Roberto Vallerignani
Angelo ingordo
...I verbi vivere e sognare sono rigorosamente sinonimi; di migliaia di apparenze me ne rimarrà una; da un sogno molto complesso passerò a uno molto semplice. Lo Zahir Jorge Luis Borges
I
È notte. Fa freddo. Il buio è buio, ed è ovunque, nella pelle, negli occhi, nella stanza. Di fuori. Il cuore è l’unico rumore che si avverte. Forte, agitato. Il sogno appena sfumato ha lasciato un dolore reale, come tutte le notti, alla stessa ora. Sistematico fino alla noia, fino alla rabbia. Ma è una sfida, giusto? Sì, lo è. Si gira su un fianco a cercare di leggere l’ora esatta. Come se importasse, come se non lo sapesse già. Sempre bisogno di con-ferme, l’uomo! Perennemente alla ricerca della via di fuga. Le tre e un quarto. Come si arriverà all’ora impostata sulla sveglia? Quattro ore sono lunghe, interminabili. Con tutta l’ormai solita sfilata di pensieri, di dubbi e di domande che si danno di gomito. Magari si potesse mettere a tacere tutto. Magari. Un rumore nella stanza a fianco gli fa muovere gli occhi. Non la testa. Non il corpo. Trattiene il respiro per concentrarsi su un eventuale seguito. Che non c’è. Allora espira lievemente, l’aria fluisce obbediente. Prova a rilassarsi. Un colpo di tosse, pensa. Oppure il transito veloce di un sogno inquietante. Un rigurgito dell’ultimo incubo. Nella stanza dei bambini torna il silenzio, dopo appena settantadue secondi conteggiati mentalmente. Quanti minuti saranno passati dal... quanti ne mancano ancora per tirarsi su senza disturbare o insospettire nessuno? Si fa fatica a stare fermi nel letto. Si fa fatica anche a
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non svegliare chi ti dorme accanto. Sente i muscoli intorpidirsi, avverte l’impellente necessità di muoversi, di girarsi su un fianco, di piega-re le ginocchia. Un respiro leggero a pochi centimetri da lui lo fa desistere, gli impone la calma. Ancora qualche minuto, pensa. In attesa che la luce si insinui tra le stecche della persiana. Chiude gli occhi. Come tutte le volte. L’ennesimo tentativo di esorcizzare l’insonnia. Perché in un’occasione gli riuscì davvero. Certo, ormai è passato quasi un anno, ma quella volta... Furono pochi minuti, forse nemmeno quelli, eppure si sentì meglio, come se avesse riposato per ore. Ci vorrebbe un miracolo, qualcuno che abbia la pietà di por-tare le lancette fluorescenti della sveglia avanti di qualche giro, che abbia l’accortezza di far spuntare l’alba con qualche ora d’anticipo sulla normale tabella di marcia, che si prenda la briga di avviare la vita, di accenderla. Qualcuno che ignori le elementari leggi della fisica e stravolga per una sola maledettissima volta il lento e monotono caracollare del tempo. Il miracolo si materializzò con lo squillo del telefono, insieme allo sguardo rassegnato di sua moglie che interruppe per un istante la piatta sequenza del buio. Leda si voltò dall’altra parte tirando le coperte fino a scomparire del tutto. “Sta dalla tua parte… il telefono!” La donna lanciò a caso un braccio alla ricerca della cornetta. Lui si tirò su fino ad appoggiarsi allo schienale del letto. Riuscì a sorridere della mano di sua moglie che brancolava... Dalla stanza a fianco arrivarono dei colpi di tosse, que-
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sta volta reali: la bambina, di sicuro, raffreddata da qualche giorno. Sua moglie riuscì a trovare il ricevitore e, senza preoccuparsi di sapere il motivo della chiamata e l’autore, percorse con il braccio l’arco a ritroso e gli porse la cornetta quasi colpendolo sulla fronte. “Ispettore, sono Baldi!” Silenzio. “Sono Baldi, ispettore, mi sente? L’ho svegliata?” Baldi era uno degli ultimi arrivati, assunti in commissariato in uno dei pochi turn over concesso dai tagli ministeriali. Non si era mai saputo chi l’avesse raccomandato, perché, di certo, per vincere quella lotteria qualche santo in Paradiso doveva averlo avuto per forza. L’ispettore Antonelli teneva la cornetta attaccata all’orec-chio, gli venne in mente di quando suo padre gli faceva ascoltare le conchiglie. Ascolta, lo incoraggiava, ascolta, non senti le onde del ma-re? Non senti lo sciabordio? Questa volta dall’altra parte c’era la voce secca dell’agente Baldi che sollecitava la sua attenzione. “Dimmi, Baldi” gli rispose dopo qualche secondo, “che ti sta capitando?”. “Forse c’è stato un omicidio!” L’ispettore Antonelli staccò il ricevitore dall’orecchio e lo guardò fisso. Meglio le onde del mare, pensò. “Baldi, cristosanto, non mi puoi svegliare tutta la famiglia in piena notte per giocare a fare il poliziotto. Che mi vuoi dire: c’è stato o non c’è stato questo omicidio?” La voce del Baldi tacque per un istante, il tempo necessario per riorganizzare le idee. Poi trovò il coraggio.
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“Hanno trovato una donna morta, ispettore… in un palazzo del centro. Una signora che abita nello stesso stabile non poteva dormire perché una finestra sbatteva insistentemente e allora è scesa di sotto, in cortile, per vedere da dove venisse il rumore. Quando ha visto a che piano era il problema si è ricordata che un paio di giorni prima aveva visto scendere di corsa due ragazzi stranieri dal piano della signora… signora… aspetti che non ricordo il nome, ah, ecco qua, signora Menotti.” “Baldi” replicò l’ispettore, “da cosa deduci possa trattarsi di un omicidio?”. “Ma… non so, una sensazione. Cosa facevano due stranieri in quel palazzo? Perché correvano?” Ecco a cosa ci ha portati questa paura dell’altro, pensò l’ispettore Antonelli, anzi no, non dell’altro, lo corresse una voce dentro di sé, dell’altro… straniero. “Chi c’è sul posto?” “Nessuno, ispettore. Non ci sono graduati in commissariato per decidere qualcosa... quindi ho pensato di chiamare lei!” “Che grande troiaio che è diventato questo mestiere” sussur-rò l’ispettore Antonelli facendo in modo che nessuno lo sentisse. “Dove mi hai detto è avvenuto questa specie di delitto?” “In via del Corso ma, tanto per semplificare, è il palazzo con quel grande negozio di abbigliamento che fa angolo, quello vicino al bar…” “Ho capito, Baldi, ho capito. Il tempo di vestirmi e sono là. Fai un salto anche tu?” “Verrei volentieri ispettore, ma qui siamo solo in due e non possiamo lasciare sguarnito il commissariato!”
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“Maledetti tagli!” l’ispettore Antonelli inveì verso la finestra. “È un ordine Baldi, ci vediamo davanti al portone di sotto fra circa dieci minuti. Intanto avverti tutto il gruppo di avvoltoi che faranno scempio di quella povera donna!” “Pure la Scientifica?” chiese timoroso l’agente Baldi. “Quel-li mi fanno nero se li disturbo a quest’ora.” “Pure la Scientifica, pure la Scientifica. Facciamoli inner-vosire questi figli di papà. A fra poco, Baldi.” Schiacciò il tasto rosso del fine conversazione e si portò di nuovo la cornetta all’orecchio. Le onde del mare… Ascolta le onde del mare... La voce di suo padre era calda e leggera, rassicurante. E le onde del mare si infransero da qualche parte, nella sua immagi-nazione. Si sollevò dal letto e rimase seduto con i piedi alla ricerca delle pantofole. Nel buio. Si alzò e si mosse lentamente nella stan-za. Posò il telefono portatile sul comodino di sua moglie. Trovò la maniglia della porta con facilità e, una volta uscito sul corridoio, accese la luce che arrivò sorprendendolo come non l’avesse mai vista prima. Scese i sei gradini del mezzanino ed entrò nella cucina. La luce al neon era fredda e anonima, lo fece pensare all’obitorio. Con lo sguardo localizzò il thermos del caffè e ne versò un po’ in un bicchiere. Era ancora caldo, dolce il giusto. Non aveva mai capito per quale meccanismo fisico quel contenitore riuscisse a mantenere calde le bevande, ma gli regalò un piccolo inchino del capo per congratularsi. Come ogni mattina.
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L’aria fredda aggredì il suo viso. Le luci della notte tremolavano in una leggera foschia. Una motospazzatrice della nettezza urbana aspirava la sporcizia sparsa per la via deserta, mentre due operai con giubbini arancione la ammucchiavano lenta-mente lungo una linea ideale. Le insegne spente dei negozi facevano sembrare le vie della città il set di un film horror. Incontrò tre persone prima di arrivare in via del Corso, tre anonimi animali not-turni che setacciavano gli angoli della loro insonnia, annusavano odori stantii, cercavano l’alba. Anche il corso principale era deser-to, solo uno spreco di denaro pubblico a illuminare a giorno ogni centimetro. Le panchine di granito sembravano piccoli altari da riti sacrificali. Le saracinesche blindate dei negozi imitavano idee di prigioni del futuro. Lo attraversò un brivido. Agganciò la lampo del piumino e si chiuse fino al collo. Ebbe un pensiero fosco a proposito del futuro: quale mondo avrebbe lasciato ai propri figli e nipoti? Si fermò. Si accorse che il suo respiro diventava fumo e che il vapore si disperdeva troppo velocemente. Solo allora notò che a circa un centinaio di metri un uomo imbacuccato era fermo in mezzo alla strada. Batteva i piedi sul selciato. Accelerò il passo, superò bar chiusi e negozi di abbigliamento con le luci spente. Uno dei monumenti in acciaio che arredavano la città si ergeva in solitudine nello spazio desolato. Arrivò nei pressi del bar centrale. “Baldi, che bella mattinata!” L’agente non rispose immediatamente, batté di nuovo i piedi e guardò il portone in ferro battuto e vetro blindato davanti al quale stazionava. “È qua” disse poi con voce ferma. “Siamo i primi?” chiese l’ispettore Antonelli.
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“La signora che ha scoperto il cadavere ci aspetta al primo piano.” L’agente Baldi pigiò un paio di volte sul tasto del citofono e quasi immediatamente si udì lo scatto elettrico dell’apriporta. Salirono una piccola rampa di scale che li portò a un piane-rottolo dove si affacciava il vano ascensore. Si guardarono, poi convennero tacitamente di salire a piedi. Il palazzo non era bellissimo, ma in buono stato. Era uno di quegli edifici costruiti nel dopoguerra, senza badare troppo all’este-tica, collocato come un cigno nero in mezzo a file di palazzi d’epoca e di antico prestigio. Il suo esterno a mattoncini stonava con le facciate storiche delle altre costruzioni. Scale di travertino opaco salivano verso la prima fila di portoni. Una donna sulla settantina li ricevette già sul pianerottolo. Fu un’esondazione di parole, una valanga di affermazioni indiziarie che portavano tutte a una sola colpevolezza: i ragazzi dell’est che avevano sceso di corsa le scale qualche giorno prima. Le loro facce non lasciavano dubbi. L’ispettore Antonelli provò un paio di volte a interloquire, ma il risultato fu disastroso. La donna sembrava trovasse nuova linfa dalla voce del poliziotto. Le dava slancio. L’agente Baldi sghignazzava di nascosto, di spalle alla donna. Una voce divina inter-ruppe quel soliloquio, un tono basso ma penetrante uscì dalla semioscurità di un portone e si attestò tra di loro. “Maria, per favore” pronunciò un uomo con una folta barba bianca, “cerchiamo di non svegliare tutto il palazzo!” La mano ossuta dell’uomo si protese verso l’ispettore Antonelli.
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“Bussotti, piacere.” Quindi si girò verso l’agente Baldi e strinse la mano anche a lui. “Sto in pensione da qualche anno e non sapendo come passare il tempo mi occupo del condominio.” Si voltò appena verso la moglie, per presentarla. “Mia moglie” aggiunse con un filo di voce. Trafficò con un mazzo di chiavi finché non trovò quella giusta, mostrandola ai due uomini. “Eccola qua, possiamo andare!” L’uomo poggiò l’indice destro sul tasto dell’ascensore. Il meccanismo si attivò. Il quinto piano era l’ultimo del palazzo. Invece dei tre appartamenti degli altri piani, sul pianerottolo se ne affacciavano solo due. “Questo non è abitato” disse l’uomo uscendo dall’ascensore. Con le chiavi che aveva in mano aprì il portone a fianco. Li colse un odore penetrante, esageratamente forte. Istinti-vamente si portarono le mani al naso. “Ho aperto tutte le finestre, ma non è bastato!” L’uomo con le chiavi procedette verso una stanza illuminata da una luce soffusa. “Ah, non ho toccato nulla!” Un altro schiavo della tv, rifletté l’ispettore Antonelli. L’agente Baldi indossò dei guanti di gomma e accese tutte le luci dell’appartamento dopo aver aperto ogni porta. “Meglio non muoversi troppo…” “Non ci salverà più nessuno da questa televisione” sospirò l’ispettore dando le spalle ai due uomini, “la rovina dell’umanità”.
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L’appartamento non era piccolo, superava abbondantemente i cento metri quadrati. Era una mansarda molto carina e ben curata, con un arredamento che era stato sicuramente di pregio al momento dell’acquisto, diversi anni prima. La donna era su un letto matrimoniale, sotto le coperte, con la sola luce della lampada del comodino accesa. Un libro aperto appoggiato sul cuscino accanto. Gli occhi chiusi naturalmente, quasi la morte l’avesse sorpresa nel sonno. Il volto era sereno. Sul comodino c’era una confezione di pastiglie e una ricetta. L’ispettore Antonelli aprì il contenitore di vetro e contò veloce-mente le pastiglie. Da quanto scritto sulla confezione ne mancava una sola. Rimise tutto a posto e prese la ricetta. Provò a interpretare la scrittura, rinunciò quasi subito. Riuscì a decifrare solo il nome della confezione appoggiata sul comodino e una scritta in corsivo: una compressa la sera prima di andare a letto. La grafia era quella classica dei medici, nervosa, illeggibile. Perché scrivono tutti così?, pensò mentre riponeva con delicatezza il foglio nel punto esatto dove l’aveva trovato. Stava per andarsene dalla camera quando, istintivamente, gli venne di guardare di nuovo la ricetta: Dr. Giacomo Diamanti, neurologo, psicologo e, nella riga appena sotto, specialista malattie del sonno. Ripeté a memoria diverse volte quel nome, poteva tornare utile. Raggiunse gli altri due sul corridoio e chiese all’agente Baldi se avesse notato qualcosa di particolare. L’agente fece di no con la testa. Si rivolse poi all’uomo con le chiavi, chiedendogli quale fosse la finestra che sbatteva di continuo, quella che aveva insospettito la moglie. L’uomo, senza
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muoversi di un passo, indicò quella della camera da dove era appena uscito. “Da che parte del palazzo dà quella finestra?” chiese l’ispet-tore Antonelli. “Si affaccia sul cortile interno” rispose l’uomo spostando lo sguardo leggermente a destra. L’ispettore tornò nella camera e si avvicinò alla finestra, si sporse per guardare di sotto e constatò che era praticamente impossibile arrampicarsi fin lassù dal cortile. Non c’erano appigli. Richiuse e uscì di nuovo. “Ha tutta l’aria di essere una bella morte naturale” disse agli altri due in attesa sul pianerottolo. Stavano per scendere le scale quando da lontano un ululato assordante iniziò la demolizione dell’ultimo sprazzo di quiete notturna. “L’ambulanza…” disse l’agente Baldi. “Chi l’ha chiamata?” L’agente Baldi chinò il capo. L’uomo con le chiavi guardò l’ispettore Antonelli. Con gli occhi lo supplicava di non infierire troppo sull’inesperienza del giovane collega. Da quel momento fu un via vai di gente, medici, infermieri, becchini, agenti della Scien-tifica vestiti come se fossero su un set cinematografico, flash di fotografi, uomini che facevano domande e appuntavano le risposte su taccuini minuscoli, poliziotti che cercavano di dare un ordine a quel transito sconclusionato, carabinieri che venivano a curiosare, a salutare colleghi… finché arrivò il magistrato di turno, il solito sbarbatello a cui affidavano tutte le incombenze notturne. Trafelato, si appartò con il medico legale e con un uomo della Scientifica; parlottarono per un paio di minuti, poi chiamò l’ispettore Antonelli.
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“Mi dispiace per lei, ispettore, ma mi dicono che per oggi deve rinunciare al suo omicidio!” L’ispettore allargò le braccia. Il magistrato infilò il corridoio e poi, di corsa, l’uscita. “Lo chiamano tutte le notti…” “Dottor Cecchini…” salutò divertito l’ispettore. “Ogni notte succede qualcosa in questa città.” “Eppure sembra così tranquilla… quasi noiosa.” “Ispettore, mi prende in giro?” “Non oserei mai.” C’era simpatia tra i due. Entrambi erano corpi estranei in quel mondo. “Quindi nessun omicidio, possiamo tornare a nanna.” “Lei mi fa felice. Sono a un passo dalla pensione e rovinarsi la vita con un caso di omicidio sarebbe stata una cattiveria!” Il dottor Cecchini prese sottobraccio l’ispettore e salutò tutti con un gesto della mano. “Andiamo, ispettore. Non sente che profumo di cornetti sta salendo dal bar qua sotto?” Erano già a pochi gradini dal quarto piano quando il medico si bloccò all’improvviso. “Ma l’autopsia la facciamo lo stesso?” chiese all’ispettore Antonelli. “È il magistrato che…” “Oh, quello, mi ha detto che se lo avessi ritenuto opportuno…” “Il magistrato?” “Non ha ancora capito, ispettore? Quelli pensano solo a far carriera!” Un profumo intenso di pasticceria saliva dalla tromba
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delle scale. Una saracinesca sferragliò lentamente. Il motore di un’auto si accese e rimase per qualche secondo a fare da sottofondo. “Avviso i colleghi di sopra. Sono da lei in un attimo.” Salì le scale a due a due. L’ispettore lo seguì con lo sguardo fino al primo pianerottolo, poi lo mollò. Sentiva il rumore dei passi e il chiasso del quinto piano. Brutta levata, pensò stringendosi nelle spalle, brutta levata per questa gente. Riprese a scendere lentamente. “Insomma, Baldi, quando ti decidi ad andare?” domandò quasi irritato l’ispettore Antonelli, “non lo sai che tanto gli straordi-nari non te li pagano?”. “C’è qualcosa che non mi convince…” “Cosa… cosa non ti convince?” “Troppa quiete.” L’ispettore lo scrutò sospettoso. “Troppa quiete, dici...” Espirò come se espellesse fumo di sigaretta. “Troppa quiete…” Lo sguardo cercò le volute di quel fumo. “Proprio così, troppa quiete!” confermò l’agente Baldi mentre raccoglieva il giubbotto dalla spalliera della sedia. “Nessuno muore così in pace.” L’ispettore Antonelli era arrivato in commissariato alla fine di un lungo giro. Dopo essere uscito dall’appartamento della defunta signora Menotti, era tornato a casa. Era ancora presto e, tra la noia della sua stanza in commissariato e la turbolenza della prima mattina nel suo appartamento, aveva scelto la turbolenza. Sua figlia Nadia e suo
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figlio Giuseppe erano tornati alla casa natia dopo aver perso la felicità coniugale l’una e il lavoro l’altro. Con loro si erano accampati una figlia di quasi dieci anni, Asia, e un esemplare stranissimo di cucciolo di segugio, Leonardo. Asia aveva seguito la mamma e Leonardo era stato raccolto da Giuseppe nei pressi dell’isola ecologica comunale. I due più giovani erano stati folgorati da un immediato colpo di fulmine e vivevano ormai in assoluta simbiosi. La mattina era durissima riuscire a convincere Asia ad abbandonare il cane e Leonardo a cessare i tristi latrati che a volte si protraevano anche fino al ritorno della bambina da scuola. Il bagno era un problema. Ce n’era uno solo e piccolo, e tutti dovevano partire alla stessa ora, chi per andare a lavorare e chi per andarlo a cercare un lavoro. Lo spazio era un problema. Le scarpe accatastate in ogni angolo e i vestiti appesi ovunque facevano oramai parte dell’arredamento. Per non parlare dei libri, quaderni, chiavi... si potevano trovare nei posti più impensati. La cucina era un problema, piccola, freneticamente affollata. Quando l’ispettore usciva di casa, di solito per ultimo, aveva una pena nel cuore pensando a sua moglie Leda che ogni mattina si trovava con l’ingrato compito di riportare a un ordine decente quelle poche stanze. Quella mattina si era offerto di accompagnare a scuola Asia, visto che Nadia non prendeva la macchina per andare al lavoro in quanto membro di un gruppo di car sharing e Giuseppe era dovuto scappare poco dopo l’alba per aiutare un suo amico giardiniere nel taglio delle siepi nella villa di un noto cantante, dall’altra parte della città. Aveva abbastanza tempo a disposizione. La bambina, però, si era
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piazzata di fronte a Leonardo, cercando di consolarlo per la sua assenza, e l’ispettore Antonelli aveva dovuto faticare non poco per convincerla a salire in macchina. Era riuscito a rispettare i tempi quasi al secondo, nonostante tutto. Due minuti prima delle otto e trenta era in ufficio. “Cosa vorresti dire?” chiese l’ispettore dopo aver riflettuto sulle parole dell’agente Baldi. “Solo una sensazione. La donna viveva da sola, era vedova e in pensione. Sembra che non avesse una vita tanto movimentata, era una professoressa di storia e si dilettava ancora nello studio. Probabilmente una sensazione stupida, lo ammetto. Ma… è che io mi immagino gli studiosi disordinati, libri poggiati ovunque, fogli pieni di appunti in giro per la casa… insomma, un po’ di sano casino.” “Anche la finestra spalancata…” buttò là improvvisamente l’ispettore Antonelli mentre stava cercando di elaborare le affermazioni dell’altro. “Anche quella è un’anomalia. Proprio così. Un’anomalia bella e buona. Lei sarebbe andato a dormire con la finestra aperta in questi giorni? Fa freddo, nella notte la temperatura scende prossima allo zero.” “A meno che la morte non l’abbia colta all’improvviso. Magari aveva aperto la finestra per cambiare l’aria e non ha avuto il tempo… certo, queste operazioni si fanno prima di mettersi sotto le coperte.” L’agente Baldi annuì. “Mah!” disse infine l’ispettore, “attendiamo l’autopsia. Se non si trovano riscontri clamorosi, chiudiamo il caso e ci mettiamo l’anima in pace. Dai, Baldi, va’ a riposarti!”.
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*** La prima volta era stata ai cancelli della scuola. In prima elementare. Aveva supplicato con lo sguardo. Aveva implorato con il pensiero infinite volte. Non lasciare la mia mano, mamma. Non mi abbandonare. Era arrivata all’improvviso, quella sensazione. Un buco dalle parti basse dello stomaco e un inatteso giramento di testa. Si era piantato con i piedi per terra quasi a sincerarsi che l’asfalto non lo stesse trascinando via. Aveva alzato il volto al cielo e respirato profondamente. Con la mano destra nel vuoto a cercare inconsapevolmente il contatto di sua madre, senza essersi accorto che lei era già di spalle e si affrettava a salire sulla sua auto. Non mi lasciare solo, mamma. Non mi lasciare solo, ti scongiuro. E il cielo cominciò a roteare. Le nuvole parevano una giostra allegra che accelerava pericolosamente i propri giri. Non riuscì a coprirsi gli occhi. Non riuscì a evitare di essere risucchiato in un vuoto scuro apparso proprio in mezzo al cielo. Quando riprese conoscenza, era sdraiato su un divano di stoffa. Solo. La stanza silenziosa. Dei passi andavano e venivano in un corridoio non troppo distante. Voci di bambini arrivavano soffocate da perentorie adulte ingiunzioni. Tornò per un attimo la quiete. E in quella quiete la porta si aprì. Un uomo sulla sessantina avanzava a passo svelto, dietro di lui una donna molto più giovane. L’uomo indicò il bambino sdraiato sul divano. Lei si avvicinò sorridendo. Si piegò inginocchiandosi e prese la mano del bambi-no. “Mamma” gli venne da pensare. All’età di sedici anni riuscì a scendere a patti con il suo male. La guerra non avrebbe mai potuto vincerla.
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