Brek Magazine numero 7

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IN COPERTINA: Erik Reis “Playing Hopscotch with a Red Dress ”

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BREK.ZOOM 03. Materasso o Cassaforte? 03. “Agente, mi porti il menù!” 04. Doppio strato di cultura 04. Inseguimento a 20 Km/h 05. Intimo Decoro 05. Tutta colpa delle fate PROSPETTIVE METROPOLITANE.SOCIETÁ 06. Guardami, guardami, guardami PROSPETTIVE METROPOLITANE.POLITICA 10. Giocate gente, giocate! PROSPETTIVE METROPOLITANE.COSTUME 12. Breve riflessione sul gioco

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INCONTRI.AMNESIAC ARTS 15. Giocare per arte INCONTRI.GIUSEPPE GRANIERI 18. Umanità Accresciuta INCONTRI.OSTERIA GAGLIARDI 20. Il piacere di un lungo viaggio ATMOSFERE.CINEMA 24. Sogni e Delitti ATMOSFERE.MUSICA 26. Mike Patton: the gambler ATMOSFERE.MODA 28. Life in plastic is fantastic ATMOSFERE.LIBRI 30. Quando il gioco diventa una cosa seria ATMOSFERE.VINO 31. Intenso, fruttato, armonico ATMOSFERE.VIAGGI 32. É tempo di vacanze... finalmente!

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FUORICAMPO.VISIONI 36. Quando arriva sabato? 38. Giocando si impara… a costruire una nazione 40. Io e voi. Giochiamo? 41. Il gioco della vita

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FUORICAMPO.TECNOLOGIA 42. Les jeux sont faits EDITORE Soc. Cop. Sociale a r.l. via Nicola Sole, 73 85100 Potenza DIRETTORE RESPONSABILE Rossella Sagarese HANNO COLLABORATO Mimmo Claps Anna D'Andrea Alessandra Carlucci Davide Galasso Michele Guido Marika Iannuzziello Massimo Lovisco

Nicola Pace Andreina Serena Romano Leonarda Sabino Donato Sabia Andrea Samela Simona Simone Gabriel Tripaldi Vito Colangelo WineR. PROGETTO GRAFICO O.S. Italia Soc. Cop. Sociale a r.l. IMPAGINAZIONE Michele Nella

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GRAFICA PUBBLICITARIA Riccardo Telesca PUBBLICITÁ O.S. Italia Soc. Cop. Sociale a r.l. tel. 0971 36703 fax 0971 25938 STAMPA Grafiche Gercap / Foggia BREK garantisce la libertà di pensiero e di espressione. Per questo motivo ogni collaboratore è singolarmente responsabile delle proprie idee e di ciò che scrive. Autorizzazione Tribunale di Potenza nº 376 del 7/5/08


Il materasso è il posto più sicuro dove nascondere i soldi? I nostri nonni lo pensavano, ed anche noi lo abbiamo pensato più volte, ma la storia di una donna di Tel Aviv ci insegna molto in questo senso.

L’Israeliana aveva conservato nel suo materasso i risparmi di una vita, una somma davvero molto alta, un milione di dollari circa. Ma non aveva fatto i conti con il figlio. Il giovane, poverino, non ha colpe: lui non sapeva che ci fosse quella fortuna nel materasso della madre. Altrimenti non avrebbe di certo pensato di farle questa bella sorpresa: senza dirle nulla, ha pre-

so il materasso della donna, lo ha gettato via, per regalare uno nuovo alla madre. La donna, venuta a conoscenza della sorpresa fattale dal figlio, è partita per un viaggio tra le discariche di tutto il paese. Ma niente da fare: il materasso era già a Ganei Hadas, dove, nella più grande discarica del paese, il materasso è andato smaltito con tonnellate di altri rifiuti. Chissà come dorme, sul nuovo materasso!

Un uomo di Taiwan, disoccupato, ha rubato una scatola di strofinacci di cotone al solo scopo di essere arrestato. Per quale motivo? Semplicemente perchè l’uomo sentiva la mancanza dei pranzi della prigione della polizia. Nulla di strano, se si pensa al fatto che lo strano ladro di galline, proprio il giorno precedente, aveva rubato un paio di scarpe, ed era stato arrestato dalla polizia, ma immediatamente rilasciato.

Il cibo avuto durante la brevissima detenzione lo ha però convinto a commettere un altro piccolo furto, per avere un altro pranzo gratis. Gli agenti, viste le difficoltà economiche dell’uomo, non hanno esitato a offrirgli un altro pasto. Ma lo hanno di nuovo rilasciato, con una certa delusione del ladro, che sperava di avere qualche pasto gratuito in più. Sarà bene che gli offrano un lavoro, piuttosto che un pranzo di tanto in tanto.

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Koji Suzuki è un famoso scrittore giapponese, che ha scritto, tra gli altri, libri di grande successo come “Dark Water”, “Spiral” e, il ben più noto, “The Ring“. Ora questo autore di libri nipponico ha pensato di far uscire la sua ultima fatica su un supporto non proprio consono: la carta igienica. Lo scrittore giapponese ha infatti dato alle stampe, se così si può dire, il suo ultimo libro, che si intitola “Drop“. Chissà quanti fans si aspettavano un bel tomo rilegato, magari con la copertina rigida e il segnalibro a cordicella per non perdere il filo, e invece “Drop” di Koji Suzuki è stampato su carta igienica.

Una provocazione? Forse. Koji Suzuki nel suo libro parla proprio di una toilette pubblica: questa la location del suo romanzo. In Giappone i bagni in generale sono piccoli, stretti, tetri. Insomma, dei luoghi poco ospitali, perfetti per un horror. Perché non renderli più “abitabili” con un bel libro da leggere ogni volta che vogliamo? Ecco allora “Drop”, una storia che occupa lo spazio di 90 cm. Un libro sicuramente molto economico, perché costa 210 yen, qualcosa come 1 euro e 50 centesimi e sarà destinato ai bagni pubblici e ai locali. Un’idea singolare, che però ha un senso: quanti di noi si portano libri o riviste in bagno per passare il tempo? Così la lettura avviene su un oggetto che è tipico per quel locale. Mi chedo: una volta letto, si può usare la carta igienica per il suo scopo primario o potrebbe rappresentare un’offesa?

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Un 23enne tedesco è stato protagonista di una curiosa “fuga a bassa velocità”. Il giovane, infatti, era in discoteca con la sua ragazza, ma i due hanno litigato e lei se ne è andata da sola, lasciandolo a piedi. Il giovane, alticcio, ha pensato bene di rubare un trattore per tornarsene a casa. Qualcuno ha dato l’allarme alla polizia, dando così il via ad un surreale inseguimento. Infatti erano ben sei le pattuglie che stavano alle calcagna del trattore, che dal canto suo “fuggiva” a meno di 20 chilometri all’ora. Gli agenti, dopo aver intimato l’alt, hanno tentato di usare lo spray al pepe contro il giovane fuggiasco, sfruttando un finestrino lasciato aperto nel mezzo, ma senza risultato. Anche il tentativo di utilizzare le strisce chiodate per forare le gomme del trattore è stato privo di successo: troppo spesse. L’assurda fuga si è conclusa solo dopo 40 minuti, quando la polizia ha deciso di sparare alle gomme del trattore, che iniziava a diventare un pericolo per gli altri automobilisti, dopo aver rischiato di colpire alcuni mezzi in transito.


Il consiglio comunale di Brooksville, Florida, ha approvato un regolamento che impone a tutti i dipendenti della città di indossare biancheria intima, utilizzare il deodorante e portare vestiti “adeguati”. Inoltre eventuali tatuaggi e cicatrici dovranno essere nascosti dai vestiti durante l’orario lavorativo. L’unico voto contrario è stato quello del sindaco, preoccupato dal fatto che non è chiara nè l’interpretazione esatta da dare alle norme, nè a chi spetti farle rispettare, o anche semplicemente verificare che siano rispettate. Per dirla con le parole del sindaco, infatti, è facile finché si tratta di una donna che non indossa il reggiseno e si vede in trasparenza, ma chi è che controlla se un dipendente comunale indossa le mutande? Tuttavia i promotori della legge spiegano che lo scopo è unicamente quello di creare un quadro legislativo qualora in futuro si creassero dei casi, dato che finora non ci sarebbero stati “problemi”.

Tutto il mondo pullula di leggi strane, ma probabilmente nel campo delle costruzioni di edifici le leggi islandesi vincono il primato dell’originalità. Infatti (almeno secondo quanto riportano diverse imprese straniere che hanno effettuato lavori nel paese), il governo stesso pretende che venga assunto un esperto che verifichi che la costruzione non disturbi il “popolo nascosto”: fate, gnomi ed elfi. Inevitabilmente, la cosa ha irritato molto le aziende dato che, oltre a dover sostenere le spese per la consulenza, hanno visto i

lavori ritardarsi di mesi. Tanto che alcuni manager commentano acidamente che questa mentalità avrebbe contribuito a condurre il paese nella grande crisi economia che sta vivendo.

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Ce lo dicono e ce lo insegnano fin da bambini. Il gioco è elemento indispensabile per la naturale e responsabile crescita di ogni essere vivente, in particolar modo per l’essere umano. La prima cosa fondamentale che si impara giocando, fin da bambini, è che ogni gioco è disciplinato da regole concordate o tramandate. Altra cosa che si impara altrettanto presto è che le regole si possono trasgredire, basta volerlo. Potrebbe finire qui, ma abbiamo imparato nei secoli, ma anche

e sopratutto negli ultimi decenni, che è possibile cambiare le regole e scriverne delle nuove (purtroppo, spesso, senza concordarle). Ma il gioco è anche divertimento. Piacere. Distrazione. Sopratutto distrazione. Innanzitutto distrazione. Cosa fate se un bambino vi bombarda con mille perchè? Lo distraete. E quando ritorna con altri perchè? Lo distraete di nuovo. Cosa pensereste se lo stesso trattamento, in maniera predeterminata, fosse riservato a voi?

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Immagino che la cosa vi farebbe arrabbiare. E non poco. La distrazione soddisfa un bisogno momentaneo. La distrazione pianificata dal sistema moderno, invece, coglie l’obiettivo vero e oltre a soddisfare un bisogno, evidente o latente che sia, ne alimenta subito un altro. Si innesca così un circolo vizioso dal quale è difficile uscire. Anche perchè nessuno (o quasi) è capace di rinunciare al piacere che la macchina mediatica dello spettacolo mette in moto quotidianamente. Già, perchè tutto è diventato


spettacolo. Le notizie, per esempio, qualunque sia la loro natura, vengono date in pochissimi secondi. Ciò comporta una cosa molto semplice: svanisce miseramente il senso di serietà di ogni avvenimento poiché lo stesso è raccontato nell’arco di un minuto. Inoltre, tutte le notizie, vengono trasmesse a ritmo frenetico e senza una logica di fondo. Anche questo comporta una cosa molto semplice: è impossibile ricordarle tutte e ciò che non sarà ripreso il giorno dopo è già scomparso dalla scena. Inoltre, per raccontarci cosa accade nel mondo, viene scelto un giornalista che sappia bucare lo schermo, capace di trasmettere tranquillità, e di veicolare sensazioni, emozioni. Che si parli di un disastro, di un terremoto o di una strage bisogna comunque mantenere un velo di positività, magari di entusiasmo. L’informazione, insomma, è scomparsa. È stata sostituita dall’intrattenimento. Anche il dibattito politico non sfugge a questa logica. Sembra di assistere sempre ad uno spot pubblicitario in cui ogni politico-testimonial dice che il proprio partito è migliore dell’altro. Che la propria proposta (mai ben articolata) è senza dubbio da preferire a quella dell’avversario. Senza mai spiegarne motivi, ragioni. E questo perchè la trasmissione televisiva hai i suoi tempi. Deve innanzitutto intrattenere, poi, se resta tempo, informare. Dovrebbe far riflettere l’idea che bastano 4 pannelli grafici riassuntivi per spiegare agli italiani la legge finanziaria (mi viene da esultare con un Alè). Il fatto è che l’immagine ha so-

stituito ovunque la parola e dunque il pensiero. Ogni cosa è veicolata come fosse il prodotto di una vecchia polaroid. Una volta guardata e giudicata la foto, bisogna immediatamente averne un’altra da guardare. E non c’è tempo per riflettere su quella appena buttata via. Rapidamente ci siamo abituati alla realtà visuale. Immagine dopo immagine. Evento dopo evento. Spettacolo dopo spettacolo. Un lento ed inesauribile percorso codificato con l’idea dell’istantaneo e dell’immediato. Scompare il contesto. Scompare la storia. Scompare la memoria. La potente suadenza dell’imma-

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gine cavalca ogni attimo, ogni luogo, ogni vissuto del nostro quotidiano. Il mondo, perennemente mediato da uno schermo (spessissimo quello televisivo), è vissuto in alta definizione e misurato in pollici. L’abitudine al modello visivo è ormai introiettata. L’immagine diventa la cifra esplicativa del terzo millennio. Il metro di valore su cui pesare ogni esperienza. Si edifica, così, una nuova e assoluta equivalenza. È vero solo ciò che vedo. Solo ciò che vedo è vero. Il resto non conta, sono solo chiacchiere. Nicola Pace


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Da circa 6 settimane è questo lo slogan più in voga in Italia. In realtà non lo vedete e non lo trovate scritto da nessuna parte, ma è come se ad ogni angolo di strada, su ogni canale radio all’interno di ogni programma televisivo ce lo sentissimo ripetere in continuazione. Un invito latente, subliminale, istintivo a correre in qualche ricevitoria per giocare la sestina di numeri capaci di cambiare la vita. È una forza attraente e potente, che va al di là della nostra capacità razionale, e che ci ammalia. Addirittura il telegiornale della RAI (che se non sbaglio dovrebbe occuparsi di servizio pubblico) si collega in diretta due volte durante il Tg delle 20,00 per informare il pubblico all’ascolto su qual è la sestina vincente. Anche i sottotitoli, che accompagnano le notizie, scompaiono e appare in bella mostra e fissa una fascia in basso in cui sono scritti i 6 numeri vincenti. Sembra quasi che l’unica preoc-

cupazione di questa nazione sia il Jackpot del superenalotto. La notizia più importante sembra essere quella che dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna si organizzano voli charter per tentare la fortuna in una ricevitoria italiana. E intanto. E intanto c’è qualcuno che umilia i simboli della nostra Nazione e della nostra Costituzione. E intanto c’è una crisi che sta mettendo in ginocchio migliaia di famiglie. E intanto è passato l’ennesimo voto di fiducia con un emendamento che vuole imbavagliare anche la Corte dei Conti. E intanto, nell’indifferenza più assoluta, decine di immigrati muoiono a ridosso delle nostre coste, e siamo a conoscenza di ciò solo perchè qualcuno sopravvive alla traversata e racconta l’accaduto. Ma anche tutto questo sembra un gioco.

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In questa estate caldissima niente e nessuno è preso sul serio. 3 Minuti per chiedere agli italiani come spenderebbero i 100 e passa milioni di Euro in caso di vincita. Nemmeno un secondo su cosa pensano dell’ennesimo condono concesso ai ricchi di questa nazione che hanno esportato illecitamente capitali all’estero (pari alla somma di decine di jackpot) e che adesso, con una piccola aliquota da pagare pari al 5%, possono farli rientrare senza essere condannati. Ho come la sensazione che mani sapienti e menti violente ci abituino alla distrazione. Ci educhino a lasciar perdere la riflessione. Ci stimolino solo all’emozione e non più all’opinione. Giocate gente, giocate. N. P.


Il diritto garantito a tutti i bambini del mondo dall’articolo 31 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo dell’ONU (approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre del

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1989 a New York e successivamente ratificata in Italia nel maggio 1991 con la legge n. 176) è il diritto al Gioco. Giocare a qualunque età, è una delle possibilità che ci permette


di confrontarci con noi stessi, con gli altri e con il contesto sociale cui inevitabilmente si è introdotti sin dal nostro primo respiro. I risultati delle innumerevoli ricerche condotte dal mondo della scienza e della psicologia, parlano chiaro: il processo d’apprendimento muta a seconda dello stato mentale dei soggetti presi in esame, e si è giunti alla conclusione che quando siamo contenti, quando giochiamo, apprendiamo meglio e più velocemente. Molti interventi anche a livello politico-istituzionale si sono mossi in difesa del diritto al gioco. In molte città Italiane si sono creati addirittura dei Comitati ad hoc che garantiscono tale diritto in quanto fondamentale per una sana crescita del bambino visto dalla Legge come un uomo in divenire. Il “Centro per la Cultura Ludica”, per esempio, è nato alla fine degli anni ‘80 dalla collaborazione con il Comitato Italiano Gioco Infantile con la città di Torino, ma anche nella nostra Capitale e in molte altre città sono presenti comitati simili che garantiscono gli stessi servizi. Giancarlo Perempruner è uno degli ideatori del Centro, e dal sito del comitato si può leggere che: “... questo è un luogo dove è possibile esprimere le proprie capacità creative. Quando si pensa al gioco lo si associa immediatamente al mondo infantile, ma nulla è più sbagliato, in tutti noi esiste infatti, comunque e sempre, una voglia di giocare...” Ma torniamo alla realtà e volgiamo uno sguardo alla vita di un uomo qualsiasi del Terzo millennio: per vivere bisogna guadagnare, per guadagnare bisogna lavorare e, fare ciò che ci piace, non sempre corrisponde con nostre segrete aspirazioni il che, inevitabilmente comporta non

provare passione nell’eseguire il proprio lavoro, non divertirsi. Il binomio tempo “occupatotempo libero” costituisce, oggi come negli anni passati, un paradosso. Sembra che l’unico tempo importante sia quello occupato. Le frasi «ora non posso darti retta, sono molto impegnato», oppure «non posso, sto lavorando, non sto giocando!», sono risposte generiche che spesso tiriamo fuori quando proprio non abbiamo tempo da perdere. Ma quanto le idee nuove e la creatività devono al Gioco? Spesso le cosiddette «genialate» trovano espressione pura nel libero trascendere dei pensieri visto come una forma quasi aulica dell’ozio… Lo sanno bene i Creativi, che certo non sono dei fanciulli, i quali esprimono la propria arte, per esempio all’interno delle Agenzie Pubblicitarie, e lo sapevano bene anche gli antichi Romani che, per quanto operosi e desiderosi di conquistare il mondo, consideravano l’ozio una prerogativa dei Signori, degli intellettuali o degli artisti, ozio che spesso veniva impegnato in qualche gioco. Cerchiamo di mettere in pratica questo nostro bisogno naturale, potevamo iniziare a pensarci proprio sui lettini delle spiagge che questa estate ha portato con sé… L’ardente bramosia che ha preceduto l’arrivo delle vacanze, accomuna tutti gli uomini di qualunque nazione. Dopo mesi di duro lavoro, abbiamo visto arrivare finalmente i (limitati) giorni delle vacanze, del tempo libero e del relax, quindi che sia infante o adulto, l’Uomo, non solo il bambino, ha bisogno del gioco. P. S. Buon Divertimento a tutti! Leonarda Sabino

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ube to - White C Paolo Gonza

Spesso accade che complessi meccanismi di creazione narrativa vengano descritti con una semplicità disarmante in opere filmiche e letterarie. Così, leggendo il famoso Misery di Stephen King, oltre a finire per ridimensionare il film che non è riuscito a cogliere l’atmosfera del romanzo, trasformando una precisa atmosfera claustofobica e maniacale in una serie di banali clichè, storpiando non poco la trama (ma questa diatriba tra romanzo e film è un classico), ci si imbatte in un giochino che riassume bene le problematiche che i costruttori di storie si trovano ad affrontare. Il protagonista, Paul Sheldon è uno scrittore immobilitato e fratturato in casa di Annie Wilkes, la sua psicopatica fan numero uno

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che, dopo averlo salvato, gli ha imposto di far tornare in vita la sua eroina preferita, Misery Chastaine. Impresa alquanto ardua visto che Sheldon aveva concluso il suo ultimo romanzo con il funerale di Misery, morta e seppellita. Tra paranoie dovute a mirati sovradosaggi di antidolorifici e deliri dell’infermiera schizofrenica, lo scrittore ricorda un gioco che faceva quando era scout durante le serate dei campi, il gioco del “Puoi?”. In “Puoi?”, l’animatore, munito di un cronometro, riuniva tutti i ragazzi attorno al fuoco e iniziava una storia che si interrompeva al comparire di una difficoltà narrativa. A quel punto chiedeva con un “Puoi?” ad un ragazzino di con-


Michele Iodice - il Filo di Arianna

tinuare il racconto trovando una soluzione al problema entro 10 secondi. Per esempio, raccontava di un tale Dino Disastro che si perde in una foresta del Sud America, e d’un tratto si rende conto di essere circondato da leoni. Si fermava e chiamava in causa uno scaut a caso: “Daniel, Puoi continuare?” e Daniel poteva cavarsela casomai aggiungendo “Disastro ha con se il suo Winchester e le munizioni, abbatte 3 leoni e gli altri felini scappano” a quel punto il cronometro passava nelle mani di Daniel che continuava la storia, inventava un altro ostacolo narrativo e chiamava in causa un altro ragazzo che in dieci secondi doveva trovare la soluzione, e così via. Il punto è che ogni soluzione doveva essere leale, forse anche poco verosimile, ma leale, altrimenti

si veniva eliminati e per giunta pagando anche un pegno! Ecco, questo giochino riassume alla perfezione il lavoro di chi crea storie, quel dover trovare soluzioni in un qualche modo leali all’universo narrativo che si sta creando, ma allo stesso tempo vincenti. In Misery King, per bocca di Sheldon, nomina spesso il gioco del “Puoi?” con il quale arriva a riassumere le ansie dello scrivere, quel dover rispettare determinate regole per far si che la propria opera abbia successo o meno. Per spirito di gioco, mi sono chiesto: “ma un Puoi? Riferito all’arte contemporanea, che sviluppi avrebbe?” anche un artista, è un creatore di storie. A tutti gli effetti con il proprio lavoro crea universi diegetici con delle proprie “lealtà” da salva-

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guardare e con delle strutture artistiche e delle regole fondamentali da rispettare per avere successo. E così proviamo, per gioco, analizzando delle opere che hanno come oggetto proprio un gioco, cercando di capire a quale “Puoi?” gli artisti hanno dovuto rispondere. Ci troviamo in un bosco di un parco nazionale. Siamo in cima ad una collina che sovrasta un paesaggio naturale straordinario. Siamo immersi con tutti i sensi nella natura, gli odori, i colori, i suoni, o meglio i silenzi. La natura ci sovrasta. A questo punto la difficoltà. Bisogna inserire in questo contesto un’opera d’arte che sia altamente contemporanea, ma allo stesso tempo poetica e non sovrasti il paesaggio naturale. Puoi? L’artista in questo momento ha la stessa “ansia” creativa dello scrittore. Bisogna trovare una soluzione. Ed ecco la soluzione di successo: si costruisce una giostra, una sorta di ruota panoramica su cui salire e godersi ancor meglio le bellezze naturali. Magari si immagina una giostra dal design un po’ anni settanta e che compia un giro lentissimamente in modo che i visitatori si immergano ancor più nella natura, il vero spettacolo.


Questo è il senso di RB Ride un’opera realmente esistente e visitabile. Anzi, è consigliata la visita, molto fattibile per chi si trova in Basilicata, visto che l’opera è stata inaugurata sul nostro Pollino a pochi passi da San Severino Lucano. L’autore è uno dei più importanti artisti della scena mondiale, Carsten Höller tedesco di origine, nato a Bruxelles nel 1961, e residente a Stoccolma. RB Ride fa parte del grande progetto Arte Pollino, con cui la Regione Basilicata ha intenzione di rendere il territorio del Pollino in un centro internazionale d’arte contemporanea. Un’operazione che vede coinvolti artisti del calibro di Anish Kapoor e Giuseppe Penone, o operatori come Mario Cristiani (della Galleria Arte Contiuna, tra le più importanti d’Europa) e Vincente Todolì (direttore della Tate Modern Gallery di Londra) insomma, un progetto in sviluppo da tenere d’occhio! Ma torniamo al nostro gioco del Puoi? Rimanendo in zona. Dal Pollino ci spostiamo a Potenza.

Questa volta il tema è riqualificare un parco cittadino poco sfruttato, con un opera giocosa e colorata, ma allo stesso tempo leggera e poco invasiva. Un’opera che possa anche dialogare con gli alunni di una scuola media che si trova nei paraggi. Puoi? L’artista a cui è stata rivolta la domanda in questo caso viene da Napoli e si chiama Michele Iodice. Classe 1956 è autore di numerosi interventi, allestimenti, installazioni site specific in tutta Italia. Nei suoi ultimi lavori si è concentrato sul tema del labirinto come gioco. Perchè non costruirne uno nel parco in versione light, con dei nastri rossi? Un labirinto che inglobi geometricamente gli alberi, ed anzi su cui riportare anche nozioni botaniche così che il visitatore che si dovesse perdere, prima di farsi prendere da un panico “concettuale” e scavalcare i 40 cm di altezza a cui sono posti i nastri possa leggere informazioni sugli alberi nei pressi? (OT: anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un’opera che fa parte di un progetto artistico am-

bizioso, Arte in Transito, che ha trasformato un’estate cittadina altrimenti piatta, in un carniere di eventi culturali internazionali. Ed anche in questo caso noto con piacere che sono coinvolti insieme enti come la Regione e associazioni come l’ideatrice Basilicata 1799. Notare questo clima artistico di alto livello internazionale e di cooperazione nella mia terra non fa altro che entusiasmare!). Ma per i piccoli oggetti artistici, l’ansia del costruttore di storie è la stessa? Per esempio, immaginiamo di dover costruire un gioco semplice e riconoscibile, dove ogni partecipante possa vincere con poche mosse e con il minimo sforzo. E non solo, questo gioco deve contenere anche un’alta dose di ironia ed essere gradevole esteticamente. Puoi? A questo “Puoi?” ha risposto felicemente Paolo Gonzato, giovane artista lombardo con il suo White Cube, un cubo di Rubik completamente bianco, dove qualsiasi mossa porta inevitabilmente a ricoprire ogni superficie del cubo di un unico colore e in pratica porta alla risoluzione del gioco! A dir poco, geniale.... Massimo Lovisco

Carsten Höller - RB Ride

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È in libreria “Umanità Accresciuta - come la tecnologia ci sta cambiando” di Giuseppe Granieri, lo stesso autore di “Blog Generation” e di “La Società Digitale”. Giuseppe è un potentino tra i maggiori esperti di comunicazione e culture digitali in Italia. Scrive per diverse testate nazionali tra cui L’Espresso, Apogeonline, Nova24-Il Sole 24 ed è docente di “Laboratorio di Web 2.0” presso l’Università di Urbino. É conosciuto come gg nella

blogsfera (il suo blog è www. bookcafe.net) e come Junikiro Jun in Second Life (suoi i progetti legati a unAcademy, a PostUtopia e a LucaniaLab). In passato si è occupato di racconti brevi e il suo blog, nel nome, ne conserva ancora il segno. Si autodefinisce un “ibrido multifunzione che vive sulla frontiera”. Ho rivolto alcune domande a Giuseppe per i lettori di Brek.

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La tua conoscenza profonda del racconto breve ha una relazione con l’attività di scrittore di saggi lunghi? Non credo. Ha più una relazione con una passione giovanile da lettore. I racconti brevi sono narrazioni più complesse e difficili dei romanzi, una vera palestra tecnica. I saggi lunghi invece sono un complemento ad altre forme di annotazione, come il blog. Il saggio ti permette di mettere in ordine una teoria e di affidarla all’emendamento del lettore. Ho trovato “Umanità accresciuta” piuttosto autobiografico: si intravede la casa, le consolle, i libri, i dischi e il gatto. Quando si racconta bisogna mettersi sempre in gioco? È buffo. La collana in cui si pubblicano i miei saggi è una collana abbastanza canonica e antica, molto tradizionale, in cui normalmente si tende ad argomentare in maniera oggettiva. Ma io sono cresciuto convinto che un saggio presenti una teoria e un punto di vista personale, che serva ad avviare un ragionamento. Così non scorporo mai pensiero e persona. Sei uno dei pionieri del weblog, hai sperimentato anche applicazioni per l’aggregazione di contenuti, puoi dirci cosa è cambiato nel sistema di conversazione in rete? Servirebbe un saggio molto lungo. La rete è velocissima e va verso la specializzazione, c’è un’applicazione per ogni minima esigenza e ciascuno di noi trova di volta in volta il suo equilibrio. “Blog Generation” è del 2005 e “La società digitale” del 2006, con “Umanità accresciuta” prosegui il ragionamento sulla società digitale, spostando però l’attenzione maggiormente sull’uomo. Io la considero una specie di trilogia, che affronta il tema del

cambiamento e dell’innovazione da tre punti di vista diversi. L’aspetto umano, poi, è quello meno intuitivo e più difficile da decodificare, soprattutto perché la mutazione la stiamo raccontando in corsa. “Umanità accresciuta” offre riflessioni su un futuro transumanista del corpo e leggendolo si ha la sensazione che l’uomo sia sempre secondo, di rincorsa (anche la parola chiave del libro è “accelerazione”). Temo che il mondo non rallenterà anche alcuni di noi lo preferirebbero. Tocca studiare, continuare a imparare ogni giorno e crescere insieme alla realtà. Detto questo, tutto il resto dovrebbe essere guardato come opportunità e affrontato in modo responsabile. Sei un grosso conoscitore oltre che sperimentatore di Second Life, non hai l’impressione che questi mondi tridimensionali stiano invece decelerando? Soffrono solo un clima culturale negativo, causato dalla diminuzione di attenzione dei giornali e delle Tv. É un fatto fisiologico. E poi sono tecnologie che devono ancora maturare, diventare più facili per l’utente comune. La «facilità»,

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l’ammorbidimento della curva di apprendimento necessaria, sono fattori importantissimi per la diffusione. Sostieni che i cambiamenti ci porteranno verso una rieducazione complessiva che coinvolgerà la nostra stessa identità. Sarà anche il caso di pensare a una forma di difesa? Io suggerisco la comprensione, prima. Nella maggior parte dei casi sentiamo di doverci difendere quando ancora non conosciamo quello che sta per accadere. Lo dicevo prima: se partiamo dalla comprensione, poi leggiamo l’opportunità. Se proviamo a difenderci, la realtà ci supera e dobbiamo inseguirla. Concludi il libro consigliandoci di non far prevalere l’ansia di subire il cambiamento ma di “decidere” di governarlo culturalmente. Il “lasciarlo fare ai nostri figli” è un monito per noi oggi? No, è un nostro dovere. Loro lo troveranno naturale, a differenza di quanto sembra a noi. Ma la classe dirigente, quelli che governano l’educazione e fanno le regole di domani siamo noi. Dobbiamo fare un buon lavoro. Vito Colangelo


Stefano, titolare dell’Osteria Gagliardi

La pietra, il tufo, il vetro. Tonalità di colori caldi dal rosso al marrone. Legni pregiati, cotoni selezionati, porcellane ricercate. L’Osteria Gagliardi è anche questo. Ma è sopratutto il progetto di un giovane ed esperto ristoratore che nel cuore di Avigliano ha riportato dignità e pregevolezza alla cucina. Si chiama Stefano Errichetti, per i clienti Stefano. La sua vita è la ristorazione. Per anni ha svolto il ruolo di maître in diversi ristoranti d’Italia. Prima a Brescia, poi a Cortina d’Ampezzo, infi-

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ne a Roma. A conclusione di questo intenso percorso la saggia decisione di mettere a frutto tutta l’esperienza e le conoscenze acquisite nella sua terra. Decisione intelligente e proficua. Il successo inizia nel 2003 con un’impresa che sembrava impossibile. Riportare in vita “La Strettola”. Un piccolo ristorante chiuso nell’estate del 2002 dopo una stagione fallimentare. L’impresa riesce. E il connubio è talmente intenso che era abitudine, per i clienti, usare la seguente frase: “andiamo da Stefano?”. L’abitudine è rimasta con la dif-


ferenza che oggi “andare da Stefano” significa altro. Significa Osteria Gagliardi. Cosa dici ai tuoi clienti affezionati che ti cercano ancora alla “Strettola”? Chi cerca quell’atmosfera e quei sapori deve fare qualche metro in più e, a ridosso di Piazza Gianturco (nel cuore di Avigliano), nello storico Piano Gagliardi troverà il nuovo ristorante. Troverà l’Osteria Gagliardi. Troverà Stefano. Solo o in compagnia? In questo nuovo e affascinante progetto mi hanno seguito tutti, personale di cucina e quello di sala. Avete cambiato solo il nome, insomma? Non solo. L’anima, il calore e l’accoglienza è rimasta la stessa. Di nuovo ci sono gli ambienti, più eleganti e raffinati. Il menù con una scelta più ampia e un’accurata e ricercata rielaborazione della cucina tradizionale. Una cantina impegnativa. La pasticceria di produzione propria. Di nuovo c’è anche un’altra filosofia come la scelta di approvvigionarsi di materia prima del posto rigorosamente controllata e certificata. Con queste credenziali chissà che prezzi. Cerchiamo di offrire i nostri prodotti ad un ottimo rapporto qualità/prezzo. Per una cena completa bastano 25 Euro, vini esclusi. La buona cucina, basata su prodotti genuini ha i suoi costi. Noi cerchiamo di renderla

accessibile a molti, evitando inutili e pericolose speculazioni. Il bilancio di questi primi 6 mesi? Molto positivo. Entrare all’Osteria Gagliardi è un viaggio che nobilita tutta la sfera sensoriale. Alle persone piace sentirsi coinvolte nella loro totalità. Noi cerchiamo di accontentarle, in tutti i sensi. Spesso ci riusciamo, e la nostra gratificazione è vedere le persone ritornare. L’arcano che spinge le persone a ritornare è presto svelato. A tavola assaggiamo il suo ricco menù. Ricchissimi antipasti (squisite le 6 modalità con cui presenta il baccalà). Eccellenti primi piatti cucinati con il baccalà, con i funghi cardoncelli, il tartufo. E i tanti sapori degli orti locali. Variegati e ottimi i secondi a base di baccalà (naturalmente), di manzo (squisito il filetto al pepe verde) di agnello e di maiale. Per i più esigenti un ricercato carrello di formaggi. I dolci e la pasticceria realizzati rigorosamente in casa. L’ora tarda induce alla meditazione e tra i distillati c’è l’imbarazzo della scelta. Un piacere costante. Nel guardare e nel toccare. A decifrare gli odori. A godere dei sapori. Purtroppo il viaggio è terminato. Ritorneremo. A cercare Stefano. A chiedere emozioni. A sederci all’Osteria Gagliardi.

Largo Gagliardi, 18 85021 Avigliano (PZ) tel. (+39) 0971 700743

chiuso domenica sera e lunedì

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fotografie: Vito Salvatore

coperti: 50 interni, 50 esterni carte di credito: accettate carta dei vini: 130 etichette carta dei distillati: 40 etichette pasticceria artigianale prodotti a km. 0 cena completa: da 25€ (vino escluso)


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2007: Woody Allen rilancia i dati nel gioco del destino, ripropone la commedia delle fatalitĂ , continua il percorso nelle trame del fato cominciato con Match Point (2005), abbandona temporaneamente la commedia brillante e raffinata per indagare le fatalitĂ della vita.

CosÏ manda sul grande schermo Sogni e delitti (titolo originale Cassandra’s dream), secondo atto di questa commedia del destino. Film meno conosciuto del precedente Match Point (2005) ma altrettanto importante e fondamentale per approfondire la ri-

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flessione del regista newyorkese sulle aggrovigliate trame della vita. Il film racconta la storia di due giovani fratelli, Ian (Ewan McGregor), alla ricerca del grande affare della sua vita, e Terry (Colin Farrell), giocatore incallito pieno di debiti.


I due si troveranno a corto di soldi, soprattutto Terry, indebitato fino al collo per giocate andate male. Così, per risolvere i loro problemi economici, i due giovani saranno disposti a fare di tutto, ignari di quello che il destino gli sta riservando. Il lungometraggio è uno dei pochi in cui Woody Allen non compare come attore ma si riserva solo il ruolo di sceneggiatore e regista lasciando così la scena ai due giovani attori sopracitati. Ewan McGregor e Colin Farrell impersonano in maniera calzante la strausata ma sempre efficace coppia di belli e dannati e grazie alle loro differenti e opposte sfumature caratteriali riescono ad equilibrare l’intera storia senza eccessivi sbilanciamenti verso questo o quel personaggio regalando così imparzialità all’occhio dello spettatore e lasciando che emerga soltanto la labilità e l’incomprensibilità del destino che va oltre la singola volontà. La regia è semplice e lascia molto spazio agli attori, alla storia e soprattutto ai dialoghi (parte fondamentale e di grandissima rilevanza di ogni film di Woody Allen) ed è volutamente a tratti un po’ lenta per far sì che la struttura narrativa risulti chiara e lucida e che la narrazione metta ben in luce gli imprevedibili risvolti del fato. Da non dimenticare il commento musicale di Philip Glass. La sua musica minimalista sospende il racconto a mezz’aria, proiettandolo in un atmosfera di ansia e attesa come se il destino fosse pronto ad attendere dietro l’angolo i due protagonisti. Woody Allen gioca su un sottile, semplice e quasi impercettibile parallelismo, quello tra l’imprevedibilità del gioco d’azzardo e l’imprevedibilità della vita. Emerge così la linea portante del film, il gioco del destino: qualcuno o qualcosa sopra di

noi tira i dadi a nostra insaputa, determinando gli eventi, eventi non prevedibili dalla razionalità umana. Detto in modo più semplice, la voglia di successo e realizzazione se non gestita con lucidità può sopraffarci e così la vita ci travolge e ci trascina nel suo vortice e a volte anche con tragiche conseguenze. È quello che accade ai due protagonisti del film. Ian crede di avere trovato il modo di concludere un grande affare e Terry vince una grande somma al gioco d’azzardo ma, nonostante ciò, quest’ultimo continua a sfidare la dea bendata e si indebita fino al collo. Allora i due, entrambi squattrinati, accettano di commettere un omicidio per conto dello zio Howard (Tom Wilkinson) in cambio di danaro, ma a un certo punto Terry, preso dal rimorso del delitto commesso, deciderà di confessare il crimine. Da lì in poi il destino gli preserverà altre tragiche sorprese. Il punto fermo della poetica del regista newyorkese risulta così essere la fatalità del destino, la visone di una vita determinata non dalle sole capacità dell’uomo, ma anche e soprattutto da cause che vanno oltre la nostra volontà e comprensione. In questo senso l’uomo ha la possibilità di affrontare e gestire gli imprevedibili risvolti del destino mantenendo lucidità e attenzione senza farsi travolgere e trascinare dagli eventi. Qualcuno o qualcosa sopra di noi mischia le carte e le serve per giocare, a noi non resta che ricordare che la mano migliore non è quella dove si ha il punto più alto ma quella dove si vince con il punto più basso. Davide Galasso

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Niente da fare, se sei nato ad EUREKA, non puoi che essere un genio. Ok, non sarà il caso di tutti gli abitanti di questa cittadina californiana, ma nel caso di Mike Patton, mai natali furono più azzeccati. Chi è Mike Patton? Partiamo dal fatto che lavora in ambito musi-

cale. Continuiamo dicendo che nel suddetto ambito è capace di fare di tutto, ma dopotutto anche al di fuori di esso, sicché è difficile dargli una precisa collocazione. In primis lo definirei interprete, ma non si tratta di un vocalist standard: riesce a plasmarsi a piacimento, a seconda dei pez-

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zi che canta. La sua è una voce liquida, assume la forma del “contenitore” in cui la si immerge, con il pregio di personalizzare tale contenitore e renderlo unico. Negli anni ha spaziato da cantati abbastanza normali nel rock crossover dei suoi Faith No More, alla riproduzione di rumo-


ri come nella collaborazione con Bjork nell’album Medulla, dove in due brani fa le veci della sezione ritmica con tanto di bassi perfetti. Passa da uno stile educato, elegante e sensuale come con i Peeping Tom o nei Lovage (Music To Make Love To Your Old Lady By: mai fu prodotto album a più alto tasso erotico) senza dimenticare Mondo Cane, recente collaborazione con il nostrano Roy Paci, in cui, sfidando il miglior Celentano dei tempi che furono, interpreta magistralmente alcuni dei pezzi italiani più famosi degli anni ‘60; a growl striduli: in Irony Is A Dead Scene, dei The Dillinger Escape Plan, cinque pazzi scellerati che fanno un mathcore violento - stiamo quindi parlando di urla, chitarre impazzite, produzioni semi incomprensibili anche ad un orecchio allenato, macelli inenarrabili dal vivo, stage diving, litri di birra sempre e comunque; insomma quanto di meglio può offrire la falange più estrema dell’hardcore americano - che con lui hanno prodotto questo ep così perfetto ed omogeneo che neanche la sottoscritta l’avrebbe potuto immaginare, sapendolo il parto di due mondi così diversi.

Consigliatissimo!.. Potrei definirlo anche compositore: con i Mr. Bungle in tre album ha fatto di tutto: da brani crossover, a pezzi quasi indefinibili, soprattutto in Disco Volante ed in California, in cui è palese la sua passione per il campionamento ed i synth. Passione ulteriormente sottolineata e proclamata con i Fantomas: le voci,quando ci sono,sono anch’esse strumenti, mischiate a spezzoni di altri suoni, musiche di videogiochi e colonne sonore di film. Restando in tema cinematografico, il disco The Director’s Cut non è altro che la reinterpretazione in chiave pattoniana delle colonne sonore di alcuni dei film più famosi di sempre. Vi assicuro che dopo averlo ascoltato, film come Il Padrino avranno tutto un altro sapore. Ad un primo ascolto sembrerebbe trattarsi di solo rumore, ma posso assicurarvi che non è materiale buttato lì allo sbaraglio; in quel disordine schizoide c’è, nel limite del possibile e della comprensione dell’immaginario collettivo, un ordine, consapevole e colto soprattutto. Perché dico questo? Prendiamo il secondo album da solista di

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Mike Patton, Pranzo Oltranzista: è un manifesto tributo al futurismo e, guardando ai titoli dei pezzi, si trova anche anche Contorno Tattile Per Russolo. Il suddetto Russolo (Luigi), for those uneducated, fu un compositore futurista che teorizzò una musica fondata sull’organizzazione sonora dei rumori e costruì una macchina detta, appunto intonarumori. Mica pizza e fichi. Cosa ne facciamo di codesto Patton, lo buttiamo in mare o, nonostante possa risultare ostico ai più, gli riconosciamo le immense capacità che ha, da camaleonte quale è, di giocare con la sua voce, i suoi mille talenti musicali e la sua cultura? Perché di gioco si tratta. Avessi avuto le sue capacità, personalmente mi sarei innalzata a dio supremo della musica, mentre lui no, non si è preso mai sul serio ed è sempre andato avanti quasi sempre low profile, facendo ciò che più gli aggrada, comprese le cover demenziali della musichetta di Super Mario, della Pantera Rosa, di Baby One More Time di Britney Spears e di Poker Face di Lady Gaga. Molti lo considerano come una sorta di prostituta musicale, poiché ha collaborato praticamente con chiunque. Io vi inviterei invece a guardarlo come un novello Leonardo Da Vinci musicale, che si è cimentato nelle cose più disparate, donando un importante contributo innovativo ad ognuna di esse. Forse se si fosse concentrato su un solo campo avrebbe potuto fare molte più scintille di quelle che ha fatto e sta tuttora facendo, però, dai ragazzi, si tratta pur sempre di un puro esempio di genialità. Che, da che mondo, è mondo, è sempre andata a braccetto con la sregolatezza. Alessandra Carlucci


Ha 50 anni. É bella, magra e sempre in ordine. Ha lunghi capelli biondi, morbidi come seta. Nessun accenno di bianco. Un corpo asciutto e longilineo. Niente cellulite , niente smagliature. Il viso è etereo, liscio, teso, senza neanche bisogno di un lifting; non una ruga, non un segno del tempo. Ha un guardaroba di oltre 1000 abiti, tutti dei migliori stilisti. Scarpe alla moda, borse da lista d’attesa. Ogni stilista combatte per averla come musa. Ha tanti amici, tutti felici, ricchi e belli. Un uomo bellissimo, abbronzatissimo e con un fisico perfetto, che non l’abbandona mai. Nessuna rivale è mai riuscita a sostituirla. Un solo difetto. L’altezza: 29,5 centimetri. Un miracolo o un esperimento scientifico? Un nome: Barbara Millicent Roberts, più conosciuta come Barbie. L’unica donna amata dalle donne di tutto il mondo e di tutte le età.

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Una bambola che, da semplice accompagnatrice dei giochi delle bimbe, è diventata un vero status symbol, un’icona di stile. Adesso, a 50 anni dalla sua nascita, mantiene il primato di bambola più amata al mondo. Ma non solo. Ogni stilista vorrebbe vestirla e vorrebbe adattarla al proprio stile, finalmente con la possibilità di dire: “Ho vestito la donna perfetta”. Nessuna donna può dire di aver avuto una vita così piena di sod-


disfazioni. Ultima tra tutte, una collezione di sedie tutte dedicate a lei, presentate da Kartell in onore del suo cinquantesimo compleanno, e la 500 rosa, che ha accompagnato la super bambola in giro per Milano e Parigi in occasione del suo anniversario. Un mercato tutto rosa e plastica, quello che gira intorno alla mitica ragazza bionda. Dalla fine degli anni 50, quando fu creata, Barbie ha subìto mille cambiamenti, seguendo le leggi universali della società. Ha praticato ogni sport esistente e vestito ogni tessuto. Si è adattata senza problemi a ogni cultura e ad ogni professione. Negli anni è stata: soldato, sommozzatrice, veterinaria, dentista, campionessa di nuoto, campionessa di pattinaggio sul ghiaccio. Una principessa, una regina, ma anche una cantante rock ed una

top gun. L’ultima collaborazione più importante di Barbie con la moda è quella con Karl Lagerfield, che ha personalmente ideato e realizzato una serie di foto a lei dedicate ed esposte lo scorso marzo presso il rinomato store parigino Colette. Un’esposizione che ha radunato fashioniste, collezionisti e persone da tutto il mondo. Per chi volesse ammirare le creazioni di mr. Lagerfield per Barbie, è presente una galleria fotografica su facebook. Per chi ama la Barbie e non può farne a meno, il sito BarbieCollector offre novità, anteprime ed edizioni super limitate della bambola più amata del mondo. Perchè quello di Barbie è un mondo da favola, un mondo fatto di lustrini e ricchezza. Perchè in fondo “Life in Plastic is Fantastic”. Andreina Serena Romano

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“Il gioco del mondo è un bambino che gioca a dadi, è il regno sovrano di un bambino…” (DK 52), è questa la frase di Eraclito che è alla base del pensiero giocante e danzante di F. W. Nietzsche. Il gioco andrà a pervadere tutta l’opera del pensatore tedesco, non lo lascerà mai, anzi sarà in continuo e in continuo sviluppo, con molti significativi cambiamenti, di quello che fu già dall’inizio un tema a dir poco fondamentale del suo pensiero. É già nelle pagine di La Nascita della Tragedia che Nietzsche inizia l’interpretazione del passo dell’oscuro Eraclito, come la metafora di una realtà che non ha e non può avere leggi immutabili, costrizioni e convinzioni invalicabili, che vanno ad imprigionare gli stessi uomini che le hanno create: questo è il bambino che gioca a dadi ponendo ordine ad ogni lancio, per poi distruggerlo con quello successivo per crear-

ne ancora un altro, in un infinito processo di creazione e distruzione. Meglio ancora risulta chiara la metafora, sempre eraclitea e ripresa da Nietzsche, del bambino che gioca su una spiaggia ponendo pietre qua e là, alzando mucchi di sabbia per poi disperdere il tutto e ricominciare, con il concetto di Logos eracliteo, cioè di quel principio che tramite la lotta dei contrari dà la legge del divenire. In Nietzsche tutto ciò assume i caratteri della dicotomia tra Apollineo e Dionisiaco, dove il Dionisiaco prende le sembianze di quella che è una delle caratteristiche fondanti dell’uomo, la poieticità. É grazie al Dionisiaco che l’uomo può assumere quell’autentico agire poietico, artistico, creativo, in una parola, libero, come l’unica via d’uscita dalla scientificità positivistica che, già all’epoca di Nietzsche, aveva iniziato a per-

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vadere le vite quotidiane di uomini troppo apollinei, razionali, metodici, da rendersene conto. Parla di noi, Nietzsche tramite Eraclito, parla di una società, un occidente, in continua decadenza, perché ha rinunciato in nome dell’assoluta applicazione di un metodo razionale, alla sua fanciullesca voglia di creare il nuovo, alla purezza del gioco che altro non è che una metafora della vita, un fare come se, che è l’unica possibilità che abbiamo di immaginare un modo diverso di fare le cose, di condurre le nostre vite, di cambiare, di ribellarci a quell’apollineo-ragionatorecalcolatore di profitti, e solo di quello, che opprime il bambinoartista-giocatore che c’è in noi. Il gioco è un invito a far fuoriuscire la parte di noi che ci ha resi umani, degni di dire si alla vita e di essere liberi: la facoltà di creare. Andrea Samela


Erano gli anni di Alan Sorrenti e si era tutti figli delle stelle, del desiderio di una bella Harley Davidson su cui sfrecciare lungo la Basentana direzione Metaponto, io Jack Nicholson della Lucania Terrons che sognavo California. Erano gli anni delle giornate estive trascorse a sistemare i filari di viti che avrebbero dato, ‘’se Dio voleva’’, il Vino buono. Iniziai a bere col naso durante il rito autunnale della vendemmia che contava la partecipazione dei parenti e di pochi amici, quello diventava anche il momento dei pettegolezzi di corte. In un paio di giorni si raccoglieva tutta l’uva, e poi la domenica la grande cerimonia. Le squadre si dividevano le competenze: cucina - cantina. Io aiutavo a misurare il raccolto così da confrontarlo con la resa degli anni precedenti, un gioco nel gioco. Un rito al quale non avrei rinunciato per nulla al mondo, ci si preparava con settimane di anticipo contando le lune per imbottigliare il vino in quelle enormi damigiane di vetro impagliato. Un appuntamento romantico consumato nelle lande di uno spigolo di terra lucana. Durante le fatiche il vino scorreva generosamente per le giugolari, raggiungendo il fondo della propria vita, o bottiglia che dir si voglia, quando ci si sedeva a pranzare. Quando si era belli rossi con la voce più certa cominciava lo show, si formavano le squadre e si dava il via alla Morra! Immancabile a quel punto lo zio con l’organetto, che allora trovavo davvero tamarro, ad accompagnare quelle sfide all’ultima goccia. Ripensare a quei momenti è come affogare nel cuore del tempo, sino all’archetipo di un mondo e di un vino capace di restituire felicità immensa.

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Solo negli ultimi anni della mia vita ho cominciato a bere i primi vini importanti, e inizialmente provavo una strana sensazione di colpa, quasi di tradimento verso il mondo che m’aveva cresciuto. Poi ho capito che così non era, che non stavo tradendo le mie radici, anzi, riprendevo tra le mani un percorso fatto solo di fatica per allacciarlo a quello della ricompensa in favore di quei contadini che con tenacia e sacrificio hanno allevato, vinificato, perfezionato e reso celebre quel Vino conosciuto come Aglianico del Vulture. Le guide ve lo descriveranno come di origine Vulcanica, di colore rosso rubino, intenso, fruttato, abbastanza fresco, giustamente tannico, acido, di corpo, armonico, con l’invecchiamento acquista in finezza sprigionando profumi eleganti. Invece io vi invito al gioco ed al viaggio che dalla terra d’Orazio vi porta sin dentro la casa di Giustino Fortunato e poi sotto i Castelli di Federico. Alzate gli occhi al cielo a guardare il volo del nibbio, respirate gli odori dei boschi, smarritevi per i tratturi che questa parte di terra conserva e ascoltate lo scorrere delle acque, sarete un po’ briganti un po’ forestieri. Ritmo, melodia, armonia come i madrigali di Gesualdo, tutto questo e altro ancora è l’Aglianico del Vulture. Dunque, con innocente gratitudine a chi mi ha allevato all’odore del mosto, e alle terre dell’Aglianico brindo. Prosit e Serenità. Wine_R


Dopo mesi trascorsi davanti a scrivanie, riunioni, macchinari, ecc., gli italiani si regalano il meritato riposo. L’estate è sicuramente il momento di relax assoluto, ma anche di giochi, divertimenti e tanta spensieratezza. Associare le bellezze, sia paesaggistiche come anche architettoniche e culturali all’offerta di attività ludiche vuol dire creare un habitat ideale per trascorrere le proprie vacanze. È il periodo dove si organizzano spettacoli, giochi e serate di piazza, dove ogni realtà cittadina decide di onorare il proprio Santo con feste religiose e sagre cittadine, al fine di invitare, accogliere e ospitare la gente. I piccoli borghi prendono vita e

le grandi città, caotiche durante tutto l’anno, si spopolano. I piccoli paesi lucani si ripopolano, come a sottolineare il legame di coloro che, dopo anni di immigrazione, hanno ancora saldo con la propria Terra. Quindi, stregati dai ricordi e dalle radici del passato, molti sono a scegliere le meraviglie della Basilicata e i prodotti che offre. Infatti, l’importanza dedicata ai prodotti tradizionali e tipici, negli ultimi anni, sta crescendo sempre più e tanti sono portati a scegliere le eccellenze enogastronomiche come souvenir per trasportare un piccolo angolo di territorio, un ricordo, un’emozione. Vacanze vuol dire allontanarsi dalla routine quotidiana, viag-

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giare con il pensiero e con la fantasia, attraverso le dimensioni spaziali del tempo. Vacanze vuol dire divertirsi e trasportare ricordi, regalarsi sogni e immaginare di sentirsi diversi da quello che si è. Vacanze vuol dire non fare niente e lasciarsi trasportare dal tempo che passa in fretta. Vacanze vuol dire avere nostalgia e ritornare progettando un altro viaggio!!! Donato Sabia


Città della Nocciola Concorso Fotografico Nazionale

scadenza

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settembre

L’Associazione Nazionale Città della Nocciola in collaborazione con Accademia Segetum organizza per l’anno 2009 un concorso di fotografia dal tema: “Le stagioni della nocciola italiana”. Con questo concorso si vogliono incentivare gli amanti della fotografia e della natura, a frequentare e conoscere il territorio della nocciola italiano. Info e regolamento sul sito www.cittadellanocciola.it

Cortolovere 2009

scadenza

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XII edizione

settembre

La rassegna, promossa dalla Fondazione Oprandi di Lovere, rappresenta un vero e proprio trampolino di lancio per molti giovani autori e registi. Il Festival sarà caratterizzato dalla presenza di ospiti di alto livello provenienti dal grande schermo e, avrà come presidente onorario il cartoonist italiano più conosciuto nel mondo: Bruno Bozzetto. info: www.cortolovere.it

La Mia Estate

scadenza

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Concorso letterario

settembre

L’obiettivo dell’Associazione Kreattività è quello di offrire occasione di confronto tra lettori e scrittori, sfruttando le potenzialità di Internet. Attraverso il sito dell’associazione, si vuole dare possibilità di espressione, allo scopo di stimolare, aggregare, valorizzare e promuovere le creatività e le attitudini professionali in ambito letterario. info: www.kreattivita.it. mail: info@kreattivita.it

Carlo Mosso 2009

scadenza

Concorso di Interpretazione Musicale

ottobre

Il concorso, giunto alla quinta edizione, organizzato dall’Associazione Oltremusica, a cui potranno partecipare musicisti di qualunque nazionalità, è quest’anno dedicato a cinque strumenti: pianoforte, violino, viola, violoncello e chitarra. È inoltre prevista, come da tradizione consolidata, una sezione dedicata alla Musica da Camera. Info www.concorsomosso.oltremusica.com

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Corrado Guzzanti

Ravenna

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In Tour

settembre

Torna finalmente in tour nei teatri e nei palasport Corrado Guzzanti. Corrado torna in scena a grande richiesta, con uno spettacolo interamente dedicato ai suoi personaggi vecchi e nuovi, dal santone Quelo, al giovane coatto Lorenzo, da Antonello Venditti a Giulio Tremonti, da Emilio Fede alla procace conduttrice Vulvia. Info e biglietti: www.ticketone.it

Tosca Amore Disperato

Verona

Da Puccini a Lucio Dalla

settembre

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L’opera di Lucio Dalla è ormai entrata nella storia dello spettacolo italiano. Dal suo debutto, il 23 ottobre 2003, Tosca si è via via arricchita di nuove tensioni poetiche e musicali che hanno meglio definito i contorni di un lavoro unico, oggi unanimemente apprezzato da pubblico e critica. info: http://www.toscamoredisperato.it

Ligabue in Concerto

Verona

Raffinato rock’n’roll

settembre

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Quest’anno Luciano Ligabue riproporrà i suoi brani più famosi e recenti esibendosi da solo con l’orchestra, ma ci saranno anche canzoni in cui il rocker si esibirà accompagnato dalla sua band, per poi concludere con l’emozionante fusione di band e orchestra. Uno spettacolo di grande raffinatezza e di puro rock’n’roll. Info: www.ticketone.it

Giuseppe Migneco Mostra nella Chiesa del Carmine

Taormina fino al 1 novembre

A distanza dalla prima e unica antologica che fu allestita nel dicembre del 1983 a Palazzo Zanca di Messina, Taormina Arte intende, riconsiderare il percorso di un artista che, malamente ristretto nel ‘’realismo’’, ha saputo costruire un personale linguaggio che lo ha portato a sfiorare le esperienze di Van Gogh, di Bacon e le esperienze del Cubismo. info: www.taormina-arte.com

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Ballate Nei Palmenti Il mito greco di Dioniso ed Arianna

Pietragalla fino al 5 settembre

Il magico scenario del Parco dei Palmenti di Pietragalla ospita, durante la stagione estiva, uno dei più suggestivi eventi della Basilicata. Organizzata dalla Tetractys per il terzo anno consecutivo, “Ballate nei Palmenti” fa rivivere il mito greco di Dioniso ed Arianna, fra le cavità fatte di tufo; lo spettacolo è mozzafiato, una vista che si perde nell’altura del Parco. info: www.ballateneipalmenti.com

Il Volo Dell’angelo Una Fantastica Avventura Al di sopra delle Dolomiti Lucane, un cavo d’acciao sospeso tra le vette di due paesi, Castelmezzano e Pietrapertosa, permette di effettuare e vivere il volo dell’angelo. Legati con tutta sicurezza da un’apposita imbracatura e agganciati ad un cavo d’acciaio il visitatore potrà provare l’ebrezza del volo e si lascerà scivolare in una fantastica avventura. info: www.volodellangelo.com

Dolomiti Lucane fino al 13 settembre

Oltre Il Moderno

Palazzo San Gervaso fino al 26 settembre Un percorso tra i capolavori della collezione d’Errico e l’arte contemporanea. La mostra, nell’autorevole spazio di Palazzo d’Errico, presenta una serie di capolavori dalla collezione, affiancati a opere di arte contemporanea, per un rapporto sinergico tra passato e presente, che illustra la fisionomia e la storia della collezione, caricata di nuovi significati metamorfici grazie all’arte contemporanea. info: www.pinacotecaderrico.eu

Percorso di Arte Contemporanea

Le Opere di Basaldella Mostra Antologica

Matera fino al 3 ottobre

Il Comune di Matera e il Circolo Culturale “La Scaletta” dal 1978 organizzano nei suggestivi ambienti rupestri di Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci un evento denominato “Le Grandi Mostre nei Sassi di Matera” dedicato alla scultura contemporanea. L’appuntamento è dedicato al centenario della nascita di Dino Basaldella. info: www.materacultura.it

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Le vacanze estive sono ormai al termine, l’estate sta finendo e un anno se ne va...oops, no quella era un’altra cosa... Dicevo è finita la pacchia, ognuno torna alle proprie occupazioni portando nel cuore i ricordi delle vacanze: chi un amore, chi una spiaggia, chi una pallonata presa durante interminabili partite a beach soccer, chi un cagnetto trovato sul bordo dell’autostrada, chi la soddisfazione di essersi sbarazzati del cagnetto di cui sopra. Io porto con me “La Settimana Engmistica”, la rivista che vanta innumerevoli tentativi di imitazione, la rivista di enigmistica prima per fondazione e diffusione, l’unica con le definizioni impossibili che quando riesci a leggere la parola nelle caselle preposte dici “ah, voleva dire proprio le due lettere nel mezzo di precipitevolissimevolmente, come ho fatto a non pensarci prima!”. La Settimana Engmistica esce in edicola ogni sabato ma io di martedì ho già finito le parole crociate, le parole crociate a schema libero, la pista cifrata (cioè unisci i puntini in ordine di grandezza e senza fare le curve) e “che cosa apparirà” ovvero il

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gioco che vi fa consumare un’intera penna biro pur di annerire gli spazi con il puntino. Mercoledì so a memoria le incredibili notizie de “forse non tutti sanno che...”, “leggendo qua e là”, le “spigolature”, “strano ma vero!” e mi sono sbellicata leggendo le vignette per rinfrancar lo spirito tra un enigma e l’altro. Ma a questo punto mi assale la tristezza, guardo la sgualcita copertina con la foto di un personaggio noto ai più e mi accorgo che il personaggio non è più noto perché io ho disegnato baffi e barba mentre cercavo la definizione del 47 orizzontale. Inizio a sfogliare le pagine della mia garbata Settimana e vi ritrovo macchie di caffè, gelato, granita, pasta al forno... leggo l’ultima pagina e cerco di usare le soluzioni della settimana precedente per gli enigmi della settimana in corso (senza alcun risultato ahimè!) ma la tristezza non svanisce. Giovedì mi alzo con i migliori

propositi: non posso abbandonare la mia Settimanina Enigmistica così, come un cagnolino comperato a Natale per il trastullo di grandi e piccini; sabato non è ancora arrivato e la mia compagna di giochi ha ancora tanto da dirmi. Imparerò i giochi che ancora non conosco. Dunque, visto che le parole crociate sono il mio forte, proverò con le sue varianti, parole crociate a chiave periferica: a gioco risolto, leggendo in senso orario nelle caselle periferiche, otterrete un pensiero di G.Sand. Ma io non ho bisogno di conoscere il pensiero di G.Sand, meglio passar oltre, è solo la prima pagina. Parole crociate bi-triletterali, mi risulta complessa anche la breve spiegazione in calce; parole crociate bifrontali e non ho uno specchio a portata di mano; parole crociate a riempimento, cado nel vuoto delle caselle libere, per non parlare dell’enig-

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ma senza schema... da dove si comincia? Va bene, giovedì volge al termine e domani è già venerdì. Venerdì lei è lì sul tavolino e mi guarda disperata, io sono scossa dai sensi di colpa... proverò con i rebus. Apro la pagina della Sfinge e già mi sento in Egitto. Cambio d’iniziale: nel cuor della ragazza fece xxxxxxx e questa gli calò la lunga xxxxxxx; ci sono, la soluzione è: nel cuor della ragazza fece breccia e questa gli calò la lunga treccia, ce la posso fare. A noi due Sfinge! Sciarada, crittografia sinonimica, aggiunta iniziale, cambio di consonante, zeppa, scarto sillabico, lucchetto, anagramma diviso, bizeppa, falso iterativo e infine palindromo. Solo per leggere i titoli e le spiegazioni è passato il pomeriggio... beh, fa niente, domani finalmente è sabato! Simona Simone


Mentre in Italia fervono i preparativi per i festeggiamenti, nel 2011, dei 150 anni dall’unità, a Città del Capo, Clint Eastwood sta girando un film per raccontare di una storica partita di rugby che cambiò il Sudafrica. Era il 24 giugno 1995. L’anno precedente Nelson Mandela aveva vinto trionfalmente le prime elezioni libere dell’ex colonia britannica. A quel punto egli si era posto il problema che già era stato di Massimo d’Azeglio: costruire i sudafricani.Furono sufficienti quindici uomini – a fronte dei nostri mille - e, nonostante l’esiguità numerica, per loro fu “un gioco” da ragazzi. John Carlin, ex corrispondente dal Sudafrica, ne fu testimone e ora ha raccontato in un libro, “Playing the enemy, Nelson Mandela and the game that changed a Nation”, di come Mandela sfruttò magistralmente la coppa del mondo di rugby che il Sudafrica ospitava quell’anno. Il gioco del rugby nella terra dell’apartheid era la “religione laica” degli Afrikaners, la minoranza bianca che governava il Paese segregando la maggioranza dei neri, e aveva nella selezione nazionale, gli Springboks, i propri sacerdoti. Il movimento di liberazione aveva usato e ottenuto il boicottaggio internazionale degli Springboks per minare nella passione le certezze razziste degli Afrikaners. Come poteva ora Mandela, eletto da un’enorme maggioranza nera, fare della nazionale di rugby un elemento di unione

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del Paese? Carlin narra di come questi muscolosi Springboks si misero come scolari a studiare “Nkosi Sikelel’ iAfrica” in lingua Xhosa, che diventava inno nazionale, o del momento in cui, all’ingresso allo stadio, Mandela fu salutato da una folla completamente bianca e il carcerato diventato presidente sfruttò al meglio il momento: con la maglia degli Springboks addosso scese a salutare il capitano Pienaar prima dell’incontro; al termine della “partita che cambiò una nazione”, con la stessa maglia di cotone verde, consegnò al capitano degli Springboks la Webb Ellis Cup, la Coppa del Mondo del rugby: 38 centimetri d’argento che simboleggiavano la pacificazione del Sudafrica. La vittoria strettissima (15-12) sui temutissimi All Blacks neozelandesi era arrivata per un drop nel secondo tempo supplementare di Joel Stransky: se quel calcio fosse finito fuori ora avremmo una leggenda in meno, la storia non sarebbe la stessa, Mandela non si sarebbe infilato la maglia, non avrebbe mai stretto la mano all’afrikaner Pienaar e Clint Eastwood non ci potrebbe fare adesso un film. Sono passati anni, ora gli Springboks hanno persino un ct di colore, Peter de Villiers. Dopo un secolo e mezzo, invece, l’Italia è ancora divisa tra nostalgici di destra e di sinistra, ha il suo sport nazionale, ma manca una personalità unificante. Se è vero che il gioco ha anche una funzione educativa, riuscirà il nostro calcio a far crescere la nazione italiana? Fino ad ora così non pare. Marika Iannuzziello


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Sembra strano, ma il gioco è anche una teoria matematica, scienza che, come tutti noi sappiamo, non accetta alcuna opinione. Per definizione, la teoria dei giochi è la scienza matematica che analizza situazioni di conflitto e ne ricerca soluzioni competitive e/o cooperative tra i vari soggetti coinvolti. Alla base c’è sempre lo studio dell’influenza che l’azione di un soggetto può generare sugli altri. E di come questa influenza condizioni (positivamente o negativamente) i risultati ottenuti dagli altri. Sintetizzando questa bella definizione ho solo due strategie per raggiungere il mio risultatoobiettivo. Competere o Cooperare. Un esempio concreto è il rapporto commerciante/acquirente. Qui i due soggetti muovono azioni per influenzare i risultati della controparte e raggiungere i propri obiettivi... Infatti il commerciante può mo-

dificare i prezzi per influenzare l’acquirente e spingerlo a comprare e raggiungere così il suo obiettivo di aumentare i propri profitti. Dall’altro lato, invece, l’acquirente può astenersi dall’acquisto per influenzare il commerciante ad abbassare i prezzi e raggiungere così il suo obiettivo di risparmiare e soddisfare comunque il suo bisogno di possedere il bene-prodotto. Questa situazione di conflitto è sicuramente caratterizzata dalla competizione e genera, in entrambi i casi, un vincitore e un perdente. Come accade, d’altronde, nella maggior parte dei giochi. Quando commerciante e acquirente iniziano una contrattazione, invece, viene fuori la cooperazione. Il conflitto non si risolve con un vincitore e un perdente, ma con due vincitori poiché ognuna delle due parti ha raggiunto l’obiettivo prefissato. La seconda situazione è sicuramente da preferire poiché sacrifica l’interesse di uno a vantaggio di quello di un altro.

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Cosa accade, invece, se lo scopo è sempre vincere, prevalere? Accade proprio ciò che stiamo vivendo in questa fase in cui i mercati globali, imponendo come unico obiettivo il massimo profitto, portano, inevitabilmente, alla competizione e dunque all’idea che qualcuno, all’interno del gioco, debba necessariamente perdere. Cosa c’è alla base di questo pensiero dominante? Una cultura basata sull’egoismo e sull’individualismo. Una cultura che vede nell’altro un nemico che ci minaccia e non una potenziale risorsa. La domanda a questo punto è obbligatoria. Se fosse possibile puntare sempre al gioco cooperativo per raggiungere gli obiettivi prefissati e dunque i legittimi interessi di ognuno, il problema sarebbe risolto? Probabilmente sì, proprio come accadeva da bambini quando in ogni attività di gioco l’interesse del gruppo era sempre prioritario rispetto all’individuo. Già, ma era solo un gioco. Michele Guido


Le parole gioco e giocare ricorrono frequentemente nel nostro linguaggio comune, ma troppo spesso tali vocaboli vengono associati a tempi trascorsi e lontani ed hanno un sapore tenero e gioviale, che ci riporta ad un’età improntata sull’ingenuità e sulla spensieratezza. Ma non sarebbe bello saper giocare con la consapevolezza e la voglia di divertirsi senza avvertire quei sensi di colpa, propri di un’epoca che ci “impone” ritmi e stereotipi, portandoci a soffrire, in modo differente, ma indistintamente, del male del secolo? Pensateci bene. Una delle cause dell’ansia potrebbe essere ricercata nella nostra incapacità ad opporci all’essere diventati dei “giocattoli” nelle mani della nostra stessa vita. Una vita che ci porta a essere tutto, tranne che noi stessi. Che gioco crudele! Secondo una prospettiva sociologica di Roger Caillois, i giochi

di simulacro, i cosiddetti “giochi di ruolo” dove si diventa “altro”, è una delle categorie in base a cui i giochi vengono classificati. I nostri ragazzi non giocano più a nascondino o, per meglio dire, lo fanno nascondendosi dietro un nickname o dietro macchine elettroniche (i famosi computer che hanno assunto oramai sembianze e funzioni di giocattolo), usano quegli orrendi video games nei quali trasferiscono i loro obiettivi e le loro aspettative, vivendo un’esistenza che non è la propria; oppure si nascondono dietro le playstation, che li trasforma nei mostri del gioco... e guai a disturbarli mentre ammazzano i loro nemici… si rischia di diventare uno di loro. Dove sono andati a finire i nostri dolci pargoletti? Non credo che Caillois avesse quest’idea quando parlava o scriveva dei giochi di simulacro. Il filosofo Aristotele accostò il gioco alla gioia e alla virtù, distinguendolo dalle attività praticate per necessità.

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Ma quali sono i giochi che procurano gioia? Come sempre il problema non sono gli “aggeggi” che invadono le nostre abitazioni e che rischiano di essere inclusi a breve nello stato di famiglia di ognuno di noi e conteggiati nel nostro I.S.E.E. (poco male, visto che non producono reddito, ma contribuirebbero a diminuire solamente il suo valore), ma il problema è il concetto di gioco che, come tutte le attività in evoluzione, ha perso il suo significato originario. Friedrich Schiller affidò al gioco la funzione di tramite per raggiungere la libertà e l’espressione della fantasia. Il gioco, in via generale, è un’attività che può avere diverse funzioni ed è basato su un obiettivo da raggiungere, un insieme di regole da seguire, e noi dovremmo imparare a vivere giocando senza barare… soprattutto con noi stessi!!!!! Anna D’Andrea


Quale miglior passatempo del gioco... se non quello con il nostro amato pc o console? Di giochi ne vengono sfornati a migliaia ogni mese dalle più grandi case produttrici, tanto da soddisfare tutti i gusti dei gamers, anche in base alle tasche. Sarebbe quanto mai inutile parlarvi di Pet Society o delle prossime uscite (ne parlano già tanto giornali e riviste del settore), ma, tanto per citarvene alcune, non perdetevi l’arrivo di Mafia 2 e di Assassin’s Creed 2. Anche in questo numero vi parlerò di alcune curiosità, ovviamente OpenSource. Iniziamo con il primo: Fyrebug (www.fyrebug.com/). É un sito web che ci permette di creare dei piccoli e simpaticissimi giochi personalizzabili (come ad esempio inserire la nostra faccia o quella dei nostri amici, scegliendo anche la musica di sottofondo), partendo da diversi tipi di gioco di default. Una volta terminata la procedura di creazione ci verrà rilasciato il codice che ci permetterà di caricare il gioco sul nostro sito, oppure un link da postare sui nostri social network, e quindi invitare i nostri amici a farsi una bella partita... dove i protagonisti saranno proprio loro!

Per chi, invece, come me, è amante dei vecchi giochi (quelli che andavano con le 200 lire!!!), che hanno segnato la nostra infanzia, oltre a titoli più recenti, vi segnalo MultiEmoPack (http:// uploaded.to/?id=tn2153), ossia una raccolta di tutti i migliori emulatori reperibili sulla rete, dalla Playstation alla Xbox, dai giochi Nintendo a quelli Arcade. Oltre a quest’ultimo vi segnalo questi siti dove spassarvela nei momenti di noia: • microgiochi.com • gioco.it • puffgames.com • flashgames.it A chi utilizza la Playstation più del pc, segnalo questo link preso dal sito della Sony, www.

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us.playstation.com/Support/ CompatibleStatus. Permette di conoscere l’effettiva compatibilità di un determinato gioco con la nuova console di casa Sony. Concludo: per tutti coloro che conoscono GuitarHero, un gioco semplice e divertente, ma a pagamento. Esiste però Frets on Fire, un clone Open Source del gioco per Xbox e PlayStation, anche se chiamarlo clone è molto riduttivo. Infatti, a differenza di GuitarHero, mette a disposizione moltissime canzoni, davvero tante, grazie ad internet. Alla fine possiamo dire... les jeux sont faits! Mimmo Claps


Cara Redazione di brek, volevo esprimere la mia sul vostro magazine e devo dire che lo trovo piacevole da leggere e ricco di contenuti. Un plauso va fatto alla veste grafica, davvero molto professionale e diversa da qualsiasi altro freepress da me consultato. Donato Sto ancora ridendo dopo aver letto gli articoli della sezione “zoom” dello scorso numero di Brek!!! Ma come fate a trovare quelle notizie così assurde!? Grandi!!! Giulia Salve! Ho appena finito di leggere il vostro articolo su Don Peppino Stolfi (mio carissimo amico, tra l’altro). Volevo congratularmi con la vostra redazione per aver dato risalto ad una grande personalità come la sua. Questo è solo uno dei riconoscimenti che merita. Ne arriveranno tanti di articoli così, ma dopo, come sempre. Vito Gentile redazione di brek magazine, vi leggo da quasi un anno e credo di poter dare un parere, ormai, sui contenuti della vostra

rivista. Trovo che gli articoli “di settore” siano molto interessanti (cinema, musica, moda, ma anche politica e società)... ma il resto? Non sarebbe meglio creare ulteriori rubriche di settore piuttosto che inserire articoli che non insegnano assolutamente nulla? Il mio è solo un parere, ma spero ne teniate conto. Luciana Ma chi è Wine_R? Scrive in un modo a dir poco favoloso! Anna Complimenti per quest’uscita. Mi piace molto la scelta degli argomenti. Molto molto carino l’articolo sul Syrah, che tra l’altro adoro, anche se c’entra poco. :) Complimenti. Sarah Appoggio vivamente la proposta di Angelo Raffaele, che sulla posta del n° 6 del vostro magazine chiedeva di dare la possibilità di abbonarsi al vostro bel giornaletto. Sarebbe bello evitare di cercarvi per mari e per monti nel mio paesino dimenticato da tutti. Fatemi felice!

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Alberto Salve a tutti! Mentre sfogliavo l’ultimo numero di brek ho pensato: perchè non realizzate un concorso di fotografia su un tema ben definito? Magari potreste dare al vincitore l’onore di comparire in copertina per una prossima uscita e al secondo e terzo classificato la pubblicazione all’interno di qualche articolo? Magari, se la cosa dovesse riuscire, potreste poi fare, allo stesso modo, un concorso di saggi brevi o articoli a tema. Che ne pensate? Spero che anche altri lettori appoggino la mia proposta. Ah, dimenticavo... complimenti per il vostro stupendo magazine!!! Rachele Grazie a tutti quelli che ci hanno scritto, e anche a quelli che, per motivi di spazio, non hanno trovato pubblicazione su questo numero. Siamo entusiasti dei vostri commenti e vi invitiamo a passare a trovarci sul nostro sito internet www.brekmagazine. it e sulle nostre pagine di Facebook e MySpace. Ci b(r)ekkimao presto!


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