piccolo, può diventare l’occasione di un salto iperbolico negli spazi profondi della
coscienza. Spazi in cui la forma della vita fluttuante, come dice la cultura giapponese, sono risucchiate nella matrice della propria assenza. Chi ha il pregio di una attenta osservazione ne capta l’aura, ne intercetta il ritmo segreto che è intrinseco nell’albero, nella montagna, nel filo d’erba, nello strabiliante mondo del sottobosco, nella traccia di un profumo della Natura, nel guizzo di un animale. Tutto ciò risucchia l’osservatore nel loro interno fatto di nulla, colmo di vuoto. Il “dentro” si esteriorizza, si fa palese. Quella compressione dell’occhio che accompagna l’acutizzarsi dello sguardo e che porta a vedere gli oggetti solo se molto vicini (come una foto macro) diventa un’inopinata via d’accesso agli arcani dell’estetica giapponese. Questo tipo di estetica non è contemplata da quella Occidentale con le sue oggettivazioni artistiche, poetiche, decorative intese in senso ampio. L’estetica giapponese è rappresentata nelle composizioni di rami e steli fioriti che primeggiano nella sontuose vasche di porcellana e che sono rinnovate all’alba nei saloni degli alberghi di Tokyo oppure in quei pini esteticamente lavorati fino allo spasimo da mani esperte di vuoto e apparenza e che costituiscono la cintura verde del Palazzo del Tennô nel cuore del più tradizionale Giappone. Scrive la Marchianò, “lontano dal frastuono urbano, in quegli spazi erbosi di piccolezza asimmetrica sforbiciati attorno ai templi: perimetri di ghiaia e pietre come isole arroccate in un mare fermo, muschi e pinelli nani che un’occulta mente geometrica ha defilato con regale noncuranza, rami tormentati dalle zuffe di candide gru, stagni increspati dai volteggi delle carpe, dal remigare delle anatre sul pelo d’acqua – ho cercato l’anima di quel mondo vivo nelle sagome di visi e effigi, nelle pupille mansuete dei cerbiatti a Nara, nella sublime disposizione dei deschi apparecchiati con assaggi asprini, agri salati, per palati avvezzi a minuziose gestazioni irrorate di thè pastoso, di oleato sakè color berillo. Che l’anima del Giappone si annidi proprio lì, nella perfetta integrazione della forma (la sua stramba bellezza) e del vuoto (la sua arcana pienezza)? Anima – potrei dire con gli occhi della memoria immersi in quei flussi di forme – è ogni stilla di vita che mobilita anatre e carpe, gru e cerbiatti, Pini e muschi, alghe e loti ai lembi estremi della coscienza vigile.”
Antonio Ricchiari
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Bonsai & Suiseki
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magazine
Anno I - n. 9 - Settembre 2009 in collaborazione con
Direttore: Antonio Ricchiari - progettobonsai@hotmail.it Caporedattore: Carlo Scafuri - carlo_scafuri@fastwebnet.it
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Art directors: Salvatore De Cicco - sacedi@yahoo.it Carlo Scafuri
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Impaginazione: Carlo Scafuri Comitato di redazione: Antonio Acampora - acampor@alice.it Luca Bragazzi - tsunamibonsai@tiscali.it Luciana Queirolo - pietredarte@libero.it Antonio Ricchiari Carlo Scafuri
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Redazione: Dario Rubertelli - iperdario@yahoo.it Giuseppe Monteleone - alchimista.vv@tiscali.it Pietro Strada - info@notturnoindiano.it Marco Tarozzo Hanno collaborato: Daniele Abbattista - bestbonsai@gmail.com Massimo Beggio - muhenzen@hotmail.com Gian Luigi Enny - ennyg@tiscali.it Giovanni Genotti Andrea Meriggioli - info@master-bonsai.com Carlo Oddone Giacomo Pappalardo - pappalardogiacomo@gmail.com Gianfranco Pezzoni Felix G. Rivera - felixsuiseki@gmail.com Elisabetta Ruo - best22@alice.it Francesco Santini - santini.francesco@virgilio.it Daniela Schifano - daniela.schifano58@gmail.com Anna Lisa Somma - annalisasomma@gmail.com Gennaro Terlizzi - jennarinos@alice.it Andrea Trevisan - andreatrevis@gmail.com In copertina: Carlo Maria Galli - cingnale@gmail.com Stefano Frisoni - stefano@bonsaisensei.it Luciana Queirolo Sito web: http://bonsaiandsuisekimagazine.blogspot.com Indirizzo e-mail: bonsaiandsuisekimagazine@gmail.com
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Tutti gli scritti, le foto, i disegni e quant’altro materiale pubblicato su questo sito rimane di esclusiva proprietà dei rispettivi Autori che ne concedono in via provvisoria l’utilizzo esclusivo al Napoli Bonsai Club ONLUS a titolo gratuito e ne detengono il copyright © in base alle Leggi internazionali sull’editoria. E’ vietata la duplicazione e qualsiasi tipo di utilizzo e la diffusione con qualsiasi mezzo (meccanico o elettronico). I trasgressori saranno perseguiti e puniti secondo gli articoli di legge previsti dal Codice di procedura Penale che ne regolano la materia. Il Comitato di Redazione del Magazine non assume alcuna responsabilità per i contenuti ed i riferimenti degli articoli, di cui, a norma del Codice Civile, ne rispondono civilmente e penalmente i singoli Autori. Per il carattere gratuito del magazine è tassativamente vietata ogni forma di pubblicità commerciale. Il Comitato di Redazione censurerà ogni tentativo di pubblicità occulta. Le varie segnalazioni saranno vagliate dal c.d.r. e se classificate utili come informazione ai lettori, pubblicate.
Sommario
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki 06. Il furto più odioso! di Daniele Abbattista 08. I meridiani di Gennaro Terlizzi 10. Cosa sapere prima di progettare il proprio giardino giapponese - II parte di Gian Luigi Enny 14. Qualche pensiero sull’Haiku di Massimo Beggio 18. Storia di una pietra di Daniela Schifano 23. Forse non tutti sanno che il ginepro... di Elisabetta Ruo
Mostre ed eventi 28. Mostra Bonsai Centro Italia - Foligno di Luca Bragazzi
In libreria 32. Bonsai & News di Antonio Ricchiari
Bonsai ‘cult’ 78
35. Associazioni ed associazionismo. Un tema sempre attuale di Giovanni Genotti 38. Bonsai e arte. Un dibattito aperto da sempre di Antonio Ricchiari
La mia esperienza 40. Il brutto anatroccolo di Francesco Santini 45. Il cipresso chiamato Mustafà di Giacomo Pappalardo e Antonio Ricchiari 52. Innestiamo un ginepro di Andrea Meriggioli
A lezione di suiseki 55. Evoluzione personale nell’arte di osservare le pietre: “la storia siamo noi!” di Luciana Queirolo 60. L’arte del Suiseki di Felix G. Rivera
L’opinione di... 62. Edoardo Rossi di Giuseppe Monteleone
A scuola di estetica 67. Lo stile a semicascata di Antonio Ricchiari
L’essenza del mese 70. Il ficus - I parte di Antonio Acampora
Note di coltivazione 73. La defogliazione - I parte di Luca Bragazzi
Tecniche bonsai 76. La scelta del vaso - I parte di Antonio Acampora
L’angolo di Oddone 78. Il ginepro di Carlo Oddone
Vita di club 84. Drynemetum Bonsai Club ONLUS di Gianfranco Pezzoni
Il Giappone visto da vicino 86. L’estetica nella cerimonia del tè di Antonio Ricchiari 90. Libro d’ombra - Tanizaki Junichiro di Anna Lisa Somma
Che insetto è? 91. Danni da stress ambientale di Luca Bragazzi
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
il furto più odioso! di Daniele Abbattista
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utti prima o poi hanno purtroppo subito un furto. Una pesante intrusione nella nostra vita privata, che ci lascia un forte sentimento di incredulità, poi di rabbia ed infine di grande tristezza. Quasi un lutto da elaborare. Ma quando l’oggetto di questo furto non è una cosa ma una creatura viva o un bonsai o addirittura una collezione di bonsai, che ci ha accompagnato per buona parte della nostra vita, allora bisogna dar fondo a tutta la nostra forza di carattere e tentare di superare questo momento che rischia di allontanare per sempre da questa meravigliosa passione chi subisce un simile danno. I bonsai rubati annualmente nel mondo ammontano a diverse migliaia ed il business che c’è dietro a questo ignobile gesto, aumenta di anno in anno. La nota casa italiana produttrice di vasi ha addirittura creato un sito (http://www.certre.it/index.php?op=FurtiBonsaiSuiseky) dove segnalare i bonsai ed i suiseki rubati. Per i bonsai più di valore, il furto è quasi sempre su commissione, gente che per qualche motivo conosce il posto in cui custodite ignari i vostri tesori, ed alla prima occasione arriva col furgone, carica tutto senza lasciare traccia. Difficilmente questi bonsai si rivedranno in giro. Finiranno nel giardino di qualche collezionista senza scrupoli che sa benissimo che piante così riconoscibili non potranno frequentare i circuiti professionistici espositivi. E forse non è il male minore per i vostri bonsai. I furti più improvvisati finiranno invece in qualche garden o in qualche paese lontano in mano a gente che non sapendoli curare li rovinerà irrimediabilmente. Eppure i tempi sono un pò cambiati. La diffusione mondiale dei forum specialistici in cui bonsaisti di tutti i paesi interagiscono, ha creato qualche problema a questa infame categoria di ladri: la visibilità. L’uso di social network tipo Facebook e Twitter dove centinaia di appassionati giornalmente dialogano tra loro, rende più facile la segnalazione fotografica degli esemplari rubati. Sarà molto difficile riconoscere bonsai di basso livello ma i pezzi più famosi difficilmente potranno venire camuffati senza stravolgerne la loro caratteristica. Ma cosa fare per contrastare questa dilagante piaga del furto di bonsai? Innanzitutto valgono le regole contro ogni genere di furto: sorveglianza, documentazione dettagliata fotografica di ogni pezzo e nel caso di esemplari davvero costosi (in Italia circolano bonsai del valore anche di centinaia di migliaia di euro) anche l’uso di microchip rilevabili dal satellite in caso di furto. In ogni caso si consiglia di fare immediatamente denuncia alle autorità, unendo una accurata documentazione fotografica, e fornendo una lista di tutti i possibili sospetti, cosa che aiuterà non poco le forze dell’ordine a selezionare le piste da seguire.
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il furto più odioso! - Daniele Abbattista -
Dal mondo del Bonsai & Suiseki Questi di seguito sono alcuni degli esemplari rubati a Roma ad Emilio Di Raimo. I due ginepri sono facilmente riconoscibili, l’azalea bunjin forse un pò meno. Sono piante che Emilio coltivava da anni e che ormai erano quasi pronte per partecipare a qualche mostra di buon livello. Qualunque fosse il loro valore sono pezzi di vita rubata che nessuno potrà mai sostituire. Io spero solo che Emilio ritrovi questi bonsai e che non si faccia prendere dallo sconforto.
Alcuni dei bonsai rubati ad Emilio. Some of the stolen bonsai of Emilio Di Raimo. Se riconoscete uno di questi bonsai contattate Emilio ai recapiti indicati di seguito. If you ever see these trees, please contact me immediately from all over the world. Grazie. Thank you. Emilio Di Raimo. E-mail: 2001chicca@virgilio.it mobile (+39) 3474450054 il furto più odioso! - Daniele Abbattista -
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
i meridiani di Gennaro Terlizzi
A
ncora insieme per un nuovo appuntamento. Nei precedenti incontri ci siamo avvicinati a dei concetti quali lo Yin e lo Yang, il Dao e il Qi (Ki o soffio energetico), visti sotto l’aspetto della MTC. Ma ci chiederemo, nella pratica attuazione a cosa servono questi elementi? E come utilizzarli in modo applicativo nelle cure di alcune patologie? Questi elementi insieme a tanti altri sono fondamentali per la corretta formulazione di una anamnesi e diagnosi energetica. Solo dopo aver formulato una corretta diagnosi energetica con l’utilizzo dello Shiatsu, Tuina o Agopuntura potremo cercare di risolvere il problema. A questo punto è naturale porsi un’ulteriore domanda: come e dove operiamo sul corpo? Il medico, nel caso di utilizzo dell’agopuntura o il terapeuta nel caso di utilizzo dello shiatsu o tuina opererà sui meridiani. Vediamo in modo più specifico cosa sono questi meridiani. I meridiani rivestono un ruolo fondamentale nella MTC ed in modo particolare per lo shiatsu, l’agopuntura ed il massaggio cinese (tuina). Sono canali energetici che percorrono tutto il corpo. Il termine cinese è Jing Luo Mai, la traduzione dei termini è: Jing = meridiano, Luo = collaterale e Mai = vasi. I meridiani ed i collaterali provvedono alla distribuzione del soffio (energia) e del sangue nel corpo. Con il termine vasi non facciamo differenza tra flussi energetici e vasi sanguigni. I collaterali sono ramificazioni che mettono in collegamento i meridiani con tutti i distretti corporei, per nutrirli. Durante il loro percorso, i meridiani si congiungono con gli organi e visceri (Zang e Fu), mentre all’esterno raggiungono le quattro estremità, la pelle e gli organi del senso. Si comprende che esiste una continua interazione tra flussi energetici ambientali e quelli interni al corpo. Pertanto disarmonie dei flussi energetici esterni possono ripercuotersi sull’uomo, inducendo stati patologici. La descrizione del percorso dei meridiani è molto antica e risale al IV secolo A.C. Nonostante la sperimentazione porta ancora oggi a conoscenza di nuovi punti di agopuntura il percorso dei meridiani resta immutato. In realtà potremmo affermare che non esistono, bensì sono delle linee tracciate dalla sequenza, ben precisa, dei punti appartenerti ad ogni asse energetico. Il sistema dei meridiani è molto complesso e non si limita ai soli meridiani principali, cui spesso si fa riferimento, ma è composto da 72 meridiani divisi in sei gruppi: 12 meridiani principali 12 meridiani muscolari 12 meridiani distinti 12 Luo longitudinali 16 Luo trasversali 8 meridiani straordinari Nella pratica dello shiatsu, anche se spesso si considerano solo i meridiani principali, quelli muscolari e due degli otto straordinari (Du Mai e Ren Mai), è opportuno conoscerne il percorso e le funzioni di tutti per effettuare precise diagnosi e trattamenti mirati, in patologie più complesse in cui ci siano coinvolgimenti di carattere psichico, emotivo ed affettivo.
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I meridiani
- Gennaro Terlizzi -
Dal mondo del Bonsai & Suiseki Il concetto di yin e yang si estende anche ai meridiani. Quelli a carattere yin circolano nelle zone: ventrale, faccia interna delle gambe e braccia; quelli yang circolano nelle zone: dorso e faccia esterna delle gambe e braccia. L’uomo è inteso, secondo la MTC, in stretto rapporto con il cielo (di natura yang) e la terra (di natura yin), ed è in continua interazione con l’energie cosmiche. Le energie del cielo e della terra sono soggette anch’esse alla dicotomia dello yin e yang, in particolar modo questi soffi sono suddivisi in sei aspetti. Questi sei aspetti, tre yin (Tai, Shao e Jue) e tre yang (Tai, Shao e Ming) rappresentano le sei qualità del soffio cosmico. Questi soffi utilizzano sei canali o assi energetici per attraversare l’uomo. I tre soffi yang percorrono il corpo dalle mani alla testa e dalla testa fino ai piedi in relazione alla loro qualità, e sono denominati: Taiyang, Shaoyang e Yangming. Il percorso dei soffi yin va dai piedi al torace e dal torace alle mani e sono denominati: Taiyin, Shaoyin e Jueyin. Dai percorsi descritti si denotano due punti di discontinuità: la testa ed il torace. Pertanto per ogni asse distinguiamo una parte relativa all’arto superiore (Shou), ed una relativa all’arto inferiore (Zu). Quest’ulteriore suddivisione da origine ai dodici meridiani principali. Tutti i meridiani yin s’incontrano al torace e tutti quelli yang alla testa. Ogni meridiano, sotto il profilo funzionale è legato alle funzioni di un organo o un viscere. Gli organi sono interni non comunicano con l’esterno e sono di natura yin, mentre i visceri sono in comunicazione con l’esterno e quindi di natura yang. Sotto l’aspetto anatomico ogni meridiano ha un percorso più superficiale dove sono localizzati i punti di agopuntura, ed un percorso più profondo che stabilisce le connessioni tra organi e visceri. La loggia energetica è l’accoppiamento che si stabilisce tra un organo ed il relativo viscere, tali accoppiamenti sono riassunti nella tabella seguente: ASSOCIAZIONE TRA MERIDIANI PRINCIPALI E ORGANI - VISCERI ORGANO Fegato Cuore Ministro C. Milza Polmone Reni
MERIDIANO ZuJueyin ShouShaoyin ShouJueyin ZuTaiyang ShouTaiyin ZuShaoyin
VISCERE Vescica Biliare Intestino Tenue Triplice Riscaldatore Stomaco Intestino Crasso Vescica
MERIDIANO ZuShaoyang ShouTaiyang ShouShaoyang ZuYangming ShouYangming ZuTaiyang
Ogni meridiano stabilisce una connessione diretta con un organo o un viscere, detta di dipendenza (Shu), ed una di collegamento (Luo), con l’accoppiamento relativo alla loggia energetica. Quindi, per esempio, il meridiano ZuShaoyin stabilisce una connessione di dipendenza con l’organo reni ed una connessione di collegamento con il viscere vescica. Lo stato energetico degli organi e visceri si riflette sui meridiani, ed attraverso gli stessi possiamo riequilibrare lo stato di alterazione. Questo è il meccanismo di azione che sfrutta l’agopuntura, lo shiatsu e la moxa*. Nei meridiani il soffio crea una vera e propria circolazione che ha inizio e termine nella zona toracica. La circolazione completa è composta da tre cicli di otto ore ognuno. Quindi nelle 24 ore avviene una circolazione completa e in ogni ciclo sono impegnati quattro meridiani, due yin e due yang. Per ogni meridiano principale saranno riservate in modo particolare due ore. I meridiani Luo trasversali hanno la funzione di creare un collegamento fra meridiani che appartengono alla loggia energetica. I meridiani Luo longitudinali si distaccano dal meridiano principale seguendo, grosso modo, lo stesso percorso ma più in profondità, allo scopo di nutrire in modo capillare i distretti corporei profondi. I meridiani muscolari interessano la parte esterna del corpo e non hanno collegamento diretto con organi interni. Esiste però una comunicazione tra meridiani principali e muscolari, a livello dei punti distali. Quindi, anche se indirettamente, stimolando i meridiani muscolari possiamo raggiungere organi e visceri connessi ai meridiani principali. Questo è il meccanismo d’azione utilizzato dalle tecniche shiatsu, agopuntura e moxibustione. I meridiani Du Mai e Ren Mai rivestono particolare interesse nello shiatsu. Il primo è localizzato sulla schiena e sulla testa, mentre il secondo interessa la linea centrale dell’addome, zona importante perché sede di aree di riflesso utilizzate sia nella diagnosi sia nel trattamento. La funzione dei meridiani distinti è di portare i soffi al cervello e stabilire comunicazione tra lo stesso e le varie strutture corporee. Vi saluto ed alla prossima per un nuovo argomento.
I meridiani
- Gennaro Terlizzi -
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
Cosa sapere prima di realizzare il proprio giardino giapponese di Gian Luigi Enny
La visione d’insieme
Dobbiamo partire dal presupposto di che cosa è bello vedere e cosa invece è meglio nascondere, se un paesaggio è particolarmente bello occorre organizzare il giardino in modo tale da guidare l’occhio su ciò che si ritiene interessante. Se si ha un prato, lo si lascerà andare verso la direzione voluta, mentre i cespugli o gli arbusti verranno piantati in luoghi ove non c’è nulla da vedere, ma bisogna stare attenti a non inserire oggetti troppo appariscenti in modo tale da carpire l’attenzione di chi guarda. Non dobbiamo preferire la vista solo quando dà su Ricordate che la struttura del territorio colline o su un lago o ancor di più sul mare, anche piccoli dettagli possono diventare parti importanti in una influenza notevolmente il clima, una collina visione d’insieme, per esempio un gruppo di alberi, una può riparare dai venti, il lago mitiga il rigore pianta singola con una certa struttura, un torrente o andell’inverno, la città è più calda grazie al riscal- che semplicemente un gruppo di vecchie case, questo viene chiamato: “paesaggio preso a prestito”. damento. Anche se un giardino si trova in città può avere dei punti interessanti ad esempio se dà su elementi architettonici particolari lo si può studiare in modo da valorizzarli e farne un centro d’interesse, vale la pena se il tutto diventa una cosa unica.
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Cosa sapere prima di progettare il proprio giardino giapponese-II parte - Gian Luigi Enny -
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
Se quello che riteniamo interessante sta al di fuori del giardino, vale la pena sottolinearlo, creando una continuità giardino-paesaggio, magari usando specie autoctone per creare una recinzione. Se la scena o il particolare risulta essere lontano, allora va incorniciato con piante o recinzioni in modo da guidare lo sguardo verso quel punto (ad es. un bel panorama). A volte, invece,sentiamo l’esigenza di nascondere qualcosa di brutto,per raggiungere questo obiettivo non sempre si deve ricorrere a siepi o filari di piante, può essere sufficiente fare in modo che l’attenzione rimanga all’interno del giardino stesso tramite oggetti particolari. Vi ricordo che, quando si vuole nascondere qualcosa di sgradevole, si potranno utilizzare cespugli o piante a foglia larga, oppure attrarre l’attenzione su oggetti come vasche, lanterne, o pietre posizionate come punto focale. Analizziamo le caratteristiche del giardino
Ogni giardino è “unico”, quindi è opportuno guardare gli elementi e le caratteristiche che si desiderano modificare. Se il giardino è piccolo, possiamo fare in modo di farlo sembrare grande semplicemente limitando le piante alla zona periferica e lasciando al centro un bel prato libero. Se invece il terreno è piuttosto grande (per esempio un giardino di campagna), diventa piuttosto impegnativo tenerlo curato, ma possiamo agire
Cosa sapere prima di progettare il proprio giardino giapponese-II parte
- Gian Luigi Ennny -
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki così: delimitare con una cannicciata, una bordura o semplicemente dei vasi, la superficie di cui possiamo occuparci, considerando il resto come facente parte del paesaggio. Ristrutturare il vecchio o crearne uno nuovo?
L‘approccio sarà diverso a seconda che il giardino sia vecchio (e trascurato) o nuovo. Nel primo caso si dovrà sfruttare ciò che già esiste, magari impreziosendolo e migliorandolo, nel secondo caso si dovrà invece decidere come impostarlo. E’ sempre consigliabile conservare gli alberi esistenti nel giardino, se in buone condizioni, valorizzandoli e facendoli risaltare. Spesso infatti, il motivo per il quale sono stati piantati non appare subito, ma possono proteggere dai venti freddi e nascondere viste sgradevoli o strade rumorose. Inoltre va considerato che per avere un albero adulto ci vogliono molti anni!
Alcuni arbusti possono essere fatti “rinascere” assumendo se sottoposti ad una sapiente potatura una determinata forma in questi casi è importante appoggiarsi a degli esperti. Se la pianta è vecchia e sofferente quindi anche pericolosa, è bene non farsi prendere da troppi scrupoli e provvedere a tagliarla il prima possibile. Molti altri possono essere gli elementi presenti in un giardino che possono essere valorizzati in modo da ridare fascino al giardino stesso. Se invece il giardino è di nuova creazione è importante osservare il terreno, spesso facendo parte di una casa appena costruita, può essere costituito per la maggior parte da detriti da costruzione. Sarebbe bene toglierli immediatamente e sostituirli con uno strato di 30-40 cm di terriccio universale da giardino reperibile nei vivai. Il microclima
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Per microclima s’intende l’insieme delle condizioni climatiche di una piccola superficie di territorio. Alberi e piante sono soggette alle regole della natura, quindi bisogna conoscerle se si vuole che il giardino assuma l’aspetto migliore. Le costruzioni vicine, un gruppo di alberi, una collina, a seconda della loro posizione possono proteggere dal vento o creare un’ombra tale da modificare sensibilmente la temperatura. Una posizione orientata a sud ed in pendenza sarà più soleggiata che non una pianeggiante, se posizionato in cima ad una collina sarà più caldo rispetto ad uno situato ai piedi della stessa
Cosa sapere prima di progettare il proprio giardino giapponese-II parte - Gian Luigi Enny -
Dal mondo del Bonsai & Suiseki in quanto, come si sa, l’aria fredda tende a scendere verso il basso. Inoltre, i venti dominanti possono essere mitigati da una siepe, mentre resi più forti da muri. Infatti quando il vento incontra un ostacolo fisso (ad es. un muro) Crea delle turbolenze molto forti che in genere danneggiano le piante, è quindi preferibile una siepe vegetale. Le piante stesse creano un microclima, alcune, ad esempio, prevengono la formazione del gelo.
L’importante è, quindi, quando progettiamo il nostro giardino, considerare se gode di un particolare microclima (in bene o in male), in quanto ci preserverà da eventuali delusioni. Spesso lo stesso giardino non è esposto nello stesso modo e quindi le esigenze sono molto diverse. Vediamole nel dettaglio. NORD: non è così tragica come si pensa in quanto il giardino non subisce brusche variazioni di temperatura o gelate improvvise, in quanto si riscalda e si raffredda molto lentamente. SUD: è sempre esposto al sole, quindi è la migliore nelle zone fredde, in quelle calde è bene predisporre qualche riparo. EST: riceve sole dal mattino fino al primo pomeriggio,il difetto è che si riscalda in fretta, ma si raffredda altrettanto velocemente. E’ soggetta a gelate tardive e non è adatta alle piante con fioriture precoci tipo i prunus. OVEST: il giardino è molto caldo in estate, si adatta a piante che amano il sole, possibilmente meglio se rustiche. Tenete in considerazione che in alcune zone (esempio le isole)queste differenze possono non essere così marcate. Un occhio in particolare agli animali domestici
Certamente questo aspetto dovrà essere sicuramente considerato,alcuni animali piuttosto irrequieti potrebbero rovinare il lavoro da voi creato, pertanto il giardino dovrà essere recintato nel migliore dei modi, per non permettere agli animali domestici come cani , gatti, coniglietti e altri di entrarvi, diversamente non andranno piantate piante delicate e rare nei luoghi frequentati abitualmente dagli animali. Tenete comunque in considerazione il carattere delle vostra bestiole che possono essere tranquille o piuttosto irrequiete.
Cosa sapere prima di progettare il proprio giardino giapponese-II parte
- Gian Luigi Ennny -
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
Qualche pensiero sull’haiku di Massimo Beggio
C
olgo questa occasione che mi viene offerta per dire alcune cose sulla poesia giapponese, e in particolare sull’haiku, per segnalare che nelle edizioni “La Vita Felice”, è da qualche mese in libreria un bel cofanetto dal titolo “Capolavori della poesia giapponese”. Contiene quattro piccoli volumi pubblicati a suo tempo, singolarmente, sempre dallo stesso editore. Sono le poesie di Daigu Ryokan, di Kobayashi Issa, di Saigyo e di Matsuo Basho. Le prime tre raccolte curate da Luigi Soletta, missionario del P.I.M.E. in Giappone per quarant’anni, buon conoscitore della lingua e della cultura giapponese. La quarta ad opera della signora Muramatsu Mariko. Si tratta di lavori davvero preziosi, indispensabili per farsi un’idea del mondo poetico giapponese. Lavori dei quali dobbiamo ringraziare sia i curatori sia questa piccola ma interessante casa editrice che li ha pubblicati. Mi sento proprio di raccomandarli a tutti coloro che sentono la voglia di approfondire un po’ questi argomenti. Torno però all’haiku, a questa particolare forma poetica di origine giapponese, argomento sul quale ho promesso di spendere qualche parola. Da tempo l’haiku è abbastanza conosciuto e diffuso in Occidente e lo è ormai molto anche nel nostro paese. Trenta o quarant’anni fa non era così. Non voglio dilungarmi sulla storia dell’haiku in occidente ma mi sembra doveroso ricordare che tra i primi a parlarne, negli anni cinquanta, furono gli autori americani della Beat Generation, in particolare Kerouac, Gary Snider e Ginsberg. Tra le opere di allora, oltre alle poesie, scritte direttamente nella forma dell’haiku o comunque con una forte ispirazione a questa forma, è anche il caso di ricordare il romanzo “I vagabondi del dharma” di Jack Kerouac. Un romanzo che, oltre a raccontare l’incontro dell’autore con Gary Snider, cultore di poesia cinese e giapponese, narra anche del suo progressivo innamoramento per lo zen e per questo modo di fare poesia. Dicevo che l’haiku, come genere poetico, negli ultimi anni ha trovato molti estimatori anche nel nostro paese. Ne sono testimoni i numerosi libri pubblicati sull’argomento e ne è testimone anche il fatto che in molti hanno cominciato a cimentarsi nella composizione dei classici tre brevi versi, la forma ormai canonica nella quale, fatte salve rare eccezioni, le diciassette sillabe della tradizione giapponese (5 – 7 – 5) sono da sempre tradotte nelle diverse lingue occidentali. Varrà la pena, a questo punto, di fare almeno un esempio, riportando un haiku di un classico autore giapponese (Matsuo Basho) nella versione giapponese in diciassette sillabe e nella traduzione in italiano nei tre brevi versi:
Mikazuki ni chi wa oboronari, sobabatake Sotto una falce di luna pallida è la terra e bianchi i fiori di grano saraceno. Per la sua brevità e per la sua apparente semplicità l’haiku sembra proprio prestarsi particolarmente allo scrivere in versi. Poche righe per descrivere una bella luna o una stagione che cambia, giocando sulla ricerca delle parole e sulla loro collocazione all’interno dello schema dei tre brevi versi. Forse l’haiku si porta ancora dietro una specie di “peccato originale” che in qualche modo ancor oggi lo condiziona. Affonda infatti le sue radici in un certo manierismo poetico giapponese che, intorno al XVII secolo, sviluppò alcune forme di componimenti a catena scritti a più mani.
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Qualche pensiero sull’Haiku - Massimo Beggio -
Dal mondo del Bonsai & Suiseki Come accade spesso per queste cose, all’interno delle corti nobiliari giapponesi dell’epoca, a turno, come in un gioco, ogni partecipante a questa sorta di componimento poetico collettivo proponeva i suoi versi secondo uno schema sillabico fisso. Prendeva spunto dai versi composti da chi lo aveva preceduto e ne veniva fuori una sorta di “catena poetica” che poteva durare all’infinito. Altra regola fissa del gioco, oltre al numero delle sillabe, era nel contenuto della composizione, sempre rigorosamente ispirato alla natura nelle varie stagioni dell’anno. Da un certo momento in avanti si fece strada l’idea che i brevi componimenti in diciassette sillabe che erano parte di queste lunghe composizioni chiamate “Renga”, potessero vivere di vita propria, diventando essi stessi una poesia a sé stante. Era nato l’haiku. E’ in questo mondo poetico che, verso la seconda metà del XVII secolo, si affaccia sulla scena Matsuo Munefusa. In seguito si farà chiamare con il nome d’arte Basho per via di una pianta di banano (basho in lingua giapponese) che cresceva nel giardino della sua casa di Fukagawa ed alla quale era molto affezionato. Matsuo Basho, ritenuto ormai da tutti uno dei più grandi autori giapponesi, rappresenterà un punto di svolta nella poesia giapponese dell’epoca. Oltre ad essere considerato a tutti gli effetti il padre dell’haiku è anche, e giustamente, ritenuto colui che ha saputo rendergli spessore e dignità. Nella sua ricerca stilistica e letteraria cercò di liberare la poesia del suo tempo dalle stucchevoli preziosità che la appesantivano, per renderla ad una bellezza più sobria e pacata e per riportarla alla “…riscoperta della bellezza della quotidianità”, come lui stesso amava dire. Basho fu seguace dello Zen che lo ispirò nelle sue opere oltre che nello stile della sua vita, volutamente condotta in povertà e semplicità, alla ricerca dell’essenza delle cose. Di certo l’haiku poteva essere solo figlio del Giappone e della sua cultura. In uno dei suoi libri, Alan Watts, un filosofo americano legato alla Beat Generation, definì l’haiku “...un sasso lanciato nello stagno della mente di chi ascolta”, volendone significare questa sua caratteristica di opera aperta che crea infinite vibrazioni nell’animo di chi lo accoglie. Infatti, come tante altre espressioni artistiche della cultura giapponese, l’haiku tende a rappresentare una realtà ampia in pochi segni piuttosto che chiuderla, tentando di esaurirla in discorsi sempre più definiti. Allo stesso modo del sasso tirato nell’acqua che genera onde in cerchi sempre più ampi.
Antico stagno Un tonfo – una rana Rumore d’acqua Naturalmente le corde del cuore possono vibrare con ampiezze diverse e a profondità diverse nella vita di ognuno, dipende da tante cose. Infatti, tanto per fare un altro esempio, è possibile passare sopra il famoso balzo della rana di Basho e trovare il tutto molto monotono: Oppure è possibile vedere, su uno sfondo di silenzio immobile, il manifestarsi della vita. E cogliere, in un balzo, il presente e l’eterno, il limite e l’infinito. O altro ancora, a ognuno secondo le proprie sensibilità. Si possono trovare molte cose in un haiku. Ma è importante, e anche molto piacevole, lasciar andare ogni ansia interpretativa e sapersi semplicemente gustare l’immagine che ci viene suggerita. Basho stesso diceva che la sua poesia ha lo stesso valore di “…una stufa d’estate o di un ventaglio in inverno”, per dire che non c’è proprio nessuna finalità, nessun significato nascosto e nessuna verità ulteriore da trovare a tutti i costi. Questa idea di un valore aggiunto, di qualcosa che sta sotto, è spesso il vizio di una mente complicata che non riesce a cogliere con semplicità la bellezza delle cose. Anche nella forma dell’haiku non c’è nessuna complicazione. In un suo saggio, il semiologo Roland Barthes scrive che la brevità dell’haiku non è formale: “…non è un pensiero ricco ridotto ad una forma breve, ma un evento breve che trova tutto ad un tratto la sua forma esatta”. Quasi in risposta ad Alan Watts, e nel solco della migliore tradizione zen, afferma inoltre che “…la pietra della parola è stata gettata inutilmente, non ci sono onde né colate di senso”. Fantastico. Riporta alla mente la frase di un famoso maestro zen giapponese: “Ogni cosa canta la verità senza aggiungere nulla” (E. Doghen – Bendowa – Ed. Marietti). L’haiku nasce da un cuore profondo e non ostruito, un cuore che sa cogliere questa verità nella realtà semplice delle cose. E si presta per cantarla. Forse per questo lo sentiamo così vicino allo zen. Secondo la tradizione infatti, il Buddha, sul Picco dell’Avvoltoio, in assoluto silenzio mostrò semplicemente un fiore ai discepoli che si erano radunati per ascoltare le sue parole. Nessuno capì, tranne Makashapa che, per tutta risposta sorrise. A lui il Buddha affidò la continuità del suo insegnamento. Questa storia, semplice e poetica, racconta l’origine dello Zen. Forse racconta anche delle radici dell’haiku.
Qualche pensiero sull’Haiku
- Massimo Beggio -
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Sarà a Nole, Fraz. di Grange (TO) presso la Fujisato Company che si svolgerà l’ormai consueto
Congresso Nazionale degli Istruttori IBS, giunto alla XIV edizione e con una nuova formula. Il Congresso IBS apre le porte a tutti, professionisti e hobbisti del Bonsai e del Suiseki per assegnare i riconoscimenti previsti.
Vi invito a partecipare a questo evento i cui contenuti si basano su aspetti didattici di particolare interesse. Saranno previste conferenze, demo, la borsa di studio IBS oltre all’assegnazione di numerosissimi premi di prestigio. L’esposizione prevederà settanta spazi espositivi, uno di questi potrà essere il tuo! Il mio invito è rivolto a tutti per rendere questo evento una festa del Bonsai, del Suiseki e della didattica.
Sandro Segneri Presidente IBS
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
Storia di una pietra di Daniela Schifano
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nizio con una citazione, senza paura di essere perseguita, perché cito me stessa : “Ogni pietra ha tante storie : la sua storia geologica, a noi sconosciuta, la storia che l’ha portata fino a noi, la storia che la lega a noi e che la rende speciale ai nostri occhi, la storia che non vedremo mai.“ Questa è la storia di una pietra, che prima di essere mia è stata di qualcun altro, e che prima ancora è stata forgiata da forze non immaginabili, in tempi non concepibili dai nostri sensi. Prima di me
All’inizio era un disco di polveri e gas in rotazione…
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Storia di una pietra - Daniela Schifano -
Come fare a descrivere processi e tempi che la nostra mente, abituata a ragionare in termini di tempi biologici, quasi si smarrisce ? Dalla formazione della terra dalla nebulosa primordiale, passando per fenomeni drammatici come glaciazioni, eruzioni, innalzamenti ed abbassamenti della crosta terrestre, derive delle zolle terrestri, pressioni e sedimentazioni, innalzamenti ed erosioni, ogni pietra è una capsula di tempo che illustra il progresso di un drammatico viaggio che dura da centinaia di milioni di anni. Comunque sia andata, questa pietra era lì da sempre, sul greto di un
Dal mondo del Bonsai & Suiseki fiume giapponese, quando un uomo, ultimo arrivato sulla Terra, nonostante l’arroganza e la presunzione con cui in genere guarda alla Natura ed alle sue opere, ne colse la presenza e la bellezza. Comunque sia andata, questa pietra dal greto di un fiume giapponese giunse nella casa di un uomo giapponese, che apprezzava nelle pietre il gioco delle forme e dei colori, ma anche qualità più intime: ne vedeva i sottili segni delle loro trasformazioni, la resistenza, la perseveranza, la pazienza con cui si erano opposte alle forze che le avevano plasmate, fino a farne un accumulo “vivente” di tempi e vicende. Ogni ferita imposta dalla Natura gli ricordava che le pietre, nonostante la loro consistenza ed apparente solidità, non sono affatto immutabili ma piuttosto destinate a modificarsi e trasformarsi. Anche per le pietre, quindi, come per l’uomo, essere impermanente, il ciclo della vita ha imposto un eterno cambiamento. Anche per l’uomo, quindi, come per le pietre, è possibile accettare e sopravvivere alle pressioni della vita che lo plasmano. Questo uomo decise quindi di perdurare insieme alle sue pietre: quando seppe di essere gravemente malato, nel timore che nessuno dopo di lui le comprendesse fino in fondo, dispose che le sue pietre continuassero a vivere in altre case, in altri continenti, apprezzate da altri occhi. Egli si “fece montagna”. Insieme a me
Dal fiume Kamo nella prefettura di Kyoto, dunque, dalla collezione di un giapponese che praticava l’arte del suiseki, è giunta a me questa pietra sottile, caratterizzata da una superficie ondulata che varia tra il liscio ceroso ed il granulare, dalla linea semplice ed essenziale. In base al suo luogo di origine, è una Kamogawa-ishi, cioè è stata rinvenuta nel fiume Kamo, o presso le sue sponde, nella prefettura di Kyoto. In base alla sua forma, è una Shimagataishi, cioè una pietra isola.
Per me, è stata subito la “pietra frittella”, e con questo nomignolo l’ho presentata al popolo del Napoli Bonsai Club Forum, per un consiglio sul tavolo da esposizione più adatto per delle linee così essenziali. Ma non avrei disdegnato l’esposizione in un suiban, in qual caso il discorso sul tavolino andava riveduto e corretto in funzione delle dimensioni del vassoio. Ovviamente il termine pietra frittella non voleva essere il nome poetico della pietra: anzi, avendola sott’occhio tutti i giorni, accarezzandola ogni tanto per apprezzarne la superficie setosa, guardandola con i diversi tagli di luce che il giorno e la stagione possono offrire, mi chiedevo sempre più spesso: “Un’isola, sì, ma quale?”. Fermarsi e pensare, guardare dentro se stessi mentre con gli occhi si vede una pietra, permettere che momenti vissuti, suggestioni, poesie, musiche emergano da quello spazio dell’anima dove si sedimentano le emozioni.
Storia di una pietra
- Daniela Schifano -
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Il mito abita qui, nei Mari del Sud, dalle parti di Tahiti, Moorea, Bora Bora, tra le lagune e gli atolli della Polinesia francese, dove i marinai del Bounty si ammutinarono, dove si rifugiò Paul Gauguin.
Dimora di esseri mitologici, cannibali e antropologi felici, nascondiglio dei tesori dei pirati, i naufraghi vi lanciano le loro richieste di aiuto in bottiglia, le nazioni le loro bombe atomiche, e adesso corrono il rischio di essere sommerse dall’innalzamento delle acque. Perduta, del giorno dopo, che non c’è, l’isola infatti è per sua natura non facilmente raggiungibile, sfuggente, inafferrabile, ma anche il luogo dove rifugiarsi abbandonando il caos moderno. Dice Shakespeare : “l’isola è fatta della stessa materia dei nostri sogni, è un luogo fisico ma anche e soprattutto immaginario, dove c’è spazio per i miraggi, l’amore, le avventure, le leggende” e … i reality shows. Terra del mito del Buon Selvaggio, di Peter Pan, di Nausicaa, è la terra del regno di Utopia, l’isola di Tommaso Moro, luogo inesistente (dal greco ou-topia), meta di chi cerca il significato ultimo e mai trovato della vita, ma anche luogo felice (dal greco eu-topia), e chi sceglie di navigare verso quest’isola sta cercando qualcosa di molto simile alla felicità. Dunque un luogo felice inesistente: ma esistono forse luoghi felici ed esistenti? Certamente no, eppure vanno cercati, perché sono l’emblema stesso della ricerca umana, interiore e non, itinerario di fuga dalla vita quotidiana verso una diversa dimensione dell’essere, metafora del cammino umano alla ricerca della Verità Assoluta come dell’Amore Eterno, del senso e della mancanza di senso della vita. Troppo per una pietra?
Ma bella più di tutte è l’isola non trovata, quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino, il Re del Portogallo, con firma suggellata e bulla del pontefice in gotico latino. Il Re di Spagna fece vela cercando l’isola incantata però quell’isola non c’era e mai nessuno l’ha trovata. Svanì di prua dalla galea come un’idea; come una splendida utopia è andata via e non tornerà mai più. Le antiche carte dei corsari portano un segno misterioso, ne parlan piano i marinai con un timor superstizioso. Nessuno sa se c’è davvero od è un pensiero; se a volte il vento ne ha il profumo. È come il fumo che non prendi mai! Appare a volte avvolta di foschia magica, e bella, ma se il pilota avanza su mari misteriosi è già volata via tingendosi d’azzurro color di lontananza.
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Storia di una pietra - Daniela Schifano -
Dal mondo del Bonsai & Suiseki In questa canzone di Francesco Guccini, a sua volta ispirata da una poesia di Guido Gozzano ‘La più bella’, trovo splendidamente condensate queste mie divagazioni: ecco quindi battezzata la pietra frittella, che nelle esposizioni avrà come nome poetico ‘L’isola non trovata’. Insieme a voi: vita pubblica di un suiseki
Quando scelgo una pietra, ne faccio oggetto di cura, osservazione e valutazione e la carico di significati che, partendo dalla sua natura geologica mai disconosciuta, si fanno anche culturali, spirituali e simbolici. Per me l’esposizione di un suiseki è la condivisione con altri di questo processo, è l’ulteriore valorizzazione di una pietra tramite la condivisione con gli osservatori di un microcosmo racchiuso nello spazio finito di un tokonoma e nello spazio infinito delle emozioni: proposito impegnativo e forse irraggiungibile, di sicuro ambizioso, ma altrettanto stimolante. Basta chiacchiere: ecco le immagini pubbliche de ‘L’isola non trovata’.
Storia di una pietra
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
Come oggetti di compagnia ho scelto uno scroll giapponese denominato ‘Wave’ ed un piccolo granchio in bronzo poggiato su ceramica. Nell’insieme, lo scroll sembra preponderante rispetto alla pietra, nonostante l’esposizione nel suiban richiami l’immensità dell’oceano. L’onda corre verso la sottile striscia di terra emersa e sembra sommergerla, quindi nel complesso un’immagine lontanissima da ogni realismo naturalistico. Ma più che la fedeltà al reale ho ricercato la fedeltà al senso profondo, ma visibile, del reale. Dopo di me
Questa parte della storia è ancora da scrivere e non sarò io a farlo, ma posso provare ad immaginarla in un gioco di fantasia. Forse mio figlio chiuderà la pietra frittella in un cassetto. Forse mio figlio, giunto alla maturità, continuerà con la pietra “L’isola non trovata” il gioco dell’apprezzamento e della coltivazione. Forse mio figlio la venderà. Forse, per non correre rischi, io stessa, come il suo precedente proprietario, me ne separerò a tempo debito e mi farò montagna.
Tutte le foto - tranne quelle della pietra ‘L’isola non trovata’, realizzate dall’autrice - sono state tratte da Wikipedia e Wikimedia Commons e sono liberamente utilizzabili
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Storia di una pietra - Daniela Schifano -
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
forse non tutti sanno che il ginepro... di Elisabetta Ruo
I
bonsaisti dicono che lavorare le loro piante li rilassa, io ho sempre pensato che ci si perdeva troppo tempo. Vedevo spesso mio marito Stefano svegliarsi ed avere come primo pensiero quello di andare a controllare le proprie piante, tanto da sembrarne ossessionato, e questo mi procurava una punta di gelosia, anche perché tendenzialmente non si parlava d’altro. Poi siamo andati insieme ad una lezione dal maestro I.B.S. Stefano Frisoni. Giornata splendida, dove ho avuto l’occasione di ascoltare, ammirare, apprezzare il suo lavoro e questa bellissima arte. Ad un certo punto Stefano, molto cordiale e gentile, mi ha chiesto di aiutarli a pinzare… così, toccando il nostro ginepro, ho iniziato a volerne sapere di più. Stefano, con molta calma, ha risposto alle mie innumerevoli curiosità, mentre mio marito continuava pazientemente il suo lavoro. Quando siamo tornati a casa mi sentivo stanca, ma serena ed io, che normalmente soffro d’insonnia, ho dormito dieci ore filate, come un bambino. Da quel giorno i bonsai mi hanno incantato, come succede poi a tutti quelli che gli si avvicinano un po’ seriamente e le sere successive l’ho aiutato a filare. I nostri bonsai sono diventati come dei figlioletti e trascorrere del tempo assieme nel cercare una nuova pianta, guardarla, immaginarla, decidere come lavorarla, impostarla ecc. non ha fatto altro che unire ulteriormente il nostro legame affettivo.
Forse non tutti sanno che il ginepro... - Elisabetta Ruo -
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Dal mondo del Bonsai & Suiseki
Ho dedotto che lavorare i bonsai, oltre ad essere piacevole, migliora la persona e lo spirito ed è terapeutico. Ne ho le prove. Prendiamo il ginepro come esempio, partendo dalla scheda tecnica:
Specie: juniperus communis Famiglia: cupressacee Provenienza: zone temperate. Fredde dell’emisfero boreale Parti usate: coccole Colore olio essenziale: assente o giallo verdognolo Profumo: pungente Proprietà: antireumatiche, antisettiche,balsamiche, depurative, diuretiche, emmenagoghi, sedative, sudorifere, toniche Avvertenze: vietato a donne gravide e nefropatici.
Proprietà terapeutiche. Il ginepro (juniperus com- Pratiche antiche. Gli egizi consideravano le bacche munis) viene usato da molto tempo come cura naturale, in particolar modo l’olio essenziale di ginepro è antisettico, antispasmodico, antireumatico, diuretico, cicatrizzante, emmenagogo, sudorifero, disintossicante, depurativo del sangue ed eccitante. È indicato nella cura dell’acne, arteriosclerosi, emorroidi, calcoli renali, eczemi, couperose, cure dimagranti, tosse, diabete, reumatismi, nella cura della pelle, ferite, gotta, catarro biliare, infiammazione renale cronica, crampi muscolari e cellulite.
in grado di curare le infezioni e le usavano nel processo dell’imbalsamazione; il medico Dioscoride curava le affezioni delle vie respiratorie (tosse), le coliche e le cistiti; Catone lo usava per preparare un vino diuretico; nell’800 l’abate Kneipp prescriveva bacche per purificare il sangue e curare le dermatiti. Il succo delle foglie, secondo una credenza popolare, era in grado di guarire i morsi delle vipere. Nella medicina Jugoslava funge ancora oggi da panacea.
Aromaterapia. Il suo profumo rende più chiari i nostri Usi attuali. Tutt’ora oltre a condire piatti di selvaggina sentimenti, è armonizzante e riequilibrante nei momenti di stress e di angoscia e depura l’ambiente. Sia averlo in giardino, sia lavorarlo apporta notevoli benefici. Difatti la sua essenza viene usata molto in aromaterapia in miscele anti stress o che donano serenità, ponendole nel brucia essenze che ne diffonde il profumo.
Antichi shari e jin. Il bonsaista può trarne inoltre van-
taggio persino quando lavora il secco. Le popolazioni antiche bruciavano il legno con un duplice scopo: terapeutico e propiziatorio. Si riteneva che le fumigazioni di ginepro combattessero i germi e fossero quindi salutari per i malati (si facevano anche durante le epidemie di peste e vaiolo. Con la cenere mescolata ad acqua si produceva un unguento capace di contrastare lebbra, rogna, pruriti e scabbia). Nell’ antichità si usava inoltre il fumo di ginepro per allontanare gli spiriti maligni e gli si attribuiva la capacità di scacciare demoni e streghe, serpenti e animali selvatici. Nelle campagne emiliane l’usanza di bruciare il legno di ginepro ai fini propiziatori persistette fino all’inizio secolo: la sera di natale la cenere veniva conservata per compiere riti scaramantici. I rametti appesi sulla porta di casa allontanavano le streghe (la leggenda narra che queste malvagie femmine non resistevano alla tentazione di contare gli aghi di ginepro, ma regolarmente perdevano il conto e se ne andavano spazientite).
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e cavoli ed aromatizzare il gin (un chilo di bacche servono per aromatizzare 400 litri di gin), si curano vari disturbi come l’eczema, l’acne, la pelle grassa, la ritenzione idrica, la cellulite e le infiammazioni articolari. Nei massaggi l’olio essenziale diluito in un olio veicolo serve per alleviare dolori muscolari e articolari. Un bagno caldo con qualche goccia di olio essenziale di ginepro rilassa, conferendo anche una carica di energia. L’unica controindicazione all’uso degli oli essenziali è in stato di gravidanza e per chi soffre di patologie ai reni.
Omeopatia. In Italia in omeopatia si prescrive di solito il
ginepro in tintura madre o in compresse (ottenute macerando in alcool le bacche fresche e mature tagliate a pezzetti), per curare la ritenzione idrica, in quanto incrementa la produzione di urina e per stimolare la muscolatura uterina ed alleviare i dolori mestruali. Sempre in omeopatia il juniperus sabina, invece, è indicato per gli individui abbattuti e ipocondriaci, talora irritabili ed infastiditi persino dalla musica, asociali, con poca memoria e tendenti al pianto. Nell’uomo viene prescritto anche in caso di fimosi (restringimento del prepuzio), edema del glande e gonorrea. Nelle donne per vari disturbi dell’apparato genitale, comprese le vampate, il flusso mestruale violento e doloroso. È il rimedio tipico della gravidanza indicato per le donne tendenti all’aborto spontaneo, soprattutto
Forse non tutti sanno che il ginepro... - Elisabetta Ruo -
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durante il terzo mese; si prescrive anche dopo il travaglio in caso di ritenzione della placenta e di dolori intensi.
Naturopatia. In naturopatia si prescrive l’infuso orale al 2-3% di foglie: da tre a cinque tazze al giorno, tisana diuretica e antieczematosa. Da tre a otto frutti masticati per un azione digestiva, carminativa, sudorifera. Per uso esterno il decotto di foglie al 5-8% per un azione detersiva, decotto al 10% per bagni antireumatici; foglie bruciate per fumigazioni, deodoranti, disinfettanti.
Letteratura. “Piove sui ginepri folti di coccole aulenti” scriveva D’Annunzio nella celeberrima Pioggia sul pineto.
Curiosità classiche. Secondo Virgilio, il legno non
poteva essere intaccato dai tarli. Secondo Plinio in certi luoghi crescevano ginepri così alti che dai loro tronchi si potevano costruire gli alberi per le navi.
Conclusioni personali... o dulcis in fundo. Personalmente credo che, andando a pinzare, inevitabilmente
venga sprigionato il suo potente profumo con un effetto rilassante, armonizzante e riequilibrante. Tutti siamo consapevoli dell’importanza e dell’influenza che ha sugli esseri umani l’ambiente che ci circonda e ciò che si respira, per cui approfittiamone, perché lavorare e avere un bonsai migliora, senza alcun dubbio, mente, corpo e spirito!
La foto è tratta dal sito www.shawnature.org
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Mostre ed eventi
Mostra bonsai cent di Luca Bragazzi
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ei giorni 12 – 13 - 14 Giugno 2009, all’interno del Chiostro dell’Istituto Magistrale “Beata Angela” a Foligno, si è svolta la IX edizione della mostra bonsai a cui hanno partecipato le Associazioni del Centro Italia. L’evento, tra i più importanti organizzati da un Club è stato diretto dall’Associazione Umbria Bonsai D.L.F. Foligno. Sono state esposte 65 piante e tra le varie specie ricordiamo: il tasso, il cipresso, il pino, il leccio, il ginepro, la thuja, il frassino, la quercia, il rosmarino e il faggio. L’esposizione ha tenuto conto della tradizione orientale (tokonoma) accompagnando il bonsai con una piantina di compagnia (kusamono) o una pietra (suiseki) e una pittura inerente alla natura (scroll). La mostra patrocinata dall’Unione Bonsaisti Italiani, dal Collegio Nazionale degli Istruttori del Bonsai e del Suiseki e dal Comune di Foligno è stato impreziosita da una dimostrazione di tecnica bonsai nella giornata di Domenica dall’Istruttore IBS Aldo Cetorelli con un prebonsai di pino nero. Giudice per l’assegnazione dei premi è stato Luca Bragazzi, Consigliere UBI e Istruttore IBS. I bonsai esposti erano di proprietà di amatori provenienti dalle Associazioni di Rieti, Macerata, Arezzo, Roma, Ascoli Piceno, Bassano del Grappa e naturalmente dall’Associazione Umbria Bonsai D.L.F. Foligno presieduta da Gianni Troiani. La mostra si è svolta durante l’importantissimo appuntamento locale dell’antico gioco della “Quintana” e la mostra Bonsai dell’Associazione Umbria Bonsai, ha accompagnato l’evento integrandosi tra le varie attività di festa.
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Mostra bonsai centro Italia - Foligno - Luca Bragazzi -
Mostre ed eventi
tro italia - foligno Sono risultati vincitori: Targa Presidente UBI – Filippo Casini dell’AUB Foligno con un cipresso; Targa IBS – Gianni Troiani dell’AUB Foligno con un tasso su roccia; Categoria conifere: 1)Guido Mecozzi del Club Bonsai 95 di Macerata con un tasso; 2) Andrea Benvieri del Club Toshoo – en di Poppi (AR) con un ginepro comune; 3)Leonardo De Santis dell’AUB Foligno con un pino nero; Categoria latifoglie: 1)Sandro Tofoni del Club Bonsai 95 di Macerata con un leccio, 2)Giovanni Sacripanti del Club Bonsai 95 di Macerata con un faggio; 3)Pietro Savini dell’AUB Foligno con una quercia. Miglior spazio espositivo: Fabrizio Buccini dell’Associazione Sabina Suiseki e Bonsai di Rieti con una composizione shoin. Miglior chuhin: Giovanni Cestellini dell’AUB Foligno con un cipresso. Miglior bonsai scelto dai visitatori: Mara Bambù dell’AUB di Foligno con un ginepro.
Mostra bonsai centro Italia - Foligno - Luca Bragazzi -
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Mostre ed eventi
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Mostra bonsai centro Italia - Foligno - Luca Bragazzi -
Mostre ed eventi
Mostra bonsai centro Italia - Foligno - Luca Bragazzi -
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In libreria
Bonsai & News di Antonio Ricchiari
Titolo: Bonsai & News Ideatore: Luigi Crespi Editore: Crespi Editore Prezzo: € 6,00
L’
antenata di Bonsai & News si chiamava Bonsai News. Ideata da Luigi Crespi, nasce nel giugno 1983 come organo ufficiale dell’A.I.B., acronimo di Associazione Italiana Bonsai. Al numero 1 segue il numero 0. Poche pagine, 24 appena, condensate di informazioni pratiche su quella associazione, sull’attività dei clubs, sulle mostre, ma anche dedicate alla tecnica bonsai e alle esperienze degli appassionati. Nel 1987 diviene l’organo di informazione di una nuova associazione che si affaccia al mondo bonsai: l’ABI (Associazione Bonsaisti Italiani). La veste della rivista rimarrà immutata sino al n. 27, quando nel settembre del 1990 esce il primo numero della testata BONSAI & NEWS. Il cambiamento fu radicale per quel che riguarda i contenuti che furono arricchiti con i contenuti provenienti dalla rivista giapponese Kinbon Bonsai, grazie all’acquisizione da parte di Luigi Crespi dei diritti dalla Kindai Shuppan di Tokyo. La nuova rivista ebbe un successo immediato anche per la sua capillare distribuzione in edicola che la rendeva più accessibile a tutti gli appassionati. Con il n. 57 l’editore si è affidato per il nuovo progetto grafico a Vittorio Prina, titolare della Cattedra di Visual Design presso la Scuola Politecnica di Design di Milano, centrando l’obiettivo che voleva un magazine moderno che a marzo del 2007 ha raggiunto il n. 100 e ne ha fatto una rivista leader del settore. Collaboro alla rivista oramai da anni e devo dire con obiettività che la professionalità del gruppo Crespi e soprattutto la passione di questa famiglia per il bonsai ha fatto sì che negli anni rimanesse una solida realtà editoriale in Italia. A settembre del 2009 la rivista festeggia un altro compleanno, il ventesimo. L’occasione era troppo importante per non perdere l’appuntamento con i lettori e la redazione ha pensato bene ad effettuare un sostanziale restyling che non riguarda soltanto la parte estetica ma soprattutto i contenuti e anche le pagine, ben otto in più. La rivista è anch’essa uno strumento in continua evoluzione e deve subire continui miglioramenti sia sostanziali e nella veste grafica per mantenere il target dei propri lettori. Una rivista quindi sempre al passo con i tempi e con il mondo bonsaistico e suisekistico. Al di là di tutti i formalismi che non ho mai amato e alla “faccia della sincerità”, uscendo dagli annunci ufficiali, voglio fare i miei complimenti a Susanna Crespi che è un po’ l’anima della rivista per tutto quello che finora ha dato in termini professionali e anche per questo ennesimo sforzo che ha preteso un lavoro molto impegnativo che regalerà ai lettori una ancora più bella e interessante rivista italiana di bonsai e suiseki.
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Bonsai & News - Antonio Ricchiari -
In libreria
Bonsai & News
- Antonio Ricchiari -
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Lo Studio Progettobonsai, tenuto da Antonio Ricchiari, precisa che Carlo Scafuri è l’unica persona incaricata del coordinamento per tutte le attività svolte su tutto il territorio nazionale. L’architetto Valerio Cannizzo ed il dottor Gigi Mandracchia fanno parte integrante dello staff operativo in Sede e svolgono le mansioni a loro affidate. Lo Studio non si avvale di altre collaborazioni esterne che non siano eventualmente concordate compatibilmente con le necessità della struttura stessa. Le informative precedentemente pubblicate devono considerarsi superate.
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Associazioni ed associazionismo.
Un tema sempre attuale di Giovanni Genotti
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el tempo ho visto sorgere, morire, risorgere club ed associazioni non soltanto bonsaistiche, ma anche con nobili scopi, comuni e diversi tra loro. L’associazionismo è come insito nell’uomo ed è perciò fortemente presente. Nelle associazioni è indispensabile che ogni componente si riconosca come piccola tessera del mosaico associativo, indispensabile ma anche non intercambiabile con un altro. Ognuno dovrebbe, pur riconoscendo il proprio valore, rispettare quello dell’altro senza richiedere contropartite, e mettere a disposizione dei soci le sue conoscenze traendone egli stesso u un profitto fatto di crescite personali. Ogni associato dovrebbe nell’associazione sentirsi utile, più forte, protetto ed aiutato a migliorare. Esistono nelle associazioni regole di rispetto che, se pure non scritte, devono sempre essere tenute presenti poiché traggono origine dal rispetto della personalità dell’individuo. Regole che impongono prima di tutto modestia, umiltà e considerazione dell’idea altrui, idea che spesso richiede una positiva critica del proprio pensare. Purtroppo però l’orgoglio e la grande stima del proprio pensiero od operato, stima che non permette critiche, il desiderio di apparire o mettersi in evidenza, o anche l’occupare posizioni che purtroppo nelle associazioni impongono una organica gerarchia, allontanano l’uomo dai principi che regolano l’associazione stessa. L’individuo vuole primeggiare e tale spirito è ben poco franato dall’autocritica. Il voler primeggiare e l’immodestia sono alla base della disgregazione delle associazioni, specialmente di quelle in cui i principi sono fondati nel desiderio e nello scopo di diffondere un concetto o un’idea, e sono poco remunerativi.
Associazioni ed associazionismo. Un tema sempre attuale
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Bonsai ‘cult’
Questo si verifica anche nei club, specie laddove le piccole conquiste di alcuni, raggiunte proprio per aver partecipato alla vita associativa, sono per le cause nel creare nella suddetta persona l’idea di essere migliore degli altri, più bravo, e quasi automaticamente senza accorgersene, non rispetta più gli altri ma su di essi si impone con durezza. A poco a poco si formano attriti e l’associazione si sgretola. Il desiderio di associarsi è sentito poiché si riconosce l’utilità del gruppo, ma spesso non si riesce a non sottrarsi alle regole indispensabili anche solo di chiara e civile convivenza. L’uomo, raggiunta e occupata una certa posizione (anche soltanto per regolamento indispensabile per l’ordine e la crescita), inizia a sentirsi più importante degli altri, dai quali non soltanto si allontana ma tende a sminuire la reale personalità e valore con critiche di spesso poco vero fondamento. Quelli con incarichi o posizioni rilevanti sfruttano anche con lodi l’individuo che è loro utile in quel dato momento per poi declassarlo senza indugio poco dopo, quando raggiunto lo scopo prefissato non ha più senso riconoscerne l’aiuto avuto. Si rivolgono allora ad individui per sfruttare altre possibilità utili alla nuova meta, quasi sempre molto personale, sia da un punto di vista pratico che di pensiero. Questa è una delle concause di confusione e sgretolamento delle associazioni. Nel campo bonsaistico, dove ci si propone di interpretare l’arte della natura, tutto quanto di negativo detto in precedenza è evidentissimo. Direi che non esiste associazione dove quell’individuo che ha raggiunto una piccolissima meta non si senta superiore. Ci sono poi anche persone che della bellezza delle natura conoscono ben poco o quasi nulla sulle funzionalità dell’essenza e nel suo reagire all’educazione. Accettano come materiale di partenza soltanto alcune essenze su cui si può imporre la forma da loro stessi voluta o spesso ricavata al computer, e molto lontana dall’armonia insita nelle realtà viventi. Questi individui dalla coda di paglia alle critiche si ergono a giudici e diffusori di un’arte che è in realtà lontanissima dallo spirito del bonsai, dove ogni pianta con la sua personale matura forma crea una certa sensazione, suscita interesse e richiede umiltà nel capirne la personalità raggiunta negli anni. Le associazioni, anche quelle nate con nobili ideali si disgregano a poco a poco, e scompaiono per l’egoismo ed il desiderio di dominio. Gli ideali concentrati nel desiderare la diffusione dell’arte bonsai sono prima accompagnati ma poi superati da interessi personali. La necessità di associarsi nasce dal riconoscimento “che l’unione fa la forza”. Nel campo bonsaistico l’individualità, accentuata dal fatto che ognuno può essere giudice di se stesso, porta a non riconoscere critiche e pensare di essere il portatore della verità. L’individuo allontana gli altri da cui aveva tratto i primi vantaggi e l’associazione può diventare per lui un utile o una cosa personale. Rivolge le sue attenzioni a nuovi individui anche attratti dalle positive premesse dell’associazione, individui che si avvicinano ma presto anche questi ultimi si allontanano;così la crescita della diffusione dell’idea e dell’arte si affievolisce fino a sparire sparisce. Nascono così correnti (artistiche?) e mode che non rispondono né all’amore per piante, né all’esaltazione delle intrinseche peculiarità artistiche di ogni essenza, ma si creano stampi che l’amatore del bonsai non accetta, e nell’associazione che dovrebbe insegnargli qualcosa non trova ciò che cerca per capire e penetrare nel diversificato mistero di armonioso equilibrio del mondo della natura espresso e concentrato nel bonsai, ma viene limitato alla sola osservazione superficiale dell’espressione artistica innaturale. Osservata una pianta, si trovano le altre fredde ed uguali
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...passano gli anni e la storia si ripete. Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo scriveva: “Cambia tutto perchè non cambi nulla!”
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Bonsai ed arte.
Un dibattito aperto da sempre di Antonio Ricchiari
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lla domanda, forse un po’ scontata, formulata a Masahiko Kimura durante le giornate di Pescia “ma lei si considera un artista?” la risposta è stata breve e lapidaria “sicuramente” e aggiungo... ci mancherebbe altro! Si avverte allora l’assillo teorico e l’urgenza pratica di chiarire i termini della problematica del destinatario del messaggio d’arte che lancia la visione del bonsai prendendo consistenza di quesito fondamentale soltanto in quest’ultimo periodo di più larga notorietà; ciò non toglie che sarebbe possibile e utile tracciare dei riflessi teorici provocati da tale ordine di interessi nei secoli passati in Oriente, una storia che potrebbe essere molto interessante per comprendere meglio il Bonsai stesso. Qual è la definizione di arte? E’ qualsiasi attività produttiva dell’uomo, disciplinata da un complesso di conoscenze tecniche specifiche (per via di norme e regole) e fondata, tanto sull’esperienza quanto sull’abilità e sulla genialità personale di chi la esercita. Essenzialmente la realizzazione di un bonsai si articola su alcune scelte fatte a priori alle quali dovrà conformarsi tutto l’insieme della pianta, nei suoi aspetti sia strutturali che estetici, allo scopo di raggiungere così un tutt’uno esteticamente armonico. Perché allora questa diatriba sul concetto di arte applicato al bonsai, concetto calibrato sui tre aspetti principali prima enucleati: - esperienza, componente essenziale per l’artista poiché raffina, attraverso l’oggetto d’arte (il Bonsai) la validità del risultato; - abilità, o manualità, senza la quale non può avvenire la trasformazione della pianta in un pezzo definibile “artistico”; - genialità, concetto fondamentale per le arti perché strettamente legato alla creatività senza il quale un Bonsai rimarrebbe nel suo aspetto solamente un albero. La riflessione, o almeno la consapevolezza di differenti possibilità di reazione di fronte allo stesso oggetto d’arte (il bonsai) - reazione che può essere di natura estetica come extraestetica e può arrivare fino al rifinito totale, collegata il più spesso a stratificazione di ordine sociale e culturale, o a trasformarsi nel tempo, sembra per un certo periodo connessa sistematicamente ed esclusivamente - nel caso del bonsai - con l’opposizione tra conoscitori e ignoranti. Credo ancora oggi che gli occidentali debbano trovare la Via del bonsai nella selva degli stessi percorsi culturali, senza rinnegare nessuna delle radici storico-artistiche, compresa quella che affonda nell’esperienza della civiltà occidentale. Sul piano poi della diffusione della cultura del bonsai, cioè della divulgazione, la problematica connessa alle conseguenze dell’impiego dei mass media presenta indubbiamente una grande varietà di aspetti sociologicamente rilevanti, senza tuttavia esaurirne tutta l’attuale diversità di configurazione, che appare tributaria anche di altri ordini di trasformazioni. Sul piano poi della diffusione della cultura del bonsai, cioè della divulgazione, la problematica connessa alle conseguenze dell’impiego dei mass media presenta indubbiamente una grande varietà di aspetti sociologicamente rilevanti, senza tuttavia esaurirne tutta l’attuale diversità di configurazione, che appare tributaria anche di altri ordini di trasformazioni. Si può così già affacciare l’ipotesi che nell’ambito della cultura europea e, più latamente, della cultura occidentale, l’esigenza di distinguere l’esperienza estetica (gli stili) e di darne conto attraverso strumenti filosofici,
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Il bonsai ed i canoni architettonici
si sia presentata, almeno in larghissima parte, come ancorata di potere e dovere determinare dei veri e propri referenti fissi della nozione di bello; e ciò nonostante la crescente consapevolezza del mutare e del pluralizzarsi del modello “bellezza artistica” in relazione alle varie interpretazioni del bonsai e alle varie culture dei Paesi dove si fa. Il Bonsai, dunque, può essere elevato ad arte nei luoghi giusti che non siano soltanto quelli dell’oriente, nel giusto rapporto tra piaceri dello spirito e affinamento delle tecniche colturali. Il bonsai è regolato - come in una forma architettonica - da certi fattori che ne limitano la figura e di conseguenza i rapporti. Senza certi limiti la figura può risultare alterata, come è dimostrato dall’alternativa tra il triangolo ed il quadrato. Certe somiglianze fra questo modo di affrontare il problema e canoni di proporzione antichi e rinascimentali sono evidenti, ma è di estrema importanza per la comprensione della nostra teoria che ci rendiamo conto delle differenze. Il sistema classico di proporzioni può essere chiamato organico. Vale a dire, un singolo elemento come una colonna è proporzionalmente più alto o più largo in un grande edificio piuttosto che in uno di piccole dimensioni. La soluzione gotica la si può definire astratta, ed è al confronto incurante delle proporzioni. Per essa l’altezza e la larghezza di un singolo elemento sono determinate soltanto da un semplice rapporto matematico con l’intero schema, e dato tale rapporto, l’elemento può essere relativamente alto o corto, largo o stretto, secondo il contesto in cui viene usato. In sostanza - e qui spiego il collegamento con il Bonsai - un elemento non ha nessuna esistenza autonoma, ma deriva la sua forma soltanto dalla connessione logica con l’insieme. La progettazione di un Bonsai può esser pertanto definita una teoria dei rapporti costanti. Quando si osserva un Bonsai non è possibile negare il ruolo portante della coppia concettuale bello/brutto che si formula nelle teorizzazioni dell’estetica. L’assunzione di questo tessuto concettuale all’interno del quale è quasi inevitabile appoggiarsi ad una accezione del concetto di estetico e di artistico tale da privilegiare - più o meno consciamente - l’esperienza visuale dell’esposizione di un bonsai. Nell’ambito della cultura europea del bonsai e nel quadro del recupero di una certa interpretazione e lettura della nozione del bello, si è venuta delineando una soluzione referenzialistica-normativa alle connesse problematiche del rapporto arte-natura e del rapporto con le varie arti. Occorre dunque mettere in luce innanzitutto tale connessione e la necessità di inquadrare il problema proposto dalla definizione della coppia bello/brutto all’interno di una problematica più vasta dell’attività artistica legata al bonsai (imitatio naturae) con la constatazione dell’irriducibilità delle varie tecniche artistiche ad un unico modello. Nel caso del bonsai l’arte ha dei limiti, non si può spacciare tutto per arte nè invocare l’arte per giustificare ciò che non lo è. Ad una attenta ricognizione il bonsai deve risultare sempre un manufatto dove la natura è l’attrice principale e l’unica espressione. Il brutto nella diversità sta dunque nella mancanza di un legame comprensibile che riconnetta il pullulare delle sue particolarità in una struttura. La realtà brulica di confusioni che dovrebbero offenderci esteticamente, se per fortuna non ci facessero sorridere. “In senso immediato l’asimmetria è la totale indeterminatezza di forma.” Questa si eleva ad unità di forma, ma le fa difetto la distinzione all’interno di se stessa sicchè, a causa dell’indistinzione, è in sè priva di forma. Ovvero, la distinzione compare nella forma, ma sta nella dissoluzione della forma. Concludendo: arte dunque o cos’altro? L’arte ha nell’idea della natura una norma generale per la correttezza delle sue creazioni. Parametri messi spesso a confronto; resi interdipendenti da una cultura di massa troppo attenta alle voracità del mercato, mercato ormai l’uomo stesso, circonfuso da un appiccicoso sviluppo edonistico. Ed a questo punto ancor più deve trovarsi spazio per la riflessione, per quel necessario tempo della pausa, al fine di cogliere non i margini del bonsai, ma l’essenza stessa del bonsai. Nel senso che quanto più margine si riconquisterà, tanto più sarà possibile riconsegnare vigore alla pratica del bonsai in quanto disciplina stessa dell’Arte.
Bonsai e Arte. Un dibattito aperto da sempre.
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il brutto anatroccolo di Francesco Santini
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uesta thuja fu acquistata in vivaio da mio padre nella prima metà degli anni ’90. La pianta era stata praticamente abbandonata in un angolo del giardino e lasciata crescere liberamente. L’aspetto non era dei più interessanti, visto il tronco cilindrico e la tipologia della vegetazione (Fig. 1). Nel gennaio del 1997 decisi finalmente di impostarla. Dato il portamento dritto e la disposizione dei rami, fu subito chiaro che la migliore soluzione sarebbe stato un classico eretto formale. Procedetti quindi con una potatura drastica, mantenendo però qualche ramo in più. Il risultato ottenuto dopo la prima impostazione non fu dei più esaltanti, ma una nuova avventura era cominciata. Era necessaria una forte dose di fantasia e immaginazione, ma ero molto fiducioso rispetto al futuro di questa pianta; e questo mi servì soprattutto per combattere quei bonsaisti “pagani” che non credono nel futuro del bonsai. Alla fine di questo primo step l’altezza complessiva della thuja era diminuita di circa 60 cm (Fig. 2). Come già accennato in precedenza, l’obiettivo di
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questa fase era l’impostazione di formazione, lasciando però un abbondante numero di rami e cercando di creare una buona alternanza tra gli stessi. Conseguentemente, nella fase di crescita, i rami primari e secondari dovevano ingrossarsi, fino a raggiungere il diametro proporzionato al tronco.Per questo motivo la pianta è stata fatta vegetare liberamente, senza troppo curarsi dell’infoltimento dei rami (Fig. 3). Nel 1999 la pianta è stata rinvasata in una cassetta di legno, utilizzando un mix composto da pomice e terriccio universale in identiche proporzioni. Successivamente ho proceduto all’eliminazione dei due rami in basso e alla creazione dei jin e di alcuni shari nella parte alta della pianta. A questo punto diventava interessante lo studio del primo ramo, poiché questo è un caso in cui il primo
ramo non coincide con il ramo più basso. La funzione del primo ramo è assolta infatti dal ramo di sinistra. Il ramo in basso a destra invece rappresenta un’appendice di minore impatto e di aspetto più giovanile (Fig. 4). Nell’inverno del 2001 arriva il momento di un’ulteriore impostazione e decido anche di procedere al rinvaso. Le radici capillari sono sane e abbondanti e non è impresa difficoltosa trovare un vaso in gres adatto all’essenza.Opto per una miscela composta al 50% da akadama, 40%pomice e 10% terriccio universale, il tutto passato al setaccio da 1 mm (Fig 5). Il difetto più grosso, ma anche la particolarità di questa essenza, risiede sicuramente nella forma che assume la vegetazione, con i palchi a crescita piatta e verticale. L’estrema generosità e vigoria di questa essenza
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comporta la perdita della forma in tempi molto brevi ed è possibile mantenerla solo pinzando continuamente e sostituendo periodicamente gli apici dei rami. Fortunatamente, la vegetazione piatta permette la ricostruzione dei palchi molto velocemente, dato che è sufficiente l’abbassamento e la torsione del rametto e il suo posizionamento in orizzontale. Il bonsai è esposto a pieno sole e concimato abbondantemente con anagokoro. Per la pulizia della corteccia è sufficiente levigare il tronco con della carta vetrata (grana 240) e successivamente rifinirlo con acqua e uno spazzolino in nylon. Non conviene operare con spazzole di acciaio perchè si rischia di danneggiare la corteccia, che è molto fine (Fig. 6). Tornando ora “dal vivo” si può notare come con le continue pinzature la vegetazione sia maturata velocemente. Rispetto alla foto precedente è possibile notare la differenza dei volume creati dall’applicazione della corretta cimatura. Alla fine dell’autunno 2003 la vegetazione era però eccessiva e poco definita. Era arrivato il momento di una impostazione volta al riposizionamento dei rami periferici. Come per tutte le conifere è importante aprire la vegetazione in modo da far penetrare luce e aria negli spazi più interni (Fig 7). Con la successiva impostazione si ottiene soprattutto una migliore conicità dell’insieme.
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L’albero assume subito un’aria più vissuta e le proporzioni cominciano ad essere più gradevoli (Fig. 8). Nel 2005 vengono ulteriormente abbassati i rami. Rispetto alle lavorazioni passate, l’obiettivo primario è quello di una corretta disposizione dei rami periferici in modo da creare una maggiore suddivisione dei palchi in tante piccole masse vegetative (Fig. 9). Dal basso è possibile notare la struttura dei rami. La vegetazione è presente solo sulle estremità di ogni ramo. La pulizia della vegetazione è fondamentale sia per un corretto lavoro di impostazione sia per una corretta crescita. Dalla foto 10 è possibile percepire l’importanza di una corretta struttura dei rami legnosi. Dall’alto si nota la progressiva conicità della vegetazione (Fig. 11).
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Con le successive impostazioni vengono posizionati solo i rami del terzo ordine e superiori. Diventa importante la cura dei piccoli particolari come gli spazi vuoti creati all’interno dei palchi o i piccoli shari creati sul piede (Fig. 12). Nel 2006 la vegetazione è ormai matura. Una corretta concimazione è importante per una corretta crescita e per il colore del verde. Durante il periodo vegetativo il bonsai è concimato con anagokoro. A intervalli regolari vengono somministrati microelementi e ferro. Dieci anni di lavoro ripagati con l’inserimento di questo bonsai nel catalogo UBI “Migliori bonsai e suiseki 2006”.
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UN CIPRESSO CHIAMATO MUSTAFà Testo di Antonio Ricchiari Lavorazione di Giacomo Pappalardo Foto di Giacomo Pappalardo e Andrea Trevisan
La pianta che mi accingo a commentare è un cipresso che è stato scelto da Giacomo Pappalardo per essere lavorato ed educato a bonsai. Conosco Giacomo dai suoi inizi bonsaistici, ebbi il piacere di esaminare le sue piante di allora per la sua ammissione all’I.B.S. e di appoggiarne la candidatura al Collegio. Si è rivelato nel tempo un bonsaista di serie A, un estro non comune e un bonsaista completo perché è anche un ottimo coltivatore (cosa non trascurabile e non frequente). Lascio volentieri spazio alle immagini che non hanno bisogno di ulteriori commenti. Antonio Ricchiari
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1 - Il cipresso invasato subito dopo la raccolta. 2 - Si vede la pianta ripresa da un’altra angolazione, appena sistemata in un mastello. 3 - Particolare della vegetazione
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6 - Pulizia e selezione della vegetazione. 7 - Particolare di una prima fase di filatura. 8 - Primi abbozzi della lavorazione dei jin. 9 - Altro particolare della corretta e precisa filatura.
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il CIPRESso
Il cipresso, è una conifera molto nota nella parte centrale e meridionale dell’Italia anche se qualche volta è identificato come albero che orna i cimiteri. Piantato da molto tempo nella regione mediterranea, nella sua forma a fuso stretto, si origina in Grecia e a Creta e nell’Asia Minore, dov’è diffuso nella varietà horizontalis. I cipressi (dal greco kuparissos) sono dei sempreverdi, con rami sottili molto numerosi, foglie persistenti, minuscole, a forma di scaglia, opposte ed embricate su quattro file, applicate sui rami o con l’apice leggermente scostato: più lunghe e più scostate nei giovani soggetti e sui rami vecchi. E’ una pianta originaria dei paesi mediterranei orientali, ma si è tanto naturalizzata in certi luoghi da essere considerata uno degli elementi caratteristici del paesaggio dell’Italia mediterranea. Coltivato in Italia da tempi remotissimi è così inglobato nel paesaggio da meritarsi l’altro nome volgare di cipresso italico. Il cipresso, specie mediterranea quindi termofila (-10°C temperatura letale) xerofila, eliofila, sopporta l’ombra in gioventù. Molto frugale, rustico, non ha particolari esigenze in fatto di terreno, si adatta anche agli argilloso-compatti ed ai calcarei superficiali. Nelle nostre regioni il cipresso fruttifica abbondantemente e spesso si risemina spontaneamente; la sua coltivazione non pone nessun problema. Il tronco, con corteccia grigio-bruna, ha lunghe fessure e pertanto risulta interessante come bonsai. In linea di massima distinguiamo la varietà pyramidalis che ha rami eretti, spesso si presenta con più tronchi, chioma affusolata e si presta ad un impianto di gruppi di alberi, e la horizontalis a rami distinti a palchi e tronco unico che si presta ad un’impostazione in altri stili. Albero molto longevo, coltivato da tempi immemorabili, non presenta eccessive difficoltà se si vuole allevare e impostare per ottenerne esemplari sicuramente interessanti che richiamano il paesaggio nostrano. Diciamo subito che il suo adattamento al clima delle regioni italiane non offre particolari problemi, tanto meno nel meridione dove la stagione invernale è comunque mite: nelle zone a clima freddo l’inconveniente può essere superato ricoverando la pianta in serra fredda, tuttavia i cipressi lasciati fuori in inverno non hanno subito alcun danno. Il cipresso entra nella fase vegetativa un pò dopo rispetto alle altre conifere. Iniziata l’impostazione della pianta occorrerà procedere all’infittimento della vegetazione; si metteranno in atto due metodi: la potatura durante la stagione vegetativa e la pizzicatura delle nuove cacciate. L’operazione, che si esegue durante tutta la stagione vegetativa, viene ripetuta periodicamente serve anche a mantenere la forma del cipresso, nella fattispecie eliminando le crescite disordinate che altererebbero la silhouette del bonsai. Per quelle piante che necessitano della filatura, se ne farà ricorso dall’autunno alla primavera facendo attenzione a non danneggiare la corteccia. Le annaffiature dovranno essere piuttosto abbondanti, ma adattate alle stagioni, all’esposizione, alla percentuale di umidità, avendo comunque cura di non lasciare asciugare il terriccio nell’intervallo. E’ consigliabile nebulizzare frequentemente la chioma durante l’estate. Il cancro del cipresso è una micosi parassitaria dovuta al Corineum (= Seiridium) cardinale, il cui sintomo più noto è dato dal fatto che la pianta comincia a seccare dalla cima; l’infezione è facilmente trasmettibile. Colpisce anche altre cupressacee comprese Thuya, Juniperus, Libocedrus. Alcuni coleotteri scolitidi, abbastanza dannosi per conto loro in quanto scavano gallerie nel tronco, sono anche vettori dell’infezione fungina, diffondendola rapidamente. Per tale motivo si consiglia di intervenire prontamente asportando e distruggendo con il fuoco la parte infetta e disinfettare le superfici tagliate e le scortecciature con prodotti cuprici. Un fitomizio dannoso è dato da un afide: Cinara cupressi, il quale forma colonie a manicotto attorno ai rametti più piccoli; la chioma arrossa in modo rapido e uniforme. La specie più sensibile è C. arizonica ed i focolai più grossi si sviluppano nelle siepi.
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La mia esperienza 10 - La pianta ha già subito una prima impostazione con relative palcature che, com’era nel progetto di Pappalardo, ha messo in rilievo, esaltandolo, l’elegante linea del tronco che conferisce sinuosità al cipresso. 11 - Un particolare della zona apicale che è stata impostata con una maestria che denota la creatività e la padronanza tecnica che Giacomo ha della pianta. 12, 13 - Il cipresso è stato ripreso quando lo sviluppo della vegetazione è progredita mostrando tutta la sua vitalità. Un bravo bonsaista deve essere prima di tutto un ottimo coltivatore. Una pianta in ottima salute si presta anche ad interventi estremi.
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La mia esperienza 14 - L’esemplare pronto per essere esposto ed ammirato. Il lavoro di Pappalardo è giunto alla sua conclusione, almeno per la prima fase di vita di questo che è destinato ad essere un esemplare di bonsai. La pianta ha già il suo futuro grazie alle prime decisive impostazioni avute da Pappalardo che, questa è la mia opinione, primeggia per senso artistico e creativo. Da questo momento il soggetto è passato nelle mani di Andrea Trevisan. Vediamo nelle immagini che seguono qual è il presente di questo bonsai.
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16, 17 - Ecco come si presentava il cipresso nel Maggio del 2008.
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18 - Il cipresso in questa fase è stato lavorato da Andrea Trevisan assieme ad Enrico Savini fra maggio e giugno 2009. Ci si è concentrati sulla potatura e sull’applicazione del filo per permettere alla pianta di poter arretrare la vegetazione aprendo le masse vegetative e permettendo così uno sviluppo ottimale. Successivamente, durante tutta l’estate, Andrea ha coltivato la pianta quasi esclusivamente attraverso concimi fogliari nel suo giardino.
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Il Cipresso è stato rinvasato ad Aprile in un vaso realizzato a mano da John Pitt su richiesta dello stesso Andrea. Il colore arancione è stato scelto volutamente per poterlo differenziare dai molti girgio/azzurri o marroni che si vedono nei cipressi. Adesso la pianta misura circa 60 cm di larghezza per 90 cm di altezza ed è stata ribattezzata Mustafà. Lato sinistro
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INNESTIAMO UN GINEPRO di Andrea Meriggioli
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ggetto di questo articolo è la tecnica dell’innesto per approssimazione a controflusso. Con questa operazione, innestando la variertà itoigawa su quella communis, oltre ad ottenere una vegetazione con una squama più “pregiata” ed adatta a valorizzare al massimo il materiale di partenza, si renderà la parte aerea molto più forte perché il J. communis è più delicato rispetto all’itoigawa.
Nella primavera del 2008, ad un anno dall’avvenuto attecchimento, ho provveduto a selezionare la vegetazione per definire le future vene linfatiche, in seguito al naturale scartamento di quelle deboli. Prima di iniziare con la procedura di innesto, come consuetudine in questi step, si pulisce la corteccia per delineare le vene vive e le zone secche. Durante questa operazione si valutano inoltre con grande attenzione le zone migliori per l’esecuzione dell’innesto, cercando le vene che “tirano maggiore linfa” e che risultano essere allocate in buone posizioni per il futuro design. Terminato questo step, si fis-
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Innestiamo un ginepro - Andrea Meriggioli -
1 - Il ginepro è attecchitto perfettamente.
2 - Da questa foto è possibile vedere la nuova vegetazione del ginepro, sintomo dell’avvenuto attecchimento.
3 - E’ stata potata tutta la vegetazione inutile.
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6 - Le vene più gonfie e quelle nella migliore posizione saranno quelle da preferire per questo tipo di operazione.
La mia esperienza sa la talea (portatrice della marza), nella posizione migliore del vaso per ritrovarsi la vegetazione di quest’ultima nel punto desiderato. Durante tutta l’esecuzione dell’operazione è di fondamentale importanza lavorare sempre con attrezzi ben affilati e sterilizzati al fine di facilitare la perfetta adesione dei due cambi, favorendo così l’attecchimento e per scongiurare possibili rischi di attacchi da parte di agenti patogeni esterni. Inoltre non bisogna assolutamente toccare con le dita i tessuti cambiali della marza e del portainnesto una volta “aperti” perché si corre il rischio di lasciare patine oleose che possono ostacolare il contatto e la relativa fusione dei tessuti. Si procede poi con la creazione dell’incavo con un bisturi, incavo che ospiterà la marza sul portainnesto. Risulta essere di fondamentale importanza, come già descritto in precedenza, realizzare il taglio il più netto e pulito possibile! Si passa poi alla preparazione della marza (realizzata sempre con il bisturi, facendo in modo che i cambi delle due piante risultino essere a contatto per la maggiore superficie possibile, condizione indispensabile per l’attecchimento). La marza dovrà poi essere inserita nell’incavo del portainnesto.
12 - Dattaglio del punto di innesto sulla marza. 13 - Marza posizionata e fissata con chiodini.
8 - Identificazione del punto in cui avverrà l’innesto.
7 - La marza di itoigawa utilizzata per l’innesto.
9 - Posizionamento provvisorio della marza.
10 - Creazione dell’incavo che ospiterà la marza.
11 - Portainnesto pronto a ricevere la marza.
Il fissaggio della marza si effettuerà con alcuni chiodini e/o puntine...e piccoli e discreti colpetti di martellino, bloccando la marza nell’incavo. E’ fondamentale per l’attecchimento dell’innesto che le due piante non si muovano e risultino ben ferme ed ancorate. Bloccata la marza, si protegge l’innesto con pasta cicatrizzante giapponese contenente ormoni. Il controflusso in questo caso presenta diversi vantaggi: in primis crea una bella curva a gomito che “segue” in armonia quella forte che c’è a livello del nebari ed in più porta la vegetazione ad una “altezza/zona” migliore per il futuro design. Quando si constaterà l’avvenuto attecchimento dell’innesto, si procederà, in maniera graduale, a limitare il flusso linfatico che alimenta la marza dalle radici della stessa stringendo, a valle dell’innesto, un filo di rame.
Innestiamo un ginepro - Andrea Meriggioli -
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La mia esperienza Così facendo in seguito al naturale ispessimento della stessa, questa comincerà a strozzarsi sino a che bloccherà completamente l’alimentazione della parte aerea. In questo modo l’innesto verrà alimentato solo dalle radici del portainnesto. Al termine si potrà tagliare la parte della marza antecedente all’innesto (e quindi le radici di questa) senza rischi di eventuali stress.
14, 15 - Dettagli dell’innesto.
16, 17 - Ecco il nostro ginepro innestato a lavoro finito
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Innestiamo un ginepro - Andrea Meriggioli -
A lezione di suiseki
Evoluzione personale nell’arte di osservare le pietre: “La storia siamo noi!” di Luciana Queirolo
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er questo numero di settembre, mi preme portare sul magazine l’autorevole presenza di due miei vecchi amici, forse i più cari. Non so se ha il sopravvento tra noi il senso dell’amicizia intesa come rispetto e confidenza, oppure la stima di noi come fedeli appassionati del suiseki...le componenti si fondono tra loro, proprio come la fusione delle qualità estetiche, che fanno di una pietra un suiseki perfetto. Anche la nostra amicizia ha sfidato il tempo e le intemperie: è un bene forte e prezioso, proprio come un buon suiseki. Luciana Queirolo
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el maggio del 1992 il club “Unici di Liguria”, prima realtà associativa europea nell’Arte del Suiseki, realizzò una piccola mostra al “The Bamboo Art Studio“ di Genova. I coniugi Schenone, che avevano iniziato a raccogliere, durante le loro gite sui monti dell’entroterra Ligure –Parmense, formazioni curiose od evocative, riconobbero in un articolo del Secolo XIX dedicato alla mostra, le “loro pietre” ed accorsero. “Inizia qui la loro avventura nel mondo del Suiseki” così potete leggere nella monografia. Allo studio ed alla realizzazione dei daiza, Andrea si dedica con passione ormai da 17 anni. La ricerca della bellezza e dell’armonia tra pietra e base si è affinata nel tempo, volta a sintetizzare, creando nel daiza un naturale proseguo della pietra: non solamente un funzionale appoggio, ma come esaltazione dell’oggetto esposto, senza palesemente apparire ... ciò gli ha permesso di raggiungere l’obiettívo finale: “Ammirare il Suiseki” e godere delle sensazioni che esso sa dare. Anche la ricerca delle pietre è diventata nel frattempo più competente e perciò “mirata”: tesa alla raccolta di forme differenziate e dai più disparati colori e disegni. Come naturale conseguenza, innumerevoli sono i riconoscimenti raccolti da Andrea e Mirella, durante i loro viaggi in Italia ed all’Estero. Ma è veramente difficile, ricostruire le tappe del loro successo: son loro i primi a minimizzare: la modestia è una dote che in casa Schenone è quasi palpabile. Basta però viaggiare su internet, sfogliare riviste del settore, per leggere agevolmente pagine su pagine da tutto il mondo, di professionisti esperti o semplici appassionati di suiseki, che parlano di loro e delle loro pietre. Andrea e Mirella Schenone sono una coppia “vera”: quasi impossibile scinderli: non ho un ricordo, di loro, che non appartenga ad entrambi. Una splendida coppia completamente fusa in obbiettivi e passioni comuni. Parlare di loro... sembra diventi tutto così semplice, come semplici e lineari e solari loro stessi sono... La storia di Andrea e Mirella è realmente una lunga
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storia di amore che si riversa su tutto ciò che li circonda. Quanta strada percorsa affiancati, loro ed io; e quanta ancora, lontani, io da loro, ma seguendo il medesimo percorso. Come nella vita, ci sono tappe dove per alcuni è d’obbligo fermarsi, mentre altri proseguono: chi al passo, chi di corsa, chi guardandosi attorno. La parte del leone, poi, la fa la componente “sensibilità artistica”, che ce l’hai o non ce l’hai: un mestiere si impara, ma con quel certo genio di intuizione, puoi solo nascerci.
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Così, eravamo sullo stesso nastro di partenza, Andrea, Mirella ed io, nel 1992. Stessa manualità, stessa completa ignoranza di cosa fosse un “dai”, se non un mezzo per far stare su le nostre pietre. Ci abbiamo lavorato tanto, su questo: sia per acquisire maggiore manualità, sia informazione e quindi conoscenza. Ognuno di noi aggiungendo, più o meno inconsapevolmente, la propria personalità, il proprio carattere, quasi facendo il ritratto di noi stessi, in quei daiza.
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Andrea si è parzialmente liberato dagli schemi costruttivi tradizionali estetici, applicandoli ancora, giocoforza, nella costruzione dei daiza di classiche pietre paesaggio, ma “inventando” uno stile nuovo, per pietre oggetto od astratte. Egli ha tenuto la parte che maggiormente gli interessa: il raggiungimento, credo, di un “equilibrio costruttivamente statico ad effetto visivo dinamico”. Una ricerca che va “al di là”; non esattamente nella direzione che segue la “via del suiseki”giapponese; neppure del Gonshi cinese o di che altra icona trainante. Andrea sta percorrendo la via dell’approfondimento di una sperimentazione personale, alla ricerca e per il raggiungimento della “Raffinatezza”, di un “Design essenziale eppur lirico”.
1/6 - La pietra, il trattamento della superficie, lo studio, la scelta.
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7/9 - Progetto e realizzazione.
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A lezione di suiseki 10 - Un daiza di per se otticamente “ingombrante”, rispetto alla leggerezza della pietra (quasi foglio di carta piegato per volare) sparisce; ogni dettaglio ha una sua funzione: prende semplicemente il suo posto e “scompare” ai nostri occhi affascinati da quel volo di… pietra.
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L’arte del suiseki di Felix G. Rivera
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Suiseki suggeriscono montagne, isole e cascate. Altri ricordano figure umane o animali, oppure sono apprezzati per la loro tessitura colorata e astratta. Raccolte in natura, sulle montagne e nei letti dei fiumi, queste pietre sono oggetti di grande bellezza. In tutti coloro che guardano ad esse, apprezzando la straordinaria potenza del cosmo, suscitano emozioni e profonde riflessioni interiori. La sfida è trovare una pietra che riesca ad evocare tutto ciò. Le condizioni e suggestioni proprie dei Suiseki contribuiscono al loro apprezzamento come opere d’arte. La loro bellezza ed il loro potere suggestivo consentono loro di stimolare i ricordi di passati eventi e luoghi, per creare connessioni emotive, ed essere un ottimo mezzo per il rilassamento. Per alcuni collezionisti, la ricerca del suiseki è simile ad una esperienza mistica o spirituale. Trovare materiale di qualità non è facile, ma gran parte del piacere di raccogliere risiede nella ricerca stessa. Aria fresca, sole, compagnia, e l’eccitazione per la scoperta sono esperienze che lasciano un ricordo duraturo.
Estetica del suiseki. La variabile più importante nella valutazione dei su-
iseki è quella della bellezza. La bellezza nasce da un insieme di singoli elementi del mondo naturale che si fondono tra loro in una maniera così perfetta da essere considerati delle opere d’arte anche secondo i correnti canoni artistici. I Suiseki, nei loro contenuti, imitano la natura: le proporzioni, la forma, il colore e la tessitura; comunicano su livelli intellettuali ed emotivi umani attraverso il ritmo, l’equilibrio e l’armonia. L’estetica è minimalista: un angolo acuto rappresenta un picco di montagna, e un pezzo di quarzo diventa un ghiacciaio. Le qualità intrinseche di un suiseki, quelle più marcate, sono la sua forza e la sua bellezza evocativa. Un suiseki è vecchio di milioni di anni, è giunto alla sua forma attuale attraverso le inesorabili forze della natura.
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L’arte del Suiseki - Felix G. Rivera -
A lezione di suiseki Così, catturate nella sua statica forma apparentemente, vi si celano le dinamica del tempo, del calore, del freddo e degli agenti atmosferici. Ironia della sorte, più martoriata ed erosa è la pietra, più a lungo è stata soggetta all’azione dagli elementi, e tanto più viene custodita come vero oggetto d’arte. Il Suiseki può essere considerato semplicemente come una bella pietra con una bella forma, o può essere considerato nei suoi vari livelli di complessità, livelli che abbracciano arte, filosofia, o mineralogia, oppure come una metafora per i collegamenti tra il proprio mondo interiore e l’universo. Questi modi d’apprezzamento, fanno del suiseki non solo una forma d’arte, ma un mezzo attraverso il quale i collezionisti possono ottenere soddisfazione personale e pace.
Collezionare. Raccogliere suiseki comporta la ricerca,
la “consapevolezza visiva”, duro lavoro, e una buona dose di fortuna. Anche se la fortuna non può essere conteggiata, ci sono diverse tecniche che un collezionista può usare per aumentare la possibilità di trovare materiale di qualità. Una preparazione accurata porta al successo nella raccolta, anche grazie a siti con buon potenziale di minerali e disponibilità di pietre. L’emozione derivante dai preparativi per un viaggio di raccolta, è qualcosa da gustare. Riflettere su ciò che ci attende nella zona di raccolta è sufficiente ad aumentare il flusso di adrenalina. Che una pietra, che ha avuto bisogno di milioni di anni per svilupparsi in una particolare forma, si stia per rivelare a voi, crea in chi la trova un sentimento di umiltà. Qui c’è molto più che fortuna e preparazione, a mio parere. L’incontro tra una pietra ed il suo raccoglitore in un dato giorno, è un qualcosa di indescrivibile. In giapponese il sito di raccolta si chiama “kawa dojo”, o, approssimativamente, la “stanza della banca del fiume.” Studiando l’infinito mare di rocce davanti a noi, esplorando con lo sguardo le innumerevoli pietre che si offrono ai nostri occhi, siamo in grado di scoprire il potenziale suiseki. Il paesaggio naturale (per l’occhio umano) riflette la costante lotta tra l’armonia e la discordia, il riposo e lo stress. Le linee scoscese di una montagna creano tensione, in quanto i luoghi visti dalle cime vengono vissuto con una sensazione di vertigine, mentre le linee discendenti della composizione comunicano sentimenti di sicurezza. I piani orizzontali suggeriscono stabilità e riposo. In differenti misure e gradi di interconnessione, il paesaggio naturale presenta una serie di complesse immagini cariche di emozioni che possono essere duplicate in una piccola pietra. Credo che queste emozioni siano simili, con i disegni di bonsai. Mia moglie Vicky, ed io siamo stati in visita dalla mia cara amica Luciana Queirolo, in Liguria. Anche se io ci sono stato molte volte, per Vicky è stata la seconda visita, ed è stata la prima volta in cui sia stata seriamente interessata alla ricerca delle pietre. Durante i preparativi per le ricerche disse che sarebbe stata “ l’ombra” di Luciana e la mia: infatti ci seguì molto da vicino per vedere che cosa facevamo, quel che Luciana esaminava, decideva di non raccogliere e il perché. Ma la cosa più importante fu che Vicky dimostrò di essere interessata ad imparare
il perché avevamo tenuto con noi solo alcune le pietre. Vicky è tornata a casa con cinque piccole pietre che lei stessa ha raccolto, e altre due che le sono state regalate da Luciana e dai coniugi Schenone, anche loro miei carissimi amici. I suiseki trovati non erano capolavori, ma questo è irrilevante, sono le esperienze che contano. L’esordio degli artisti bonsai non comincia con piante eccezionali”, ma il loro alberi maturano diventando begli esemplari. Peccato che il suiseki non maturi. Quello che è significativo dell’esperienza di raccolta di Vicky è che è stata circondata dai miei suiseki per oltre 30 anni, ha sentito infinità di conversazioni sulla nostra arte. Anche se lei non ha mai partecipato alle mie raccolte, aveva definito delle preferenze nella mia collezione, considerando molti miei suiseki come una parte della famiglia. Quando finalmente ha partecipato attivamente alla raccolta dei suiseki, è stata folgorata dalla passione e dalla febbre dei suiseki. Penso che avrò un compagno nei nostri viaggi di raccolta in Nord California. Come si dice qui, lei “gets it”. La similitudine più attinente che posso trovare per la sua esperienza è quella bonsaisti quando vanno in montagna alla ricerca di yamadori. Anch’io ho avuto la febbre per gli yamadori, e so che è una esperienza molto intensa.
Conclusioni. L’arte del suiseki comincia con la raccol-
ta delle pietre in natura e che culmina in un nuovo senso di bellezza, e in un rapporto emozionale e spirituale tra il collezionista e la pietra. Il fascino e l’attrazione del Suiseki come hobby e stile di vita, sta nella sua elegante semplicità: una pietra nel suo stato naturale viene ammirata per la sua singolare forma, il colore e le proprietà geologico-minerali, nonché per il modo in cui risveglia in noi memorie di eventi e di tempi passati. Un suiseki ben proporzionato soddisfa l’occhio, e suscita stupore in quanto rispecchia una famosa montagna o un’isola in miniatura per il suo proprietario. Un suiseki può anche essere custodito per la sua suggestione spirituale e filosofica, o come metafora di una pietra che ci aiuta ad entrare in contatto con le cose e capire il valore della vita.
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L’opinione di...
L’opinione di...
Edoardo Rossi www.edoardorossibonsai.it
a cura di Giuseppe Monteleone
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ieccoci. Il tempo vola e con questo siamo al nono numero del nostro magazine. Continua la nostra galleria di personaggi importanti, e questa volta ho intervistato per voi Edoardo Rossi. Personaggio di assoluto rilievo in Italia ed in Europa, può vantare una profonda conoscenza della cultura giapponese. Gli inizi della sua attività risalgono alla metà degli anni ottanta quando decide di abbandonare la carriera di musicista professionista per dedicarsi ai bonsai. Formatosi sotto la guida di alcuni tra i più grandi nomi del bonsai giapponese, nel 1992 si iscrive alla Scuola d’Arte Bonsai, nel 1999 si diploma alla scuola giapponese del Maestro Hamano. Nel 1995 vince la prima edizione del concorso “Nuovo Talento Europeo” a Monaco (Principato di Montecarlo). Consapevole che è impossibile descrivere la figura di Edoardo in poche righe preferisco lasciare la parola al nostro ospite. Buona lettura. Giuseppe Monteleone
I tuoi inizi da bonsaista sono un po’ fuori dagli schemi, fino al 1985 musicista professionista.... e poi? Ora sono bonsaista a tempo pieno, mi sono reso conto solo da poco che non sono stato io a scegliere di cambiare vita, ma che sono state una serie di coincidenze e la mia passione per i bonsai a portarmi piano piano ad occuparmene in modo professionale, sostituendo questa attività a quella di musicista (ho smesso di suonare in modo professionale nel 1993). Sono molto fortunato perché ho sempre potuto lavorare in ambiti estremamente interessanti ed inoltre ora posso dedicarmi alla musica senza obblighi, per il mio solo piacere personale. Sempre sull’argomento musica e bonsai, che cosa ti suscita di diverso fare musica e fare bonsai? Toccano le stesse corde? I punti in comune sono tantissimi e colgo spesso, parlando di bonsai, spunti interessanti dalla musica. Si possono utilizzare termini molto simili per definire aspetti delle due forme espressive: armonia, ritmo, carattere, ecc. Per noi occidentali è facile provare emozioni nell’ascoltare la nostra musica, perché per tradizione culturale ci appartiene, mentre è più difficile comprendere il valore di certe opere espresse dall’arte tradizionale giapponese come il bonsai, ma se ci si apre ad una cultura diversa dalla nostra e si cerca la bellezza, una tazza, una calligrafia o un bonsai possono trasmettere le stesse emozioni intense e profonde che regala la musica. Hotsumi Terakawa, John Yoshio Naka, Susumo Nakamura, Susumo Sudo, Tomio Yamada, Kenichi Abe, Imai Chiaharu, Kunio Kobayashi, Arishige Matsuura, certo che nel tuo percorso di formazione non ti sei fatto mancare niente. Tra tutti questi grandissimi, chi ti ha dato di più? All’inizio il mio confronto con il bonsai è stato, come penso per la maggior parte delle persone, un po’ approssimativo, erano gli anni ottanta e qui da noi nessuno ne sapeva un granché, chi aveva qualche minima conoscenza era considerato uno straordinario punto di riferimento. Un bel giorno però sono arrivati in Italia alcuni Maestri giapponesi di alto livello e ci hanno riportato (giustamente) con i piedi per terra, facendoci capire che la strada intrapresa era ancora molto lunga e che non era poi tutto così semplice e scontato come ci eravamo illusi fosse. Per alcuni di noi è stato un vero e proprio sconvolgimento, difficile da accettare, io ricordo molto bene certe reazioni di alcuni che in passato, durante le dimostrazioni, si atteggiavano un po’ a maestri. Molti di quei pionieri oggi non si dedicano più al bonsai e questo penso non sia un bene perché la loro esperienza potrebbe comunque aiutare i più giovani. Da tutti i Maestri che ho elencato nel mio curriculum ho ricevuto moltissimo e vorrei avere il tempo e lo spazio per elencare ad una ad una tutte le cose che ho imparato da ciascuno di loro. Il risultato sarebbe sicuramente prolisso e forse anche un po’ noioso, quindi cercherò di riassumere con poche parole il loro contributo alla mia formazione. H. Terakawa: giovinezza e tanta tanta tecnica; .J.Y. Naka: un
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L’opinione di... Edoardo Rossi - Giuseppe Monteleone -
L’opinione di... cuore immenso, un vero artista entusiasta; S. Nakamura: cultura e saggezza; S. Sudoo: raffinatezza colta; T. Yamada: amore per la tradizione; K. Abe, semplicità delle mani callose; C. Imai, il bonsai è dentro a lui; K. Kobayashi: il mio ultimo straordinario incontro, una persona incredibilmente semplice e un uomo prima che un bonsaista; A. Matsuura: un Signore delle pietre. Manca quello che per molti anni è stato il mio maestro, Hideo Suzuki. Penso che il rapporto con il Maestro sia necessariamente conflittuale, come in qualche modo è il rapporto con il padre. E’ stata un’esperienza straordinaria, ho condiviso con lui molti momenti belli ed alcune delusioni, è stato in certi momenti anche piuttosto severo e credo, oggi, che avesse ragione da vendere. Mi ha insegnato molto ed ogni volta che ci siamo visti in questi sedici anni ho imparato qualche cosa, ma il suo insegnamento principale è stato quello di trasmettermi l’importanza della coltivazione, cioè che il bonsai è frutto del lavoro e del tempo che deve passare e non solo dell’abilità del bonsaista. A dieci anni dall’ingresso ufficiale nel mondo dei bonsai, riesci a vincere il talento europeo. Che ricordi hai di quella manifestazione? Sicuramente belli e intensi, ma non ho mai dato molta importanza a quel fortunato evento. Oggi ancora di più penso che vincere o perdere faccia parte del nostro percorso e che non bisogna amareggiarsi troppo se le cose non vanno come avevamo immaginato o se non riceviamo un adeguato riconoscimento, ma soprattutto non dobbiamo credere di essere arrivati se abbiamo delle soddisfazioni. Così è nel coltivare il bonsai e così è anche nella vita. Leggendo alcune tue riflessioni, si intuisce il tuo grande rispetto per il carattere e le attitudini di ogni pianta. Per far emergere l’intero potenziale di ognuna però sono necessari anni di cure e attenzioni quotidiane. Detto questo, quanti sono a tuo avviso gli appassionati che attualmente sono disposti ad un simile approccio? Onestamente non lo so. Il messaggio che è passato in questo ultimo periodo in Italia è quello che è importante possedere alberi di grande pregio. Non importa chi li ha costruiti, da quanti anni li coltivo, se sono o no in grado di portare avanti questo impegno. L’importante è mostrare e mostrarsi attraverso alberi bellissimi. Questo è un discorso che credo meriti una riflessione profonda da parte di tutti noi professionisti, uomini del settore, amatori, associazioni ecc. Ci si deve chiedere: perché ci dedichiamo alla coltivazione del bonsai? Se la risposta è che desideriamo solo possedere un bel bonsai, cosa assolutamente lecita, possiamo acquistarlo e se non siamo magari all’altezza della situazione, farci aiutare nella coltivazione da un esperto. Ritengo però che questo approccio ci impedisca di approfondire il nostro rapporto con la parte più importante del bonsai che entra in una sfera profonda, intima, impegnativa e non così superficiale. Molti giovani appassionati non vedono l’ora di avere per le mani belle piante. Ritieni che esista un compromesso che permetta di godere della presenza di una buona pianta senza per questo aspettare tempi lunghissimi? Come dicevo prima, il problema è come ci si pone di fronte al bonsai. Avere nel proprio giardino alcuni alberi belli è un’aspirazione assolutamente normale e per avere una bel bonsai, è sufficiente acquistarlo. Ma l’obiettivo del bonsaista dovrebbe essere quello di riuscire a educare (dal latino educere: tirare fuori!) un albero e non tanto di possedere un bonsai, il ché richiede del tempo, che, con la sensibilità e la conoscenza della tecnica, può non essere necessariamente lunghissimo. Gli alberi così coltivati possono dare risultati incredibili e grandissime soddisfazioni. La fretta può portare a degli errori di valutazione e di coltivazione molto evidenti, che, per essere rimediati, fanno paradossalmente perdere tantissimo tempo. Ho la fortuna di avere molti allievi giovani, e con loro, da questo punto di vista, l’approccio corretto al bonsai è molto più facile che con bonsaisti di una certa esperienza, perche fin dall’inizio hanno accettato che il tempo sia una componente non solo necessaria ma anche estremamente gratificante. Piante da seme, yamadori e piante da vivaio, la tua preferenza a quale va? Una è complementare dell’altra, non ho preferenze. Il seme è un foglio bianco sul quale puoi realizzare tutto ciò che è nelle tue capacità, per questo quindi estremamente stimolante, ma richiede anche una certa lungimiranza. La pianta da vivaio può dare grandissime soddisfazioni, coltivo molti bonsai che hanno questa origine con risultati veramente interessanti e credo che, soprattutto per chi inizia, debba essere il principale soggetto sul quale impegnarsi. Nel caso delle caducifoglie in genere, gli esemplari più rappresentativi che si vedono alle mostre giapponesi sono alberi coltivati e non raccolti in natura. Sulle piante raccolte (yamadori) il discorso si fa più complesso, perché spesso si tratta di alberi molto vecchi, che sono riusciti a sopravvivere per lunghi anni alle avverse condizioni della natura (il ché si evidenzia nel loro aspetto). Essi richiedono nel momento della raccolta particolari attenzioni ed esperienza, e nelle successive fasi una cura attenta nella coltivazione e un grande rispetto della loro personalità. Per questi motivi, la raccolta deve sempre essere ragionata e parsimoniosa. Al di la delle preferenze personali, ritieni che per una buona crescita bonsaistica ci si debba cimentare con tutte le piante dette sopra, o non è necessario? Le tecniche colturali da applicare a ciascuna di questi materiali di partenza sono diverse una dall’altra, per cui la crescita tecnica del bonsaista viene sicuramente stimolata in ogni caso. Tendenzialmente si cerca di iniziare con soggetti dalla forte personalità (spesso yamadori) in quanto rendono l’illusione di un rapido raggiungimento di obiettivi estetici. Coltivare partendo da seme o da giovani piante da vivaio prevede tempi più lunghi, ma consente una miglior comprensione, con conseguente acquisizione, delle tecniche colturali.
L’opinione di... Edoardo Rossi - Giuseppe Monteleone -
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L’opinione di... Leggendo di te, mi ha colpito molto il tuo modo di concepire il bonsai. Fare bonsai è un mezzo per migliorare se stessi e la pianta passa quasi in secondo piano... ho capito bene? Forse non sono riuscito a spiegare bene questo concetto, ma è esattamente il contrario! L’albero, secondo il mio punto di vista, è in primo piano, solo pensando all’albero come principale soggetto del nostro impegnativo lavoro e quindi mettendo noi stessi in secondo piano, possiamo arrivare alla comprensione del vero spirito del bonsai e quindi al miglioramento di noi stessi. Se ho capito bene, quindi, le nostre piante riflettono, o quanto meno dovrebbero riflettere, il nostro modo di essere? Il tentativo di riprodurre il più fedelmente possibile la natura è un esercizio estetico e tecnico estremamente difficile, perché deve emergere esclusivamente la personalità dell’albero. Secondo i principi dell’estetica tradizionale giapponese del bonsai, l’albero non dovrebbe mostrare l’intervento dell’uomo ed è questo l’obiettivo che io cerco di perseguire. Può risultare più semplice la realizzazione di soggetti (che possono essere comunque di grande pregio) che, non rifacendosi al modello naturale, lasciano maggior spazio ad interpretazioni e scelte personali, evidenziando maggiormente la personalità dell’autore rispetto a quella del bonsai. Molto mi è piaciuta questa considerazione “La bellezza del bonsai e quindi il suo valore (non solo economico) dipendono dalle capacità e dall’impegno del bonsaista nell’usare tre elementi: le mani, la testa e il cuore”. Quali tra questi tre elementi è più importante per te? Quando all’età di quattordici anni ho iniziato a studiare al Conservatorio, pensavo alla musica in modo romantico, all’arte e alla possibilità di diventare qualcuno. Poi mi sono scontrato con un mondo molto diverso dalle mie aspettative, lo studio e la disciplina che la musica impongono sono state per me una grande scuola. In tutti gli anni di studio e durante i diversi corsi di perfezionamento con autorevoli maestri, non ricordo di aver mai sentito la parola “arte”. Lo studio della tecnica e la disciplina sono il sistema per apprendere e per fare questo ci vuole la testa. Le mani rappresentano l’elemento più materiale, una buona manualità potrà portare ottimi risultati, anche se la mancanza di questa capacità potrebbe divenire un stimolo per cercare di migliorare se stessi. Il cuore rappresenta i sentimenti che proviamo nel coltivare il nostro bonsai ed è il coinvolgimento emotivo che consente di rendere la personalità dell’albero, facendo divenire unico ogni esemplare. Questi elementi sono complementari fra loro ed hanno quindi la medesima importanza. Veniamo alla tua attività didattica. Quante soddisfazioni ti da la tua scuola? Moltissime. Sinceramente non mi sarei mai aspettato di raggiungere un numero così elevato di persone che seguono la mia scuola. Non che non abbia messo impegno in questo, il giardino, lo studio, l’aula per la didattica ecc. sono un evidente parte del mio progetto di scuola, ma il percorso che propongo ai miei allievi è sicuramente diverso dalle tendenze che il bonsai oggi esprime in Italia. Ho studenti di tutte le età, provenienti da località anche lontane e da esperienze diverse e da ciascuno di essi ricevo tantissimo. La cosa che mi piace molto, è il pensare che sono riuscito a costruire un luogo dove le persone stanno bene. Non è mai successo in più di dieci anni di attività che qualcuno abbia alzato la voce o abbia avuto un atteggiamento poco rispettoso nel confronti degli altri. In un ambiente come questo, dove è bandita la competizione, dove le persone partecipano alle gratificazioni degli altri, arrivare ad ottenere buoni risultati è solo una questione di tempo. Quanto riesci a trasmettere della cultura giapponese ai tuoi allievi? l bonsai tradizionale giapponese non può prescindere dalla cultura che lo ha originato. Una parte delle mie lezioni nei corsi superiori è riservata allo studio dell’allestimento del tokonoma, attraverso il quale i miei allievi possono comprendere i principi estetici e filosofici che ritroviamo nel bonsai e in tutte le arti tradizionali giapponesi. Questi principi, una volta assimilati, contribuiscono in maniera decisiva alla formazione dei nostri alberi. L’utilizzo dello spazio dilatato del tokonoma, per esempio, consente di comprendere più chiaramente il concetto di vuoto, che è uno degli elementi fondamentali nell’estetica del bonsai. Spesso gli allievi stessi stimolano degli approfondimenti di alcuni aspetti della cultura giapponese e quando non sono in grado di soddisfare personalmente le loro richieste, mi faccio aiutare da esperti con i quali collaboro da tempo (il prof. Tollini, il prof. Pasqualotto ed il dott. Smolari) che mi hanno insegnato moltissimo e mi hanno aiutato comprendere i mondi in cui il bonsai è nato. Permetti una domanda cattiva? Aver lavorato nella scuola pubblica ti “ha consentito di sviluppare una buona capacità didattica”, perché allora hai deciso di non includere i principianti nei tuoi programmi didattici? Non è per niente una domanda cattiva. Mi piace molto insegnare ai principianti e non lo ritengo certo meno importante o gratificante. Sono membro e responsabile didattico dell’Associazione Euganea del Bonsai da diversi anni, per la quale tengo una serie di lezioni teoriche e pratiche nell’ambito di un corso per principianti che si sviluppa da ottobre a giugno, presso ed in collaborazione con l’Istituto d’Agraria S. Benedetto da Norcia di Padova, dove ha sede la nostra Associazione. Collaboro inoltre alla realizzazione e sviluppo di programmi didattici presso i club. Ho scelto di non tenere i corsi principianti presso la mia struttura perché ritengo importante che siano i club a promuovere e sostenere la divulgazione del bonsai. Purtroppo, invece, secondo il mio punto di vista, essi non sono sufficientemente valorizzati a livello nazionale, mentre la loro presenza nel territorio dovrebbe essere capillare e appoggiata in ogni modo.
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L’opinione di... Edoardo Rossi - Giuseppe Monteleone -
L’opinione di... Giardini giapponesi e bonsai, punti in comune e differenze. L’argomento è veramente molto esteso e sarebbe troppo lungo da trattare in modo esauriente in questa sede. Sintetizzando, nell’uno e nell’altro caso si ritrovano i concetti filosofici ed estetici riscontrabili in tutte le arti e discipline giapponesi quali, per esempio semplicità, naturalezza, povertà, vecchiaia e apprezzamento del vuoto. Quanta attenzione c’è attualmente per il bonsai in Italia? Per quanto riguarda l’utente non amatore, ormai il bonsai “da interno” si trova un po’ dovunque, dall’ipermercato al garden center, talvolta a costi veramente ridotti e la gente più o meno sa di cosa si tratta (anche se non sa come trattarlo!)… la vendita su larga scala a scopi benefici ha contribuito alla sua diffusione e l’acquirente ormai considera il bonsai alla stessa stregua di una pianta da appartamento, perché ha perso il sapore di “novità esotica” che aveva fino a qualche anno fa. Per quanto riguarda invece gli appassionati, è difficile quantificarne il numero, una volta esso era fornito dalle associazioni in base al numero degli iscritti, ora invece esiste anche un “sottobosco” composto da persone che non si vedono alle manifestazioni ma sono attive e hanno voglia di conoscere e di impegnarsi. Penso che il merito sia in parte di Internet, che ha consentito ad un pubblico più ampio la possibilità di approcciarsi al bonsai, ora disponibile anche a chi in passato era penalizzato dal vivere in luoghi da cui era difficile scambiare con altri appassionati conoscenze ed esperienze. E’ importante comunque che l’incontro virtuale abbia una corrispondenza reale, fisica, con altri appassionati ed esperti perché la pratica del bonsai è soprattutto manuale e ad essa la comunicazione via internet non può sostituirsi. Nella realizzazione delle tue piante, ti rifai ad un progetto vero e proprio con tanto di disegno o l’immagine futura è lì nella tua mente e basta così? Se si ha una lettura chiara della pianta che si dovrà impostare è sufficiente seguire un progetto mentale, se invece si trova qualche difficoltà, non è tutto chiaro e alcuni particolari non sono facili da interpretare, un progetto realizzato su un foglio di carta può essere d’aiuto. E’ importante comunque non rimanere legati a tutti i costi al progetto iniziale, disegnato o pensato che sia, talvolta è l’albero stesso che ci indica un percorso diverso da quello immaginato, perché gli alberi crescono e cambiano. Talvolta invece noi stessi, nel tempo, cambiamo in relazione alle nostre esperienze e possiamo modificare il nostro modo di vedere le cose. In questo senso, ritornando alla filosofia del bonsai, invecchiare fa parte del necessario percorso di miglioramento. Dal 2000 sei uno dei rappresentanti dell’associazione internazionale Nippon Bonsai Sakka Kyookai Europe voluta dal Maestro Suzuki. Ci spieghi il perché della nascita di questa associazione? e che riscontro hai avuto, in termini di interesse, dalla sua nascita? La Nippon Bonsai Sakka Kyookai è una associazione che si è costituita in Giappone per l’esigenza di alcuni importanti Maestri che hanno voluto riportare il bonsai ai valori tradizionali. Anche in Giappone (a parere mio molto più di quanto noi possiamo pensare) il bonsai ha avuto uno straordinario sviluppo commerciale, ma questa cosa, per un certo punto di vista positiva, ha prodotto un allontanamento dai veri valori del bonsai, travisandone lo scopo. In Europa la situazione è evidentemente sbilanciata nella stessa direzione, quindi il Maestro Hideo Suzuki, su mandato della Casa Madre giapponese, ha identificato un piccolo gruppo di persone che, secondo il suo parere avevano le giuste caratteristiche e ci ha chiesto di fondare la succursale europea dell’Associazione. Nel 2001 in presenza del Presidente della Casa Madre Tomio Yamada abbiamo fondato la Nippon Bonsai Sakka Kyookai Europe. Non ci siamo prefissati obiettivi in termini numerici, perché non vogliamo essere un’associazione con grandi numeri, non siamo interessati ad apparire troppo. Cerchiamo, con mille difficoltà, di realizzare degli incontri , congressi e riunioni, dove l’aspetto culturale è il solo motivo dell’organizzazione. Alle nostre mostre, per esempio, gli alberi scelti tra i soci devono avere certe caratteristiche perché la finalità non è quella di presentare il maggior numero di bonsai eccellenti, ma quella di creare attraverso l’esposizione dei nostri bonsai una mostra armoniosa. Per fare questo alcuni di noi hanno dovuto, per esempio, rinunciare ad esporre una pianta optando per un’altra che meglio si integrava con il progetto generale Mai nessuno ha trovato questa una imposizione e tutti l’anno accettato di buon grado. Questo è possibile anche perché le nostre mostre non sono competitive e quindi viene a mancare l’esigenza di presentare ciò che di meglio abbiamo nella nostra collezione in quel momento. In modo assolutamente inaspettato e con nostro stupore, oggi alcuni rappresentanti del mondo bonsaistico europeo ed italiano hanno chiesto di far parte della nostra associazione, accettando tutte le regole che la contraddistinguono. Come nel bonsai, anche in questo caso, perseguire un obiettivo senza fretta e senza porsi troppe aspettative, probabilmente porta dei buoni risultati. Quali sono le tue essenze preferite? Mi è già stata fatta questa domanda alla quale ho risposto in modo provocatorio dicendo che non ho preferenze in relazione alle essenze ma preferisco i bonsai belli… talvolta le mie scelte possono essere dettate dal caso, per esempio alcuni anni fa ho avuto la fortuna di trovare in un comune vivaio alcuni cedri (Cedrus Deodara Pendula) con tronchi veramente interessanti. Dopo alcuni anni di coltivazione sono diventati dei soggetti che hanno suscitato lusinghieri apprezzamenti da parte dei Maestri giapponesi che, non coltivando il cedro come bonsai, lo considerano ora come una mia specialità. Allo stesso modo ho iniziato a coltivare anche altre essenze come per esempio i tassi (Taxus Baccata) da vivaio, il ginepro S. Josè (Juniperus chinensis ‘San Jose’) ecc. In ogni caso mi faccio
L’opinione di... Edoardo Rossi - Giuseppe Monteleone -
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L’opinione di... prendere molto dai diversi momenti, dalle stagioni, dal mio umore, dai ricordi. Vivendo quotidianamente con i miei alberi un rapporto molto stretto, ho imparato ad apprezzarne aspetti anche poco appariscenti e ho capito che dobbiamo essere noi in grado di vedere il bello nelle cose. I fiori, i frutti, come gli aghi le foglie il tronco i rami fanno parte dell’albero ed esprimono in modo diverso la bellezza della natura. Ringraziandoti per il tempo che ci hai dedicato, ti chiedo un saluto per i nostri lettori. Vi chiedo scusa per la lungaggine delle mie risposte (e ho tagliato moltissimo!). Sono forse un po’ prolisso, ma il bonsai mi appassiona per davvero in tutte le sue sfaccettature e quindi mi riesce difficile rispondere sinteticamente perché mi piacerebbe sviluppare in maniera il più possibile compiuta ognuno dei temi che mi sono stati presentati. Auguro a tutti non tanto di arrivare un giorno a possedere una bellissima collezione di bonsai (non è detto che questo porti alla felicità), ma di godere quotidianamente delle piccole cose che il rapporto con gli alberi dona a chi li sa accudire con vera passione
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L’opinione di... Edoardo Rossi - Giuseppe Monteleone -
A scuola di estetica
stile a semicascata (Han-kengai) di Antonio Ricchiari
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l termine giapponese non dà un’idea precisa della realtà perché sembra indicare la natura di questo stile come fosse una cascata divisa a metà, mentre il prostrato possiede un carattere completamente diverso dalla cascata, sia per gli ambienti che suggerisce sia per l’aspetto estetico. La definizione classica considera la differenza tra la cascata nel fatto che il ramo basso non va oltre al limite del bordo inferiore del vaso, ma rimane comunque compreso sotto il bordo superiore del vaso. Nelle versioni più moderne possono essere definiti come prostrati anche i soggetti che hanno i rami più bassi al di sopra del limite del vaso. L’habitat naturale dove ha un riscontro credibile il semicascata può essere un dirupo, una pendice dove l’albero è cresciuto subendo una inclinazione tanto accentuata, favorita anche da fattori climatici forti venti e neve. Sia chiaro che non bisogna mai confondere lo stile inclinato con la semicascata anche perché il primo avrà sempre una struttura estremamente avara di rami perché rappresenta un albero sopravvissuto agli eventi ambientali. Nel semicascata abbiamo perciò una struttura più “addolcita” con maggiori linee morbide.
Rami e tronco - L’apice superiore, a differenza della cascata vera e propria, è sempre presente sia nel caso di un tronco molto inclinato che nelle crescite su pendici proprio perché non ci sono quei fenomeni naturali costituiti da caduta di pietre o frane. La forma dell’apice è normalmente dominante un po’ come avviene nel Moyogi, e sovrasta normalmente
Stile a Semicascata
- Antonio Ricchiari -
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A scuola di estetica la parte centrale della forma. L’apice è particolarmente arrotondato, in modo da inserirsi nel disegno della chioma collegandosi quasi completamente ai rami più bassi. In molti bonsai da fiore la palcatura della ramificazione superiore può essere formata da rami con andamento a zig zag che danno movimento alla pianta contrastando con i tronchi generalmente tozzi. A differenza della cascata vera e propria, lo stile prostrato ha come caratteristica principale quella di piegarsi completamente su se stesso vegetando però sempre verso l’alto senza avere una caduta. Il tronco ritorna verso l’alto costituendo quindi un elemento dominante e centro focale di attrazione del soggetto. La caduta della pianta prostrata deve avere un carattere alquanto moderato, che dal punto di vista estetico costituisce la ricerca dell’equilibrio armonico tra la forma arrotondata dell’albero vetusto e la tensione del tronco che ricerca la posizione originale. La chioma dei prostrati deve essere proporzionata alle contenute dimensioni del tronco. L’apice inferiore, a differenza della cascata deve avere una posizione naturale senza ritornare al di sotto del vaso, normalmente è verso la parte opposta. Deve risultare molto ravvicinato alla parte centrale della chioma, con rami abbastanza ravvicinati fra loro e molte volte si possono unire in un’unica massa fogliare. L’apice inferiore determina quel delicatissimo equilibrio che fa la differenza con lo stile a cascata. La scelta dello shari non è un fattore dominante, così come si fa un uso moderato di jin. E’ pensabile ricorrere ad un sabamiki, progettando la presenza di un tronco cavo, soprattutto se si tratta di una latifoglia. A differenza della cascata vera e propria lo stile semicascata è meno esasperato e quindi sono
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Stile a Semicascata - Antonio Ricchiari -
A scuola di estetica
compatibili con tutte le specie comprese le latifoglie e le piante da fiore. Ovviamente i criteri estetici devono sempre seguire l’effetto armonico generale per rendere credibile il progetto da seguire. I vasi utilizzati sono meno profondi di quelli per lo stile a cascata. Nell’ambito delle forme c’è una tendenza verso i vasi rotondi con i bordi svasati e senza piedi. I bordi dei vasi sono di grande considerazione estetica, proprio per le loro dimensioni che hanno la funzione di richiamare la rotondità della chioma. Si possono scegliere smalti vivaci e pitture attraverso le quali si ricercano gli abbinamenti più adatti per evidenziare i caratteri peculiari di questi bonsai. Le forme quadrate sono meno impiegate perché richiamano caratteri rigidi e forti che sono comuni delle cascate. È anche frequente l’utilizzo di vasi bassi o addirittura da Bunjin, quindi quasi piatti che possono evidenziare meglio i tronchi sottili e le forme che tendono verso lo stile inclinato.
Le foto rielaborate che accompagnano l’articolo sono state tratte dal catalogo: 7th International Bonsai and Suiseki Exhibition, pubblicato dalla Nippon Bonsai Association. L’evento si svolse dal 27 aprile al 6 maggio 1986 ad Osaka.
Stile a Semicascata
- Antonio Ricchiari -
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L’essenza del mese
Il ficus di Antonio Acampora
Famiglia: Moraceae Genere: Ficus Specie: circa 800
Ficus Microcarpa Coll. Liu, Chien-Cheng
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l genere Ficus comprende diverse centinaia di specie distribuite nelle zone temperate, subtropicali, e tropicali d’Asia, Australia (F.macrophylla, F. rubiginosa e F. platypoda), Africa e America. Gli aspetti comuni sono: fuoriuscita di liquido lattiginoso dalla corteccia e dai rami, foglie carnose e spesse, radici superficiali ed aeree. I ficus fanno parte di quelle essenze che sono senz’altro da suggerire a chi inizia il proprio cammino bonsai per la loro generosità, per la maniera in cui sopportano sia la potatura sia le cimature e per l’adattabilità alle tecniche di formazione. Il nome deriva dal greco sycon, trasformato in ficus nella lingua latina. Etimologicamente il termine ha dato origine, secondo alcuni linguisti, anche alla parola Sicilia; per altri potrebbe essere la stessa di “secco”. Il Ficus come bonsai non possiede una lunga tradizione, la Cina e il Giappone hanno iniziato a valutarlo solo quando il mercato occidentale l’ha richiesto. Esiste una gran confusione riguardo ai nomi delle numerose varietà di Ficus. La scelta del materiale adatto conviene farlo considerando la forma, la dimensione iniziale delle foglie, e la silhouette del soggetto. Tra le più utilizzate come bonsai si trovano le seguenti specie: Ficus retusa, Ficus panda, Ficus superba, Ficus pumila (o Ficus microphilla o Ficus kinmen), Ficus benjamina, Ficus nataliensis (o Ficus triangolaris), Ficus neriifolia, Ficus buxifolia. Una varietà interessante per le foglie piccole e la fittezza della sua vegetazione è il Ficus repens, che resiste bene anche a temperature basse e quindi in molte nostre regioni può passare l’inverno all’aperto. Ricaccia dal tronco con facilità. Descrizione
Tutte le foto sono state tratte dal sito http://www.sidiao.com/
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Il ficus - I parte - Antonio Acampora -
Piante arboree, di rado rampicanti o arbusti, con foglie sempreverdi spesso coriacee, semplici, alterne, a margine intero, più raramente frastagliato o lobato. I frutti sono achenii e sono contenuti nel ricettacolo fiorale ingrossato (siconio) che talvolta a maturità è commestibile (fico, sicomoro, ecc). Nelle varietà esotiche usate di solito per bonsai raggiungono perlopiù il diametro di un solo centimetro, la buccia è levigata ed inizialmente coperta di lenticelle. In questi Ficus sempreverdi i frutti spesso compaiono all’ascella delle foglie o direttamente sul tronco. Prima verdastri, maturando diventano poi rossi o viola o gialli secondo la specie. Sui Ficus diversifolia o deltoidea i frutti (giallo-arancio) compaiono assai facilmente ed aggiungono un notevole valore decorativo al soggetto. I fiori, molto piccoli, sono unisessuali: i maschili e i femminili possono presentarsi su piante separate. Il breve tubo corallino termina con due, tre o quattro lobi più o meno arrotondati. Molte varietà di Ficus presentano delle lenticelle (formazione che prende origine sulla corteccia di giovani piante ed è molto importante per gli scambi gassosi fra atmosfera e tessuti profondi) sulla corteccia, di solito dei
L’essenza del mese rami giovani fino a due-tre anni, altri le conservano anche sulla struttura più vecchia. Tali formazioni sono normali e non vanno confuse con parassiti, anche se certe cocciniglie le possono simulare. Va tenuto presente che le foglie sono sempre prive di queste lenticelle. La peculiarità che più colpisce l’appassionato è quella delle radici tubolari, una variazione della radice che subisce il ficus: queste sono tipiche degli alberi di grosse dimensioni come quelli delle foreste tropicali: hanno la forma di grandi lame ed emergono dal suolo verticalmente alla base del tronco, estendendosi tutt’intorno sul terreno per consolidare l’ancoraggio della pianta. Nel Bonsai di ficus queste radici evidentemente non si eliminano, anzi vanno potenziate perché evidenziano la bellezza della pianta. Per aumentarne la crescita si ricopre il tronco con sfagno. In diverse quantità tutte le specie del genere Ficus contengono lattice, sostanza organica secreta dai canali laticiferi. Questo liquido denso non ha niente a che vedere con la linfa. Questa caratteristica è condivisa da tutte le Moraceae, è una sostanza lattiginosa e appiccicosa la cui funzione non è ancora chiara, benché si presume abbia uno scopo antipredatorio. Questa secrezione esiste già nel giovane embrione e perdura per tutta la vita della pianta. È un’emulsione molto complessa, contenente, accanto a cellule, enzimi, proteine e altre sostanze ossidanti, anche idrocarburi ad alto peso molecolare cui deve la particolare consistenza. Particolarmente abbondante nei momenti d’intenso sviluppo può essere irritante per gli occhi e la pelle.
Propagazione per seme
E’ un sistema poco usato
Propagazione per margotta
La maggior parte degli esemplari di Ficus in commercio come bonsai, sono stati ottenuti mediante margotta o talea. Il migliore periodo per la realizzazione della margotta è maggio/giugno. Con la margotta a strozzatura si può far produrre ai Ficus un’abbondante quantità di radici in quasi un mese: è sufficiente avvolgere fortemente un grosso filo (~ 3mm.) intorno alla zona desiderata fino ad inciderla, coprirla con sfagno umido, fasciare l’insieme con un foglio di plastica legato saldamente ed attendere fino a quando il tronco non emetterà le radici.
Propagazione per talea
E’ un sistema facile. In luglio ed agosto tagliare delle talee di 5-10 cm di lunghezza, si riduce l’ultimo germoglio, si eliminano le due paia di foglie alla base della talea, e si piantano in diagonale in terriccio di torba e sabbia in parti uguali. Coprire il tutto con lastra di vetro o foglio di plastica per avere un effetto serra. Quando le talee inizieranno a vegetare, si scoprono e solo nella primavera successiva (aprile) si possono trapiantare in vasetti singoli. Si possono ottenere delle talee radicate (barbatelle) immergendole in acqua.
Il ficus - I parte
- Antonio Acampora -
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L’essenza del mese Radicano più velocemente le talee apicali. Non è indispensabile usare ormoni radicanti che in ogni modo accelerano il processo, è consigliabile porre il semenzaio in mini serra. Un altro metodo di riproduzione poco utilizzato, ma molto valido è la divisione di radici. Si pianta una radice, risultante da una potatura dopo il rinvaso, in vaso lasciandone 1/3 esposto, e in poco tempo spuntano nuove gemme. Qualora si uniscono varie radici, si può creare uno stile a radici esposte, o uno stile a zattera. Esposizione
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Il ficus - I parte - Antonio Acampora -
Il ficus nelle regioni settentrionali va collocato per metà anno in casa esposto a nord (da settembre ad aprile) in un luogo luminoso intorno a 20.000 lux o superiore, lontano da fonti di calore diretto e con un tasso d’umidità atmosferica (U.R.%) alto, 70-80% e poi sistemato all’esterno da maggio a settembre. Prima di ritirare le piante in casa, vicine ad una finestra, per circa 20 gg. ridurre sensibilmente le innaffiature per non fare cadere le foglie (prima diventano gialle e in 2-3 giorni cadono). Mentre nel meridione può trascorre tutta la stagione invernale all’aperto senza problema. In generale si adattano con qualche difficoltà alla vita in appartamento quelle piante tropicali il cui clima originario somiglia più o meno a quello dei nostri ambienti, con temperature che oscillano tra 18° e 24° C. Tenendo presente che i nostri ambienti non possono sostituire il loro habitat naturale: foreste con quel tipico caldo-umido, senza cambiamenti di stagione ed escursioni termiche. In realtà per i ficus tropicali nelle ore di luce le condizioni ottimali sono tra i 20 e 22 gradi, ma durante la notte queste piante sopportano temperature più basse. Quindi è preferibile in quelle ore spostare il Bonsai in ambiente più fresco, (circa 15°-16° C) per assicurarsi questa leggera escursione. Questo evita loro di consumare con la respirazione gli scarsi zuccheri prodotti nelle poche ore di luce utilizzabili nelle giornate invernali. Poiché è fastidioso cambiarli di posto mattino e sera, l’alternativa è di spruzzare la loro chioma quando scende il buio con acqua piovana o distillata (l’acqua “dura” delle tubature è poco consigliabile perché lascia depositi calcarei). L’evaporazione di quest’acqua abbassa per qualche ora la temperatura delle piante. È necessario quindi in inverno sistemare i ficus a ridosso di una finestra, questo è giustificato dall’esigenza di una certa quantità di luce, da non confondere con sole diretto. In estate il ficus va posto all’aperto, non direttamente esposto ai raggi del sole, purché la pianta vi si abitui gradualmente. L’aria umida è quasi essenziale. All’interno il Bonsai perde più acqua di quanto ne assorbono le radici con eventuali gravi danni per le foglie che ne vedono pregiudicata la crescita. E’ giusto quindi controllare il grado igrometrico. L’ideale sarebbe porre il vaso sopra ad un ampio vassoio con del ghiaietto che contenga una piccola quantità d’acqua sul fondo, ma che eviti il contatto diretto dell’acqua con il vaso. La temperatura ambientale farà evaporare lentamente l’acqua dal vassoio, creando una sufficiente umidità attorno alla pianta.
Note di coltivazione
La defogliazione - I parte di Luca Bragazzi
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l termine “defogliazione” indica una serie di applicazioni tecniche che consistono nell’asportazione totale o parziale dell’organo più importante del sistema vegetale: le foglie. La defogliazione può essere naturale o artificiale: la prima avviene grazie a due importanti cause come conseguenza di violenti agenti atmosferici, quali vento forte, grandine, colpi di secco non letali ecc., e come conseguenza dell’attacco patogeno di insetti dall’apparato boccale masticatore, che con la loro azione trofica privano il vegetale delle foglie. Gli scopi di tale tecnica, applicata artificialmente in campo bonsaistico sono molteplici e tra quelli più importanti troviamo sicuramente l’eliminazione di organi fotosintetizzanti malati con deformazioni, ferite o superficie fogliare danneggiata, il contenimento di zone vegetali più vigorose di altre, oppure, nel più classico dei casi, il rimpicciolimento della superficie fogliare a scopo di proporzione estetica. La foglia deve essere intesa come il più importante organo del sistema vegetale, una sorta di “laboratorio”, in quanto è proprio grazie ad essa ed al processo di fotosintesi clorofilliana che la pianta può produrre parte dell’energia necessaria alla sua crescita e al suo sostentamento. Per poter ottenere una perfetta risposta dal nostro bonsai con eccellenti risultati estetici in seguito all’applicazione della defogliazione, dobbiamo preparare il nostro esemplare circa un paio d’anni prima con le tecniche di coltivazione e di esposizione ed anche con l’aiuto di prodotti aerei stimolanti, al fine di irrobustire la struttura e dare la possibilità di accumulare energia, che servirà in risposta all’eliminazione delle foglie. Tale accorgimento è di fondamentale importanza ed il perché è da ricercare proprio negli sforzi che la pianta farà per emettere le nuove foglie: un vegetale provvisto dell’intero apparato fogliare e che quindi è in grado di fototraspirare e produrre energia per sé ai massimi livelli, nel momento in cui, con la defogliazione, andiamo ad asportare le foglie, si troverà in una forte condizione di stress, in quanto dovrà nel minor tempo possibile ristabilire l’intera presenza sui rami di ciò che gli è stato tolto, per poter ritornare a vivere normalmente. Affinché questo avvenga nel migliore dei modi, la pianta dovrà poter disporre di energia immagazzinata tempo addietro e conservata per poter superare periodi di crisi: se nei due anni antecedenti non viene attuata una corretta applicazione delle tecniche agronomiche, quali scelta del terriccio, concimazione, esposizione in pieno sole ed applicazioni aeree di fitostimolanti, la pianta risponde in maniera incompleta, indebolendosi ed essendo molto più esposta a patologie di ogni tipo. Tecnicamente la defogliazione completa è applicabile solo ed esclusivamente su piante di latifoglia, ad esempio appartenenti alle specie Rosaceae, Aceraceae, Ulmaceae, Oleaceae ecc., tramite l’eliminazione della sola parte fogliare ad esclusione del picciolo. Esso, infatti, proteggerà la gemma presente all’ascella fogliare e che nel tempo necessario affinché il picciolo cada, potrà irrobustirsi e schiudersi. Un accorgimento molto importante è l’applicazione della tecnica in momenti diversi, proprio in considerazione della differenza di vigoria tra la parte alta = forte e la parte bassa = debole. Si opera partendo dalla parte bassa e dopo dieci-quindici giorni si completa con la parte alta: questo renderà possibile una maggiore distribuzione dell’energia verso la parte bassa. Su esemplari appartenenti alla famiglia delle Fagaceae (Quercus e Fagus), la defogliazione non potrà essere eseguita totalmente per ragioni imputabili alla fisiologia di questa specie che mal sopportano la condizione di totale assenza di foglie. Si potrà eseguire un taglio parziale che gradualmente abituerà la pianta alla nuova condizione.
La defogliazione - I parte - Luca Bragazzi -
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Associazione Corsi Shiatsu Xin Via Esiodo, 12 - Milano Tel. 02.25712077 www.corsishiatsuxin.it – info@corsishiatsuxin.it CORSO DI LINFODRENAGGIO (massimo di 12 allievi per corso) (*) Metodo Vodder Docente: Marilù Porta
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Tecniche bonsai
La scelta del vaso - I parte di Antonio Acampora
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ella traduzione letteraria degli ideogrammi che formano la parola bonsai, sono legati albero e vaso, un insieme che deve soddisfare tanto le necessità fisiche di coltivazione della pianta quanto quelle estetiche. La forma originale del vaso è quella della mano vuota, per raccogliere l’acqua o per conservare i cibi. Il simbolismo della mano vuota che si apre, conserva e protegge, corrisponde anche al significato di un vaso bonsai. Il vaso protegge le radici ed evita che la terra si asciughi e si disperda. In Cina i primi contenitori usati per piantare gli alberelli raccolti sulle montagne erano recipienti usati per l’acqua o per il culto. Poiché essi non avevano fori di scolo furono, in un secondo momento, forati sul fondo. Questo cambio d’uso, da oggetti usati per le necessità quotidiane oppure di culto a contenitori per bonsai è avvenuto molto lentamente. Il contenitore per bonsai deve anche armonizzarsi con molti altri fattori: ogni albero ha una sua misura, e la stessa cosa vale anche per il vaso. Ogni appassionato di bonsai ha i propri gusti; per usare un simbolismo, i vasi bonsai potrebbero essere paragonati ai vestiti che indossiamo, entrambi devono essere belli e della giusta misura. Ci sono vestiti per maschi e femmine, e per ogni stagione della vita, di ogni misura e dimensione, ed essi hanno stile, misura e colori diversi. Così è anche nelle piante! Troviamo conifere e altre piante sempreverdi, caducifoglie che producono (o non producono) fiori, bacche e foglie colorate. Il contenitore deve essere sempre in armonia con tutti questi fattori, un complemento discreto all’albero, una cornice che completa nel colore e nella forma senza prevaricazioni. Dev’esserci armonia di colore tra il fogliame e vaso, tra i fiori e il vaso, tra la colorazione autunnale e vaso. La forma del vaso è invece direttamente legata allo stile dell’albero, alla sua età apparente, e dalle sensazioni che la pianta trasmette (vecchiaia, forza...ecc).
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Produzione dei vasi
Esiste, ancora oggi, una differenza fondamentale tra le produzioni di vasi cinesi e giapponesi. La produzione cinese è diversa nel colore e nella forma. La differenza è dovuta al loro processo di realizzazione. I vasi giapponesi sono fatti con uno stampo interno, ovvero l’argilla è pressata sia sulla faccia esterna che che su quella interna, affinché si adatti allo stampo su entrambe le facce. I cinesi impiegano invece solo lo stampo interno; la faccia esterna si modella a mano, ottenendo così un’infinità di forme e ornamenti. L’argilla può dividersi in tre categorie: Terracotta, Gres e Porcellana. I contenitori di terracotta sono ideali per la coltivazione delle piante, in quanto la porosità (la T. non arriva al punto di vetrificazione) permette la fuoriuscita dell’acqua attraverso i pori. L’evaporazione si realizza allo stesso tempo dal terreno e dal contenitore, per questo la terra secca più rapidamente. La terracotta ha però lo svantaggio di rovinarsi facilmente e di non resistere alle basse temperature invernali. Il gres è materiale duro e non è poroso, per questo il drenaggio del terreno deve essere perfetto e bisogna verificare prima del rinvaso se i fori di drenaggio funzionano bene. I contenitori in gres sono considerati ottimali per la coltivazione bonsai. I contenitori in porcellana sono completamente vetrificati, sono usati raramente anche perché troppo decorativi e distraggono troppo l’attenzione. Generalmente i vasi solo cotti sono chiamati Deimono (fatti di fango) mentre quelli trattati e colorati sono denominati Yuyakumono (trattati con prodotti). In genere i vasi Deimono sono adatti per le conifere, mentre quelli colorati sono usati per le caducifoglie, per gli alberi da fiore e da frutto.
Scelta del vaso
Nella scelta del vaso dobbiamo tenere in considerazione la lunghezza dei rami, l’altezza dell’albero e lo “spirito” dello stesso, lo spessore del tronco, il
La scelta del vaso - I parte - Antonio Acampora -
Tecniche bonsai colore dei fiori e dei frutti, della corteccia, come pure la stagione in cui l’albero ci piace di più. L’arte bonsai non è solo il disegno di un albero ma è l’immagine composita di un albero in un vaso: nessun elemento deve imporsi sull’altro. Lo spirito dell’albero va tenuto in considerazione, albero forte o delicato, maschio o femmina, il vaso dovrà essere in armonia con tutto ciò. Un albero forte è quello con tronco robusto e largo, rami angolosi e vigorosi, tessuto rugoso sulla corteccia e radici superficiali forti. I vasi possono essere attivi o passivi secondo la sensazione che essi producono. Generalmente quanto più emergenti e grossi saranno i piedini ed il bordo o labbro, più il vaso sarà attivo. I vasi passivi sono quelli che si autocontengono avendo il bordo e i piedi inclusi nel disegno di base del vaso. Colori e trame
I contenitori senza vernice (Gres) si usano generalmente per gli alberi della famiglia delle conifere. I contenitori verniciati possono essere usati per alberi a foglia caduca, con fiore e frutto. Il contenitore dovrà essere scelto secondo il colore che l’albero avrà in quella stagione. La scelta del colore più adatto al proprio bonsai non può essere univoca dato che in gran parte dipende dalla sensibilità individuale. Colori diversi del vaso producono sullo stesso albero effetti differenti. Questi effetti si chiamano “proprietà psicologiche dei colori”. Ad esempio il colore rosso si vede grande, il blu piccolo, oppure un oggetto blu apparirà più lontano e piccolo, quello rosso, invece, più grande e vicino, il bianco si avvicina di più alle dimensioni reali. Lo stesso dicasi di un oggetto nero che sembra più pesante, mentre quello bianco più leggero, e il blu appare il meno pesante di tutti. Quindi quando si sceglie un vaso occorre considerare tutto questo, in altre parole non solo il colore in sé, ma anche l’effetto e le sensazioni che il colore produce sull’osservatore. Il colore del vaso deve essere in armonia con l’albero in tutti i suoi aspetti, quali il colore del tronco, il colore delle foglie, dei fiori e dei frutti, e la stagione dell’anno nella quale conviene esporre al meglio il proprio albero. Alcune indicazioni di massima
Pini Acero palmato Faggi Alberi da frutto con bacche rosse Acero tridente Alberi da frutto Zelkove Alberi da fiore
Di solito sono posti in vasi di colori che rimandano al colore della terra (es. ocra, marrone, grigio, rossiccio). Richiede colori delicati, evitando i contrasti (es. blu pastello se si vogliono accentuare i rami nudi, beige o avorio quando è esposto con le foglie rosse). Vengono di solito esposti senza foglie, oppure con foglie secche o verdi anche in questi casi si preferiscono colori chiari, avorio, beige. La scelta è verso i toni del blu, in contrasto con il rosso intenso dei frutti, o un colore avorio nella stagione invernale. E’ simile al palmato, si scelgono colori delicati oppure un colore ruggine somigliante alle sue foglie in autunno. Sono ammessi molti colori, ma se si espone spoglio si preferiscono tonalità scure non smaltate, avorio per esporre l’albero con frutti e foglie, o tonalità del blu per evidenziare le foglie. I vasi sono sempre di colori delicati, beige, avorio, in armonia con la sua corteccia grigiastra, o colore terracotta chiaro, per esporlo con foglie gialle. Alcuni preferiscono i colori che contrastano con i fiori, altri preferiscono cercare l’armonia, importante è che i vasi siano di colori scuri, smaltati, discreti.
Il bonsai non può fare a meno del vaso, ma non possono essere reciprocamente in contrasto. Con il bonsai il vaso raggiunge un’interdipendenza ottica. L’ideale è poter armonizzare la forma del vaso all’albero, la smaltatura alla corteccia ed al fogliame. Se l’albero è giovane si usa per il vaso una smaltatura vivace. Se l’albero è vecchio la smaltatura va scelta riflettendo il colore della patina del tronco, il colore delle foglie, o creare un armonico gioco di colori. Le smaltature vivaci si adattano a bonsai giovani o alberi dal portamento delicato come betulle o zelkove. Le tinte dal verde chiaro al verdeblu scuro ricordano il gioco di colori del mare. Le tinte dall’azzurro chiaro al blu scuro si associano all’immagine della calma di un lago o di un’insenatura. Queste tonalità si adattano bene alle composizioni su roccia (ishizuki).
La scelta del vaso - I parte
- Antonio Acampora -
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L’angolo di Oddone
Il ginepro di Carlo Oddone
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nizia da questo numero la pubblicazione di una serie di articoli che apparvero alcuni anni addietro a firma di Carlo Oddone e che riproponiamo ai lettori per la ricchezza di informazioni, la completezza dal punto di vista didattico che denotano entrambe un bagaglio eccezionale di conoscenze acquisite da Oddone nel corso della sua lunghissima carriera di bonsaista. Non sono quindi monografie di essenze, che peraltro abbiamo trattato, ma “appunti di coltivazione e lavorazione” delle piante che il Maestro ha portato avanti negli anni. Siamo gratificati e orgogliosi del fatto che Oddone ci abbia concesso l’autorizzazione a duplicarli per il magazine. Da una attenta lettura il lettore ne trarrà informazioni e nozioni preziose per l’educazione a bonsai. Antonio Ricchiari
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l Ginepro è forse l’essenza che meglio si presta alla realizzazione di un bonsai per la sua vegetazione minuta, che simula in una buona scala la chioma di un albero grande. Ecco quindi che esso compare, sempre ambito, in una collezione amatoriale come nell’assortimento offerto dal commercio. Vediamo come se ne può avere un gradevole esemplare dalle buone caratteristiche e in un tempo relativamente breve. Per avviare un bonsai di ginepro si può scegliere tanto di formare un soggetto giovane, quanto di utilizzare del materiale più maturo e ricco di rami. In un caso, come nell’altro bisogna però tenere presente che, invecchiando, il legno di questa essenza tende a diventare molto rigido. E’ pertanto necessario modificare prima possibile la forma di tronco e rami nei soggetti da educare, e scegliere inoltre con molto senso critico il materiale adulto, in modo da non dovere cambiare di molto la forma della sua struttura principale, cosa che risulta spesso difficile e poco soddisfacente. I Ginepri ricacciano facilmente dal legno vecchio: in particolare vicino alla biforcazione di rami e rametti ed ancora meglio dal tronco. Questa positiva caratteristica permette in due-tre stagioni di sostituire con della nuova vegetazione le parti che hanno una forma o struttura inadatta. Eseguita una potatura drastica, non resta che scegliere tra i numerosi germogli che compaiono dopo qualche tempo il più vigoroso o il meglio diretto, asportando poi al più presto gli altri, perché crescerebbero in competizione col ramo che interessa e ne ritarderebbero lo sviluppo. Se il futuro bonsai viene ben concimato e magari coltivato in piena terra, in un paio di anni i nuovi rami arrivano ad assumere una dimensione tale da poterne iniziare l’educazione. Il durevole legno del ginepro si presta molto bene a rappresentare nel bonsai dei vecchi rami spezzati dalle bufere o i segni lasciati sui tronchi dai fulmini d’alta montagna. Quando si intende eliminare dei rami consistenti, conviene perciò lasciarne di proposito dei mozziconi, lunghi tanto da poterli eventualmente trasformare in jin: se non servono, si taglieranno via in un secondo tempo. La chioma di molte varietà di Ginepri può presentarsi con due tipi di vegetazione: una detta giovanile, per lo più ad aghi embricati (di solito a gruppi di tre), più o meno lunghi e/o pungenti, e l’altra a squame, simili a piccolissime foglioline che crescono a catenella, una aderente all’altra. E’ molto importante esteticamente che i bonsai abbiano una vegetazione il più possibile uniforme, quindi
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Il ginepro - Carlo Oddone -
L’angolo di Oddone solo ad aghi o a squame. Nei soggetti maturi di quest’ultimo tipo è perciò bene evitare di ridurre drasticamente la vegetazione tutto in una volta perché ciò potrebbe fare comparire dei germogli giovanili. Nonostante esistano tecniche adatte ad infittire la chioma, è sconsigliabile scegliere come bonsai le varietà a portamento troppo sparso e leggero, la cui vegetazione sottile non consente che un misero risultato. Così pure è meglio non scegliere le varietà dorate, argentate o a chioma variegata, in quanto non vi sono alberi con un siffatto fogliame e l’immagine del bonsai risulterebbe poco credibile. Un bel verde sano è il colore giusto. Il Ginepro che può meglio sostituire il Sargenti usato dai giapponesi è la cultivar Blaauws. Attenzione ancora ad un tipo di ginepro che emana un odore sgradevole simile alla pipì di gatto: pizzicatene la chioma prima di scegliere! Gli stili più adatti e perché
Eccetto la scopa rovesciata, i ginepri si prestano meravigliosamente per realizzare bonsai di ogni stile, forma e dimensione. La loro chioma minuta consente infatti di avere una scala eccellente, qualsiasi tipo di albero si voglia rappresentare.
Trapianto, raccolta e substrati
Il trapianto o il rinvaso dei ginepri (e lo stesso vale per cipressi e chamaecypa ris, che hanno uguale comportamento) è bene farlo quando il soggetto non è in completa dormienza. Un buon momento è perciò l’inizio dell’autunno o la primavera inoltrata, a patto che la nuova vegetazione si stia appena aprendo. Anche durante il riposo vegetativo di metà estate si presentano condizioni adatte sia alla raccolta in natura che a qualsiasi spostamento. I ginepri che crescono spontanei da noi sono in genere di difficile attecchimento a causa della struttura assai espansa del loro apparato radicale e la conseguente inevitabile perdita di un enorme numero di radichette fibrose durante il prelievo. Oltre alla ragionevole riduzione della chioma può giovare un trapianto iniziale in sabbia molto grossolana o in granuli di pomice: i ginepri amano un terriccio calcareo, perciò è meglio evitare la torba, troppo acida per loro. Anche le talee, per quanto lente a radicare, inizialmente lo fanno in sabbia pura meglio che in qualsiasi altro substrato. I ginepri sono molto sensibili alla salinità del suolo e, nonostante richiedano una buona fertilizzazione per crescere vigorosi, la somministrazione di concimi minerali solubili, specie dopo il trapianto, dovrà essere eseguita tardi e a concentrazioni molto diluite.
Potatura di formazione
Se il ginepro è giovane il suo tronco si presta ad essere trattato col filo. Nei soggetti maturi, la difficoltà di eseguire la torsione delle grosse parti legnose consiglia di scegliere solo le branche che già si trovino in una posizione accettabile, oppure di ricorrere al già accennato lavoro di rinnovamento. La riduzione dell’altezza del materiale di partenza la si ottiene facilmente grazie alla sostituzione, con un ramo adatto già esistente o di nuova formazione, dell’apice originale, la cui parte esuberante debitamente accorciata si presta poi bene alla creazione di un jin. E’ di grande effetto unire queste due tecniche: il tronco originario viene accorciato e trasformato in jin, ma un ramo in buona posizione viene ugualmente drizzato a proseguire verso l’alto e fatto arricchire di vegetazione. E’ importante che tale ramo si trovi sul lato posteriore rispetto alla facciata del bonsai, in quanto deve fare da sfondo al jin che, adeguatamente sbiancato, potrà così risaltare contro il verde della nuova cima. E’ bene che la struttura principale del bonsai sia semplice e che i vari palchi che ne costituiscono la sagoma risultino ben separati e distinti uno dall’altro. Per ottenere ciò bisogna educare al più presto i rami principali nella loro posizione definitiva. Per simulare bene la fisionomia di un vecchio albero la chioma di ogni palco dovrà dare l’impressione di un materassino verde più o meno sottile che poggia sulla ramificazione, mentre il profilo inferiore di questa deve sempre apparire netto e privo di vegetazione. Dalla branca orizzontale i rami secondari si dipartono lateralmente, alterni e un poco incurvati verso l’alto, richiamando la nervatura di una foglia. Secondo lo stile e lo spirito di quel bonsai, la sagoma di ogni palco, vista dall’alto, potrà assomigliare punta di freccia o di lancia, o essere piuttosto arrotondata: vista di profilo, è di solito più spessa vicino alla base assottigliandosi verso l’estremità del ramo.
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L’angolo di Oddone
1 - Vegetazione ‘ad aghi’ del Ginepro comune (J. Communis)
Applicazione del filo
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2 - Vegetazione ‘a scaglie’ del Ginepro sabina (J. Sabina)
L’applicazione del filo e l’educazione si possono eseguire su tutto l’arco dell’anno, evitando solo i momenti di massima spinta vegetativa, per il rischio che durante la torsione la corteccia si stacchi dal legno a causa dell’abbondanza di linfa circolante. I soggetti trattati durante la fase vegetativa devono essere protetti dal sole diretto per una ventina di giorni. Se il tronco é curvo, le anse sono più ampie e vistose in basso e si attenuano salendo in una fusione tra la forma a spirale ed un andamento ad “S”; mentre vengono lasciati alcuni rami che si trovano all’esterno delle curve ottenute. Con questa tecnica si gestisce completamente la forma del futuro bonsai e se ne decide anche le dimensioni e la facciata. Come conseguenza di tale manipolazione la chioma si addensa, ma una buona parte di essa, specialmente nella metà superiore del soggetto, deve essere poi subito eliminata, sia per conservare la conicità del tronco durante il suo successivo sviluppo, sia per rendere armoniosa la crescita della ramificazione ai vari livelli. Ai rami, finché sono molto sottili, il filo non deve essere applicato, ma appena è possibile essi dovranno essere educati ad un assetto orizzontale, in modo da potere avviare successivamente la cimatura della ramificazione più fine e formare i vari palchi. Il legno maturo è piuttosto restio ad assumere una nuova forma ed il lungo tempo richiesto consiglia piuttosto l’uso di staffe metalliche alle quali fissare la parte da piegare, invece che il semplice uso del filo. Anche nei ginepri è utile praticare delle incisioni longitudinali sui rami robusti, prima di piegarli: l’intervento ha la duplice funzione di facilitarne sia la curvatura e la torsione sia, allo stesso tempo, la conservazione della forma imposta. Le parti giovani, se vegetano vigorosamente, fissano la forma in un tempo molto breve (e recano presto i segni del filo), ma per quelle vecchie possono servire mesi, se non anni. Uno stratagemma utile con queste ultime consiste nel picchiettare o eseguire alcune piccole incisioni profonde sino al cambio sulla parte da educare per accelerare il processo. Prima di applicare il filo ed imporre delle deformazioni di notevole entità a grosse parti legnose conviene avvolgere queste ultime con più strati di raffia inumidita.
L’angolo di Oddone
3 - Juniperus oxycedrus Coll. Sergio Biagi
4 - Juniperus rigida Esemplare appartenuto ed impostato da Stefano Frisoni
5 - Juniperus hemisphaerica Coll. Giacomo Pappalardo
6 - Juniperus chinensis Var. Taiwanensis Coll. Luca Bragazzi
7 - Juniperus chinensis Coll. Donato Danisi
8 - Juniperus chinensis Var. itoigawa Coll. Francesco Santini
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L’angolo di Oddone Cimature speciali in fase vegetativa
La cimatura dei Ginepri viene per lo più descritta come pizzicatura dei germogli. Questa tecnica serve bene quando si tratta di pareggiare ed infittire la vegetazione, ma è del tutto insufficiente qualora si debba ridurre lo spessore della chioma per formare i sottili palchi orizzontali sui rami principali. E’ necessario invece accorciare i rametti che crescono verso l’alto con decisi colpi di forbice, lasciando però su ognuno di essi qualche ciuffo di verde affinché non appassiscano. L’operazione deve essere eseguita all’inizio della primavera, appena cessato il rischio di grosse gelate, ma prima che il risveglio vegetativo sia evidente. In tali condizioni si formano quanto prima numerosissimi germogli, sia sui rami tagliati che vicino alle loro biforcazioni ed in breve, se il bonsai è vigoroso, una nuova vegetazione Tecnica di pizzicatura delle fronde di ginepro: compatta e minuta coprirà i segni lasciati dalle forbici. questa tecnica viene usata prevalentemente per pareg- Talvolta, se i rametti sono vecchi e quindi per un cergiare ed infittire la vegetazione e va ripetuta più volte to tratto nudi alla base, non è possibile assottigliare a durante la stagione vegetativa. sufficienza la vegetazione con un unico intervento (per Per ridurre lo spessore dei palchi conviene la necessità di lasciare un ciuffetto di verde), ed allora servirsi dì un paio di forbici, pur lasciando qualche si interviene nuovamente con le forbici a metà estate ciuffo di verde perché non appassiscano. Quando la o nella primavera successiva, dopo che qualche utile vegetazione ha una certa densità, per pareggiare uni- germoglio si sarà certamente formato. Un intervento formemente i livelli conviene aiutarsi con le dita per così drastico è necessario per lo più solo durante la fase di formazione. Dovrebbe essere ripetuto soltanto se il tenere vicini i ciuffi dei rametti. bonsai fosse trascurato per molto tempo ed i rametti crescessero verticalmente lunghi e disordinati. Nelle normali condizioni di mantenimento, la cimatura consiste nell’accorciare semplicemente i germogli che tendono a crescere oltre il profilo dei palchi, salvo diradarli di tanto in tanto, se diventano così fitti da soffocarsi a vicenda. Per evitare la comparsa di macchie brune da appassimento nel fogliame, si deve eliminare solo il tratto più recente del germoglio, che si distingue per il colore verde più tenero, nel periodo in cui basta prenderlo tra la punta delle dita e tirare leggermente perché si stacchi quasi spontaneamente senza danni alla vegetazione. Quando la chioma ha una certa densità, conviene aiutarsi con le dita per tenere vicini ciuffi di rametti, palco per palco, in modo che si possa più facilmente pareggiarne il livello. Tecniche particolari
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Una tecnica che può dare risultati bellissimi permette di utilizzare tronchi o pezzi di ramo morti ma di forma interessante, per creare dei bonsai di grande effetto: alla parte ormai sbiancata si restituisce una apparenza di vita accostandole un giovane soggetto e coltivandoli insieme. Sappiamo tutti bene che un filo lasciato troppo a lungo incide la corteccia. Questa trascuratezza viene talvolta fatta di proposito. Per creare infatti uno shari che salga a spirale sul tronco, si applica del filo robusto e ben aderente su di un giovane soggetto che viene stimolato a crescere vigorosamente. La spirale ovviamente non si mette ravvicinata come quando il filo serve educare ma sale assai più lassa. Per la compressione del filo i fasci linfatici superficiali modificano il loro percorso per disporsi, dopo qualche settimana, paralleli al suo andamento. Tolto il filo, si può asportare a spirale la corteccia dove il tronco è rimasto incavato (ed anche poco di più, lateralmente) senza che la circolazione del bonsai soffra alcun danno. Il legno nudo può essere trattato e schiarito. Con una spazzola metallica si può asportare in alcuni punti del bonsai la vecchia e superficiale della corteccia, per metterne in evidenza lo strato rossiccio sottostante e creare un interessante contrasto di colore. Un suggerimento: quando accade di dovere modificare l’aspetto di un jin appena fatto, conviene educarlo con il filo subito dopo averlo scortecciato ed attendere che secchi e conservi così la forma voluta. Quando non basta il filo, con le dovute cautele si può ricorrere al calore di una fiamma per piegare dei jin robusti, dopo averli inumiditi abbondantemente.
L’angolo di Oddone Concimazione e trattamenti
Riguardo alla concimazione, i ginepri possono essere considerati sempre “affamati”. La modalità di somministrazione di acqua e fertilizzanti non si discosta comunque da quella comune a tutte le altre conifere. Unica cautela: usare concimazioni frequenti ma molto diluite.
Prevenzione e cura delle malattie
Questo gruppo di conifere soffre l’attacco di funghi che talora devastano gravemente la chioma o l’apparato radicale, provocando anche la morte del bonsai. L’opera di prevenzione risulta più efficace che la cura. Si tratta di tenere i bonsai in luoghi ventilati e luminosi: l’eccesso di umidità nell’aria e nel terriccio facilita la diffusione di malattie. Trattamenti con anticrittogamici, sia sulla chioma che al terriccio, sono raccomandabili alla prima comparsa di sintomi preoccupanti: ad esempio, un ritardo nell’asciugare del terriccio, macchie di necrosi sull vegetazione, interi rami che seccano d’improvviso. Allontanare la pianta colpita dagli altri bonsai. La scarsità di luce può far morire la vegetazione sui rami bassi o quelli interni: tutte le piante a vegetazione fine sono avide di luce, anche se non di sole diretto. Altri accidenti possono essere la comparsa di parassiti animali quali cocciniglia ed afide lanoso, oltre a tarli che rodono il legno di tronco e rami, facendone morire la chioma. Il famigerato ragnetto rosso è anche responsabile di pericolose aggressioni. Applicazioni di insetticidi adatti possono risolvere il problema.
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Vita da club
bonsai club onlus di Giancarlo Pezzoni
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l Drynemetum associazione culturale bonsai ONLUS viene fondata nell’aprile del 1999 da un gruppo di amici uniti dalla stessa passione per il bonsai ed attualmente, tra iscritti e simpatizzanti, si annoverano una ventina di soci. L’associazione non ha scopo di lucro e persegue esclusivamente finalità culturali e di solidarietà sociale nel campo dell’arte bonsai. Si propone di tutelare e valorizzare la natura, l’ambiente ed in particolare incentivare la passione naturalistica ed una migliore conoscenza della flora, patrocinare e coordinare studi e ricerche sulle tecniche dell’arte bonsai nelle loro espressioni conosciute, nonché diffondere la conoscenza dell’arte bonsai incoraggiando il proselitismo ed il numero di appassionati. L’associazione è anche impegnata nella promozione e nel coordinamento di attività e manifestazioni bonsaistiche al fine di ottenere un arricchimento culturale dei soci e dei beneficiari delle iniziative. E’ impegnata anche nell’intrattenere rapporti di scambio culturale e di esperienze con analoghi enti socio culturali, promuovere incontri tra gli associati, e nell’istituire programmi a scopo didattico per l’insegnamento filosofico e tecnico dell’arte bonsai, anche in collaborazione con altre associazioni. L’associazione è inoltre sempre tesa a collaborare alla realizzazione di pubblicazioni e di mezzi divulgativi di ogni genere riguardanti l’arte del bonsai. Ed è proprio in quest’ottica che annualmente organizza una mostra, il Festival del Bonsai, che vede unita, ad una massiccia presenza di appassionati, la partecipazione di maestri di alto livello. Anche quest’anno infatti, l 26 e il 27 settembre 2009 nella fantastica cornice di piazza De Amicis ad Imperia, il Drynemetum Bonsai Club organizza il Festival del Bonsai, uno degli eventi bonsai più importanti d’Italia. Saranno presenti espositori da tutta Italia e dall’Europa. Il clou di questo evento bonsaistico lo si raggiungerà con i workshop eseguiti da quattro dei più importanti maestri a livello internazionale: Isaho Omachi, Sakurai Takashi, Marco Invernizzi ed Aurelio De Capitani. Con i primi tre ci sarà un’intera giornata (domenica 27) all’insegna dell’apprendimento bonsaistico, mentre con De Capitani, il workshop accarezzerà il fantastico mondo degli shohin, con un’intera giornata (quella di sabato 26) dedicata ai piccoli alberi.
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Programma VENERDì 16 OTTOBRE 15,00/17,00 Consegna piante e suiseki selezionati da parte dei club SABATO 17 OTTOBRE 9,00/10,00 Consegna piante e suiseki selezionati da parte dei club 9,30/13,00 Laboratorio bonsai con Edoardo Rossi 11,00 Inaugurazione mostra bonsai e suiseki e mostra mercato 15,00/17,30 Laboratorio shodo a cura di Bokushin 20,00 Cena con consegna dei “premi BONSAIGENOVA 2009” presso la Locanda del Cigno Nero DOMENICA 18 OTTOBRE 9,00 Apertura mostra bonsai e suiseki e mostra mERcato 10,00 CONVERSAZIONE SUL’ALESTIMENTO DEL TOKONOMA CON BOKUSHIN, ANDREA SCHENONE, GIORGIO ROSATI 11,30 CONVERSAZIONE/COMMENTO A CURA DI GIOVANI GENOTTI SU ALCUNE PIANTE ESPOSTE 9,30/13,00 Laboratorio bonsai CON Edoardo Rosi 15,00/18,00 DIMOSTRAZIONE DI TECNICA BONSAI A CURA DI EDOARDO ROSSI
Regolamento Laboratori Bonsai I laboratori sono aperti a tutti (una parte di posti è riservata agli iscritti ad ABSG), nel numero massimo di 8 partecipanti ciascuno. Il contributo spese di ciascun laboratorio della durata di tre ore e mezza è di 20 euro. Le prenotazioni si effettuano tramite e-mail all’indirizzo info@bonsaigenova.it e presentandosi direttamente alla reception della mostra a Villa Serra sabato 17 e domenica 18 alle 9,00. Nel caso di richieste eccedenti il numero dei posti disponibili, verrà data la precedenza alle prenotazioni giunte per prime. Nel caso il partecipante non si presenti entro le 10,00, perderà il diritto di effettuare il laboratorio a favore di altre persone presenti nella eventuale “lista di attesa”. Il partecipante dovrà essere provvisto di propria pianta da lavorare, del filo di rame o di alluminio, e di tutta l’attrezzatura necessaria.
Premio BonsaiGenova 2009 Il concorso è aperto ai club italiani su invito. Fra tutti i partecipanti saranno selezionati trenta esemplari ( bonsai e suiseki ), con un massimo di tre esemplari per ogni club. Ai primi dieci club proprietari degli esemplari prescelti sarà offerta ospitalità per due soci (pernottamento e cena di sabato 17 ottobre ). La scadenza per l’invio delle schede di partecipazione è prorogata al 15 giugno 2009. Il regolamento integrale è visibile sul sito www.bonsaigenova.it
Regolamento Laboratorio SHODO Il laboratorio è aperto a tutti (una parte di posti è riservata agli iscritti ad ABSG), nel numero massimo di 15 partecipanti, ed è gratuito. Le prenotazioni si effettuano tramite e-mail all’indirizzo info@bonsaigenova.it e presentandosi direttamente alla reception della mostra a Villa Serra sabato 17 alle 14,30. Dimostrazione bonsai La dimostrazione di tecnica bonsai consiste nell’impostazione o nella rifinitura di una pianta importante coltivata e preparata a tale scopo. “Pronto soccorso bonsai” Per tutta la durata della manifestazione saranno disponibili soci esperti di ABSG per fornire gratuitamente consigli, pareri ed eventualmente semplici interventi sulle piante di proprietà dei visitatori
Il club Amatori Bonsai e Suiseki Genova opera in Liguria per la diffusione delle arti Bonsai eSuiseki, organizzando tra l’altro esposizioni, corsi per principianti e incontri con istruttori per attività didattica di livello avanzato. Si riunisce ogni primo e terzo mercoledì del mese alle ore 20,30 nella propria sede.
Il Giappone visto da vicino
L’estetica nella cerimonia del tè. di Antonio Ricchiari
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lla parola tè corrisponde un concetto di portata complessa e vastissima che conserva sempre un’aura di mistero e di imperscrutabilità. C’è sempre un’aura più riflessiva in chi vi si accosti anche con la più semplice procedura. Fra tutte le bevande, è il tè a rievocare immediatamente, anche in Occidente, pensieri di consumazione particolare, esclusiva, addirittura rituale. E come se il tè avesse l’intrinseca caratteristica di creare uno stato particolare, una pausa nella routine in cui si è immersi inducendo a prendere le distanze dal proprio stesso agire e permettendo di contemplare l’azione da una dimensione più rarefatta dalla quale si possa abbracciarne il senso generale e il vero valore per la vita. Un’antica leggenda vuole che Bodhidharma, il fondatore del buddhismo zen, fosse immerso nel profondo stato meditativo che doveva durare ininterrottamente per diversi anni. A un certo punto, giunto al limite, il suo corpo cedette al sonno. Al risveglio la reazione contro la propria debolezza fu tale che il monaco si tagliò le palpebre per impedir loro di calarsi sugli occhi interrompendo lo stato di veglia meditativa. Per questo motivo egli è sempre raffigurato con i grandi occhi tondi, privi di palpebre; come fanali che scrutino incessanti l’imperscrutabilità del mistero. Le palpebre, cadute a terra, diedero origine alla pianta del tè che possiede la virtù di tener desta la facoltà intellettiva e la cui foglia ricorda la forma a mandorla di una palpebra. La ricchezza analogica di questa tradizione è, come quella di ogni mito, notevole e in Oriente porta diritto al culto del tè inteso non tanto come passatempo estetizzante, ma come veicolo creato dall’uomo per mantenersi in stato di veglia, per non assopirsi nella ripetizione automatica delle attività pratiche e .perdere cosi il contatto con il valore intrinseco del proprio operare e della propria realtà spirituale. Sotto un profilo analogico questo mito rivela la presenza dei valori archetipici che, nel dispiegamento storico
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L’estetica nella cerimonia del tè - Antonio Ricchiari -
Il Giappone visto da vicino della civiltà giapponese, espressero la cerimonia del tè o, meglio, le ragioni interiori della sua formazione e della sua durata. Il suo spirito è penetrato sia nelle case più ricche sia in quelle piú povere creando un’aristocrazia del gusto che è anche un’aristocrazia; per usare la formulazione di Okakura, i giapponesi dicono che è «priva di tè» una persona incapace di percepire l’aspetto tragicomico delle proprie vicende personali, ma anche che ha «”troppo tè” chi si lascia trascinare dai sentimenti senza rispetto per l’aspetto tragico della vita. In Giappone, nel corso dei secoli è stato elaborato un rituale preciso per garantire a chi lo segue di risalire dal quotidiano alla sfera degli archetipi. Bere una tazza di tè, si è trasformata in un’intensa esperienza estetica, che si vale di molteplici veicoli culturali e nel dispiegarsi del rito, che richiede distaccata padronanza di sé, s’intesse un arazzo prezioso, ricco di linguaggi diversi. In quest’ambito, è necessario che l’ascolto del messaggio del tè si avvalga perciò del sussidio di pittura e calligrafia, poesia e filosofia, ceramica e arte dei fiori. Fondamentale è però il gesto. In Oriente, il corpo è considerato diretta manifestazione della coscienza, capace di trasmettere la condizione interiore. Nella cerimonia del tè ogni momento è quindi controllato. Ma non si tratta di una parte da recitare per un pubblico che osserva, né di una semplice forma gestuale in quanto il gesto stesso esprime un preciso valore spirituale. Il rito del tè è infatti il simbolo, e insieme il mezzo, dell’uomo che risale alla consapevolezza che ogni azione esprime se stesso, testimoniando l’avvicinarsi al proprio mondo ideale o, di converso, la regressione allo stato del bruto. Si tratta di una dimensione dell’essere simile a quella ricreata nelle società primitive che, per differenziarsi dalla realtà fenomenica che rischia costantemente di inghiottire quella umana, si affidano al totem, ai riti della caccia, della raccolta del cibo. Il Giappone ha creato quindi arti che non perseguono alcun fine pratico e neppure si propongono un sapere estetico ma rappresentano un tirocinio della coscienza. La cerimonia del tè è una di queste arti. E, per costituire un veicolo allo sviluppo della conoscenza, richiede che l’adepto sia versato in molte arti che in essa confluiscono, ma soprattutto se sia consapevole del valore umano di quello che fa. La disciplina del tè è infatti permeata dello spirito zen, che trova la sua massima espressione nell’aiutare l’individuo a liberarsi dai vincoli della mente e del mondo psichico fino a metterlo in guardia perfino dallo zen stesso. L’ar te del tè va quindi praticata con devozione, ma anche con distacco; né più né meno di tutte le discipline zen. Preziosa, per noi occidentali, è l’esperienza di un professore di filosofia recatosi in Giappone fra le due guerre, Eugen Herrigel, che cercò con incrollabile fede e determinazione teutonica di penetrare lo spirito zen attraverso l’arte del tiro con l’arco. Riuscire a vivere l’esercizio dell’arco come la creazione di un’opera d’arte equivale a raggiungere una perfetta armonia tra spirito e corpo, superando la condizione dissociante in cui la psiche occidentale si trova immersa da secoli. Ma quanti sforzi e quanta pazienza siano necessari per raggiungere quest’intima euritmia, Herrigel dimostra descrivendo, talvolta con sottile vena d’autoironia, i tentativi inesausti per penetrare il mondo analogico e simbolico delle mille arti in cui lo zen si manifesta. Che il tiro con l’arco, come una tazza di tè, possa essere un’arte è già difficile da accettare, ma che debba essere “senza scopo” (cioè il raggiungimento del bersaglio o l’ingestione della bevanda non costituirebbero lo scopo) rischia di mettere a dura prova le nostre coordinate mentali. I maestri però insi stono molto sulla purezza dell’atto in sé, dell’eleganza della sua totale, assoluta, naturalezza. Come un fiore che si stacca dalla pianta non decide di farlo per nessun fine preciso, cosí i gesti che accompagnano il rito del tè devono essere armonici e spontanei come il movimento di tendere l’arco e allentare le dita che stringono la freccia. Ma l’arte del tè ha in realtà un fine: modificare se stessi, ampliare le proprie qualità umane e, soprattutto, conseguire un’intima consapevolezza di quel che è necessario intraprendere o rifiutare per il proprio sviluppo. Non conta tanto sapere; l’abilità tecnica è solo il primo gradino. Quello che si chiede all’adepto è la disponibilità ad abbandonare le proprie certezze intellettuali, per sentire l’aspetto mutevole della realtà.
l’estetica nella cerimonia del tè
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Il Giappone visto da vicino I gesti quotidiani elevati a forma d’arte, nonostante il rituale rigoroso che ne limita le modalità espressive, hanno una gamma interpretativa maggiore di un dipinto o di una scultura. Il rituale impone di non avere spettatori, ma solo partecipanti. E’ una condizione particolarmente favorevole per addentrarsi a gustare aspetti diversi dell’arte dell’Estremo Oriente con libertà di interpretazione e capacità di integrare, con la propria sensibilità immaginativa, il mondo di vuoti e di allusive asimmetrie in cui l’arte del tè, più di ogni altra, è sovrana. Okakura (1862-1913) nel suo The book of Tea, datato 1906, non dice queste cose esplicitamente. I suoi scritti, le sue riflessioni, la sua missione - tale fu il suo vorticoso operare - sono figli del suo tempo. Egli visse in un’epoca in cui la supremazia dell’Occidente era proclamata con tutti i mezzi possibili, dalla letteratura, alla filosofia, all’arte e, soprattutto, alle navi da guerra. Ma il Giappone era all’indomani della spettacolare vittoria sulla Russia zarista, che aveva lasciato il mondo senza fiato, e Okakura si lanciò nell’impresa di far conoscere i tesori di cultura che il suo paese racchiudeva. Nel Libro del tè, il tè è infatti solo lo spunto, l’occasione sottile per aprire ai nostri occhi lo spazio sconfinato di un’intera civiltà. Questo piccolo e raffinato saggio è anche il simbolo dell’opera stessa di Okakura, della sua lotta tesa a penetrare e possedere gli strumenti della cultura occidentale per salvare e diffondere i valori della propria. Vi dedicò tutta la vita: e questo libro, nato in forma riservata, si è imposto come una delle più celebri opere sull’Oriente, la più affascinante ed efficace di quelle che egli scrisse. Suzuki, con i suoi studi e le sue pubblicazioni, non era ancora comparso a fare dello zen la più celebre branca del buddhismo. Così Okakura fu costretto a dare il massimo spazio al taoismo, cercando, per analogia, di far filtrare anche il principio zen nella visione della vita e del mondo. E però la vera protagonista del libro è l’arte o, meglio, l’amore della bellezza e l’educazione a esprimere sentimenti estetici. In questo settore Okakura ha realizzato se stesso. Tutta la sua esistenza può essere letta come un itinerario verso ideali di bellezza e civiltà ch’egli andava riscoprendo nel passato dell’Estremo Oriente e che sentiva non solo di dover tramandare e conservare, ma di trasmettere allo spirito dell’Occidente perché vi apportassero una stimolante carica vitale. Certo, i tempi sono cambiati; l’Oriente è anche troppo di moda e, forse proprio per questo, rischia di perdere il potere di fecondare la società occidentale che non riesce più ad arrestare la vertigine dei consumi dove tutto si divora senza nulla assaporare. Eppure, il libro di Okakura, oggi come allora, costituisce uno dei veicoli migliori per penetrare il mondo dei valori spirituali della civiltà giapponese. Per noi occidentali, che tendiamo a fare anche dell’arte una scienza, è stimolo a rigenerare la nostra esperienza culturale, riconducendola al servizio della crescita individuale e sociale. “Alle radici del Sole” è il significato della parola Giappone il cui simbolo è l’astro nascente. L’immagine del sole che irradia luce e calore intorno a sé e che trionfa sul caos è però anche alle origini stesse della rappresentazione scenica ed è legata a un antichissimo rito della cosmologia nipponica. La dea del sole Amaterasu, massimo nume dello shintó, la primigenia religione giapponese, fugge dal suo palazzo celeste e si rinchiude in una grotta facendo piombare l’universo nelle tenebre. Era rimasta sconvolta dal comportamento brutale e offensivo del fratello Susanoo, che aveva contaminato la sua augusta dimora con una pelle insanguinata di cavallo, causando anche la morte di un’ancella. Gli dèi furono atterriti di fronte al rischio di tornare nel caos ed escogitano uno stratagemma per far uscire la dea. Viene preparata una grande festa di fronte alla grotta e la divina Uzume, danzatrice e musicista del Cielo, posseduta dal demone, esegue una danza di tipo orgiastico che trascina la partecipazione degli altri numi. Il baccano e le risate incuriosiscono Amaterasu che fa capolino dalla grotta. Due dèi le pongono di fronte uno specchio e le spiegano che si sta celebrando una divinità più splendida e potente di lei. Stupita, la dea fa ancora un passo, ma è afferrata e trascinata fuori; la grotta le viene per sempre interdetta. Dalla danza della dea Uzume si è fatta, da secoli, risalire l’origine del teatro; ma, andrebbe aggiunto, il momento della danza costituisce solo una parte di questo mito, anche se la piú altamente drammatica e carica di pathos. In realtà tutta la vicenda mitica può essere letta come espressione archetipica della nascita del teatro giapponese. Un evento traumatico (offesa, contaminazione, morte drammatica) ha causato un regresso dalla manifestazione (grotta, sipario), tuttavia le forze della vita, le passioni (danza orgiastica e festa o rievocazione), attirano irresistibilmente chi prima era scomparso e lo costringono al suo ruolo sulla scena. Gli spettatori, nel caso del mito gli dèi, svolgono una funzione non meramente passiva, ma di testimoni dell’evento rievocato che diventa perciò catartico e sacro. Non diversamente avviene con la pittura tradizionale dove l’esaltazione maggiore o minore di un particolare è ottenuta non grazie a priorità gerarchiche prospetticamente organizzate, ma a mezzo dell’isolamento con banchi di nebbia o di nubi, etc., tagli asimmetrici, scorci e punti di vista «da un angolo». Un preciso racconto visivo s’interrompe per l’inframmettersi di una zona di nebbia vuota e monocorde; più oltre la scena riprende con un’immagine staccata eppure riferibile alla precedente. L’osservatore, come lo spettatore davanti alla scena, è costretto a creare un legame tutto suo, personale e interiore fra i due momenti, i due quadri nel quadro, le due scene nella serba. La seconda immagine, più lontana e misteriosa, diventa il polo di attrazione, la chiave per intendere la prima a cui ci si rivolge con rinnovato interesse. A questo effetto si perviene attraverso un’organizzazione dello spazio in cui il vuoto svolge una funzione catalizzatrice delle parti e sostanzialmente differente che in Occidente. Il concetto di vuoto nella nostra tradizione ha valenza precipuamente negativa, di carenza, il che non avviene in Giappone e Cina dove invece riveste un ruolo positivo e in vari modi viene anche raffigurato. Per intenderne il valore potrà servire spostare l’attenzione dal concetto di vuoto che può lasciare a disagio, dall’horror vacui, a un concetto a noi più familiare, quello di silenzio. Il silenzio evoca una sensazione di pace, quiete, serenità, non-pensiero, non preoccupazione. Se facciamo oscillare la nostra esperienza tra il concetto di vuoto e quello di silenzio, ecco che il vuoto non è più un fatto negativo,
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L’estetica nella cerimonia del tè - Antonio Ricchiari -
Il Giappone visto da vicino teoricamente il vuoto è come la nebbia che interrompe la visione di una montagna, ma diventa anche l’allusione a un mondo che c’è e che l’osservatore può immaginarsi: ed è cercando di immaginarselo che si compie un processo di formazione personale. Si diventa creativi. L’apprezzamento del vuoto discende da alcune esperienze religiose aliene alla tradizione giapponese piú antica (cioè all’animismo in natura dello shintó). Esse sono piuttosto legate a una fusione che c’è stata tra buddhismo e taoismo, dove il buddhismo ha sviluppato il concetto di meditazione e il taoismo l’aspetto del vuoto, peraltro elemento necessario. Nella meditazione non si tratta di un vuoto nel pensiero bensì di un mezzo per riaffiorare la parte più profonda di sé, cioè la natura del buddha, dello svegliato, latente in ciascuno. In un secondo tempo questo concetto si riversò anche sulla natura vera e propria (con il contributo dello shintò), ma forse il primo movimento è quello portato dall’introduzione del taoismo e del buddhismo in Giappone, a cui seguì un recupero anche della propria tradizione. La natura offre molte immagini di vuoto che di solito non riusciamo a percepire. Nella pittura occidentale le nubi sono sostanzialmente visione e non alludono a nulla, indicano se stesse o tutt’al più una condizione atmosferica e servono a costruire dei pieni, come nel Tiepolo per esempio; mentre in Cina e Giappone le nubi sono qualcosa che s’inserisce tra il visibile e l’invisibile. Sono un’interruzione della visione, e servono a stimolare nell’osservatore un’attitudine di indagine, creativa. Seshn usa il termine Paese dei Song per il grande rispetto che portava alla loro pittura. Tuttavia, al momento del suo viaggio, la dinastia al potere era quella dei Ming. La capitale del nord, cioè attuale Pechino stabilita dalla dinastia mongola degli Yuan, il tempo dei Song non c’era ma, ovviamente, c’era quando Seshú si era recato in Cina. Quella a cui viene fatto riferimento è una tecnica, o meglio un metodo come lo definisce lo stesso Sesshn, che in Haboku znsui raggiunge una perfezione tale per cui il vuoto non lo si eccepirebbe neppure come nebbia o come nubi. Ma non ci sono qui elementi intermedi tra la visione illuminata e l’osservatore in modo simile a quello delle nebbie di Sesshn che annullano i riferimenti tra primo e secondo piano. Lo stesso avviene con queste montagne, che un refolo di vento ha evidenziato squarciando la nebbia: di colpo appaiono molto vicine perché la nebbia togliendo i livelli tra il primo e l’ultimo piano non consente di determinare razionalmente quante zone intermedie esistano effettivamente (una seconda, una terza, una quarta...), ma pone subito di fronte a queste due realtà e conferisce ai picchi una rilevanza maggiore. Quindi il vuoto funge da cassa armonica delle immagini, ed è trasmesso dallo strumento di nube o nebbia che per noi sarebbe invece solamente un elemento della pittura. Il vuoto non si vede, ma formalmente conta molto. L’immagine in secondo piano (le montagne) acquista preminenza perché sembra sospesa senza poggiare su alcuna base, mentre l’intensità descrittiva aumenta con l’altezza. Le montagne so no sfumate in basso ed evidenziate man mano che si sale, e questo sortisce l’effetto di avvicinarle ulteriormente. Sono monta gne lontanissime che di fatto diventano vicinissime. Al pari del dettaglio di un evento lontano che scaturisca da un pensiero, da un episodio, e che divenga poi tanto importante, evidente e prossimo. Le montagne sono fortemente simboliche di un universo, un mondo su cui ognuno può fare delle interpretazioni secondo la propria sensibilità. Questo mette in movimento la creatività dell’osservatore.
l’estetica nella cerimonia del tè
- Antonio Ricchiari -
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Il Giappone visto da vicino
“Libro d’ombra” Tanizaki Junichiro recensione a cura di Anna Lisa Somma
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el 1933, in Giappone, apparve un piccolo quanto incisivo saggio, a firma Tanizaki Junichiro, chiamato poeticamente In’ei raisan (Elogio della penombra), e conosciuto in Italia, per ragioni editoriali, col titolo di Libro d’ombra (Bompiani, pp. 96, € 6,50). Erano ancora lontani i tempi in cui Tokyo sarebbe stata attraversata da una miriade di neon, occhi spalancati sulla vita brulicante della metropoli. Come suggerisce il titolo, il libricino si sofferma sulle bellezze nascoste dell’ombra, sul fascino annidato nelle dense tenebre o nella semioscurità appena accennata. Tutto ciò sembra confarsi naturalmente allo spirito giapponese, poiché «V’è, forse, in noi Orientali, un’inclinazione ad accettare i limiti, e le circostanze, della vita. Ci rassegniamo all’ombra, così com’è, e senza repulsione. La luce è fievole? Lasciamo che le tenebre ci inghiottano, e scopriamo loro una beltà. Al contrario, l’Occidentale crede nel progresso, e vuol mutare di stato. È passato dalla candela al petrolio, dal petrolio al gas, dal gas all’elettricità, inseguendo una chiarità che snidasse sin l’ultima parcella d’ombra». L’occidente, per l’appunto, pare desideroso — quasi ansioso — di luce: di essa ve n’è bisogno per rischiarare le tenebre (dall’ambiguità, dal peccato, dal timore), per restituire un’artefatta giovinezza a ciò che, ormai, ha esaurito il suo tempo. Ciò, senza dubbio, contrasta con l’estetica del sabi: il fascino degli oggetti, difatti, è dato anche dalla concreta patina depositata, lentamente, dal succedersi delle morte stagioni. Tanizaki, in più di un’occasione, deplora la massiccia influenza occidentale sul Giappone, che, a partire dalla rivoluzione Meji (1868), ha tentato drasticamente di conformarsi agli standard euroamericani, giungendo talvolta alla snaturalizzazione di sé e del proprio patrimonio culturale: persino l’amore nipponico per la penombra ha subito le conseguenze di questo atteggiamento di imitazione pedissequa. Tanizaki denuncia con energia il massiccio contagio occidentale, diffuso pressoché in ogni ambito e in ogni ambiente, e rileva — con una certa amarezza — le difficoltà nel conciliare gli oggetti esteri con l’estetica nipponica: come armonizzare, per esempio, una lampadina all’interno di una sala tradizionale, in cui luci e ombre si contendono silenziosamente lo spazio? E lo stesso, pacato duello pare avvenire nella scrittura di Tanizaki. Il suo stile è elegante, esatto, ma non interamente terso: nelle sue parole lascia insinuare qualche benevola velatura, che dà vita ad affascinanti giochi di chiaroscuro. Gli stessi che il mondo moderno dovrebbe riscoprire in sé: «È puro vandalismo cancellare quel mondo d’ombra, che è il gran dono dei boschi. [...] Per cominciare, spegniamo le luci. Poi si vedrà.».
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Libro d’ombra - Tanizaki Junichiro - Anna Lisa Somma -
Che insetto è?
Danni da stress ambientale - I parte di Luca Bragazzi
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ra le cause di deperimento vegetale, troviamo anche una serie di fenomeni dannosi, non imputabili ad agenti entomologici, ma solamente attribuibili a particolari situazioni climatiche non del tutto visibili, ma altamente pericolose. I danni da stress ambientali, possono colpire i nostri bonsai qual’ora il luogo di coltivazione non è del tutto salutare, e quindi molto vicino a zone fortemente industrializzate oppure centri abitati metropolitani. In aggiunta a situazioni geografiche poco idonee, il fattore antropico (inteso come il bonsaista che si occupa degli esemplari) gioca un ruolo estremamente importante, in quanto capace con le tecniche agronomiche di coltivazione, di rendere più resistenti le essenze coltivate. Qui di seguito sono elencate le principali fonti di inquinamento causa di danni gravi: Anidride solforosa (SO2 piogge acide)
Ossidi di azoto (N2O, NO, NO2)
Smog (Ozono e Nitrato)
Particolati (Polveri, aerosol marino)
COLORE FOGLIE: zone internervali di colore verde scuro. INTEGRITA’: collasso di tali zone che virano al verde-bruno. MACULAZIONI: disseccamento delle lesioni. FORMA: deformazioni e distorsioni fogliari. EPIDERMIDE: danneggiata sulle maculature. ALTRO: sintomi simili alla clorosi ferrica. COLORE FOGLIE: biancastro-bruno. INTEGRITA’: foglie con nervature principali dal contorno irregolare dall’aspetto “allessato”. MACULAZIONI: assenti FORMA: regolare. EPIDERMIDE: zone necrotiche conseguenti all’allessamento. ALTRO:sintomi riscontrabili maggiormente sugli apici fogliari. COLORE FOGLIE: prematura ingiallimento e senescenza. INTEGRITA’: parti colpite su entrambe le superfici fogliari. MACULAZIONI: piccole aree tondeggianti. FORMA: regolare. EPIDERMIDE: di aspetto ceroso o oleoso. ALTRO: sintomi in base alla gravità dell’esposizione a tali inquinanti. COLORE FOGLIE: accenni di decolorazione, verde pallido. INTEGRITA’: aree leggermente necrotiche MACULAZIONI: scarse sulla pagina superiore. FORMA: regolare EPIDERMIDE: scarsamente idratata e a tratti danneggiata. ALTRO: sintomi presenti in zone particolarmente inquinate, ad es. vicinanze a zone industriali.
Danni da stress ambientale - I parte - Luca Bragazzi -
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Bonsai Creativo School - Accademia