Lenzuola di terra

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI BOLOGNA

Corso di Illustrazione per l’Editoria Tesi di Lucia Calfapietra Prof. Chiara Carrer




“Giardiniere. Arboricoltore. Floricoltore offresi. Besares 451” Sorrise, da più di un anno quest’annuncio si confondeva nella tasca del suo pullover. Appallottolò il foglio tra le mani e lo gettò a terra. Arrovesciò la testa contro la seggiola di vimini, emise un sospiro di sollievo e disse al marito: «Che fortuna avere un bravo giardiniere». Il marito la guardò da sopra il giornale.


«Un vero giardiniere, - proseguì - che tratti con tenerezza la piante, e che davvero le ami come piccoli figlioli» e, dicendo queste parole, sentì la pienezza della propria felicità: i suoi figli erano sani, era una bella giornata, aveva trovato un bravo giardiniere. Seduta sulla terrazza, avvolta nel biancore del vestito, sentì quello che devono sentire tutte le donne in bianco in un giorno radioso; si sentì pura e impersonale come il giorno, circondata da moltitudini di fiori che l’aspettavano. Si mise i guanti, prese le forbici per tagliare i fiori e scese in giardino riparandosi dal sole con l’ombrellino. Che gradevole immagine vide nello specchio! Il fumo dei falò riempiva il fondo del giardino e tingeva di un azzurro lattigginoso i raggi del sole; s’infiltrava negli interstizi dei rampicanti, rannuvolando il soffitto di foglie.



Era l’ora più bella, e posso dirlo senza rischio di sbagliarmi, perché nella giornata di un giardino tutte le ore sono più belle, cosa di cui non ci accorgiamo nelle stanza ma che ci stupisce sempre, come se non lo sapessimo. Le girandole accrescevano il canto degli uccelli. Il giardiniere si muoveva come un grande corteo, cerimoniosamente, di pianta in pianta, togliendo bruchi. Le sue braccia, perfino nei momenti di riposo, conservavano una curva inalterabile, carica di annaffiatoi, di falci, di zappe e di rastrelli invisibili. Aveva un diffuso odore di foglia secca e di terra umida.




Aveva piantato nella sua vita milioni di alberi di diverse famiglie. Aveva lavorato nelle isole del Paraná, nei dintorni del Tandil, a La Pampa, era arrivato più a sud del Río Negro, più a nord dell’Iguazú, con lo stesso fagottino di abiti e la stessa moglie dal viso butterato. La stessa moglie brava massaia e senza figli. Aveva un odore di foglia secca e di terra sudata, soprattutto quando si asciugava la traspirazione con un grosso fazzoletto di seta, a righe viola e verdi. Abitava in fondo al giardino in una casetta di una sola stanza.



Il giardiniere rimuoveva la terra con la grande pala, poi ne spezzava le zolle finché non diventava serica e docile. Le mani gli si erano talmente vincolate alla terra che ormai cominciava a strappare la malerba con difficoltà. Ogni contatto con la terra era una lunga e ripetuta immersione di mani; erano ormai rivestite come da una specie di corteccia scura, di tuberosa, capace solo di germogliare nella terra o in un bicchier d’acqua. Per questo motivo evitava di lavarsele nell’acqua e se le puliva nella biada. Per questo motivo, da un po’ di tempo, evitava, per quanto possibile, di affondarle troppo nella terra e usava un coltellino allungato e sottile per strappare la malerba. Ma quel giorno, in un momento di distrazione o di necessità, ripose il cotellino e affondò la mano dentro la terra per tirar via alcune erbe inutili.


Inginocchiato in fondo al giardino fece sforzi disperati per strappare prima la pianta e poi la mano. Ma i passi si avvicinavano facendo scricchiolare la ghiaia. La mano non voleva uscire da dentro la terra. Alzò gli occhi e s’imbatté in quel sorriso speciale che aveva lei quando tagliava i fiori, e udì che diceva: «Sono felice. Non ho mai avuto tanti fiori». Si tolse il berretto e ringraziò tre volte.




Proseguì: «Vorrei piantare qualche arbusto, qualche pianta ornamentale vicino al portone. Lei quale mi consiglia?» «Ci sono tante varietà - disse il giardiniere sentendo che la mano gli cresceva dentro la terra; - abbiamo l’Evonimus del Giappone, l’Evonimus Microphylla o Pulchellus, la Pthotinea Serrulata o Alloro Giappoese; tutti arbusti sempreverdi che soffrono poco. Abbiamo anche il Vhiladelphus Coronarius o Angelica Arcangelica, comunemente chiamata Angelica; si copre di fiori bianchi in primavera». «Sì, sì, l’Angelica è proprio una delle piante che mi piacciono di più, ha foglie scure, i fiori raggrupati su rametti profumati ed eleganti». Seguitò a camminare facendo ruotare l’ombrellino.



I figli le correvano intorno. Si fermarono un po’ a cercare sassolini nel vialetto e tornarono di corsa al luogo dov’era rimasto il giardiniere. «Cosa sta facendo?», gli domandarono accovacciandosi e l’uomo rispose loro pazientemente: «Sto strappando malerba». I ragazzi non se ne andavano; avevano perso una moneta o una matita che cercarono finché non si stancarono e se ne andarono galoppando, con sbuffi da locomotiva.


Scendeva quietamente la sera, dispiegando i rumori consueti. Il giardiniere udÏ la moglie che lo chiamava; percorreva i vialetti dalla casa al portone. Non si mosse. Nell’oscurità si vedeva solo il chiarore delle panchine; sapeva che la moglie non poteva scorgerlo.


Si sedette a terra; tirò fuori il grosso fazzoletto a righe dalla tasca e si asciugò la fronte. Cominciava ad avere fame. Arrivava l’odore dal cucinino e un rumore ugualmente stuzzicante di piatti e di posate.


Chiamò la moglie dapprima debolmente, poi più forte, finché non si fece udire. La moglie accorse e gli domandò se si era fatto male. «No, non mi sono fatto male. Ho fame», rispose il giardiniere. «E perché non la smetti di lavorare? È ora di cena». «Non posso», e indicò la mano. «Ma perché non la tiri con più forza?» «Ho fatto tutti gli sforzi possibili». «Allora, - disse la moglie, - dovrai passare la notte qui?» «Sì», rispose l’uomo; e dopo una pausa: «Portami la cena. Attenta che non ti vedano». La moglie si allontanò e tornò in un baleno con un piatto di minestra, insalata,un pezzo di pane. Si era dimenticata del vino. L’uomo mangiò con appetito.


La moglie lo guardava nell’oscurità, indovinandogli il volto. «Dovrò portarti la coperta?» «No, - disse l’uomo - non fa freddo». Finì di mangiare e si sdraiò a terra. La moglie gli augurò la buonanotte.


Dopo essere rimasto solo per un po’, ricordò che non aveva bevuto. Volle chiamare la moglie, ma la voce gli tremò nel vento come un foglio sottilissimo di carta velina. Inoltre l’uscio era chiuso, le luci spente, tutto lasciava intendere che la moglie dormiva un sonno profondo. La sete cresceva in grandi distese di sabbia; il giardiniere le attraversò fino ad arrivare, nel suo ricordo, a una piantagione di pini, nella zona della Patagonia.



Camminava reggendo un’ascia e un saracco. I tronchi erano grossi, venati di muschio. Erano già molto alti ma bisognava potarli affinché non avessero una frondosità eccessiva. I rami spuntavano come serpenti improvvisi. Il bosco si lamentava tra sonorità liquide di saracco. Quell’improvvisa assenza di uccelli e di animaletti che abitavano i rami svegliò completamente la notte. Gli alberi si dissanguarono con una fragranza meravigliosa, le ferite si aprirono iridescenti di rosa e di azzurro. Il bosco rimase come un grande ospedale di alberi feriti, senza braccia e senza gambe. Aveva sete quel giorno, la stessa sete di adesso, una sete mescolata a odore di resina. Cadevano piogge finissime di umidità, non c’erano i pini, nessun pino. Che strano poteva essere un giardino senza pini e senza olmi.





Le luci della casa grande erano ancora accese. C’erano visitatori e, dopo mangiato, passeggiavano in giardino, con la padrona di casa. S’inginocchiò di nuovo per terra.


Lei lo vide nell’oscurità:«Ancora al lavoro!», qualcuno gli gridò da lontano, con voce grata da bagnante che si immerge ancora nell’acqua.


Il giardiniere sentì la mano che gli si apriva dentro la terra, e che beveva acqua. Saliva l’acqua lentamente attraverso il braccio fino al cuore. Allora si coricò tra infinite lenzuola di terra. Si sentì crescere con molte chiome e braccia verdi.



La notte fu lunga, molto lunga. Sulla superficie, diversi animaletti sfiorarono il braccio sotterrato; fu solo un solletichio di lombrichi indifferenti. Un bruco salĂŹ laboriosamente sulla spalla, subito prima che albeggiasse.




Mai l’alba fu cosÏ lenta a far passare chiarore tra i rami, elaborando il mattino. Il giardiniere udÏ che lo chiamavano. Volle chinarsi per raccogliere il coltellino da terra, ma la cintola mancava di elasticità .


Da quel giorno visse secondo le leggi di Pitagora; il vento e la pioggia badarono a cancellare le tracce del suo corpo dal letto di terra.






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