illustrazioni "il segreto del bosco vecchio" di Dino Buzzati

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Dino Buzzati

Il segreto del bosco vecchio



Dino Buzzati IL SEGRETO DEL BOSCO VECCHIO



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noto che il colonnello Sebastiano Procolo È venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il prozio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpre tare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la


sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.)


3 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di


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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare 10


un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” 11


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 12


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autoritĂ di Fondo inaugurarorno, nella ra-

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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 14


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito 15


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). 16


Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fat17


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 18


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello.

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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reg20


gimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “... è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile 21


9 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 22


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La pri-

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10 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 24


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.”

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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombet26


tiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha 27


12 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 28


Vecchio, con una casa giĂ dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale.

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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, 30


lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) 31


14 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 32


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita.

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15 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 34


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito

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16 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 36


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello.

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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più 38


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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 40


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbarazzatissimo “ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Bazzeccole senza pretese.” I due, in automobile, si diressero subito alla casa del Morro. La strada, nei primi due chilometri, correva tra i campi del fondo valle; poi saliva fra praterie nude; a circa quattro chilometri dalla casa cominciava a entrare nel bos41


18 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi 42


boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbarazzatissimo “ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Bazzeccole senza pretese.” I due, in automobile, si diressero subito alla casa del Morro. La 43


19 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 44


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbarazzatissimo “ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Ba45


20 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 46


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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza.

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Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti im49


22 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi 50


boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbarazzatissimo “ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Bazzeccole senza pretese.” I due, in automobile, si diressero subito alla casa del Morro. La 51


23 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 52


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato

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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 54


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbarazzatissimo “ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Bazzeccole senza pretese.” I due, in automobile, si diressero subito alla casa del Morro. La strada, nei primi due 55


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero prover56


biali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchi57


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 58


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbarazzatissimo “ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Bazzeccole senza pretese.” I due, in automobile, si diressero subito alla casa del Morro. La strada, nei primi due chilometri, correva tra i campi del fondo valle; poi saliva fra praterie nude; a circa quattro chilometri 59


25 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 60


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbaraz61


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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della 62


vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbarazzatissimo “ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Bazzeccole 63


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 64


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi

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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 66


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28 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 68


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbaraz69


29 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di

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intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. 71


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 72


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30 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 74


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbarazzatissimo “ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Bazzeccole senza pretese.” I due, in automobile, si diressero subi75


28 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 76


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La pri77




È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 80


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello.


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo

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reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La pri83


34 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 84


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La pri85


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 86


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... ” “Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?” fece gelido il colonnello. “Una vera e propria costumanza non c’è” rispose l’Aiuti imbarazzatissimo “ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Bazzeccole senza pretese.” I due, in automobile, si diressero subito alla casa del Morro. La strada, nei primi due chilometri, correva tra i campi del fondo valle; poi saliva fra praterie nude;

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È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 89


37 È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco 90


Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.” “Ah così?” chiese il colonnello. “Proprio molto simile” spiegò l’Aiuti “si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse... 91


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino).


Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il gior93


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 94


per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiararae monumento nazionale. Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarorno, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori. Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore diesse: “...è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro”, molti dei presenti si toccarono i gomiti ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita. Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un pò petulante.) “Straordinario!” egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. “Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha 95


È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese. L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo. Tutore di Benvenuto fino allora era stato il pro-zio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello. A quell’epoca, e così rimase pressappoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino). Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poichè difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso, mostrò di interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza. Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato granchè le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minre, il cosidetto Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno. Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva 96


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