Brek Magazine n.15

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Ci rivolgiamo ai nostri clienti chiamandoli per nome perché pensiamo che un numero non possa mai rappresentarli. È questo il pilastro su cui costruiamo la nostra identità aziendale: il rapporto personale. La qualità, la convenienza e la cortesia sono così una naturale conseguenza. Negozi GUSTOSI. Diamoci del tu.

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BREK.ZOOM 04. Zoom I,II, II PROSPETTIVE METROPOLITANE.SOCIETÁ 06. Prime provvisorie conclusioni sul federalismo fiscale all'italiana PROSPETTIVE METROPOLITANE.POLITICA 08. La felicità? Ghe pensi mi. PROSPETTIVE METROPOLITANE.COSTUME 10. Felicità è magia PROSPETTIVE METROPOLITANE.RUEWIERTZ 60 12. L'Europa Unita, si divide sul bilancio

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INCONTRI.GAETANO CAPPELLI 14. Tra musica e sesso INCONTRI.FRANCA SILVA 16. Il ritratto della felicità INCONTRI.JEFF KOONS 18. Felicità è desiderio INCONTRI.ALEXIS DE TOQUEVILLE 20. Felici ed eguali ATMOSFERE.CINEMA 24. Chris Gardner e il diritto ad essere felici ATMOSFERE.TEATRO 26. Quel silenzio dentro al chiasso ATMOSFERE.ARTE 28. Pollock, Pollock combina guai! ATMOSFERE.BALLOONS 30. Che fine ha fatto Cattivik? ATMOSFERE.LIBRI 32. Lettera sulla felicità

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FUORICAMPO.CIBO 38. Il solletico degli agrumi di Tursi e Montalbano FUORICAMPO.VINO 39. Che sapore ha la felicità? FUORICAMPO.PENSIERI 40. Il giorno prima della felicità FUORICAMPO.VIAGGI 42. Sapori lontani FUORICAMPO.VISIONI 43. Scegliamo di essre felici! 44. Gocce di felicità

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FUORICAMPO.TECNOLOGIA 46. Web Card EDITORE Soc. Cop. Sociale a r.l. via Nicola Sole, 73 85100 Potenza tel. 0971 36703 fax 0971 25938 PROGETTO GRAFICO IMPAGINAZIONE PUBBLICITÁ Soc. Cop. Sociale a r.l. via Nicola Sole, 73 85100 Potenza tel. 0971 36703 fax 0971 25938

STAMPA Grafiche Gercap / Foggia DIRETTORE RESPONSABILE Pierluca Pace HANNO COLLABORATO Giovanna Caivano Mimmo Claps Vito Colangelo Antonio Coppola Anna D’Andrea Veronica D'Andrea Mari Donadio Manuela Grieco Angela Laguardia Gerardina Nella Michele Nella Mimì Pace

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Nicola Pace Andreina Serena Romano Daniela Rosa Leonarda Sabino Fabio Salvatore Andrea Samela Francesco Tripaldi Riccardo Telesca Wine_R BREK garantisce la libertà di pensiero e di espressione. Per questo motivo ogni collaboratore è singolarmente responsabile delle proprie idee e di ciò che scrive. Autorizzazione Tribunale di Potenza nº 376 del 7/5/08 ∙ Iscrizione al ROC n°19633


IN COPERTINA: Eyecrave "The New Life"

UNO STATO DELL’ANIMA TRASVERSALE. CHE ACCOMUNA TUTTI. DONNE E UOMINI. RICCHI E POVERI. BELLI E BRUTTI. BIANCHI E NERI. PER ALCUNI DURA POCHI SECONDI, PER ALTRI, ADDIRITTURA, TUTTA LA VITA. QUALCUNO, INVECE, DICE DI NON AVERLA MAI PROVATA. NEMMENO IL GIORNO IN CUI PER LA PRIMA VOLTA HA SENTITO VIBRARE IL CUORE. È LA FELICITÀ. UNO STATO SENSORIALE CAPACE DI FAR SCOMPARIRE IL PENSIERO. E IL TEMPO. IN UN SUO CELEBRE SAGGIO NIETZSCHE INVIDIAVA LA PECORA. L’ANIMALE DELL’ISTANTE, LO CHIAMAVA. LO INVIDIAVA POICHÉ INCAPACE DI AVERE MEMORIA E DI AVERE UN PROGETTO. DUNQUE, SECONDO IL FILOSOFO TEDESCO, FELICE PERCHÉ SENZA TEMPO. SOLO UN ETERNO PRESENTE PRIVO DI ANSIE PER IL FUTURO E DI RICORDI MALINCONICI VERSO IL PASSATO, PERMETTE UNO STATO DI FELICITÀ? DIFFICILE RISPONDERE CON CERTEZZA ANCHE SE, SUCCEDE A TUTTI NOI, APPENA INTERVIENE IL TEMPO E LA CAPACITÀ TUTTA UMANA DI MISURARLO, LA FELICITÀ SCOMPARE. CI SI INGEGNA ALLORA PER TROVARE UNA SOLUZIONE CANCELLANDO IL TEMPO E FINGERSI SMEMORATI, MA NON AIUTA. COMPORTARSI DA ANIMALI NEMMENO.

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SE SMETTI TI PREMIO

Un premio speciale per dimagrire e smettere di fumare Un premio in contanti per gli obesi e i fumatori se questi dimagriscono o smettono di fumare: è la proposta del Nice in Gran Bretagna. L'idea dell'ente britannico per il miglioramento del sistema sanitario sarà ora oggetto di una consultazione pubblica. Incentivi simili sono già in funzione in alcune aree del Paese e il Nice li aveva già raccomandati per i tossicodipendenti. È comunque probabile che i pagamenti saranno effettuati davvero solo nei casi più estremi.

L'AMBASCIATORE DELLA TERRA

Vita extraterrestre? Più che probabile! L’ONU si sta preparando ad accogliere gli extraterrestri sul nostro pianeta. Se mai dovessimo entrare in contatto con gli alieni, la dottoressa Mazlan Othman sarà la prima a incontrarli: è stata ufficialmente eletta ambasciatrice della Terra. Per avere l'idea dell'importanza di questo progetto, basta guardare le cifre messe a disposizione dagli Stati membri (il 5,079% delle donazioni totali all’ONU provengono dall’Italia). Tutto questo fermento è stato alimentato dai risultati forniti dalla sonda Keplero, che ha scoperto oltre 700 nuovi pianeti, tra cui 140 simili per dimensioni alla Terra. L'esistenza di una vita aliena, dunque, va ben oltre la mera possibilità.

L'ELISIR DI LUNGA VITA

Dalla Russia il rimedio all'invecchiamento Su con la vita! Ancora due anni e la pillola dell'eterna giovinezza sarà sul mercato. Ne è sicuro Vladimir Skulachev, uno scienziato russo. Al Daily Mirror ha annunciato l'avvio dei primi test sull'uomo dei suoi Skulachev ions, capaci di frenare gli effetti dell'invecchiamento. La molecola sviluppata dal ricercatore, che ci lavora ormai da oltre 40 anni e che l'ha testata su se stesso, è un derivato di un antiossidante chiamato Sqk1, che si sarebbe rivelato in grado di allungare la vita di molti animali.

EASY PARKING

Parcheggio assicurato, città più pulite La città di Tolosa ha deciso di equipaggiare sonde intelligenti per individuare i posti auto disponibili. Gli apparecchi saranno in uso dal prossimo autunno. In città, scrive Le Parisien, il 60% dell'inquinamento delle auto è dovuto ai veicoli in cerca di un parcheggio. "Le sonde nel suolo permettono di individuare in tempo reale se un posto è disponibile e mandano l'informazione sul cellullare degli abbonati", spiegano al municipio di Tolosa. Perchè non esportare il modello anche in Italia?

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2000-2010

Il decennio che rimpiangeremo per sempre Il decennio appena trascorso è stato il migliore di sempre per l'umanità, e non si ripeterà mai più. Lo dimostra, dati alla mano, l'economista Charles Kenny, in un saggio pubblicato su Foreign Policy. Per Kenny, l'umanità, nel suo complesso, non è mai stata così bene. "È il miglior decennio nella storia dell'uomo", si sbilancia Kenny. "Se aveste potuto scegliere gli anni in cui vivere, i primi dieci del XXI secolo sarebbero stati quelli giusti, perché l'umanità non è mai stata così prospera, pacifica e sicura". Il problema, semmai, è che questa "età dell'oro" dell'umanità probabilmente non si ripeterà più, a causa della fragilità del pianeta terra, spompato nelle risorse disponibili, in via di progressivo riscaldamento e con una biodiversità che si riduce sempre di più. Ciò nonostante, i progressi degli ultimi anni sono innegabili.

AMICI ROBOT

Anche negli ospedali italiani i robot da compagnia Alto 58 centimetri, occhi rotondi che si illuminano e una piccola bocca: è Nao, piccolo robot da compagnia messo a punto in Francia. Nao potrebbe presto "lavorare" in Italia come robot da compagnia per i bambini ricoverati in ospedale. È stato presentato recentemente a Viareggio al convegno RoMan 2010, della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. "Uomini e robot interagiranno sempre più strettamente, è in questa direzione che lavorano i gruppi di ricerca nel mondo", dicono gli organizzatori.

CONVERSAZIONI "ELETTRICHE"

A breve il telefonino che si ricarica con i suoni La prossima energia rinnovabile potrebbe essere la conversazione: due ricercatori coreani hanno scoperto come produrre elettricità dal suono. La scoperta, legata alle nanotecnologie, potrebbe portare a cellulari che si ricaricano mentre si parla. Il dispositivo, descritto dalla Advanced materials, si basa su un nanomateriale ottenuto dall'ossido di zinco. Quando uno strato del materiale disposto tra due elettrodi viene colpito da un suono di 100 decibel, produce 50 millivolt di energia.

GLIESE 581G

Trovato il pianeta gemello della Terra Alcuni ricercatori dell’Università della California e del Carnegie Institution di Washington hanno annunciato la scoperta di un nuovo pianeta. È grande tre volte la Terra e orbita a una distanza che lo situa al centro di quella che viene definita la zona abitabile, la giusta distanza, cioè, da una stella. Ciò rende possibile trovare acqua sulla sua superficie. Il pianeta è dunque abitabile. Gli studi che hanno portato alla scoperta del nuovo pianeta sono cominciati esattamente undici anni fa. Il pianeta, che ha preso il nome dalla stella attorno cui orbita (Gliese 581g), mostra sempre la medesima faccia al Sole, ma nella parte sempre illuminata la temperatura è di tipo estivo.

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Antonio Misiani, membro della Commissione bicamerale per il federalismo fiscale.

Nei numeri precedenti di Brek, dopo una breve ricostruzione del federalismo così come realizzato negli stati federali, abbiamo analizzato i principi di federalismo fiscale contenuti nella legge delega n. 42/2009. Abbiamo ricordato che la predetta legge delega sul federalismo fiscale mentre secondo alcuni segna una tappa fondamentale nella vita istituzionale e politica dell’Italia, secondo altri non sarebbe che una “scatola vuota” poichè necessiterebbe di decine di decreti delegati at-

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tuativi. Le critiche più feroci provengono proprio da coloro che hanno assecondato la scelta federalista e che hanno condiviso l’impianto e le scelte di fondo della legge n. 42/2009. Costoro, infatti, da un lato lamentano che anche i decreti delegati sono impostati senza numeri, sono scatole vuote che indicano alcuni meccanismi e soggetti che dovranno attuare il federalismo... sono a loro volta più somiglianti a ulteriori leggidelega che a norme dotate di un contenuto macroeconomico preciso e vincolante, dall’altro lato che "il processo di attuazio-


ne della legge delega ci sta però preoccupando. Il federalismo demaniale, pur condivisibile nei suoi elementi fondamentali, rischia di essere l'ennesima montagna che partorisce il topolino: la lista dei beni esclusi è lunghissima, e solo una piccola minoranza dei comuni avrà benefici concreti da questo provvedimento. Lo schema di decreto sui fabbisogni standard si limita a dire chi fa che cosa, ma non dice nulla sui criteri con cui i fabbisogni saranno quantificati. Manca un vero coordinamento con la Carta delle autonomie, perchè si continua a fare riferimento all'elenco provvisorio delle funzioni fondamentali definito dalla legge 42” (così Antonio Misiani al Convegno sulla finanza territoriale di Legautonomie, Viareggio 6 ottobre 2010). Insomma quanto c’è di buono nella legge delega per superare le differenze macroscopiche nei costi dei servizi nelle diverse zone dell’Italia e per tentare di abbandonare gradualmente il criterio della spesa storica sostituendolo con il criterio del finanziamento al costo standard è rimasto, sino ad oggi, lettera morta. È il caso di ricordare che la legge

n. 42/2009 è entrata in vigore il 21 maggio 2009 e all’art. 2 così recita: “il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi... A tutt’oggi, e cioè a pochi mesi dalla scadenza stabilita dalla legge, l’unica materia regolata è quella relativa al federalismo demaniale, con tutti i problemi innanzi evidenziati. Infatti, sull’ulteriore materia del c.d. federalismo municipale, Antonio Misiani, al Convegno sulla finanza territoriale di Legautonomie innanzi citato, così ha concluso: “Nel 2009 l'autonomia impositiva dei comuni è tornata al livello del 1992, quella delle province al 1998... Rimane il blocco dell'autonomia impositiva. Doveva finire con l'attuazione del federalismo fiscale, ma la bozza di decreto sul federalismo municipale non dice nulla in proposito. Il rischio è che tutto sia rinviato al 2014, anno di avvio della nuova Imposta Municipale Propria (IMUP)”. Negli articoli precedenti abbiamo riconosciuto che nella legge delega n. 42/2009 v’è qualcosa di serio e condivisibile.

La forte dissociazione della responsabilità impositiva da quella di spesa ha dato vita, nel lungo termine, ad una forma di deresponsabilizzazione che ha creato differenze ingiustificate nei costi dei servizi. Ma, dopo aver sottolineato le differenze macroscopiche dei costi dei servizi nei diversi territori dell’Italia, dopo aver riconosciuto che è necessario invertire la rotta e che la progressiva introduzione del criterio del costo standard è sicuramente utile ad eliminare sprechi ed inefficienze, la domanda da porsi è: cosa c’entra tutto ciò con il federalismo fiscale? I principi e le regole da introdurre sulla base dei predetti principi hanno a che fare con il federalismo fiscale o non sono altro che principi e regole necessarie a razionalizzare la spesa pubblica? Relativamente a ciò Gianluigi Bizioli ha scritto: “Credo che l’espressione federalismo fiscale sia solo un’etichetta. Di fatto è una grande operazione di contenimento della spesa pubblica locale, con pochi strumenti di imposizione alle regioni”. E tale prima anche se provvisoria conclusione, allo stato dell’arte, sembra condivisibile. avv. Mimì Pace

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Tempo di festività. Tempo di desideri. Tempo di Babbo Natale. Babbo Natale quest’anno sostituito da un più italiano e familiare “Papi” Natale che, per ovvie ragioni di schieramento politico, non è vestito di rosso. Stiamo parlando del nostro presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Come il suo illustre collega della Lapponia, il Papi nazionale è colui che da tempo mantiene le promesse, esaudisce desideri e compie miracoli. L’uomo, insomma, che trasforma tutto ciò che tocca in oro, che soddisfa ogni tipo di bisogno e che dispensa felicità ad una nazione intera. Colui che riesce a far diventare sindaco di Catania Umberto Scapagnini, suo farmacista personale; Ministro della Repubblica Italiana Mara Carfagna, la sua showgirl preferita; Consigliere Regionale della Lombardia Nicole Minetti, la sua igienista dentale. Una delle sue grandi promesse è stata, fin dalla sua discesa in campo 17 anni fa, la riduzione delle tasse per tutti gli italiani. Ed anche questa è stata mantenuta, anche se al momento solo per le sue aziende. Infatti la Mondadori, presieduta da sua figlia Marina, grazie ad un emendamento, proposto dal Deputato siciliano Alessandro Pagano (PDL), contenuto nella legge 73/2010, potrà risolvere le sue pendenze con il fisco pagando solo il 5% di ciò che doveva. In pratica la Mondadori da circa 19 anni ha una controversia con l’Agenzia delle Entrate, che contesta all’azienda il mancato pagamento di 173 milioni di euro di imposte (ai quali bisogna aggiungere gli interessi e le sanzioni). Mentre le parti, dopo i primi due gradi di giudizio, erano in attesa della pronuncia della Cassazione, accade il miracolo (già tentato, invano, altre due volte in

passato). In Parlamento viene approvata la legge 73/2010 nel cui testo definitivo, all'articolo 3, relativo alla "rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre 10 anni e per le quali l'Amministrazione Finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio", viene aggiunto il comma 2 bis: "Il contribuente può estinguere la controversia pagando un importo pari al 5% del suo valore (riferito alle sole imposte oggetto di contestazione, in primo grado, senza tener conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni)". Ed il miracolo è fatto. Semplice. Rapido. Indolore. E, soprattutto, in silenzio. È inutile sottolineare come l’articolo della legge e il suo comma collegato rispecchino fedelmente la situazione della Mondadori, che ha provveduto subito ad accantonare nel suo bilancio previsionale gli 8,6 milioni di euro necessari a chiudere il contenzioso (esattamente il 5% della somma dovuta). Al resto ci ha pensato l’altra azienda di famiglia, il Parlamento Italiano, che, grazie all’Onorevole Antonio Azzolini (PDL), ha modificato definitivamente il testo aggiungendo un piccolo comma in cui viene sancito che basterà la quietanza dell’avvenuto pagamento da parte dell’Agenzia delle entrate per estinguere definitivamente il giudizio. Dunque la Mondadori non pagherà nessuna mora, nessun interesse, nessuna sanzione. E non pagherà nemmeno le imposte dovute. Pagherà solo un 5%. E la ricevuta di questo pagamento estinguerà anche la pendenza giudiziaria. Come si fa a non essere felici? Nicola Pace

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CHE COS'È? UNO STATO DI BENESSERE. QUANTO DURA? È VARIABILE... SE DURA POCO, È UN’EMOZIONE, SE DURA A LUNGO, ALLORA È UN SENTIMENTO. E QUANDO ARRIVA? ALL'IMPROVVISO.

Oggi piove a Roma. Sembra una giornata come tante, la pioggia crea una musica tutt’intorno. E si sa, quando inizia, sembra non smettere più. La casa è silenziosa. Ma nulla, nessuna idea sulla Felicità. Il tema di questo mese: la

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Felicità. Sfoglio riviste, guardo la tv. Solo robaccia e spengo. Sono giorni che mi trascino dietro questo articolo. Devo pensare… Ed ecco. Grazie al film interpretato da Willy Smith, La ricerca della felicità, siamo venuti a sapere, o ab-


biamo ricordato, la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, scritta da Thomas Jefferson nella quale sono elencati i diritti inalienabili dell'uomo: la tutela della vita, della libertà e la ricerca della felicità. La ricerca della felicità. La ricerca, come se fosse un tesoro perduto. Il concetto di felicità è un valore esplicitamente sancito in alcune Costituzioni, oltre che nella citata Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti. Nella Costituzione italiana, lo sviluppo della persona umana è valore sancito dall'articolo 3. È un qualcosa di estremamente importante, se i Padri fondatori hanno pensato bene di affrontare l'argomento nella Dichiarazione e la nostra Costituzione le riserva l’articolo 3! Nonostante tutte queste attenzioni da parte delle istituzioni competenti, i popoli sono sempre meno felici. Basta vedere qualche risultato di ricerche culturali per capirlo. Ed è altrettanto facile capire che, nell'era di internet, essere felici può significare varie cose. Ho fatto una semplicissima ricerca antropologica sulla felicità chiedendo a varie persone di rispondere a questa domanda: Che cosa è per te la felicità? I testati sono ragazzi della mia età, poco più, o poco meno. • “Sono felice perché ho l’iPhone 4”, dice sorridendo W. che ha 24 anni e mi fa vedere le apps appena scaricate. • “La felicità dura poco”, dice la promettente Y. di 26 anni, che studia Filosofia. • “Sono felice perché guadagno bene”, dice lo stacanovista Z. di 28 anni che prende sempre la birra più costosa. •“Sono felice quando sto con mamma e papà”, mi ha risposto Martina, una ragazzina sveglissima di 10 anni. Ed è stata la risposta che mi è piaciuta di più. Nell’età adulta, siamo portati a

pensare alla felicità come il risultato di qualcosa ottenuto a livello materiale e abbiamo dimenticato che la felicità è un’emozione, percepita a livello soggettivo e personale. Abbiamo dimenticato anche che basta poco, per essere felici. Un esempio pratico e concreto: nella nostra cultura, non si riesce a definire felice una persona che non abbia denaro, beni materiali o la possibilità di esercitare poteri. Per la serie: i soldi non fanno la felicità, ma se ci fossero... Sta di fatto, in ogni caso, che denaro, successo e beni materiali non garantiscono la felicità. Per la serie: se non hai la salute... Saggio è colui che gode di quel che c'è, ma non patisce per quel che manca. Il concetto è facile, metterlo in pratica un po' meno. Ogni attimo è l’attimo giusto per essere felici, se lo rimandiamo o lo leghiamo ad eventi positivi. Oggi piove, sono felice perché la pioggia crea musica. Vi sono atteggiamenti o situazioni che agevolano l'insorgere della felicità, come avere un buon rapporto ed accettare se stessi. Dovremmo vivere di più nel presente, l’unico tempo che esiste. Vivere appieno le piccole cose quotidiane, come eventi unici e non scontati e lasciare la mente vuota da pensieri inutili. Piove, esco mi bagnerò. In realtà la felicità è uno stato permanente dell'animo e lo si raggiunge nel momento più inatteso. Si trova la felicità, paradossalmente, rinunciando a quella che sembra essere la felicità. Stare con mamma e papà. Si trova la felicità facendo ciò per cui si è nati, seguendo le inclinazioni del proprio animo, preoccupandosi di procurare felicità agli altri senza curarsi della propria. Tutte queste si possono riassumere in una parola: amore.

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Quello che i greci chiamavano àgape, l'amore sublime, gratuito, che si dona senza aspettarsi nulla indietro. Siamo fatti per amare e per essere amati... da questo nasce la felicità, non dall’iPhone4. Del resto, come dice Battiato in una delle sue canzoni di rivolta di questi ultimi mesi, ma quando ritorno in me, sulla mia via, a leggere e studiare, ascoltando i grandi del passato… mi basta una sonata di Corelli, perché mi meravigli del Creato!”. E così, la felicità arriva ascoltando la musica creata dalla pioggia e Inneres Auge. Leonarda Sabino


Continua la nostra finestra dedicata all’Europa e continua sempre con il nostro interlocutore privilegiato, l’On. Gianni Pittella, Eurodeputato e Vicepresidente vicario del Parlamento Europeo. Fine anno ed è tempo di bilanci. Anche per la nostra Grande Europa che, tra mille difficoltà, spesso dovute agli stessi stati membri, cerca le migliori risposte per uscire da questa crisi e proiettare il Vecchio Continente verso una prospettiva di crescita e di prosperità. Purtroppo le buone notizie spesso si arenano tra contrasti e strane strategie, in netta opposizione con lo spirito di un’Europa unita, come nel caso dei negoziati relativi al bilancio UE 2011. "Il fallimento dei negoziati sul bilancio Ue 2011 tra Parlamento europeo e Consiglio, con la

mediazione della Commissione, rischiano di compromettere l'iniziativa e l'attività dell'Unione proprio nel momento in cui si sta cercando di produrre il massimo sforzo per fronteggiare la crisi e gli attacchi alla moneta unica. Eppure le basi di un accordo c'erano tutte. Il Parlamento aveva già concordato un taglio di 4 miliardi di euro ma chiedeva due cose: che per il 2012 e il 2013 ci fosse un impegno dei governi ad aumentare le risorse per rispondere ai nuovi compiti assegnati alla Ue con la strategia 2020 e una procedura condivisa tra le due istituzioni per approvare il nuovo quadro finanziario 2013-2020. La trattativa -spiega Pittella- si è per ora arenata e ci si avvia a una sorta di gestione provvisoria per ragioni che attengono squisitamente alla politica interna dei governi che si stanno mettendo di traverso. Il premier britannico David Cameron, per esempio, vuole dimostrare a casa sua che l'auste-

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rità che ha dovuto applicare in patria per risanare le voragini aperte nei bilanci degli istituti finanziari dalla speculazione dei mercati anglosassoni è praticata anche alla "dispendiosa" Europa. Il bilancio europeo può disporre attualmente in 140 miliardi di euro, si tratta di spiccioli rispetto alle finanze nazionali, ma bloccare queste risorse per mesi causerebbe gravi danni alle Pmi, agli agricoltori, agli enti locali, ai programmi di ricerca, formazione, ai piani per lo sviluppo dell'occupazione e per la cultura, solo per citare i settori più importanti in cui l'Unione europea dà il suo apporto determinante". "Per l'Italia il danno per un mancato accordo sarebbe notevole, oltre due miliardi di euro e in questo ha grandi responsabilità anche lo stesso governo italiano -dice Pittella- che ha sottoscritto la lettera di indirizzo dei 13 capi di Stato per ridurre il bilancio, un vero e proprio tradimento dello spirito europeista che ha contraddistinto in passato il nostro paese, che ne sarebbe tra l'altro uno dei principali beneficiari. Non dimentichiamo che almeno il 50% delle risorse per lo sviluppo delle nostre regioni viene dalla Ue e il restante da finanziamenti nazionali che sono praticamente paralizzati dalla politica dei tagli orizzontali e delle pezze nei buchi di bilancio. Basti pensare che nell'ultimo Cipe à stata sbloccata per l'intero Mezzogiorno la somma ridicola di 200 milioni di euro".


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Gaetano Cappelli CANZONI DELLA GIOVINEZZA PERDUTA È L’ULTIMO ROMANZO DI GAETANO CAPPELLI: UNA RACCOLTA DI 10 RACCONTI NEI QUALI SI INTRAVEDE UN MICROCOSMO SOCIALE RIFLESSO DI PROVINCIA, DELLA NOSTRA PROVINCIA. I PERSONAGGI, TUTTI DISEGNATI CON ESTREMA PRECISIONE, SI RACCONTANO E RIFLETTONO SULLE PROPRIE COSE, ORDINARIE E STRAORDINARIE, AVVICINANDOSI A UN SENTIRE COMUNE: L’UNIVERSO DEL MONDO MASCHILE. SONO STORIE CHE APPAIONO PRIMA SEPARATE E CHE POI SI UNISCONO IN PARENTELE O AMICIZIE COMPONENDO UNA TRAMA DALLE MILLE SFACCETTATURE. INSOMMA, CAPPELLI RIESCE A VEDERE LE COSE E LE PERSONE DA TANTE PROSPETTIVE CONTROLLANDO ATTENTAMENTE I PUNTI DI FUGA.

“Bisogna avere una provincia da raccontare”, diceva Scott Fitzgerald e ovviamente è necessario saperlo fare, eppure sono tantissime le persone che si tuffano nella scrittura. Cosa bisogna avere o sapere per diventare scrittore? Prima di tutto il talento. E, purtroppo, è una dote naturale. Come la bellezza o l’intelligenza che, non coincide necessariamente col talento. Anzi, a volte, gli è d’impedimento. Balzac di-

ceva che per essere buoni narratori bisogna essere un po’ bete – bestia! Poi ci vogliono tenacia, disciplina e passione. Altrimenti rimani un talento irrealizzato. Infine bisogna sperare che il talento, proprio come per esempio la bellezza, non ti abbandoni. Ci sono tanti scrittori che dopo qualche opera entusiasmante producono solo robaccia. Qual è stata l’ispirazione, il riferimento, che ti ha portato a scrivere il tuo primo romanzo?

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Mah, la consapevolezza che c’era il bisogno di tornare a raccontare storie. Gli anni '70, che sono stati disastrosi in tutto, lo sono stati anche per la letteratura. Io, come un buon numero di scrittori allora giovincelli, sentivo la necessità di liberarmi di quell’universo appiattito sugli slogan. Di tornare a scrivere e leggere romanzi. La musica, ecco, quella è stata molto importante. All’epoca, verso la metà degli anni '80, erano di gran moda i videoclip.


Piccoli romanzi addensati. Io sono partito un po’ da quelli e dal grande Raymond Chandler, e ho scritto una spy-story che era anche un romanzo generazionale. Si chiamava “Floppy disk”cazzititol! Eppure negli anni ’70 nascono le radio libere attraverso le quali si inizia a diffondere maggiormente la musica e il movimento del 1977 è senz’altro il motore ispiratore di tutto ciò che di creativo si svilupperà poi negli anni successivi. Ma no, ma no. Gli anni '70 sono stati la negazione stessa della creatività in ogni campo. Ti viene in mente un romanzo che non sia “Porci con le ali”? La musica migliore è solo sopravvissuta al fanatismo di quegli anni, quando si interrompevano i concerti di musicisti come Chet Baker o Lou Reed perché si drogavano, figurati, o di John McLaughlin perché era buddista. Roba da talebani. Il '77 è stato importante ma non certo per il movimento degli studenti. In quell’anno è uscito infatti “La febbre del sabato sera”. E molti di quelli che pensavano fosse molto alla moda fare la guerriglia, si sono ritrovati invece in discoteca. Almeno si sono divertiti senza ammazzare nessuno, no? Forse pochi sanno che in gioventù hai scritto su “Re Nudo” e che hai pubblicato anche un saggio, oramai introvabile, “Minimal trance music ed elettronica incolta”. Cosa resta oggi di quella passione? Beh, vedi l’ho appena detto. Resta la musica! Sono un melomane cronico. Non posso fare a meno di una vibrazione di sottofondo. Anche quando scrivo. Molte mie cose vengono spinte, sollecitate da questa “vibrazione”. È come un’onda che manda al largo una barchina. Canzoni della giovinezza perduta, il tuo ultimo libro, si compone di 10 racconti scritti tra il 1991 e il 2000: cosa li tiene insieme? Qual è il filo condut-

tore? Beh, la musica della giovinezza perduta effettivamente. E poi il racconto di quella particolare stagione della nostra vita che coincide con il nostro ingresso nel mondo del lavoro, le storie sentimentali che in quella situazione possono nascere. Le avventure sessuali anche. C’è molto sesso. A quell’età è tutto un palleggiar di ormoni! Guido, lo scrittore che nel racconto Toccati sogna di scrivere Il grande Gatsby, a me è sembrato abbastanza autobiografico. Massì, un po’ sì. Ma in tutti i personaggi c’è una parte di me… ma spero anche di te, dei lettori, delle lettrici. Sennò non funzionerebbe l’immedesimazione. I personaggi dei tuoi libri oltre che essere ispezionati “dal di dentro” sono visti anche da tante prospettive diverse, come se le storie fossero un caleidoscopio attraverso il quale si riesce a guardare, in modo complesso, la nudità o l’essenza stessa dei personaggi. Bella annotazione! È quello che ho cercato di fare facendo girovagare i personaggi da un racconto all’altro, e nello stesso racconto. Farli apparire non solo in veste di protagonisti che si raccontano. Ma anche di personaggi che vengono raccontati. Non hai mai pensato che un personaggio, ben riuscito e ben descritto, di qualche tuo racconto sarebbe potuto diventare il soggetto di una serie? È stato un pensiero fugace. Dopo aver pubblicato Febbre, con gli stessi personaggi ho poi scritto I due fratelli, sempre un noir ma per ragazzi. Dio mio, un noir per ragazzi! Poi fortunatamente ho lasciato perdere e ho iniziato a raccontare la commedia umana della nostra amata città! E regione, naturalmente! Prima di farti questa intervista e dopo aver letto Canzoni della giovinezza perduta, ho

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cercato di capire, tra gli amici, chi l’avesse letto e cosa ne pensasse e mi ha colpito il commento di una vecchia amica che mi ha mandato questa frase via e-mail: “Cappelli conosce alla perfezione l’universo maschile”. Beh, vorrei tanto anche quello femminile, ma vista l’età si tratta ormai di un’aspirazione irrealizzabile, ah ah ah! Cosa significa “essere leggeri” nella scrittura? Ho il sospetto di non esserlo poi così tanto, leggero. O meglio i miei temi sono leggeri, da commedia o tragicommedia almeno. Ma il mio stile può essere anche molto complicato. Puoi anticiparci l’idea a cui stai lavorando oggi? È la storia di uno che viene messo al mondo perché diventi l’erede del grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli - il grande maestro appare più volte in sogno alla madre del suddetto uno - e che invece farà lo scrittore. Sarà anche candidato al Nobel, suggerito alla giuria da una critica che ha degli strani gusti sessuali... anche questa volta come in Parenti lontani, la storia parte da un piccolo paese della Basilicata. Poi si sposta in un grande albergo di Ravello, dove il protagonista almeno sfrutta i suoi studi musicali come pianista di piano bar e dove farà due incontri fatali. Il resto è un bel numero di pagine che potrete leggere non prima di un anno. Vito Colangelo


«La vita ha in serbo tutto per voi. Non c’è nulla che voi non possiate ottenere, con la vostra straordinaria bellezza». Il giovane Dorian Gray sentiva dirsi questo da lord Henry, tra le pagine dello storico romanzo di Oscar Wilde. Guardarsi allo specchio è cosa da tutti, ma ammirare il proprio ritratto ogni giorno, guardarsi dentro, scoprire le proprie espressioni e scovare quella bellezza unica della pittura è solo per pochi. Un ritrattista bravo potrà ac-

compagnarti negli stadi della vita e mostrarti il tuo io più nascosto e magari, perché no, ricrearti e raffigurarti in vesti inattese. È questo che fa Franca Silva, una dolce signora che ha trovato il successo grazie ai suoi ritratti unici, dove immortala personaggi famosi come rivisitazione di quadri famosi. Bergamasca di nascita, Franca Silva è pittrice, ritrattista, moglie e madre. Ha coltivato la sua vocazione di pittrice e di ritrattista parallelamente alla continua ricerca nel campo del disegno, della grafica e dell'acquerello, esponendo le sue opere sia in personali che in collettive e collaborando alla realizzazione di grandi mostre come quelle per “La Repubblica” e per il “Pitti Uomo” di Firenze. Questa donna straordinaria ha iniziato a dipingere circa 30 anni fa e nella sua carriera ha ritratto tantissimi personaggi famosi, come Carla Fracci, Ottavia Piccolo, Giorgio Forattini ed Eugenio Scalfari. Cavalcando l’onda del successo, negli ultimi tre anni ha deciso di dedicarsi ad un personaggio internazionale: George Clooney. E proprio a lui ha dedicato una serie di dipinti che vanno dal Rinascimento ad oggi, riscuotendo un notevole successo e riuscendo in un’impresa che molte donne sognano. Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerla qualche anno fa, quando disegnò a matita uno dei miei occhi, svelandomi uno sguardo a me sconosciuto; perchè lei riesce a disegnare la nostra gioia e ci regala felicità per ogni ritratto che fa. Unisce l’arte alla moda e i sentimenti alla realtà.

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Come hai iniziato questa carriera particolare? Quando hai capito di avere questa dote unica? Nel 1987 ho iniziato la mia carriera come ritrattista, quando mi è stato chiesto di fare il mio primo quadro ad olio, “American Gothic” rivisitato in chiave moderna. Prima di allora facevo nature morte e ritratti a disegno. Disegnare è stata per me una passione innata, da sempre. La tua vita sarà stata segnata da immagini. Quali sono le figure e i ritratti che ti rappresentano di più? Sicuramente “American Gothic”, grazie al quale ho iniziato il mio nuovo corso delle citazioni. Poi le “Donne con-turbanti”, citazione dell’”Uomo con turbante” di Van Eyck, grazie al quale sono riuscita ad unire 24 importanti donne milanesi, “costringendole” ad indossare un turbante. Tra i miei artisti preferiti posso citare Manet, Modigliani e Renoir. Spesso i ritrattisti disegnano gli altri, ma difficilmente riescono a disegnarsi. Come puoi spiegare questa difficoltà? Ognuno di noi ha una visione di sé, del proprio io costruita dentro; questo significa che metterla su tela diventa complicato e difficile, perché ci sono più visioni di sé. Anche vedersi ritratto è difficile, perché spesso non ci si ritrova con la propria immagine.


Ricordo ancora con un sorriso, Ottavia Piccolo quando guardò il suo ritratto, un po’ stupita mi guardò e mi disse: ”Sono io e nello stesso tempo non sono io. È uno spiazzamento incredibile”. Le foto immortalano un momento mentre i ritratti, secondo me, catturano l’anima. Secondo te è così? Perché preferire un ritratto ad una foto? Hai detto benissimo tu, e poi il ritratto, a differenza della foto, è per sempre. Quanti ritratti hai fatto durante la tua carriera? Tanti, moltissimi. È quasi impossibile quantificarli. Svelaci qualche retroscena carino capitato durante il tuo lavoro. Ricordo la preparazione di “Donne con-turbanti”. Per questo lavoro avevo scelto 24 donne molto importanti della città meneghina. Incontrarle è stato il lavoro più duro, perché c’erano una serie di filtri per rag-

giungerle, tra segretarie, uffici e altro. Quello che mi ha aiutato è stato il passa parola tra loro, le prime ritratte hanno poi contattato le altre. Ad esempio Carla Fracci, quando vide il suo ritratto chiamò subito Valentina Cortese, che aveva più difficoltà a farsi ritrarre, e la convinse. Attraverso la pittura si riescono a percepire e a trasmettere determinate sensazioni. Ci vuoi raccontare come ci si sente a ritrarre qualcuno e a provare queste emozioni? Nei ritratti contemporanei parto dal disegnare gli occhi, a volte solo con il resto accennato il ritratto è già fatto. Solo l’espressione degli occhi da la forza del dipinto. Nelle citazioni, invece, parto con l’ambiente e i particolari propri del quadro e poi passo ai visi. Quanto più mi avvicino al ritratto originale, tanto più mi approprio dell’anima degli artisti che sto citando e questo mi dà una grande emozione. L’idea della trasposizione di personaggi famosi in ritratti storici come è nata? Molto tempo fa. Semplicemente mi sono resa conto di poter spaziare nei ritratti dal 400 in poi e questo mi ha dato l’idea di iniziare con queste citazioni. E adesso raccontaci il tuo ultimo successo. Come hai iniziato a seguire George Clooney e come è nata l’idea di "Un uomo per tutte le stagioni dell’arte"? L’idea è nata perché George Clooney ha un viso e una bellezza classica che può entrare in tutte le epoche. Ho pensato che ad una persona come lui, che ama l’Italia e che passa gran parte del suo tempo qui, fosse facile far vedere o consegnare un mio ritratto, ma in realtà non è stato così. Gli ho potuto consegnare “L’Uomo con-turbante” di Van Eyck

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nel 2008 attraverso “Che Tempo che fa” il programma di Fabio Fazio e lui l’ha messo nella sua villa sul lago di Como. Per te cos’è la creatività? È un grande dono, per chi ce l’ha. I tuoi ritratti sono fatti su commissione o ti capita di fermarti a guardare e catturare l’attimo di una qualsiasi persona che hai davanti? Ovviamente è il mio lavoro quindi la maggior parte sono fatti su commissione. Però capita che ne faccia alcuni quando sono particolarmente ispirata. Ad esempio quando sono stata a Gerusalemme ho trovato personaggi che mi hanno colpito e che dovevo necessariamente disegnare. Hai trovato la felicità grazie a questa tua passione? Certamente. È uno dei lavori, per me, più belli in assoluto, quando ti viene bene. Altrimenti ti fa entrare in crisi quando non riesci a farlo al meglio. Ma se dovessi pensare ad una vita senza questo lavoro potrei cadere in depressione. E ora cosa ti aspetta? Non so cosa mi aspetta. Spero di continuare così ancora per molti anni. Andreina Serena Romano

in queste pagine: alcune opere di Franca Silva


Ho sette anni ed è la vigilia di Natale. Mille luci colorate brillano tra le case, sui tetti, lungo le strade. Non vedo l’ora che arrivi domani, per questo non riesco ad addormentarmi, conto quante ore mancano al mattino. Finalmente chiudo gli occhi e all’improvviso li riapro quando entra la luce. È giorno ma è troppo presto, se mi alzo potrei rompere la magia, allora aspetto ma non ce la faccio, scruto i rumori della casa per capire se gli altri sono svegli. Non sento niente, dormono, tutti dormono ancora. Aspetto. D’un tratto la porta si apre, è mio fratello, lo sento correre scalzo nel corridoio, final-

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mente è Natale. Dopo pochi minuti siamo tutti sotto l’albero, ognuno ha il suo desiderio in un pacchetto. Il mio è grande, dalla forma sembra lei, al tatto ne sono sicura. Tolgo il nastro, lo scotch, la carta, ne tolgo anche un’altra e... il cuore si gonfia felice davanti alla mia nuova mountain bike che è tutta un luccichio. Oggi ho qualche anno in più e non ricordo sensazione tanto intensa. Tutti l’avranno provata almeno una volta e dovrà esser piaciuta così tanto all’artista americano Jeff Koons da provare a dar forma all’incanto e al desiderio. Pittore, scultore e fotografo, nasce in Pennsylvania nel 1955


e dopo gli studi artistici a Baltimora si trasferisce a New York, dove trova un ambiente vivace e stimolante. Correttamente inserito nella corrente New Pop, che continuava ad analizzare le icone del mondo contemporaneo, dagli oggetti di uso comune alle immagini pubblicitarie, a partire dagli anni Ottanta realizzerà parte della sua produzione destinata a rimanere nell’immaginario collettivo. Il suo mondo si popola di animali, fiori, oggetti dalle enormi dimensioni e dai colori artificiali e brillanti. Sculture voluttuose nella cui magnificenza risiederebbe, secondo alcuni, il ricordo potente e vitale dell’ex moglie e pornostar Ilona Staller.

Forme gioiose e scintillii cromatici capaci di sottintendere le dinamiche del desiderio sociale, elemento chiave di tutto il lavoro dell’artista. Il 1992 è anche l’anno in cui Koons realizza una delle immagini più popolari della sua carriera: Puppy, un West Highland Terrier alto tredici metri, nelle parole dell’artista simbolo di amore, calore e felicità. Sono le sculture gonfiabili però, le opere forse più affascinanti e significative di Koons, enormi riproduzioni delle forme dei palloncini realizzate dai clown e dagli artisti di strada. Splendide nei loro colori eppure terribilmente illusorie, artificiali perché ad uno sguardo più attento risultano essere realizzate in acciaio.

Definito da molti Re Mida per le vertiginose quotazioni delle sue opere e per una vita fatta di denaro e successo e di cui il suo lavoro ne è riflesso, egli stesso dirà: “Ciò che mi fa più paura è che tutto sia destinato alla distruzione. Dunque anche ciò che possiamo definire felicità risulta transitoria ed effimera”. Ad uno sguardo più attento in effetti, lo splendore cromatico delle sue opere lascia il posto al carattere effimero volutamente giocato sulla contraddizione percettiva dei materiali. Ciò che brilla è in realtà opaco, ciò che appare estremamente leggero è invece pesante, la forza apparente sottintende fragilità, del resto come lo stesso Re Mida insegna non tutto ciò che è oro luccica. Daniela Rosa

in queste pagine: alcune opere di Jeff Koons

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Era un uomo con due cuori. Il primo, definito nel sangue e nel nome, firma di un passato necessario che perseguita e onora. Il secondo, capriccio d'indole, è posato nell'anima. Questo era Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville: aristocratico per stirpe, liberale per istinto. Senza lasciarsi confondere dall'incrocio dei battiti, non gli sfuggiva, tuttavia, di vivere nel conflitto. Uno spirito dubbioso e inquieto, nocchiero di una fragile zattera che, con equilibrato raziocinio,

attraversa una tempesta di opposte passioni. Credeva nella Corona di Francia, quella ancestrale, che i giacobini avevano abbattuto sotto la ghigliottina, e, al contempo, nei principi del liberalismo, nel potere diffuso, nel governo dei molti. Nel 1830 la violenza della storia lo mette in obbligo di scegliere: la monarchia restaurata, storica e borbonica, è sfidata da un pavido afflato liberale, quello di Luigi Filippo D'Orleans. Alexis de Tocqueville è giovane, appena venticinquenne, ma non

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cede a nessun impulso. Il nuovo regime, cui, quasi per necessità, è costretto a giurare fedeltà, gli è politicamente ostile. Si libera ottenendo dal Ministro della Giustizia l'autorizzazione a compiere un viaggio d'inchiesta negli Stati Uniti. L'oggetto è specifico: studiare il sistema penitenziario americano. L'opportunità, tuttavia, è immensa. Nel 1831, dopo trentotto giorni di viaggio, sbarca a New York. Il primo riflesso che ha -più da viaggiatore che da studioso


della politica- è quello di sfilare dalla borsa un piccolo taccuino, armare il calamaio ed iniziare a rendicontare le sensazioni che nel 1840 saranno sistematizzate ne La Democrazia in America, bestseller del pensiero liberale e primo grande libro sull'esperienza politica degli Stati Uniti. È una lunga opera, maestosa come la geografia delle terre che racconta. L'ordine metodico che ha presieduto alla separazione delle terre e delle acque, delle montagne e delle vallate, è dello stesso genere che percorre la disciplina di pensiero di Tocqueville. Sconfinato e tuttavia semplice. Ne sono cittadini, ciascuno secondo ruolo proprio, la riflessione giuridica e la politologia al pari dell'indagine sociale. Ma è l'esito di quest'ultima, più degli esiti delle prime, che nel 1831 permette a Tocqueville di capire l'America. In quel mondo che gli europei, accorciando il filtro dell'Oceano, stavano scoprendo per la seconda volta, era accaduto un fatto del tutto nuovo, silente, nell'immediato, per chi disponeva di un cuore solo, ma fragoroso- e rivoluzionario- per chi di cuori ne aveva due e altro non si era ripromesso che non tacitarne alcuno. Un fatto che più di ogni altro attira l'attenzione di Tocqueville durante l'intero soggiorno di nove mesi negli Stati Uniti: -"...c'est a dir: l'egalitè de les condicionnes"-. L'uguaglianza delle condizioni, afferma Tocqueville, è la forza che in America ha generato la formula politica della felicità: "Essa non solo esercita un'influenza straordinaria sul cammino della società, da un certo indirizzo allo spirito pubblico e una certa linea alle leggi, ma (...) essa crea opinioni, fa nascere sentimenti e usanze e influenza tutto ciò che non è suo effetto immediato" . È una rivoluzione liturgica, quasi

sentimentale, che i figli affrancati di una generazione di asserviti promuovono senza sangue nè violenza. Si realizza, in America, l'esito ultimo di un cammino inarrestabile che nel resto del mondo procede a fatica, specie nella vecchia Francia di Tocqueville dove i rivolgimenti politici degli ultimi anni gli fanno rimpiangere l'antico costituzionalismo medievale. Non è la descrizione di una realtà perfetta, nè la teoria sociologica di un eden della democrazia sociale, ma la narrazione di un nuovo campo di opportunità, dove la forza delle leggi d'uguaglianza sostituisce la potenza di ceto. Ed eguali, gli americani, non lo sono soltanto per diritto: come per Tocqueville, hanno, nel sangue, un passato che onora e, tuttavia, diversamente da lui, non li perseguita. Sono eguali nell'origine, nella comune discendenza da generazioni di poveri ed infelici, giacchè " ...gli emigranti non sono generalmente ricchi e potenti ma miserabili ed esiliati, eguali nel vincolo della povertà e delle disgrazie". La terra stessa, che in Europa è l'arma dell'aristocrazia, in America non è stata sottoposta ai vincoli della nobilità fondiaria, non si è trasmessa, in blocco, per privilegio o per diritto di nascita ma "i proprietari l'hanno acquisita secondo le leggi testamentarie", senza discrimine di ceto. Così come in Europa, escluso il novero delle felicità private, non esiste la felicità dello spirito pubblico, quel sentimento irriflessivo, disinteressato e indefinibile che "lega il cuore dell'uomo al luogo in cui è nato". È l'amor di patria, provato da chi ama il suo Paese "come la casa paterna", come un luogo in cui re-

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stano ricordi, si ripercorrono ansie e la nazionalità si mischia al carattere. Alexis de Tocqueville lo celebra in un passo della "Democrazia in America", precisandone il discrimine con forme meno nobili -e senz'altro infauste- di egualitarismo culturale e idolatria politica. Passo che non fosse prodotto di una riflessione a tutt'altro dedicata, risulterebbe probabilmente assai descrittivo dello stato in cui versa l'etica pubblica nel nostro paese: "Vi fu un tempo, sotto l'antica monarchia, in cui i francesi provavano una specie di gioa nel sentirsi abbandonati senza appello all'arbitrio del monarca e dicevano con orgoglio: "Noi viviamo sotto il più potente re del mondo!" Fabio Salvatore

Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville


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...Hey! Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Ok? Se hai un sogno tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto. Così dice Chris Gardner, dopo aver rimproverato ingiustamente suo figlio in The pursuit of Happyness, il film realizzato da Gabriele Muccino nel 2006. Il film si ispira alla storia vera di Chris Gardner, oggi imprenditore e milionario, che nei primi anni ’80 attraversò un periodo di grave difficoltà economica con un figlio a carico e senza un tetto. Il personaggio di Chris Gardner è magistralmente interpretato da Will Smith, un attore straordinario che sa ben vestire

i panni sia della sofferenza che della tenacia. È la storia di un uomo che investe tutti i risparmi di una vita in macchine di uso medico e fa della vendita ambulante il suo unico lavoro a tempo pieno. Purtroppo, le vendite non vanno bene, i medici non comprano il macchinario perché troppo costoso e sostanzialmente inutile, e così, nonostante i suoi sforzi, le difficoltà economiche si fanno sempre più insostenibili per lui e per la sua famiglia. Una mattina come tante qualcosa lo colpisce: ricordo ancora quel momento… - si guarda attorno - sembravano tutti così felici… perché non potevo esserlo anch’io? Successivamente entra come stagista in un’azienda, per seguire un corso di formazione

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della durata di sei mesi presso la stessa e poi sperare di essere assunto. Nel frattempo, la moglie lo lascia e lui si ritrova solo e sfrattato di casa, ma col suo bambino, che deve allevare e proteggere ad ogni costo. Per fare ciò, sopporta di tutto, umiliazioni, sfratti, arresti, ma fa in modo che questi avvenimenti, anche quelli più drammatici non turbino in alcun modo il figlio. Seguono momenti estremamente difficili, e Chris si arrangia come può, e, con il figlio, dorme dove capita, anche nel bagno di una metropolitana. Alla fine dei sei mesi di corso previsti, così come la sua vita per tanto tempo gli si era rivelata ostile e crudele, ora si presenta sottoforma di un possibile traguardo: Chris ottiene il posto nell’azienda e finalmente potrà


garantire un futuro sereno a se stesso e al suo bambino! The pursuit of Happyness è solo uno dei tanti lavori che, nella storia del cinema, parlano di un tema molto importante, sintetizzabile in una sola, semplice parola che racchiude in se stessa un concetto assai astratto e indescrivibile: la felicità! Ma cos’è questa piccola e grande cosa che pare essere un traguardo di vita per tutti noi, tanto da aver segnato sostanzialmente tutte le nostre narrazioni? Che sapore ha la felicità? È forse qualcosa che si ottiene in cambio di qualcos’altro? Uno stato d’animo, l’emozione di un attimo o qualcosa di più duraturo? Molto spesso, purtroppo, si identifica la felicità con il potere, la ricchezza, la fama o la gloria, il successo… ma alla fine di quei percorsi, li si scopre effimeri e non portatori di vera felicità. Chris Gardner non cede a questo pensiero negativo e continua, per tutto il racconto della sua vera vita, che si dipana lungo il film, a pensare che la felicità sia una ricerca, e cioè il perseguimento di qualcosa, e un sogno a cui aggrapparsi e in cui credere, sempre, per non mollare, per non lasciarsi abbattere dalle difficoltà più o meno

gravi della vita; insomma, la felicità sta nell’andare avanti e non arrendersi mai. Felicità è coraggio, è guardare tuo figlio che sorride, è rassicurarlo con le favole per non fargli capire quanto la vita a volte possa essere ingiusta. Felicità è proteggere quanto di più caro abbiamo con la forza delle idee e della volontà. Certo, molto spesso sembra che la felicità ci sfiori, ma è sempre un passo avanti, e non importa quanto la desideriamo, pare che non riusciamo mai a raggiungerla. Ma il punto è proprio questo: secondo la filosofia di Chris Gardner, non bisogna arrendersi! Bisogna credere sempre che la straordinaria trasfomazione della nostra povera vita sia possibile. Ciò che conta, però, è il viaggio e non la meta. Forse, proprio nel viaggio sta la felicità, quell’emozione che ti attraversa il corpo nel momento esatto in cui pensi di avercela fatta. Questo è il messaggio che il film si propone di inoltrare: la felicità è un diritto di tutti. Il film è commovente, i dialoghi quasi magici, e il tutto è merito di un regista, Gabriele Muccino, che sa bene come trasmettere forti emozioni sul grande scher-

Will Smith e Jaden Christopher Syre Smith, protagonisti di "The Pursuit of Happyness" - 2006

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mo. Narra, qui, la storia di una vita reale, quella di Chris Gardner, che fu realmente drammatica, e gira un film che si fa portatore di valori morali universali. Tutti, infatti, potremmo ritrovarci un giorno a vivere lo stesso disagio di Chris, la stessa lotta per la sopravvivenza; guardando il film questo pensiero non ci abbandona mai. Pur nella consapevolezza della capacità del cinema di manipolare le nostre umanissime sensazioni, è pur sempre magico come esso riesca sempre a coinvolgerci, ad emozionarci, a farci tremare talvolta ma soprattutto a farci riflettere su temi importanti, sui vari aspetti della vita reale, e questo ancor di più quando si pone come mezzo di testimonianza; il cinema racconta la vita, e quando stimola una riflessione, ci fa capire che non siamo destinatari passivi, e, anzi, siamo direttamente coinvolti nelle vicende narrate. Questa è la forza del cinematografo! Mari Donadio


La quinta di sinistra questa volta era stranamente arieggiata ed io potevo sostare lì, tranquillo, fino a quando non sarebbe arrivata la mia scena, allora avrei dovuto raggiungere la quinta di destra, da cui l’ingresso del mio personaggio: Arturo. Era molto importante questa aria ventosa perché permetteva di assorbire perfettamente in quel buio, quel particolare silenzio sovrastato dalle voci degli attori in scena. Perché può esserci silenzio dove c’è chiasso, vero? Di solito con i costumi si muore di caldo e bisogna rifugiarsi al-

trove, nei camerini, e lì la magia è diversa, è un’altra. Non è come in quel buio; in quell’angolo c’è un silenzio che va prodotto, che può generarsi solo con una certa partecipazione. Questa volta stare lì concentrato serviva per aspettare, ogni serata, che arrivasse quella frase, ripetuta consecutivamente da due personaggi: “cos’è la felicità?” “cos’è la felicità?”. Ognuno rifuggiva la domanda ponendola a non si sa chi altri. La scena era comica ma si trasformava di colpo tra gli sguardi degli attori che ad arte lasciava-

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no passare nell’aria per un microattimo una scia di profondità, e poi di nuovo il copione comico. Tutto questo si vedeva da uno spiraglio. Una piegatura del legno che dava un sapore unico dello spettacolo perché era come assisterlo da un nascondiglio; certo, sarebbe bastato seguire con le orecchie il ritmo ascoltato e guardato apertamente decine di volte durante le prove per rivedere nella mente quelle facce recitare. Ma non si poteva resistere (perché mai?) e così l’occhio puntava


lì, tra la fessura e l’aria, a constatare quanto fosse, quella fuga dalla domanda, così reale, in qualsiasi senso. Tutto ciò era enormemente gustoso. Nessuno sa ben rispondere quando gli chiedi se è felice, io lo faccio spesso, risulto un po’ tonto perché mi viene di farlo con persone con cui non ho troppa confidenza. Mi viene di porla e basta questa domanda, che ci posso fare, e mi stuzzica ogni volta la confusione che essa genera: “si, credo di si”; “prima lo ero di più”; "Mmmh, si... si dai, sono abbastanza felice"; “non proprio”; “ti rispondo stasera, dopo la partita”; “certo che sono felice, ma perché mi fai questa domanda?”; oppure un’altra risposta è: “ci sto lavorando”. Credo che le persone a cui lo domando vorrebbero, come quei due attori, evitare la situazione. Vorrebbero scrollarsi di dosso quella che subito si rivela essere una scomoda imposizione a

guardare dove c’è timore di affacciarsi. Coscienza e onestà a volte fanno male. Ma non mi sembra proprio che ci sia da temere per non essere felici. Forse succede perché s’intende che sia meta comune, ecco perché ci sentiamo in difficoltà quando ce lo domandano; proviamo l’imbarazzo di come quando si è all’università da anni senza ancora aver concluso, senza ancora aver raggiunto quel traguardo che gli altri da te si aspettano. Ma la laurea non ti sfugge più, una volta raggiunta. Quella del laureato diventa una condizione, uno status. Allora dovremmo scrollarci di dosso, invece, la convinzione di potercela tenere sempre la felicità e non sentire più imbarazzo in sua mancanza. Essa, per sua natura, deve essere effimera, un continuo desiderio; non una bugia, la felicità non è una bugia. Per quanto, ci sono bugie che ti rubano l’anima, che ti fanno fe-

lice. Ecco perché la gente ama il teatro, starsene seduti ad assistere ad una finzione che più vera non si può. Come Arturo, il cui mondo all’esterno tuonava, ma per assurdo, la felicità gli sembrava proprio quell’angolo. La sentiva! La gustava. Il suo momento ovattato, era proprio lì, dietro le quinte: un sogno quando era bambino, un sogno per tanto tempo, un sogno ancora oggi. Il tutto pare essere quasi una matriosca, un lungo attimo di felicità intensa ogni sera, ma fuori invece una vita per niente al velluto anzi. Proprio come il chiasso della scena e il silenzio dentro al chiasso. Una felicità a portata di mano, custodita, protetta, racchiusa, isolata, da vivere e basta, così com’è! Perché intanto che ti fermi a domandarti se è quella, i dubbi corrono veloci a chiudere il sipario. Antonio Coppola


I bambini, i bambini sono esseri felici per antonomasia; fanno ciò che vogliono, agiscono secondo movimenti di cui non sono ancora padroni, seguono un colore, un insetto, e un attimo dopo la loro mente vola di già attraverso un flusso di altri pensieri. Avete mai provato a pensare che, catturato in un’istantanea, il pensiero di un bambino sembrerebbe, forse, una macchia di Rorschach o, rovesciando la prospettiva, una macchia di Rorschach sembrerebbe una bavetta macchiata di omogeneizzato?!?

Con tutta probabilità forse non lo pensò mai neanche Hermann Rorschach stesso. Eppure considerando che nel 1921, anno in cui scrisse il libro Psychodiagnostik, destinato a formare la base del test che prese il suo nome, e che solo 9 anni prima, nel 1912 a Cody nello stato del Wyoming, nasceva Jackson Pollock, che di bavette ne aveva e ne avrebbe macchiate abbastanza, i presupposti ci sarebbero stati tutti. Ciò mi induce anche a domandarmi, cosa ci avrebbe visto, se ipoteticamente avesse avuto l’intuizione di esa-

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minare le bavette e le successive opere di quel bimbo. Sono pronto a giurare che ci avrebbe visto la felicità, chiamatemi pure Muzio Scevola! Pollock era un bambino, ultimo di 5 figli, un bambino felice, a cui, come molto spesso accade, i genitori proibirono di scrivere sui muri, di ingoiare pongo, di inalare polvere di gesso et voilà, tutte imposizioni che divennero presto traguardi di libertà. Di lì a poco, (per gli amanti del “eppure te l’avevo detto”) già all’età di quindici anni sarebbero cominciati i suoi problemi di


che mordicchiato) appena intinto nel fango. L’importantissima innovazione apportata dalla sua tecnica alla pittura, consiste in un modus operandi fatto di ampi, dispotici, dinamici movimenti di pennello su una tela che non rappresenta una possibilità per esprimersi, ma un campo giochi su cui divertirsi. All'interno di questo modo di considerare la pittura e il suo supporto materiale, la tela, mise a punto una tecnica chiamata "dripping" (letteralmente "sgocciolamento"), consistente nel far gocciolare il colore su una tela posta in orizzontale, determinando le scivolature del colore con gesti mistico–rituali che ricordavano riti magico–propiziatori degli indiani d'America. Le opere così realizzate si presentano come un caotico intreccio di linee e macchie colorate, con una totale assenza di organizzazione razionale, tanto che tale tecnica fu denominata action painting. Ciò che P. crea è "un atto incapace di assolvere alla funzione di comunicare per l'assenza di immagini definite", ma che allo

in queste pagine: Jackson Pollock

alcolismo, a causa dei quali fu espulso due volte per indisciplina rispettivamente dalla High School di Reverside prima, e dalla High School di Los Angeles poi. In quegli anni, si interessò molto della teosofia mistica, specialmente alle dottrine di Jiddu Krishnamurti, un mistico indù che viveva in California, secondo il quale la felicità poteva essere raggiunta solo attraverso la scoperta e la coscienza di sé, insegnamenti che probabilmente ne influenzarono la vita e la concezione di sè nell’arte. Ora è bene effettuare una premessa: a Pollock, di tutti voi che leggete, di me che scrivo di lui e della comunicazione in generale non gliene fregava un bel niente! Per lui "la pittura è un modo di essere" lontano dall’esigenza di voler passare un qualsivoglia messaggio, svincolata dall’incontro con i gusti e le mode del periodo; Pollock, con in mano un pennello, era uguale a un bambino seduto col suo bel pannolone in una folle pozzanghera di arcobaleno che sorride agitando un bastoncino (forse prima an-

stesso tempo lascia esterrefatti gli spettatori catturati dalla cruda energia che emanano le sue opere. Suo e nostro malgrado, questo nuovo stile venne inizialmente guardato con diffidenza dai critici americani ed europei, cosa che probabilmente non fu di facile digeribilità per Pollock. Turbato così il suo personale modo di prodursi la felicità, fu colto da depressione e ricominciò a bere. Nell’opera “Pali Blu” realizzata nel 1953, nome derivato dagli otto segmenti che variamente inclinati lungo l’intero dipinto gli conferiscono una certa spaziatura, P. sulla tela distesa per terra e con l’ausilio di batuffoli di cotone, pennelli da verniciatore e bastoni, fa colare fini rivoletti di vernice, che in base a movimenti coreograficamente sciamanici, formano zone con maggiore o minore intensità di colore. L’opera è stata interpretata come “il grido disperato della ragione sopraffatta dall’urlo dell’irrazionale”, a testimonianza del momento di infelicità che stava vivendo. Egli era solito ripetere sempre che “ogni buon artista dipinge solo ciò che è”, in questo caso un bambino non più felice. Jackson Pollock morirà poi l’11 agosto 1956 in un incidente stradale, ubriaco al volante della sua auto, sopravvivendo a Rorschach, morto un anno dopo la pubblicazione del suo libro, che forse avrebbe potuto diagnosticargli una cura. Francesco Tripaldi

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Basta poco per far sorridere un bambino. E basta ancora meno perchè un adulto abbia nostalgia di quei facili sorrisi. Più si cresce, meno si sorride. Con l'approssimarsi del Natale, penso e ripenso a tutte quelle sane idiozie che mi rendevano la vita meravigliosa. E felice. Così mi ritrovo davanti alla libreria della mia stanza. Tra i ripiani più in alto conservo la letteratura della mia infanzia. Quella che mi faceva star bene, mi distraeva, mi faceva pensare e ridere, soprattutto ridere: i fumetti. Quanti ne leggevo! Prendo un albo a caso. È datato 1992. Guardo la copertina. E sorrido. È un albo di Cattivik, il nero genio del male. Le storie di questo strano personaggio, piriforme, con l'accento napoletano, domiciliato nelle fogne, erano in realtà le sue di-

savventure. Cattivik rappresentava la perfetta parodia di Diabolik, Satanik e degli altri eroi criminali che hanno riempito gli scaffali delle edicole dalla fine degli anni '60. Adoravo Cattivik. Era bello tifare per lui pur sapendo che non sarebbe mai riuscito a realizzare un grande colpo in banca o il furto di un lecca lecca ad un bimbo indifeso. Niente da fare, la sorte non era mai dalla sua parte, e il più delle volte il nostro eroe finiva tagliuzzato, divorato, calpestato, picchiato, schiacciato o sbriciolato. E, come ogni buon personaggio dei fumetti che si rispetti, immediatamente si rialzava e ricominciava a saltellare (o dovrei dire "rimbalzare") tra i vicoli bui della città, sghignazzando, impugnando saldamente il suo inseparabile coltellaccio da cu-

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cina, pronto ad affrontare il suo antagonista n° 1, Gino Solitomino, cittadino medio, anzi, mediocre, buon uomo, perbenista, ligio al dovere.


Qualche mio compagno di scuola, leggendo una storia di Cattivik, definiva il personaggio demenziale, idiota, per niente comico. Le avventure della "pera meccanica" apparivano, ai più, prive di una trama sensata. Può darsi che avessero tutti ragione. Può darsi che Cattivik fosse soltanto un fumetto leggero, ma ironico, e comunque senza troppe pretese. Io però ammiravo quelle che, a mio avviso, erano le reali intenzioni degli autori di questo fumetto (il grande Bonvi in primis, Silver poi): il loro era per me un palese tentativo di deridere la società che si stava costruendo negli anni in cui lo leggevo, fondata su meccaniche sbagliate, sulla monotonia della vita quotidiana, sui falsi miti del progresso sconsiderato, sulla lotta all'arricchimento fine a se stesso (beh, stiamo parlando degli anni 80, qualora non fosse chiaro). Io ritenevo che Cattivik, sotto quella calzamaglia da ladruncolo, nascondesse la tempra di un rivoluzionario, o almeno quella di una vittima. Non amava le buone maniere, l'igiene, il linguaggio raffinato, anzi, era la personificazione dello squallore più totale. E con quanti riducevano il mio Cattivik ad un mero comic di serie B, e che oggi magari vanno matti per i Simpson, preferisco tacere, o perlomeno evitare di affrontare l'argomento. Cattivik nasceva almeno una decina d'anni prima della sitcom animata americana che ha dettato legge sino ad oggi. E poi, come non adorare quei disegni così unici nel panorama fumettistico italiano? Il personaggio ha sicuramente avuto un'evoluzione del tratto grafico eccezionale. Ognuno tra i disegnatori di Cattivik ci ha messo del suo, cosicchè, nel giro di 30 anni circa, il nero genio del male è passato dalla forma di una melanzana

(così lo ha inventato Bonvi) a quella di una castagna (com'è riprodotto in queste pagine dal magistrale Bonfatti), passando dal classico aspetto "a pera" disegnato da Sommacal, Buffagni ed altri. Insomma, a mio modesto avviso, leggere Cattivik significava godere di una buona mezzora di pura ironia demenziale (quella che piace tanto oggigiorno) mista a tutti quegli elementi stilistici che appartengono al fumetto d'autore. Eppure questo simpatico personaggio non veniva pubblicato dalla "Sergio Bonelli Editore" (la casa editrice di Tex e Dylan Dog), quella che ancora oggi sopravvive, unica, alla grande crisi che ha investito negli ultimi anni il mondo dei comics e che detiene notoriamente il primato sul "fumetto di qualità". Sarà per questo motivo che, improvvisamente, Cattivik è scomparso dagli scaffali delle edicole, anche da quelle più fornite. Da quel giorno ho iniziato delle ricerche, che, fino a qualche tempo fa, non hanno portato a niente. Sembrava davvero che qualcuno stesse cercando di portarmi via uno dei ricordi più felici della mia infanzia.

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Poi, all'improvviso, un paio di anni fa, saltando da un canale all'altro, scoprii che il mio Cattivik era diventato un cartone animato. Seppur inizialmente entusiasta, ben presto mi resi conto che di quel personaggio fin qui descritto era rimasto davvero poco: snaturato in tutto e per tutto, nei disegni, nei dialoghi (anche se doppiato dal grande Giorgio Bracardi) e nelle dinamiche. Insomma, quella che doveva essere una fantastica vetrina per Cattivik, un modo per avvicinare le nuove generazioni al personaggio e al mondo dei comics in generale, ha invece decretato (spero non definitivamente) la fine del simpatico ladruncolo. Venni a sapere che, sporadicamente, qualche avventura di Cattivik veniva pubblicata negli albi di "Lupo Alberto", e che alcune ristampe furono prodotte e rese reperibili, a richiesta, come allegati. A me non resta che rileggere le vecchie avventure del mio antieroe preferito e tentare di ritrovare i facili sorrisi della mia infanzia. Il crimine non paga. Neanche nei fumetti. Michele Nella


Dietro la felicità ci sono verità scomode, tanto da provocare l’allontanamento da una comunità, specialmente quando chi ne parla vuole davvero la felicità delle persone che lo ascoltano. C’è una filiazione diretta tra l’epicureismo, il marranesimo della ragione e uno dei suoi più grandi profeti, Spinoza. Ma iniziamo dalle radici di questo pensiero che ha portato avanti il suo metodo nei secoli, rendendosi sempre più insopportabile per chi controlla la vita degli uomini tramite leggi e comandamenti. Epicuro scrive la Lettera sulla felicità a Meneceo, in cui parla di dei, morte, piacere e dolore. Perché è scomoda quella lette-

ra? Perché dimostra che della morte non bisogna avere paura, perché se c’è lei non ci siamo più noi, e se noi ci siamo lei non c’è. È scritto che neanche gli dei sono temibili, perché non si fanno certo i fatti nostri e quindi, si legge tra le righe, i responsabili delle nostre gioie, come delle nostre disgrazie, siamo noi e chi ci circonda. Del piacere dice di non privarsene e di non eccedere per non diventarne schiavi. Sul dolore dice di non cedere ad esso, perché se debole è sopportabile, se forte ci ucciderà prima che noi abbiamo il tempo di averne paura. Beh, allora? Dov’è la scomodità di questi pensieri? Immaginate se tutti smettessero

di avere paura degli dei, tutti i tipi di sacerdoti di qualunque religione su chi governerebbero? E se smettessimo di avere paura del dolore e della morte, potrebbero mai partiti politici prendere voti basando la loro campagna elettorale sulle nostre paure più ataviche (lo straniero ammazza, stupra, ruba, lo straniero è il male!). E infine, se cedessimo al piacere solo il giusto, non potrebbero considerarci solo come consumatori (e mai come cittadini)! Se ci prendessimo il piacere solo nel giusto, come potremmo farci imbambolare da una costellazione di culi, tette e status simbol in tv? Solo un popolo triste si fa governare, un popolo felice è un popolo libero! Andrea Samela

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ALESSANDRA AMOROSO IN CONCERTO

Il 20 dicembre, al Palalottomatica tornerà ad esibirsi per il suo pubblico Alessandra Amoroso. Dopo il lancio del suo nuovo album (“Il Mondo in un Secondo”, uscito il 28 settembre), sono state annunciate le prime due date di concerti live di Alessandra Amoroso per il tour 2010. La cantante sarà in concerto a dicembre a Roma e a Milano dove, oltre ai primi successi, presenterà in versione live le canzoni del nuovo album. Per i sempre più numerosi fans di Alessandra Amoroso, queste sono le prime due date già annunciate e confermate di concerti live da non perdere!

JESUS CHRIST SUPERSTAR

Dopo undici stagioni consecutive di repliche, oltre un milione di spettatori, più di cento artisti alternatisi nel cast e la memorabile edizione nel 2000 con Carl Anderson, ritorna lo spettacolo-record, firmato Massimo Romeo Piparo, che ha cambiato il corso del musical in Italia. A quindici anni dallo storico debutto, ecco di nuovo sul palco una produzione esplosiva che farà rivivere i fasti dell’opera rock più amata dal pubblico italiano. Il Jesus Christ Superstar di Piparo è il primo prodotto in Italia, l’unica versione peraltro ad avere avuto il riconoscimento del Vaticano. Info e biglietti su ticketone.it

ROMA IN DANZA 2011

Più di 60 docenti e 50 lezioni al giorno gratuite! Oltre 10.000 metri quadri per tre intere giornate dedicate interamente alla danza: stage, spettacoli, lezioni, ospiti d’eccezione, convegni, concorsi, audizioni, esposizione, area cinema, relax e tanto altro! Tra gli insegnanti e gli ospiti: Raffaele Paganini, Alessandra Celentano, Carl Portal, Little Phil, Steve la Chance, Andrè de la Roche, Elisabetta Terabust; questi sono solo alcuni dei grandi nomi che faranno parte del cast docenti. Madrina della manifestazione: Carla Fracci. Troverai la vera Danza a 360°. Per saperne di più romaindanza.it

SALVADOR DALÌ. IL SOGNO SI AVVICINA

Salvador Dalí torna a Milano. Dopo la personale dell’ottobre ‘54, il genio surrealista ritorna a Palazzo Reale. Merito dell’esposizione va alla Fondazione Dalí di Figueres e ai prestiti provenienti da musei internazionali. L’allestimento è a cura dell’architetto Oscar Tusquets Blanca, amico e collaboratore di Dalí: autore, insieme con il Maestro, della sala Mae West nel museo di Figueres. Per la prima volta la sala di Mae West verrà realizzata all’interno del percorso espositivo così come fu ideata dallo stesso Dalí. Chiude il percorso il cortometraggio Destino di Salvador Dalì e Walt Disney, mai proiettato in Italia. Info su mostradali.it

CANTO PERCHÉ NON SO NUOTARE…

Dopo quattro stagioni, e più un milione di spettatori, lo show di Massimo Ranieri riapproda al teatro Carlo Gesualdo di Avellino. Un successo straordinario, tale da dover rinnovare un po’ il titolo: “Canto perché non so nuotare …da 500 repliche”. Durante lo show, nato in occasione dei 40 anni di attività, Ranieri canta, balla e recita, ripercorrendo le tappe più emozionanti della sua carriera e interpretando, oltre ai suoi successi, i brani dei più grandi cantautori italiani. Lo spettacolo ha i colori e le emozioni di un grande show in cui l’artista riesce a portare il pubblico a rivivere le atmosfere lontane di un’Italia “povera, ma con le scarpe lucide”. Info su teatrocarlogesualdo.eu

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MIFA JAZZ BIG BAND 2010

Il Festival Internazionale MIFA JAZZ Big Band 2010 a Matera è un evento eccezionale, quest’anno sarà inaugurato il 23 dicembre e continuerà nelle serate del 26, 27 e 28. Si tratta della seconda edizione della rassegna dedicata alle Big Band del Jazz in Italia. Le Big Band sono le più grandi formazioni musicali e costituiscono la più antica e autentica formazione orchestrale di questo genere musicale. Il festival si articolerà in quattro giornate dense di spettacoli musicali, seminari, conferenze, video-mostre fotografiche, proiezioni di film e jam sessions. Info su http://mifajazzbigband.weebly.com

SURVIVOR DI G.M.B. AKASH

La Galleria di Porta Pepice presenta la mostra fotografica “SURVIVOR”, del fotoreporter bengalese G.M.B. Akash che, per la prima volta, esporrà in Italia i propri lavori e sarà presente all’inaugurazione. Bengalese, Akash si è laureato in fotogiornalismo e ha frequentato i corsi della World Press Photo per tre anni. Si è subito imposto all’attenzione degli addetti ai lavori vincendo oltre quaranta premi internazionali e ottenendo pubblicazioni su varie testate. Nel 2009 ha ricevuto il premio come miglior fotografo dell’anno al TPOY 2009, il premio più prestigioso per i fotoreporter. A Matera esporrà una selezione dei suoi migliori lavori. Info su galleriaportapepice.com

NON SON 2, NON SON 3, MA SON 4 I NOSTRI RE

Lo spettacolo è un racconto sull’amore, la generosità e la tolleranza. Due povere mendicanti vivono ai margini della società, tra montagne di spazzatura e inquinamento. È inverno, il gelo domina e il cibo scarseggia. La sopravvivenza è sempre più dura e gli animi sempre più rissosi e pervasi di egoismo. Ma un bel giorno a causa di uno strano incidente le due poverette svengono e cominciano “a sognare lo stesso sogno”. Si trovano in viaggio per Betlemme dove, si dice, risplende una stella… Il viaggio è insolito e paradossale ma vivere insieme le gioie e i dolori le renderà più tolleranti ed altruiste. Al risveglio tutto sembra cambiato... Info su comune.potenza.it

KENGIRO AZUMA A MATERA

La tradizione dei panificatori e degli artigiani materani incontra l’arte: si inaugura domenica 21 novembre 2010 al MUSMA, la mostra Kengiro Azuma a Matera: 32 sculture in terracotta, maiolica e impasto per il pane. Azuma in questa esposizione propone anche la sua idea di cucù, il tradizionale fischietto materano. L’artista ha realizzato questi lavori a Matera tra l’ottobre 2009 e l’ottobre 2010, durante il periodo di preparazione, allestimento e esposizione della 24a edizione dell’evento Grandi Mostre nei Sassi che il Circolo culturale La Scaletta gli ha dedicato. La mostra Kengiro Azuma a Matera resterà aperta al pubblico fino al 29 gennaio 2011. Info su musma.it

L'ORO DI NAPOLI

Questa edizione teatrale de “L’Oro di Napoli” di Giuseppe Marotta (con Luisa Ranieri e Gianfelice Imparato) non sarà, come ormai troppo spesso accade in teatro, una pedissequa riproposta del film di De Sica ma, una ricomposizione totalmente nuova dei suoi racconti, di cui alcuni sfruttati anche dal film e altri completamente inediti da un punto di vista spettacolare tratti direttamente dagli scritti di Giuseppe Marotta. Una dichiarazione d’amore per Napoli, città splendida e miserabile, e per i suoi abitanti, disperati, poveri, ricchi di fantasia, magnifici, capaci di inventarsi la vita giorno per giorno. Info su lapirandelliana.it

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PREMIO GIULIO VERNE

Concorso di letteratura fantascientifica - Prende il via la seconda edizione del “Premio Nazionale di Letteratura Fantascientifica Giulio Verne”. Al fine di esaltare l’immagine e l’importanza del concorso, all’autore del racconto primo classificato verrà assegnata la somma di 500,00 euro. Tra i vari riconoscimenti, verrà attribuito il “Premio Speciale della Giuria” e il “Premio Miglior Giovane Autore”. Quest’anno, nel ruolo di giurato, il famoso scrittore di fantascienza Donato Altomare autore di vari libri di successo. Per ulteriori informazioni sui premi, sulle varie attività collegate e per scaricare il bando di concorso si rimanda al sito levantecon.it

VIDEO FESTIVAL IMPERIA

Concorso di arte cinematografica - Dopo la straordinaria crescita della 5° edizione che ha visto 685 opere iscritte da 51 Nazioni, prende il via l’edizione 2011. Riconfermate le tradizionali e apprezzate categorie divise in professionisti, amatori, internazionali ed explorer e le loro molteplici sezioni. A grande richiesta sono state inserite le nuove sezioni dedicate ai Videoclip e ai Visual Effect. Sarà ora possibile partecipare anche con opere non più lunghe di cinque minuti per la prima e quindici minuti per la seconda senza distinzione tra professionisti e amatori. Info su videofestivalimperia.org

LA DARSENA NELLA CITTÀ

Concorso di idee - La Fondazione Fano Solidale bandisce un concorso di idee per la riqualificazione del “waterfront” dell’area portuale della città di Fano. I progetti dovranno mirare alla riqualificazione delle aree prospicienti il porto. Occorre sanare “la ferita” costituita dalla mancanza di adeguati collegamenti tra l’area portuale e il resto della città. Lo studio dovrà anche indicare soluzioni innovative da prospettare alle amministrazioni che intendessero far propri i progetti segnalati o parte di essi. La proposta prima classificata sarà premiata con € 11.000,00, al secondo e terzo sarà corrisposta la somma di € 2.000,00. Info su fondazionefanosolidale.it

IL GIALLISTA INEDITO

Concorso di letteratura - Dopo il concorso “Il giallista” è arrivato “Il Giallista inedito”. Un concorso letterario riservato esclusivamente a opere inedite, di genere giallo/mistery e narrativa. Il primo classificato, di ciascuna sezione, vincerà la pubblicazione gratuita presso la casa editrice Arduino Sacco editore, mentre, il secondo, terzo, quarto e quinto classificato saranno pubblicati gratuitamente, in edizione ridotta, in una antologia, sempre con la Arduino Sacco editore. Il bando integrale lo trovate su http://ilgiallista.blogspot.com per tutte le altre informazioni contattare matangels@virgilio.it

UNA FINESTRA SUL MONDO

Concorso fotografico - L’associazione Colacatascia di Avigliano è impegnata da diversi anni nella promozione e nella diffusione della cultura del cortometraggio e della fotografia. Dopo il successo della 1° edizione del concorso “ri...tratti di vita” che ha richiamato un gran numero di partecipanti da tutta Italia, parte la 2° edizione del concorso fotografico, sul soggetto “Una Finestra sul Mondo”. Il concorso, aperto a tutti, prevederà l’assegnazione di 3 premi in denaro alle fotografie che la giuria riterrà maggiormente meritevoli. Le migliori foto partecipanti saranno oggetto di una mostra, della durata indicativa di una settimana. Info su colacatascia.it

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Molto spesso la felicità è stuzzicata da qualcosa di esotico, di insolito o di sconosciuto che incuriosisce i sensi. Di fronte ad un cibo che non abbiamo mai assaggiato o di cui ignoriamo la storia, la curiosità ci prepara all’assaggio: i sensi della vista, dell’olfatto e del gusto sono allertati e pronti a recepire ogni nuova sensazione. Davanti ad un’arancia o ad un mandarino – i frutti forse più consumati in inverno – l’impatto è poi “effervescente”: quante volte sbucciando questi frutti rugosi ci siamo lasciati inondare da quella breve e intensa esplosione sottilissima di bollicine di succo? Ebbene, alcuni di questi emanano in quello spruzzo anche una storia affascinante. Nella nostra regione esiste una terra “felix” dove gli agrumi vengono coltivati dal IX-X secolo d.C.. È la zona dei “Giardini di Tursi e Montalbano Jonico” in provincia di Matera.

Una lingua di terra che costeggia il fiume Agri, una sorta di oasi che guarda da una parte al mare, dall’altra ai Calanchi, costoni argillosi e aridi unici al mondo. Qui alberi di aranci, limoni, cedri, mandarini – ed anche di peschi e percochi – rappresentano l’agricoltura “esotica” lucana. Lontano dagli alberi di perastro e fico delle zone interne, i saraceni hanno coltivato questo piccolo paradiso, portando per la prima volta gli agrumi in Basilicata. Lo stesso nome di questa zona conserva proprio l’accezione antica della parola araba “jardin”, che per i mediorientali era intesa come “frutteto”. La leggenda racconta che gli arabi mangiavano le arance a fette con la cannella, la cipolla e un filo d’olio, mentre le bucce venivano raccolte dagli abitanti locali e bollite in acqua e zucchero per farne il “giulepp”, o come si dice in altre zone il “naspro” (la glassa). Tra queste meraviglie di Tursi e

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Montalbano, c’è una particolare varietà locale di arancia che si chiama “staccia”. È stata notata nel ‘700 da una famiglia di Tursi che si era accorta di un cambiamento genetico spontaneo nel proprio aranceto. Rispetto alle arance comuni, è tardiva, matura a marzo; è dolce e senza semi, ha una forma grossa che può arrivare anche a un kilogrammo ed è schiacciata. Il suo nome rimanda a un gioco simile alle bocce, fatto con delle pietre chiamate “stacce”. Per la sua unicità è stata inserita tra i Presìdi Slow Food ed è oggi una vera e propria rarità da tutelare e salvaguardare. Davvero dei “giardini delle meraviglie”, questi frutteti di Tursi e Montalbano, ricchi di storie esotiche e curiose. Da visitare e da respirare. Da assaporare, lasciando che gli agrumi sprigionino in bocca quel solletico di felicità. Angela Laguardia


Che sapore ha la felicità? Dopo questo timido bacio confuso in un abbraccio pieno di ricordi e suggestioni? Due corpi che cercano di restituirsi odori, sapori, vibrazioni stipate oramai in fondo alla memoria. La guardo andar via saltando nella pioggia e scomparire mentre sul vetro rimangono le gocce a segnare il tempo nei miei occhi.

Che sapore ha la felicita? Provo a cercarla e ad immaginarla come un momento perfetto, composto di magia, sospensione, meraviglia pronte ad esplodere in un attimo. Questa campagna bagnata si fa intensa fino a stringersi attorno a me. Non un suono se non quello di Garbarek, quello del bicchiere che tintinna urtando contro il suo simile, della bottiglia posata sul tavolo, del sughero cavato, dell’aria, e infine lui: il vino. Eccolo, pronto a raccontare la

sua eleganza, la sua storia, la sua terra, quella della Côte D’Or. Impassibile e malizioso scivola dentro il bicchiere presentandosi fiero ed impettito, vestito di quel colore rosso prezioso e mistico. L’Imperatore di Borgogna, che incantò anche Napoleone, ha energia e carattere straordinari. Eclettico, folle, minerale, odoroso di spezie e frutti. Un giro di gusto attorno agli orizzonti del mondo che lo ha voluto ambasciatore dei suoi terroir. Che sapore ha la felicità? Il suo corpo lo avevo conservato dentro la mia memoria, leggero, sensuale, danzante. Ora avevo bisogno di tempo prima che potessi sentirlo nuovamente mio. In penombra la sua voce mi raggiunse setosa, fine, intrigante, sibillina. Come sempre d’altronde. Mille sfumature e note che si fecero emozioni e mi trascinarono in un altrove di percezioni. Dai vetri del mio bicchiere la pensai oltre il giardino bagnato, mentre la sua fragranza elegante ed il suo corpo morbido erano ancora persistenti alla mia bocca. Un desiderio raffinato, delicato, peccaminoso, continuava a tenermi legato al suo piacere. Che sapore ha la felicità? Quella fatta di tempi che non hanno fine quella del Pinot Noir. Al mio amico Fabrizio, anche lui incantato dall’amore per il Pinot e che infaticabile nell’Oltrepò, come un alchimista, sogna il suo saignée perfetto. Prosit e (solo per questa volta) Felicità. Wine_R

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La felicità consiste nel provare quello che c'è di bello nella vita. Si tratta di un’abilità individuale, e non di un’eventualità del destino: tutti sono stati felici, sono felici e ancora, possono essere felici, ma il problema è: come si fa ad esserlo? Esiste un metro di valutazione per la felicità? La risposta sta appunto nell’attesa, nel giorno prima appunto. Ognuno di noi ha qualcosa che ancora gli manca per essere felice: il matrimonio, un lavoro, la carriera, la casa, la laurea, la vacanza, la macchina, etc. L’evasione dal presente, la paura o la non volontà di reagire, la tendenza a temporeggiare, determinano l’idealizzazione del proprio futuro. La felicità, sempre rimandata all’indomani, continua a sfuggire sottraendosi al ciclo della nostra quotidianità, si nasconde nell’illusione che qualche forza prodigiosa o anche proveniente da qualche area nascosta del proprio sé possa finalmente risvegliarsi e risolvere per magia

tutti i problemi. Il più delle volte, l’infelicità deriva dalla sensazione di non avere, o non avere abbastanza, più di ciò che è necessario per vivere bene. Perché felicità significa sostanzialmente benessere. Molto spesso infatti si tratta di bisogni e status symbol indotti dalla società ed in particolare da quei manipolatori che, con logiche sottili e strategici piani di marketing, cercano di condizionarci nelle scelte e soprattutto nella vita di tutti i giorni. La felicità è effimera, così labile ma è direttamente proporzionale al tempo di attesa profuso per raggiungerla; ovvero tanto più è il tempo di attesa elargito, speso per raggiungere un obiettivo, tanto più sarà intensa la felicità, che non avrà più il sapore della mera soddisfazione ma dell’ardua conquista. La felicità è sensazione e emozione insieme. Sensazione perché gli impulsi, sia essi esterni che interni, vanno a stimolare e provocare effetti sugli organi di senso.

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Ma felicità è anche stato mentale e fisiologico associato alle modificazioni, emozione appunto. Ma cosa succede quando siamo felici? Cosa succede quando questa breve emozione ci cattura? Quando siamo felici sentiamo con maggiore intensità le sensazioni corporee e positive e con minore intensità la fatica fisica, la stanchezza psicologica (Trentin e D’Urso, 1992). Risulterebbe infatti, che le persone felici diventino oltretutto più estroverse, abbiano più autocontrollo e fiducia in se stessi, siano più propense a intrattenere rapporti interpersonali di grande successo. Questo stato di benessere assoluto raggiunge la sua massima intensità nella gioia. Una persona felice si differenzia da una persona gioiosa per la veemenza e l’impeto dell’emozione stessa, sensazione, sempre commisurata al tempo impiegato per ricercarla e raggiungerla. Veronica D’Andrea



La felicità sta nell’inseguimento dei sogni, nella realizzazione di noi stessi. Felicità è anche scoperta di Paesi lontani, luoghi remoti, continenti inesplorati. Felicità è respirarne appieno l’essenza, scoprirne le meraviglie, viverne la cultura. Felicità è un brivido: imbarcarsi alla scoperta dell’ignoto. La ricerca della felicità mi ha portato in questa terra lontana dove il blu festoso dell’oceano si infrange su spiagge coralline bianche come latte. La vegetazione lussureggiante di foreste tropicali si affaccia su acque placide e calme dove riposano tranquilli i coccodrilli d’acqua salmastra. Descrizione di un viaggio, il mio, dove la solitudine si abbandona al tepore e al torpore del sole. È mattina presto quando arrivo in Queensland. Cairns si rivela da subito una town piena di vita, c’è ancora gente per strada: qui si cammina, si grida, è festa. La solitudine che mi fa compagnia sin dall’arrivo in questa terra lontana e ancora poco inesplorata si vanifica con le prime luci dell’alba. Il primo giorno

sono in esplorazione. Qui il sole è un Gigante cattivo, un mostro da cui proteggersi. Le sue vampate eccessive bruciano il piacere del tepore. Passeggio sulla Esplanade, il lungo oceano della città. Entro in contatto con i Queenslander, gli abitanti del Queensland, la cui cordialità mi lascia senza parole. Si offrono di portarmi in giro per la città. Mi mostrano la Lagoon con le fontane a forma di clown fish (il pesciolino di Nemo per intenderci): vedo l’Harbour, il porto, mi perdo su uno dei tanti pontili del Fleet Reef Terminal da cui partono barche e catamarani per la Grande Barriera Corallina. Mi imbarco l’indomani e quello che vedo è magia: anemoni nelle quali risiedono spensierati piccoli pesci rossi a strisce nere, i pesci pagliaccio. Mi giro e davanti a me ecco una miriade di pesci pappagallo, pesci unicorno, stelle marine, coralli blu iridescenti e rosso rubino, tartarughe marine gigantesche e piccoli squaletti: una biodiversità che lascia a bocca aperta. Mentre faccio snorkel-

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ling incontro Roky, un pesce enorme azzurro dalla “fronte” gialla, e scopro che Roky, prima di diventare Roky, era in realtà Roxie. Tra pesci che cambiano sesso dopo lo sviluppo mi accorgo di essere nella parte del mondo voltata a testa in giù. Rido, mi appassiono alle storie sui pesciolini e mi emoziona pensare che molti di loro passino la vita intera con un solo partner, un solo ed unico compagno per la vita, e se per caso questi muore, l’altro morirà subito dopo per broken heart, cuore spezzato. Il mio spirito romantico si lascia trasportare dalle onde dell’oceano e, senza rendermene conto, sono già di ritorno. Uno strano sentimento che inizia ad impossessarsi di me, o che forse mi ha fatto compagnia senza che me ne rendessi conto. Una sensazione di piacere misto a gioia fanciullesca. Scopro che questo sentimento è comunemente chiamato felicità. Mi ritengo fortunata di averla assaporata, in una bella giornata di settembre. Manuela Grieco


C’è tanta gente che sceglie l’infelicità. Parlo dell’infelicità ponderata, definita, voluta. Quella che consapevolmente decidi di abbracciare. L’infelicità come sinonimo dell’inevitabile, del “non posso farne a meno”, del “Ma sì, in fondo si vive uguale anche così”. Senza capire che quella scelta fa parte della tua vita, influenzando il corso proprio della tua esistenza, non di qualcun altro. Paradossalmente, pare sia più semplice optare per l’infelicità piuttosto che per la felicità. Il punto è: cosa è la felicità? È una vita senza problemi? No, quella si chiama tranquillità. È una vita in salute? No quella si chiama serenità. È una vita al riparo da delusioni? No, quella si chiama sicurezza. Tranquillità, serenità e sicurezza sono categorie importanti nell’esistenza di ognuno, ma siamo sicuri di esistere solo per confortarci dell’idea che “anche

oggi non ci è successo nulla di spaventoso”? Incontro persone per le quali risulta inaffrontabile porsi delle domande, chiedersi se la vita che si sta vivendo è davvero quella che si vuol vivere (guardarsi dentro è sempre molto difficile, soprattutto quando le risposte ci fanno male). Lì dove, invece, certi interrogativi vengono sollevati, la crisi è certa: che prezzo ha la felicità? Quanto valore ha un attimo di fulgida verità di fronte alla sicurezza che si perde, a una tranquillità che si baratta, a una serenità che vacilla? Come disse saggiamente Benazir Bhutto: “Un veliero in porto è al sicuro, ma non è per questo che i velieri sono stati costruiti”. Sono le vele il vero motore, quelle che fiere si aprono e seguono il vento. Cos’è la felicità se non quel vento che ci porta avanti e ci allon-

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tana dal porto? È quella carezza che non ci aspettiamo, è il brivido che avvertiamo sulla pelle, quell’attimo di viva esistenza che ci urla: “Ci sei anche tu su questa terra!”. È la manifestazione della vita stessa, quel lampo che illumina la tua anima e ti spiega perché sei venuto al mondo. I detrattori della felicità mi diranno che però la sicurezza di una vita tranquilla dura di più, è ipotecabile, da più garanzie... Ebbene, il prezzo da pagare è ben più alto: la noia e l’insoddisfazione non tardano ad arrivare. Un momento di grazia dura sempre e solo un momento, è vero, ma la vita è piena di questi momenti, di sorrisi improvvisi, di occhi lustri di fronte a un regalo inatteso, di abbracci spontanei che ti riscaldano. C’è un paradiso oltre le nuvole. Giovanna Caivano


Il tema non è certo di facile approccio, perché la ricerca della felicità è lo scopo di ogni individuo, il quale si muove e dirige le sue azioni verso la conquista di questo difficile obiettivo... Solo che, strada facendo, si dimentica da dove è partito e perché è partito, distratto com’è da ciò che lo circonda e lo “arruola” nel vortice del “tutto ha un prezzo” e dall’illusione che la “ricchezza materiale” possa procurargli quel passepartout per quel mondo fatato. La felicità, però, non si compra, né si baratta; è un sentimento che regna nell’animo di ogni essere umano capace di comprendere che essa non è irraggiungibile, né può essere imitata. “Renditi conto che la vera felicità è dentro di te... Porgi la mano.

Condividi. Sorridi. Abbraccia. La felicità è un profumo che non puoi versare sugli altri senza ritrovarti con qualche goccia addosso. (Og Mandino). Credo che amare se stessi sia l’essenza vera della felicità, perché tutto il resto avviene a cascata: se ami te stesso, ami gli altri, rispetti e ami tutto ciò che ti circonda… e inevitabilmente sei felice perché ti accetti senza confronti, ti riconosci con le tue ansie, le tue paure, le tue indecisioni; ridi e sorridi agli altri e alla vita. Quando uno ride, vedi un po’ la sua anima, perché quando si ride, ci si muove, ci si scuote come un albero e si lasciano per terra le cose che gli altri possono vedere e magari cogliere. Gli avari e coloro che non hanno niente da offrire, infatti, non ridono (Roberto Benigni). Come mai allora tanta infelicità e insoddisfazione, quando tutto è

così semplice? Perché l’essere umano dovrebbe, prima di tutto, riconoscere che nulla è più meraviglioso del fatto di essere vivi, avrebbe migliaia di ragioni per ringraziare, ma non lo vede... È un ingrato! Vi invito a leggere la poesia di Kirk Kilgour, famoso campione olimpionico di pallacanestro, rimasto paralizzato nel 1976 a seguito di un incidente durante un allenamento. La poesia si intitola Chiesi a Dio e l’autore l’ha letta al papa durante il Giubileo dei malati a Roma; ne cito solo una piccola, ma essenziale, parte: Domandai a Dio tutto per godere la vita: mi ha lasciato la vita perché potessi apprezzare tutto. "Grazie" è una parola troppo semplice per chi si è troppo evoluto per poter amare la semplicità; perciò perché non complicarsi la vita rincorrendo qualcosa che più ci si affanna nella ricerca e più la si vede lontana e irraggiungibile? Anna D'Andrea


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Le feste natalizie si avvicinano e il nostro cervello inizia anche in questo caso a farsi i conti in tasca! Regali, regalini, “pensierini” etc. etc. pensati per tutti e per non dimenticare nessuno. Talvolta ci limitiamo a dare gli auguri con un sms originale copiato da chissà dove. Se siete, invece, alla ricerca di qualcosa di originale, ecco che (come sempre) il web vi viene incontro. Che ne pensate di inviare a tutti i vostri contatti Facebook o tramite mail una cartolina digitale creata da voi? Una cartolina con musica selezionata, con un video scelto da voi su YouTube, testo e foto di propria produzione! Bello no? Oggi tutto questo è possibile attraverso alcuni servizi online che internet ci mette a disposizione. Iniziamo a vederli: Episend (www.episend.com) vi

permette di creare delle cartoline digitali in 4 semplici passaggi, inserendo tutto ciò che vi piace, da inviare a tutti i vostri amici su Twitter o su Facebook. Servizio simile è Sherenik (www. sharenik.com), che vi mette a disposizione decine e decine di e-card personalizzabili. Altro servizio stupefacente è Easyhi (www.easyhi.com), che vi permette di creare meravigliose cartoline multimediali da condividere davvero su tutti i social network o da inviare tramite mail, con tantissime personalizzazioni ed effetti… provare per credere! Per tutti gli appassionati del pc, che si ritrovano spesso ad operare con contenuti multimediali di vario genere non posso che consigliare questa grande utility "all-in-one", totalmente gratuita, che vi consente di fare tutto in un’unica finestra: il suo nome è Free Studio (www.dvdvideosoft.com/free-dvd-video-softwa-

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re.htm). Per tutti i miei amici appassionati del magnifico sistema della mela mangiata, ossia il mac, ecco una recente ed efficiente risorsa online che li farà davvero felici: All my mac apps (www.allmymacapps.net), ossia un’interessante directory di applicazioni, con tanto di motore di ricerca integrato, tutta dedicata agli utenti mac. Buon divertimento and "an Happy Christmas Web Day"! Mimmo Claps


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