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IN COPERTINA: Marcello Mantegazza “Ruota Automotrice” Courtesy Amnesiac Arts www.amnesiacarts.com
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BREK.ZOOM 04. Anche i ricchi piangono 04. Solo 10 secondi di pazienza 05. 227 ore di attesa 05. Un dito prodigioso 06. 15 minuti di pausa. Massaggio o caffè? 06. Dimmi che odore hai e ti dirò chi sei
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PROSPETTIVE METROPOLITANE.SOCIETÁ 08. Chi non lavora... non fa l’amore! PROSPETTIVE METROPOLITANE.POLITICA 12. Curre, curre, guagliò! PROSPETTIVE METROPOLITANE.COSTUME 14. L’uomo in mobilità
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INCONTRI.AMNESIAC ARTS 17. Attacco alle macchine INCONTRI.PERSONAGGI 20. Nicola Genovese. L’indole dell’artista INCONTRI.APT 22. http://www.basilicata.travel
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ATMOSFERE.CINEMA 26. Servizio completo ATMOSFERE.MUSICA 28. Questione di playlist ATMOSFERE.MODA 30. Professione: Cacciatore di teste ATMOSFERE.LIBRI 34. La crisi come occasione di ripensamento ATMOSFERE.VINO 35. Una sera, all’improvviso! FUORICAMPO.RE-VISIONI 41. E tu, che lavoro ti inventi? 42. La donna è mobile? 43. Di necessità virtù FUORICAMPO.TECNOLOGIA 45. Non solo Skype
EDITORE Soc. Cop. Sociale a r.l. via Nicola Sole, 73 85100 Potenza DIRETTORE RESPONSABILE Rossella Sagarese HANNO COLLABORATO Alessandra Carlucci Mimmo Claps Davide Galasso Marika Iannuzziello Barbara Lorusso Massimo Lovisco Nicola Pace
42 Andreina Serena Romano Leonarda Sabino Andrea Samela Simona Simone Danilo Turi WineR.
GRAFICA PUBBLICITARIA Riccardo Telesca
PROGETTO GRAFICO O.S. Italia Soc. Cop. Sociale a r.l.
STAMPA Grafiche Gercap / Foggia
COPERTINA “Ruota Automotrice” di Marcello Mantegazza
BREK garantisce la libertà di pensiero e di espressione. Per questo motivo ogni collaboratore è singolarmente responsabile delle proprie idee e di ciò che scrive.
IMPAGINAZIONE Michele Nella
Autorizzazione Tribunale di Potenza nº 376 del 7/5/08
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PUBBLICITÁ O.S. Italia Soc. Cop. Sociale a r.l. tel. 0971 36703 fax 0971 25938
Si chiama Forbes ed è la rivista pubblicata in USA che ogni anno stila la classifica degli uomini più ricchi del pianeta. La graduatoria del 2008 vede al primo posto (e non è una novità) il proprietario della Microsoft Bill Gates. Secondo il magazine americano la crisi si è fatta sentire anche per i super ricchi, basti pensare che proprio Gates da 58 miliardi di dollari del 2007 è passato a “soli” 40 miliardi di dollari del 2008. Poverino, anche lui dovrà rinunciare al prosciutto di parma. Il primo tra gli italiani si piazza al 40° posto ed è Michele Ferrero, proprietario dell’azienda omonima, mentre il Cavaliere nazionale, Silvio Berlusconi, con soli 6,5 miliardi di dollari è attestato al 70° posto. È proprio vero, questa crisi non ha risparmiato proprio nessuno!
La tecnologia non finisce mai di stupire. Dopo le batterie al litio, capaci di resistere per molti giorni, i ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) sono arrivati a risolvere anche il problema della loro ricarica. Sappiamo tutti che c’è bisogno anche di un paio d’ore per ricaricare interamente la nostra batteria del cellulare, ma tra un paio di anni circa questo inconveniente sarà superato.
Infatti un gruppo di giovani scienziati americani ha messo a punto un nuovo sistema, basato sul fosfato di litio, che permetterà alle nostre batterie di ricaricarsi nel giro di pochi secondi. Le applicazioni non mancano: dai telefoni cellulari ai pc portatili, fino alle auto elettriche. Nell’attesa di questa “rivoluzione” continuate a tenere d’occhio l’icona della batteria sul vostro cellulare!
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Se fate i calcoli significa aspettare per ben 9 giorni e 4 ore. Un tempo lunghissimo che potremmo impiegare per fare qualche altra cosa (una vacanza, stare con i propri cari, ecc...) eppure tutti noi siamo costretti annualmente ad attendere tutto questo tempo. Ma cosa siamo costretti ad aspettare? E in quale luogo? La risposta, semplice e sorprendente, è che 227 ore è il tempo
che tutti noi trascorriamo in macchina nella speranza che accada qualcosa. Che scatti il verde, che la vecchietta attraversi, che quell’imbranato si decida a… Il tempo passa, noi non ce ne accorgiamo e alla fine siamo anche più nervosi di prima. Che ne dite di una bella passeggiata?
Isac Asimov, celebre romanziere di fantascienza, molti anni fa prefigurava il cyborg. Un essere un po’ macchina e un po’ uomo. In molti pensano che questo sia il futuro, Jerry Javala, invece, ha pensato di anticipare i tempi. Persa una falange durante un incidente ha pensato di farsi innestare una protesi che contenesse una penna USB.
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Il giovane finlandese che, guarda caso di mestiere fa il programmatore, stuzzicato da un chirurgo ha accettato la provocazione e dice di trovarsi a meraviglia. Nel dito-protesi può archiviare fino a 2 GB di dati. Un po’ pochi, forse, per un programmatore di successo. Buoni però per avere i dati più importanti sempre… a portata di mano!
Piscina. Sala relax. Ristorante. Palestra. E per finire anche un bar per l’aperitivo. Viene da pensare ad un centro vacanze. E invece sono tutte comodità che possono trovare i dipendenti di alcuni grandi società di comunicazione e hi-tech del pianeta. Facebook, Ebay, la Apple, Yahoo, la Cnn, il New York Times, Flickr, la BBC, Skype, Microsoft e YouTube. Tutti i fortunati dirigenti e dipendenti possono usufruire di comodità che la maggior parte di noi, forse, si permette molto raramente. Sicuramente un bel vantaggio, un trattamento privilegiato che ovviamente, tutti noi, speriamo presto si allarghi anche alle aziende italiane. Per adesso accontentiamoci del caffè (liofilizzato) nel bicchiere di carta alla macchinetta!
La scoperta della dottoressa Lesile Knapp, antropologa americana, ha in parte ribadito alcune probabili intuizioni comuni a tutti noi. La donna ha l’olfatto più sviluppato. Il gentil sesso, infatti, è particolarmente sensibile agli odori e in particolare al sudore dei maschi. Questa peculiarità è dovuta alla necessità di scegliere il partner migliore e che abbia un patrimonio genetico diverso in grado di
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assicurare alla donna una prole più forte e sana. Il sudore contiene informazioni importanti che alla donna non sfuggono e spingono la stessa all’intesa con il proprio partner. Non garantiamo nessun effetto positivo, anzi. Però se volete provare, l’estate è alle porte, magari dopo una bella sudata fatevi un bel giro in un ristorante affollato... non si sa mai.
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La frase sopra citata rivela una triste verità… è un privilegio di pochi e si avvicina alla reale felicità, la possibilità per l’individuo di amare il proprio lavoro. Dal significato della parola latina Labor, che vuol dire fatica, pena, sforzo… possiamo dare una definizione storico-scientifica del concetto di lavoro in termini di “Applicazione delle potenzialità psicofisiche dell’uomo diretta alla produzione di un bene o di un servizio o, comunque, ad acquisire un risultato tangibile di utilità individuale o collettiva”. E fin qui il nostro discorso fila… Partendo dal concetto di alienazione di Marx, nell’epoca di industrializzazione e di importanza data alla produzione d’impresa, la filosofia e la storia hanno compiuto i loro percorsi evolutivi
sino ad arrivare ad una riflessione preoccupata, fatta negli anni ’80, da un certo Francesco Totaro, nella sua opera “Non di solo lavoro”. Egli dice che accanto all’alienazione nel lavoro, di cui il suo tempo scontava le conseguenze ideologiche, faceva la sua comparsa l’alienazione da lavoro, che consiste nel completo appiattimento dell’uomo sulla sua attività lavorativa, come se questa fosse divenuta l’unico indicatore della riconoscibilità dell’uomo. E in effetti, in un mondo sempre più regolato dalla tecnica, che tende al dominio della terra, ogni azione anche quella apparentemente di svago, assume le sembianze del lavoro che copre l’intero arco delle ventiquattro
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ore, e non ha più nel riposo e nell’ozio il suo contrario, perché anche lo sport, anche il divertimento, anche il tempo libero, anche il fine settimana sono, come dice Jünger: “Un contrappeso dalle tinte giocose all’interno del lavoro, ma in nessun caso il contrario del lavoro”. Ciò spiega perché i nostri calendari hanno perso significato con la loro distinzione tra giorni feriali e giorni festivi. Questa distinzione, infatti, è sempre meno corrispondente ai ritmi della nostra vita che la tecnica visualizza ogni giorno di più come vita di lavoro, fino a far coincidere l’uomo con “il lavoratore”, e a trasformare l’intera società in una società di lavoro. Questa equazione è così vincolante che oggi il disoccupato è un non-esistente, e ciò di cui
soffre non è l’assenza di lavoro, ma l’assenza di vita, essendo la vita qualcosa di accessibile solo attraverso il lavoro. Se oggi il lavoro è la condizione di ogni diritto, il rischio è di cadere nella condizione opposta che porta all’identificazione esclusiva dell’uomo con il suo lavoro. In merito a questo problema il Totaro proponeva un passaggio dal lavoro come produzione, al lavoro come servizio, inteso come rivalutazione del tempo e delle relazioni interne al lavoro. Questa piccola digressione al passato serve solo per capire meglio il presente ed accorgersi che nel 2009, in piena crisi economica globale, la questione al centro dell’attenzione non è più solo un concetto di alienazione o rivalutazione del lavoro, ma nello specifico oggi il lavoro è divenuto un privilegio per pochi eletti, almeno al sud dello stivale. Ogni giorno assistiamo alla chiusura di fabbriche con la conseguente perdita del lavoro di migliaia di padri di famiglia e con il conseguente ed inevitabile cambiamento di stile di vita da parte di queste ultime. Da una parte c’è chi sta perdendo il lavoro e dall’altra ci sono le generazioni lavorative figlie del nuovo millennio che di lavoro ne praticano a botte di 3 mesi, con l’incognita di una riconferma del contratto che sempre più spesso tarda ad arrivare. In Basilicata si è assistito nel tempo ad un massiccio fenomeno di fuga dei talenti e il problema di oggi, a mio parere, è ancora più grave poiché l’assenza di lavoro, che come diceva qualcuno “nobilita l’uomo”, sta trasformando la società e i modi di relazionarsi delle persone. A tal proposito voglio citare un interessante concetto esplicato dal buon vecchio Freud che sosteneva che amore e lavoro sono i due poli più im-
portanti della vita. Tale concetto potrebbe essere attribuito al significato che Primo Levi dava alla felicità della vita che consiste nell’amore per il proprio lavoro, o in maniera più profana alla canzone di Celentano che intitola questo articolo. Sì… perché quando in una famiglia vengono a non essere soddisfatti i bisogni primari della Piramide di Maslow, e cioè la possibilità di cibarsi e di assolvere a tutte le necessità fisiologiche di ognuno, la tensione cresce e non è cosi facile lasciarsi andare a momenti di relax con la persona amata. O ancora, se i giovani lucani in particolare, ma la stragrande maggioranza delle giovani generazioni impiegano metà della loro vita per plurilaurearsi e plurispecializzarsi e cambiare lavoro da un contratto a termine all’altro… come potranno avere luo-
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go quei processi sociali che favoriscono le unioni, i matrimoni e la procreazione di figli senza lo stress di un posto di lavoro? Non sono mie fantasie, perché ho spesso sentito pronunciare dai miei coetanei: “non ho tempo per pensare alla vita sociale… sono troppo impegnato a cercare un lavoro, a realizzarmi…”. Così cari lettori di Brek, voglio concludere questa riflessione con la frase finale della canzone di Celentano e rivolgermi nel piccolo a coloro che amministrano “così bene” la nostra regione. La frase originale cantava: “Dammi l’aumento signor padrone così vedrai che in casa tua e in ogni casa entra l’amore”, ma noi cari politici non vogliamo neanche l’aumento, ma per i tempi che corrono ci accontenteremo anche di un bel posto di lavoro! Rossella Sagarese
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Operaio, impiegato, dirigente. Imbianchino, muratore, elettricista. Insegnante, venditore, idraulico. Mestieri. Lavoro. Sudore. Sogni. Cos’altro. Passione forse. Ma la passione a volte può spingerci verso un orizzonte nemmeno sospettato. Come quello scoperto dal protagonista di questa storia. Fare del lavoro la propria passione? O far diventare la propria passione un lavoro? Un’aspettativa di tutti, o di molti. E c’è chi ci riesce. A qualcuno però va male. Di come il lavoro possa spingere alla mobilità ne è piena la storia. Ma questa storia, però, non appartiene a questo filone e riguarda tutti noi. Un uomo che della sua passione fa un mestiere. Un lavoro, con il quale si guadagna da vivere. Un uomo felice, sorridente, giovane. Con una famiglia, gli amici, una ragazza. Tutto maledettamente bello e normale. Fino a quando, lo stesso uomo, improvvisamente è circondato dal buio. Niente di tutto quello che aveva sognato e programmato è più a portata di mano. Ogni giorno in un luogo diverso e sempre di nascosto. Ogni giorno in movimento per l’Italia. Spesso anche per l’Euro-
pa. Nessuno deve sapere. Per bere una birra bisogna evacuare il bar. La scorta che ascolta anche il rumore dell’urina sul WC. E tutto questo perché si fa bene il proprio lavoro. Storia triste, viene da pensare. No storia vera. Maledettamente vera. É triste solo per il protagonista che invece continua a testimoniare la più grande felicità che l’essere umano possa raggiungere: la libertà. Ma non la libertà banale che ognuno di noi immagina. Non la libertà di scegliere cosa comprare o che canale guardare. Ma la libertà di affrancarsi da un modello dominante di pensiero e testimoniarne un altro migliore e possibile in cui al centro di ogni azione c’è il rispetto verso il prossimo. Sto parlando di una persona come noi. Normale. Di una persona che ha deciso di fare lo scrittore. Di scrivere e raccontare storie vere. Di fotografare con le parole la realtà drammatica di un pezzo d’Italia. Sto parlando di una persona che oggi per continuare a fare il suo lavoro è costretto a muoversi perennemente. Di una persona che fa della mobilità il suo modus vivendi e non per piacere, ma per sopravvi-
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venza. Questa persona si chiama Roberto Saviano. Un lavoratore come noi. Un lavoratore come tutti. Un lavoratore con una condanna a morte sulla testa e che continua a sorridere. Un lavoratore con un probabile assassino in ogni angolo dell’Italia e che continua a dire che si può cambiare, volendo si può cambiare. Un lavoratore offeso quotidianamente e che continua a rispettare chiunque. Esempio, icona, eroe. Niente di tutto questo. Semplice testimone di un mondo da cambiare. É vero, il lavoro mobilita l’uomo. In questo caso (e in pochi altri, probabilmente) lo nobilita anche. Nicola Pace
Il tema del lavoro è da sempre stato al centro d’ogni discussione ideologica, politica, sociale, d’ogni governo e in ogni epoca storica.
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L’attuale crisi mondiale dell’economia è riportata ed analizzata da tutti i più autorevoli quotidiani tanto nel nostro Paese quanto nel resto del Mondo.
“Niente sarà più come prima. La crisi ha travolto il capitalismo globale e il modello sociale su cui si basava. La speranza è che da questo crollo nasca una nuova cultura”, scriveva tempo fa Manuel Castellas in un editoriale, mentre secondo il mensile francese Capital (riportato in italiano dal settimanale Internazionale di gennaio), di fronte alla crisi non bisogna farsi travolgere dal panico. Il mondo capitalista, sosteneva l’articolo, potrebbe anche uscire rafforzato da tale crisi. Capital citava la teoria di Schumpeter, secondo la quale alla scomparsa di settori interi dell’attività economica segue sistematicamente la creazione di nuove attività e quindi nuovi posti di lavoro. Se la grande depressione del secolo scorso aveva provocato l’esodo dalle campagne alle città, la crisi attuale ci spinge a lasciare le periferie per riversarci in città ad alta densità di talenti e con una elevata capacità di produzione intellettuale. La prospettiva di una soluzione, può essere scovata in un termine di cui riporto brevemente l’etimologia: ingegno. Dal latino ingenium, intelligenza. Ingegno inteso come facoltà dell’intendere, come acume, come talento. Ma perché, vi strarete chiedendo, riportare l’etimologia di ingegno? Perché è una possibile soluzione. Perché la nuova economia dipenderà dalla capacità di generare e trasferire idee. “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, così recita il 1º articolo dei Principi Fondamentali della nostra Costituzione ma noi, nostro malgrado, viviamo nell’epoca del cambiamento dettato coattivamente dalla crisi, viviamo nell’epoca in
cui un soggetto deve costruirsi un’identità professionale spinto e costretto in una perenne mobilità e flessibilità, e ciò che ci viene in aiuto è il nostro ingegno. “Con la civiltà dei computer, il lavoro manuale o manodopera sta progressivamente scomparendo poiché si predilige il lavoro intellettuale e professionale, cioè opera dell’intelletto o mentedopera”: la società dell’informazione è in grado di dare a ciascuno di noi nuovi impulsi e nuove prospettive di lavoro, che potenziano le capacità e le possibilità dell’uomo - lavoratore. La flessibilità del lavoro, si associa alla flessibilità e mobilità di pensiero. Prendiamo il Telelavoro, inesistente fino a non molti anni fa è oggi invece molto diffuso. Essendo una tipologia di lavoro tutta moderna ha grandi ripercussioni su tutta l’organizzazione del lavoro e perché no della stessa qualità della vita. Questo nuovo modo di concepire il lavoro, grazie ai suoi nuovi strumenti, permette al lavoratore di non avere gerarchie. Internet ha permesso di azzerare le distanze, ma non solo. L’ampliamento delle modalità d’accesso (da casa, da altre postazioni, in “mobilità”, attraverso mondi virtuali) consentirà al posto di lavoro d’essere ovunque la persona abbia necessità e voglia di impiegare le proprie capacità. I cambiamenti della realtà contemporanea bruciano rapidamente le conoscenze professionali ed è allora necessario comprendere che la flessibilità è un modus vivendi da imparare per poter sopravvivere nel mondo d’oggi. La crisi ci ha portato-costretto a mettere in funzione il nostro cervello! Leonarda Sabino
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Immaginiamo di catapultarci al di là della Manica in un giorno di fine 1700. Per essere più precisi diamo anche data e luogo: ci troviamo ad Anstey, un piccolo paese vicino Leicester. L’anno è il 1779, il giorno non lo conosciamo con precisione, ma di fronte ai nostri occhi si sta svolgendo una scena alquanto concitata. Un uomo anzi un operaio, sta colpendo violentemente un macchinario meccanico con un martello. Una scena strana, visto che queste macchine da poco
rivoluzioni racchiuse in piccoli gesti personali che sprigionano un potere evocativo in grado di cambiare anche un punto di vista collettivo consolidato. In realtà la storia non ci ha mai confermato se Ned Ludd sia mai esistito, ma a noi poco importa, perché simbolicamente rappresenta il primo operaio che in piena rivoluzione industriale vide la macchina come un’usurpazione e non come una possibilità: più macchinari significa in ogni caso meno operai, meno lavoro. Mi
Wim Delvoye - cement track
arrivate in zona per molti sono un vanto, l’ultimo ritrovato della produzione tessile nel campo tecnologico. Per questo operaio evidentemente non è così. Posa il martello solo ad operazione conclusa, quando la macchina è irrimediabilmente inutilizzabile, distrutta. Un atto di vandalismo! Sicuramente questo sarebbe il nostro primo pensiero, e invece no, ci stiamo sbagliando. Abbiamo appena assistito ad una rivoluzione, perché quell’uomo si chiama Ned Ludd ed ha appena dato vita al luddismo, anche se lui ancora non lo sa. E si, perché oltre alle rivoluzioni monumentali, che coinvolgono migliaia di persone e cambiano scenari geopolitici, esistono
sono chiesto, oggi a distanza di 230 anni è ancora condivisibile il suo gesto? E come si potrebbe attualizzare concettualmente parlando? Lasciamo Ned Ludd per un attimo e spostiamoci più vicino a noi spazio-temporalmente parlando. Questa volta siamo in Italia a Venezia, l’anno è il 1999. Ci troviamo a passeggiare in un’assolata giornata di giugno negli spazi appena restaurati dell’Arsenale dove si sta svolgendo una sezione della 48ª Biennale d’Arte Contemporanea. È l’edizione curata da Harald Szeeman, che rimarrà memorabile per alcune innovazioni. Per esempio è la prima volta che una folta delegazione di artisti
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cinesi espone in un contesto internazionale. Ma non solo. È la prima volta che la manifestazione esce dai confini dell’abituale sede ai Giardini e si estende nella città. Viene recuperata una vasta zona di proprietà dell’Esercito dove Szeeman decide di mettere le opere più sperimentali. Si tratta del vecchio Arsenale, proprio dove ci troviamo noi a passeggiare in questo momento. Noi siamo lì, abbiamo appena superato una piccola stanza vuota se non fosse per un mucchietto di terra in disordine (ci diranno poi che qualche giorno prima si era esibito un fachiro indiano per conto di Maurizio Cattelan) quando ci imbattiamo in un’opera gigantesca che ci lascia meravigliati, divertendoci ed inquietandoci allo stesso tempo: un enorme camion betoniera Nissan, o meglio, una sua riproduzione a grandezza naturale in Teck. Ma non è questo o meglio solo questa monumentalità a colpirci. Tutto il camion è completamente intagliato con decorazioni barocco-fiamminghe del XVII secolo. Adesso provate ad immaginare cosa può essere un tir di legno completamente decorato a mano e capirete di cosa si parla. L’autore è un giovane artista belga, ha 34 anni e si chiama Wim Delvoye. Per costruire il suo Cement Truck si è spinto fino in Indonesia, dove ancora sopravvive la tradizione dell’intaglio, in cerca dei migliori artigiani. Ne ha riuniti venti provenienti da piccoli villaggi che hanno lavorato per undici mesi. Sorprende la sua opera, ma non è nuovo a trovate del genere. Nei primi anni ‘90 Delvoy si presentò in galleria con delle strane porte da calcio a grandezza naturale. Cosa avevano di strano? Erano fatte di porcellana di Limoges e al posto della rete avevano una vetrata con un santo,
con le più avanzate tecnologie, dove si commissiona (minimo) al pc ogni tipo di lavorazione, Delvoye va controcorrente. Si rivolge all’uomo a cui chiede di fare o meglio rifare ciò che di solito oggi viene prodotto con le macchine, tornando ad un modello di produzione lento e a-seriale. E le macchine? Delvoye le rifiuta del tutto? Non proprio. Nel 2003 al Pecci di Prato presenta Cloaca Turbo. Di che si tratta? Un complesso macchinario (anche visivamente parlando) che simula l’apparato digerente. Da un estremo si inserisce un pasto. La macchina lavora per ore, digerisce e alla fine produce l’opera: un escremento reale, cattivo odore compreso! Anche qui, si è parlato di gioco, ironia, desacralizzazione... ma tirando le somme, Delvoye ignora le macchine e quando le utilizza lo fa per fargli produrre degli escrementi, letteralmente ciò che noi consideriamo il rifiuto per eccellenza. Allora mi chiedo: cos’è questa
L’artsta Wim Delvoye
se non una forma di distruzione delle macchine sottile e concettualmente aggiornata al nostro tempo? Ecco quindi che abbiamo forse trovato il modo per fare come Ned Ludd senza andarcene in giro con un martello in mano. Massimo Lovisco
Delvoy - porta da calcio
del tutto simile a quelle che si trovano nelle (migliori) chiese. Anche in questo caso, l’artista non fu affatto superficiale: per la lavorazione andò in cerca di specialisti del settore commissionando queste vetrate “calcistiche” a degli istoriatori specializzati in vetrate sacre, anzi, talmente specializzati da avere la propria bottega in un chiostro di un monastero. Un aneddoto vuole anche che questi se la siano presa non poco quando hanno scoperto la destinazione profana del loro lavoro ma tant’è, la vetrata era già stata consegnata. Leggendo le note critiche sulle operazioni di Delvoye si è sempre parlato della sua evidente ironia desacralizzante, della sua estetica che si rivolge alle “cose di tutti i giorni”, del suo essere in fondo un artista pop contemporaneo che arriva a divertire e disorientare nello stesso tempo, tutto vero, ma... a mio avviso, possiamo vederci anche dell’altro e provo un azzardo. In un’epoca in cui si lavora
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Qualche tempo fa mi trovavo a Roma a trastullarmi in compagnia di amici di sempre e, durante il solito Amarcord adolescenziale, il mio telefono squillò. “PronDo!?”. “Uagliò, sono Michele Nella (…), avevo pensato di darti il compito di scrivere un articolo su Nicola Genovese, dato che lo conosci bene (...)”. Non potevo rifiutare, anche perchè il personaggio in questione ha contribuito in maniera determinante a consacrare quantomeno le mie scricchiolanti orecchie di giovanotto meridionale malato di musica al Jazz. Se a ciò si aggiunge che circa tre giorni prima avevo
assistito a una gloriosa performance di nonno Wayne Shorter col suo quartetto (Brian Blade, John Patitucci e Danilo Perez, …), si capisce definitivamente che per me la telefonata di Michele è stata una sorta di libidinosa “chiamata alle armi”. Nicola Genovese è per me principalmente un amico, ma oltre ad aver avuto il coraggio di questa scelta filantropa, è aviglianese come me ed ha scelto come me (con risultati decisamente migliori) di fare della musica una terapia psico-fisica permanente. In giovanissima età si avvicina allo studio del
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piano e promette molto bene, nonostante il suo primo maestro cerchi di fargli studiare Bach e lui preferisca (giustamente, data la tenera età) imparare a suonare “Furia, cavallo del West” del capellone Mal. Nonostante io sia pienamente consapevole che pubblicare questa informazione confidential mi costerà la rottura di qualche arto, insisto sull’argomento perchè credo sia molto indicativo dell’indole di Nicola che, negli anni a venire proseguirà il suo personalissimo cammino musicale partendo dal piano, che gli permetterà di tenere sotto controllo la situazione
musicale in toto, senza poi disdegnare il resto degli strumenti, come fisarmonica, chitarra e soprattutto batteria (che suona egregiamente). Conoscevo di nome (e di fama) Nicola Genovese da almeno un decennio, ma fu quando ci presentarono qualche anno fa che compresi appieno l’indole indipendente di cui sopra: sapevo dei suoi studi napoletani di architettura e del suo conseguente (e quasi obbligato) lavoro fuori regione, del suo aver studiato e suonato molto Jazz e non solo (in regione e non) e del suo ottimo album del 2001 “Strano Posto”, ma non potevo immaginare la sua dedizione da umile servo della musica e la sua propensione alla comunicazione musicale e non, e al profondo studio dell’emozione (nell’accezione pura e non necessariamente romantica del termine). Ascoltando attentamente la sua musica si coglie la sua natura anarchica e la sua chiara convinzione di voler dipingere canzoni e arrangiamenti con la propria tavolozza, fatta di colori e soprattutto di sfumature. “Perchè suonare tante note quando basta suonare le più belle?” diceva il buon vecchio Miles e mi pare che forse questo
sia l’unico motto che può ben rappresentare la sua musica che viene amorevolmente supportata da una vocalità “amara” e da liriche non prevedibili, ironiche e pungenti. Come avrete notato non sono un granchè come biografo anche perchè non mi basterebbe un articolo intero per scrivere la sola cronologia dell’artista, mi limito quindi a ricordare la sua provenienza geografica e il fatto che in “patria” abbia avuto la possibilità di suonare la sua musica due volte nell’arco di 18 anni... indole, appunto, non preposta all’elemosina musicale né tantomeno al compromesso con politicanti e simili di turno.
Severamente dignitoso e concreto (non solo musicalmente), non sopporta schemi e chiusure mentali (che, ahinoi, fanno parte dei costumi del suo paese di provenienza e non solo), possiede un glorioso Fender Rhodes (e questo gli fa onore), ha creato le condizioni ideali per suonare in tutti i luoghi dove risiede per brevi (Avigliano) e lunghi (in Toscana dove vive e lavora) periodi proprio perchè la musica non è una malattia, ma una terapia che forse non tutti comprendono (poveri loro) soprattutto da queste parti. In chiusura mi piace ricordare il suo ultimo concerto aviglianese (cui partecipai) dove esordì dicendo: “Il merito dell’organizzazione della serata va solo ai ragazzi dell’associazione e non a chi firma il manifesto, non basta mettere un nome su un manifesto per dire di aver organizzato le cose”. Indole, appunto. P.S: Date le scarse peculiarità biografiche dell’articolo, consiglio vivamente ai lettori di visitare il sito web http://www. nicolagenovese.it dove potranno trovare ulteriori informazioni sull’artista e, naturalmente, ascoltare alcuni suoi brani. Danilo Turi
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1844: Karl Marx nei Manoscritti economico-filosofici sostiene che il lavoro nobilita l’uomo in quanto il lavoro distingue l’uomo dall’animale e crea un rapporto costruttivo fra l’uomo e la natura. Infatti l’uomo, attraverso il lavoro e sotto la spinta dei propri bisogni, oggettiva le sue capacità e si appropria della
natura stessa. Allo stesso tempo Marx, nella stessa opera e partendo dalla considerazione precedente, afferma con forza e denuncia che nella produzione capitalista, al contrario, il lavoro disabilita l’uomo poiché in tale sistema l’uomo-operaio si ritrova alienato, cioè il prodotto del suo lavoro risulta non appartenergli, essendo in realtà di possesso del capitalista, ma soprattutto il lavoro propriamente detto gli è a lui alieno, estraneo, non lo avverte parte della sua realtà. Di conseguenza l’uomo-operaio diventa solo uno mezzo della produzione, una merce al pari di quello che lui produce: è umanamente disabilitato. 1997: Peter Cattaneo nella sua opera prima,
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Full monty, sottaciutamente afferma che il lavoro mobilita l’uomo ponendosi così a metà tra il nobilitare e il disabilitare marxiano. Lo fa raccontando la divertente e a tratti toccante vicenda di un gruppo di disoccupati, che pur di racimolare qualche soldo per tirare avanti ed ispirati da spogliarellisti professionisti, si lanciano nell’organizzazione di un numero di striptease. Ma l’esibizione prevederà una sorpresa! Decideranno di offrire il servizio completo, il full monty del titolo. Il film è una semplice e smaliziata commedia che inaspettatamente ha avuto molto successo. Successo indubbiamente dovuto alla sua commercialità, com-
mercialità intesa come prodotto di facile fruizione come la comunicazione di massa chiede, ma soprattutto anche al tema-problema da esso trattato, anche se pur con ironia, quello del lavoro. Tema molto vicino alle persone e problema in cui, inevitabilmente, una buona parte degli individui si identifica. Infatti il film oltre a far divertire lo spettatore contiene in sè, senza nessuna forzatura interpretativa, anche una calzante parodia sulla bollente questione della disoccupazione e della flessibilità del lavoro. Emblema di ciò è il passaggio dei protagonisti da operai a disoccupati e da disoccupati a stripper. Quest’ultimo passaggio è certamente poco probabile nella realtà ma non impossibile. Ed è proprio questo punto che ci fa sorridere ed allo stesso tempo ci fa pensare. I disoccupati del film scegliendo lo spogliarello come soluzione dei loro problemi si dimostrano eccessivamente flessibili e quindi decisamente mobili. Il lungometraggio risulta così suggerirci cosa è diventato oggi il lavoro o meglio cosa oggi è diventato l’uomo in funzione del lavoro: l’uomo deve essere mobile. Con l’inasprirsi del sistema capitalistico, l’uomo deve essere mobile perché le dinamiche del mercato del lavoro sono diventate così veloci che è impossibile adagiarsi ed aspettare la “manna dal cielo”, il treno dell’occupazione non aspetta niente e nessuno. Deve essere mobile perché il contratto a tempo indeterminato è diventato una vera e propria chimera e, con queste nuove e bizzarre forme di contratto a tempo determinato, bisogna essere pronti a togliersi la borsa da postino e mettersi la giacca da
cameriere. Deve essere mobile perché oggi giorno la laurea non assicura più un posto degno degli studi fatti, discussa la tesi trovi già nell’armadio, pronta, la tuta da operaio, tutto il rispetto per gli operai ma allora che si studia a fare! (affermazione un po’ qualunquista ma molto reale). Deve essere mobile perché essendo ormai saturi molti settori lavorativi, bisogna inventarsi dal nulla il lavoro e c’è chi addirittura ha deciso di vendere valori, si proprio così, valori, l’amicizia, l’onesta, la sincerità, ecc... (roba da non crederci!). Deve essere mobile perché i posti di lavoro in alcune categorie sono sempre più pochi e allora bisogna imparare a sgomitare e trovare soluzioni per accaparrarsi quei pochi posti a disposizione e purtroppo la soluzione è sempre più spesso la raccomandazione e così a puttane la meritocrazia. In questa prospettiva, dunque, risulta ben chiaro perché l’affermazione implicita del film Full Monty, il lavoro mobilita l’uomo, si piazza a buon diritto a metà tra le due opposte affermazioni marxiane, quella del lavoro che nobilita l’uomo e quella, al contrario, del lavoro che disabilita l’uomo. Infatti in questo marasma di mobilità lavorativa, l’uomo non può far altro che, da una parte, nobilitarsi e cioè acuire e migliorare la sua manualità, il suo intelletto, il suo grado di siociabilità e la sua capacità di elaborare e realizzare idee valide ed efficace e, dall’altra, disabilitarsi ma non nel senso marxiano di percepire il lavoro e il prodotto del proprio lavoro estranei da sé ma nel senso opposto di diventare tutt’uno con il lavoro, di identificare il lavoro come la propria realtà, altrimenti il mercato occupazionale, con le sue velocissime e disumane dinamiche, ti lascia fuori dal
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La locandina del film
circuito. Per la serie, cinicamente parlando, è meglio fondersi con il sistema che correre il rischio di essere sputato fuori. Riprendendo un po’ l’ironia del film mi permetto di dire che il lavoro spesso disabilita anche sul piano psico-fisco poichè l’eccessiva mobilità materiale e di pensiero provoca non poco stress mentale e fisco, e a proposito di lavoro, in questo caso saranno contenti gli strizzacervelli. In ogni caso si spera che la mobilità non arrivi mai a disabilitare anche socialmente, cioè che non si sia costretti a scegliere come soluzione alla disoccupazione qualcosa che va ben oltre lo spogliarello. Ma tutto questo è il mondo del lavoro oggi. Allora cari lettori disoccupati o in cerca di lavoro, armatevi di palo per lap dance e di un bel perizoma leopardato e siate pronti ad ogni evenienza. Che si deve fare per campare! Davide Galasso
La musica aiuta a lavorare meglio? Apriamo questa annosa questione. Mi appello a voi signori, la musica vi agevola nel produrre meglio e più velocemente? Cosa scegliete, pop radiofonico, metallo pesante (go for it, metalheads rule!), Mozart o gli Squallor? Forse avete bisogno del più
totale silenzio per combinare qualcosa di buono nella vostra giornata? Intimate al vicino di scrivania di non proferir parola pena l’estrazione forzata delle corde vocali? Insomma, in ogni caso... come vi muovete? Non fatevi ingannare, questa non vuol essere un’indagine di mercato, bensì una piccola intro
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per portarvi a riflettere sul fatto che voi potete scegliere. Intendo... prendiamo un luogo a caso: il supermercato. Fate la spesa. Musica. Ah sì è la loro radio! Che idea carina. Che idea carina! Provate a dirlo alla cassiera: CHE IDEA CARINA.
Questa poveraccia sta lì tutto il giorno ad anchilosarsi le dita per registrare la roba che compriamo (magari le facciamo anche perder tempo perchè un nanosecondo prima che prenda il codice a barre del the al limone, decidiamo che se non lo sostituiamo con quello alla pesca potremmo morire) ed è costretta ad ascoltare ciò che passano i maledetti altoparlanti, senza che possa obiettar nulla. E parlo di Tiziano Ferro, latino americani vari, i Pooh (che si stanno sciogliendo e signori miei, allora Dio c’è davvero), Masini, Gigi D’Alessio. Ovviamente in loop per tutto il santissimo orario di lavoro. Ci stanno mica i dj alla radio del supermarket, è una playlist che si mette su e si schiaccia il tastino repeat. Come dire, già fai un lavoro alienante, noi ci mettiamo del nostro schiacciandoti gli attributi a ripetizione. Per carità, i gusti son gusti (anche se orrendi)... ma magari la povera sventurata è fan dei Ramones. Dei Cradle Of Filth. Dei Walls Of Jericho. Degli Agoraphobic Nosebleed. Riuscite ad immaginare il dramma interiore? Non è finita. Dopo la spesa, perchè non fare una puntatina al Mc Donald? Stesso discorso, prestate attenzione ai rumori che ci sono intorno a voi: marmocchi urlanti, patatine a friggere, “preparami due Mc Chicken!”, “Coca con o senza ghiaccio?”... fin qui chi ci lavora è abituato e sopporta, ma sfido chiunque a reggere per un intero turno l’ennesima nenia di Marco Carta intervallata dall’estremamente poco simpatico jingle a sottolineare che il pregiatissimo network su cui si è forzatamente sintonizzati, appartiene alla catena di fast food.
Ragazzi. Dai! I dipendenti sono giovani! Perchè squagliare le loro povere menti? Non possono neanche tenere l’Ipod! Sacrilegio! Possiamo anche far passare Marco Carta, dopotutto deve campare anche lui. La canzoncina RADIO MEEEEEEEC DONAAALD! può anche morire però. Diamine, c’è una M gialla grossa quanto un elicottero, c’è il ma-
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ledetto inquietante pagliaccio ovunque, dovete necessariamente ricordarmi in modo irritante che lavoro qui/sto per distruggermi il fegato con pane di gomma e carne di frattaglie non identificate? Riflettete gente, riflettete. C’è la crisi, vero. Il vostro lavoro non vi soddisfa, ok. Ma c’è sempre di peggio! Alessandra Carlucci
Head Hunter. Cacciatori di teste. Figure ammirate e allo stesso tempo odiate. Non siamo nel vecchio west, qui si parla di altre teste. Intelligenti, svogliate, giovani, passate, annoiate, stanche, fresche. L’importante è che siano teste. Negli ultimi anni la figura dell’head hunter ha preso piede anche da noi in Italia, e sono sempre più le aziende che si affidano a loro per ricercare il personale, soprattutto all’interno delle classi più alte della gerarchia aziendale. Non parliamo di agenzie interinali o cose del genere. Parliamo di uomini ed aziende che ogni giorno incontrano e scelgono i più alti vertici delle nostre aziende. Nella moda sono loro che
selezionano i futuri stilisti, direttori creativi, direttori generali, manager e responsabili. In pratica sono il vero tesoro del mondo della moda. Quando ne conosci uno non lo lasci più scappare via. Ho incontrato Roberto d’Incau, head hunter per la moda da circa dieci anni. Roberto è nato a Milano, 46 anni fa, è di famiglia bellunese, ha fatto studi classici in Italia, una laurea americana; vive a Milano, lavora tra Milano e Parigi. Collabora con SDA Bocconi, Domus Academy, e IED. Ama l’arte contemporanea, e, da buon italiano, la buona tavola. Nella sua carriera di cacciatore di teste, Roberto ha lavorato per i più grandi marchi italiani e stranieri. Ha incontrato, selezionato e scartato centinaia di figure professionali. Parlare con lui vuol dire scoprire come sono cambiate le regole del mercato del lavoro oggi, in che modo affrontare al meglio la competizione e come prepararsi a quello che la società attuale ci offre. Durante i suoi anni di carriera, il mondo del lavoro si è modificato in base alle esigenze del
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mercato. Incarichi, contratti, collaborazioni, mobilità e flessibilità. Sono queste le parole chiave per entrare con successo nel mondo del lavoro? Occupandomi in particolare della fascia alta del mercato, cioè della ricerca di dirigenti e quadri direttivi, il quadro contrattuale, perlomeno in Italia, non è poi cosi radicalmente cambiato; certamente, c’è molta più mobilità, il mercato del lavoro si è “americanizzato”, le persone cambiano lavoro più spesso, per scelta o perché, talvolta, costretti. Fino agli anni 80, le aziende creavano un sistema chiuso e protetto per i propri dipendenti. Contratti indeterminati, indennità, sicurezza sembravano certezze. Adesso quali sono le certezze? Cosa cercano le aziende e gli imprenditori nei loro dipendenti o collaboratori? Certezze, ahimè, soprattutto in un periodo difficile come questo, ce ne sono poche, lo vediamo tutti; le aziende cercano, in estrema sintesi, persone competenti, mentalmente flessibili, orientate ai risultati, che sappia-
no lavorare in squadra. Personalmente odio la parola precarietà e sono una delle poche sostenitrici della mobilità. Non crede che la flessibilità del lavoro possa aiutare la società e le persone a diventare più consapevoli delle proprie capacità? Può essere questo un modello per accrescere le competenze dei lavoratori? Certamente, il modello americano del lavoro, che prevede massima flessibilità e mobilità, presenta dei lati interessanti, soprattutto però in un contesto in cui sia facile ricollocarsi; il nostro sistema, più protetto, è d’altronde più vicino alle tradizionali rigidità del mercato del lavoro italiano. Probabilmente, “virtus in medio stat”. Secondo lei, in Italia riusciremo prima o poi ad abolire il famoso orario di lavoro 8 ore più pausa pranzo? Siamo pronti a comprendere che per lavorare meglio forse ci vuole anche un’indipendenza da questo punto di vista? Ma sai, perlomeno nelle aziende mie clienti, e certamente in tutte le aziende della moda, questo modello “nine to five” è davvero superato da tempo, gli orari di lavoro non sono proprio quelli impiegatizi classici. Lavorare nella moda. Com’è? È sicuramente molto interessante, e anche molto sfidante: si lavora davvero molto, e con ritmi sempre più veloci. Non è certo un modo di lavorare “di tutto riposo”. Il sistema è veloce, si sfornano continuamente collezioni, precollezioni, bisogna essere creativi, rapidi, efficienti: è un sistema dove non ci si può mai permettere di fermarsi, di sedersi sugli allori. É, comunque, affascinante. Quali sono le figure più ricercate? In questi ultimi anni, cerchiamo spesso figure che coniughino capacità manageriali e sensibilità per il prodotto: merchandiser di collezione, visual merchandiser, figure commerciali, figure di prodotto. Sono sempre di più le scuole che nascono ogni anno: scuole per stilisti, modellisti, comunicatori della moda, creatori di eventi, art director e qua-
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lunque altra figura esistente. Secondo lei sono tutte così necessarie? Gli antichi corsi di laurea non servono più? Una laurea, come cultura di base, a mio parere, serve sempre; i corsi di specializzazione e i master sono utili per avvicinare i giovani al mondo del lavoro, ma bisogna scegliere i più seri, e prestigiosi, altrimenti possono essere una perdita di tempo e di denaro. Qual è la sua maison preferita? Ha mai dovuto selezionare per suo conto figure professionali? Non ho una sola maison preferita; certamente mi piacciono i designer che fanno ricerca, che puntano all’innovazione: sono molto attento agli emergenti, che hanno qualcosa di nuovo da dire. Se proprio vuoi un nome, Courrèges, guardando al passato, mi è sempre piaciuto. È sempre stato il suo sogno fare l’head hunter? A dirti la verità no, ma in effetti, ripensandoci, ho fatto degli studi e delle esperienze professionali che mi hanno quasi naturalmente portato a questa professione. Come ci si sente quando si fa qualcosa per cui si ha studiato e si ha lottato? Quando si fa un lavoro che appassiona, come il mio, ci si sen-
te, come dicono i francesi, “bene nella propria pelle”, perché si mette moltissimo di sé nella propria professione, e lavorare costa meno fatica. Quali sono le sue passioni? Ne ho tante: viaggiare mi piace moltissimo, mi dà sempre stimoli, non mi delude mai. Quando viaggio, torno a essere il ragazzino entusiasta che è partito da solo per l’Inghilterra a 15 anni: il mio primo viaggio in autonomia! Poi, il design, e la moda degli anni 60 e 70 mi appassionano: erano anni di grandi utopie, di grandi speranze, tutto o quasi sembrava possibile, e i frutti creativi dell’epoca sono permeati di questa energia positiva. Cosa consiglierebbe ai ragazzi più giovani che arrivano da te pieni di talento ma senza esperienza? Stringete i denti, credete in voi stessi, curate le relazioni, siate umili ma sappiate sempre dove volete arrivare, e vedrete che i riconoscimenti prima o poi arriveranno. E a quelli che non hanno talento ma ci credono? Sai, i grandi talenti non sono molti; spesso però anche una persona con un talento medio, ma che abbia una grande capacità di applicazione, e molta professionalità, può avere successo.
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Ultime domande pratiche. Cosa non si deve mai fare durante un colloquio, soprattutto quando si tratta di aziende che operano nel settore moda? Non si deve dare l’idea che si pensa alla moda come a un mondo fatto solo di modelle, sfilate e di glamour; certo, c’è anche questo aspetto di PR, ma è solo una parte, è la punta dell’iceberg di una industria seria, dove si lavora duramente. Qualche bugia è ammessa durante il colloquio? Sai, un colloquio è uno scambio, un modo per conoscere il candidato: io penso che essere se stessi sia una strategia vincente; barare serve davvero a poco. Voi cacciatori di teste controllate davvero le referenze o sono solo trucchi per intimorire i candidati? Le controlliamo davvero, quando il cliente ce lo chiede, ma sempre in modo trasparente, nel pieno rispetto della legge sulla privacy. Cosa vorrebbe fare da grande? Lo scrittore: il mio sogno è scrivere un libro sulle mie esperienze professionali. Chissà, magari presto, perché no?... Andreina Serena Romano
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“Ho aumentato del doppio lo stipendio dei miei operai così acquisteranno le auto che producono”, questa risposta dava Ford a chi chiedeva spiegazioni su un provvedimento apparentemente sconsiderato. Invece il provvedimento di Ford era coerente con i principi di quello che Bauman definisce in Modernità liquida, Capitalismo pesante, quello delle fabbriche che affermavano il loro potere con strutture enormi, dove venivano stipati operai sicuri che la loro carriera iniziava e finiva là. Quella di Ford era una battuta che mostrava la realtà dei rapporti di lavoro dell’epoca: un matrimonio indissolubile tra capitale e lavoratore. Il lavoratore continua a lavorare e vivere se la fabbrica per cui lavora “funziona”, e la fabbrica, e il capitale che c’è dietro, continuano ad accrescersi se gli operai lavorano bene. Ecco perché aumentare lo stipendio, per legare gli operai alla fabbrica, per far sì che nessuno cambiasse idea e andasse a lavorare altrove, portando con sè competenze e capacità. Nel nostro presente invece, sostiene Bauman, siamo nella fa-
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se del Capitalismo soft, capitalismo leggero, che si nutre della vendita di idee, della vendita di prodotti di cui i consumatori sono invogliati e non necessitati a consumare, siamo nella leggerezza della flessibilità di un presente liquido che non permette il dominio di se stesso per una pianificazione del futuro; viviamo in una realtà dove la specializzazione, come quella degli operai delle fabbriche che adesso falliscono, è un difetto, perché implica la non poliedricità dello sfruttamento delle capacità, è indice di una fissità contraria al dictat del capitalismo soft, cioè l’assoluta liberalizzazione, che implica una capacità di cambiamento di obiettivi e movimento di capitali che la specializzazione non permette ma ostacola. Nella nuova concezione del lavoro, il cambiamento continuo di funzioni, obiettivi e idee è l’unica strategia vincente: ciò implica il divorzio tra lavoratore e capitale, in quanto per un capitale mobile e flessibile un lavoratore fisso è un problema da eliminare, con contratti a tempo determinato e senza certezza di rinnovo: si passa dal matrimonio a una precaria convivenza. L’unica cosa che possiamo fare, è sperare che la crisi in atto favorisca un ripensamento di una concezione del lavoro che non permette la pianificazione della vita, crisi basata su una mancanza di fiducia del consumatore, mancata fiducia nel futuro che il capitalismo soft, con i contratti a tempo determinato, ci ha tolto. Andrea Samela
È sempre difficile, benché esilarante, parlare con il mio amico Nicola. In particolare trovo difficile parlare con lui di Vini. Quando accade nello splendido idioma aviglianese dice di me: “lui dice di conoscerli io invece li bevo”. In effetti, però, devo riconoscere un aspetto reale della sua tesi. Ovvero: aldilà della professionale conoscenza che si può avere del Vino la qualità dello stesso credo si misuri nella capacità che quel Vino ha di conquistare l’emozione ed il palato di ‘‘bevitori’’ come Nicola. Ho sempre amato questa antica bevanda, prima contadina poi sempre più aristocratica. Ho sempre bevuto Vino come un elemento naturale dei miei bisogni e l’ho preservato come un vecchio amico prezioso, che ho interpellato quando avevo bisogno di un pizzico di leggerezza. Come nella vita di ognuno accade sempre qualcosa che ne segna il destino. Ciò che inaspettatamente ha segnato il mio è stata la scoperta e la bevuta di un Vino bianco. In Alto Adige un ristoratore di Merano mi propose un Vino Bianco che inizialmente rifiutai. Quel ristoratore, che oggi è un amico, riuscì a convincermi e portò a tavola questa bottiglia affusolata ed elegante, austera e sensuale che sembrava mostrare da parte sua la stessa resistente
attrazione che iniziavo a provare anche io per lei. Me ne versò un bicchiere, mi chiese di chiudere gli occhi e mi guidò in una degustazione di quel Vino. C’è bisogno di un attimo di pausa, c’è bisogno che raccogliate quelle sensazioni che conservate nascoste nel vostro animo, quelle meraviglie che provate quando di fronte ad un paesaggio fantastico che s’apre a voi si uniscono i colori ed i profumi di un mondo che avevate ormai lasciato ai ricordi del fanciullo che è in voi. Quella trama intensa di odori vellutati, caldi, speziati, seducenti, quell’insieme aromatico di rose, mango, litchi e miele hanno di contrasto un nome austero e ‘‘androgino’’, che è un po’ il biglietto da visita della serietà ed il rigore produttivo dei viticoltori AltoAtesini. Quel nome è Gewurtztraminer. Il Vino in quel momento ha preso corpo dentro me sollecitando tutta la mia passione e tutta la mia fantasia. Ammaliato ed affascinato da quel meraviglioso gusto ho capito che non avrei potuto fare a meno di conoscere più approfonditamente il Mondo del Vino, ho così iniziato a studiare e leggere tutto quanto potesse riguardargli. Oggi affronto ogni mio incontro di-vino come la continuazione di quel viaggio cominciato in Alto Adige. Come una scoperta di luoghi, di persone, di sorrisi, di
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mani che lavorano le viti, di uomini che sognano assieme alla crescita di quel frutto che sarà vita. Ogni Vino ha la sua storia e la sua fatica e per questo non bisognerebbe mai disprezzarne alcuno, ogni Vino ha un’energia ed un piccolo sogno da regalare per la speranza di ogni bevitore. Se si vuole scoprire ad occhi chiusi il sole caldo della Sicilia oppure i venti freschi della Nuova Zelanda, la regalità del Barbaresco piuttosto che l’aristocrazia di un Bordeaux dovrete lasciare spazio alla vostra fantasia ed ai vostri stati d’animo. Il Vino è generoso ed è pronto ad offrirsi a voi lasciandosi scoprire, ma solo se voi sarete pronti a cercarne l’essenza a far si che quell’elegiaca alchimia abbia luogo con la stessa generosità. Oggi sento di invitarvi ad un bicchiere di Gewurtztraminer, così per iniziare una conoscenza. Vorrei che voi lo beveste con desiderio cosicché in questo viaggio riusciste a scoprire la meravigliosa storia che ogni Vino porta con sè. Vorrei che tutto ciò possa contribuire a conciliare il vostro animo con piacere e sorriso, anzi con Serenità cosa che usualmente mi piace augurare ai miei amici.Alla Serenità, ovviamente, non posso che invitare anche Nicola. Quindi miei cari Prosit e Serenità. WineR.
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Centorighe 2009
scadenza
Concorso Letterario - V Edizione
2 maggio
In collaborazione con la Casa Editrice Nerbini ed il Caffè storico letterario Le Giubbe Rosse. Le opere, racconti brevi inediti in lingua italiana dovranno pervenire entro il 2 maggio 2009 all’indirizzo di posta elettronica centorighe2009@libero.it. Regolamento e scheda di iscrizione nell’apposita sezione del sito http://concorsiletterari.it/concorso,916,Premio%20Centorighe.
Design e Mediterraneo Tra Presente e Futuro
scadenza
10 maggio
Il concorso prevede tre sezioni: Product design, Visual design e Fotografia. Possono partecipare designer, architetti, fotografi e creativi di qualsiasi nazionalità ed età. La partecipazione può essere sia individuale sia collettiva (in tal caso si nominerà un capogruppo di riferimento). Maggiori informazioni e bando sul sito www.palermodesign.it.
Dai Voce alla tua Voce Concorso per artisti emergenti
scadenza
30 maggio
L’associazione “Musikarte” comunica che sono aperte le iscrizioni alla sesta edizione del concorso canoro nazionale “Dai voce alla tua voce – Premio Virgilio Barbieri”, organizzato in collaborazione con il Comune di Mercogliano (Av) e con il patrocinio dell’Ente provinciale per il turismo di Avellino. Per regolamento e scheda d’iscrizione: www.associazionemusikarte.it. - infoline 338.9920475.
Immagini di Notte Concorso nazionale di cortometraggi L’Associazione Culturale “Lo Scoiattolo” e la Cooperativa sociale “La Ringhiera” con il patrocinio di Fondazione Cariplo, Provincia di Bergamo, Comune di Albino e Centro Studi Cinematrografici, nell’ambito del Progetto 6R, promuovono la XII edizione del concorso nazionale di cortometraggi che vedrà il suo compimento nell’autunno 2009. Info su www.microfonoaperto.it.
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scadenza
30 maggio
Internazionali di Tennis Tennis a Roma
Roma dal 25 aprile
L’evento è tra i più prestigiosi del circuito: saranno presenti, come sempre, i migliori giocatori e le migliori giocatrici del mondo, oltre ai più forti italiani. Il torneo maschile si svolgerà nella prima settimana, quello femminile nella seconda. Per abbonamenti e biglietti rivolgersi al numero verde della Biglietteria Centrale del Foro Italico (800.622662) o scrivere all’indirizzo ticketoffice@federtennis.it.
Teatro Greco
Siracusa
dal 9 XLV Ciclo di Rappresentazioni Classiche maggio Al Teatro Greco di Siracusa vengono rappresentate le più famose Tragedie Greche; ad interpretare i personaggi classici vengono scritturati i migliori attori di teatro italiani (anche Vittorio Gassman onorò della sua performance diversi anni fa). Le rappresentazioni sono viste da migliaia di persone provenienti da tutta l’Europa. info su www.indafondazione.org.
Cinema Documentario Festival del documentario d’Abruzzo
Pescara dal 12 maggio
ll Festival si propone di valorizzare e promuovere la diffusione, la conoscenza e la fruizione del cinema documentario sia italiano che internazionale, si vuole offrire un’occasione per ragionare sulla contemporaneità attraverso una serie di punti di vista differenti che arricchiscano e mettano in discussione il nostro sguardo. Regolamento e scheda di iscrizione su www.festivaldeldocumentariodabruzzo.it.
Simply Red in Concerto Stati Generali del vino in Campania
Milano 16 e 17 maggio
I Simply Red sono un gruppo musicale pop-soul britannico, fondato nella prima metà degli anni ‘80 da Mick Hucknall e tre ex-componenti della band dei Durutti Column. Questo sarà il loro “Farewell Tour” che li vedrà esibirsi per l’ultima volta fino allo scioglimento definitivo che avverrà nel 2010, alla fine della tournèe. Milano teatro degli Arcimboldi. Per info e biglietti: www.ticketone.it.
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Trend Expo 2009
Matera dal 30 aprile
15ª Edizione
Parlare del Presente pensandolo Futuro. Oltre l’informazione, le soluzioni per il Lavoro. Doppio appuntamento per la nuova edizione del Salone dell’Orientamento, della Formazione, del Lavoro e della Cultura: a Matera dal 30 aprile al 3 maggio, all’Ipogeo di Piazza San Francesco, e a Potenza dal 7 al 10 maggio, presso la Galleria Civica e la Cappella dei Celestini. Info: www.trendexpo.it - info@trendexpo.it.
Trofeo M. De Bernardi Gara Aeromodellistica
Lavello
8e9 maggio
Prende vita a Lavello, presso l’Aviosuperficie Falcone, la Seconda tappa nazionela di F3A, gara aeromodellistica di acrobazia aerea, valida per il titolo di campione italiano di categoria. L’obiettivo è quello di i trascorrere una giornata d’inverno in amicizia tra i vari club del centro sud e al tempo stesso portare l’aeromodellismo tra la gente. info su www.advdebernardi.it.
Bimbimbici 2009
Potenza 10 maggio
Gara Aeromodellistica
Una pedalata cittadina riservata ai bambini fino agli 11 anni, che si tiene ogni anno. Una pedalata gioiosa, un’occasione di festa per tutti quegli utenti deboli delle strade e delle piazze che, come i bambini, vivono quotidianamente la città come luogo riservato ad utenti forti (in primo luogo gli automobilisti). Per info e adesioni: www.bimbimbici.it.
La Magia del Tempo III Edizione Leon d´Oro "G. La Bella”
Potenza 23 maggio
Si svolge presso il teatro Stabile di Potenza la serata finale dell’evento, che prevede la premiazione delle compagnie vincitrici del prestigioso premio Leon d’Oro accompagnata da un spettacolo di illusionismo. Info: Cose di Teatro e Musica S.r.l. - Info & Tickets Tel. +39.0971.410358 - Fax +39.0971.26794. fonte: www.comune.potenza.it.
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Dinanzi alla crisi economica che affligge il nostro tempo non si può evitare di pensare sempre più frequentemente al lavoro. Disoccupazione, mobilità, cassa integrazione…quanto se ne parla negli ultimi anni! E che fare per campare? Inutile piangersi addosso, piuttosto… mobilitiamo i pensieri, lavoriamo con la mente prima che col corpo! In vista della crisi, appunto, gli ultimi anni hanno assistito alla ribalta di nuovi mestieri. Creativi, strani, tutti caratterizzati da grande inventiva. Così nascono in campo gastronomico il Maitre Chocolatier, ossia il sommelier del cioccolato, mestiere raffinatissimo e gustoso, e l’Assaggiatore, consulente gastronomico che lavora per aziende produttrici di prodotti alimentari. I più pigri, con buone doti comu-
nicative e conoscenza della rete, potrebbero buttarsi nei mestieri di Surfer o di Animatore di chat. Il primo è un surfista virtuale che naviga tutto il giorno in rete alla ricerca di siti originali da segnalare ad aziende web o a motori di ricerca; il secondo è un garante della netiquette (insieme di regole che disciplinano i rapporti tra utenti in rete, nda), capace di interagire con fruitori di chat e comunità virtuali, stimolando la conversazione e moderando i toni degli utenti. Estremamente richiesti, questi professionisti possono scegliere, per non affaticarsi troppo, anche la soluzione di lavoratori part-time! Di questi tempi poi perché non proporsi a noleggio come tuttofare in sostituzione di un marito troppo occupato o fannullone? La mente brillante di Gian Piero Cerizza, cinquantacinquenne di Monza, ha creato una nuova professione: il “Marito in Affitto”! Diffusa da due anni ormai nell’Italia del nord, è in continua espansione. Unici requisiti: pratica del “fai da te” e affidabilità. E se proprio non si è in grado di inventarsi una professione così su due piedi, in previsione
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della futura occupazione si può sempre frequentare a Pavia il corso di laurea in “Scienze del fiore e del verde”, per divenire specialisti nell’uso del materiale vegetale al fine di abbellire spazi pubblici e privati. Oppure specializzarsi a Parma in “Scienze e tecniche equine”. O ancora andare a Bari e iscriversi al corso di laurea in “Scienze dell’allevamento, igiene e benessere del cane e del gatto”. Se invece si è in cerca di un lavoro che non risenta della crisi economica, ci si può dedicare al mestiere di maggiordomo! Professionalità sempre più richiesta e ormai valorizzata anche in Italia da una specifica Associazione. Il Butler, uomo o donna, è anche un pianificatore d’eventi, un consulente prezioso per lo shopping esclusivo, un affidabile compagno degli animali domestici. L’originalità si esaurisce in un lavoro senza fine: il Portatore di fiori al cimitero accenderà anche i ceri per chi non vuole o non può andare al camposanto… Non resta che scegliere… perché il lavoro, nobilita e mobilita l’uomo. Difficile rimanere disoccupati, no? Barbara Lorusso
Alzate gli occhi dal giornale, guardatevi attorno e vi imbatterete in un nugolo di donne che corrono: dove va quella inerpicata su tacchi a spillo vertiginosi o quella comodamente vicina al suolo che si affretta dentro ballerine rasoterra o ancora quella
che calza stivali da amazzone per cavalcare il sampietrino infame? Vanno a lavoro. Il lettore potrà obiettare che non sono solo le donne a correre per raggiungere faticosamente il posto in cui per otto ore si scambieranno le proprie capacità con
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del vile denaro. Ma in verità non è così. Leggevo proprio oggi di una sentenza della Cassazione che assurge l’attività domestica a vero e proprio lavoro; ora io non vorrei risultare poco rispettosa delle istituzioni ma sarebbe ba-
stato che quei simpatici ometti della Suprema Corte tornando a casa si fossero soffermati a guardare le volute e le giravolte della propria moglie, colf, filippina, badante o di qualsivoglia genere di collaboratrice domestica che popola la casa di un giudice, per accorgersi che le donne di cui sopra stavano lavorando oltre l’orario di lavoro propriamente detto. Ma non è questo l’argomento che avevo intenzione di trattare, il lettore mi scusi ma mi lascio infervorare. Dicevamo? Ah sì. La donna è mobile... la mia risposta è sì. La donna è un mobile. Mi spiego: la donna è (un) mobile perché così come l’oggetto di arredamento non solo può essere spostata, trasferita o ricollocata in diverse parti di una casa o di una situazione ma è anche parte integrante della casa stessa. La donna è il mobile per antonomasia. Pensateci bene, la vostra mamma non ricorda quella bella credenza in cui cercavate merendine proibite? La vostra compagna non assomiglia al tavolo su cui avete cenato tante sere da soli o con lei? Ebbene, tavolo o armadio o attaccapanni che sia ogni donna è mobile anche nel senso di movimento che suscita il termine. Da anni alle prese con: lavoro figli, casa, famiglia (di origine oltre a quella di consenziente carico) vivono la loro esistenza in una corsa continua. Quando arriverà la pensione e le incombenze domestiche (figli compresi) saranno più leggere dovranno cominciare un’altra corsa contro i segni del tempo “perché voi valete”...non ci resta, donne, che vivere al meglio la nostra condizione. Per ora io mi sento un pouf.
Da qualche tempo gli esperti continuano a suggerirci che, in mancanza, il lavoro bisogna inventarselo. E pare che in molti abbiano seguito questo consiglio, a partire dal giovane americano che nel 2005 ha avuto la geniale intuizione di creare una pagina internet, www.milliondollarhomepage. com, dove chiunque poteva comprare un pixel ad un dollaro per inserire la propria pubblicità. Non c’è dunque da stupirsi se ultimamente siano venuti alla ribalta nuovi mestieri, spesso strani, ma caratterizzati tutti da una grandissima inventiva. Mestieri che non si trovano abitualmente nella sezione annunci del giornale. Modi di guadagnarsi da vivere davvero inusuali, per i quali non esiste neppure un percorso di studi privilegiato, ma solo la capacità di individuare nella società dei bisogni insoddisfatti. Come quelli dei turisti che si recano in India, convinti di incontrare per strada i famosi baba, quei santoni gran fumatori di erba, con il volto dipinto. Ultimamente, però, se ne vedono sempre meno in giro. In mancanza di uomini santi veri sono arrivati loro, i baba turistici: non raggiungeranno il Nirvana, ma intanto non vivono all’inferno. Raccolgono un po’ di soldi dai turisti che fanno loro le foto e fumano un sacco di cylum. Restare fermi nello stesso posto per ore è ciò che accomuna il baba turistico all’insegna vivente, altro modo bizzarro di sbarcare il lunario, sostituendo le tradizionali insegne al neon. Rimanendo nell’ambito pubblicitario, ci sono le nuove professioni figlie del marketing, come quella del words hunter o nomificatore che si occupa di inventare nuove parole. I words hunter del futuro, però, sono avvertiti: per “neologare” è necessaria un’ottima conoscenza della lingua. Spigliatezza e capacità recitative sono, invece, le doti necessarie per intraprendere la carriera del Mystery client. In pratica si tratta di un “falso cliente” che fa finta di essere interessato ad un prodotto per capire come questo viene venduto.
Simona Simone
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I BABA TURISTICI:
RACCOLGONO UN PO’ DI SOLDI DAI TURISTI CHE FANNO LORO LE FOTO E FUMANO UN SACCO DI CYLUM
Le donne sono avvisate: esiste un mestiere che permette di fare shopping ingrossando il portafoglio e non svuotandolo. Se può sembrar strano che un’azienda paghi qualcuno per acquistare i loro prodotti, cosa dire di quelle che ingaggiano i brainstormers, professionisti che, senza conoscere la realtà dell’impresa, intervengono a stimolare idee innovative in team di lavoro abitudinari? Un brainstormer potrebbe essere molto utile per restylingare e rilanciare attività tradizionali: il classico bar può trasformarsi in
un Wash-bar -dove poter gustare un caffè in attesa che il bucato torni lindo- o in un Antiaging Cafè, dove fare trattamenti estetici, sorseggiando drink innocui per la linea. L’ambito in cui ci si è più sbizzarriti pare essere, però, quello delle consulenze: si va dal Baby Personal Shopper che assiste le neo-mamme nella scelta del corredino giusto al Wedding Coach che aiuta le future mogli a superare stress e inquietudini, passando per l’Etiquette Coaching che prepara i nuovi manager ad affrontare il bon ton dei
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vari Paesi. Se nonostante questa carrellata non siete riusciti a trovare l’idea che fa’ per voi e siete ancora disoccupati, non disperate: anche il vostro tempo libero può diventar denaro se lo mettete a disposizione di chi lavora, facendo ciò che loro non hanno il tempo di fare. In Asia già esiste una giovane Venditrice di Tempo che si fa pagare vendendo la propria giornata a pezzettini nel suo negozio on-line. Buon lavoro a tutti. Marika Iannuzziello
Nello scorso numero abbiamo iniziato a trasformare il nostro amato PC in maniera totalmente gratuita utilizzando software Open Source. In questo numero si continua con la trasformazione e con un pizzico di “scherzoso” divertimento!!! Sicuramente spesso ci siamo stufati del solito wallpaper o sfondo del nostro computer. Se vogliamo renderlo accattivante con immagini HD, ossia ad altissima risoluzione, vi consiglio di visitare hdwallpapers (http:// www.hdwallpapers.net/), da cui è possibile scaricare un gran numero di sfondi divisi per temi. Scommettiamo anche che siete stanchi delle solite icone del desktop?! Beh, se volete cambiare anche quelle partendo da immagini personali (quando si dice personalizzare il desktop!!!) vi consiglio vivamente questo sito: iConvert (http://www.eisbox.
net/iconvert/) grazie al quale potremo convertire le nostre immagini in icone, per poi utilizzarle al posto della classica icona del cestino, risorse del computer, etc… Windows Vista vi sta stretto ma allo stesso tempo il caro vecchio XP è poco originale??? No problem! Che ne dite di provare a trasformare graficamente XP nel prossimo sistema operativo di casa Microsoft, Windows7? Semplice con Seven Remix XP (http:// www.niwradsoft.com/blog/seven-remix-xp/). Se siete soddisfatti della vostra trasformazione ma volete cambiare anche il vostro modo di comunicare con il vostro PC eccovi delle risorse molto divertenti. Se utilizzate tantissimo Skype (che ricordo è arrivato alla nuova versione 4.0) un altro software divertente è Manycam (http:// www.manycam.com/), un’applicazione che permette di utilizza-
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re la webcam personale simultaneamente su più programmi di chat o client di messaggistica istantanea. Il software dispone di strumenti per l’aggiunta di effetti grafici e l’inserimento di testo così da rendere differenti, ma soprattutto divertenti, le vostre video chiamate. Altro Add-on divertente che potrete aggiungere al vostro amato Skype è Skype Voice Changer (http://www.codeplex. com/skypefx/) un extra che vi permetterà di modificare la voce durante le vostra chiamate o videochiamate. Ultima utilità Skype che vi segnalo per questo numero è Speak & Traslate Chats (http://www.mediafire.com/?cbvwyyiz3mz), ossia un plug-in che legge e traduce le chat di Skype in moltissime lingue e che in più offre tantissime funzionalità innovative. Mimmo Claps
Ormai Brek ha guadagnato un posto d´onore nella libreria della mia stanza. Mi piace la vostra filosofia: avete creato un magazine interessante e decisamente superiore rispetto agli standard lucani, che altro non sono che un´accozzaglia di pubblicitá e contenuti vuoti. E in piú brek é gratuito (e non aggiungo altro!!!). Mitici! Francesca Salve! Ho appena finito di sfogliare il vostro magazine. Non male l'idea di creare numeri a tema (mi riferisco ai brek tematici sul Natale e sul trasformismo). Avete mai pensato di farne uno inerente alla Basilcata in senso stretto e sulle idee giovani per renderla piú interessante? Capiamoci bene: lo so che brek é un magazine leggero, ma so anche che non é superficiale nelle sue analisi della realtà. Quindi... perché non osare di piú, magari contestualizzando i temi nella nostra regione? Antonio Volevo farvi i complimenti per le copertine. Sono davvero belle. Non sapevo che l'amnesiacarts fosse un contenitore di artisti cosí moderni e intriganti. Complimenti alla redazione di Brek per aver scelto di esaltare l'arte lucana d.o.c. Domenico Ciao, sono sul sito di brek per la prima volta, devo dire che lo trovo ben fatto e diretto (odio i siti pieni di fronzoli che ti fanno girare a vuoto senza darti quello che cerchi). L’unica cosa, se posso: avete pensato di pubblicare direttamente le pagine testuali degli articoli?? Non so, ma secondo me aiuterebbero la lettura del magazine, i pdf li trovo scomodi da visualizzare. Cmq complimenti per la rivista e buon lavoro! Margherita
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Salve a tutti! Siamo davvero soddisfatti dai risultati fin qui ottenuti dal nostro giovane magazine BREK. Le vostre mail e i vostri commenti (che provengano dalla nostra pagina di MySpace o di Facebook, o dal neonato sito www.brekmagazine.it, o da vie tradizionali) ne sono la dimostrazione piú lampante. Ringraziamo di cuore chiunque ci scriva per complimentarsi con noi, con la nostra filosofia e con le nostre scelte, e ribadiamo la nostra ferma volontà a proseguire il nostro cammino editoriale utilizzando la giusta leggerezza. Il mondo dei media é pieno zeppo di notizie nefaste, di fallimenti politici e disgrazie, che ci martellano dalla mattina alla sera. Noi vogliamo guardare al futuro con animo rilassato e positivo, convinti che solo in questo modo sia possibile mostrarsi creativi e propositivi. Ad ogni modo... grazie ancora, a tutti voi. Ci b(r)ecchiamo presto!
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