150
224
41.5
224
150
Arqués Corominas Maddalo Pasquini
Trimmed: (285H × 789.5W) Untrimmed: (291H × 795.5W) mm
Rossend Arqués Corominas is Professor of Italian Literature at the Universitat Autònoma of Barcelona. Silvia Maddalo is Professor of History of Medieval Art at the Università degli Studi della Tuscia.
Jacket illustrations: (front) Dante and Virgil witnessing the punishment of Count Ugolino and Archbishop Ruggieri degli Ubaldini, fresco (detail), 1446. Campochiesa, church of San Giorgio, central apse (photo Francesca Girelli). (back) Coppo di Marcovaldo and Salerno di Coppo (?), Hell, mosaic, ca. 1270–1275. Florence, Baptistery of San Giovanni, north-west wall (photo Florence, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina).
Dante jacket PR.indd All Pages
Laura Pasquini is Adjunct Professor of History of Medieval Art at the Università di Bologna.
F
H
THE SMILING WALLS DANTE E LE ARTI AND THE FIGURATIVE VISUAL ARTS Edited by Rossend Arqués Corominas Silvia Maddalo Laura Pasquini
285
This book addresses the artistic reception of Dante’s Divine Comedy in mural painting from the Trecento to the Cinquecento, created by some of the greatest fresco painters of this period, and presented here for the first time in its articulated and composite totality. Well-known specialists address each of the epochs and each of the artists studied, analyzing in particular the different moments in which the painters of these centuries have placed the figuration of the afterlife and of the universal judgment in the light of the Dante experience.
THE SMILING WALLS DANTE AND THE VISUAL ARTS
La ricezione artistica della Commedia nella pittura murale realizzata tra il Trecento e il Cinquecento da alcuni dei più grandi artisti di questo p eriodo, è affrontata per la prima volta in questo volume nella sua articolata e composita totalità. Per ciascuna delle epoche e per ciascuna delle opere dei secoli presi in esame sono intervenuti noti specialisti che hanno analizzato in particolare i diversi momenti in cui questi pittori hanno raffigurato l’aldilà e il giudizio universale alla luce dell’esperienza dantesca.
In copertina anteriore: Dante e Virgilio assistono al supplizio del conte Ugolino e dell’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, affresco (particolare), 1446. Campochiesa, chiesa di San Giorgio, abside maggiore (foto Francesca Girelli). In copertina posteriore: Coppo di Marcovaldo e Salerno di Coppo (?), Inferno, mosaico 1270-1275 ca. Firenze, battistero di San Giovanni, spicchio nord-ovest (foto Firenze, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina).
18/10/2023 09:22
The Smiling Walls DANTE Edited by Rossend Arqués, Silvia Maddalo Laura Pasquini
and the Visual Arts e le arti figurative
F
Dante layout bb.indd 3
10/10/2023 19:03
Indice
6
Rossend Arqués Corominas, Silvia Maddalo, Laura Pasquini Introduzione
Sonia Chiodo 10 Il Giudizio universale del battistero di San Giovanni a Firenze Marcello Ciccuto 22 Pittura, poesia, scienza. La Cappella degli Scrovegni come crocevia di culture Alessandro Tomei 30 Un “nuovo” Giudizio universale. Giotto nella Cappella Scrovegni a Padova Clario Di Fabio 44 Dante e la scultura “nuova” Chiara Paniccia 64 Un Giudizio notarile. Il ciclo escatologico di Santa Maria Maggiore a Tuscania Laura Pasquini 72 Ravenna Alessandro Tomei 92 Cristo e il diavolo a Torcello Serena Romano 102 Il Paradiso al Bargello: Firenze 1336-1337 Vittoria Camelliti 120 I l Giudizio universale e l’Inferno del Camposanto di Pisa Silvia Maddalo 138 I l «Dante murale» di Santa Maria Novella: l’ Inferno Salvatore Sansone 154 Taddeo di Bartolo a San Gimignano Leon Jacobowitz-Efron 166 Sulle influenze dantesche nell’arte religiosa Fabio Massacesi 178 “ L’inferno” del Grande Scisma a Bologna. La Cappella Bolognini in San Petronio
Dante layout bb.indd 5
Gerardo de Simone 192 A l suon de l’angelica tromba. Echi danteschi nei Giudizi universali del Beato Angelico Rossend Arqués 218 Il più noto cenotafio di Dante a Firenze. Il Dante di Domenico di Michelino (1465) Gianluca Ameri 234 Dante in Liguria. Il Giudizio finale di San Giorgio a Campochiesa Fulvio Cervini 250 L ’Inferno organizzato dei fratelli Biasacci a Montegrazie Rossana Torlontano 264 I l peccato nelle arti e nei mestieri. L’Inferno ‘didascalico’ del santuario di Santa Maria dei Bisognosi a Pereto Giovanna Saroni 272 Salvezza e dannazione nel Piemonte sud-occidentale Claudia Cieri Via 282 L a Commedia nei monocromi di Luca Signorelli nella Cappella Nova a Orvieto Enrico Fenzi 292 Michelangelo e Dante. La «Pelle di San Bartolomeo» Liana de Girolami Cheney 310 Giorgio Vasari e Dante. L’occhio divino nella cupola di Santa Maria del Fiore Marco Tanzi 320 Tracce di iconografia dantesca nel Giudizio universale di Orazio Lamberti in San Pietro al Po a Cremona 331 Translations by Nicola di Nino 495 529 529 531 534 535
Bibliografia a cura di Elisa Orsi Indici a cura di Elisa Orsi Luoghi danteschi Luoghi Manoscritti e incunaboli Nomi
10/10/2023 19:03
Dante layout bb.indd 10
10/10/2023 19:03
SONIA CHIODO
Il Giudizio universale del battistero di San Giovanni a Firenze
I mosaici che rivestono l’intradosso della cupola del Battistero sono uno dei capolavori dell’arte medioevale a Firenze, anche se forse non tra i più apprezzati. Eppure il Battistero si erge al centro della città, come uno scrigno rivestito di materiali preziosi all’esterno e all’interno, sintetizzando in una forma del tutto originale la straordinaria grandezza raggiunta dalla città fra xii e xiii secolo, tale da farlo includere in un ristretto elenco degli edifici sacri più mirabili redatto ancora entro la fine del Duecento 1. Le fonti avvolgono la sua costruzione nel mistero, attribuendole origini mitiche; la ricerca storica ha individuato alcuni punti fermi: un edificio dedicato a san Giovanni Battista esisteva già nell’897, tuttavia a quest’epoca si trattava di un complesso che assolveva entrambe le funzioni di chiesa cattedrale e battistero; solo intorno al decimo secolo le due funzioni e quindi le rispettive sedi furono separate 2. Una fonte non più rintracciabile riconduce al 1059 la consacrazione dell’edificio da parte di papa Nicola ii, già vescovo di Firenze con il nome di Gerardo; il trasferimento del fonte battesimale dalla cattedrale al rinnovato battistero avvenne invece nel 1128, una circostanza che fa ritenere che prima di quest’epoca l’edificio sia stato inagibile, forse a causa dei lavori in corso. Nel 1150 poi, come ricorda Giovanni Villani, furono poste in opera la lanterna e la sfera dorata che la sormonta, mentre la data 1178 che si legge su un anello di rinforzo che sostiene entrambe dovrebbe riferirsi a un consolidamento resosi necessario per l’instabilità statica dell’edificio 3. All’inizio del duecento si lavorava invece all’edificazione della scarsella, in sostituzione di una precedente abside semicircolare, che venne demolita e ricostruita con pianta rettangolare, probabilmente per garantire un maggior sostegno al peso enorme dell’imponente copertura ottagonale 4. Fin da quest’epoca i lavori vennero condotti con il sostegno finanziario dell’Arte di Calimala, ovvero la fiorente corporazione dei mercanti dei panni di lana che riuniva la più ricca borghesia cittadina, destinata ad assumere un ruolo di leadership nel governo anche politico della città e
1
Il battistero fiorentino è ricordato insieme all’abbazia di Chiaravalle, alla basilica di San Marco a Venezia, alla cattedrale di Pisa e al San Vitale di Ravenna dall’astronomo Guido Bonatti (Bonatti 1550, c. 437), come esempio di edificio che per la sua sontuosità ha i caratteri dell’architettura laica più che di quella sacra. La bibliografia vastissima sulla decorazione musiva è stata collazionata da Boskovits 2007: 531-587. Si segnalano quali tappe fondamentali della vicenda critica sui mosaici i contributi di Salmi 1930-1931, Longhi 1948; Hueck 1962; Ragghianti 1969: 948-972; Klange 1975 e 1976; Garzelli 1982; Matsuura 1992; Boon 1994; Giusti 1994: 281-342 e 467-525; Schwarz 1997; Monciatti 1998; Boskovits 2000 e 2001.
2
3
4
Fig. 1 Maestro della croce 434, Cristo Giudice, mosaico, 1270 ca. Firenze, battistero di San Giovanni, spicchio ovest (foto Firenze, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina).
Per la prima menzione di una chiesa dedicata al Battista si veda Davidsohn 1896: 24. La fortuna del collegamento dell’edificio con un antico tempio dedicato a Marte è stata ripercorsa da Straehle 2001 ma discussa e ricusata da Toker 1976. Davidsohn 1896: 218. Per una sintesi della storia architettonica del battistero si veda Boskovits 2007: 12-12. L’iscrizione della lanterna è stata trascritta da Horn 1937-1940: 105 e riportata anche da Boskovits 2007: 15 nota 29. Rocchi 2004: 43-48.
11
Dante layout bb.indd 11
10/10/2023 19:03
che dunque ebbe un ruolo determinante nella definizione del programma iconografico. Un’altra iscrizione distribuita in tabelle musive poste ai quattro angoli della scarsella, purtroppo corrotta dai rifacimenti, ha fornito lo spunto per una datazione molto alta dei mosaici, intorno al 1225; questa cronologia tuttavia è risultata insostenibile dal punto di vista dello stile e quindi è toccato alla filologia ricostruire la scansione delle fasi esecutive, circoscrivere i rifacimenti, leggere i contenuti e decifrarne il messaggio 5. Il Giudizio finale occupa tre degli otto spicchi in cui si articola la grandiosa copertura dell’edificio, precisamente quelli a sud-ovest, ovest, nord-ovest. In quello al centro, quindi a ovest, è raffigurato Cristo giudice in gloria, i segni dei chiodi ben evidenti sulle mani e sui piedi, la mano sinistra con il palmo rivolto verso il basso per indicare il respingimento dei reprobi nell’inferno, la destra aperta, con il palmo rivolto verso l’alto, nel gesto dell’accoglienza (fig. 1). Il trono è sospeso sopra le sfere celesti e la figura, di dimensioni enormi, è inserita in una circonferenza di circa otto metri, vivacemente policroma secondo il dettato della visione di Ezechiele cui è ispirata: «super firmamentum,
Fig. 2 Meliore, Anime beate risorte, mosaico 1270 ca. Firenze, battistero di San Giovanni, spicchio ovest (foto Firenze, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina).
5
12
Questa proposta si basava sul testo delle iscrizioni che si trovano alla base dei quattro telamoni agli angoli del mosaico della scarsella: 1) Hoc opus incepit lux / Maii tunc duodena / quod D(omi)ni nostri con / serve(t) gra(tia) plena. 2) Sancti Francisci frater / fuit hoc operatus / Iacobus in tali pre / cuntis arte probatus. 3) Annus papa tibi / nonus currebat Honori / at Federice
tuo / Q(uin)t(us) monarcha deco(r)i. 4) Vigintiquinque xpi /cum milleducentis / T(em)p(or)a currebant p(er) se / c(u) la cu(n)ctamane(n)tis. Questo collegamento è stato a lungo considerato valido, proposto tra gli altri da Salmi 1930-1931: 544-549 e Klange 1976. Una data verso il 1240 propone Schwarz 1997: 70-72 e così anche Corsi Masi 1998-1999 che oltre a proporre una data nel secondo
s on i a c h iod o
Dante layout bb.indd 12
10/10/2023 19:03
quod erat imminens capiti eorum, quasi adspectus lapidis sapphiri similitudo throni, et super similitudinem throni similitudo quasi adspectus hominis desuper. Et vidi quasi speciem electri, velut adspectum ignis, intrinsecus eius per circulum: a lumbis eius usque deorsum vidi quasi speciem ignis splendentis in circuitu: velut adspectum arcus, cum fuerit in nube in die pluvie, hic erat adspectus splendoris per gyrum» (Ez. 1, 26-28) [«sul firmamento, che era sopra le loro teste, era come un trono di pietra saffiro; e su quel quasi trono era la figura come di un uomo. Ed io vidi una specie di elettro, e come un fuoco dentro di lui, e all’intorno da’ lombi di lui all’insù, e da’ lombi di lui fino all’infime parti vidi come un fuoco, che risplendeva all’intorno. Qual è l’aspetto dell’arcobaleno allorché formasi nella nube in un dì piovoso, tal era l’aspetto del fuoco, che risplendeva all’intorno»]6. Sotto la circonferenza che racchiude la figura del Cristo giudice si aprono gli avelli alla presenza di angeli (a sinistra) e demoni (a destra), mentre le anime dei risorti si avviano verso il proprio destino eterno, la beatitudine nel registro più basso dello spicchio di sud-ovest, la dannazione in quello di nord-ovest (figg. 2-3). Ai lati la
quarto del Duecento, identifica fra Jacopo con il Maestro di Gagliano. Una data più avanzata, oltre la metà del secolo è proposta da Giusti 1994: 419-427.
6
Fig. 3 Coppo di Marcovaldo e Salerno di Coppo (?), Anime dannate risorte, mosaico 12701275 ca. Firenze, battistero di San Giovanni, spicchio ovest (foto Firenze, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina).
Si veda Boskovits 2007: 302-314 per una esaustiva analisi iconografica del Giudizio. Per la traduzione italiana della vulgata il testo di riferimento è quello a cura di mons. Antonio Martini, Torino 1778.
i l gi u di z io u n i v e r s a l e de l b at t i s t e ro a f i r e n z e
Dante layout bb.indd 13
13
10/10/2023 19:03
Fig. 4 Meliore, Angeli con gli strumenti della Passione, mosaico 1270 ca. Firenze, battistero di San Giovanni, spicchio sud-ovest (foto Firenze, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina). Fig. 5 Coppo di Marcovaldo e bottega, Angeli con gli strumenti della Passione e Apostoli con san Giovanni Battista, mosaico, 1270 ca. Firenze, battistero di San Giovanni, spicchio nord-ovest (foto Firenze, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina).
14
s on i a c h iod o
Dante layout bb.indd 14
10/10/2023 19:03
decorazione è articolata su tre livelli nettamente distinti. In quello più alto, due gruppi di angeli – ognuno dei quali preceduto da un arcangelo che suona le trombe del giudizio – incedono verso Cristo giudice recando gli strumenti della Passione: a sinistra i chiodi, la corona di spine e la croce (fig. 4); a destra il calice, il bastone con il quale gli vennero spezzate le gambe, la lancia e la spugna. In quello subito sotto sono raffigurati invece la Vergine (alla destra di Cristo), san Giovanni Battista (alla sua sinistra) seguiti dal collegio apostolico e da altrettanti angeli che si affacciano da dietro i postergali (fig. 5). Infine, nel registro più basso, si dispiega il destino dell’umanità. A destra di Cristo (sinistra per chi guarda) un gruppo di anime attende il verdetto divino, con lo sguardo rivolto verso Cristo giudice, mentre quelle che lo hanno già avuto seguono un angelo che regge un grande cartiglio sul quale sono vergate le parole del Vangelo di Matteo «Venite beneditti Patris mei / (p)ossidete preparatum [vobis regnum a constitutione mundi]» (Mt. 25, 34) – e che li conduce verso la porta della Gerusalemme celeste, dove un’altra creatura angelica li attende oltre la porta aperta. Il paradiso celeste è caratterizzato dalla presenza di alberi, che evocano il paradiso terrestre e quindi segnalano all’osservatore il ritorno alla condizione dell’umanità anteriore al peccato di Adamo e Eva, e dalla raffigurazione dei beati in seno ai tre patriarchi – Abramo, Isacco, Giacobbe (fig. 6) – secondo una descrizione del paradiso celeste che si afferma fin dall’epoca altomedievale fondandosi su testi apocrifi come il iv Libro dei Maccabei e sulla parabola di Lazzaro e del ricco Epulone (Lc. 16, 19-31; Mt. 8, 11; Lc. 13, 28), nella quale dopo la morte Lazzaro venne condotto in sinum Abrahae, mentre il ricco Epulone precipitò tra le fiamme implorando invano
Fig. 6 Meliore, Apostoli, la Vergine, il Paradiso, mosaico, 1270 ca. Firenze, battistero di San Giovanni, spicchio sud-ovest (foto Firenze, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina).
i l gi u di z io u n i v e r s a l e de l b at t i s t e ro a f i r e n z e
Dante layout bb.indd 15
15
10/10/2023 19:03
Dante layout bb.indd 30
10/10/2023 19:03
A L E S S A N D RO TO M E I
Un “nuovo” Giudizio universale Giotto nella Cappella Scrovegni a Padova
Si deve proprio a Dante Alighieri il primo riconoscimento, in assoluto, della grandezza di Giotto come pittore: Credette Cimabue nella pintura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura (Pg. XI, vv. 94-97)
Fig. 1 Giotto, Giudizio universale, affresco, 1303-1305 ca. Padova, Cappella dell’Arena (o degli Scrovegni), controfacciata.
Questa celeberrima terzina è preceduta e seguita da altre che rendono plasticamente evidente la caducità della fama terrena, portando a esempio due poeti (Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti) e due miniatori (Oderisi da Gubbio e Franco Bolognese). Per lungo tempo l’accostamento Cimabue/Giotto è stato interpretato, soprattutto dagli storici dell’arte, come prova dell’alunnato del secondo presso la bottega del primo e come sostegno della nota leggenda riportata nei Commentarii da Lorenzo Ghiberti (circa 1450)1. Secondo l’artista e trattatista fiorentino, il già famoso Cimabue, passeggiando nella campagna fiorentina verso Bologna, avrebbe visto un giovane pastore disegnare su una pietra una pecora; colpito dalla tenera età del fanciullo e dalla sua abilità, avrebbe chiesto al padre di poterlo condurre con sé a Firenze, dove sarebbe diventato suo allievo. Sin qui la leggenda. La realtà storica, invece, non fornisce alcuna evidenza documentaria del presunto alunnato di Giotto nella bottega del più anziano pittore; come del resto avviene per l’aspetto stilistico dell’opera giottesca, non coerente con la realtà pittorica della Firenze del suo tempo, come pure decisamente lontana dalla lezione cimabuesca 2. Indipendentemente da chi e dove Giotto abbia imparato a dipingere, resta il fatto che questo straordinario pittore fu precocemente al centro dell’attenzione dei suoi contemporanei, a partire appunto dall’Alighieri, seguito da Giovanni Boccaccio, Francesco Petrarca e molti altri letterati e intellettuali 3. Molto è stato scritto 4 su un possibile incontro tra Dante e Giotto ma, anche in questo caso, vi è una totale assenza di certezze. Ciò non deve stupire. Di quello che fu il più celebre e grande pittore del Medioevo occidentale non esiste un’opera datata ad annum e sono noti solo tre dipinti su tavola da lui firmati: la Stimmatizzazione di s. Francesco, conservata
1 2 3
Ghiberti 1912: I, 35. Su questo punto cfr. Tomei 1994: 177-186. Su questo tema è fondamentale il volume di Baxandall 1971; si veda anche Giorgi 2015: 209-218.
4
La conoscenza tra Giotto e Dante riportata da Benvenuto da Imola è stata più volte ripresa nei secoli successivi e poi definitivamente ufficializzata, per così dire, da Vasari 1966-1987: II, 115.
31
Dante layout bb.indd 31
10/10/2023 19:03
Vergine, affiancata da san Giovanni e santa Caterina d’Alessandria (fig. 6). Si tratta di una delle più significative specificità iconografiche del Giudizio, dal momento che la presenza di un donatore in un contesto siffatto è del tutto inusuale 27. Come è stato notato da Giuseppe Basile, Giotto compone la scena di offerta dell’opera in modo tale che ogni 25 marzo (la festività dell’Annunciazione) data anche della definitiva consacrazione della Cappella, come si è detto dedicata alla Vergine Annunziata, un raggio di sole, attraverso la finestra laterale accanto alla controfacciata, illumini lo «spazio “magico” tra la mano di Enrico e quella della Madonna»28. Il modellino è un piccolo edificio dettagliatamente descritto, anche nelle profilature del portale, delle finestre, degli spioventi e del tetto, nelle lesene, ma mostra un transetto, forse previsto, ma di cui non vi è traccia. Il simulacro della Cappella è sorretto da un religioso vestito con una cotta bianca, che è stato convincentemente identificato con il teologo agostiniano Alberto da Padova 29, il quale dovette essere l’estensore del programma iconografico dei cicli che ornano la cappella. In particolare, la sequenza dei Vizi e delle Virtù dipende da un passo del De doctrina Christiana di sant’Agostino 30, il che peraltro segna una notevole distanza
26 Cfr. Draghi 2012: 191-208. 27 Tra i Giudizi anteriori a quello di Padova giunti sino a
noi la figura del committente si trova solo nella tavola conservata nella Pinacoteca vaticana, proveniente dalla chiesa romana di San Gregorio Nazianzeno e variamente datata dalla critica tra la seconda metà del xii e gli inizi del xiii secolo; cfr., tra gli altri, Matthiae/Gandolfo
Fig. 5 Giotto, Giudizio universale, particolare con Angelo che avvolge la volta celeste affresco, 1303-1305 ca. Padova, Cappella dell’Arena (o degli Scrovegni), controfacciata. Fig. 6 Giotto, Giudizio universale, particolare con Enrico Scrovegni che offre alla Vergine il modellino della Cappella affresco, 13031305 ca. Padova, Cappella dell’Arena (o degli Scrovegni), controfacciata.
1988: 306-307; Iacobini 1991: 191-194; Suckale 2002; Romano/Dos Santos 2006: 45-55. 28 Basile 2002: 33. 29 Ipotesi questa dimostrata con abbondanza di prove da Pisani 2008. 30 Cfr. Pisani 2004; Pisani 2008: 147-193.
gio t to n e l l a c a pe l l a s c r ov e gn i a pa d ova
Dante layout bb.indd 39
39
10/10/2023 19:03
Fig. 7 Giotto, Giudizio universale, particolare con la Croce che separa il Paradiso degli Eletti dall’Inferno dei Dannati.
dall’impostazione tomistica della Comedia dantesca. Tutte le scelte dei soggetti iconografici trattati nella Cappella dell’Arena seguono la dottrina agostiniana, indicando con decisione l’identificazione del personaggio in cotta bianca con Alberto da Padova. L’evidenza, per collocazione e dimensioni, data al ritratto del committente ha portato a considerare l’intero complesso, edificio e decorazione, come una sorta di riparazione o espiazione del peccato di usura commesso dal padre di Enrico, Reginaldo Scrovegni 31. E potremmo riconoscere in questo personaggio l’unico collegamento diretto con il poema dantesco. Reginaldo viene infatti posto tra gli usurai nel terzo girone del settimo cerchio dell’Inferno: «E un che d’una scrofa azzurra e grossa / segnato avea lo suo sacchetto bianco, / mi disse… / Con questi Fiorentin son padoano» (XVII, 64 ss.). Più probabile è, invece, la volontà da parte di Enrico di manifestare il prestigio e la forza economica della famiglia nel contesto sociale di Padova 32. Ciò anche tenendo conto che la realizzazione dell’edificio avvenne senza interventi – diretti o indiretti – da parte delle autorità religiose della città. Questa parte della composizione mostra un’altra particolarità: il modellino dell’edifi cio mostra ha, come si è detto, un transetto non esistente nell’edificio reale di cui, per contro, l’affresco riproduce con esattezza diversi dettagli, quali ad esempio la profilatura in pietra bianca del portale e della trifora di facciata, così come le lesene e gli archetti pensili che corrono lungo il fianco meridionale della cappella. L’edificio, infine, è dotato di un campanile, che non compare in quello dipinto. Queste particolarità permettono quanto meno di ipotizzare una possibile responsabilità di Giotto anche nella progettazione della cappella, la cui facies schiettamente gotica corrisponde a quella delle architetture presenti nelle scene affrescate; il tutto, comunque, perfettamente in linea con le tradizioni costruttive dell’area padana a cui Giotto sembra ispirarsi per conoscenza e visione diretta 33. Altra variazione dell’iconografia consolidata è la presenza di una grande croce che si staglia nel registro inferiore della composizione, separando il Paradiso degli Eletti, dove si trova l’offerente Scrovegni, dall’Inferno dei Dannati (fig. 7). Non si tratta della tradizionale croce accostata all’altare e agli strumenti del martirio di Cristo 34, ma di un elemento visivamente preminente, posto in asse con la figura di Cristo nella mandorla. È sorretta per i bracci orizzontali da due angeli e allude al percorso intrapreso da Cristo per la redenzione del genere umano, conclusosi con l’estremo sacrificio consumatosi sulla croce. Sulla tabella compare la scritta «Hic est Jesus Nazarenus rex Iudeorum», presente anche sulla croce dipinta da Giotto sempre per la cappella, oggi conservata nei Musei Civici di Padova. Infine, nella parte inferiore alla destra di chi guarda, vi è la terrificante visione dell’Inferno (fig. 8). I dannati escono dai sepolcri per essere investiti da un imponente fiume di fuoco che sgorga dalla mandorla con Cristo Giudice. Sono sottoposti ai più svariati e crudeli supplizi da feroci diavoli e, nella parte inferiore, dallo stesso Lucifero, che ne divora uno, ne dilania altri con le mani e ne espelle un altro dall’ano. Qui le varierà di punizioni
31 La questione è bene illustrata da Frugoni 2008: passim 32 I ramificati rapporti di Enrico Scrovegni con le realtà
religiose e civiche di Padova sono stati bene esposti e commentati da Romano 2008: 159-174. Si vedano anche Rigon 2009; Frugoni 2008: 13-28. 33 Cfr. Romanini 1965: 169-170; si veda anche Jacobus 2008: 13 ss.
40
34 Come per esempio nel Giudizio dipinto, circa un decennio
prima, da Pietro Cavallini sulla controfacciata della basilica romana di Santa Cecilia in Trastevere (Schmitz 2013; Tomei 2000: 52-95), parzialmente conservato o nel più antico Giudizio a mosaico della basilica di Santa Maria Assunta a Torcello, per il quale si rimanda al capitolo in questo stesso volume.
a l e s s a n dr o tom e i
Dante layout bb.indd 40
10/10/2023 19:03
Fig. 8 Giotto, Giudizio universale, particolare con l’Inferno, affresco, 13031305 ca. Padova, Cappella dell’Arena (o degli Scrovegni), controfacciata.
gio t to n e l l a c a pe l l a s c r ov e gn i a pa d ova
Dante layout bb.indd 41
41
10/10/2023 19:03
Fig. 9 Giotto, Giudizio universale, particolare con Dannati, affresco, 1303-1305 ca. Padova, Cappella dell’Arena (o degli Scrovegni), controfacciata.
42
inflitte ai peccatori sono veramente numerose ed efferate; si va dall’uomo segato da due diavoli a quello posto sul fuoco, infilzato in uno spiedo, alla donna nella cui bocca viene versato metallo fuso (fig. 9). E, ancora, vediamo uomini appesi per la lingua e per gli organi genitali, una donna appesa per i lunghi capelli, e altri infilzati da lance e forconi. Insomma, una composizione davvero intensa, dagli evidenti intenti moraleggianti e di ammonimento ai fedeli 35. Non mancano pesanti riferimenti alla corruzione di membri del clero, esemplificata da un vescovo simoniaco che indossa la mitria e benedice un religioso tonsurato inginocchiato e ne riceve in cambio una borsa di denaro, o da un monaco trascinato verso l’Inferno e da numerosi altri ecclesiastici sottoposti a diverse torture. Particolare evidenza è data agli attributi sessuali, veramente ostentati, femminili e maschili; questi ultimi, in più di un caso, sono caratterizzati da un’evidente circoncisione 36, come appare chiaro nell’immagine del dannato evirato da due diavoli accanto alla croce posta al centro della composizione (fig. 10) e in altri episodi analoghi. Si tratta di un palese riferimento al popolo ebraico, perfettamente in linea con l’antisemitismo al tempo particolarmente accentuato nel territorio veneto 37. Più in generale, questa ostentazione vale come condanna della lussuria e come ammonimento ai fedeli perché evitino di cadere in questo peccato, simboleggiato da un uomo che offre denaro a una prostituta. Non mancano riferimenti ai governanti; nel margine inferiore dell’Inferno un magistrato, identificato da un copricapo rosso e da una mantellina di vaio, viene condotto verso i grandi calderoni pieni di altri dannati, scompostamente ammassati. Altro elemento originale è la presenza di scarselle di denaro associate a più di un dannato, attributo che serve a individuare gli avari, tema che si ritroverà di lì a poco anche nell’Inferno dantesco. Borse di denaro pendono dai colli di due dannati o vengono offerte a vescovi e prostitute 38. Una sorta leitmotiv che ritorna anche in altre due
a l e s s a n dr o tom e i
Dante layout bb.indd 42
10/10/2023 19:03
occasioni all’interno della Cappella, nel monocromo raffigurante l’Invidia e nella scena con Giuda che riceve il prezzo del tradimento. Nella prima immagine la borsa con il denaro è il simbolo dell’avidità che tormenta l’uomo; dalla bocca della personificazione esce un serpente, sin dal Genesi simbolo del demonio. L’immagine è in mezzo al fuoco che la divora ed è collegata, insieme al serpente e alla borsa di denaro, all’Inferno del Giudizio. Anche nella scena di Giuda alla scarsella con il denaro è data una evidenza certo non casuale e, ancora una volta, associato al denaro è il demone che spinge Giuda al tradimento. Il traditore compare anche nell’Ultimo Giorno, impiccato e con le viscere pendenti, accanto agli appesi per la lingua, per gli organi genitali e per i capelli di cui si è detto in precedenza (fig. 11)39. E, in questi casi, torna a mostrarsi un collegamento con la Comedia dantesca, dove le borse con il denaro pendono dai colli degli usurai (XVII, 43-79)40. Sono borse che sono decorate, per così dire, con gli stemmi araldici delle casate degli usurai e decorate con colori vivaci che Dante descrive in termini che potremmo definire pittorici. Più tenui o più robusti che siano – al lettore lascio l’interpretazione –, come abbiamo visto, tra i due grandi maestri evidenti legami esistono. Non possiamo quindi fare a meno di pensare che il poeta abbia potuto ammirare la visionaria creazione del pittore.
35 Questa funzione degli Inferni dipinti nel Medioevo è bene spiegata e documentata da Gamberini 2021. 36 Cfr. Lorenzoni 1995-1996; Lorenzoni 1998; Pace 2009. 37 Su questo punto cfr. Frugoni 2008: 206-209.
Fig. 10 Giotto, Giudizio universale, particolare con Dannato circonciso, affresco, 1303-1305 ca. Padova, Cappella dell’Arena (o degli Scrovegni), controfacciata. Fig. 11 Giotto, Giudizio universale, particolare con Giuda impiccato, affresco, 1303-1305 ca. Padova, Cappella dell’Arena (o degli Scrovegni), controfacciata.
38 Su questo punto cfr. Milani 2017: 219-236 39 Pisani 2008, pp. 169-174 40 «che dal collo a ciascun pendea una tasca /ch’avea certo colore e certo segno/e quindi par che ‘l loro occhio si pasca» (vv. 55-57)
gio t to n e l l a c a pe l l a s c r ov e gn i a pa d ova
Dante layout bb.indd 43
43
10/10/2023 19:03
Dante layout bb.indd 64
10/10/2023 19:04
C H I A R A PA N I CC I A
Un Giudizio notarile Il ciclo escatologico di Santa Maria Maggiore a Tuscania
La conoscenza diretta che Dante ha della Tuscia è rivelata dai richiami al territorio viterbese che affiorano nella Commedia ma anche nel De Vulgari Eloquentia 1. Non è documentata tuttavia la presenza del Poeta a Toscanella dove, sulle pendici del colle di San Pietro, potrebbe aver visitato la pieve di Santa Maria Maggiore e osservato il Giudizio universale realizzato alla fine del secondo decennio del Trecento 2 (quando perlomeno le prime due Cantiche dovevano essere già composte)3. Nella scrittura dantesca infatti il riflesso della cultura visuale di cui il poeta poteva aver avuto contezza è ipotizzabile solo in pochi casi 4, uno dei quali potrebbe essere individuato nel perduto Giudizio di quel San Giovanni in Laterano 5 «che a le cose mortali andò di sopra» (Pd. xxi, 36). Il problema dell’influenza delle arti figurative sulla letteratura dantesca si presenta ramificato e non circoscrivibile all’esperienza di un particolare contesto dell’arte monumentale: il Giudizio visualizzato costituisce più in generale un paradigma iconografico che, nell’alveo della tradizione della mnemotecnica moralizzata cresciuta in seno agli ordini mendicanti, accoglie un sistema di loci e imagines agentes 6 su cui è stata in parte costruita l’icasticità letteraria della Commedia. Le pitture di Santa Maria Maggiore 7 si rivelano una testimonianza preziosa per una riflessione sulle fonti figurative ispiratrici della Commedia poiché esse fotografano l’aggiornamento iconografico del tema del Giudizio diffuso negli anni di elaborazione del poema 8: il ciclo escatologico esempla un modello visuale nutrito da quegli stessi stimoli culturali che possono aver suggestionato le immagini verbali che percorrono l’opera dantesca (fig. 1). I murali tuscanesi, assegnabili alla bottega di Gregorio e Donato da Arezzo 9, manifestano una prima peculiarità nella loro disposizione: il Giudizio costituisce un tema tradizionalmente associato allo spazio della controfacciata, che delimita il mondo secolare da quello spirituale, mentre a Tuscania esso si svolge sulla parete dell’arco absidale; la sua ordinatio iconografica è modulata in rapporto a una superficie interrotta dall’abside, distribuita tra imposte e parte sommitale dell’arco. L’organizzazione figurativa delle pitture, già ricondotta alla famiglia iconografica del Giudizio giottesco degli Scrovegni
1 2 3
4 5
Mercuri 2006. Sulla datazione del Giudizio rimando a Gandolfo 1988: 354 e a Romano 1992: 244. Sebbene le prime due cantiche allora dovessero esser già state concluse. Sulle fasi di pubblicazione della Commedia si veda Inglese 2015; ma anche tra le recentissime biografie del poeta Pellegrini P., 2021. Come per esempio il battistero fiorentino di San Giovanni. Sui luoghi danteschi dell’arte monumentale rimando da ultimo a Pasquini 2020. Testimoniato nel Cinquecento da Onofrio Panvinio. Roma, Archivio Lateranense, ms. ff. xxiii, 12.
6
7 8 9
Fig. 1 Gregorio e Donato da Arezzo, Giudizio universale, dipinto murale, fine del secondo decennio del XIV sec. Tuscania, Santa Maria Maggiore, arco absidale (foto Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte, Rom).
Sul tema si vedano almeno Bolzoni 2008; Battaglia Ricci 2011; Pasquini 2020; per la mnemotecnica cfr. Yates 1966; Ciociola 1997; Rossi 2000; Bolzoni 2002; Carruthers 2006. La chiesa, prima cattedrale dell’antica diocesi di Tuscania, era stata ridotta a pieve già in età altomedievale. Raspi Serra 1971: 81; Ricci 1996: 3 ss. Sul Giudizio si veda Baschet 1993; Christe 1995; Christe 2000. L’intonaco è stato pesantemente ridipinto nel 1850. Cfr. Romano 1992.
65
Dante layout bb.indd 65
10/10/2023 19:04
Fig. 2 Gregorio e Donato da Arezzo, Giudizio universale (gli eletti), dipinto murale, fine del secondo decennio del XIV sec. Tuscania, Santa Maria Maggiore, arco absidale (foto Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte, Rom).
66
a Padova (1303-1305)10, nutre i propri modelli attraverso quel rizoma romano tardoduecentesco che alimenta il Giudizio finale del Cavallini a Santa Cecilia in Trastevere. A Tuscania, nel brano più alto della parete dipinta, dove risiede il Signore e l’assise divina ma anche in corrispondenza degli eletti, le pennellate si fanno meno compendiarie e il registro visuale più raffinato: qui grandeggia la mandorla iridescente, coronata da serafini, cherubini e angeli tubicini 11. Al suo interno è assiso il Cristo Giudice che, nel rivelare la sua natura umana 12 e divina, esibisce le piaghe e i signa (e scopre quasi l’intero torace, contrariamente alla tradizione iconografica della penisola italiana che riserva una certa discrezione all’ostensione delle stimmate )13, mentre con il palmo della destra accoglie i giusti e con il dorso della sinistra respinge i reprobi (Ap. iv, 2). Ai lati della mandorla, sugli scranni del tribunale celeste, siedono gli apostoli capeggiati da Pietro e da Paolo: nessuno di loro reca elementi iconografici distintivi, a eccezione di Cefa, tutti esibiscono un libro o un rotolo. Questa scelta iconografica è forse comprensibile in rapporto al cartiglio esposto da Paolo contenente il prologo del vangelo di Giovanni in pr/incip/io E/rat/ ver/bum a identificare il Cristo giudice con il Logos incarnato. Tale riferimento ricorre altresì nel testo apocalittico (Ap. 19,13) e si riverbera
c h i a r a pa n ic c i a
Dante layout bb.indd 66
10/10/2023 19:04
Dante layout bb.indd 92
10/10/2023 19:04
A L E S S A N D RO TO M E I
Cristo e il diavolo a Torcello
Nel xxi canto dell’Inferno Dante descrive la punizione riservata ai barattieri che sono gettati nella pece dai Malebranche i quali, servendosi di lunghe aste con uncini, impediscono alle anime di risalire in superficie. Per descrivere questo supplizio il poeta crea una similitudine tra il nero lago ribollente della quinta bolgia e la pece “tenace” che ribolle nelle caldaie dell’Arsenale di Venezia («arzanà di Viniziani», v. 7), dove viene usata per riparare le imbarcazioni durante l’inverno. Questa similitudine – e altri accenni al territorio adriatico tra Ravenna, Padova e la Marca trevigiana – come pure le notizie, più tarde, della partecipazione di Dante, ai tempi dell’inizio della stesura dell’Inferno, a una o più ambascerie a Venezia in rappresentanza della città di Ravenna, hanno indotto la maggior parte degli studiosi della Commedia a pensare che egli possa essersi effettivamente recato nella città lagunare anche più di una volta, e averne mantenuto vividi ricordi visivi, tra cui quello, appunto, delle peci ribollenti nell’Arsenale 1. È dunque plausibile ritenere che egli possa aver visitato anche alcune isole della Laguna e, tra queste, anche Torcello, dove sorgeva la già allora famosa basilica di Santa Maria Assunta. Fondata nel 639 per volontà di Isacio (o Isacco l’Armeno) che fu Esarca di Ravenna dal 625 al 643, sotto gli imperatori di Bisanzio Eraclio e i suoi successori Costantino III, Eraclio II e Costante II, la basilica è, nel suo aspetto complessivo attuale, uno dei monumenti più significativi per ciò che concerne i rapporti dei territori italiani con l’arte dell’Oriente bizantino, soprattutto per quanto riguarda i suoi straordinari mosaici. Così come appare oggi, l’edificio è il risultato di una serie di interventi successivi che culminarono con una sostanziale ricostruzione agli inizi dell’xi secolo, nel 1008 al tempo del Doge di Venezia Pietro ii, quando il figlio Orso Orseolo (988-1049) divenne vescovo di Torcello 2. Si tratta di una costruzione a pianta basilicale, preceduta da un nartece; l’interno è a tre navate separate da colonne di marmo greco con capitelli corinzi, al termine delle quali si trovano le tre absidi; la zona presbiteriale è preceduta da una monumentale iconostasis con raffinati plutei scolpiti. L’esecuzione della imponente decorazione musiva dovette avere inizio intorno al 1050, ma sulle fasi e la cronologia interna del complesso, i pareri sono molto discordanti; vi è però un unico punto su cui quasi tutti gli studiosi concordano, ovvero che i
1
Si veda, a questo proposito, la suggestiva analisi di Chiarini/Mengaldo 1970 e il lavoro pioneristico di Bassermann 2006: 454-457.
2
Fig. 1 Satana in trono, mosaico xi-xii secolo. Torcello, Santa Maria Assunta, controfacciata (foto da Pasquini 2020).
Per le vicende architettoniche cfr. Agazzi 2009: 50-59; Ead. 2014: 817-829. Si veda anche il recente lavoro di Kraize-Kołodziej 2019: 48-53, con ampia bibliografia precedente.
93
Dante layout bb.indd 93
10/10/2023 19:04
Fig. 2 Mosaico della controfacciata, mosaico, xi-xii secolo. Torcello, Santa Maria Assunta.
94
Dante layout bb.indd 94
16/10/2023 09:20
Fig. 3 Crocifissione, mosaico xi-xii secolo. Torcello, Santa Maria Assunta, controfacciata, particolare della fig. 1.
mosaici dei tre nuclei principali, abside maggiore, abside destra e controfacciata con il Giudizio universale, non furono eseguiti in un’unica campagna di lavori 3. Nell’abside centrale una Madonna Odighitria con il Bambino sul braccio sinistro domina uno sfondo oro uniforme; al di sotto, nel semicilindro absidale, ai lati di un’alta monofora, sono raffigurati i dodici Apostoli stanti su un prato fiorito. A di sotto della finestra è raffigurato Sant’Eliodoro. Per l’Odighitria si ipotizza una datazione alla metà circa del xii secolo, mentre per gli Apostoli un’esecuzione verso la metà del secolo precedente, sulla base di somiglianze stilistiche con i primi mosaici della Basilica di San Marco a Venezia 4. Sui due lati dell’arco absidale è raffigurata l’Annunciazione, eseguita nella stessa fase della Madonna Odighitria. Nell’abside destra è presente un Cristo Pantocrator sul trono affiancato da due angeli, con al di sotto i quattro Dottori della Chiesa; al centro della volta è raffigurato l’Agnus Dei entro un clipeo sostenuto da quattro angeli, su uno sfondo a girali vegetali. Appare evidente la derivazione compositiva dal mosaico della volta del presbiterio nel San Vitale di Ravenna e la scelta di elementi ornamentali di chiara ascendenza paleocristiana 5. Infine, la controfacciata sulla quale domina una grandiosa composizione, che unisce l’iconografia bizantina del Giudizio universale ad altri temi 6 (fig. 2), databile alla seconda metà dell’xi secolo, ma ampiamente rilavorata in quello successivo, probabilmente in
3
4 5
I testi di riferimento per la questione cronologica sono Demus 1943, 1944a e 1944b; Damigella 1966 e 1967; Andreescu 1972 e 1976; Rizzardi 1985, 2005, 2009; Polacco 1984, 1986, 1988; Andreescu-Treatgold/ Henderson 2006; Andreescu-Treatgold 2013. Andreescu 1976: 249-250; Rizzardi 2009. Sulla desunzione da motivi iconografici e decorativi paleocristiani e altomedievali cfr. Rizzardi 2009: 66-70.
6
Sull’iconografia del Giudizio universale di Torcello la bibliografia è ovviamente molto ampia; per gli interventi più utili si vedano Baschet 1993: 191-194; Christe 2000: 28-29, 45-47; Pace 2006: 54, 56, 58, 62-63; Pasquini 2012: 611-622; Pasquini 2020: 19-34. L’opera è ampiamente descritta da Kraize-Kołodziej 2019: 92-168. Un’ultimissima ma poco convincente lettura in chiave sociologica e prevalentemente occidentale è in Bhalla 2022.
c r i s to e i l di avol o a torc e l l o
Dante layout bb.indd 95
95
10/10/2023 19:04
Fig. 4 Anastasis, mosaico xi-xii secolo. Torcello, Santa Maria Assunta, controfacciata (foto da Pasquini 2020). Fig. 5 Giudizio universale, mosaico xi-xii secolo. Torcello, Santa Maria Assunta, controfacciata , particolare della fig. 1.
c r i s to e i l di avol o a torc e l l o
Dante layout bb.indd 97
97
10/10/2023 19:04
Fig. 6 Resurrezione dei morti dal mare, mosaico xi-xii secolo. Torcello, Santa Maria Assunta, controfacciata, particolare della fig. 1.
Fig. 7 Resurrezione dei morti dalla terra, mosaico xi-xii secolo. Torcello, Santa Maria Assunta, controfacciata, particolare della fig. 1.
98
a l e s s a n Dro tom e i
Dante layout bb.indd 98
10/10/2023 19:04
Translations BY NICOL A DI NINO
Dante layout bb.indd 333
10/10/2023 19:07
ROSSEND ARQUÉS COROMINAS • SILVIA MADDALO • LAURA PASQUINI
Introduction We often owe the orientation of our thoughts, the guidance of our actions, and ultimately the initiation of our ventures to chance. This was well known by Horace Walpole, the English writer who, in a letter dated 28 January 1754 to his friend Horace Mann, then living in Florence, coined the term serendipity. The idea came to him while he was reading a fable entitled The Three Princes of Serendippo, i.e. Sri Lanka, which narrated how noble lords in programmatic search of a certain good, during their journey continually came across discoveries that were as happy as they were unexpected. The term later came to indicate the invention of something that is produced while one is searching for something else. Chance also lies at the heart of this volume and its creation, at least for the part that fell to one of the three editors, Rossend Arqués, who during a fortunate stay in Florence as visiting professor at Villa I Tatti, planned to complete a study on Petrarch, had the opportunity to frequent the extremely rich library of the important Berensian institution on a daily basis, as well as the library of the Società Dantesca Italiana, which had in the meantime become another subject of his studies. The initial project thus took another direction, giving rise in the Petrarch scholar to a new interest – which he shared with Marcello Ciccuto and which was fuelled by a continuous flow of ideas – in the socalled visualisation of Dante in manuscripts, incunabula and prints. The result of this new project, to which Silvia Maddalo also adheres from the outset, is the study series Dante visualizzato. Carte ridenti (Cesati publisher, Florence). The seeds planted in this field of study have vigorously germinated, so much so as to induce the project’s initial creator to broaden the field, this time with the aim of making the synthesis reached in the first phase more complete. In practice, it was a question of pursuing the same project along two new lines of research. On the one hand, the aesthetic experience in which Dante’s
334
imagination was rooted, especially that derived from the frescoes, plastic works and paintings that he may have known and contemplated in the course of his existence; on the other, the artistic reception of the Poem and its reverberation, especially in the representations of the Last Judgements, in the period from the mid-14th to the end of the 16th century. The result is precisely the volume, which the readers now has in their hands. If the subject of the investigation and the guidelines of this second phase of the project were sufficiently clear, as was the structure that the work was to have, equally clear was the awareness that such a work could not be completed by a single author and above all that the contributions that only art historians specialised in the field could bring to the construction of the entire building were absolutely indispensable. How, then? This time it was not chance but two scholars, Silvia Maddalo and Laura Pasquini, who made the realisation of the project possible by providing expertise and commitment. The work, however, does not come from nowhere, but starts from the pioneering work of researchers who had already dedicated themselves to the subject in previous decades and without whose suggestions this work would never even have been started. For Dante’s artistic experience, the volume’s editors and the authors involved in the project made use of, to name but the most significant names, the following: Corrado Ricci (1909), Ernest H. Wilkins (1927), Hermann Gmelin (1959), Giovanni Fallani (1971), Christopher Kleinhenz (1990), Jérôme Baschet (1993), Katharina Münschberg (2005), Lucia Battaglia Ricci (2001, 2011), Laura Pasquini (2008, 2020). For the artistic reception on mural media by: Ludwig Volkmann (1892), Eugene P. Nassar (1993), Peter Brieger, Millard Meiss and Charles Singleton (1969), again Lucia Battaglia Ricci and Laura Pasquini (2015), Lutz Malke (2000).
t r a ns l at ions
Dante layout bb.indd 334
10/10/2023 19:07
All these ideas and stimuli accompanied by an awareness of the difficulties of the undertaking has therefore guided what was presented as a challenge right from the start: to tackle, borrowing above all from scholars of the manuscript and illustrated tradition of the Comedy a consolidated methodology of investigation, the study of the figurative tradition of Dante’s Poem before and after its composition. First, to thoroughly investigate which works, of painting and sculpture, influenced the Poet, inspiring him to some extent (and to what extent?) in the writing of his verses. And it cannot be forgotten that he lived in a cultural context in which much of the political, social and religious message was entrusted to the world of images, only rarely used in a merely decorative function: art’s task, writes the poet in Paradise XXVII was that of “taking eyes, to have mind”. Then to reflect on the strong figurative value of Dante’s Cantiche (on which scholars of the Comedy have questioned themselves since Gianfranco Contini) and the reverberation on contemporary and subsequent figurative arts. With the intention of bringing together in a single context the results of a series of researches on the subject, making them dialogue with each other, enriched by stimuli and results that are sometimes unpublished. So why not believe that Dante, already in his Florentine years and then in his wanderings from court to court during his exile, might have admired the splendid mosaic on the dome of the “bel San Giovanni”, the Florentine baptistery he is said to have evoked in verse 17 of Inferno XIX? Or the equally intriguing Giudizio on the counter-façade of Santa Maria Assunta in Torcello? Or had he been fascinated in Ravenna, his last landing place (in the city of Romagna, as is known, he was able to go even in the early years of his exile and spent his last years there until his death, under the protection of Guido Novello da Polenta), destined to guard his mortal remains, by the late antique and mediaeval mosaics, glittering with light and colour like the skies of the third canto? Why not imagine he grasped and reworked in his Lucifer the complex meanings of the triform demon that he might have appreciated sculpted on the façade of the basilica of San Pietro in Tuscania or frescoed on the walls of the archiepiscopal
palace in Treviso, or that he kept in his visual library the powerful image of the lion and the she-wolf facing each other in a clypeus between the frescoes of the church of San Pier Scheraggio, used for meetings of the Councils of the Commune before the construction of the Palazzo dei Priori, the symbolic place of city power, where he himself, as a member of the Council of One Hundred, could deliver memorable harangues? Why not ask again whether his sources (indirectly, and perhaps unconsciously) included Giotto’s Crucifix in Santa Maria Novella and the “new sculpture” with the judicial reliefs publicly displayed in the “speaking images” sculpted by the Pisano between Pisa and Siena, and finally whether he had not understood and admired the challenge launched by Giotto on the counter-façade of the Scrovegni Chapel? Unresolved once again, and perhaps unsolvable, is the problem of a frequently suggested but never documented encounter between Dante and the Artist whose unparalleled greatness the Poet, with the expertise of a modern art critic, first recognised in Purgatory XI, and between those and the Paduan Judgement. On the opposite side, and perhaps with greater abundance of results, the questions raised by the structure underlying the project have led to the identification in apocalyptic painting contemporary and subsequent to the Poet, a sort of resumption and development of the poetic reasons underlying the Comedy, almost as if the inspiration that had moved Dante to write his verses moved the brush of others, who were indirectly inspired by him. Nothing strange that in Pisa, Buffalmacco, a few years after the death of the Poet, painted in the monumental Camposanto, in a place therefore of great attendance and of high “media” impact, that “figurative sermon” still represented in our days by the Last Judgement and Inferno, moved, if not precisely by Dante’s Inferno, by the same suggestions (we speak of apocalyptic texts, of Vitae Patrum, of visionary literature) that had inspired the poet in the composition of the first Canticle, and that in Florence Nardo di Cione, here as in Pisa in relation to the policy of images implemented by the Dominican Order, took his Inferno as the starting point for his Inferno from the first Canticle of the Comedy – which, moreover, in the mid-1550s, was enjoying an extraordinary
t r a ns l at ions
Dante layout bb.indd 335
335
10/10/2023 19:07
publishing success of illustrated manuscripts in the Tuscan city – and even reproposed passages of particular visual evidence in images, that in the mid-15th century, Domenico di Michelino portrayed Dante surrounded by the three realms of his visionary afterlife in a work destined also in this case for a “public” space, the Florentine Duomo, and did so by taking inspiration from the book of the Comedy that, in the painting, is exhibited by the Poet himself. If all of this is true, it seems equally certain that it was not necessary to have read the Comedy, we believe, but perhaps to have heard its echoes in the distance, in order to fresco, between 1410 and 1412 in Bologna, in the Bolognini Chapel in San Petronio (this, like the Strozzi Chapel in Santa Maria Novella, was functional to obtain, for the client, the achievement of a “de facto aristocratic” social status), a monumental Inferno, indebted to the Dantean tradition, like the cycle, with Final Judgement, Inferno and Paradise, that Taddeo di Bartolo signed in the Collegiate Church of San Gimignano probably in 1413. The 15th century witnessed a “viral” diffusion of the Comedy in manuscript and illustrated production and in the work of the commentators, but also, as we have seen, in monumental painting (on the cusp of the 14th-century masterpieces and anticipating Michelangelo’s Sistine Chapel). Among the artists who most contributed to spreading the theme of the Last Judgement, Beato Angelico was certainly one of the most representative, with nine paintings on panel (three of which have been lost), distributed between the 1520s and 1550s and between Florence and Pisa, all of which are rich of suggestions from the Poem that go well beyond the first Canticle. But we can find the reverberations of such unprecedented literary success even far from the nerve centers of Dante’s culture. In Liguria, for example, the grandiose Last Judgement painted on the apse of the church of San Giorgio a Campochiesa – in an unusual location since the counter-façade is the place traditionally destined to house it – cites verbatim in figure and writing an episode from Dante’s Inferno, the torment of Ugolino and the archbishop Ruggieri, and seals with the presence of the figures of Virgil
336
and Dante, and with the tituli traced for each infernal torment in a beautiful book script, the direct relationship with Dante’s Poem. And again in Liguria, at Montegrazie, it is once again the long, inscribed phylacteries that accompany and render perspicuous the figurative commentary on the Comedy (but also on the tradition of the Seven Deadly Sins) in the “spectacular reconnaissance of the Underworld” offered by the brothers Tommaso and Matteo Biasacci, at the beginning of the 1880s on the walls of the sanctuary of Santa Maria delle Grazie. This is a peculiar interpretation of Dante’s septenary for which the book seeks the driving force and reasons, as well as the most significant episodes, also in Piedmont in the 1970s, between San Fiorenzo in Bastia, San Michele Mondovì and San Bernardo in Castelletto Stura. Between Tuscany, then, Piedmont, Liguria, and again in Rome (with Michelangelo’s Judgement) and in Bologna, we find the visual memory of the Comedy cultivated with different results, and we also find it, wandering along the sometimes unforeseen branches – at least in our current cultural and artistic geography – of its capillary diffusion, in the mountains of Abruzzo, where at Pereto, in the Sanctuary of the Madonna dei Bisognosi in the Judgement painted by an anonymous painter, perhaps Desiderio da Subiaco, Dante’s Inferno echoes to admonish with its torments – once again highlighted by the painted tituli – the members of the local community. A singular case, we believe, that the volume highlights in all its peculiarity. The vernacular representation, with a strong didactic character, of Dante’s poetics displayed in the Sala dei Canonici in Pereto, is contrasted at a distance and with such dissimilar results, by the cycle frescoed by Luca Signorelli in the cathedral of Orvieto at the pass between the 15th and 16th centuries, in which Dante’s three Cantiche (Inferno and Paradise with verbatim quotations from Purgatory) dialogue with Scenes of the Antichrist and the End of the World. Solemn and impetuous, Orvieto’s Inferno would perhaps have inspired, almost half a century later, the Last Judgement in the Sistine Chapel in which Buonarroti proposed his own personal reading of Dante’s Inferno, disturbing the consciences of his contemporaries.
t r a ns l at ions
Dante layout bb.indd 336
10/10/2023 19:07
The cycle painted by Signorelli is certainly well known, and it is trivial to magnify the fame of Michelangelo’s masterpiece; less well known instead, and above all never related to Dante’s themes and for this reason of singular interest, is the work with which this volume closes. In the dome of San Pietro al Po in Cremona, painted by Orazio Lamberti at the beginning of the 17th century, the Last Judgement, monumental and of high “stylistic temperature”, contains an unexpected and surprising quotation from Inferno VI: it is the rain, which in Cremona strikes the damned, almost sonorously recalling the maladroit, cold and heavy rain that in Dante’s icastic verses lash sinners and make them scream for eternity. Nor is Dante’s insertion accidental when we consider that in Cremona – where there is evidence that the Library of Sant’Agostino was decorated with effigies of Virgil and Dante as well as demonic images – an illustrated edition of the Comedy printed by the Cremonese Pietro de’ Piasi must have been circulating for some time. The book has been developed for a long time; conceived for the centenary, it has largely exceeded its limits due, firstly, to that painful pandemic that
has disrupted everyone’s times and plans, modifying, as natural, everyone’s priorities and expectations; then due to the complexity of a project that envisaged an adequate figurative apparatus, a capillary bibliographical update, and a punctilious yet respectful work of standardisation of the twenty-three original contributions. However this book doesn not fear the passage of time. The aim was to provide an incisive testimony, pursued through the instruments of poetics and art, suitably compulsory, of how Dante should always be understood as a powerful cultural collector of everything that art, history and society had produced before his poetic and existential experience; but above all, how his work, an enormous container of images and ideas, has been capable of reproducing itself, of manifesting itself, if only revisited, in the artistic culture of the following centuries, reverberating on our present, and certainly also on our future, all the power of its inexhaustible, polyphonic message.
t r a ns l at ions
Dante layout bb.indd 337
337
10/10/2023 19:07
SONIA CHIODO
The Last Judgement in the Baptistery of San Giovanni in Florence
The mosaics that cover the intrados of the Baptistery’s dome are one of the masterpieces of medieval art in Florence, although not among the most appreciated. The Baptistery stands at the centre of the city, like a casket covered with precious materials on the outside and inside, synthesising in an entirely original form the extraordinary greatness achieved by the city between the 12th and 13th centuries, so much so that it was included in a shortlist of the most admirable sacred buildings still drawn up by the end of the 13th century.1 The sources shroud its construction in mystery, attributing it mythical origins; historical research has identified few certain dates: a building dedicated to St John the Baptist already existed in 897, but at that time it was a complex that fulfilled both functions of cathedral church and baptistery; only around the 10th century were the two functions, and therefore the respective locations, separated.2 A source no longer traceable dates the consecration of the building by Pope Nicholas II, former Bishop of Florence under the name of Gerard, to 1059. The transfer of the baptismal font from the cathedral to the renovated baptistery took place in 1128, suggesting that the building was unfit for use before that time, perhaps due to the work in progress. In 1150, as recalled by Giovanni Villani, the lantern and the gilded sphere above it were put in place; while the year 1178, which can be read on a reinforcing ring supporting the lantern and the gilded sphere, should refer to a consolidation made necessary by the static instability of the building.3 At the beginning of the 13th century, the work on the purse continued by replacing a previous semicircular apse, which was demolished and rebuilt with a rectangular plan, probably to provide greater support for the enormous weight of the imposing octagonal roof.4 From this time onwards, the work was carried out with the financial support of the Arte di Calimala, the flourishing guild of wool
338
merchants that brought together the richest middle class of the city, which was destined to take on a leading role in the political government of the city and therefore played a decisive role in defining the iconographic programme. Another inscription distributed in mosaic tables placed at the four corners of the purse, unfortunately corrupted by reworking, has placed the starting date of the mosaics around 1225. This chronology, however, does not match the timing of the style, so philological studies tried to reconstruct the sequences of execution, circumscribe the reworking, read the contents and decipher the message.5 The Last Judgement occupies three of the eight segments into which the grandiose roof of the building is divided, namely those to the south-west, west and north-west. The one in the centre, i.e. on the west side, depicts Christ the Judge in glory, with the nail marks clearly visible on his hands and feet, his left hand with the palm facing downwards to indicate the rejection of reprobates into hell, and his right hand open, with the palm facing upwards, in a gesture of welcome (fig. 1). The throne is suspended above the celestial spheres and the figure, of enormous dimensions, is inserted in a circumference of about eight metres, vividly polychromed according to the dictates of Ezekiel’s vision from which it is inspired: “et super firmamentum, quod erat imminens capiti eorum, quasi adspectus lapidis sapphiri similitudo throni, et super similitudinem throni similitudo quasi adspectus hominis desuper. Et vidi quasi speciem electri, velut adspectum ignis, intrinsecus eius per circulum: a lumbis eius usque deorsum vidi quasi speciem ignis splendentis in circuitu: velut adspectum arcus, cum fuerit in nube in die pluvie, hic erat adspectus splendoris per gyrum” (Ez. 1, 26–28) [“And on the firmament, which was above their heads, was like a throne of sapphire stone; and on that throne was the figure of a man. And I saw a kind of electro, and like a fire within him, and all
1
2
3
4 5
The Florentine baptistery is mentioned with the abbey of Chiaravalle, the basilica of St Mark in Venice, the cathedral of Pisa and the San Vitale in Ravenna by the astronomer Guido Bonatti (Bonatti 1550, f. 437) as an example of a building whose sumptuousness has the characteristics of secular rather than sacred architecture. The vast bibliography on mosaic decoration has been collated by Boskovits 2007: 531–587. The contributions of Salmi 1930–1931, Longhi 1948; Hueck 1962; Ragghianti 1969: 948–972; Klange 1975 and 1976; Garzelli 1982; Matsuura 1992; Boon 1994; Giusti 1994: 281–342 and 467–525; Schwarz 1997; Monciatti 1998; Boskovits 2000 and 2001 should be noted as milestones in the critical history of the mosaics. For the first mention of a church dedicated to the Baptist see Davidsohn 1896: 24. The fortunate connection of the building with an ancient temple dedicated to Mars was traced by Straehle 2001 but discussed and rejected by Toker 1976. Davidsohn 1896: 218. For a summary of the architectural history of the baptistery see Boskovits 2007: 12–12. The inscription on the lantern was transcribed by Horn 1937–1940: 105 and also quoted by Boskovits 2007: 15 note 29. Rocchi 2004: 43–48. This proposal was based on the text of the inscriptions found at the base of the four telamons at the corners of the mosaic of the purse: 1) Hoc opus incepit lux / Maii tunc duodena / quod D[omi]ni nostri con / serve[t] gra[tia] plena. 2) Sancti Francisci frater / fuit hoc operatus / Iacobus in tali pre / cuntis arte probatus. 3) Annus papa tibi / nonus currebat Honori / at Federice tuo / Q[uin]t[us] monarcha deco[r]i. 4) Vigintiquinque XPI /cum milleducentis /T[em]p[or]a currebant p[er] se / c[u]la cu[n] ctamane[n]tis. This connection has long been considered valid, proposed among others by Salmi 1930–1931: 544–549 and Klange 1976. A date around 1240 is proposed by Schwarz 1997: 70–72 and also
t r a ns l at ions
Dante layout bb.indd 338
10/10/2023 19:07
150
224
41.5
224
150
Arqués Corominas Maddalo Pasquini
Trimmed: (285H × 789.5W) Untrimmed: (291H × 795.5W) mm
Rossend Arqués Corominas is Professor of Italian Literature at the Universitat Autònoma of Barcelona. Silvia Maddalo is Professor of History of Medieval Art at the Università degli Studi della Tuscia.
Jacket illustrations: (front) Dante and Virgil witnessing the punishment of Count Ugolino and Archbishop Ruggieri degli Ubaldini, fresco (detail), 1446. Campochiesa, church of San Giorgio, central apse (photo Francesca Girelli). (back) Coppo di Marcovaldo and Salerno di Coppo (?), Hell, mosaic, ca. 1270–1275. Florence, Baptistery of San Giovanni, north-west wall (photo Florence, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina).
Dante jacket PR.indd All Pages
Laura Pasquini is Adjunct Professor of History of Medieval Art at the Università di Bologna.
F
H
THE SMILING WALLS DANTE E LE ARTI AND THE FIGURATIVE VISUAL ARTS Edited by Rossend Arqués Corominas Silvia Maddalo Laura Pasquini
285
This book addresses the artistic reception of Dante’s Divine Comedy in mural painting from the Trecento to the Cinquecento, created by some of the greatest fresco painters of this period, and presented here for the first time in its articulated and composite totality. Well-known specialists address each of the epochs and each of the artists studied, analyzing in particular the different moments in which the painters of these centuries have placed the figuration of the afterlife and of the universal judgment in the light of the Dante experience.
THE SMILING WALLS DANTE AND THE VISUAL ARTS
La ricezione artistica della Commedia nella pittura murale realizzata tra il Trecento e il Cinquecento da alcuni dei più grandi artisti di questo p eriodo, è affrontata per la prima volta in questo volume nella sua articolata e composita totalità. Per ciascuna delle epoche e per ciascuna delle opere dei secoli presi in esame sono intervenuti noti specialisti che hanno analizzato in particolare i diversi momenti in cui questi pittori hanno raffigurato l’aldilà e il giudizio universale alla luce dell’esperienza dantesca.
In copertina anteriore: Dante e Virgilio assistono al supplizio del conte Ugolino e dell’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, affresco (particolare), 1446. Campochiesa, chiesa di San Giorgio, abside maggiore (foto Francesca Girelli). In copertina posteriore: Coppo di Marcovaldo e Salerno di Coppo (?), Inferno, mosaico 1270-1275 ca. Firenze, battistero di San Giovanni, spicchio nord-ovest (foto Firenze, Associazione Corpus della Pittura Fiorentina).
18/10/2023 09:22