Il concerto sotto il muro

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Bruno Magliocchetti

Il concerto sotto il muro


Š 2012 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma www.gruppoalbatrosilfilo.it ISBN 978-88-567-6080-4 I edizione ottobre 2012 stampato presso Andersen Spa, Borgomanero (NO)

Distribuzione per le librerie PDE s.p.a.


Il concerto sotto il muro



A mia moglie



PREFAZIONE di Paolo Guido Consigli

Il motivo costante di tutto l’intreccio narrativo poggia sul dolore sofferto, inteso come lotta cristiana per operare il bene: il tema costituiva già la nascita e il culmine de L’angolo azzurro prima del cielo, nonché il monocolo da lettura di tutta la vita dell’autore. San Josemarìa Escrivà diceva che davanti alle amarezze della vita solamente il cristiano possiede una risposta autentica, una risposta definitiva: Cristo crocifisso, Dio che soffre e muore, Dio che dona il suo Cuore aperto da una lancia come pegno d’amore per tutti. Solo in questa visione si possono comprendere le figure di Maximilian, Ellen, Annuccia ed Eleonora, che subiscono l’ingiustizia per affermare la giustizia, che muoiono a poco a poco e, per questo, vivranno ancora. Oltre alla dominante concezione cristiana della vita e della sofferenza si dimena, nelle trame della storia, il tema socratico del veleno che è, al contempo, antidoto; del pharmakon greco per eccellenza che sopporta silenziosamente la violenza per mostrare il cammino verso la salvezza. Non tutti, però, riusciranno a pentirsi, e non tutti vedranno la luce che li sta illuminando: saranno gli uomini “distratti” della Vocazione di San Matteo del Caravaggio. Questo è un romanzo che “tende il braccio in soccorso” mentre, paradossalmente, “allunga le mani verso la sua preda”, verso di noi, per trascinarci dentro le sue fughe canoniche. E’ un’opera che vive della sua ambivalenza, e in questo perfido gioco siamo presenti anche noi, con il fiato sospeso tra gli schizzi di fango caduti sui “divani di una vecchia bottega al piano terra”. Ci siamo anche noi tra i variopinti vortici di vite che si intrecciano e si combattono, mentre i protagonisti sembrano, in realtà, soltanto spettatori dei propri sentimenti. Ascoltiamo i loro ultimi respiri senza essere in quei luoghi. Osserviamo quella striscia di sangue, quel “filo rosso” di odio 9


e di violenza che sembra legare, invisibile ma indelebile, le trame che la Storia continua a raccontarci. Tutto sembra essere il taglio profondo di una ferita che dovrà rimarginarsi solo quando sarà realmente metabolizzata da noi, “ospiti della storia”. E forse non è un caso che l’ospite (hospes) sia una parola che ci racconta di una significativa vicinanza con la figura del nemico (hostis): l’uomo amico/nemico, “ospite ostile” dell’uomo. C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? Questa è la domanda più urgente che l’autore pone ai lettori: warum krieg? La guerra distrugge ogni privato Parnaso, travolge il mondo apollineo della polis mentre si inizia a confondere la differenza tra nemico e straniero, mentre si scopre che la rivalità è dentro noi stessi, nel “se stesso” e nella sua ambivalenza che edifica e distrugge. È delusione di un’illusione, è fine di un sogno di pace, come Sigmund Freud, nel memorabile scambio di lettere con Albert Einstein, vuole comunicare a tutti gli uomini guardando alla fine del mito della polis, della sua eudaimonia, poiché attraversata dal lutto. E l’esperienza del lutto Freud la conosce bene: i soldati tornano muti dal fronte, poiché la guerra produceva una paradossale perdita dell’esperienza, e come loro anche i protagonisti di questo intenso viaggio sembrano smarrire, a ogni giro di boa, le sensazioni incorporate. Le persecuzioni razziali, come sottili lame che perforano continuamente il corpo in fin di vita del romanzo, segnano ancora una volta il passaggio dall’identificazione all’appartenenza, a un’inclusione che è tale mentre e perché esclude. Ma cosa lega un fisico e uno psicanalista alle vite dei silenziosi personaggi di queste pagine? Forse entrambi aspettano e si riparano dietro il gracile scudo del pacifismo militante, del fare la guerra alla guerra, con la preoccupazione di non ridurre il codice di quest’ultima alle logiche della pace. Ellen, come riflesso letterario di Einstein, sceglie di essere amica dell’umanità. La stessa amicizia indicata da Kant come sensibilità estetica, come dovere e responsabilità che superano le ambivalenze, pagando i piccoli e grandi costi di ogni giorno. È un romanzo che cade spesso nelle logiche dualistiche di amico-nemico, poiché vengono più volte marcate le linee di 10


confine tra “noi” e “loro”, tra il “bene” e il “male”, rendendoci semplici osservatori delle frontiere difese da impenetrabili guardie mentre innalzano muri sotto bandiere, mentre noi stessi, noi lettori, abbiamo paura di muovere il passo oltre la soglia. Dunque, la fatalità della guerra va cercata nella psiche profonda di Corrado, di suo padre e di tutti quegli “uomini di pezza” che si lasciano muovere come alghe ai flussi di mare. Passioni fredde e passioni calde si mescolano insieme in una coppia distruttiva che culmina nel piacere di odiare. In questa vorticosa giostra, come Hobbes aveva indicato, la pace che interrompe la guerra ha bisogno di trasformare la violenza. Così era per la stasis greca (e non è un caso che la parola moderna “Stato” sia legata a questo termine) e per la pax romana, tali da sostituire il rapporto vincitore-vinto con quello servopadrone. Sarà un processo di re-criminazione (ancora una volta sarà re-iterazione di un crimine, sarà violenza). Questi sono gli argini delle pagine che seguiranno, in cui il male assoluto dei totalitarismi e delle persecuzioni si trasforma con perseveranza nel male subdolo degli inganni di un capitalismo che mostra gli orizzonti dall’interno di una gabbia: la madre di Ellen, vittima della violenza assoluta, e Annuccia, schiava della violenza subdola, ne sono testimoni, sono angeli e come tali si lasciano cadere nel vuoto, arrendendosi: senza saper volare, inizieranno a farlo. La risposta, quindi, va cercata nei percorsi della mente e degli istinti. Tra Eros e Thanatos, attrazione e repulsione, il confine è molto labile: esse vivono di conflitti e di compresenze, di complicità rivali. Così, il codice rimane doppio, ambivalente, come ambivalente è la ricerca della verità e del bene in una corsa spasmodica nelle tenebre dell’umanità. “La vera libertà si conquista calandosi dentro l’oscura caverna dell’inconscio” suggerirà Ellen a Corrado, poiché, si sa, la sofferenza è la via della salvezza. Corrado è vittima del proprio male, mentre la vita sembra apparirgli come un sottoscala buio che sa di polvere e muffa; eppure sarà capace ancora di sognare e perdonarsi, tanto da comprendere che le stelle possono essere punti di luce solo nel buio di quel sottoscala. Dalla melma scura delle follie 11


emergono, mentre soffocano, atti d’amore, accompagnati da cornici instabili di giochi in cui l’essere vittima diviene piacere inesauribile. Tutto si muove in un girotondo, ora spettrale ora placido, al suono di un pianoforte che ferma l’azione e il suo movimento violento ma che non riesce ad eliminarla, bensì solo a coprirla. Così, tutto appare ancora più malinconicamente feroce e beffardo, e i sentimenti che ognuno ha da raccontare saranno vinti dalla tragicità degli eventi e dalle note sensuali: la musa che suona lo strumento si agita e urla finché il pianoforte non la asseconda. Il lettore diviene una Pandora curiosa e pingue che si cala in inferi popolati da poeti maledetti e da diavoli innamorati, in una partitura fatta di grida, di appelli, di singhiozzi, di rumori e soprattutto di danze. Le sorti dei personaggi riportano sempre nel carcere di specchi che ritorna su se stesso, e non basterà smembrarle per affermare quella fuga necessaria. Così, Ellen sarà pronta a sacrificarsi e a diventare vittima del proprio tempo, mentre nessuno intorno a lei sarà capace di sottrarsi alla piacevolezza sensuale che inonda le membra. Gli anni della guerra sono torbidi e frenetici, e in essi risaltano scene di sesso e violenza, condite con spezie cresciute all’ombra di Nietzsche e di Wagner. Nel putridume romano si consumano delitti più o meno apparenti; la vendetta semina e raccoglie, mentre gli sguardi restano immobili sui dipinti incantevoli del fratello ribelle. Mentre Maximiliam appare come un ricordo ormai lontano e sbiadito. In queste pagine l’autore mette a cuocere nel suo crogiolo gli stili e le idee apparentemente più disparate, fa reagire gli elementi più contraddittori e si prepara a ricomporre sulla scena una cavalcata improvvisa, tranquilla e ironica su un prato immenso: dopo la tragedia i protagonisti sembrano ritrovare equilibrio su quel filo di rame che aveva già reciso le gole di troppi destini. Solo tra le discussioni tanto animate quanto inutili e nei salotti inondati dalla luce elettrica di una lampadina può apparire uno stato di ordinaria serenità. La tragedia della conoscenza vera si è consumata, e la verità diviene, come nell’Ecce Homo di Nietzsche, un valore sottomesso all’arte professata dalle sinfonie di Ellen e dai quadri di Marcello. 12


La lancetta continua a battere inesorabile, e il cuore segreto dell’orologio conserva le perdite e le trasforma in nuovi orizzonti. “Fantastici colori e armonici suoni, dopo tanti anni di grigiore” rimbombano al culmine della frivolezza borghese che sta ingoiando valori e speranze nel suo opaco niente. Una lunga discesa di acqua tiepida e sangue in un mondo di mostruose maschere, in cui la ragione naufraga nel piacere crescente, in cammino verso la dissoluzione del Tempo e del Sé. Una storia sotto il muro, contro il muro, oltre i muri. Una storia che non è più giovane e che non sarà mai vecchia, animata da una scrittura che non cerca più la ricercatezza ma trova nella trasparenza che non appesantisce le idee il suo segreto, il suo ritmo leggero, come piccole onde irregolari che si susseguono sulla battigia. Una spirale bluastra di fumo continua ad estendersi in zampilli di scommesse a un’umanità che deve essere vicina al suo Dio, a un’umanità che trova inizio e fine in quell’atto originario d’Amore. “È questa l’avventura di un mare senza più sponde”, avrà da dire Montesano in riferimento allo scrittore, pittore e compositore Alberto Savinio. E questo diremo noi al termine del racconto: “La dittatura della verità è finita e comincia la libertà del pensare”. Nella convinzione che ho saputo toccare solo la superficie fredda dei sentimenti e messaggi raccolti nel capolavoro di Magliocchetti, mi piace vedere questa storia come un biglietto da visita dimenticato in un polveroso cassetto, che l’autore sta cercando di mostrare ai suoi lettori per ricordare loro che non bisogna abituarsi a dimenticare. Che si deve avere l’audacia di ri-leggerlo ancora. “Il sole fece improvvisamente capolino tra le nubi e gettò uno strabiliante fascio di luce sulla quadriga”: un cammino luminoso che sarà il riflesso della consapevolezza acquisita, mentre partenze, ritorni ed altre partenze ancora continueranno a susseguirsi nei porti della speranza. Paolo Guido Consigli

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PRESENTAZIONE di Lino Di Stefano

È interessante il presente romanzo – Il Concerto sotto il Muro – di Bruno Magliocchetti, che segue immediatamente il suo ultimo saggio, L’angolo azzurro prima del cielo (2011), libro dedicato al figlio scomparso prematuramente. Romanzo, aggiungiamo, che se non è vero è oltremodo verosimile, visti da una parte l’intreccio da cui esso è sorretto, e dall’altra il contesto storico in cui lo stesso è ambientato. Quest’ultimo avente come sfondo, in particolare, l’Italia e le due Germanie con le rispettive capitali Roma, Berlino Ovest e Berlino Pankow. Il volume copre un ampio arco di tempo che va dai primi anni del dopoguerra alla caduta del famigerato Muro – Der Mauer, per i tedeschi – di Berlino nel 1989. Anche i personaggi, ben delineati, non sono molti, compresi alcuni minori, ed essi rispondono ai nomi di Mario, Eleonora (sua moglie), Corrado e Marcello, figli della coppia, e una profuga tedesca di nome Ellen. Lo sfondo basilare degli eventi è la capitale d’Italia, sebbene anche Berlino giochi un ruolo non secondario nell’ambito delle intricate vicende diluite, nelle loro varie fasi, dall’autore del libro. Mario costituisce una delle pedine fondamentali di un’organizzazione segreta italo-tedesca denominata Alfa, diretta ad impedire, con azioni di sabotaggio - siamo nel periodo della guerra fredda, successiva, dopo la Conferenza di Yalta iniziata nel dicembre 1945, alla divisione dell’Europa in due sfere d’influenza, russa e americana - l’invasione dell’Europa da parte delle truppe sovietiche. Ricordiamo, “per incidens”, che anche lo scomparso ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, fu a capo, durante il gelo fra le potenze occidentali ed orientali, di un’organizzazione paramilitare chiamata “Gladio”, volta ad ostacolare l’avvento del comunismo in Italia e nell’Europa occidentale. La cellula Alfa, potente ed efficiente, conta tra i suoi affiliati anche Corrado, il quale, con la mente obnubilata da ideolo14


gie politiche di estrema destra, segnatamente neonaziste, si muove in segreto tra l’Italia e la Germania affinché la causa sposata dalla menzionata organizzazione raggiunga i suoi scopi anche con la violenza. In effetti, il Corrado prima maniera è un fanatico ortodosso che trova nella spietatezza della sua indole i connotati peggiori. Individuo spregevole – in ciò indottrinato pure dal padre – uomo violento e soggetto poco raccomandabile da ogni punto di vista, Corrado trova la propria ragione di vita nella Volontà di potenza, la Wille zur Macht di Nietzsche; concezione male intesa, perché la visione del pensatore tedesco rientra in una prospettiva filosofica, contrariamente a quella del giovane intrisa solo di deliri e di tracotanze parossistiche. L’impeto malefico del giovane romano, infatti, è teso soltanto a scardinare gli ostacoli che si frappongono all’irruenza delle sue perversioni sempre in agguato e ognora cariche di finalità nichilistiche. Perfidie che, in seguito, il tempo e l’esperienza si incaricheranno di stemperare e di incanalare in scelte sorrette da alcuni valori. Ma se questi sono i tratti essenziali di una personalità con turbe patologiche quale quella del primo Corrado, non meno diabolico si presenta il temperamento di Mario, suo genitore. Avvocato di successo, uomo facoltoso e personalità contorta, Mario ritiene, nella sua onnipotenza, che tutto gli sia consentito. In realtà è così, almeno per un lungo periodo, sicché la sua esistenza si divide fra l’attività cospirativa – che egli non lascia trapelare – e una serie di azioni inqualificabili sia verso le donne sia verso l’umanità intera; contrariamente ad Eleonora – sua moglie, da lui abbandonata – la quale ha anch’essa qualcosa da farsi perdonare sul piano morale, ma al confronto del marito resta una persona ancora con dei sani princìpi. Marcello, dal suo canto, pittore e uomo di altra tempra, decide di vivere all’estero, considerata la complicata situazione familiare. Stando così le cose, all’improvviso compare su tale squallido scenario familiare Ellen, una bella ragazza berlinese dotata di una sana educazione e di professione musicista. Essa, all’atto dell’erezione del Muro, ha la sfortuna di restare intrappolata nel territorio della DDR dopo aver subito negli 15


anni giovanili una formazione tipicamente nazionalsocialista. Nei lunghi dialoghi ideati dall’autore essa mette in evidenza questo stato di disagio, e non si lascia sfuggire l’occasione per scagliarsi contro tutti i totalitarismi; amica e innamorata di Maximilian – il quale, ad un certo punto, per salvarsi è costretto ad arruolarsi nei Vopos, la temibile polizia popolare della Germania Est – viene da questi fortunosamente aiutata a scavalcare il Muro, mentre l’amico non ce la fa a compiere il medesimo atto perché colpito a morte dai colleghi orientali. Sempre in una circostanza fortuita Ellen, orfana della madre perché violentata ed uccisa dai soldati russi, conosce a Berlino Ovest Corrado, il quale si guadagna la fiducia della ragazza e la convince a trasferirsi in Italia, nella casa paterna, senza rivelarle la propria attività spionistica. La ragazza, sola e indifesa, diventa anche amica di Eleonora. Corrado, però, da individuo perverso qual è, la violenta, costringendola addirittura ad abortire. Nel frattempo, anche la domestica siciliana è costretta a subire le attenzioni di Corrado; quest’ultima, per l’onta subita, si suicida gettandosi nel Tevere, mentre Tanino, il fidanzato di lei – coinvolto in loschi affari in Germania – la vendica organizzando un attentato contro Corrado, a Roma. Questi, colpito alla testa, lotta tra la vita e la morte, ma alla fine riesce a salvarsi sebbene condannato alla sedia a rotelle. Marcello, intanto, tornato dalla Danimarca e conosciuta Ellen, se ne innamora fino al punto di sposarla. Inizia in tal modo una fase felice della vita di Ellen, la quale, pianista provetta, miete successi nei più prestigiosi teatri musicali d’Italia e d’Europa. Torna più volte nella città di nascita, dove si fa apprezzare per la sua bravura e dove decide di esibirsi in un concerto sotto il Muro anche per onorare la memoria dei genitori. Ma, all’apice del successo – così decide la più volte citata, dall’autore, “eterogenesi dei fini” – Marcello, impresario della moglie, si ammala di un tumore al cervello, dopo alcune avvisaglie in quel momento non valutati suscettibili di sviluppi letali; insomma, un truce destino si abbatte sull’intera famiglia, con Marcello che muore a Berlino lasciando la moglie affranta in un cupo dolore. Mario, frattanto, fa ammenda dei suoi macroscopici errori e, riconciliato con la moglie, assiste 16


impotente alla tragedia dei figli. A questo punto Ellen – ormai sradicata da ogni affetto – decide di tornare a Berlino, abbandonando altresì una brillante carriera da pianista che l’avrebbe lanciata nel firmamento dei grandi musicisti, come l’amato Chopin, e dei più affermati interpreti. Ora la donna, più che cinquantenne e nel momento culminante dell’attività professionale, mostra tutte le offese del tempo - come le rughe sul viso e l’incurvatura della schiena - mentre nel 1989 anche il Muro crolla, restituendo ai Tedeschi l’agognata libertà. Ancora una volta entra in ballo l’ “eterogenesi dei fini”, che, nella fattispecie, risolve il male in bene; nel caso di Ellen è vero che essa si redime, in particolare per il suo indubbio talento musicale - il riscatto riguarda anche Mario ed Eleonora - ma è altrettanto certo che il prezzo di tale redenzione comporta il sacrificio di Corrado e di Marcello, fratelli agli antipodi ma, alla fine, riconciliati. Questi i fatti. L’autore, nel redigere il presente romanzo, lo ha pure corredato di un ampio apparato di dialoghi apprezzabilissimi sul piano della forma e nella sfera contenutistica. Egli ha inoltre dimostrato con questo lavoro di possedere una profonda cultura sia di carattere letterario, sia di natura musicale e sia, infine, di ordine psicologico, dati i vari riferimenti a tale scienza. Ma c’è di più, perché il percorso di “redenzione”, diciamo così, iniziato col libro L’angolo azzurro prosegue col presente romanzo, nel cui seno l’ansia religiosa dell’autore viene fuori non solo rafforzata, ma anche corroborata da una professione di fede frutto di sincera riflessione. Non bisogna, a questo punto, dimenticare che dietro le tragedie dei due fratelli, segnatamente dietro le visioni di Marcello durante l’anestesia si staglia, sotto mentite spoglie, il dramma di Bruno Magliocchetti, reduce, alcuni anni fa, da una delicata e difficile operazione. Il volume, in ultima analisi, è tutto da meditare, non foss’altro per i suggerimenti religiosi in esso contenuti; dopo la morte del figlio Piergiorgio l’autore scopre un’altra dimensione dell’esistenza: precisamente quella che, attraverso la “fede”, rende la vita degna di essere vissuta. 17



LA FUGA VERSO LA LIBERTÀ

Nella primavera del 1965, a Berlino Est, era vivido il ricordo della tragica morte di Peter Fechter, ucciso dai Vopos mentre scavalcava il Muro della vergogna, a pochi metri dalla libertà, e non si era ancora spenta l’eco della storica frase di John Kennedy: “Io sono un berlinese”. Ellen e Maximilian, nascosti in una vecchia bottega di divani al piano terra di un edificio danneggiato dai bombardamenti anglo-americani, progettavano la fuga dal regime comunista. I due giovani erano nati nel 1935, a distanza di pochi giorni l’una dall’altro, nello stesso piano di un dignitoso stabile sito nei pressi della Porta di Brandeburgo. Il padre di Ellen, noto oboista dell’Orchestra sinfonica, ritenuto omosessuale, era in verità un devoto cattolico amante della musica di Bach e di Vivaldi, e finì ingoiato dai forni crematori nel campo di sterminio di Auschwitz. I genitori di Maximilian erano ebrei, e svanirono come nuvole di fumo in quello di Mauthausen. Sicché i due ragazzi vissero come fratello e sorella, circondati dall’amore della madre di Ellen, aspettando con ansia la fine della guerra. Ma la tanto attesa liberazione di Berlino si trasformò in un terrificante incubo per le donne berlinesi. La terribile notizia dello stupro di massa mise in apprensione la madre di Ellen. Perciò, quando dall’appartamento, in parte distrutto dalle bombe, udì le grida concitate dei soldati russi e l’urlo di disperazione delle vicine di casa, chiamò attorno a sé Ellen e Maximilian e, senza far trasparire il terrore che la prevedibile sorte alimentava, con voce amorevole disse: “Tra poco entreranno dei soldati cattivi che, dopo aver preso quello che cercano, andranno via. Voi, però, dovete nascondervi per tutto il tempo nella parte distrutta della casa. Tra le macerie c’è un’apertura, dove 19


possono entrare soltanto i vostri corpicini. Dovete immediatamente nascondervi là dentro. Senza perdere tempo. E cercate di non vedere quello che succede. Non fate alcun rumore. Anzi, trattenete anche il fiato”. Ellen e Maximilian, aiutati dalla donna, varcarono con difficoltà l’angusto ingresso, appena in tempo per sfuggire alla violenza. Tre soldati mongoli presero la povera madre di Ellen per i capelli, la trascinarono verso uno sgangherato tavolino sul quale fu costretta a piegarsi e, mentre due di loro la trattenevano, il terzo le strappò i vestiti e le mutande, violentandola brutalmente. E così a turno, proferendo frasi bestiali per esprimere l’odio profondo per il popolo tedesco. Quando, però, la sventurata donna capì che il più assatanato voleva penetrarla con la baionetta, approfittando di un momento di disattenzione degli aguzzini riuscì a liberarsi dalla morsa, e dalla finestra sventrata si lanciò nel vuoto senza un grido, come un angelo, per non spaventare i suoi ragazzi. Per tutta la durata dello scempio Maximilian aveva tenuto la mano sulla bocca di Ellen, per evitare che un grido potesse richiamare l’attenzione dei mongoli. Non fu necessario, perché il trauma le tolse la parola. E gli occhi sgranati non vollero più vedere quella scena. La ragazza ascoltò, invece, il tonfo sordo del corpo della madre stramazzato sul selciato. I soldati si affacciarono alla finestra, si felicitarono per la prodezza con reciproche pacche sulle spalle e uscirono baldanzosi dall’appartamento in cerca di altre vittime. Per tanto tempo i due ragazzi restarono abbracciati nel nascondiglio. A poco a poco Ellen si riprese e, aiutata da Maximilian, oltrepassò la stretta fenditura. Scesero in strada, dove soltanto una grande chiazza di sangue testimoniava l’orrenda fine della madre di Ellen. Il corpo sfigurato della donna era stato nel frattempo rimosso e portato via. Increduli e tremolanti vagarono per ore, mano nella mano, tra le macerie di una delle più belle città del mondo, nota per la gioia di vivere dei berlinesi. Erano rimasti terribilmente soli al mondo, dove Dio sem20


brava essere scomparso, tanto che anche il pianto diventò per loro superfluo. All’età di dieci anni erano diventati, tutto a un tratto, adulti. Lungo la Friedrichstrasse, trasformata in un mare di rovine, furono presi e accompagnati in un campo di raccolta, dove vennero separati e avviati in due orfanotrofi molto distanti tra loro. Non ebbero nemmeno la possibilità di scambiarsi un ultimo abbraccio. Erano adolescenti, quando le autorità scolastiche avviarono Ellen allo studio della musica e Maximilian alla carriera nella polizia. Lei diventò rapidamente una nota pianista, mentre lui, dopo aver subito una lunga fase d’indottrinamento contro la società capitalista, entrò a far parte del famigerato corpo dei Vopos, nel reparto addetto alla sorveglianza del Muro della vergogna. Per tanti anni si persero di vista, ma non si dimenticarono. Durante una parata per celebrare la nascita della Repubblica Democratica Tedesca, Ellen e Maximilian s’incrociarono e si riconobbero. Poiché marciavano verso opposte direzioni continuarono a guardarsi girandosi all’indietro. E, mentre si allontanavano, stabilirono con un gesto delle mani di incontrarsi nel medesimo posto al termine della sfilata. Dopo l’abbraccio intenso e affettuoso furono sommersi dall’onda dei ricordi. E, per parlare liberamente, si fissarono un appuntamento nella bottega di divani da molto tempo chiusa e abbandonata situata nei pressi del Muro, dove Maximilian aveva organizzato un pied a terre per le sue personali esigenze. In quel luogo gli era permesso di vivere l’unica libertà consentita: quella sessuale. L’incontro avvenne nella Zimmerstrasse, nei pressi della falegnameria, dove Peter Fechter e Helmut Kulbeik si nascosero prima di tentare la fuga verso la libertà; da lì, in pochi passi, raggiunsero il nido di Maximilian. Il giovane, convinto che la Stasi, crudele polizia segreta, avesse installato una serie di microfoni per registrare i colloqui con le donne che, di volta in volta, conduceva nella bottega, invitò Ellen a scrivere eventuali commenti sulla situazione politica. 21


Evitato, quindi, ogni inutile convenevole, appena Maximilian scrisse su un foglio di carta giallastra che era di guardia quando Peter Fechter fu ucciso dai Vopos Ellen descrisse in poche righe il suo stupore, certa che di lui poteva fidarsi. “Non mi dire che sei stato tu a uccidere Peter. Spero proprio di no, perché si infrangerebbe il bel ricordo che ho sempre avuto di te, e sarebbe impossibile incontrarci ancora. Da parecchio tempo inseguo ogni occasione per uscire da questo inferno. Dopo le sofferenze sopportate per le follie naziste credo fermamente che il comunismo sia la continuazione del male assoluto. La musica mi ha fatto scoprire l’inutilità della vita senza la libertà! Mi puoi anche denunciare, se vuoi. Sappi però che ho ormai deciso di fuggire da quest’aberrante condizione esistenziale”. “No - scrisse Maximilian - non sono stato io a uccidere Peter. Sparai una raffica di mitra con la precisa volontà di non colpirlo. L’imprecisione fu ritenuta sospetta, tenuto conto della mia riconosciuta perizia. E non fu un momento di vigliaccheria, ma la maturata convinzione che non si possa eliminare chi corre rischi mortali per amore della libertà”. Gli occhi di Ellen brillarono di soddisfazione. Pensò che il suo sogno potesse finalmente diventare realtà. Continuarono a vedersi nella bottega, per “scrivere” la fuga verso la libertà. Poiché gli incontri seguitavano a svolgersi nel massimo silenzio, tra domande e risposte scritte, Maximilian temette che la polizia segreta potesse in qualche modo insospettirsi. Pertanto invitò Ellen a sdraiarsi sul traballante divano per recitare un appassionato rapporto sessuale. In realtà fece tutto lui, perché il ricordo della brutale violenza subita dalla madre ebbe su di lei un effetto paralizzante. Anzi, quell’imprevista recitazione le apparve disgustosa. Dopo tanti inutili tentativi, Maximilian la informò di voler stabilire da solo tutti gli aspetti del progetto e di volerla mettere a conoscenza di ogni dettaglio soltanto poche ore prima della fuga. Intanto era rinato l’amore della loro fanciullezza, che non fu soltanto platonico come si conveniva ai ragazzi della loro età. Avevano appena compiuto dieci anni quando, in occasione di uno dei frequenti ricoveri nei rifugi antiaerei durante i numerosi bombardamenti che distrussero Berlino, forse per 22


emulare i diffusi e liberi rapporti sessuali degli adulti si erano appartati per fare sesso in un angolo del lungo tunnel. Era stato un rapporto ovviamente superficiale, ma, mentre Ellen aveva provato un indefinibile piacere, Maximilian aveva raggiunto per la prima volta l’orgasmo. In tutte le sue manifestazioni aveva sempre mostrato una certa precocità, ma quella volta le forti sensazioni provate lo costrinsero a sedersi, appoggiato alla parete, stupefatto e stordito. Da allora erano trascorsi circa venti anni, ma Ellen, traumatizzata dalla tragica fine della madre, aveva completamente rimosso nell’inconscio la piacevole esperienza vissuta con Maximilian e ogni pulsione erotica. Per alcuni mesi evitarono di incontrarsi, per consentire all’amico, in tutta segretezza, di pianificare i dettagli della pericolosa avventura. Poiché con il passare dei giorni aumentavano i rischi dell’impresa, il giovane impresse un’accelerazione al programma. Fornì a Ellen un elmetto e una divisa militare, e si procurò del medicinale per anestetizzare i velocissimi e feroci cani addetti alla sorveglianza del Muro. Calcolò perfettamente la distanza dalla bottega alla via di fuga e il tempo per raggiungerla con un’andatura che non destasse alcun sospetto. Determinò con estrema precisione il momento in cui il percorso era illuminato a giorno dai potenti riflettori. Arrivò finalmente il giorno della speranza. Ellen e Maximilian s’incontrarono nella bottega. E, prima di mettere in atto gli ultimi preparativi della temeraria impresa, lui si spogliò e le chiese di fare altrettanto, per fornire agli agenti segreti, sempre pronti a intercettare i loro colloqui, la prova che l’incontro fosse di natura amorosa. L’idea che di lì a poco tempo avrebbe conquistato la sospirata libertà affrancò finalmente Ellen da ogni remora. Si tolse la gonna e attese che Maximilian, prima di iniziare i preliminari, la spogliasse completamente. Nel delirio dei sensi si fece adagiare con delicatezza sul traballante divano, si aprì al suo uomo e in un travolgente orgasmo perse la verginità. Chissà se nell’archivio della Stasi fu conservata anche l’in23


tercettazione di questa bella storia d’amore! Desiderarono ardentemente di continuare all’infinito quel momento d’intensa felicità, ma subito sopravvenne il pensiero di correre verso la libertà. Dopo aver regolato gli orologi Ellen indossò la divisa militare e l’elmetto, e attese che Maximilian le scrivesse tutti i passi da compiere per raggiungere il punto prestabilito. Poi fu proprio Maximilian a uscire per primo, per tranquillizzare i “compagni” e per cloroformizzare i cani. Dopo dieci minuti Ellen uscì dalla bottega e si nascose dietro un pilone costruito di recente per contenere le pareti pericolanti dello stabile. Da quel punto intravide sotto il Muro la sagoma di Maximilian, che era arrivato nel luogo concordato quando era passato il fascio di luce dei riflettori. Lo raggiunse, badando a non fare rumore. Maximilian la baciò con passione, la sollevò sulle sue spalle, la spinse sul muro e si arrampicò, aiutandosi con la corda dotata di un rampino rivestito di gomma che aveva agganciato alla cima del muro. Insieme saltarono entro la “striscia della morte”, ritirando la corda, proprio nel momento in cui riappariva con tutto il suo bagaglio di crudeltà il fascio di luce dei riflettori. Rimaneva soltanto da superare il secondo muro parallelo al primo, seguendo la stessa procedura. Probabilmente indugiarono molto, perché quando Ellen, spinta con forza sotto i piedi, fu letteralmente catapultata al di là del muro, la zona fu improvvisamente illuminata. Maximilian si girò per porgere il petto ai suoi carnefici e, crivellato di colpi dalle mortali raffiche dei fucili mitragliatori dei Vopos, si accasciò lentamente, lasciando una striscia di sangue sul Muro della vergogna. Ellen era caduta in piedi nella terra della libertà e non aveva avvertito alcun dolore per la distorsione riportata alla caviglia sinistra, perché il pensiero che Maximilian avesse offerto la vita per renderla una donna libera la spinse a correre all’impazzata, dando sfogo alla disperazione. A pochi metri Corrado, un giovane universitario italiano impegnato a scrivere dei graffiti sul Muro, sentì le urla dei Vopos e le raffiche di mitra. 24


Nel frattempo vide scendere dall’alto un’ombra che, rischiarata dalla pubblica illuminazione di Berlino Ovest, assunse subito i connotati di una bella ragazza. E fu raggelato dalle struggenti grida. Si riprese subito dallo sconcerto, la rincorse, la afferrò con tutta la forza che aveva nelle braccia e le chiese, in perfetto tedesco, i motivi di tanta disperazione. Ellen si divincolò, liberandosi dalla morsa di Corrado, si slacciò l’elmetto e lo gettò il più lontano possibile. Il copricapo rotolò rumorosamente lungo il selciato e si fermò a ridosso del marciapiedi. Esausta, s’inginocchiò, piegò la testa e iniziò un pianto sommesso, rassegnato. Corrado la aiutò con garbo a mettersi in piedi, e soltanto in quel momento Ellen avvertì un forte dolore alla caviglia che nel frattempo si era vistosamente gonfiata. “Il mio albergo è a pochi passi da qui, signorina. Se vuole, la posso ospitare per questa notte. Potrà così riprendersi da questo momento difficile. Ho capito che è riuscita a fuggire dall’inferno comunista, però non riesco a spiegarmi la sua disperazione, visto che ora è finalmente una donna libera”. Non era facile far comprendere in poche parole il dramma repentinamente vissuto, ma accettò di buon grado l’invito. Si appoggiò al giovane e, zoppicando, si avviò verso l’albergo. Entrata in camera, si tolse con disgusto la giacca della divisa dei Vopos e chiese a Corrado di gettarla nel secchio della immondizia. Entrò in bagno per fare una doccia calda, si sfilò i pantaloni e si accorse che la mutandina era macchiata di sangue. Il ricordo del dolce momento trascorso con Maximilian confuse le lacrime con l’acqua, che scendeva copiosamente. Quindi indossò l’accappatoio, prima di lavare l’indumento intimo. Rinfrancata dalla doccia, iniziò con Corrado una lunga conversazione in italiano, studiato al conservatorio, che proseguì fino alle prime ore del nuovo giorno. Durante la rievocazione della tragica storia di Ellen, prima sotto il nazismo e poi sotto il comunismo, Corrado ritenne 25


valide le motivazioni che lo avevano spinto ad aderire a un’organizzazione anticomunista di estrema destra. “La tua vera vita comincia ora, cara Ellen. Devi dimenticare il tuo passato. Mio padre è un alto funzionario della Nato, perciò non sarà difficile farti avere il passaporto per l’Italia”. “Sono ancora molto frastornata - rispose Ellen - e non riesco ancora a credere a quello che mi è successo: la morte di Maximilian mi crea un immenso dolore. Ma ti sono grata per il tuo aiuto, e mi piace dirti che per me l’Italia è sempre stata una meta agognata. Mio padre era un famoso oboista che amava la musica di Vivaldi e il barocco veneziano. Così al conservatorio ho iniziato a suonare proprio l’oboe, per poi diplomarmi in pianoforte. Accetto con entusiasmo la tua proposta. Del resto non ho più nessuno al mondo”. Dalle finestre socchiuse filtravano i primi bagliori di una nuova alba, proprio mentre Corrado ed Ellen, vinti dalla stanchezza, si erano addormentati sulle poltrone. Nel primo pomeriggio, al risveglio, Ellen si guardò attorno esterrefatta e pensò di essere stata vittima di un brutto sogno. Corrado, che con gli occhi socchiusi stava ripensando all’esperienza vissuta, tutto ad un tratto si rivolse all’amica con un tono confidenziale. “Ellen, ora dobbiamo pensare a vivere intensamente, perciò chiamerò la ragazza della boutique dell’albergo per prendere le tue misure. Desidero vederti vestita in perfetto stile italiano. E poi non credi che sia giunto il momento di mettere qualcosa sotto i denti?”. Detto e fatto. Dopo qualche ora erano già seduti al ristorante, ammirati da tutti per la bellezza e per l’eleganza. Sfigurava soltanto la vistosa cavigliera indossata da Ellen per limitare gli effetti dolorosi della distorsione. Durante la cena Corrado fece di tutto per apparire un simpatico turista italiano in gita a Berlino per vedere da vicino il Muro. In realtà era figlio di un noto avvocato di Roma, ed era stato “inviato” a Berlino Ovest dopo aver partecipato a un importante convegno sulla guerra rivoluzionaria, organizzato da un centro di studi strategici dietro cui si celavano i servizi segreti. Perciò aveva mentito quando si era spacciato per il figlio di un 26


alto funzionario della Nato. In seguito, gli atti del Convegno furono pubblicati con il sottotitolo La Terza Guerra Mondiale è già cominciata, e rappresentarono sostanzialmente il programma della strategia della tensione per una globale battaglia rivoluzionaria. Per ovvi motivi, nel corso della serata Corrado tentò in tutti i modi di evitare che la conversazione scivolasse verso temi politici, ai quali invece Ellen fece riferimento con una certa insistenza: per la prima volta le era offerta la possibilità di intrattenersi liberamente con una persona del mondo capitalista. Per oltre un mese la loro vita si svolse con giovanile spensieratezza, in una città che aveva ormai rimosso le macerie della guerra e le immani tragedie personali per tuffarsi in una smodata voglia di vivere che la stava riportando all’atmosfera degli anni Venti, quando le avanguardie artistiche e la vita notturna l’avevano posta al centro dell’attenzione mondiale. Corrado non badò a spese, perché la sua dotazione finanziaria era rilevante. Pertanto Ellen, che per lungo tempo aveva sopportato le più umilianti privazioni, ebbe l’impressione di vivere un’incantevole fiaba. Avvenne, però, quello che Corrado aveva decisamente escluso: si era innamorato di Ellen. Ma nel cuore della giovane tedesca c’era ancora Maximilian. Una sera, mentre passeggiavano nella Friedrichstrasse, Corrado la strinse a sé e, con tono suadente, disse: “Ellen… mi sono innamorato di te”. Lei lo guardò profondamente negli occhi e, dopo aver compreso che i sentimenti del giovane italiano erano improntati alla massima sincerità, lo baciò sulla fronte e rispose con voce rotta dall’emozione: “Corrado, anch’io ti voglio bene, ma come una sorella. Le tue parole mi creano sentimenti contrastanti. Vorrei donarti tutto di me per esprimerti la mia gratitudine, ma l’affetto che sento per te esclude, almeno per ora, un rapporto che sia diverso da una profonda amicizia. Non deve finire l’incantesimo che mi hai fatto vivere in questi giorni felici, dopo aver subìto per tanti anni il male assoluto della privazione della libertà”. 27


L’apodittica risposta di Ellen costrinse Corrado a un inquietante mutismo, che, per tutta la serata, suscitò nella coscienza della berlinese un profondo senso di colpa. Le sembrò ingeneroso il suo diniego, ma si rasserenò al pensiero che il sentimento provato, sin dal primo momento, fosse stato suscitato da un senso di profonda gratitudine. Si trattava, perciò, di un sentimento essenzialmente spirituale, alieno da qualsiasi pulsione. Tuttavia, con il passare dei giorni Ellen cominciò a fare delle parziali concessioni alle reiterate richieste di Corrado, che si fermarono sempre sulla soglia di un completo rapporto sessuale. La nuova realtà sentimentale apparve di reciproca soddisfazione, perché le rispettive esigenze avevano trovato il giusto equilibrio, ma dopo il male assoluto Ellen scoprì anche gli effetti devastanti del male subdolo, ossia quello dei comportamenti ambigui, ipocriti, falsi, sleali e ingannevoli dei sepolcri imbiancati. Avvenne quando dichiarò a Corrado di essere incinta, confessando di essersi concessa a Maximilian poco prima di intraprendere il rischioso cammino verso la libertà. La rivelazione ebbe un effetto devastante, e su di loro scese un glaciale silenzio. La reazione di Corrado mostrò chiaramente come la forza delle moralistiche convenzioni annulla i sentimenti ipocritamente conclamati. “No, questo no! Mi hai spudoratamente mentito” - le urlò in viso, “Avevo già programmato di presentarti ai miei genitori, che non accetterebbero mai di avere in casa il figlio di un lurido Vopos”. Le crudeli espressioni di Corrado fecero precipitare Ellen nell’abisso della disperazione. In pochi istanti si erano riaffacciati tutti i fantasmi del passato. E perse i sensi. Rinvenne nella camera d’albergo, e le apparve subito Corrado, seduto in poltrona, il viso stretto tra le mani, molto alterato. “Ebbene, Ellen, l’unica via d’uscita è abortire, prima di partire per l’Italia”. Afflitta e sconsolata, pensò che, dopo qualche sprazzo di felicità, la morte continuasse a volteggiarle attorno. 28


Per non rimanere disperatamente sola, e consapevole di dovere pagare un prezzo altissimo alla libertà, Ellen fu costretta ad accettare la proposta di Corrado. L’intervento avvenne nello studio dentistico di un amico, esperto anche in pratiche abortive. Dopo avere assaporato la gioia della libertà, il nichilismo del giovane romano l’aveva costretta a rinunciare al frutto dell’unico atto d’amore vissuto nell’incubo comunista. Da quel momento la sua esistenza mutò radicalmente, perché Corrado, rivelando le sue morbose perversioni, cominciò a pretendere frequenti e brutali prestazioni sessuali. E, senza fornire alcuna spiegazione, usciva frequentemente la sera per rientrare a notte fonda. Una grande angoscia si impossessò di Ellen quando, tra le pagine di un libro di storia contemporanea inavvertitamente lasciato da Corrado sul comodino, lesse per caso una lettera dell’Alfa e scoprì che l’amico era associato a una farneticante organizzazione neonazista con sede a Berlino. Lo sconcertante documento affermava tra l’altro che il Nuovo Ordine “disprezza le masse in funzione di una superiorità spirituale riscontrabile solo in alcuni uomini veri; rifiuta il sistema democratico e il parlamentarismo; rigetta il mondo moderno e il capitalismo; afferma l’uomo differenziato, distaccato e aristocratico; insegue il mito del guerriero; persegue il modello del soldato politico, del legionario; dichiara guerra al sistema in virtù dell’atto eroico…”. E via di questo passo. Ellen giunse, perciò, alla conclusione che Corrado fosse una spia al servizio di una pericolosa organizzazione. Riuscì, però, a dissimulare le apprensioni, perché l’unica aspirazione era giungere a Roma. Ad ogni costo. E ciò poteva essere consentito soltanto dall’amico che, tramite influenti conoscenze, le aveva procurato il passaporto valido per tutti i Paesi.

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FINALMENTE A ROMA

All’alba di uno splendido giorno di settembre Ellen e Corrado uscirono in tutta fretta dall’albergo per raggiungere l’aeroporto, dove li attendeva un aereo privato. Era la prima volta che Ellen provava l’ebbrezza del volo. Sospesa tra le cime delle montagne e il cielo azzurro ebbe la sensazione di volare come un angelo, e, per un tempo incommensurabile, dimenticò le sue tribolazioni. Furono i ghiacciai delle Alpi a darle il benvenuto in Italia. Per tutto il viaggio Corrado fu completamente assorto nella lettura di una serie di documenti, probabilmente ricevuti dall’Alfa. I due giovani non si rivolsero mai la parola. Il piccolo aereo atterrò dolcemente sulla pista dell’aeroporto di Ciampino e, dopo mezz’ora circa, Maximilian e Ellen arrivarono con il taxi nel quartiere Parioli. Ellen fu accolta dalla madre di Corrado con inaspettata cordialità. Rapidamente, si diffuse tra le due donne una corrente di dolce empatia; sembravano fatte l’una per l’altra. “Credo che tu abbia bisogno, prima di ogni cosa, di una doccia ristoratrice. Nel frattempo, darò disposizione di preparare un buon pranzo di benvenuto” - disse la donna sinceramente compiaciuta. “Non so come ringraziarla, signora” - rispose Ellen con un italiano che tradiva la sua origine tedesca. Corrado, al termine di una lunga telefonata, si volse verso la madre. “Vi chiedo di scusarmi. Un appuntamento importante, appena concordato, non mi consente di pranzare con voi. Ti prego perciò di non insistere, mamma. Ci vedremo questa sera. Intanto avrai tutto il tempo per conoscere l’interessante storia di Ellen”. La conversazione telefonica fu palesemente in codice, ma Ellen intuì chi fosse all’altro capo dell’apparecchio: sicuramente un dirigente italiano dell’Alfa. 30


Corrado prese una borsa di pelle rigonfia di documenti e uscì chiudendo delicatamente la porta. Ellen, sollecitata dalla padrona di casa che le fece gentilmente strada, attraversò il lungo corridoio, dove preziosi quadri facevano bella mostra di sé, entrò nell’antibagno affrescato con artistici nudi femminili e, quindi, nell’accogliente bagno. Non aveva mai visto niente di simile. Quando uscì, completamente rinfrancata, apparve come una dea. Bellissima, alta, bruna, con gli occhi profondamente azzurri come l’accappatoio che lasciava intravedere le sue affusolate gambe. La domestica che l’aspettava all’uscita, dopo un attimo di smarrimento, l’accompagnò nella stanza che le aveva accuratamente preparato e, senza toglierle neppure per un momento gli occhi di dosso, uscì notevolmente turbata. Appena fu pronta Ellen chiamò la donna, che l’accompagnò nel sontuoso salotto dove era ad attenderla la madre di Corrado: la signora Eleonora. “Sei splendida. Ora capisco perché Corrado si è perdutamente innamorato di te. Ti prego di accomodarti e di raccontarmi la tua vita. Senza alcuna remora, perché ti assicuro di essere una donna libera, aliena da ogni pregiudizio. Anzi, per metterti a tuo agio ti prego di chiamarmi Eleonora. Da oggi puoi considerarti una componente della famiglia. Mio marito è l’avvocato di importanti società ed è sempre all’estero. Mio figlio Marcello, il primogenito, vive in Danimarca ed è un dirigente di una famosa multinazionale. Perciò la tua presenza è provvidenziale, perché riempie il vuoto di questa casa e attenua la solitudine che mi opprime dentro la gabbia dorata in cui vivo”. Ellen non riferì a Eleonora che il figlio fosse incapace di innamorarsi perché l’ideologia gli aveva obnubilato la mente e i pregiudizi gli avevano precluso l’orizzonte di un’autentica libertà. Tantomeno poteva affermare che Corrado l’avesse condotta in Italia per introdurla nell’organizzazione, perché una giovane donna di Berlino Est, che era riuscita a superare il Muro, conferiva maggiore credibilità alla sua azione politica. Pertanto iniziò una lunga carrellata di ricordi: dall’infanzia 31


trascorsa sotto il nazismo alla morte del padre nel campo di sterminio di Auschwitz; dall’atroce morte della madre alla crudele divisione della sua cara Berlino; dai suoi apprezzati concerti alla fuga verso la libertà. Omise, ovviamente, di riferire la sua storia d’amore con Maximilian e l’aborto imposto da Corrado. Poiché i racconti di Ellen evocavano un’atmosfera struggente, Eleonora le chiese di suonare un brano, a suo piacere. Da diversi mesi non toccava la tastiera, però accettò di buon grado l’invito perché, sin dall’inizio della conversazione, guardava con nostalgia un pianoforte a coda che si trovava proprio dirimpetto a lei, giù in fondo all’ampia sala. Scelse la sonata Appassionata di Beethoven e, nonostante la mancanza di esercizio, la eseguì con un trasporto impressionante che commosse Eleonora, la quale non poteva sapere che durante l’esecuzione Ellen, a occhi chiusi e in uno stato di totale abbandono, aveva rivissuto l’atto d’amore con Maximilian nella bottega a ridosso del Muro. L’applauso di Eleonora fu fragoroso e intenso. Si alzò, le andò incontro per abbracciarla e le chiese quale fosse il suo genio musicale preferito. “Senza ombra di dubbio Chopin…” Fu interrotta dallo squillo del telefono. Era Corrado. “Mamma, questa sera farò tardi. Perciò non mi aspettate per la cena. Mi dispiace molto, ma sono trattenuto da un impegno improrogabile. Salutami Ellen. Un bacio”. Angosciata, pensò bene di aprirsi alla giovane tedesca, manifestando i tormenti che da qualche tempo la attanagliavano. “Dal primo momento che ti ho vista ho avuto la certezza che di te posso fidarmi. Ellen, sono molto preoccupata per la vita che conduce Corrado. Specialmente da quando ho saputo che frequenta amicizie pericolose. L’ho scoperto per caso, leggendo alcune lettere inviate da un’organizzazione neonazista. Credo che pure il viaggio a Berlino nasconda aspetti misteriosi. Da quando lo conosci, hai avuto qualche sospetto?”. L’affetto che era esploso tra di loro non consentì alcun infingimento alla giovane berlinese. Si rifiutava soprattutto la sua onestà intellettuale. “Sì. Ho seri motivi per credere che Corrado sia un membro dell’Alfa, 32


che ha la sede principale a Berlino e sezioni distaccate nelle più importanti città europee. Non conosco, però, gli scopi di questo gruppo di esaltati. Mi dispiace dirti che Corrado non mi ama. È un pervertito. Mi ha condotto in Italia unicamente per i suoi scopi politici. Ero sola al mondo e, a causa di drammatiche circostanze che configurano una fatalistica eterogenesi dei fini, ho dovuto accettare un terribile compromesso per essere aiutata a venire in Italia”. Eleonora, avuta conferma delle sue gravi intuizioni, dette sfogo a un’incontenibile disperazione e, accasciata sulla poltrona, scoppiò a piangere a dirotto. Appena si riprese, consolata da Ellen, si ricompose e iniziò una furibonda invettiva contro il marito, ritenuto responsabile del naufragio di una famiglia che aveva tutti i requisiti per vivere un’esistenza serena. “Non ha fatto altro che inseguire le sue smodate ambizioni, spinto dalla sete di denaro e di potere. Non si è mai occupato dei figli e conduce una doppia vita con una squallida puttana”. Ellen l’abbracciò teneramente, cercando in tutti i modi di confortarla. “Ci sarà pure qualche possibilità di aiutare Corrado a uscire dalla situazione in cui si è cacciato. Non devi arrenderti. Piuttosto pensiamo a quello che dobbiamo fare”. Dopo qualche minuto di silenziosa riflessione, Ellen continuò. “Corrado vorrà, sicuramente, presentarmi ai suoi dirigenti per farmi entrare nel movimento neonazista. È convinto che la mia storia personale darà più forza alla sua azione. Farò tutto il possibile per non essere scoperta fino a quando non l’avremo liberato da questa folle ideologia. Intanto continuerò ad esercitarmi al pianoforte, perché il mio destino è la musica e voglio continuare l’attività concertistica”. “Mi pare una buona idea - disse Eleonora - sei una donna sensata. Ti prego di ritenerti come una figlia per me”. Dopo cena tornarono in salotto, dove Ellen suonò alcuni Notturni di Chopin. La buona musica predispose Eleonora ad andare serenamente a letto. Per la prima volta, dopo tanto tempo, riuscì a fare a meno della compagnia notturna della domestica filippina che l’aiutava a tenere lontano la solitudine e la paura della morte. Fre33


netici rapporti lesbici contribuivano a tenerla in vita. Era notte fonda quando Corrado tornò a casa. Si coricò sul divano e tardò a prendere sonno. Per alcune ore pensò al modo più appropriato per convincere Ellen a entrare nel movimento politico. Decise, perciò, di assumere un comportamento più comprensivo nei suoi confronti e di invitarla a pranzo in un noto locale di Trastevere, per una chiacchierata di chiarimento. Si rasserenò e si addormentò. L’indomani mattina fu svegliato dall’andirivieni della domestica. Eleonora ed Ellen furono più discrete. Dopo la colazione Corrado chiamò in disparte la sua amica e, con un comportamento totalmente diverso rispetto a quello arrogante dei giorni precedenti, mostrò, ancora una volta, il suo lato subdolo. “Ellen, ti prego di perdonarmi per alcune intemperanze. Ero nervoso a causa degli impegni che mi attendevano a Roma. Mi rendo conto di aver espresso i miei aspetti più riprovevoli, ma farò di tutto per essere quello che hai conosciuto in occasione della tua fuga da Berlino Est. Mi piacerebbe invitarti a fare una bella passeggiata al centro di questa meravigliosa città, per poi pranzare in un caratteristico ristorante di Trastevere. Ti prego, non dirmi di no”. Ellen, in considerazione del piano concordato con Eleonora, non aspettava altro. Perciò accettò l’invito con l’abituale e smagliante sorriso che la rendeva deliziosa. “Allora prepariamoci in fretta. Vedrai che Roma t’incanterà e tutte le angustie dei giorni scorsi ti appariranno, come d’incanto, soltanto un nebuloso ricordo”. Dopo il male assoluto stava, giorno dopo giorno, scoprendo il male subdolo, ossia quello esercitato con ipocrisia e con spudorata falsità e slealtà. Ma decise di stare al gioco. Nonostante tutto voleva salvare Corrado dai pericoli determinati dall’attività segreta, e manifestare tangibilmente la sua gratitudine a Eleonora per averla immediatamente accolta in famiglia. La bella presenza e la dolce e travolgente musica della giovane tedesca avevano già colmato il vuoto esistenziale di Ele34


onora, che decise finalmente di affrancarsi dagli insensati amplessi con la filippina. Per troppo tempo si era illusa di riempire le notti insonni e di placare i morsi della depressione accettando supinamente la perversa compagnia notturna della domestica. In più di un’occasione era stata tentata dal suicidio. Un tipico spaccato di una famiglia dell’alta borghesia romana percepita all’esterno con ammirazione, talora con invidia, per l’apparente felicità determinata dal successo, dall’ottima condizione economica e dal potere. Tra le mura domestiche, però, era costantemente inseguita dai fantasmi della solitudine e da un irresistibile desiderio di morte. Una condizione non dissimile da quella della società comunista, laddove però il massificante vuoto esistenziale era coperto da grandiose e osannanti sfilate popolari in marcia verso un futuro di menzogne, per reprimere l’aspirazione del popolo alla libertà. Insomma, due aspetti della stessa realtà effettuale: il materialismo storico marxista e l’economicismo liberista per la realizzazione di un’illusoria felicità in un mondo senza Dio. Scesero dal taxi in Piazza di Spagna. Ellen si guardò attorno e rimase estasiata. Una carrozzella romana li condusse per via Condotti, via del Corso, piazza Venezia, via dei Fori imperiali fino al Colosseo. Il sogno, inseguito per molti anni, era finalmente un’esaltante realtà. Aveva adesso la possibilità di vivere a Roma, e, nonostante tutto, la doveva a Corrado. Ripresero la carrozza per arrivare al ristorante di Trastevere, che all’epoca andava per la maggiore, dove Corrado aveva prenotato due posti in un angolo appartato, molto romantico. “A volte sono brusco, quasi brutale. Quando si verificano alcune circostanze divento irascibile. Ti garantisco, però, che abitualmente sono molto simpatico e di buona compagnia. Perciò ti prego di perdonarmi. Avrai modo di constatare che il nostro rapporto, con il passar del tempo, si consoliderà sempre di più”. Corrado iniziò la conversazione con toni suadenti. Al fine di lasciargli tutto il tempo necessario per organizza35


re nel modo migliore le sue ipocrite affermazioni Ellen, abilmente, lo interruppe: “Non potrò mai dimenticare che grazie al tuo aiuto ho avuto la possibilità di giungere nel mondo libero e nella mia città preferita”. “Ho fatto semplicemente il mio dovere”. “Ti sono infinitamente grata. Sono molto riconoscente anche a tua madre per avermi accolta in famiglia come una figlia e per avermi garantito, in nome della comune passione per la musica classica, di poter continuare in Italia la mia professione”. “Ho una madre deliziosa”. “Non devi deluderla con atti inconsulti. Ti ripeto, perciò, che il nostro rapporto dovrà essere limitato a un’amicizia fraterna, date le circostanze che si sono determinate”. “Non farti alcun problema, Ellen”. “È bene allora stabilire per sempre che non ho nessuna intenzione di essere la tua puttana. Sarei costretta a parlare in ‘famiglia’ delle tue richieste perverse. Quindi asseconderò i tuoi progetti politici, ma i compromessi che ho dovuto accettare nel momento più drammatico della mia vita fanno ormai parte del mio bagaglio di tribolazioni. E sono pertanto irripetibili”. La tedesca fu volutamente molto ferma, perché era ormai convinta che a Corrado interessasse esclusivamente la strumentalizzazione, per fini politici, della sua fuga da Berlino Est. Infatti i drammatici eventi riferiti dal giovane militante nella riunione del gruppo operativo dell’Alfa, alla quale aveva partecipato anche un misterioso personaggio, lo avevano ulteriormente accreditato all’interno del movimento. Ellen aveva capito che l’infatuazione ideologica non consentiva a Corrado di avere duraturi rapporti sentimentali, perché la sua natura di pervertito lo spingeva a soddisfare i suoi irrefrenabili istinti sessuali con occasionali prostitute. Per tutto il seguito della conversazione la giovane berlinese fece continuamente trasparire, senza destare alcun sospetto, la sua condivisione ideologica, al fine di concretizzare il piano concordato con Eleonora. “Vedi, Ellen, nel 1945 a Jalta le potenze vincitrici divisero il mondo in due sfere d’influenza: il mondo libero e quello comunista. Da quel mo36


mento furono stabiliti i presupposti per il terzo conflitto mondiale. Una sorta di guerra fredda a bassa intensità. Nel mondo diviso in due l’Italia è diventata un Paese di frontiera, perché attraversata longitudinalmente dalla linea di confine. Da Berlino a Roma. La presenza di un forte partito comunista filosovietico rende molto vulnerabile il mio Paese, e lo espone a una sorta di guerra civile permanente. Questa consapevolezza mi ha indotto a fare una scelta estrema, tesa alla difesa della civiltà del mondo occidentale. E tu, che sei stata costretta a lasciare la tua patria per un’esigenza di libertà, sei nella migliore condizione per capirmi”. Ellen lo seguiva con attenzione, ma i suoi sentimenti erano contrastanti. Condivideva i principi ispiratori delle scelte politiche di Corrado, però era convinta che la violenza e la spasmodica ricerca di un nemico da annientare fossero la conseguenza delle frustrazioni subìte a causa dei dissennati comportamenti del padre: un genitore che aveva visto poche volte e dal quale solo in rare occasioni aveva avuto una carezza, un tenero gesto. Ma anche, in fondo, il retaggio di un rapporto possessivo con una madre che gli aveva mostrato, in conseguenza della crisi matrimoniale, un egoistico amore, forse per compensare la solitudine e la depressione. Senza dimenticare il mancato rapporto col fratello, Marcello, che dopo la laurea aveva preferito cercarsi un lavoro all’estero, per sfuggire alla deprimente situazione familiare. Corrado, soddisfatto dell’attenzione mostrata da Ellen, entrò nel vivo delle questioni. “Ieri, nella riunione dell’Alfa, ho riferito i dettagli della nostra avventura berlinese, che hanno notevolmente interessato un importante personaggio. Vuole conoscerti, perché ritiene che la tua esperienza possa essere di grande utilità alla causa. Infatti Berlino, dopo il blocco attuato dall’Unione Sovietica nel 1948, è il quadrivio della nostra strategia. Se non hai nulla in contrario, la presentazione potrebbe avvenire la settimana prossima in un luogo segreto”. Per fugare ogni tipo di sospetto, Ellen si fece lungamente sollecitare per aderire alla richiesta. Prima di riprendere il taxi per tornare a casa fecero un’altra passeggiata per le strade del centro tra Piazza Colonna e Piazza Navona. Ellen ebbe così l’opportunità di osservare 37


dall’esterno i sontuosi palazzi del potere. Eleonora aprì la porta e fu piacevolmente impressionata nel vedere il figlio finalmente sereno e gioioso. Cominciò a sperare che l’amica avesse iniziato a liberarlo dalle pericolose compagnie. Dopo cena Corrado uscì per raggiungere gli amici. Ellen si mise al piano e, per diverse ore, fece precipitare Eleonora in una condizione spirituale mai provata. Mentre le dita della giovane tedesca scivolavano sulla tastiera, e tutto intorno si diffondevano armonicamente le note con toni ora travolgenti, ora tenui, ora soffusi, Eleonora pensava a come liberarsi dalla presenza della domestica. Occorreva una giusta causa per licenziarla. Intanto la filippina si era invaghita di Ellen, e non perdeva occasione per osservarla, soprattutto nei momenti più intimi, quando la bella tedesca si chiudeva in bagno: ammirava il suo corpo completamente nudo nel gigantesco specchio impreziosito da una cornice rococò. La domestica la spiava dal buco della serratura e si eccitava. Una mattina Eleonora, che la seguiva per controllare i suoi movimenti, la sorprese e ne parlò ad Ellen. Le consigliò di lasciare la porta socchiusa per provocare un’azione avventata della filippina. Infatti il giorno dopo Ellen ripeté il solito rituale, accentuando alcuni atti volutamente erotici. Dopo qualche minuto di esitazione la domestica, spinta da incontenibili pulsioni, entrò in bagno e supplicò Ellen di lasciarsi baciare. La giovane si ritrasse ed emise un forte urlo. Eleonora, che era nei pressi, giunse proprio nel momento in cui la filippina, in ginocchio, si era aggrappata alle gambe della giovane e le baciava il ventre. Un’occasione ben preparata e ancor meglio riuscita. Una manifestazione, però, del male subdolo. “Ora prepara le tue valigie e vai subito via, senza perdere tempo. Da questo momento sei licenziata… passa dal mio commercialista per le tue competenze… provvederò a informarlo immediatamente” - urlò sdegnata Eleonora. Quindi strinse con forza il polso della fi38


lippina e la trascinò nella sua stanza. Non passò molto tempo. La povera donna, preparate le valigie, uscì, biascicando alcune incomprensibili contumelie nella sua lingua. I giorni successivi passarono serenamente. Corrado dette l’impressione di aver recuperato un certo equilibrio; Eleonora cominciò nuovamente a sorridere alla vita; Ellen passò gran parte del tempo a esercitarsi al pianoforte. Voleva accelerare i tempi per riprendere l’attività concertistica, perché Eleonora aveva deciso di introdurla negli ambienti artistici della Capitale, dove vantava importanti conoscenze. Per andare all’incontro, stabilito la settimana precedente dal nucleo operativo dell’Alfa, i due giovani uscirono con la BMW di Corrado, il quale aveva informato la madre che avrebbero trascorso la serata in un notissimo locale notturno: il Club 84. Invece dai Parioli imboccarono via Salaria e, passando per via Veneto, Piazza Barberini, via del Tritone e via del Corso, arrivarono in via del Governo Vecchio. Nonostante l’oscurità Ellen riconobbe i palazzi del potere, osservati durante la passeggiata nel cuore di Roma, ed ebbe l’impressione che fosse vicina al luogo dell’incontro. Infatti alcuni minuti dopo Corrado parcheggiò la macchina e, prima di scendere, la invitò a indossare degli occhiali con lenti oscurate. In questo modo, tenuta sottobraccio dal suo amico, non fu in grado di vedere il percorso e lo stabile in cui entrarono. Fecero due rampe di scale e si fermarono sul pianerottolo. Una voce maschile ben impostata la esortò a togliersi gli occhiali e li invitò a entrare. Ellen ammirò subito l’eleganza dell’appartamento e la signorilità delle cinque persone presenti, che si alzarono rispettosamente in piedi. L’accattivante voce di un uomo, alto, distinto, con i capelli brizzolati, dall’apparente età di sessant’anni e con una leggera inflessione tedesca, la invitò cortesemente a sedersi in una comoda poltrona. “Mi è gradito darti il benvenuto e presentarti ai miei più diretti colla39


boratori. La tua storia personale e le garanzie offerte da Corrado, ma soprattutto le informazioni ricevute da Berlino, ci consentono di evitare ogni inutile preambolo per accoglierti subito nella nostra organizzazione. Le persone che si trovano attorno a me costituiscono il nucleo principale del gruppo operativo di Roma. Il mio nome in codice è Socrate e sono un tuo connazionale originario di Bonn, la città di Beethoven. Conosco ormai tutti i particolari della tua vita. So pure che, nonostante l’indottrinamento comunista, hai conservato intatto l’odio contro i russi per la violenza patita da tua madre, quando i mongoli sovietici entrarono nella nostra Berlino trasformata in un deserto di macerie. Questa terribile esperienza, unitamente alla tragedia vissuta sul Muro della vergogna, ti conferisce una forte credibilità. Noi non ci incontreremo più, ma manterremo i contatti tramite Corrado, con il quale curerai i rapporti con i nostri camerati tedeschi”. Non aggiunse altro, e attese la risposta di Ellen che non si fece attendere. La giovane tedesca aveva puntualmente previsto le modalità dell’incontro. “Sono molto onorata di essere stata chiamata a far parte dell’Alfa, che persegue la nobile missione di combattere il comunismo: un’ideologia aberrante e liberticida. L’onestà intellettuale mi spinge, però, a dichiarare che a Berlino mi sono sempre occupata dell’attività concertistica, perché il ricordo della tragica storia della mia famiglia mi ha tenuto lontano dall’impegno politico”. Fu subito interrotta da Socrate: “È proprio questa la massima garanzia, giacché allontana da te i sospetti che derivano dalla temeraria fuga da Berlino Est, per giunta aiutata da un Vopos. Gli ulteriori dettagli li apprenderai nelle riunioni del nucleo operativo”. Si alzò e congedò la giovane coppia. Prima di uscire fu di nuovo invitata a indossare gli occhiali oscurati. Durante il ritorno a casa Corrado si congratulò con l’amica per l’ottima impressione suscitata, mentre Ellen, in silenzio, avvertì la soddisfazione di avere raggiunto l’obiettivo concordato con Eleonora di controllare da vicino la pericolosa attività politica di Corrado. La giovane tedesca, dal canto suo, era consapevole di cor40


rere gravi rischi, ma era l’unica possibilità per manifestare la sua gratitudine. A tarda notte arrivarono a casa. Eleonora era già andata a letto, ma vegliava. Sentì che si auguravano la buona notte e continuò a pensare al futuro del figlio. Il giorno dopo, mentre gustavano con Corrado le succulente pietanze preparate dalla nuova domestica siciliana di nome Annuccia, dopo alcuni accenni alle piacevoli ore notturne trascorse dai due giovani Eleonora ritenne, come se con Ellen ci fosse stata una tacita intesa, di non trattare argomenti che potessero in qualche modo insospettire Corrado. Spirava su di loro il male subdolo dell’ipocrisia che aveva diffuso un’atmosfera di apparente serenità, e che aveva indotto Corrado a restare in casa per tutto il pomeriggio. Per alcune ore continuarono la conversazione in salotto, dove Eleonora introdusse abilmente la richiesta di notizie sulla famiglia di Ellen. “Figlia unica, ho avuto dei genitori magnifici. Mia madre era luterana, mentre mio padre era cattolico praticante. Si erano conosciuti al conservatorio, ma dopo il matrimonio soltanto mio padre continuò l’attività artistica. Riteneva, capovolgendo l’estetica settecentesca, che la musica ‘assoluta’, ossia quella strumentale, fosse superiore alla musica ‘a programma’, perché proprio in virtù di questa sua ‘purezza’ la musica può esprimere la sua ‘vera essenza’. Questa propensione ha in seguito condizionato le mie scelte musicali”. Eleonora, che proveniva da un’antica famiglia toscana di ricchi possidenti e che era stata avviata sin da bambina allo studio della musica e del pianoforte presso un’insegnante privata, dichiarò una diversa convinzione. “Ellen, ti prego di scusarmi se tratto l’argomento con limitata competenza. La mia sensibilità richiede di conoscere a priori l’oggetto, i concetti, le immagini e lo scopo per comprendere lo spirito del compositore. Questi requisiti mancano alla musica strumentale. Ecco perché preferisco la musica a programma”. “Consentimi, Eleonora, di essere d’accordo con Schumann che non amava la sfacciataggine della musica francese, tesa a spiattellare tutti i propri sentimenti, tutte le proprie vicende private, come se la musica non fosse capace di esprimere e, al limite, di raccontare in forma metaforica la 41


vita vissuta del compositore”. “Beethoven, però, che è stato uno dei precursori della musica ‘assoluta’, nel quarto movimento della Nona sinfonia ha introdotto la poesia di Schiller, quasi a dimostrare quanto sia necessario superare la musica strumentale. Come puoi notare, Ellen, sono in buona compagnia. Ho sempre sentito forte l’esigenza di unire musica e letteratura, musica e poesia, e di far penetrare la vita nell’arte per sublimarla”. “Ma - interloquì Ellen - Nietzsche ritenne l’opera un ibrido, lontano dall’ideale romantico della ‘musica assoluta’ espresso dalla ‘pura’ musica strumentale. Per lui l’opera si salva solamente quando la musica annulla il libretto e si libra al di sopra, sprigionando tutta la sua forza dionisiaca”. Eleonora insistette sul fatto che Beethoven avesse voluto associare la musica alla poesia di Schiller, L’inno alla gioia, come primo passo verso una grandezza ineguagliabile e come preludio all’opera lirica, intesa come completezza espressiva. Con questo riferimento volle affermare il primato del genio musicale italiano su quello tedesco, citando Verdi, Puccini, Rossini, Bellini, Mascagni, Donizetti. “Nietzsche - obiettò Ellen - dette però un’altra interpretazione dell’ultimo movimento della Nona sinfonia, che alimentò vivaci polemiche tra i romantici, affermando che Schiller aveva cercato di trasporre in immagini il suo slancio dionisiaco in armonia con la tradizione germanica, ma come uomo moderno era riuscito solamente a ‘balbettare maldestramente’. Non è dunque il testo ad agire sulla musica - concluse con viva convinzione - ma è piuttosto la musica ad esprimere ciò che il testo non è in grado di rivelare”. Corrado, ammiccando a Ellen, mostrò la sua soddisfazione per la citazione del filosofo preferito, che con la teoria del Superuomo l’aveva profondamente condizionato, non sapendo, però, che Nietzsche aveva contestato le affermazioni di Wagner, uno dei massimi esponenti della musica a programma, ma anche chi aveva contribuito notevolmente alla nascita del nazismo. Infatti era stato Hitler ad affermare che chiunque voglia comprendere la Germania nazionalsocialista deve conoscere Wagner. “Ellen, credo che sia giunto il momento di farci ascoltare qualcosa di 42


bello. Avremo modo e tempo per riprendere questa discussione”. Con queste parole Eleonora pose fine alla conversazione che rischiava di diventare stucchevole e pericolosa, perché poteva alimentare in Corrado qualche sospetto sulle loro intese. Ellen si sedette al piano e suonò con trasporto Per Elisa di Beethoven. Volle così dare una dimostrazione di come la musica assoluta potesse determinare forti emozioni a prescindere da qualsiasi contaminazione poetica. Infatti la sublime esecuzione suscitò una commistione di antitetici sentimenti, rendendo apparente la serenità di un ambiente familiare da qualche tempo disintegrato. Amore, risentimento, gratitudine, passioni represse, pulsioni rimosse, esaltazioni ideologiche informarono le loro rispettive meditazioni. Su madre e figlio aleggiò il male subdolo dell’ipocrisia e della slealtà, contrappuntato dall’armonica presenza di Ellen. Eleonora ripercorse, fotogramma per fotogramma, i primi anni felici del matrimonio e quelli successivi del suo fallimento, la serenità familiare dissolta a causa degli insani comportamenti del marito, la crisi esistenziale di Corrado, la lontananza di Marcello, la noia, la solitudine, la precoce frigidità e le assurde e insoddisfacenti notti saffiche trascorse con la domestica filippina. Nello stesso momento Corrado, abbandonato sulla poltrona con gli occhi chiusi, inseguiva i folli fantasmi della rigenerazione dell’umanità perseguita con l’ossessiva ricerca del nemico da combattere fino all’annientamento. La giovane pianista, in estasi, ricordava il travolgente momento di passione d’amore con Maximilian. Stessa musica assoluta, senza recitativo, ma contestuali e diversi programmi di vita vissuta! Al termine dell’esecuzione Ellen alzò delicatamente le sue affusolate mani dalla tastiera, ma non riuscì a celare un sensuale abbandono e una forte emozione, che contrastava con la malinconia di Eleonora e col cinismo di Corrado. Il male subdolo continuava ad aleggiare su madre e figlio, perché l’ipocrisia e la slealtà avevano avuto, ancora una volta, il sopravvento sulla sincerità. 43


L’ARRUOLAMENTO DI ELLEN

La notte fu lunga. Per diverse ore Ellen aveva fissato con gli occhi chiusi un punto immaginario della stanza buia. L’impressione ricevuta dalla forte personalità di Socrate persisteva ossessivamente. Pensava di avere sottovalutato l’importanza dell’Alfa, perché, sin dal primo momento, aveva avuto la sensazione che si trattasse di un gruppo di esaltati. Dovette, però, ricredersi, perché la realtà era ben diversa. Allora si rese conto di essere entrata in un’organizzazione le cui imprevedibili azioni l’avrebbero esposta al rischio di gravi pericoli. Per un attimo fu assalita da un’irrefrenabile paura, perché ormai non poteva più tornare indietro. Perciò era quanto mai indispensabile agire con intelligenza e con prudenza. Non le sarebbe stato difficile, perché tutta la sua esistenza sotto il regime comunista le aveva richiesto l’esercizio di queste doti. Sapeva che il male assoluto non le avrebbe consentito il benché minimo errore. Maturò anche la convinzione che gli effetti devastanti del male subdolo fossero di maggiore intensità rispetto a quelli del male assoluto, perché mentre quest’ultimo eleva evidenti muri divisori che mettono, però, in chiara evidenza la malvagità degli uomini, il male subdolo è invisibile. Si cela dietro l’ipocrisia, l’inganno e il tradimento. Alcuni anni prima, quando le autorità della Repubblica Democratica Tedesca e l’Unione Sovietica decisero di costruire il Muro della vergogna, la demarcazione fu netta. Il romanziere e storico russo Viktor Suvorov scrisse nel suo libro L’ombra della vittoria: “L’obiettivo del Muro: evitare che il popolo della Germania socialista potesse scappare nel mondo normale. Il muro fu costantemente perfezionato e rinforzato, trasformato da un normale muro in un sistema 44


insormontabile di ostacoli, trappole, segnali elaborati, bunker, torri di guardia, tetraedri anticarro e armi a sparo automatico che uccidevano i fuggitivi senza bisogno d’intervento da parte delle guardie di confine. Ma più lavoro, ingegnosità, denaro e acciaio i comunisti mettevano per migliorare il muro, più chiaro diventava un concetto: gli esseri umani possono essere mantenuti in una società comunista solo con costruzioni impenetrabili, filo spinato, cani e sparandogli alle spalle. Il muro significava che il sistema che i comunisti avevano costruito non attraeva ma repelleva”. Nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961 il regime comunista della Germania Est iniziò la costruzione del muro attorno ai tre settori occidentali, per fermare la fuga dalla dittatura. Dapprima fu innalzato uno sbarramento di filo spinato, ma già il 15 agosto cominciarono a essere utilizzati gli elementi prefabbricati di cemento per costruire la prima generazione del Muro che divideva la città. E quando l’ignobile infrastruttura circondò completamente Berlino Ovest, il settore occidentale fu trasformato in un’isola rinchiusa entro i territori della Germania comunista. In effetti, il Muro di Berlino fu una barriera in cemento alta oltre due metri e lunga 155 km, che separò Berlino Ovest da Berlino Est e dal resto della Repubblica Democratica Tedesca. Nel giugno 1962 fu costruito un secondo muro, parallelo al primo, per rendere più difficile la fuga verso la Germania Ovest. Fu così creata la cosiddetta “striscia della morte”, entro cui fu colpito a morte Maximilian. Ellen aveva sperimentato il male assoluto: il nazismo e il comunismo. Ma quello subdolo, che stava provando nella sua nuova situazione, era sottile, fine, insinuante, sfuggente. Tuttavia volle dare un senso al suo coinvolgimento nella lotta contro il comunismo, e si preparò psicologicamente in vista del nuovo incontro. Fu avvertita da Corrado all’ultimo momento. Nel primo pomeriggio, in sella a una potente moto, partirono per raggiungere una località di campagna. Puntualissimi, entrarono in una villetta isolata, dove la giovane tedesca riconobbe alcune persone presenti all’incontro con Socrate. 45


L’ambiente e l’atmosfera erano inquietanti. Croci celtiche, svastiche, immagini che esaltavano il nazismo tappezzavano tutte le pareti di un camerone affollato da giovani il cui abbigliamento era quello tipico degli ultras di destra. Tutti i presenti conoscevano la storia di Ellen. Perciò l’accoglienza fu entusiastica. Un personaggio, di cui non fu rivelata l’identità, evitando inutili preamboli iniziò la relazione politica. “La nostra organizzazione prevede un ‘terzo livello’, ossia la costituzione di nuclei scelti di pochissime persone. Esse sono anonime e non si conoscono tra di loro. I nuclei sono formati da soggetti periodicamente addestrati all’uso delle armi e degli esplosivi. Il nucleo deve essere preparato a collaborare con le forze armate regolari in caso di emergenza”. Aggiunse che per difendere i valori morali dell’Occidente era necessaria una contro-mobilitazione globale suscitata dall’azione dei nuclei composti anche da asceti e missionari. I nuclei combattenti, punta di diamante di una vasta offensiva controrivoluzionaria e strettamente collegati alle forze armate, dovevano agire in assoluta segretezza. Perciò soltanto il responsabile del nucleo conosceva i suoi membri. “Fa eccezione la funzione di Corrado, perché ha il compito di mantenere i collegamenti con i camerati di Berlino. Perciò opererà in piena autonomia, avvalendosi con prudenza della collaborazione della sua amica tedesca” - concluse ritenendo terminata la riunione. A Corrado non interessava affatto la difesa della libertà dell’Occidente dal pericolo comunista. Dietro la falsa adesione ai generici principi della destra eversiva nascondeva la perversa personalità maturata nell’ambiente familiare. Nel 1945 il padre, Mario Vici, che tutti chiamavano Avvocato, subito dopo la caduta del fascismo entrò a fare parte di una rete clandestina di neofascisti al servizio dell’OSS, progenitore dell’attuale CIA, per organizzare un’efficiente forza operativa nazionale e anticomunista. Coadiuvato da importanti amicizie evitò gravi conseguenze nel periodo sanguinoso della guerra civile. Le nequizie del conflitto gli avevano accentuato l’egocentrismo e l’arroganza. Ritornato in famiglia, riprese l’attività 46


forense che in poco tempo gli consentì di assurgere a ruoli di primaria importanza. In seguito, la relazione sentimentale con l’avvenente segretaria lo portò a distaccarsi gradualmente dalla moglie, sicché tutti i doveri familiari ricaddero sulle spalle di Eleonora. La povera donna, sottoposta dal marito a pesanti umiliazioni, si sobbarcò l’educazione dei figli. Marcello, più forte di carattere, mantenne costantemente un sostanziale equilibrio. Corrado, invece, crebbe con il complesso materno che sviluppò la latente misoginia. A causa dell’errata interpretazione del Superomismo nietzschiano Corrado accettò supinamente l’ideologia nazista. Perciò l’odio per le minoranze e per i deboli gli scatenò, fin dall’adolescenza, forti impulsi sessuali verso le donne che mostravano una condizione di palese inferiorità. Ostentava, infatti, una patologica virilità soltanto nei momenti in cui trasferiva le sue frustrazioni sulle donne, deboli e indifese, che avevano la sventura di imbastire con lui insani rapporti. Anche Ellen, nel momento più difficile della sua esistenza, dopo la coraggiosa fuga, rimasta sola al mondo, fu costretta da Corrado a subire pesanti violenze. Al termine della riunione i due giovani trascorsero la notte in una camera sotterranea della villetta, e l’indomani mattina ripartirono per Roma. Il gioco delle parti continuò durante il pranzo, allorché riferirono a Eleonora i piacevoli dettagli della gita ai Castelli romani. Il male subdolo s’insinuò tra di loro, e l’atmosfera familiare, ammantata di falsità, apparve amena, quasi felice. Nel pomeriggio Ellen ed Eleonora decisero di andare in via Frattina per lo shopping. Avvertirono Corrado che non sarebbero rientrate per la cena. All’Auditorium era in programma un concerto per pianoforte e orchestra. Corrado rimase in casa con Annuccia, la domestica siciliana, che sin dal primo momento aveva intuito la sua libidinosa voluttà. Infatti il giovane era irresistibilmente stimolato dal comportamento dimesso e impaurito della povera ragazza, fidanzata 47


con un conterraneo emigrato ad Amburgo. Invece non aveva mai sentito alcuna attrazione per la domestica filippina. E non solo perché la riteneva una donna di forte carattere, ma anche perché aveva scoperto che era l’amante della madre. E ciò gli suscitava un senso di autoevirazione. Raggiunse Annuccia in cucina, la prese con violenza e la condusse nella camera dei genitori. La ragazza non fu per niente sorpresa: aveva previsto che ciò sarebbe prima o dopo accaduto. Quindi, dopo averlo lungamente scongiurato con tono lamentoso, non oppose alcuna resistenza, nel timore di perdere il lavoro. Ma era troppo inesperta per comprendere ciò che le sarebbe accaduto. Corrado la spinse con forza sul letto, la legò alle sponde, la imbavagliò e le strappò la gonna e la mutandina. Quindi, inopinatamente, si arrestò e cominciò a baciare teneramente il corpo della sciagurata, che non ebbe più la forza di opporsi e si lasciò andare. Dopo le effusioni iniziali Annuccia dovette subire dolorose sevizie, ma le sue grida di disperazione furono smorzate dal bavaglio che le chiudeva la bocca carnosa. Senonché, la suggestione di essere nel letto dei genitori, dove con tutta probabilità lo avevano concepito, e le ricorrenti immagini di loro che si sovrapponevano a quella di Annuccia in un gioco di perverse dissolvenze, gli inibirono l’erezione. Siccome fu privato della possibilità di stuprarla, sfogò la sua rabbia schiaffeggiandola violentemente. Dopo l’aggressione, con imprevedibile gentilezza la liberò dalle corde e dal bavaglio, le medicò alcune ferite superficiali e la aiutò a ricomporsi, come se tutto si fosse svolto nel più naturale dei modi. Il male subdolo continuava ad aleggiare nella casa delle perdizioni. “Tieni presente che da questo momento sei la mia schiava, pertanto devi essere sempre pronta a soddisfare tutte le mie voglie. Se vuoi conservare il posto non devi parlarne con nessuno. E, se sarai brava, di tanto in tanto vedrò di soddisfare le tue esigenze economiche” - disse con toni accattivanti. La domestica, ammutolita e attonita, non piangeva più. Con 48


gli occhi spalancati fissava il soffitto, e pensava a Tanino. Corrado osservò lungamente lo stato di prostrazione di Annuccia, e si convinse che era completamente sottoposta al suo insano potere. Eleonora ed Ellen tornarono prima della mezzanotte. Il concerto le aveva galvanizzate; il chiassoso rientro annunciò una felicità mai vissuta in precedenza. Era veramente iniziata una nuova vita. Purtroppo anche per Annuccia, che aprì la porta. Il contrasto fu evidente, perché dal volto della giovane siciliana era scomparso il luminoso sorriso. “Che brutto aspetto hai, Annuccia. Cos’è successo? Hai ricevuto cattive notizie dal tuo fidanzato?” - le chiese Eleonora. “No, signora, per una forte emicrania non sono in grado nemmeno di parlare. Se non ha nulla in contrario, desidererei andare a letto. Vedrà che domattina sarà tutto passato”. “Certamente. Ti consiglio però di prendere un calmante. Ti procuro subito la pillola che uso abitualmente. Ha effetti immediati” - disse Eleonora allontanandosi. Ellen osservò attentamente le dolenti espressioni di Annuccia e capì cosa in realtà fosse accaduto. Conosceva bene le perverse inclinazioni del suo amico. In salotto trovarono Corrado immerso nella lettura. Cosa insolita a quell’ora. In effetti, si trattava di una meschina finzione. Lo stupore si accentuò quando Eleonora si accorse che suo figlio aveva riacquistato equilibrio e serenità. Ebbe la conferma che finalmente si era ricostituito, almeno in parte, il nucleo familiare, nonostante la lontananza di Marcello e l’abbandono del marito. E il merito lo attribuì senza ombra di dubbio alla presenza della giovane tedesca. Ellen intuì i pensieri della sua amica e considerò come il male subdolo riesca a volte a determinare una falsa serenità. Per alimentare l’atmosfera apparentemente serena si mise al pianoforte e riempì la casa di vera armonia. Eleonora si lasciò prendere dalla malinconia e dalla tristezza. Tuttavia, il risentimento sconfinato nell’odio più cupo nutrito per molti anni nei confronti del marito si era trasformato giorno dopo giorno, inconsapevolmente, nella più totale indifferenza. 49


L’assenza di Marcello, invece, lacerava la sua anima e non le dava pace. Il figlio prediletto, quello che più le assomigliava, era stato costretto ad allontanarsi da casa a causa dell’incompatibilità di carattere con il padre e con Corrado, che sfociava continuamente in esasperanti conflitti. Pensava con nostalgia a suo figlio e alla felicità che gli avrebbe donato la nuova atmosfera familiare, in quanto, a suo giudizio, non sussistevano più le motivazioni che portavano i fratelli a furibondi scontri. Ricordò, in particolare, la vigilia di Natale dell’anno precedente, quando Marcello supplicò i genitori di trascorrere, dopo tanto tempo, una serata insieme. La particolare circostanza presentava tutte le caratteristiche del grande avvenimento, ma sulla famiglia incombeva un tragico destino. Durante la cena Corrado non si fece sfuggire occasione per innescare l’ennesimo scontro con il fratello. “Non voglio sempre sembrare il bastian contrario, ma non potevate scegliere un altro momento per riunire la famiglia?”. “Secondo me, invece, questa è la più significativa circostanza per stare insieme. La nascita di Gesù Cristo rappresenta simbolicamente, anche per i non credenti, l’unità familiare” - interloquì Marcello. “Me lo aspettavo. La tua è una bassa provocazione. Conosci molto bene il mio pensiero. Cristo è l’icona del masochismo. È il rovesciamento della piramide sociale che predilige i deboli contro i forti, la plebe contro l’aristocrazia, i peggiori contro i migliori. Il cristianesimo mina alla base la nostra civiltà e la conduce verso un inevitabile declino”. Mentre il padre seguiva Corrado con malcelata ammirazione, senza però intervenire, Eleonora e Marcello trasalirono. Corrado, visibilmente fuori di sé, continuò ininterrottamente il suo monologo, sciorinando una serie di frasi fatte costruite alla rinfusa nella più completa confusione mentale. L’Avvocato conosceva l’impegno politico del figlio, il quale, invece, non sapeva che il padre fosse uno dei capi dell’Alfa. Eleonora era consapevole dell’attività di Corrado, ma non conosceva il ruolo politico del marito, convinta che i suoi frequenti viaggi all’estero fossero connessi all’attività legale. Marcello aveva inizialmente condiviso l’ideologia del fratello, ma se ne era successivamente allontanato appena aveva 50


capito che l’Alfa era in realtà la copertura di un’associazione segreta con fini eversivi. “Hai condiviso per molto tempo i nostri principi e poi ci hai tradito, perché sei un pusillanime” - disse con disprezzo Corrado. “Sai bene come stanno le cose. Mi sono semplicemente tirato indietro quando ho capito che eravamo diventati delle marionette nelle mani di personaggi che utilizzano l’entusiasmo dei giovani per perseguire i loro torbidi propositi” - rispose prontamente Marcello. L’Avvocato, che fino a quel momento non aveva mai preso posizione, si sentì chiamato in causa, perciò si rivolse verso Marcello con toni alterati, cercando però di non farsi scoprire. “Corrado ha ragioni da vendere. Il mondo libero attraversa un grave momento a causa della minaccia comunista. Un giovane che si disimpegna nella sacrosanta lotta contro l’imperialismo sovietico non è altro che un codardo. D’altra parte credo di conoscerti bene. Sin da ragazzo hai sempre evitato di assumere una netta posizione di fronte ai problemi che di volta in volta ti si ponevano”. “Hai sempre provato una profonda antipatia per me - lo interruppe Marcello - e hai contrastato tutte le mie scelte. Eppure ho sempre risposto con diligenza e senso di responsabilità a tutte le tue aspettative. Non voglio fare paragoni, però, a differenza di altri giovani, sono riuscito a laurearmi e sono in attesa di essere assunto da un’importante industria multinazionale”. “Credi per davvero che la vita debba essere vissuta esclusivamente per inseguire gli scopi personali, e non soprattutto per difendere la Patria ad ogni costo?” - osservò il padre con tono perentorio. “Sono fuori discussione l’amore per la Patria e la sua difesa da ogni minaccia. Oggi la nostra civiltà è messa in pericolo non solo dal materialismo comunista, ma anche dal liberismo economico che è il rovescio della stessa medaglia. Credo fermamente nell’Europa delle cattedrali cristiane e non in quella del mercatismo senz’anima che svuota il mondo occidentale di tutti i suoi valori” - rispose con convinzione Marcello. “Ecco, vedi, questa è la prova della tua inettitudine. Continui a inseguire il fumo e non ti accorgi che il vero pericolo è costituito esclusivamente dal comunismo” - lo interruppe bruscamente il padre. “Non discuto il pericolo comunista. Dico soltanto che occorre combatterlo con la nostra cultura cristiana, ricorrendo all’azione militare 51


soltanto come ultima opzione. Ciò che non condivido è l’eversione dietro la quale si nascondono incontrollabili interessi internazionali e l’abietta strumentalizzazione dei giovani, ai quali si propinano false ideologie per ammantare di gloria i loro atti violenti. Troppi ‘grandi vecchi’ e ‘cattivi maestri’ si aggirano tra loro, spingendoli verso azioni terroristiche. E ciò è inquietante!” - sostenne Marcello con determinazione. E aggiunse: “Quando mio fratello comprenderà questo maledetto imbroglio seguirà il mio esempio e si allontanerà da certi soggetti che fungono da anello di congiunzione tra massoneria e servizi segreti deviati, legati a potenti centri di potere economico e finanziario: gente che persegue finalità in netto contrasto con le ideali aspirazioni delle nuove generazioni”. “Queste tue insulse affermazioni sono l’ennesima dimostrazione della tua mediocrità. Sei un imbecille. Poi ti lamenti se preferisco tuo fratello. Tra di voi c’è un’enorme distanza. Non resterò ancora un secondo ad ascoltare le tue stupidaggini” - Si alzò, si fece portare il cappotto e il cappello dalla domestica filippina e uscì sbattendo violentemente la porta. Marcello, inconsapevolmente, aveva tratteggiato proprio le funzioni che il padre svolgeva, dal dopoguerra, per conto dell’Alfa, perciò non si rese conto dei motivi che lo avevano spinto a reagire con inaudita violenza. Pensò, invece, che la collera del genitore fosse l’evidente manifestazione dell’antipatia che lo portava comunque a condividere il pensiero del fratello. Tra l’altro, come poteva sapere che Mario, spinto dal desiderio di trascorrere il resto della serata con la giovane amante, avesse pretestuosamente alimentato la diatriba per andare via? Fu, invece, ossessionato dal pensiero che il suo comportamento avesse privato la famiglia della felice occasione di ritrovarsi unita. E provò un indicibile complesso di colpa. Ne approfittò Corrado per aggredirlo. “Pezzo di stronzo, hai visto che cazzo hai combinato? Per tanti anni abbiamo aspettato questo momento per stare finalmente insieme e tu hai avuto la sfrontatezza di rovinare tutto. Sono questi i tuoi sentimenti cristiani?”. “Sei stato proprio tu, con assurde provocazioni, a fare degenerare la discussione. La verità è che tu e papà siete fatti della stessa pasta. Se mam52


ma ha avuto la forza di sopportare la vostra violenza io non ho nessuna intenzione di rimanere ulteriormente tra di voi. Dopodomani partirò per la Danimarca. Ho ricevuto l’altro ieri la lettera di assunzione da un’importante società. Buon Natale e buon anno a tutti” - Marcello si alzò, baciò la madre e, senza degnare il fratello di uno sguardo, uscì dall’ampio salone per raggiungere la sua stanza. Eleonora, che per tutta la durata della discussione, intimorita dalla prepotenza del marito, era rimasta in silenzio, seguì il figlio e lo abbracciò teneramente. “No, caro Marcello, non fare così. Sei stato sempre la mia consolazione. Se non avessi avuto la tua condivisione e la tua dolcezza avrei fatto una pazzia”. “Non tollero più le aggressioni di questi due esaltati. Ho ormai preso da qualche tempo le mie decisioni, cara mamma. I rapporti con Corrado e con papà si sono talmente deteriorati che non è più possibile alcuna convivenza. Mi dispiace dirti che, se a mio fratello dovesse accadere qualcosa di grave, sarà la logica conseguenza dell’esempio ricevuto da papà” - disse Marcello senza lasciare spazio a qualsiasi insistenza. Eleonora pianse a dirotto e cadde nello sconforto più cupo, pensando al dissolvimento della famiglia e alle attenzioni saffiche della domestica filippina, alla quale soggiaceva per colmare il vuoto della sua solitudine. Con la partenza di Marcello la desolazione si accentuò. Dopo pochi mesi, però, quando la situazione diventò intollerabile, tanto da fare intravedere un tragico epilogo, il provvidenziale arrivo di Ellen aprì il cuore di Eleonora alla speranza. Presa dal ricordo della triste serata natalizia non si accorse che, per tutto il tempo trascorso, Ellen era rimasta in silenzio a osservarla, intuendo le sue preoccupazioni, mentre Corrado fingeva di essere assorto nella lettura. Intanto Annuccia, dopo avere assunto la pillola per l’inesistente mal di testa, si era allontanata, seguita dallo sguardo libidinoso di Corrado che già pensava ad altre raffinate violenze sessuali. Una situazione veramente angosciante per Ellen, che, dopo avere conosciuto il male assoluto del regime comunista, era testimone della drammatica crisi di valori del cosiddetto mondo libero. 53


Furono le dolci note del pianoforte suonato con trasporto a creare apparentemente un rapporto armonioso tra madre e figlio, prima di augurarsi un’improbabile serena notte. Erano dominati dal male subdolo: l’ipocrisia dei sepolcri imbiancati.

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L’ATTIVITA’ EVERSIVA DI CORRADO

L’indomani mattina Corrado invitò Ellen nella stanza Beta per urgenti e delicate comunicazioni. L’accesso alla stanza era esclusivamente riservato a Mario che, attraverso un grande specchio, aveva la possibilità di vedere senza essere visto e di sentire tutto quello che avveniva nel salotto. Vi entrava soltanto per le sue relazioni segrete e, in particolare, quando s’incontrava con la giovane segretaria. Tenuto conto che per queste esigenze aveva lo studio lontano da casa, la decisione di modificare la struttura della stanza apparve del tutto incomprensibile. I lavori furono eseguiti durante l’estate da una ditta specializzata dell’Alfa, quando Eleonora e i figli erano in villeggiatura al Circeo. In seguito furono scoperti i veri motivi della realizzazione della stanza Beta, così denominata dall’Avvocato per le probabili connessioni con l’Alfa. A nessuno della famiglia fu consentito di visitarla. Mentre Eleonora e Marcello reagirono con indifferenza alla decisione di Mario, Corrado, spinto dalla curiosità, cominciò a spiare il padre quando apriva la porta blindata, fino a quando non riuscì a scoprire la combinazione della serratura. Un pomeriggio era appena entrato nella stanza Beta, allorché vide, attraverso lo specchio, la madre e la domestica filippina strette in un premuroso abbraccio. Poiché il gesto fu di breve durata pensò a un innocente scambio di tenerezze. Nel dubbio, cominciò a frequentare assiduamente la stanza Beta. In diverse occasioni fu costretto, purtroppo, ad assistere a scene incresciose. E si autoassolse, perché, riflettendo sulla vita dissoluta dei genitori, si convinse che le sue perversioni fossero determinate dall’ereditarietà. Quella mattina attese Ellen nel lungo corridoio, e insieme si diressero verso la stanza. Compose la combinazione della serratura e la porta si aprì con un leggero, quasi impercettibile, cigolio. 55


Agli occhi stupefatti della giovane tedesca apparve un ambiente ovattato, arredato da diversi quadri che riproducevano famosi nudi femminili, tra i quali era molto evidente l’Origine del mondo di Gustave Courbet. Lo splendido colore azzurro bavarese delle pareti era messo in risalto da numerosi faretti. Alcuni di essi proiettavano il cono di luce sui particolari delle tele. Un divano ricoperto di pelle bianca e una consolle rococò completavano l’arredamento. Corrado pensò agli incontri amorosi che il padre aveva intrattenuto su quel comodo divano e guardò intensamente Ellen, ma non avvertì nessun impulso, perché l’autorevolezza della giovane berlinese, emersa fortemente con la conquista della libertà, gli accentuò il senso di autocastrazione. La sua brutale virilità continuava a manifestarsi ossessivamente con donne deboli e indifese, che sottoponeva al suo dominio soltanto per soddisfare il suo incontenibile desiderio di possesso. Era ormai conclamata la sua misoginia. “È arrivato finalmente il momento dell’azione. Sono stato incaricato di trasportare in montagna alcune casse e di nasconderle in un luogo blindato e mimetizzato. Tu verrai con me, anche se mi è stato ordinato di essere solo, perché l’importanza dell’azione esclude altre presenze. Confido sul tuo senso di responsabilità. Tieni sempre conto che l’organizzazione Alfa punisce gli errori anche con la morte” - esordì mettendo in mostra un inguaribile esibizionismo, senza considerare che la trasgressione degli ordini impartiti dall’Alfa gli potesse costare la vita. “Che cosa contengono le casse?” - chiese sommessamente Ellen. “Per il momento non posso anticiparti nulla. Quest’azione, però, sarà il tuo battesimo del fuoco. Partiremo domani mattina con il fuoristrada che l’organizzazione mi ha messo a disposizione. Il contrassegno esposto sul parabrezza è uno speciale lasciapassare. Perciò nessuno ci fermerà lungo il percorso. Non aver paura, vedrai che tutto andrà bene”. Alle prime luci dell’alba partirono con il capiente automezzo carico di casse di varie dimensioni coperte da un telo grigioverde. Ellen ebbe qualche vago sospetto, ma non osò fare domande. 56


“Questa è una missione importante. Mi è stato ordinato di nascondere le casse in un posto ubicato nelle montagne abruzzesi, indicato sulla mappa che troverai nel cruscotto” - disse Corrado. La cartina geografica segnava con dovizia di particolari il percorso da Roma fino a una località vicina al lago di Scanno, segnalata con una freccia. Per non destare sospetti percorsero l’autostrada del Sole ad andatura moderata. Uscirono a Frosinone e passarono per Isola del Liri, dove Ellen restò estasiata alla vista della Cascata Grande che, unica al mondo, scende all’interno del centro storico. Si fermarono nella splendida Sora, per prendere un caffè, quindi imboccarono la strada per Pescasseroli. Il fuoristrada procedeva lentamente lungo gli scoscesi tornanti che precedono Forca d’Acero. Tra loro continuava a regnare il più assoluto silenzio. Non si guardavano; erano assorti in contrapposti pensieri. Dialogavano senza parlare, perché entrambi intuivano i rispettivi pensieri. I tragici momenti della fuga da Berlino Est confluirono nitidamente nella mente di Ellen, che rimosse per alcuni attimi la morte di Maximiliam a causa del prevalente ricordo dell’affettuoso soccorso di Corrado quando, superato il Muro, si era ritrovata sola al mondo. Il successivo comportamento la indusse a pensare alla doppia personalità e alla coscienza palesemente “alienata” dell’amico italiano. Infatti non aveva tardato a rendersi conto che Corrado fosse invaso da un flusso di perverse pulsioni, perché aveva rimosso l’amore che ogni tanto affiorava dal profondo del suo inconscio. La generosità manifestata in occasione della fuga di Ellen dall’inferno di Berlino Est era stata annullata dalle brutali violenze. Condizionato da una notevole suggestionabilità, il giovane aveva rimosso l’amore dalla coscienza, perché il male subdolo delle devastanti situazioni familiari aveva oscurato i suoi veri sentimenti. Nello stesso tempo, Ellen considerò che gli anomali com57


portamenti di Corrado fossero alimentati anche dall’inconscio collettivo, il quale, a differenza di quello personale, consistente nel complesso delle esperienze rimosse o dimenticate, è il risultato dell’ereditarietà, formata da un insieme di archetipi e di forme preesistenti. Insomma, la giovane berlinese era consapevole di trovarsi di fronte a una complicata personalità connotata dalla contrapposizione tra l’inconscio personale, gli archetipi dell’inconscio collettivo e la coscienza. Tuttavia Ellen credeva che, in presenza di particolari circostanze, l’amore potesse riemergere dall’inconscio personale e invadere nuovamente la coscienza di Corrado. Com’era avvenuto nei pressi del Muro. Comunque, per l’amore e la riconoscenza che nutriva verso Eleonora, aveva deciso di aiutarlo a uscire dalla caverna della sua contorta personalità, osservando più da vicino ogni suo comportamento. Contemporaneamente, Corrado rifletteva sulle strane circostanze che gli avevano consentito di conoscere Ellen, e che ancora riteneva inverosimili. Nella sua mente, dominata dai sospetti, si aggiravano assurdi pensieri: era ossessionato dall’idea che l’amica fosse una spia al servizio della Stasi, fatta fuggire da Berlino Est per agire in Occidente nell’interesse della Germania comunista. Perciò l’azione in corso doveva essere la cartina di tornasole per verificare le sue reali intenzioni e per fugare ogni residuo sospetto. I nobili sentimenti di Ellen erano destinati a scontrarsi con il male subdolo di Corrado! Continuava il silenzioso dialogo quando apparve a breve distanza il passo di Forca d’Acero, dove decisero di fermarsi per consumare un frugale pasto. L’impressionistico paesaggio sottostante e il cielo terso ispiravano profonde riflessioni. Il perdurante silenzio era di tanto in tanto interrotto dal fruscio del vento, che dolcemente passava tra le foglie dei secolari aceri, e dal battito delle ali di un’aquila reale che a bassa quota volteggiava su di loro. Improvvisamente, senza alcun preambolo, Corrado, con 58


voce tenue che faceva trasparire una latente timidezza, declamò un noto pensiero di Flaubert. “Altera è l’aquila che annida sulle alte vette; vede sotto il suo sguardo le nubi che fuggono nella valle trascinando nel turbine le rondini; vede la pioggia cadere sugli alberi; le pietre rotolare nel torrente, il pastore che fischia alle sue capre, i camosci che saltano sui burroni. Invano scroscia la pioggia, la tempesta stronca gli alberi, i torrenti scorrono gemendo, la cascata ribolle e fuma, scoppia il tuono e spezza le cime dei monti; calma, l’aquila vola al di sopra di tutto e sbatte le ali; gode al frastuono della montagna, lancia gridi di gioia, lotta con le nubi che corrono rapide e sale ancora più in alto, nel cielo immenso. Anch’io mi sono divertito al fragore degli uomini che saliva fino a me; ho vissuto in un’atmosfera elevata dove il mio cuore si gonfiava di aria pura, dove lanciavo gridi di trionfo per vincere la noia della mia solitudine”. Mentre Ellen lo osservava con malcelata e preoccupata curiosità, Corrado salì su una roccia e, allargate a dismisura le braccia per simulare il volo dell’aquila, saltò a piè pari vicino alla sua amica gridando: “Io sono un uomo libero! Io sono forte e la forza è la madre di tutte le cose. Chi ha una fede costituisce una forza sociale superiore a quella di novantanove persone che hanno soltanto degli interessi. Dobbiamo fermare i nemici della civiltà occidentale, prima che sia troppo tardi. I comunisti e i loro servi sciocchi devono perire. Questo servizio è richiesto dal nostro sconfinato amore per l’Europa”. Ellen comprese che Corrado, disperatamente solo, s’illudeva di superare la sua solitudine con l’adesione a un gruppo con finalità pericolose. “Ritengo che tu abbia ben presente che quando ci si unisce in un comune stato d’animo ci si spersonalizza, perché il livello della psiche complessiva del gruppo si abbassa a livello della psicologia della plebe e ci rende vittime della nostra suggestionabilità. E ciò limita gli spazi della nostra libertà individuale. Perciò mi resta di difficile comprensione la tua concezione aristocratica” - gli disse con determinazione. “Chi è stato educato da un regime liberticida che ha massificato centinaia di milioni di europei non è in grado di conoscere i motivi della nostra storica missione. Non capisco, perciò, in cosa consista il tuo anelito di libertà per il quale hai corso pericoli mortali” - la interruppe indispettito. 59


“Sono nata sotto il regime nazista che mi ha ‘educata’ a credere nella superiorità della razza ariana e nella vitale necessità di combattere tutte le degenerazioni politiche e artistiche che minavano alla radice la nostra civiltà. A tal fine è stata calpestata qualsiasi libertà personale, e i campi di sterminio sono stati la logica conseguenza di quest’aberrante ideologia” - rispose senza tentennamenti Ellen. Per smorzare i sospetti di Corrado, che da qualche tempo aveva largamente intuito, si affrettò ad aggiungere: “Ma gli anni più importanti della mia formazione sono stati caratterizzati dall’asfissiante dominio marxista che all’odio razziale ha sostituito quello per la borghesia, la quale, secondo loro, deve essere sterminata per l’edificazione della dittatura del proletariato. I campi di sterminio nazisti e i lager comunisti, dove sono morti e continuano a morire milioni di uomini liberi e di donne e bambini innocenti, dimostrano ampiamente a quali deliranti conclusioni conducono le ideologie quando milioni di uomini si uniscono in un comune stato d’animo, suggestionati da un capo carismatico”. Ellen non si rese conto che le sue osservazioni anziché eliminare i sospetti li avevano alimentati, perché il giovane era ormai ossessionato dall’ideologia neonazista e non ammetteva nessuna posizione contraria. Infatti Corrado decise di agire con maggiore circospezione. Quando Ellen gli significò che, a riprova della sua cieca obbedienza, l’Alfa non gli aveva consentito di conoscere il contenuto delle casse, il giovane ebbe l’infondata certezza dell’attività spionistica della giovane tedesca. “Comincio a credere di avere compiuto un grave errore. Non dovevo introdurti nella nostra organizzazione senza accertare preventivamente le tue reali intenzioni. Completerò da solo questa missione. Tu resterai qui. Passerò a riprenderti appena possibile”. Non le consentì alcuna risposta. Corse, salì sul fuoristrada, accese il potente motore e partì a forte velocità, sollevando una gran nuvola di polvere. Imboccò la serie di tornanti che conducono a Opi e sparì dalla vista di Ellen, che avvertì la stessa paura della tragica notte berlinese, quando le raffiche dei fucili mitragliatori dei Vopos lacerarono il silenzio della città, colpendo mortalmente Maximilian. 60


Arrivato in poco tempo a Villetta Barrea, iniziò la salita verso il lago di Scanno, per raggiungere il punto indicato sulla mappa. Procedeva a velocità sostenuta, non curante dei pericoli e senza godere della sublime bellezza che offriva il panorama. L’ossessione compulsiva gli aveva fatto perdere l’oggettività: era dominato dall’idea di portare a compimento un’importante missione. Giunto finalmente a destinazione, fece un largo giro di ricognizione, fino a quando non vide una deliziosa baita circondata da uno spesso muro a secco, come quelli che costruiscono i contadini per difendersi dalle calamità naturali. Era proprio la villetta indicata dalla mappa e dalle fotografie messe a sua disposizione. Aperta la porta blindata, vide che si trattava di un vero e proprio bunker. Al centro della stanza, sotto il tappeto, era ben mimetizzata una botola chiusa da una lastra di cemento. Per la sua apertura gli era stato fornito un particolare telecomando. Appena schiacciò il pulsante rosso la lastra di cemento girò su se stessa. Poteva essere aperta anche manualmente, ma il sistema era conosciuto soltanto dai capi dell’Alfa. Una scala di ferro immetteva in un capiente locale che si estendeva sotto un cortiletto, dove un’altra botola si apriva dall’interno con un manubrio. Corrado avvicinò l’automezzo in prossimità di quest’ultima e, aiutandosi con una solida corda, calò, una dopo l’altra, le pesanti casse. Quindi scese nell’interrato e le accatastò con maniacale precisione, senza essere preso dalla tentazione di aprirle. Del resto erano sigillate, e glielo impediva il suo spiccato senso del dovere. Si riteneva un fedele combattente. Prima di risalire, la sua curiosità fu destata da un armadio di metallo che conteneva tre grossi faldoni. Ne aprì uno a caso e iniziò a leggere i documenti ordinati cronologicamente. Con sommo stupore scoprì che il capo del nucleo romano dell’organizzazione era il proprietario della baita-bunker: Mario. Suo padre. Rimise a posto i documenti e alcune fotografie che ritraevano l’Avvocato con i membri dell’Alfa incontrati in diverse 61


occasioni. Mentre saliva al piano superiore fu invaso da un turbinio di sentimenti: il suo orgoglio era cresciuto a dismisura, ma anche il risentimento verso il genitore che gli aveva nascosto di essere il suo capo. Corrado, profondamente turbato, chiuse la botola con il telecomando e la porta blindata. Salì sul potente fuoristrada e ripartì per Forca d’Acero, dove trovò Ellen, visibilmente preoccupata, seduta nello stesso posto in cui l’aveva lasciata. Anche questo innocente comportamento aumentò l’alone dei sospetti. Ormai non aveva alcun dubbio: Ellen era, comunque, inadeguata al compito che le aveva assegnato e, quindi, inaffidabile. “Avevo riposto in te la massima fiducia... e mi hai profondamente deluso. Se penso che tu possa fare il doppio gioco mi viene voglia di denunciarti all’organizzazione... ti posso assicurare che quelli non perdonano... Questa missione era stata affidata solo a me... ho voluto coinvolgerti all’insaputa di tutti” - sembrava un fiume in piena, mentre Ellen lo ascoltava molto turbata. “Ora la tua vita è in pericolo, perché hai conosciuto i segreti che dovevano esserti preclusi. La colpa è mia... non sono stato abbastanza avveduto. Perciò, anch’io corro grossi rischi. Devo studiare il sistema per tirarci fuori da questa situazione. Ho bisogno, però, di sapere se sei una spia della Stasi... da questo momento ti seguirò passo dopo passo e controllerò ogni tuo movimento”. Considerata la gravità della situazione, Ellen svelò al giovane romano il vero motivo della sua adesione all’Alfa. Rivelò, pertanto, l’intesa stabilita con Eleonora per difenderlo dai pericoli che comportava il suo impegno politico. L’inattesa confessione alterò ulteriormente Corrado, il quale avrebbe preferito che la sua amica fosse stata una spia dei comunisti piuttosto che un’informatrice della madre. Poiché riteneva sconveniente e banalizzante il suo comportamento, avrebbe preferito un tragico epilogo. Decise perciò di avere un duro confronto con la madre alla presenza di Ellen. Durante il viaggio di ritorno a Roma scese nuovamente tra di loro il velo dell’incomunicabilità. L’incontro con Eleonora fu glaciale. “So tutto, mamma. Ne parleremo dopo cena nella stanza Beta” - dis62


se Corrado allontanandosi con aria furiosa. “Per amore di Dio, Ellen, sai dirmi almeno tu che cosa è successo?” - chiese Eleonora. “È difficile spiegare questa esplosione di collera. Mi sembra in preda a un raptus…” - rispose Ellen senza aggiungere altro. Il silenzio calò su di loro come una cappa di piombo. La cena fu consumata lestamente, perché era spasmodico l’interesse di chiarire le rispettive posizioni e di scoprire la verità. Si avviarono, perciò, verso la stanza Beta che Eleonora non aveva mai visitato, perché le era stata sempre preclusa dal marito. Da tempo il male subdolo impregnava il mefitico ambiente familiare. Il divano, i nudi femminili e lo specchio trasparente la fecero trasalire. Il pensiero di essere stata tradita in quella stanza fu di secondaria importanza rispetto alla certezza di essere stata spiata dal marito. Fu pervasa da un senso di prostrazione, che la pose in uno stato di evidente inferiorità di fronte a Corrado. I naturali sentimenti, rimossi nell’inconscio a causa delle frustrazioni, riaffioravano nella sua coscienza, determinando un doloroso complesso di colpa. Non sapeva e, probabilmente, non avrebbe mai saputo che il marito era il capo dell’organizzazione che aveva “deviato” il figlio. Durante il rabbioso monologo di Corrado il volto di Ellen mostrò palesemente i segni di un profondo compatimento per l’inesorabile deriva di una famiglia che, giorno dopo giorno, sprofondava nell’abisso della disperazione. Pensava che, a causa del prevalere di perverse logiche, Eleonora, Mario e Corrado avessero smarrito il senso dell’autentica libertà. La società borghese senza valori aveva annullato anche la loro dignità. E, tra sé e sé, concluse che il male subdolo, al di là e al di qua del Muro, avesse le stesse connotazioni. “Come ti sei permessa di usare Ellen per indagare sulla mia vita privata? Ti sei comportata in modo spregevole... è la conferma che papà aveva perfettamente ragione... dovresti vergognarti per le tue depravazio63


ni... hai accettato passivamente le logiche di una società degenerata contro la quale sono disposto a offrire anche la mia vita!”. “Calmati, Corrado. Ti rendi conto di queste assurdità? - Eleonora cercò inutilmente di fermarlo. “Sai quante volte ho assistito, provando un’indescrivibile vergogna, alle effusioni che ti scambiavi con la filippina? Sai quante notti insonni ho trascorso dopo avere ascoltato i vostri gemiti emessi senza ritegno durante gli amplessi nel letto di mio padre? Tu, mamma, non puoi insegnarmi nulla... devi soltanto vergognarti!”. Eleonora, che avrebbe preferito morire, perse i sensi e scivolò esanime sul pavimento. Ellen si precipitò a soccorrerla, ma Corrado le intimò di trascinarla fuori, perché la sua unica preoccupazione era di chiudere la stanza. La ragazza si fece aiutare da Annuccia per adagiarla sul letto, mentre Corrado, fuori di sé, si rintanò nella sua stanza, insensibile ai richiami di aiuto. Tuttavia, la donna si riprese prontamente e si fece accompagnare nel salotto, dove Ellen, per distoglierla, eseguì un potpourri di ballade chopeniane. Corrado, chiuso nella sua stanza, pensò lungamente di sfogare la sua violenza repressa. Uscì, cercò Annuccia, la prese per mano con modi gentili e la condusse verso la stanza Beta. La ragazza non oppose alcuna resistenza: il fatto di non essere sola in casa con lui la tranquillizzò. Quando, però, la porta si chiuse alle loro spalle, dalla metamorfosi dello sguardo del giovane comprese in quale trappola era caduta. Gridò con tutta la sua giovanile forza. Le invocazioni, però, restarono inascoltate. Allora s’inginocchiò e chiese accoratamente l’intervento della Vergine Santissima. “No, signorino, non voglio... la prego... la scongiuro... sono una povera ragazza indifesa che non ha fatto del male a nessuno... ”. Dalla vetrata trasparente Corrado vedeva la madre, proprio dirimpetto a lui, discinta, abbandonata scompostamente sul divano, ed ebbe incontrollabili pulsioni incestuose che si accentuarono quando Ellen iniziò a suonare l’Appassionata di Beethoven. 64


Le implorazioni della povera ragazza avevano ulteriormente scatenato la sua libidine. La costrinse, quindi, ad appoggiarsi con i gomiti sulla consolle e, dopo averla minacciata di morte con un coltello a serramanico, la stuprò selvaggiamente. Le urla della giovane furono trattenute dalle pareti insonorizzate della stanza Beta, proprio mentre l’Allegro ma non troppo dell’Appassionata di Beethoven, eseguito con sublime maestria da Ellen, volgeva verso la sua trascinante conclusione. Corrado aiutò, gentilmente, la povera ragazza a ricomporsi e l’accompagnò alla porta, con l’aria soddisfatta di chi ha appena compiuto una grande prodezza. Annuccia si ritirò nella sua stanza, si distese sul letto e pianse ininterrottamente. La sua vita era stata sconvolta. La sua innocenza ferita per sempre. Non era più degna di Tanino. S’intrecciarono nella sua mente antitetici sentimenti. Ricordò i rossi tramonti della sua incantevole Erice e gli innocenti incontri all’imbrunire, per rimuovere il disgusto dell’esperienza appena patita. Contrastanti immagini si sfocavano e si sovrapponevano. I teneri abbracci con Tanino erano cancellati dalla violenza di Corrado, che ritornava ossessivamente. Nonostante i ripetuti tentativi, non riusciva a scrollarsi il fango di dosso. A ogni illusione subentrava la drammatica realtà appena vissuta. La morte era il sentimento prevalente. Ma Annuccia era incapace di uccidere. Nemmeno una mosca! Si alzò e si guardò allo specchio. Era improvvisamente invecchiata: non era più lei. Quel volto non era il suo, ma di un’altra persona che doveva essere soppressa perché si era totalmente sostituita a lei. Quel corpo infangato non era il contenitore della sua anima eterea. Doveva, perciò, disfarsene. Fu ossessionata da questa idea per tutta la notte. Alle prime luci dell’alba uscì senza fare alcun rumore. Vagò per qualche ora nell’elegante quartiere dei Parioli. Il passo lento, lo sguardo fisso per terra. Nessuno si accorse della disperazione che connotava il suo incedere. Infine, prese il tram per scendere in Piazza San Silvestro, nei pressi dell’ufficio postale, dove si ritirò in un angolo. E, dopo essersi 65


fornita di carta e busta, scrisse una lunga lettera a Tanino. Gli ricordò con parole romantiche, piene di nostalgia, gli anni spensierati trascorsi insieme a Erice, quando l’amore conosceva i limiti imposti dalle locali tradizioni e ogni loro desiderio era finalizzato al matrimonio. Erano, però, necessari alcuni anni di sacrifici per coronare il loro sogno. Perciò furono costretti, con il cuore dolente, ad abbandonare la loro terra in cerca di fortuna. Annuccia aveva risposto all’inserzione di Eleonora, inviando le referenze e una bella fotografia. In attesa della risposta ebbero il tempo per acquisire le opportune informazioni sulla famiglia dell’avvocato che, dopo il licenziamento della filippina, cercava una nuova domestica. Accertarono, tramite il parroco di Erice, che si trattava di una delle migliori famiglie dei Parioli. Il viaggio in treno da Trapani a Roma fu lungo e consentì ai due giovani siciliani, che non erano mai usciti dall’isola, di osservare i panorami che si snodavano lungo la penisola. Di tanto in tanto si guardavano, come per dirsi che quelli di Erice erano incomparabilmente più belli. Arrivati a Roma raggiunsero, con qualche difficoltà, il lussuoso appartamento dell’Avvocato Mario Vici, e con trepidazione suonarono il campanello. Fu proprio Corrado ad aprire la porta. “Chi cercate?” - li apostrofò con la sua abituale durezza. “Sono Annuccia, la nuova domestica. E lui è Tanino, il mio promesso sposo”. Corrado la scrutò per qualche tempo e, nonostante la tendenziale misoginia, fu impressionato dalla sua particolare bellezza. Piccola di statura, Annuccia gli apparve ben formata e con un viso radioso. “Entrate. Chiamo subito mia madre che si occupa della questione” disse abbozzando un insolito sorriso. L’accoglienza da parte di Eleonora fu addirittura entusiasmante. I fatti s’incaricarono, dopo poco tempo, di dimostrare che in quella famiglia, da tutti ritenuta serena, ricca e irreprensibile, si annidava il male subdolo. Nella lettera Annuccia descrisse tutto l’accaduto nei minimi 66


particolari. Infine, ritenendosi “svergognata”, anche se era stata vittima di un’efferata violenza, fece trasparire l’idea che le restava un’unica soluzione: eliminare un corpo che non era più suo. Le balenò anche il pensiero che potesse rimuovere le conseguenze dell’aggressione, perché le convenzioni non erano più quelle della tradizione siciliana, ma i valori ancestrali, che prepotentemente affioravano dagli strati più profondi dell’inconscio, invasero la sua coscienza e annullarono ogni altra considerazione. Uscì dall’ufficio postale e si diresse verso il Corso. La sua andatura era lenta e incerta. Procedeva senza una precisa direzione. La sua anima si era già di fatto liberata dal corpo. Entrò nella chiesa di S. Maria del Popolo e s’inginocchiò ai piedi della Vergine. Rimase genuflessa per un tempo incommensurabile. Fuori dalla chiesa continuò a vagare senza una precisa meta. S’incamminò per il lungotevere, attratta, sempre più, dai gorghi del fiume. Intanto era scesa l’oscurità. E Ponte Milvio nascondeva con la sua penombra le effusioni di una giovane coppia. Annuccia si sporse dal ponte e si lasciò cadere. Senza un grido. Senza un lamento. I due innamorati furono interrotti dal tonfo del corpo già esanime; si affacciarono, ma non videro nulla. Ritornarono alle loro effusioni; i loro corpi, pieni di vita, non erano ancora sazi. Il giorno dopo, una comitiva di turisti francesi vide galleggiare un cadavere nei pressi dell’Isola Tiberina. Il bel viso di una ragazza affiorava di tanto in tanto dall’acqua, ed era sereno. Quasi sorridente. All’ora di pranzo il telegiornale diffuse la notizia, affermando che sembrava trattarsi di suicidio. Eleonora ebbe la sensazione che la giovane donna fosse Annuccia, scomparsa il giorno prima. Ellen, invece, ebbe la certezza che il gesto della ragazza fosse stato determinato dal violento comportamento di Corrado. E, senza controllarsi, esclamò: “È colpa di Corrado!”. 67


“Cosa dici, Ellen? Come puoi fare certe affermazioni, quando ancora non sappiamo con certezza che quel corpo appartiene ad Annuccia? Non ci resta che andare al più vicino Commissariato per denunciare la scomparsa” - affermò un po’ seccata la padrona di casa. All’obitorio non fu difficile il riconoscimento. Profondamente turbata, Eleonora guardò Ellen, e con un cenno della testa condivise la sua intuizione. La salma, dopo l’esame autoptico disposto dall’autorità giudiziaria, fu trasportata in Sicilia dove furono celebrati i funerali. Tanino seppe della morte di Annuccia quando chiese sue notizie dopo aver letto la sua lettera. E il suo primo impulso fu di uccidere Corrado che, appena apprese la tragica notizia, si chiuse in un insolito mutismo.

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IL TENTATO OMICIDIO DI CORRADO

Ellen aveva ormai compreso che la contorta personalità di Corrado si era formata a seguito di un lungo processo di adattamento alla situazione familiare. Sicché i valori che avevano connotato la sua vita adolescenziale erano stati rimossi nell’inconscio, facendo prevalere nella coscienza i conflittuali comportamenti dei genitori. Per una sorta di comprensibile autodifesa Corrado era stato costretto a identificarsi con gli atteggiamenti autoritari del padre, per sfuggire alle ossessioni e alle frustrazioni della madre. Con il tempo si era costruito addosso una camicia di Nesso, diventando vittima del personaggio, con la modificazione strutturale della sua personalità, a causa della forte influenza esercitata su di lui dai genitori. Ellen aveva ben presente che tutto ciò che viene da “fuori” per affermarsi nella coscienza deve incontrarsi con ciò che si ha “dentro”. Nel caso di Corrado, però, tutto il mondo interiore era stato alienato, subendo una completa trasformazione, perché il giovane, un tempo conosciuto da tutti per la generosità, era diventato incomprensibilmente cinico. Sapeva pure che in particolari condizioni, o a seguito di un trauma, i valori ancestrali, ereditati o acquisiti nella prima infanzia, da qualche tempo dimenticati o rimossi, prorompono dagli strati più profondi dell’inconscio e inducono il soggetto a recuperare l’autentica personalità. Ciò era avvenuto la notte della fuga, ma sembrava essere presente anche in quella circostanza. Infatti Corrado era rimasto sconvolto dalla morte di Annuccia, tanto che appariva svanito il cinismo abitualmente ostentato. Per tutta la giornata si era chiuso nella sua stanza, rifiutando qualsiasi rapporto. Questo inconsueto comportamento indusse Ellen a pensare che i valori etici che Corrado aveva rimosso nei profondi anfratti dell’inconscio si stessero riappropriando della sua coscienza. Ritenne allora di favorire questo processo psicologi69


co, ma nello stesso tempo temette che un’improvvida iniziativa potesse turbare ulteriormente l’amico, con il rischio di comprometterne il recupero. Tuttavia, certa che un invasivo complesso di colpa fosse la causa del travaglio del giovane, ruppe ogni indugio e bussò dolcemente alla porta. “Chi è?” - chiese Corrado con una flebile voce che mise in chiara evidenza la sua condizione di sofferenza. “Sono Ellen, posso entrare?”. “No... non voglio parlare con nessuno... voglio restare solo…”. Ellen avvertì dal tono della voce che aspettava invece proprio la sua visita. Perciò ritenne di insistere. “Appena il tempo di salutarti e per...”. La sua impressione fu esatta, perché non le dette nemmeno il tempo di terminare la frase. “Entra pure” - disse con un tono sorprendentemente suadente. La stanza le apparve molto diversa da quella immaginata. Infatti, mentre si apprestava a entrare aveva pensato di trovare un diffuso disordine. Invece una luce soffusa mostrò un ambiente sobrio, ben ordinato, asettico, quasi francescano. Una piccola libreria con pochi volumi collocata nei pressi della finestra. Una grande riproduzione del famoso quadro di Friedrich, Il viandante sul mare di nebbia, nota icona del romanticismo tedesco, posta sulla parete a sinistra dell’ingresso, simboleggiava la sofferta solitudine del suo amico. Una poltrona di pelle bianca era dirimpetto al letto sul quale Corrado era disteso con le mani intrecciate dietro la testa. Non si voltò all’ingresso dell’amica. Continuò invece a guardare il soffitto, senza scomporsi. Come se nulla di nuovo fosse avvenuto. Ellen si sedette in poltrona. Non attese di essere invitata a farlo, perché doveva dimostrare subito la sua determinazione. “Capisco il tormento che ti affligge. Il complesso di colpa ti sta macerando l’anima?”. Voleva provocare la reazione di Corrado, che appariva insensibile a ogni stimolo. Perciò ritenne di alzare ulteriormente il tiro. 70


“Ti senti moralmente responsabile della morte di Annuccia?” - chiese con sfrontatezza, certa di scrollare l’apatia di Corrado. Infatti era proprio l’accusa che il giovane non avrebbe voluto sentire. Del resto nessuno aveva assistito allo stupro della domestica siciliana. Pertanto fu immediata la sua reazione. Con uno scatto fulmineo saltò dal letto e, puntando il dito indice verso Ellen, gridò: “Come ti permetti di fare certe affermazioni? Ti rendi conto di quello che dici? Tieni sempre presente che in questa casa sei una semplice ospite, e che mi devi molto... ”. La scomposta protesta di Corrado confermò l’intuizione di Ellen, che non si fece intimorire. E non si scompose, perché era certa di poterlo dominare. I rapporti di forza si erano invertiti dal momento in cui aveva recuperato compiutamente la sua personalità, grazie all’affettuosa accoglienza di Eleonora che l’aveva fatta sentire una donna libera. Di fronte a tanta determinazione, Corrado si lasciò cadere sul letto, scoppiando in un pianto irrefrenabile. E così, a seguito della tragica morte di Annuccia, si erano creati tutti i presupposti per imprimere un’accelerazione al piano delle due donne. Ellen si alzò per andarsi a sedere sul letto ai piedi di Corrado che continuava a piangere, proferendo incomprensibili parole. “Ho conosciuto, purtroppo, la tua brutalità. Ecco perché sono convinta che Annuccia abbia subìto lo stesso trattamento. Da allora ho capito che riesci a superare la tua naturale misoginia soltanto nei confronti delle donne che vivono un chiaro stato d’inferiorità”. Corrado accusò il colpo. Smise di piangere e fissò Ellen, come per cercare una conferma dall’espressione degli occhi. “Non devi però sentirti in colpa per il gesto di Annuccia, perché non potevi certamente prevedere le tragiche conseguenze. Di fronte alla violenza subìta non sempre le donne reagiscono allo stesso modo. Il concetto d’onore che caratterizza ancora le società tradizionali comporta spesso queste scelte definitive. I valori primordiali stratificati nell’inconscio collettivo, quando sono 71


richiamati da un forte trauma, risalgono dall’abisso e scuotono la porta della coscienza. In certi casi riescono a entrare con la forza di un ciclone, annullando ogni resistenza. Allora, la morte diventa una scelta obbligata”. Corrado si sentì rinfrancato dalle parole di Ellen e pensò che Annuccia, in effetti, era stata vittima più della sua mentalità che delle conseguenze dello stupro. Del resto nessuna delle donne precedentemente violentate, compresa Ellen, si era suicidata. E rimase silenziosamente in ascolto. “È evidente il conflitto che ti consuma. I valori che hanno caratterizzato gli anni felici della tua infanzia e di gran parte della tua adolescenza sono stati da te rimossi e confinati negli interstizi del tuo inconscio, per difenderti dalle alienanti situazioni provocate dal comportamento dei tuoi genitori. Con il passare del tempo, però, le conseguenze devastanti di alcune drammatiche circostanze hanno ‘invaso’ la tua coscienza, trasformando radicalmente la tua personalità. Insomma, la tua naturale bontà e generosità sono state sopraffatte dall’egoismo e dal cinismo. Ora, devi ritenere provvidenziale l’esplosione del complesso di colpa, perché se consenti ai valori di emergere dall’inconscio e di invadere nuovamente la tua coscienza potrai rinascere a nuova vita. Ed io, caro Corrado, dimenticando la barbarie subìta, voglio aiutarti a uscire dalla caverna della disperazione”. Corrado, lo sguardo fisso nel vuoto, continuava ad ascoltare il monologo di Ellen senza alcuna reazione. Sembrava assente. A chiunque poteva apparire come chi non dà ascolto agli astanti perché il suo pensiero è altrove. O perché il problema che lo attanaglia alza il muro dell’incomunicabilità tra lui e l’interlocutore. Ellen era sicura che la porta della coscienza di Corrado si fosse dischiusa e che fosse iniziato positivamente il cammino verso il suo risanamento. Occorreva, innanzitutto, porre fine all’autocompiacimento per l’estetica della sconfitta e dell’annientamento che lo aveva invaso. E liberarlo dall’errata convinzione che per vivere si ha bisogno di contrapporsi con forza a un nemico. Il comunismo era tutt’altro che un nemico immaginario, e nessuno poteva saperlo più di Ellen che aveva rischiato la vita 72


per liberarsene. Tuttavia era convinta che le scelte ideologiche dell’amico, scaturite dai gravi condizionamenti familiari, lo avessero spinto verso la ricerca di un nemico per sfogare tutte le sue frustrazioni. I motivi politici erano la copertura dei suoi disagi psicologici. Nonostante le provocazioni della giovane amica, Corrado continuava a restare imperturbabile. L’impassibilità era solo apparente, perché nel suo immaginario, come in un cortometraggio, si susseguivano vorticosamente i fotogrammi della sua esistenza. L’armonia e l’amore dei genitori avevano reso felice la sua infanzia, promettendo un roseo futuro. Allora gli tornarono alla mente i piacevoli ricordi delle lunghe estati trascorse nella bella villa del Circeo, progettata dall’architetto Antonio Valente, ideatore del Carro di Tespi, e costruita alle pendici del Promontorio. Dalla finestra della sua stanzetta gli era preclusa la vista del mare, ma poteva ammirare il Picco di Circe che si stagliava maestosamente tra le nubi arrossate dal tramonto del sole. A volte diceva a voce alta: “Chissà come sarà il mondo visto dalla cima?”. Un pomeriggio, mentre era intento a seguire il volo di un falco pescatore che scendeva in picchiata dal Picco di Circe, fu amorevolmente sorpreso dal padre che lo strinse a sé e gli disse: “Quando sarai più grande ti condurrò lassù, per farti ammirare un incomparabile scenario”. Durante la calda estate del 1952 trascorsa al Circeo conobbe il travolgente piacere del sesso. Aveva appena compiuto diciassette anni. Fino a quel momento aveva conosciuto superficiali e insoddisfacenti rapporti con le sue coetanee. Era corteggiatissimo. Da qualche tempo Giulia, una giovane amica della madre conosciuta sulla spiaggia, lo guardava con malcelato interesse. Le eccessive premure erano considerate da Corrado delle semplici manifestazioni di affetto. Del resto la differenza di età era notevole. Giulia, però, manifestava meno dei suoi trentotto anni, perché la conturbante bellezza e l’avvenenza la rendevano più giovane. Il marito per motivi di lavoro era so73


vente all’estero, e ciò accentuava la sua insoddisfazione. Non aveva figli. Una mattina si presentò in spiaggia con un succinto bikini e chiese a Eleonora se lo ritenesse sconveniente, ma in realtà desiderava conoscere il giudizio del prestante figliolo, il quale da un fugace sguardo di Giulia capì finalmente le sue intenzioni. Dopo un rapido pranzo nel ristorante dello stabilimento balneare, Eleonora decise di tornare a casa per schiacciare un pisolino. Corrado e Giulia rimasero soli, distesi sulla sabbia rovente, fianco a fianco. E quando il ragazzo si girò verso la giovane donna lei avvicinò il ginocchio al suo pene, che prorompeva dal costume, e iniziò un delicato massaggio che terminò con un simultaneo orgasmo. Restarono per lungo tempo senza parlare. Le poche persone presenti non si avvidero di nulla. Era invece esplosa un’incontenibile passione. Almeno così sembrava. Sotto il sole cocente le pulsioni erotiche erano mostrate dai loro languidi sguardi. Tutto a un tratto, Giulia pose fine al silenzio. “Che ne dici di fare una passeggiata fino alle dune di Sabaudia, lontani da occhi indiscreti?” “Quando?”. “Domani pomeriggio. Potremmo arrivare in bicicletta fino a Torre Paola, per poi inoltrarci a piedi lungo i percorsi naturali delle dune e osservare il meraviglioso tramonto del sole”. “Che cosa dico a mamma?”. “La verità. Che vuoi passare con me una giornata alle dune. È ovvio che non sospetti di nulla”. Aleggiava attorno a loro il male subdolo: la menzogna! Arrivarono quando il sole aveva iniziato il suo lento declino, proiettando una lunga scia rossa sul mare profondamente azzurro. Lasciarono le biciclette e s’incamminarono lungo le dune. Ogni tanto incontravano degli innamorati teneramente abbracciati. Taluni continuavano a fare sesso noncuranti della loro presenza. E ciò aumentava a dismisura le loro pulsioni. Giulia si mise improvvisamente a correre verso la spiaggia 74


selvaggia e deserta, e si nascose dietro un cespuglio. Si sfilò il bikini, rimanendo coperta dal pareo bianco trasparente. Corrado per qualche minuto la perse di vista. La donna, lanciando un urlo di gioia, uscì dal cespuglio e riprese la corsa sulla battigia. Il ragazzo la rincorse, l’abbracciò e insieme si rotolarono in acqua. Appena si rialzarono e ripresero la corsa, Giulia, che lo precedeva, mise in mostra tutta la sua provocante nudità, perché il pareo bagnato aveva aderito, come una seconda pelle, sul suo splendido corpo. Corrado la raggiunse di nuovo, l’afferrò con forza, la rovesciò sulla sabbia infuocata e tentò di penetrarla. Giulia si divincolò e continuò la sua corsa verso il sole. Non era ancora giunto il momento. Quando l’astro, prima di eclissarsi, toccò la linea dell’orizzonte, laddove il cielo si confonde con il mare, lei si tolse il pareo, si distese con le gambe aperte alla penetrazione dei raggi solari e accolse Corrado dentro di sé. Un urlo d’incontenibile piacere riempì il silenzio delle dune, fino a quel momento quasi impercettibilmente interrotto dalla sottile musica del mare. Il ragazzo, però, non tardò a capire di essere stato usato da Giulia per compiere un particolare rito sessuale, e provò un profondo turbamento. Si ritrasse. Si alzò repentinamente. Lanciò alla donna uno sguardo di disgusto, prima di iniziare una folle corsa. Si era illuso di essere stato desiderato. In realtà era stato l’inconsapevole strumento di Giulia, protagonista di un fenomeno di possessione. Infatti la sua coscienza era stata obnubilata da riti ancestrali, emersi prepotentemente dall’inconscio collettivo. Per la perdurante estasi non si accorse di essere stata abbandonata da Corrado. Il sole aveva magicamente invaso le sue viscere e la sua mente, e infiammato la distesa marina. Il male subdolo aveva fatto la sua apparizione, stendendo un velo di falsa passione sul malcelato egoismo sessuale della giovane donna. Corrado correva, correva... Durante la notte insonne, roso 75


dal desiderio, era stato ossessionato dal pervasivo pensiero della sua “prima volta”, per giunta con una bellissima donna. Matura. La delusione fu sconvolgente, appena si rese conto di essere stato l’inconsapevole oggetto del desiderio di una ninfomane. Il giorno dopo, di buon mattino, l’avvenente donna partì senza salutare. Di lei non si seppe più nulla. Quell’esperienza avrebbe potuto causare gravi danni alla personalità di Corrado, che riuscì, invece, a superare il trauma. Marcello, il fratello di un anno più grande, alto e bello, biondo con occhi castani, dotato di una eccezionale sensibilità artistica, aveva precocemente manifestato un carattere forte, a differenza di Corrado che era più vulnerabile. Una chiara dimostrazione di come le inclinazioni naturali finiscano per prevalere sull’educazione familiare. L’esistenza dei due fratelli si svolgeva nell’ambito di una famiglia alla quale la fortuna non aveva fatto mancare nulla. Anche se erano frequenti i momenti di frizione che scaturivano da una diversa visione del mondo e della vita. Eleonora interveniva con dolcezza a smorzare le accese dispute, mentre il carattere autoritario del padre inibiva all’origine ogni diatriba. Era, però, evidente la predilezione di Mario per Corrado. Trascorrevano l’inverno impegnati nello studio, pensando alle giornate di sole al mare e alle belle ragazze del Circeo che, da qualche anno, deliziavano le loro estati. Marcello, in particolare, passava molte ore a curare il suo hobby preferito: la pittura. Senza eccessive scosse passarono alcuni anni. Una calda mattina d’estate, appena giunto nella villa del Circeo, Corrado, com’era solito fare, aprì la finestra della sua cameretta e restò per lungo tempo a osservare estasiato il Picco di Circe. “Credo che sia giunto il momento di salire lassù” - gli disse il padre indicando la cima del promontorio. Due giorni dopo decisero di intraprendere la scalata, che fu faticosa e irta di pericoli. Appena giunsero sul Picco di Circe a 76


Corrado apparve un panorama meraviglioso che gli mozzò il fiato. Per qualche istante non riuscì a proferire parola. “Più si sale in alto e più gli orizzonti si allargano. Soltanto di fronte a questa distesa marina è facile capire che viviamo tutti sotto lo stesso cielo, ma con orizzonti diversi”. Nell’immensità naufragarono tutti i pensieri negativi. Guardava le splendide isole Ponziane, che anticipavano la sottile linea dell’orizzonte, mentre alle sue spalle si snodavano le dune. Perciò anche il ricordo di Giulia gli apparve lontano e sfocato, come se non gli appartenesse. Guardò il padre e lo ringraziò per avergli dato la vita. Era felice. Non gli mancava proprio nulla. Durante la discesa, però, mano a mano che l’orizzonte si ridimensionava, guardando dall’alto le dune di Sabaudia gli ritornarono nella mente gli inquietanti momenti trascorsi con Giulia qualche anno prima. E i vivaci contrasti con Marcello. Un gioco di dissolvenze incrociate gli causò un forte turbamento, che cancellò del tutto la serenità provata sul Picco di Circe. Intanto le nubi dell’uragano si addensavano sulla famiglia. Qualche mese dopo la giovane segretaria dell’Avvocato iniziò a frequentare la sua abitazione. Si ritirava con il padre nella stanza Beta per uscirne dopo qualche ora, approfittando dell’assenza di Eleonora. Un pomeriggio, rientrando a casa, Corrado si trovò a passare nei pressi della camera dei genitori. La porta era socchiusa. Senza volerlo vide il padre avvinghiato alla segretaria nel letto dove la madre lo aveva partorito. Alle urla di godimento della ragazza corrispondeva l’impegno del genitore a trascorrere tutta la vita insieme, dopo avere abbandonato la moglie. Il trauma lo sconvolse. Da quel momento la vita di Corrado non fu più come prima. E nemmeno quella della famiglia. Infatti, appena Eleonora scoprì la tresca del marito iniziarono odiose discussioni, sovente alla presenza dei figli, che terminavano soltanto quando Mario usciva, imprecando e sbattendo violentemente la porta. Così avvenne, di fatto, la loro separazione. Eleonora, dopo 77


mesi di frustrazioni, cadde in un profondo stato depressivo. Ne approfittò la domestica filippina per imbastire con lei frequenti rapporti saffici, durante quelle interminabili notti. Per quanto Eleonora si preoccupasse di tenere nascosta l’insana relazione, la filippina invece diventava sempre più esigente. Un pomeriggio commisero la grave imprudenza di baciarsi sul divano del salotto. Corrado, che si trovava nella stanza Beta, le osservò attraverso lo specchio, e associò quella scena a quella del padre con la segretaria. Negli anni felici dell’innocenza il male subdolo gli aveva tenuto celati i veri sentimenti dei genitori. Un incontrollabile processo psicologico lo svuotò di tutti i valori che gli avevano consentito di ottenere l’unanime ammirazione. E, dopo averli rimossi nell’inconscio, aveva supinamente permesso a un miscuglio di risentimento e di odio di “invadere” la sua coscienza. Non era più lui. La sua personalità aveva subìto una radicale trasformazione. Mentre svolgeva, fotogramma per fotogramma, il film della sua giovane esistenza, Ellen lo osservava compiaciuta, perché aveva ormai maturato la certezza che il giovane avesse intrapreso un percorso di rinascita. Quando si accorse, osservando i tratti distesi del viso, che era ben disposto a trattare anche gli aspetti più spinosi della sua delicata condizione psicologica, disse: “Non devi sentirti in colpa per la morte di Annuccia... devi reagire con forza a questo pericoloso sentimento che potrebbe avere effetti devastanti...”. L’intuizione di Ellen risultò ben fondata. Corrado si sciolse, uscì dal lungo silenzio e, finalmente, si girò lentamente verso di lei, fissandola negli occhi. “Sì, è vero, la morte di Annuccia mi ha sconvolto. Devo confessarti, però, che più traumatizzante è stata la scoperta del ruolo che mio padre riveste al vertice dell’Alfa. Per molti anni l’ho divinizzato. L’ho imitato addirittura nella gestualità. Ho emulato ogni suo comportamento, fino a quando non l’ho sorpreso 78


con la sua amante. I litigi con mia madre, le lunghe assenze, il pensiero che viva ormai con la sua segretaria mi hanno terribilmente frustrato… Ma l’assurda decisione di espormi al rischio di pericoli mortali, senza un doveroso avvertimento, mi ha suscitato un profondo disprezzo”. Ellen non chiese chiarimenti sulle affermazioni di Corrado, ma ritenne che fosse giunto il momento di entrare nel vivo della discussione. “La questione è più complessa di quanto tu possa pensare. In Italia, dove passa la linea di demarcazione tra l’Occidente capitalista e l’Oriente comunista, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno creato una fitta rete di agenti segreti, utilizzando uomini già impiegati nella seconda guerra mondiale. Sono convinta che tuo padre sia un agente della CIA, vincolato all’obbligo della segretezza. Perciò non poteva rivelarti di essere uno dei capi dell’Alfa. A questo punto, però, bisogna che tu prenda atto che i giochi sono più grandi di te. Questa vicenda è davvero paradossale. Credevi di aver individuato il ‘nemico’ contro il quale sfogare le tue frustrazioni, invece il nemico l’avevi in casa”. “E pensare – la interruppe Corrado – che ho sospettato tu fossi una spia della Stasi, perché la temeraria fuga e alcuni comportamenti non mi avevano convinto della tua avversione al comunismo”. “Io non ho fatto una scelta politica – precisò Ellen – sono un’artista e ho inseguito la libertà. Con la consapevolezza, però, che il male subdolo non fosse devastante come il male assoluto conclamato nelle società totalitarie. Ho trascorso l’infanzia sotto il nazismo e la giovinezza sotto il comunismo. Sono perciò nella condizione di poter affermare che sono due sistemi liberticidi”. “D’accordo – intervenne prontamente Corrado. “Con la differenza, però, che il comunismo nega la libertà alle aristocrazie per affermare quella di una massa informe, mentre il nazismo ritiene che gli esseri inferiori limitino la libertà dei migliori”. “Corrado, è possibile che tu non ti renda conto che lottare in nome della razza o della classe sociale induce all’odio contro il diverso, e che queste ideologie, per essere attuate, richiedano la sistematica eliminazione dei dissidenti con la loro deportazione nei gulag e nei campi di sterminio?”. “Me ne rendo perfettamente conto. È il prezzo che si deve pagare per 79


realizzare un mondo di uomini superiori, immuni da ogni imperfezione”. “Allora perché, dopo i sentimenti di autentico amore che hai completamente rimosso, ti sei lasciato obnubilare da atti perversi?”. “Sì, ma soltanto con le donne, che ritengo inferiori, e con i deboli. È accaduto anche con te, nel momento della tua massima debolezza. Quando, però, mi sono reso conto della tua forte personalità, i miei sentimenti sono totalmente cambiati. Ora non mi permetterei di sfiorarti nemmeno con un dito”. Ellen lo guardò intensamente, come per scavare nel profondo della sua anima. E maturò la certezza che Corrado sostenesse certe idee per mostrarsi coerente, non per difendere le sue ubbie ideologiche che cominciavano a vacillare. “Ti chiedo scusa se mi permetto di addentrarmi nei meandri della tua vita privata” - disse Ellen, sempre più convinta del suo consenso. Ormai lo dominava completamente. Il giovane si aprì alle domande dell’amica raccontando i particolari delle sue insoddisfacenti esperienze, e non trascurò di riferire le perversioni dei genitori, che avevano causato lo stravolgimento della sua personalità. Era ormai evidente che cercava l’aiuto di Ellen per uscire da un’angosciante condizione. “La vera libertà si conquista calandosi dentro l’oscura caverna dell’inconscio, riportando alla luce della coscienza i valori che i condizionamenti ambientali ci costringono spesso a rimuovere. Insomma, per tornare a essere quello di un tempo devi tornare a essere te stesso”. “È stata l’evoluzione del mio pensiero che mi ha portato all’attuale condizione psicologica... ”. “No, sono state le traumatizzanti situazioni che hanno fatto prevalere l’odio sull’amore, le catene dell’ideologia sull’aspirazione alla libertà”. “La libertà si difende combattendo con ogni mezzo il comunismo” esclamò Corrado. “Non saranno certamente le folli azioni di un minoritario gruppo di esaltati a salvare l’Italia dal pericolo comunista. I patti di Jalta tutelano il tuo Paese dal comunismo. Infatti, il potere di dissuasione delle superpotenze non consente reciproche interferenze. Ecco perché l’Unione Sovietica ha potuto reprimere nel sangue la rivolta di Berlino e la rivoluzione ungherese. Impunemente. Pertanto, l’Europa dell’Est sarà liberata sol80


tanto dopo profondi cambiamenti culturali” - rispose Ellen. “T’illudi, Ellen: sarà la forza delle armi a liberare i popoli di antica civiltà dal tallone sovietico, e non le mani nude degli intellettuali, sempre pronti a saltare sul carro dei vincitori. Infatti, non conosco nemmeno uno di questi profeti disarmati capaci con la forza delle idee di minare il comunismo dall’interno. Noi, invece, stiamo organizzando una fitta rete di cellule ben armate che interverranno a supporto dell’esercito regolare nel caso in cui l’Unione sovietica decidesse di invadere l’Italia. Anche in caso di conquista democratica del potere da parte del PCI”. “Non è così, Corrado. In Russia si è formata una folta schiera di dissidenti. Uno in particolare, Boris Pasternak, con il suo romanzo Il dottor Zivago, sarà ricordato un giorno come chi, senza ricorrere alla violenza, avrà disgregato un impero. Il crollo del ‘Muro della vergogna’ sarà il simbolo della fine del comunismo. “Perciò non consumare i tuoi giorni migliori inseguendo il fumo di un fuoco immane. Rischi di bruciarti. Il minimo errore ti costerà caro”. Scosso da queste parole pronunciate da Ellen con molta determinazione, Corrado, che per tutto il tempo del colloquio era rimasto supino con le mani intrecciate dietro la testa, si alzò dal letto e si mise a sedere. Non replicò. Il suo sguardo sembrava perso nel vuoto. Nella sua mente, però, era in corso una profonda riflessione. Era da poco trascorsa la mezzanotte quando Corrado accompagnò Ellen alla porta e la salutò con inusuale gentilezza. Il martedì successivo fu convocato d’urgenza dal nucleo operativo dell’Alfa per riferire in merito alla missione svolta in Abruzzo. Uno dei capi era incappucciato, e non intervenne mai. Corrado fece una puntuale relazione, però quando riferì di avere visto nella villetta alcune fotografie del padre nella stanza cadde un gelido silenzio. E l’uomo incappucciato sobbalzò. Per tutta la notte Corrado fu ossessionato dal dubbio che fosse suo padre. Intanto, Tanino era arrivato a Roma animato da un’irresistibile voglia di vendetta, e si era messo a controllare tutti i mo81


vimenti di Corrado perché era fermamente intenzionato ad ucciderlo. L’idea era talmente pervasiva e ossessionante che non riusciva a pensare ad altro. Iniziò a pedinare Corrado, che non si accorse della sua presenza. Lo avrebbe sicuramente riconosciuto, perché la sua fisionomia gli era rimasta impressa. Notò, invece, di essere seguito da due individui. Una sera, dopo cena, il giovane romano ricevette una telefonata da un tedesco che aveva conosciuto nel corso della missione in Germania. La voce, inconfondibile, lo invitò in un bar della periferia di Roma per importanti informazioni che lo riguardavano personalmente. Vittima ormai del suo personaggio, Corrado commise l’imprudenza di andare all’appuntamento. In poco tempo raggiunse il luogo dell’incontro. Il degrado della zona era fiocamente illuminato dall’unico lampione. Parcheggiò la moto e si diresse verso il bar. I pochi avventori udirono uno sparo e, a distanza di qualche secondo, un’altra esplosione. Corrado continuò a camminare nel buio ancora per qualche metro come un automa. Dopo alcuni istanti s’inginocchiò lentamente e cadde riverso in avanti sull’asfalto disselciato tra due macchine in sosta. Un colpo era andato a vuoto, l’altro l’aveva colpito alla nuca, fermandosi nella zona parietale destra del cervello. L’ambulanza, chiamata dal gestore del bar, lo trasportò in ospedale. Il cuore pulsava ancora, ma Corrado non rispondeva agli stimoli. Era in stato di coma profondo. Perciò fu operato d’urgenza e condotto nel reparto di terapia intensiva. Eleonora si precipitò in ospedale, e quando vide, attraverso il vetro della stanza asettica, il figlio immobile e intubato, dette sfogo alla sua disperazione. Poco dopo arrivò anche Mario. Sul viso erano evidenti i segni di una profonda sofferenza. Per la prima volta aveva avvertito tutto il peso delle sue responsabilità. Le indagini, scattate immediatamente, si diressero verso gli ambienti della destra eversiva. Era noto a tutti l’impegno politico di Corrado, ma l’Avvocato si guardò bene dal riferire i suoi sospetti agli investigatori. 82


Mario aveva subito pensato che il nucleo operativo dell’Alfa avesse voluto eliminare il figlio, per i dubbi che aveva suscitato la sua eccessiva autonomia. Nello stesso tempo, però, non aveva escluso che fosse un avvertimento diretto a lui da parte dei servizi segreti deviati, i quali avevano assunto un rilevante potere all’interno dell’Alfa. Moglie e marito s’ignorarono come se fossero due estranei. Da parte loro, Eleonora ed Ellen non furono nemmeno sfiorate dal dubbio che si fosse trattato della vendetta di Tanino. Perciò non fecero alcun accenno alle probabili connessioni con il suicidio di Annuccia.

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IL RITORNO DI MARCELLO

Marcello, avvertito telefonicamente, arrivò con il primo aereo da Copenaghen. A causa delle temerarie scelte di Corrado aveva sempre pensato che il fratello, prima o dopo, sarebbe andato incontro a gravi pericoli. Nulla, però, aveva fatto presagire una tragedia di tali proporzioni. La morte di Corrado era ritenuta molto probabile. Nella migliore delle ipotesi sarebbe rimasto paralizzato per tutta la vita, a causa dei devastanti danni cerebrali. Arrivato a casa, la porta gli fu aperta da Ellen. Nonostante la dolorosa circostanza, rimasero per tanto tempo a guardarsi. Nella fitta corrispondenza la madre gli aveva descritto la bellezza della giovane tedesca. Tuttavia, l’impressione che ricevette andò oltre ogni aspettativa. Si abbracciarono affettuosamente come se si fossero conosciuti da sempre. Ellen continuò a scrutarlo lungamente. Era certa di averlo già conosciuto, ma, per quanto si sforzasse di ricordare, non riusciva a focalizzare la circostanza di tempo e di luogo. Allora, con un sorriso, pensò, divertita, di averlo incontrato in una vita precedente. Poi, a ben vedere, ebbe la netta impressione che assomigliasse molto a Maximilian. E il suo razionalismo vacillò per aver pensato, seppure per un attimo, a un caso di reincarnazione. Una sensazione per nulla peregrina, perché Ellen conosceva il pensiero di Jung. “L’esistenza di questi strati arcaici costituisce presumibilmente la fonte della credenza nella reincarnazione e nel ricordo di ‘vite anteriori’... noi non abbiamo nessun motivo di supporre che la struttura specifica della psiche sia l’unica cosa al mondo a non avere storia al di là delle sue manifestazioni individuali. Perché negare alla nostra coscienza una storia che abbraccia circa cinquemila anni? Soltanto l’Io cosciente comincia perpetuamente daccapo per trovare una rapida fine. La psiche inconscia, invece, non solo è infinitamente antica, ma ha la possibilità di estendersi a un altrettanto lontano avvenire”. 84


Per tutta la giornata, anche quando fecero visita a Corrado, Ellen e Marcello non smisero mai di fissarsi. Eleonora, affranta, intercettò i loro sguardi e per un attimo mise in relazione la tragica condizione di Corrado con la nascita di un amore. E provò uno strano sentimento. Mai provato prima. Una commistione di disperazione e di gioia. La riprova l’ebbe la sera, dopo cena, quando decisero di trasferirsi in salotto. Dopo avere parlato lungamente della disgrazia e della decisione dell’Avvocato di separarsi da Eleonora, Marcello, rivolgendosi dolcemente alla madre, disse: “Ho pensato, mamma, di tornare definitivamente a Roma. Del resto non esistono più i motivi che m’indussero a partire per la Danimarca. Allora accettai la proposta di lavoro della società danese perché all’esigenza di trovarmi un’occupazione unii anche la necessità di allontanarmi dalla famiglia per un certo periodo. Sai bene che l’incompatibilità di carattere che mi spingeva a polemizzare sempre con papà e Corrado mi creava grandi turbamenti. In effetti si somigliano molto, ed erano sempre coalizzati contro di me. Tu ed io, invece, siamo sempre stati in piena sintonia”. “È una notizia meravigliosa. Ora sono sicura che l’arrivo di Ellen e il tuo ritorno colmeranno il vuoto che si è creato in questa nostra disgraziata famiglia” - lo interruppe Eleonora, guardando Ellen per verificare la sua reazione. La giovane le rispose con un raggiante sorriso. “A Roma non starò con le mani in mano. Aprirò uno studio di consulenza e coltiverò la passione per la pittura. A proposito, mamma, i miei quadri hanno ottenuto un buon successo a Copenaghen. So che questo ti fa molto piacere. Conosco bene la tua sensibilità artistica unita a una notevole competenza”. “Sì, lo so. Me l’hai accennato in una delle ultime lettere. Sono ansiosa di vederli”. “Dopodomani partirò per la Danimarca. Devo risolvere il rapporto di lavoro. Subito dopo rientrerò a Roma, portando con me, tra le tante cose, anche i quadri. Uno mi sta particolarmente a cuore. Ritrae il nudo di una donna. Il suo volto e quello di Ellen si somigliano in modo impressionante”. “Come è possibile, se hai conosciuto Ellen soltanto in questi giorni?”. “È una misteriosa coincidenza, mamma. Non ho usato una modella. 85


L’ho dipinto dopo avere sognato una donna vissuta in un’altra epoca”. La rivelazione di Marcello ebbe su di Ellen l’effetto del tuono nel buio. Questa volta non sorrise, pensando alla reincarnazione. Esoteriche sensazioni riemersero improvvisamente dall’abisso dell’inconscio e le diedero la certezza di avere conosciuto Marcello. Forse in un’altra vita. E allora si chiese come fosse possibile all’anima di una persona vissuta nel passato reincarnarsi in un altro corpo. Pensò a Maximilian e guardò Marcello. Ed ebbe un fremito. L’impressione dovette essere sconvolgente, perché Eleonora notò la repentina trasfigurazione del suo volto. “Che cosa ti succede, Ellen? Non ti ho mai vista così... ti ha turbato il racconto di Marcello? Lo ritieni inverosimile? Io credo invece che il quadro sia stato dipinto sotto l’effetto di una forte suggestione. Nelle mie lettere ho sempre esaltato la tua personalità, tratteggiando anche i caratteri del tuo bel viso. Bisogna dire che Marcello è stato molto bravo. Da lontano, senza conoscerti, ha saputo raffigurarti su una tela”. Poi rivolse uno sguardo compiaciuto al figlio. “Complimenti, caro Marcello. Del resto non ho mai avuto dubbi sulle tue capacità artistiche. Collocheremo il quadro nel punto più bello del salotto. Proprio vicino al pianoforte”. Ellen e Marcello, pensosi, si guardarono lungamente. “Ti ringrazio, mamma. Partirò tra qualche giorno per Copenaghen con la jeep di Corrado. Dopo gli adempimenti burocratici per la cessazione del mio rapporto di lavoro, caricherò sulla vettura tutte le mie cose e tornerò a Roma. Ellen, ti prego di volermi fare compagnia. Potremmo approfittare del viaggio per visitare alcune importanti città”. Ellen non aspettava altro. “Felicissima di accompagnarti, però mi preoccupa il pensiero di lasciare Eleonora in un momento così doloroso”. Eleonora, certa che tra Ellen e Marcello fosse ormai nato un feeling che aveva superato i limiti di un’affettuosa amicizia, non se lo fece ripetere due volte. Diede così il suo assenso, convinta che il lungo viaggio avrebbe consentito ai due giovani una più approfondita conoscenza. “Non avete certamente bisogno del mio permesso. Tu, cara Ellen, non farti alcun problema, mi occorre un periodo di solitudine per riflettere profondamente su tutto ciò che mi è piovuto addosso. Ci rivedremo pre86


sto, per iniziare una nuova vita. Vi raccomando soltanto di osservare la massima prudenza. Non riuscirei a sopportare altri dolori”. Si augurarono la buona notte, ma nessuno di loro riuscì a dormire. Il giorno dopo passò rapidamente. Eleonora lo trascorse vicina a Corrado. Ellen e Marcello decisero di fare una lunga passeggiata per il centro di Roma e di pranzare in un noto locale di Piazza del Popolo. Rientrarono nel primo pomeriggio per i preparativi. Partirono alle prime luci dell’alba, per arrivare dopo poche ore a Firenze. Ellen aveva espresso il desiderio di visitare la città del Rinascimento. Sapeva che a Firenze vissero Cimabue e Giotto, padri della pittura italiana; Masaccio, Donatello e Brunelleschi, che inaugurarono il Rinascimento, e i più grandi geni di tutti i tempi: Leonardo e Michelangelo. In due giorni, anche se sommariamente, visitarono gli Uffizi; la Galleria Palatina; il Bagello; i monumenti e i palazzi che segnano le varie tappe della civiltà artistica fiorentina: Palazzo Vecchio; Palazzo Medici; Palazzo Pitti; il Duomo; il Battistero; Piazza della Signoria e il David di Michelangelo. Ellen comprese perché diverse persone, dopo aver guardato attentamente questi meravigliosi capolavori, sono colpite da una particolare affezione psicosomatica: la sindrome di Stendhal, detta anche “di Firenze”, che provoca vertigini, confusione, tachicardia e allucinazioni. Trascorsero la notte in un albergo del centro, in camere separate. Marcello, che aveva avuto relazioni con molte donne, talune sposate, era più attratto dalla bellezza dell’anima di Ellen che dal suo sinuoso corpo. Ripartirono oltrepassando Bologna, Verona e il lago di Garda. Percorsero l’autostrada del Brennero fino a Bolzano. Pernottarono a Innsbruck. L’indomani, di buon mattino, fecero una rapida visita al centro storico, passeggiando per le belle vie nei pressi della Loggia d’oro. La jeep riprese il viaggio: destinazione Salisburgo, dove arrivarono all’ora di pranzo. Quando Ellen, poco più che bambina, decise di seguire le 87


orme paterne iniziando lo studio della musica, fu affascinata dal classicismo settecentesco e dal suo principale esponente, Wolfgang Amadeus Mozart, considerato da Nietzsche il simbolo dello Spirito apollineo della musica, in contrapposizione a Wagner che il filosofo definì lo Spirito dionisiaco della musica. L’eleganza stilistica, l’armonia, l’olimpica serenità e i divini vertici raggiunti dal salisburghese avevano accentuato a dismisura la sua passione. Perciò, appena entrò nella casa del genio musicale nella Getreidegasse e vide il primo pianoforte di Amadeus, una lacrima solcò il suo viso. Nel pomeriggio ripartirono per Copenaghen, che raggiunsero dopo aver fatto alcune soste. Durante il viaggio risuonarono nella mente di Ellen alcune composizioni mozartiane; in modo particolare e ossessionante le note del concerto n. 21 K 467, la cui prima esecuzione in pubblico la rese nota a Berlino come pianista di sicuro avvenire. Già, Berlino, la sua cara città. Martoriata. Ebbe un momento di profonda nostalgia. Il mini appartamento che Marcello occupava al centro della città danese non aveva certamente le caratteristiche di un ambiente borghese. Era più che altro quello di un bohemienne. C’erano quadri dappertutto. Un cavalletto era posto tra la finestra e il letto. Alla parete dirimpetto all’ingresso era collocato il dipinto descritto da Marcello. Riproduceva la Maja desnuda di Francisco Goya, ma il viso era quello di Ellen. La spiegazione fornita da Eleonora poteva anche essere fondata: Marcello era stato suggestionato dalla descrizione della bellezza di Ellen che la madre faceva al figlio nelle sue lettere. Non poteva sapere, però, che la giovane tedesca avesse due vistosi nei vicino all’ombelico. “Questo quadro è sublime... però c’è un particolare che non potevi conoscere... non mi spiego come sia stato possibile dipingerlo” - disse Ellen visibilmente stupita. “È esattamente come l’ho sognato” - rispose Marcello. “Davvero sconcertante!” - replicò Ellen stupefatta. Il tempo di caricare la jeep e ripartirono alla volta di Roma. 88


Sulla via del ritorno Ellen pregò Marcello di passare per Bonn. Una tappa obbligata, che per lei aveva il valore di un pellegrinaggio. Al calar della sera arrivarono nella città di Ludwig Van Beethoven, dove decisero di trattenersi almeno un paio di giorni. In albergo trovarono una brochure che riportava alcuni brani delle lettere del divino compositore. Ellen le aveva già lette, tuttavia fu colta da una profonda commozione e pensò che la grandezza del genio fosse pari alla sua umiltà: “O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un’apparenza... pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla vana speranza di un miglioramento... ho dovuto isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo... Se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l’infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore ... Noi, esseri limitati dallo spirito illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza”. Ellen comprese allora perché il buon Dio, per esprimere tangibilmente la sua presenza, sottopone il genio a insopportabili sofferenze. E il suo pensiero andò al quarto movimento della Nona sinfonia: l’Inno alla gioia! Anche la concezione dell’amore, espressa da Ludwig nella lettera a Josephine von Brunswick, aveva per Ellen un valore paradigmatico: “Non è l’attrazione dell’altro sesso che mi attira in lei, no, soltanto lei, tutta la sua persona con tutte le sue qualità hanno incatenato il mio rispetto, i miei sentimenti tutti, la mia sensibilità intera. Quando mi accostai a lei mi ero formato la ferma decisione di non lasciar germogliare neanche una scintilla d’amore. Ma lei mi ha sopraffatto... mi lasci sperare che il suo cuore batterà a lungo per me. Di battere per lei, amata Josephine, questo mio cuore non cesserà se non quando non batterà più del tutto”. 89


Ellen ripiegò la brochure e guardò amorevolmente Marcello, il quale si accorse che la sua amica di tanto in tanto rivolgeva un nostalgico sguardo al pianoforte a coda posto in fondo all’ampio salone. Chiese allora al direttore dell’albergo di consentire alla sua amica di suonare un brano di Beethoven. Al termine della splendida esecuzione del Chiaro di luna, che intimamente dedicò a Marcello, tutti i presenti si alzarono in piedi, tributandole un lungo applauso. Era presente un concertista che, rimasto molto impressionato, si avvicinò e chiese di conoscerla: “Mi chiamo Gianluigi Bruni. Sono un violoncellista dell’Orchestra sinfonica di Roma... desidero esprimerle i miei più sinceri complimenti per il suo pianismo... è semplicemente sublime. Mi consenta di dirle che lei è all’altezza dei migliori pianisti. Questo è il mio biglietto da visita. Mi è gradito invitarla al Conservatorio per un provino”. “La ringrazio molto per i complimenti e per l’attenzione. Mi farò sentire nei prossimi giorni, perché è mio desiderio ricominciare l’attività concertistica. Per una serie di circostanze ho dovuto sospenderla” - rispose con sussiego Ellen. Stentò a prendere sonno; pensò molto alla sua carriera artistica. Trascorse, però, gran parte della notte a considerare che fosse giunto il momento di riferire a Marcello le sue traversie; in particolare, i sentimenti che dall’infanzia l’avevano legata a Maximilian fino alla sua tragica morte, e la violenza subìta da Corrado che l’aveva costretta ad abortire. Non fu difficile, perché da molto tempo aveva rimosso nell’inconscio il bagaglio di tribolazioni, liberando completamente la sua coscienza. Quel passato non le apparteneva, perché la purezza dell’anima aveva avuto la prevalenza sulla corruzione del corpo. Durante il viaggio fino a Roma non parlarono d’altro. “Non ho mai pensato che la morale si trovi alla confluenza delle nostre gambe. Il sesso senza amore rientra nell’ambito dei nostri appetiti temporali. Insomma, è come andare al ristorante. In quel caso è la gola, nel caso del sesso sono i genitali a essere soddisfatti. Invece, l’arte consente di vivere liberamente fuori dalla gabbia degli interessi materiali imposti dalle convenzioni del tempo. Gli inglesi affermano che il tempo è denaro! Il denaro, però, è volatile come il tempo. 90


L’amore è eterno”. Con queste considerazioni Marcello interruppe il lungo racconto della sua giovane amica. “Perciò, quando l’amore tra due esseri è immune da qualsiasi interesse contingente, è lo spirito dell’amore eterno che dà forma ai loro corpi?” interloquì Ellen. “Ne sono convinto!”. “È questa la spiegazione del mistero del tuo quadro?”. “Sì. L’ho capito dal primo momento che ti ho visto”. “Anch’io ho avuto la stessa sensazione, quando ho aperto la porta al tuo ritorno a casa da Copenaghen. La certezza, però, l’ho maturata appena ho osservato attentamente i particolari del quadro. Avrai notato il mio stupore, giacché soltanto esoteriche condizioni potevano farteli conoscere”. “Ho dipinto una donna vissuta in un’altra epoca così come mi è apparsa in un sogno rivelatore, e mi sono ispirato alla Maya desnuda di Goya, ma prima di mettere il quadro nel salotto di casa lo dedicherò a te”. Se qualcuno, condizionato dalle razionalistiche convinzioni del nostro tempo, avesse ascoltato per caso questo strano colloquio, li avrebbe considerati dei pazzi da internare senza perdere un minuto di tempo. A ben vedere, però, l’amore disinteressato non è forse una delle tante manifestazioni di una tenera follia? Intanto, durante l’assenza di Ellen e Marcello, Eleonora si era frequentemente abbandonata ai ricordi e a lunghe meditazioni. Continui flashback si erano intrecciati alle immagini della sua tragica realtà. Perciò le espressioni del suo viso cambiavano continuamente. E la serenità donata dal ricordo dei tempi felici era solcata dalle lacrime ancora abbondanti. Con la forza di un turbine ritornò nella sua mente la resistenza che oppose al pressante corteggiamento del marito, perché riteneva inconciliabili i loro diversi caratteri. Si erano conosciuti negli anni del liceo, quando non perdevano alcuna occasione per sostenere vivaci polemiche. “È l’amore che concilia gli opposti” - le disse un giorno Mario ricorrendo a uno strano teorema – “Il quadrato rappresenta l’unità, ma se è diviso da una linea diagonale si trasforma in due triangoli con i vertici volti verso opposte direzioni. 91


Soltanto un grande fattore può tenere insieme le due triadi, per conservare l’unità del quadrato. Nel nostro caso sarà l’amore, che non tarderà a nascere, ad annullare la linea diagonale che ora ci divide!”. L’errore di Eleonora fu di non capire subito che dietro il teorema del quadrato si annidava il male subdolo: la mancanza dell’amore. Perciò le due triadi furono destinate a percorrere strade diverse, fatta eccezione per i primi anni di vita matrimoniale che furono in buona parte felici. All’Avvocato, però, interessava più la posizione sociale della moglie che il suo amore. Dopo il conseguimento del successo professionale manifestò la sua vera personalità. Quando finalmente Eleonora lo comprese, pur di non perderlo conciliò il ruolo di moglie e di amante del marito. Innamorata, si sottopose alle sue più impensabili perversioni sessuali, fino al punto di desiderarle. L’estate, sulla spiaggia del Circeo, il suo corpo sinuoso era l’oggetto del desiderio di tutti gli uomini. Gradiva essere ammirata e talvolta penetrata dagli sguardi. Un pomeriggio rovente, distesa a prendere il sole, si accorse che un bel giovane, a poca distanza, non staccava neppure per un attimo lo sguardo dalle sue gambe affusolate. Ebbe un brivido. Il giovane se ne avvide, si avvicinò e con garbo iniziò una discreta conversazione. Era spagnolo. Bellissimo. “Posso avere l’onore di parlare con la bella Dulcinea?”. Un approccio, in verità, del tutto singolare, e molto gradito da Eleonora che invitò il giovane ad accomodarsi. “Mi presento: sono Don Chisciotte della Mancia, il cavaliere senza onta e senza paura amante della bellezza e della giustizia”. E accompagnò queste parole con un seducente sorriso. Per una curiosa combinazione Don Chisciotte era proprio uno dei personaggi preferiti da Eleonora, che chiese al giovane, il quale in realtà si chiamava Fernando, cosa rappresentasse il bizzarro personaggio di Cervantes nell’immaginario collettivo degli spagnoli. “La reincarnazione di Gesù” - rispose apoditticamente Fernando. 92


La conversazione, quindi, si sviluppò attorno al concetto di bellezza, che, unitamente alla giustizia e alla difesa dei più deboli contro ogni sopraffazione, avrebbe salvato il mondo. La vasta cultura di Fernando impressionò Eleonora, che rimase incantata e non si avvide del male subdolo che si celava dietro alle belle maniere del giovane. Pertanto, quando Fernando, certo di essere entrato nelle grazie di Eleonora, la invitò a cena in un noto locale del Circeo, ottenne una convinta adesione. Passò a prenderla con la sua sportiva MG. Allorché, elegantissimi, entrarono nel ristorante, tutti gli sguardi si appuntarono su di loro. Durante la cena trattarono argomenti meno impegnativi, e non mancarono allusioni alle quali Eleonora non dette soverchia importanza. Appena l’orchestra iniziò a suonare Cuando calienda el sol Fernando la prese deliziosamente per mano, invitandola a ballare. La strinse fortemente a sé. A un tratto, le mancò il respiro e si sentì venir meno. Aveva avvertito sul suo ventre la prorompente pressione del corpo di Fernando, il quale, approfittando di quel momento di abbandono, la cinse alla vita e l’accompagnò verso la spiaggia. Sarà stato anche per effetto del buon vino, ma Eleonora non oppose alcuna resistenza al giovane spagnolo. Era ormai alla sua mercé, per la scomparsa di ogni freno inibitorio. Nemmeno il vestito ostacolò le mani esperte di Fernando. Slacciata la cerniera, l’indumento scese lentamente lungo il sinuoso corpo dispiegandosi sulla sabbia, mentre Eleonora, abbandonata tra le braccia di Fernando, si lasciava adagiare sulla battigia con amorevole delicatezza. Il mare le accarezzò i piedi, e la dolce intermittenza delle onde stimolò ulteriormente la sua voluttà. Era rimasta con la succinta biancheria intima, bianca, ornata di merletti, che contrastava con l’abbronzatura sulla quale si specchiavano i raggi di una splendida luna piena. Nessuna parte di quel meraviglioso corpo fu risparmiata dai baci di Fernando. I sospiri di Eleonora, le dolci parole sussur93


rate dal giovane e la musica del mare componevano un’esaltante sinfonia dei sensi. Eleonora inarcò il suo armonioso corpo, per aiutare il giovane a sfilarle le mutandine, e si aprì come una conchiglia che si dischiude per mostrare la sua perla. Improvvisamente, una frase maldestra di Fernando le consentì di riappropriarsi della sua coscienza. Il ricorso alla volgarità durante l’amplesso, secondo l’abituale comportamento del giovane spagnolo, avrebbe dovuto accentuare il desiderio di Eleonora. Ottenne invece una forte e dignitosa reazione: non poteva consentirgli di essere trattata alla stregua di una prostituta, dopo essere stato molto galante. Pertanto, proprio mentre stava per essere posseduta, si divincolò, si alzò furiosamente, prese il vestito insabbiato, lo indossò e si mise a correre verso l’auto. La porta della coscienza non fu spalancata dalle considerazioni moralistiche che connotano i comportamenti dei sepolcri imbiancati, i quali trascorrono la vita a rimpiangere le occasioni perdute. Fu piuttosto la repentina consapevolezza di essere considerata lo strumento occasionale del piacere sessuale. Nel momento essenziale era mancato il coinvolgimento della sua anima. La dignità di donna aveva avuto il sopravvento sul male subdolo. In effetti, Fernando avrebbe voluto possederla come un trofeo, senza anima, ma fu costretto a registrare un clamoroso insuccesso. Era stato incapace di comprendere le reali esigenze mentali della giovane donna. Il silenzio caratterizzò il viaggio di ritorno. Soltanto Eleonora intimò a Fernando con voce ferma di non cercarla più, prima di uscire dall’auto, sbattendo violentemente lo sportello. In un momento di intimità ritenne di confessare al marito quell’episodio, convinta, nonostante la particolare circostanza, di essergli rimasta fedele. È fuori di dubbio che non si aspettava alcun compiacimento; pensava invece di suscitare la sua gelosia. Ed era pronta 94


a sopportare qualsiasi reazione. Ogni sua attesa, però, venne delusa. Da molto tempo era esplosa la passione tra il marito e la giovane segretaria, dopo una lunga serie di relazioni con donne compiacenti. Perciò, la rivelazione di Eleonora gli fu del tutto indifferente. Probabilmente per queste cause, Eleonora finì con l’accettare passivamente i rapporti lesbici con la domestica filippina. Per una latente omosessualità? Sicuramente per il desiderio di tenerezza. La moviola dei ricordi si fermò anche sulle corse a piedi nudi in riva al mare, inseguita da Corrado e Marcello, quando ancora bambini crescevano felici nell’armonia familiare. Immagini che furono dissolte da quelle successive, allorché, a causa della separazione dal marito, l’educazione dei figlioli pesò completamente su di lei. Come succede, però, in questi casi, i figli, in mancanza della presenza del padre, corrono il rischio di cadere nel complesso materno. E ciò avvenne prevalentemente a danno di Corrado, a causa della sua debolezza psicologica. Per questo motivo Eleonora aveva sempre avuto una particolare attenzione per lui. Non sapeva, però, che la sua eccessiva protezione avrebbe provocato, giorno dopo giorno, gravi effetti proprio sullo sviluppo mentale del figlio. Marcello, invece, ebbe un percorso diverso. Le tempeste familiari lo forgiarono. A dimostrazione che non sempre la coscienza formata dall’ambiente annulla i caratteri ereditari. Infatti le due triadi scaturite dalla scomposizione del quadrato familiare, spinte verso direzioni contrapposte, non avevano mutato le sue naturali predisposizioni. Intanto, il provvidenziale arrivo di Ellen stava cambiando la vita di Eleonora. E lo doveva al povero Corrado, che aveva introdotto in casa la giovane tedesca. Distesa sul divano, a occhi chiusi, Eleonora guardava la carrellata di immagini del suo passato, quando un’insistente scampanellata la riportò alla realtà. Due persone suonavano il campanello in quel modo: il marito e Corrado. Pertanto non si scompose per niente quando 95


aprì la porta e le apparve Mario. Erano mesi che non si faceva vivo. Anche in occasione dell’incontro in ospedale il loro saluto era stato algido. Un gesto di circostanza. “Ely, dopo la tragedia che ci ha colpito forse è giunto il momento di dirci le verità che per tanti anni abbiamo coperto con un velo di ipocrisia” - disse appena prese posto in salotto. “Sono stata sempre sincera e fedele... chi ha sempre mentito sei stato proprio tu... non mi hai mai amata... mi hai usata per i tuoi scopi. Raggiunto l’apice della carriera hai rivelato tutto il tuo cinismo. “Mi hai moralmente abbandonata insieme ai nostri figli per inseguire le tue puttane... tra noi è mancato l’amore... il sentimento che doveva sostenere il tuo tanto decantato teorema del quadrato... ” - Eleonora era un torrente in piena, perché in tanti anni il marito non le aveva mai dato l’occasione di esprimere il suo risentimento. Tutte le volte che aveva provato a farlo era stata sempre fermata con arroganza. “La mancanza d’amore, l’opportunismo, i perversi comportamenti che hai manifestato senza infingimenti in tutti questi anni... almeno in questo sei stato sincero... hanno spinto Corrado a condurre un’esistenza scellerata... le tragiche conseguenze sono sotto i nostri occhi. A questo punto non resta che regolare la nostra definitiva separazione”. L’Avvocato era convinto che la decisione di attentare alla vita del figlio fosse partita dagli infiltrati nell’organizzazione neonazista. Non aveva nessun dubbio, anche perché non conosceva i motivi che avevano indotto Annuccia a suicidarsi. Tantomeno poteva sapere che Tanino, il fidanzato della domestica, si trovasse a Roma nel giorno dell’agguato con la precisa volontà di uccidere Corrado. Perciò, si sentiva personalmente responsabile. E lo sfogo di Eleonora l’aveva profondamente scosso. “Sono venuto proprio per questo. Per lasciarti completamente libera. Sono un fallito... la smodata ambizione mi ha permesso di raggiungere alte mete. Ma alla carriera ho sacrificato l’amore, il sentimento che dà valore alla vita. Sono un fallito, e passerò il resto della mia vita a espiare le mie colpe”. Mario non aveva mai amato Eleonora. 96


Poiché gli pesava molto la sua umile origine aveva avuto bisogno di inserirsi in una famiglia della borghesia romana, per salire ai piani alti dell’ordine sociale. Più si affermava professionalmente, più aumentava a dismisura il suo cinismo e la sua superbia. L’indifferenza nei confronti della moglie, con il passar del tempo, si era trasformata in disprezzo. Quando era in casa si chiudeva nella stanza Beta, che si era fatta allestire nel lussuoso appartamento di proprietà di Eleonora, di cui aveva l’accesso esclusivo. Eleonora era venuta a conoscenza soltanto di recente del fatto che la stanza fosse insonorizzata e blindata, e che un particolare specchio consentisse al marito di “vedere senza essere visto” tutto ciò che avveniva nel salotto. Perciò non sapeva cosa facesse Mario quando s’incontrava con gli amici e con la segretaria. La porta della stanza Beta si apriva elettronicamente con un codice segreto, conosciuto soltanto dall’Avvocato. Eleonora evitava di chiedere spiegazioni, non tanto per connaturata discrezione, quanto per tenere lontano la triste realtà. Era grande anche il timore di turbare il loro instabile equilibrio. Tanto meno poteva intuire che il marito, nel momento in cui faceva sesso con la sua giovane amante, godesse nell’osservarla attraverso lo specchio, seduta in salotto, quando restava in casa nelle rare concomitanti occasioni. Tuttavia Eleonora aveva ben presente le perverse tendenze del marito, perché doveva sovente sottostare alle sue voglie nella vana speranza di evitare che l’affannosa ricerca di donne libidinose diventasse una vera e propria dipendenza. Nonostante tutto, non voleva perdere il padre dei suoi figli. Sperava sempre di ricomporre con l’amore l’unità familiare. Del resto, non era stato proprio lui a convincerla con il teorema del quadrato? Ma il loro tempo era ormai passato! “Sì, è vero. È finalmente giunto il momento di porre fine a questa ignobile farsa. Il ritorno a casa di Marcello, che grazie a Dio non ti assomiglia affatto, e la presenza di Ellen, che, oltre ad essere un’eccellente pianista, è un’anima deliziosa, mi hanno ridato la voglia di vivere. Non ci mancava nulla... potevamo essere felici... hai rovinato tutto”. 97


Mario, che era rimasto in silenzio durante lo sfogo di Eleonora, ritenne allora di dimostrare che la moglie non era immune da colpe. Le chiese, perciò, di seguirlo nella stanza Beta. Digitò il codice segreto e la porta dolcemente si aprì. Appena entrati Eleonora trasalì, ancora una volta, quando vide il salotto attraverso lo specchio. Il pensiero che il marito e la sua giovane amante fossero stati testimoni delle sue frequenti effusioni con la domestica filippina le tolse ogni forza. E si lasciò cadere esausta sul divano. “Da questo momento ti lascio libera anche questa stanza, che ha assistito a tutte le fasi della scomposizione del quadrato familiare. Purtroppo le due triadi continuano a percorrere strade diverse, perché è mancato l’amore. Quello vero. Avevi visto giusto, però le cose sono andate così. Ti farò conoscere le modalità della separazione. Sei abbastanza ricca da vivere senza problemi”. Mentre Mario usciva dalla stanza Eleonora fece avvolgere all’indietro la moviola dei ricordi, e rivide il momento in cui aveva respinto il corteggiamento del marito. Se avesse ascoltato allora il suggerimento dell’inconscio la sua vita avrebbe avuto un diverso destino. Avrebbe capito che non erano fatti per la vita coniugale, perché amarsi non vuole dire fissarsi negli occhi, ma guardare insieme verso la stessa meta. Invece, si fece abbagliare dalle apparenze che avevano invaso la sua coscienza: Mario era bellissimo e molto intelligente. L’amore sarebbe arrivato dopo, secondo il teorema del quadrato. Invece, Eleonora maturò la consapevolezza che il male subdolo le avesse celato la verità solamente quando la sua vita era stata in gran parte rovinata. E pianse amaramente.

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ELLEN E MARCELLO UNITI DALL’AMORE E DALL’ARTE

Nella tarda mattinata del giorno dopo Ellen e Marcello arrivarono a Roma. Appena Eleonora apri la porta, subito dopo i convenevoli, posò lo sguardo sul dipinto e rimase basita. Lo stupore aumentò smisuratamente nel constatare che Marcello lo avesse dipinto quando ancora non la conosceva. Con il nuovo titolo, Ellen desnuda, fu posto sulla parete vicina al pianoforte a significare che la musica e la pittura, le forme più espressive dell’arte, avrebbero connotato quell’angolo del salotto e riempito di fantastici colori e armonici suoni l’atmosfera della casa, dopo tanti anni di grigiore. La sera stessa Eleonora osservò estasiata Ellen mentre eseguiva un Notturno di Chopin, e il quadro di Marcello. E si convinse sempre più che era iniziata una nuova vita. La tragica condizione di Corrado e la separazione dal marito sembrarono avvenimenti lontani nel tempo, addirittura come drammatiche esperienze capitate ad altre persone. Guardò, compiaciuta, i due giovani, e il suo viso tornò bello e sereno come una volta. A conclusione di una profonda meditazione, illuminata dalla fede, si convinse che i fatti accaduti negli ultimi mesi non potevano essersi verificati a caso, ma in forza di un disegno provvidenziale: l’attuazione del piano divino della sofferenza. Una forza superiore la dirigeva verso fini che andavano oltre quelli dettati dalla coscienza, realizzando scopi diversi, sovente contrapposti, rispetto al conseguimento di quelli imposti dagli insani rapporti con il marito. Sicché il conflitto tra la coscienza, invasa dai condizionamenti dell’ambiente, e l’inconscio, dove, giorno dopo giorno, era stata forzatamente costretta a rimuovere la sua autentica personalità, si era risolto con la vittoria dell’amore sull’odio e della generosità sull’egoismo. Si era verificato un vero e proprio cambiamento di paradig99


ma, determinato dall’eterogenesi dei fini. Dopo lunghi e approfonditi colloqui con il suo confessore decise di entrare nell’associazione che organizzava i Treni bianchi diretti a Lourdes. Nel frattempo, trascorreva le sue giornate al capezzale di Corrado. Coloro che conoscevano la sua storia la salutavano con ammirazione. Taluni si commuovevano vistosamente. Anche molti di coloro che nel passato, percependola moglie e madre felice, l’avevano guardata con irrefrenabile invidia. Altri godevano con cinismo per le sue disgrazie, abbozzando un sorrisetto di compatimento. Venne finalmente il giorno della partenza per Lourdes. Aveva da molto tempo organizzato il pellegrinaggio, per chiedere accoratamente aiuto alla Madonna. Un viaggio di fede e di speranza. Quando fu ai piedi dell’Immacolata, Eleonora, in ginocchio, chiese, supplicò, chiese ancora... e rimase lungamente in contemplazione, mentre tutt’intorno si diffondeva una soave spiritualità. Non fu esaudita, ma da quel momento la sua vita non fu più come prima. Eleonora aveva vissuto negli agi di una famiglia aristocratica, perciò la coscienza di classe aveva impedito ai suoi naturali valori di riemergere, perché la ricchezza e il possesso avevano sempre avuto la prevalenza sulla sobrietà e la generosità. Attraverso la completa dedizione ai più svantaggiati aveva trovato la sua vera ragione di vita, facendosi carico d’inenarrabili sacrifici. Al suo ritorno apparve raggiante a Ellen e Marcello, che in assenza di lei avevano trasformato la stanza Beta in Studio Chopin. I nudi femminili erano stati rimossi e sostituiti con i quadri di Marcello. Il famigerato specchio era stato coperto da una gigantografia di Chopin. Un altro pianoforte era stato messo al posto del divano bianco. Avevano deciso di disfarsene, per evitare che continuasse a suscitare spiacevoli ricordi. Il pianoforte a coda era stato lasciato nel salotto. 100


Ellen trascorreva gran parte della giornata a esercitarsi prevalentemente al piano e, per alcune ore, all’oboe. Precorreva i tempi per tornare quanto prima all’attività concertistica. Perciò contattò il violoncellista conosciuto a Bonn, che le fissò un appuntamento per un’audizione. Accompagnata da Marcello, consapevole dell’importanza del provino dal cui esito sarebbe dipeso il suo futuro artistico, si presentò trepidante al conservatorio. Il violoncellista con un sorriso rassicurante andò incontro ai due giovani, e si congratulò per la puntualità. “Ho ancora presente la sua eccellente esecuzione nell’albergo di Bonn. Il provino sarà una semplice formalità. Mi piace ribadirle che il suo pianismo è eccellente. Pertanto, non ho nessuna difficoltà nel predirle un futuro di grandi successi”. “Non sono nuova a questo genere di prove. Ho una notevole esperienza. Purtuttavia non ho mai sentito tanta responsabilità come in questo momento” - rispose Ellen. “Vedrà che tutto andrà nel migliore dei modi” - replicò il musicista. Accompagnata dall’orchestra, eseguì il Concerto per piano n. 21 K 467 di Mozart in modo sublime, tanto che alla fine gli orchestrali si alzarono in piedi per tributarle il meritato omaggio con una lunga ovazione. Il direttore le baciò la mano e le espresse vive congratulazioni. Marcello la cinse a sé con un caloroso abbraccio. Fu l’inizio di una prestigiosa carriera. Ebbe in poco tempo lo status di profuga, in attesa del conferimento della cittadinanza italiana, e iniziò una serie di concerti alla radio nazionale. Marcello, che in un primo momento aveva espresso l’intenzione di aprire un ufficio di consulenza industriale, accettò con piacere l’incarico di procuratore, utilizzando i ritagli di tempo per soddisfare la sua passione: la pittura. E, forte del successo conseguito con il quadro dedicato a Ellen, decise di dipingere quasi esclusivamente il nudo femminile. La scelta fu sicuramente determinata dall’armonioso corpo dell’amica musicista, che accettò di posare come modella nei 101


momenti d’intervallo tra uno studio e l’altro. Vivevano ormai nella più completa comunione spirituale, rimuovendo le continue pulsioni sessuali suscitate costantemente dall’attrazione fisica, perché aspiravano a raggiungere la totale unità mistica di anima e corpo con la musica e la pittura, approfondendo i temi connessi alla filosofia dell’arte. “Robert Schumann era solito affermare che l’estetica di un’arte è quella delle altre; soltanto il materiale è diverso” - disse Ellen. Durante il secolo dei Lumi si sarebbero trovati su posizioni contrapposte, se si tiene conto che la musica era considerata dagli Illuministi l’ultima delle arti, per un presunto scarso valore discorsivo e semantico. La rivoluzione romantica stabilì invece stretti legami organici tra le varie forme artistiche, e in modo particolare tra la musica e la pittura. Ellen e Marcello si chiedevano con una certa insistenza, tra il serio e il faceto, se avessero avuto una vita precedente, come i particolari del quadro Ellen desnuda facevano pensare. Certo è che su di loro spiravano esoteriche atmosfere. Ma, dopo i voli pindarici, tornavano immediatamente a trattare argomenti più concreti. “Da appassionato pittore devo però ammettere con Rousseau che il musicista possiede il grande vantaggio di poter dipingere le cose che non si possono ascoltare, mentre è impossibile per un pittore rappresentare le cose che non si possono vedere; il più grande prodigio di un’arte, che agisce solo attraverso il movimento, è di potere perfino formare l’immagine della quiete” - disse Marcello con enfasi. “L’elemento proprio della musica è l’interiorità, il sentimento invisibile o senza forma, che non può manifestarsi in una realtà esterna, ma solamente per mezzo di un fenomeno esteriore che scompare rapidamente e si autocancella. Quindi l’anima, lo spirito, nella sua unità immediata, nella sua soggettività, il cuore umano, la pura impressione, tutto ciò costituisce l’essenza stessa di quest’arte” - aggiunse Marcello, dopo una breve interruzione, leggendo l’illuminante pensiero di Hegel. Ma fu interrotto con sussiego da Ellen. “Non è così, Marcello. O perlomeno non lo è sempre. Il quadro che mi hai dedicato dimostra chiaramente che quando lo spirito dell’artista prorompe dalla profondità dell’inconscio il genio, musicista o pittore, 102


può addirittura rappresentare immagini e atmosfere sconosciute di epoche passate”. “Sì, è davvero sconcertante. Ho la sensazione di aver dipinto la tua immagine suggestionato dalla puntuale descrizione di mia madre. Sai bene che ha per te una sconfinata ammirazione. Tuttavia non si spiegano alcuni dettagli che non potevo conoscere. Ciò potrebbe dare un fondamento alle tue argomentazioni” - disse Marcello. “Il razionalismo, lo scientismo e la diffusione del materialismo hanno obnubilato il divino e la sensibilità di percepire la realtà extrasensoriale” - intervenne Ellen con forte determinazione. “Non è il nostro caso” - la interruppe Marcello. “Infatti noi seguiamo con convinzione le nostre intuizioni, perché crediamo che alcuni misteri siano compresi soltanto se si ha il coraggio di gettarsi per toccare il fondo” - disse Ellen. “Come quando ci tuffiamo nell’acqua sicuri che essa si aprirà sotto di noi?” - chiese Marcello. “Certamente. - affermò Ellen - Non credi che vi siano delle cose alle quali bisogna prima credere, per poterle poi capire?”. “Ne sono convintissimo - rispose Marcello - Però nell’uomo moderno occidentale predomina l’emisfero cerebrale sinistro, che è la sede del pensiero razionale, radicalmente fondato sul tempo e sullo spazio”. “Sì. - Ribadì Ellen – È scientificamente dimostrato che l’emisfero cerebrale destro, sede del pensiero immaginativo, musicale, emotivo e partecipativo, è meno attivo perché è sottoposto all’influenza del sinistro”. “Tieni conto che gli studi tecnici hanno accentuato la mia capacità razionale e ridotta la sensibilità di vedere oltre la realtà effettuale” - disse Marcello. “Però devi ammettere che in alcuni particolari momenti senti affiorare dal profondo dell’inconscio delle forti sensazioni che entrano in conflitto con la tua coscienza. E alla fine riescono a dominarla. A volte non hai la sensazione di essere lambito dal fuoco della follia?” - chiese Ellen. “Sì. In questi ultimi tempi mi accade con una certa frequenza” - rispose Marcello. “È l’anomalia delle persone geniali, che riescono a vedere quello che altri non vedono. Perciò sono degli anticipatori e degli incompresi. Questa eccezionale condizione è anche la maledizione che rende tragica e insopportabile la vita del genio. Il tempo, però, rende giustizia alle sue verità” - disse Ellen profondamente commossa. 103


Alle lunghe conversazioni partecipava spesso Eleonora. La sua visione religiosa del mondo e della vita contribuiva a dare una motivazione all’alone di mistero che connotava gli argomenti dei due giovani. “Il genio è la mano e la voce di Dio. Per questo supera il tempo e lo spazio. E non si esprime attraverso lo spirito del tempo, perché la sua arte è la manifestazione dell’eternità” - disse una sera, invitando Ellen a suonare uno dei suoi brani preferiti. “Quello che tu definisci fuoco della follia, cara Ellen, è un fenomeno esoterico, ma ha anche una spiegazione scientifica” - disse girandosi verso il figlio. “Conosco queste teorie - disse Ellen - In condizione di dissociazione psichica dell’Io vengono invertite le funzionalità dei due emisferi cerebrali, realizzando un’inconsueta predominanza dell’emisfero destro sul sinistro. Ciò può avvenire in uno stato alterato della coscienza o mediante tecniche adeguate. Si attraversa, allora, uno stato “passivo”, nel quale la consapevolezza dello spirito di risiedere in un corpo viene completamente perduta…”. “…le attività sensoriali cessano, e anche la memoria e l’immaginazione vengono assorbite da Dio” - proseguì Eleonora. “Perciò, al fine di comprendere meglio la natura dell’uomo non si può negare la suprema esistenza dell’anima, che lo scientismo pretende di ridurre a psichismo o a sistema neuronale. Essa è invece l’immensità della luce e il soffio vitale con cui Dio si svela. Basti pensare alla Creazione di Adamo, che si ammira nella Cappella Sistina, per capire come il Creatore si serva del genio michelangiolesco per fornirci l’immagine plastica dell’anima. Poiché l’argomento richiede molto tempo, vi prego di riprendere la conversazione in un altro momento. Adesso, ascoltiamo Ellen”. “La musica è una delle vie per le quali l’anima ritorna al cielo” disse Ellen, citando Torquato Tasso, mentre si sedeva al pianoforte. “Questa sera lascio a voi la scelta dei brani. O, se preferite, potrei eseguire un pot-pourri dal barocco al classico, per terminare con un brano romantico”. L’invito dette la stura a una nuova conversazione sulla storia della musica. 104


“Sin dalla prima fanciullezza fui affascinata dalla sensibilità artistica di mio padre. Era un famoso oboista, amante della musica barocca. Allorché comprese la mia naturale inclinazione mi iniziò allo studio della musica. Furono gli anni in cui prevalse nella mia formazione il genio di Bach, Vivaldi, Corelli, Alessandro Marcello. Nei primi anni dell’adolescenza, però, superai le stravaganze barocche per aderire al classicismo musicale. Un’arte simmetrica, ordinata, che evidenzia l’armonia delle forme. I miei idoli furono Franz Joseph Haydn, Ludwig Van Beethoven e Wolfgang Amadeus Mozart”. “Le pulsioni giovanili e l’irresistibile voglia di libertà ti condussero per mano verso la musica romantica, caratterizzata sia dalla passione travolgente che da un intimismo malinconico, sognatore e poetico” - disse Eleonora interrompendo con dolcezza la sua giovane amica. “Sì, un intimismo lirico fatto di improvvisazioni, di forme brevi, come il preludio, il notturno, le danze. Il suono perlato, soffice, raffinato, e la spasmodica ricerca di grosse sonorità, tempeste di note, uragani di accordi e di arpeggi con l’acrobatismo virtuosistico, che in ogni epoca manda in delirio le platee. Da quel momento Franz Schubert, iniziatore del pianismo romantico, Mendelssohn, Schumann, Liszt e, soprattutto, Chopin diventarono i miei sublimi ispiratori”. “Ellen, questa sera hai messo troppa carne a cuocere. Gradirei ascoltare un brano di Chopin. Ormai sappiamo che è il tuo preferito” - disse Eleonora. “I miei orientamenti musicali sono un po’ più complicati - interloquì Marcello - Da molto tempo sono fortemente interessato agli accostamenti del jazz alle forme classiche. Comprendo, però, di innestare un’altra lunga discussione che è opportuno rinviare a un altro momento. Anche per me va bene Chopin”. Ellen, con grande trasporto, eseguì l’Andante spianato e Grande polacca brillante, e fu il preludio a una notte serena. Per tutti e tre. L’indomani arrivò la notizia tanto attesa. Ellen era stata ammessa al Concorso pianistico internazionale Frederic Chopin, che si svolse nel mese di aprile. Fu l’apoteosi. Il giudizio della critica fu unanime: era nata una nuova grande interprete del geniale compositore polacco. In realtà era nata molti anni prima, ma il regime totalitario di Berlino Est aveva continuamente tentato di reprimere il suo 105


spirito libero, tarpando le sue ali. Sicché non aveva avuto la possibilità di dispiegare le sue notevoli potenzialità artistiche. Le sale da concerto e gli auditorium di Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino, Napoli, Venezia e Palermo fecero a gara per inserire il suo nome nelle rispettive stagioni sinfoniche. Durante le lunghe ore che Ellen dedicava agli impegnativi esercizi e allo studio Marcello dipingeva. Vivevano in simbiosi. Una dolce mattina di settembre provarono a suonare e a dipingere al di fuori di ogni convenzione morale, culturale e sociale, per liberare le potenzialità immaginative dell’inconscio. Marcello era spinto verso nuove forme di sperimentazione, perché guardava con un certo interesse all’arte dell’improvvisazione jazzistica e al surrealismo. “Mi convinco sempre più che sia possibile raggiungere uno stato conoscitivo ‘oltre’ la realtà. Credo proprio che si possano conciliare armonicamente tutte le sensazioni che ci trasmette il mondo sensibile con le pulsioni che cercano di emergere dalla profondità dell’inconscio. Non dobbiamo fare altro che consentire loro di risalire liberamente nella nostra coscienza, eliminando ogni inibizione”. Ellen seguiva le argomentazioni di Marcello con grande interesse. “L’evoluzione dal classicismo al romanticismo ha già soddisfatto il mio desiderio di libertà dagli schemi e dalle regole fisse. Non ti nascondo che pure io avverto la necessità di intraprendere nuove strade, ma non voglio andare ‘oltre’. Temo l’anarchismo dell’arte informale e atonale. Mi atterrisce il solo pensiero che possano finire la melodia e l’armonia delle forme” - disse Ellen interrotta da Marcello. “Sai meglio di me che l’espressione musicale non è sempre stata la stessa, e non sempre ha obbedito alle stesse leggi. Per fare un esempio eccellente, Mozart non fu compiutamente libero di esprimere il suo genio artistico, perché era sottoposto al potere assoluto delle corti. Ma già con Beethoven la musica cambiò. Il musicista iniziò a suonare per sé e non solo per soddisfare i desideri dei potenti”. “È vero. - rispose Ellen - La musica non ha sempre conservato lo stesso carattere e non ha sempre sedotto con lo stesso fascino. Anche se, in ogni epoca, nel ritenere che essa abbia ormai raggiunto la perfezione, dopo una lunga evoluzione, è generalmente considerata immodificabile. 106


Perciò gli innovatori vengono sistematicamente umiliati”. “In effetti, i ritardatari dichiarano sempre con sicumera che le nuove espressioni non siano ulteriormente migliorabili, quando prendono atto a posteriori dell’incessante ampliamento delle prospettive” - disse Marcello. “La continua tensione della forma verso l’espressione, verso la vita e il vissuto riesce a frantumare ogni formalismo stancamente sostenuto dagli accidiosi. A quanto pare, Marcello, ci unisce la stessa sensibilità artistica, anche se abbiamo diverse convinzioni su molte questioni” - disse Ellen. “Ovviamente, non siamo simili - disse Marcello - siamo un tipico caso di affinità elettiva. Ti faccio un esempio: se in un bicchiere d’acqua versiamo del vino osserviamo che l’una si mescola bene con l’altro. Ma se invece del vino versiamo dell’olio, quest’ultimo schizza e ci accorgiamo immediatamente che è incompatibile con l’acqua”. “Conosco bene il capolavoro di Goethe…” - lo interruppe Ellen. “…ebbene, tu sei l’acqua fresca ed io sono il vino inebriante. Ecco perché, nonostante le differenze, possiamo ben mescolarci…” - affermò Marcello dando sfogo a una sgangherata risata, e aggiunse “…però con la sensibilità delle rispettive esperienze di vita. In effetti, soltanto tu puoi artisticamente esprimere i sentimenti che scaturiscono dal tuo singolare vissuto: le costrizioni subìte dai regimi totalitari, le passioni rimosse, la fuga verso la libertà, le terrificanti raffiche che hanno massacrato Maximilian e che ancora risuonano nelle tue orecchie. Perché soltanto tu hai conosciuto quei colori e quei suoni”. “Per un insieme di misteriosi segni sono portata a credere che la nostra vita sia un eterno ritorno, perché le esperienze che viviamo le abbiamo già vissute. Si spiega così la nostra comune sensibilità artistica, che esprimiamo ‘insieme’, rispettivamente con la musica e con la pittura, al di sopra delle nostre specificità. Allora avventuriamoci liberamente nel mare aperto della sperimentazione. Chi ci proibisce di tornare in qualsiasi momento alle regole formali?” - disse Ellen, ispirata, mentre iniziava al pianoforte una lunga improvvisazione su un tema libero. “Condivido pienamente. Da ragazzo sono stato attratto dal mito di Ulisse: partire, andare lontano, affrontare le situazioni più pericolose, conoscere e ritornare a casa. Per poi ripartire e andare ‘oltre’ le colonne d’Ercole” - rispose Marcello. 107


“Anche nel mio immaginario la figura di Ulisse ha sempre rappresentato lo sforzo di chi cerca, instancabilmente, nuovi percorsi e sposta continuamente la meta di quel suo inarrestabile e metaforico viaggio verso ciò che è ancora sconosciuto. La conoscenza è un valore comune ormai acquisito e fortemente interiorizzato” - disse Ellen, mentre le sue dita scorrevano sulla tastiera del pianoforte producendo nuove sonorità. Come d’incanto, emersero sensazioni mai provate. Fantasie e sogni rimossi divenuti palpabili. E la passione divampò. Marcello, stimolato dall’esecuzione di Ellen, aveva dipinto il suo armonioso corpo nudo che si stagliava su un surreale amplesso di note. Si sfiorarono, senza toccarsi. Non era ancora maturata l’unità mistica di anima e corpo. Da queste sperimentazioni, che in un primo momento sembravano più che altro gioiose divagazioni, Ellen scoprì che Schubert, Schumann, Liszt erano più congeniali alla sua sensibilità, rimasta per lungo tempo inespressa per una serie di circostanze. Pertanto, il suo repertorio si arricchì notevolmente. I concerti tenuti a Losanna, Londra, Madrid, Tokio e, soprattutto, New York la resero celebre. Fu Parigi, però, a segnare la svolta della sua vita, quando visitò l’appartamento dove morì il suo artista di riferimento: Frederic Chopin. La sera precedente aveva entusiasmato il pubblico parigino con l’esecuzione del Primo concerto per pianoforte e orchestra del compositore polacco, che fu ritenuta sublime dalla critica e dalla stampa. Trasognata, trascorse la notte. Si svegliò di prima mattina ancora incredula. Ebbe la sensazione di avere vissuto un meraviglioso sogno. Subito dopo aver maturato la consapevolezza dell’esaltante realtà chiese a Marcello di visitare Parigi. Non tardò molto a rimanere affascinata dalla città dei grandi movimenti artistici contemporanei. Appena arrivarono in Piazza Vendome, e vide la casa dove Chopin trascorse gli ultimi momenti della sua vita, non nascose una forte emozione. Durante la visita della casa-museo nella sua anima si sviluppò una sinfonia di sentimenti che invase tutti i gangli vitali del 108


suo corpo, fino a farla fremere. Noncurante delle molte presenze, si avvicinò a Marcello, lo strinse a sé e lo baciò intensamente. Era nato l’amore. L’unione mistica di anima e corpo. Marcello aveva avuto molti rapporti sessuali, prevalentemente occasionali. Ellen, invece, dopo il fugace rapporto d’amore vissuto con Maximilian, condizionata da quel drammatico momento aveva rimosso ogni stimolo erotico. Rientrarono in albergo all’ora di cena. A tavola i loro sguardi furono palesemente allusivi. I loro pensieri erano altrove, stimolati forse dallo champagne servito a profusione. Pertanto, Ellen fu ebbra di gioia quando Marcello la cinse alla vita per accompagnarla in camera. Per tanto tempo avevano dormito negli alberghi di mezzo mondo in stanze separate. Quella sera, con molta dolcezza, Ellen lo invitò a rimanere. Si assentò il tempo necessario per indossare una vestaglia trasparente. Al suo ritorno, appena la vide apparire, Marcello fu invaso da un irresistibile desiderio, che si accentuò quando Ellen si sedette al pianoforte, che arredava la suite, per dedicargli la sonata Al chiaro di luna di Beethoven. Le loro anime erano fuse e pretendevano l’unione dei corpi. Marcello la sollevò dolcemente e le tolse la vestaglia con movimenti lenti e colmi di passione. Apparve allora quel corpo armonioso con i segni particolari che aveva dipinto a Copenaghen, quando ancora non lo conosceva, e avvertì un brivido lungo la schiena che si insinuò fino alle viscere. Non volle però bruciare quel magico momento. Seduto in poltrona la contemplò lungamente, come in un rito pagano. Infatti gli era apparsa come una dea. Quando lo sguardo si soffermò sul suo meraviglioso volto, trasfigurato dalla passione, si alzò per andarle incontro. Mentre la riempiva di baci, Ellen lo aiutò a spogliarsi. Dopo averla contemplata ancora per tanto tempo la adagiò dolcemente sul letto e, per manifestarle compiutamente il suo incontenibile desiderio, assaporò la fonte del piacere e dell’amore. Nel delirio dei sensi Ellen si muoveva e si inarcava armoniosamente, come le sue mani quando danzavano sulla tastiera del pianoforte. 109


Assente qualsiasi volgarità, la voce dell’orgasmo, raggiunto in sintonia, risuonò nella stanza dove si era celebrata un’intensa notte d’amore, nel chiaroscuro di una soffusa luce di un discreto abat-jour in stile liberty. Alcuni giorni dopo lasciarono Parigi, richiamati dai numerosi concerti programmati in Italia.

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IL MISTICISMO DI ELEONORA

Venezia riservò a Ellen una travolgente accoglienza. L’immaginifica città di Vivaldi le ricordò il padre, oboista, il quale, appassionato amante del barocco veneziano, scoprì precocemente il talento musicale della figlia, che sin dalla prima infanzia restava per lunghe ore ad ascoltarlo. Estasiata. Aveva appena quattro anni quando iniziò lo studio della musica, diventando in poco tempo una brava oboista, ma la sua passione nascosta era il pianoforte. La sua naturale inclinazione fu scoperta nel dopoguerra. Allora Ellen bruciò tutte le tappe, e il suo pianismo s’impose all’attenzione degli intenditori e della critica. Eleonora, impegnata ad assistere amorevolmente il figlio, non aveva ancora avuto la possibilità di seguirla nel tour artistico. Il desiderio di partecipare ai suoi concerti era enorme, ma l’assistenza riservata a Corrado prevaleva di gran lunga su tutte le altre aspirazioni. Volle, però, accompagnare a Venezia la giovane pianista, che considerava ormai alla stregua di una figlia. Attratta dalla musica sacra, non voleva perdere il Requiem di Mozart e il Magnificat di Bach, in programma proprio in quei giorni alla Basilica di S. Marco. Ma quale fu il vero movente? La magica atmosfera veneziana? Il concerto di musica sacra? La gioia di condividere il successo dell’amica? Insomma, quale fu l’effettiva ragione del suo incontenibile desiderio? L’irrefrenabile impulso che l’animava doveva avere motivazioni più profonde, se era indotta a lasciare Corrado senza la sua premurosa assistenza, sia pure per qualche giorno. Non tardò molto a comprendere che era prepotentemente risalito dall’inconscio il ricordo dei giorni felici vissuti con Mario durante la luna di miele. Benché avesse rimosso anche i momenti sereni trascorsi con il marito, Venezia continuava a evocare la passione d’amore provata per la prima volta nella 111


camera d’albergo ubicata sul Canal Grande, vicino al ponte di Rialto. Galvanizzata dal trionfo di Ellen e dal concerto dell’Orchestra sinfonica di Berlino, che aveva eseguito magistralmente il Requiem e il Magnificat, fu pervasa da una gioia immensa, quando il direttore scese dal palco per conoscere Ellen. “Ieri sera ho avuto il privilegio di ascoltarla. Complimenti. Il suo pianismo è sublime”. “Grazie, direttore, il suo giudizio mi riempie di orgoglio e mi sprona a fare sempre meglio”. “Non è piaggeria, ma pura constatazione. Prima della guerra conobbi suo padre al Conservatorio di Berlino. La sua morte prematura privò l’orchestra di uno dei suoi migliori elementi, però lei ha ereditato la sua maestria. Mi ritenga a completa disposizione”. “La ringrazio dal profondo del cuore, direttore. Questo provvidenziale incontro mi consente di confidarle che è mio ardente desiderio eseguire un concerto per pianoforte e orchestra all’auditorium di Berlino, e per oboe e quartetto d’archi sotto il Muro, in una zona che mi sta molto a cuore” - disse Ellen. “Il delicato momento politico rende improbabile il concerto sotto il Muro. Ne potremo riparlare quando la tensione internazionale si sarà stemperata. Per quanto riguarda, invece, il concerto per pianoforte e orchestra, lo inserirò nella prossima stagione sinfonica” - rispose il direttore. Tornarono a Roma con un bagaglio di coinvolgenti argomenti che stimolarono le salottiere e raffinate conversazioni serali, rivolte con sempre più forte intensità alla ricerca dell’Assoluto. Ellen e Marcello, suggestionati dal mito ellenico della separazione dell’anima dal corpo, credevano nella metempsicosi. Eleonora, invece, non perdeva occasione per riaffermare l’unicità dell’individuo anche dopo la morte, nella quale s’imbatteva tutti i giorni quando osservava il figlio, immobile e intubato. Sapeva che Corrado era ancora vivo, ma come ghermito dalla morte. I due giovani erano interessati a nuove sperimentazioni artistiche che accentuavano il loro anelito alla libertà; Eleonora 112


era invece presa dalla musica sacra che le consentiva, con la sottolineatura della liturgia, di tendere all’incontro con Dio. Un’interessante discussione s’incentrò sulla crisi esistenziale dei giovani. Fu Ellen ad aprire l’argomento, affermando che tutte le manifestazioni di dissenso e di disagio emerse in Europa orientale erano sistematicamente represse nel sangue, facendo sprofondare nell’abisso del conformismo la maggior parte dei giovani che per lungo tempo erano stati sottoposti all’asfissiante indottrinamento del materialismo storico e dialettico. “Le scarse notizie che filtrano dall’Occidente consentono ai giovani dell’Est di conoscere i motivi che hanno dato origine ai molteplici fenomeni di ribellismo: dalla Beat Generation al sincretismo spiritualista. Tutti i tentativi di emulazione, come hanno ampiamente dimostrato la rivolta di Berlino e la Rivoluzione ungherese, sono stati finora schiacciati dai carri armati sovietici. Pertanto, ogni anelito alla libertà è stato tragicamente stroncato” - disse la giovane berlinese con voce accorata. “Il cosiddetto mondo libero ha prima stimolato le rivolte, promettendo l’intervento armato, per poi abbandonare al loro destino i popoli sottoposti al dominio dell’Urss. E ciò in forza del famigerato Patto di Jalta, con il quale nel 1945 il mondo è stato diviso in due sfere d’influenza: quella capitalista, dominata dagli Usa, e quella comunista, dominata dalla Russia bolscevica. - disse Marcello con convinzione - Ecco perché non ho mai voluto aderire a uno dei due schieramenti, ritenendoli, in buona sostanza, due facce della stessa medaglia. Del resto le due concezioni del mondo e della vita affondano le loro radici nel liberismo economico e nel materialismo. Entrambi negano la libertà alle comunità tradizionali, privandole delle loro specifiche identità, nell’illusione di realizzare un incolore e opprimente governo mondiale”. “Mi sembra di sentire tuo padre. - interloquì Eleonora - Non perdeva mai occasione per affermare che la sconfitta della Germania nazista avrebbe causato la fine della civiltà europea. Sappiamo bene qual è stato il risultato disastroso di questa profezia. Anche le deviazioni ideologiche, che hanno condotto Corrado verso un tragico destino, hanno avuto questa genesi. Sarebbe qui con noi, se non avesse subìto gli assurdi condizionamenti paterni. Spero tanto che tu non commetta lo stesso errore”. “No, mamma - la interruppe prontamente Marcello – io, a differenza di papà e Corrado, ho sempre respinto all’origine ogni incli113


nazione alla violenza, preferendo la forza della cultura e dell’arte. Come dimostra la storia, l’Europa delle Patrie potrà anche subire l’onta della distruzione materiale, ma risorgerà sempre dalle macerie per illuminare il mondo”. “Ne sono convinta. Perciò ti ho sempre considerato il migliore della famiglia. Ciascuno di noi è stato in qualche modo scalfito dalla crisi dei valori della società contemporanea. Soltanto tu hai avuto il coraggio e la costanza di rimanere sempre in piedi tra le rovine”. “In un contesto completamente diverso anch’io mi sono immersa nella spiritualità che offre la musica, per sfuggire alla deprimente condizione umana che affligge la gioventù in tutto il mondo - disse Ellen inserendosi nella conversazione - Ma la società comunista, che legge anche i più reconditi pensieri delle persone, non ha mai visto di buon occhio il mio spirito libero. Ecco perché ho lungamente covato la fuga da quell’inferno”. “È vero, Ellen. Nella società comunista il male è assoluto e si evidenzia apertamente con tanta ferocia. Basterebbe pensare al trattamento che subiscono i dissidenti nei gulag. Sono sottoposti alle più terribili crudeltà fisiche e psichiche, ma salvano l’anima. Mentre da noi il male è subdolo, fine, discreto che corrode l’anima, e con il tempo si trasforma nel ‘male oscuro’ ” - ritenne di precisare Marcello, suscitando l’intervento della madre. “È per questo che ti sei lasciato suggestionare da pratiche indistinte e confuse di spiritualismo, influenzate dal primo gnosticismo cristiano, dal cristianesimo celtico, dall’alchimia, dal buddismo zen, per sfuggire alla crisi esistenziale determinata dagli attuali modelli?”. “Anche tu, però, negli anni Cinquanta hai visto con molta simpatia il fenomeno della Beat Generation. Ti sorprendevo spesso a leggere il libro di Jack Kerouac, On the road, che era il vero manifesto della rivolta morale di quegli anni” - disse Marcello. “Non ho nessuna difficoltà ad ammettere che nell’immediato dopoguerra la gioventù esprimesse la sua ribellione ricorrendo ai riti propri del fascismo, ma sostanzialmente le motivazioni erano simili a quelle che animavano la gioventù americana. Ecco perché restai affascinata dalla Beat Generation” - disse Eleonora. “Infatti furono la protesta contro i nuovi assetti mondiali, il materialismo, il conformismo, la società di massa, e la ricerca di una nuova concezione del mondo e della vita che mi spinsero ad aderire con convinzione al 114


partito della destra nazionalista” - disse Marcello interrompendo la madre. “Approvai con entusiasmo le tue scelte politiche, che comunque facevano parte della nostra tradizione familiare. Ma con il tempo, caro Marcello, tutto mi apparve illusorio, anche perché la condizione in cui mi fece precipitare l’irresponsabile comportamento di tuo padre mi spinse a diventare facile preda dell’indifferenza e dell’insoddisfazione”. “Con il passar del tempo l’atmosfera familiare è diventata sempre più insopportabile. Tu, mamma, sei la vittima principale delle perverse concezioni di papà e di Corrado”. “Infatti per sopravvivere mi sono lasciata afferrare dalla misera condizione che mi offriva la quotidianità, perdendo di vista la prospettiva e la speranza”. “Io ho dovuto aspettare il momento opportuno per allontanarmi da quest’ambiente, diventato mefitico. Il muro dell’incomunicabilità mi divideva da mio fratello e da mio padre, mentre mi addolorava la tua passività. La diversa visione della vita era causa di frequenti dissidi che sovente assumevano le caratteristiche dello scontro fisico”. “In effetti non eravate d’accordo su nulla”. “È vero, mamma. Ma quello che mi turbava di più era l’ostentazione del rigorismo delle forme nei nostri rapporti esterni per apparire agli altri diversamente da ciò che effettivamente eravamo. Una sorta di maschera per celare i diverbi, le gelosie, l’invidia che si manifestavano con tutta la loro virulenza tra le mura di questa casa”. “A ciò contribuiva anche la nostra bella presenza e la tradizione familiare” - lo interruppe Eleonora. “Sì. Ecco perché con il passar del tempo, dopo approfondite meditazioni, nel dipingere i miei quadri ho preferito la scomposizione delle forme per esprimere realisticamente la personalità del soggetto, indagando nei meandri della coscienza e dell’inconscio. Non ho mai creduto alle teorie di Lombroso, il quale dall’osservazione dei tratti somatici valutava il grado di pericolosità dei criminali. Gli assassini, secondo lui, dovevano avere dei volti orripilanti”. “Mi sembra di capire, Marcello, che se tu dovessi dipingere lo sfuggente volto della Gioconda, giusto per fare un illustre esempio, e lungi da me ogni irriverenza per il sublime Leonardo, non ti lasceresti impressionare dalla sua apparente bellezza esteriore, ma la ritrarresti senza la maschera, mediante la scomposizione delle forme e un creativo gioco 115


cromatico?”. “È proprio così, mamma. Oggi le moderne macchine fotografiche consentono di immortalare perfettamente i nostri caratteri esteriori, ma non sono in grado di mostrare le nostre anime. Ciò sarà sempre consentito all’artista che non si lascia suggestionare dall’apparenza. Ho in mente di dipingere un quadro che rappresenterà un interno della nostra famiglia, prima e dopo l’arrivo di Ellen. Sarà l’espressione dei colori a definire il cambiamento di paradigma, e non l’esteriorità delle forme”. “In effetti è stato il provvidenziale arrivo di Ellen a cambiare la nostra esistenza” - disse la madre, guardando con dolcezza Ellen come per esprimerle un ulteriore e affettuoso ringraziamento, mentre Marcello riprendeva la parola. “Il destino ha voluto che Corrado la portasse a Roma per i suoi perversi scopi politici, ma un imperscrutabile disegno ha determinato la svolta propizia. Ho già pensato al titolo da dare al quadro: ‘A volte dal male nasce il bene’, o, se lo preferite, ‘Dal male subdolo all’Amore’ ”. “Marcello, non credo sia possibile dipingere la nostra complessa sinfonia di sentimenti senza il rigoroso rispetto delle forme. È forte il rischio di sconfinare in un incomprensibile solipsismo, perché il quadro potrebbe essere la proiezione del tuo estremo idealismo, e non la manifestazione di un comune sentire” - disse Eleonora. “Mamma, considera che l’armonia dei suoni e dei colori è universale. Occorre, però, possedere una spiccata sensibilità per ascoltare e vedere. Invece il rigorismo delle forme, di solito, nasconde la realtà interiore e, ciò che è più inquietante, maschera la verità. In poche parole, è la ragion d’essere dei sepolcri imbiancati”. Per tutta la durata del colloquio tra madre e figlio Ellen era rimasta in silenzio. Mentre li ascoltava la sua mente vagava nel mare dei ricordi. Dalla profondità dell’inconscio riemergevano le immagini sfocate e sovrapposte della sua infanzia. La carrellata proseguiva incessantemente. E, come nell’arte televisiva, un misterioso regista, attraverso flashback sfumati da accurate dissolvenze e da effetti intermittenti, riprendeva in primo piano l’ambiente familiare caratterizzato dalla dolcezza dei suoi genitori. Nel 1942 Ellen era una bambina quando, seduta con il padre su una panchina nello zoo di Berlino, affascinata dalle diverse specie di animali chiese con infantile innocenza: 116


“Papà, perché quegli uomini che ieri abbiamo visto sfilare allo stadio, tutti ordinati e vestiti uguali, si esaltavano a sentire le urla di quell’uomo coi baffetti?”. Ellen aveva sicuramente associato gli animali in gabbia agli uomini irreggimentati, osservati con stupore il giorno prima nel corso di una delle tante parate militari del regime nazista. Il padre, noto musicista e fervente cattolico, era politicamente un agnostico, però il suo disimpegno era visto con sospetto. Perciò, prima di dare una risposta, che a dire il vero era difficile fornire a una bambina, si guardò lungamente attorno. Le SS avevano diffuso la falsa notizia che la sua dolcezza fosse la manifestazione di una latente omosessualità. In seguito, questa infondata classificazione gli sarebbe costata la vita. Non gli mancava il coraggio, ma la prudenza gli consigliava di non fidarsi di nessuno. Non temeva per sé, ma per le tragiche conseguenze che la moglie ed Ellen avrebbero potuto soffrire. “Quell’uomo con i baffetti ha avuto l’abilità, in un momento particolare della storia della Germania, di fare emergere dall’inconscio collettivo antichi sentimenti e pulsioni rimosse dalla coscienza del popolo e avvertite, ora, come una vitale necessità dalla stragrande maggioranza dei tedeschi” - rispose il padre osservando lo sguardo sbigottito della bambina. “È vero, piccina mia. La spiegazione è molto complicata, perché non sei ancora in grado di capire la realtà che siamo costretti a vivere, e che nemmeno tanti adulti riescono a comprendere. Sappi, però, che non passeranno molti anni prima di risvegliarci in mezzo a un terrificante dramma. La morte di Dio, decretata dal mito del Superuomo, ha generato orribili mostri e determinerà crimini immani. Comunque, cara Ellen, ricorda sempre che potranno sottrarci anche l’aria che respiriamo... Giammai, però, annienteranno l’anima della nostra famiglia”. Non passò molto tempo per capire il senso di quelle parole: la guerra, i bombardamenti, le continue fughe nei rifugi antiaerei, la deportazione del padre, l’orrenda morte della madre. Sembrava che la tragedia non dovesse finire mai. Tuttavia, “l’anima della famiglia” continuò ininterrottamente ad aleggiare sull’esistenza di Ellen. 117


Una misteriosa presenza la aiutò a vivere sotto il regime comunista, proprio come era vissuto il padre sotto il regime nazista. E le sovvenne il ricordo degli animali in cattività, osservati con gli occhi di bambina nello zoo di Berlino, i quali, costretti in una gabbia, non avevano perduto il gusto della libertà. Giorno dopo giorno maturò la convinzione che ogni regime liberticida imprigiona il corpo ma non può sopprimere l’anima, nemmeno con la deportazione nei campi di sterminio e nei gulag. Il suo pensiero andò agli intellettuali dissidenti che, sottoposti a insopportabili torture fisiche e psicologiche, sostenuti dalla loro grande anima hanno conservato lo spirito libero fino alla fine. E la moviola dei ricordi si fermò istantaneamente su Boris Pasternak, che nei mesi successivi alla seconda guerra mondiale, quando Giuseppe Stalin fu osannato come padre della patria e difensore della pace dei popoli, scrisse il suo primo e unico romanzo, Il dottor Zivago. Ellen aveva letto clandestinamente l’opera di Pasternak e conosceva bene la sua storia. Perciò sapeva che, nel 1958, gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura, e che il regime comunista lo minacciò imponendogli di non accettare il premio in considerazione del significato attribuito a questo riconoscimento nella società sovietica. Fu imprigionato il corpo, ma l’anima travalicò i confini della “cortina di ferro”. Attraverso la lettura delle opere clandestine, che passavano tra le fitte maglie della censura, Ellen considerò che fosse l’anima profonda degli artisti e degli intellettuali a determinare i cambiamenti epocali. Come del resto insegna la storia. Con rammarico, però, dovette constatare che anche la famiglia borghese, che l’aveva affettuosamente accolta nel mondo libero, soffriva di una profonda crisi esistenziale perché si era spinta troppo avanti, trasformando la libertà in licenza per lasciare indietro l’anima. Appena la donna percepì che il pensiero della giovane tedesca era altrove, interruppe la conversazione. 118


“Ti chiedo scusa, Ellen. Mi è parso che l’argomento non sia di tuo interesse. In sostanza, Marcello sostiene che il rigorismo della forma cela gli autentici sentimenti della persona che si vuole rappresentare in ogni espressione artistica. Insomma, insiste nel dire che la bellezza esteriore non sempre esprime quella dell’anima”. “Tutt’altro. Mentre vi ascoltavo la mia mente è stata invasa da un vortice di ricordi, tra i quali si è stagliato l’ammonimento di mio padre: ‘Ricorda sempre che quando ci avranno sottratto anche l’aria che respiriamo non avranno giammai annientato la nostra anima’ ”. “Mi ricorda la frase pronunciata da Toro Seduto quando i coloni bianchi invasero la terra dei pellerossa: ‘Mi avete rubato la terra, il cavallo, la donna. Ma non siete riusciti a rubarmi l’anima’ ” - disse Marcello compiaciuto. “Stiamo trattando un argomento delicato e complesso che mi sta molto a cuore. Dobbiamo fare attenzione, però, a non confondere l’anima con la manifestazione di alcuni fenomeni parapsicologici e metapsichici” precisò Eleonora. “Ti riferisci a quelle teorie secondo le quali, mediante particolari tecniche, sarebbe possibile invertire la gerarchia degli emisferi cerebrali per consentire alla spiritualità dell’emisfero destro di prevalere sulla razionalità del sinistro, generalmente dominante?” - chiese Marcello. “Sì. Infatti il pericolo che si corre è di subire gli effetti devastanti dei processi psichici primitivi suscitati appunto dalle tecniche e dai fenomeni regressivi” - replicò con prontezza Eleonora. “Ritieni che anche lo spiritismo sia un fenomeno regressivo?” - chiese Marcello. “Certamente. Ma anche tutti i fenomeni di paragnosi come precognizione, retrocognizione, telepatia, chiaroveggenza e telecinesi” - rispose la madre. “Come si spiegano questi fenomeni, che risultano effettivamente accertati?” - chiese Marcello. “Secondo la legge dell’ideoplastia, la forza del pensiero può incidere sulla materia, tanto che nei fenomeni telecinetici è possibile spostare, sollevare e piegare oggetti metallici che si trovano a una certa distanza. Ma tutto ciò non deve essere confuso con l’anima, perché sono fenomeni che devono essere ricondotti nell’ambito delle energie inesplorate” - disse Eleonora. “Come le onde elettromagnetiche?” - la incalzò Marcello. 119


“Sì. Devono perciò essere separati dal mondo dello spirito e ricondotti nell’alveo scientifico della psicologia e della fisica, se non si vuole essere attratti da una sorta di ossessione compulsiva perdendo di vista la libertà” - rispose Eleonora. “Ma, allora, che cos’è l’anima? Se la ritieni cosa diversa dai fenomeni extrasensoriali scientificamente accertati non corri anche tu il rischio di vedere compromessi gli spazi di libertà, sprofondando nel vortice della concezione devozionale predicata dalle chiese ufficiali?” - domandò infine Marcello. “L’anima, Marcello, è il soffio vitale di Dio che si è incarnato nell’uomo; pertanto la persona è l’unità mistica di anima e corpo. L’una e l’altra sono inscindibili. Questo è l’aspetto fondamentale che distingue il vostro spirito artistico dalla mia fede. Comunque avremo tempo per ulteriori approfondimenti. Ora credo sia il caso di invitare Ellen a deliziarci con un po’ di buona musica”. “Non smetterei mai di ascoltarti. L’argomento è davvero appassionante. Che brano preferisci?” - chiese la giovane pianista che aveva seguito in silenzio l’ultima parte dell’interessante conversazione. “Ricordo, Ellen, che il tuo grande desiderio è di tenere un concerto per oboe ed archi sotto il Muro di Berlino. Non vorresti, perciò, cominciare a preparare un brano di Vivaldi? Potrei accompagnarti al pianoforte” - propose Eleonora. “Al Conservatorio mi hanno offerto in omaggio diversi spartiti. Uno è stato scelto da me. È una trascrizione per oboe e pianoforte dell’adagio del Concerto per oboe e violino in do minore di Bach. Uno dei brani preferiti da mio padre. Non presenta, per te, particolari difficoltà. Vogliamo provare?” - disse Ellen. “Non sono certamente alla tua altezza, ma ci metterò tutto l’impegno” - rispose Eleonora, prendendo subito posto al pianoforte mentre Ellen, aperto l’astuccio, sollevò l’oboe e lo contemplò come fosse una reliquia, pensando al padre che le apparve triste e macilento dietro un reticolato di ferro spinato. Il primo approccio musicale con Eleonora non fu facile, ma dopo aver ripetutamente provato iniziarono il concerto in un’atmosfera densa di mistero che impressionò particolarmente Marcello. Ellen suonava e pensava al luogo dove avrebbe tenuto l’ipo120


tetico concerto: il versante occidentale del Muro, dove Maximilian l’aveva aiutata a fuggire prima di essere massacrato dalle pallottole dei mitra dei Vopos. Aveva anche la consapevolezza dell’improbabilità dell’evento, perché la persistente divisione territoriale della sua città non le garantiva alcuna certezza. Fu attraversata da una sinfonia di sentimenti. La gioia di realizzare un sogno e il dolore di vederlo svanire erano espressi dai suoni dell’oboe, ora soffusi e dolci, ora gravi e appassionati, e infine da svolazzi di note per accentuare il pathos, in un coinvolgente e impressionante intreccio. Marcello pensò che non esistessero forme per dipingere l’intensa spiritualità di quel momento, mentre nella sua mente apparivano gli immaginifici colori suscitati dalla musica.

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LA CONTESTAZIONE DEL SESSANTOTTO

Mentre Ellen e Marcello erano alla continua ricerca di nuovi percorsi artistici, Eleonora era presa da forti suggestioni mistiche. Purtuttavia erano tenuti uniti dalla stessa anima. Perciò mai le diverse opinioni furono causa di divergenze. Nemmeno quando le discussioni si incentrarono sulla realtà politica e sociale che faceva affiorare i prodromi di uno storico sconvolgimento. “Sono convinta che l’enciclica di Papa Giovanni XXIII, Pacem in terris, indirizzata a tutto il mondo senza alcuna distinzione tra cattolici e protestanti, cristiani e musulmani e, quel che è più importante, tra credenti e non credenti e tra Oriente e Occidente, aprirà una nuova stagione per l’umanità, perché vuole sostituire la follia della guerra con la dialettica della pace” - disse Eleonora aprendo una nuova conversazione. “Concordo in pieno, mamma. Infatti ritengo eccessive le critiche che i conservatori muovono contro le tesi prevalenti del Concilio Vaticano II, che, a mio avviso, sono i prodromi di un grande cambiamento” - disse Marcello. “Non discuto la buona fede del Papa. Mi preoccupano, però, alcune spregiudicate posizioni degli ambienti progressisti che mirano a scardinare la tradizione della Chiesa. Si corre il pericolo di alimentare il clima rivoluzionario che serpeggia nella nostra società a vantaggio degli scopi che persegue il comunismo internazionale” - disse Eleonora. “Mi sembra esagerata la preoccupazione di coloro che con questo spauracchio vogliono fermare a tutti i costi la voglia di cambiamento. Tu, mamma, hai manifestato un certo interesse per la rivolta morale della gioventù americana, iniziata sin dagli anni Cinquanta con la Beat Generation. Adesso la guerra del Vietnam, le cui motivazioni sembrano del tutto incomprensibili, ha fatto crescere il desiderio di rinnovamento e di pace. Si spiega così il successo di Joan Baez, che è diventata l’idolo della gioventù di tutto il mondo per le sue dolci canzoni contro la violenza” disse Marcello. “È vero. Non sono una conservatrice. Però consentimi di fare alcune 122


considerazioni su uno dei più rilevanti sconvolgimenti della nostra epoca: la cosiddetta ‘liberazione della donna’ con la probabile diffusione della pillola anticoncezionale, nel momento in cui crollano i baluardi delle nostre secolari tradizioni, alimenterà la sovversione dei valori” - rispose la madre. “Ammetterai, mamma, che è finalmente giunto il momento di consentire a ogni donna di vivere secondo i propri desideri e le proprie inclinazioni. Giusto per fare un esempio, non ritieni che le condizioni di vita che ti ha imposto papà siano contrarie a una cristiana convivenza tra l’uomo e la donna?” - ribatté Marcello. “Tocchi un punto molto sensibile. Spiegami, però, cosa c’entra la dignità della donna con il sesso libero e la contraccezione. La minigonna è diventata l’icona della rivoluzione femminile, quasi a significare che il valore della donna è espresso dalle sue gambe e non dalla sua sensibilità che la rende complementare all’uomo” - rispose la madre. “È soltanto il simbolo del cambiamento di paradigma. Penso che si voglia affermare il principio dell’uguaglianza. L’uomo non può pretendere le libertà che nega alla donna” - disse Marcello. “Il principio è giusto, ma il metodo adottato per realizzarlo darà luogo a un sovvertimento della società. Caro Marcello, non passerà molto tempo prima di assistere a un lungo periodo di violenza e di decadenza. Probabilmente l’umanità dovrà toccare il fondo dell’imbarbarimento, per risalire la china. È successo già a me” - concluse Eleonora. L’attività concertistica di Ellen e quella assistenziale di Eleonora, intervallate dalle amorevoli riunioni familiari, quando erano consentite dai rispettivi impegni, alimentavano la dolce atmosfera della casa, ma le drammatiche situazioni previste da Eleonora iniziarono a dispiegarsi. Come nella sesta sinfonia di Beethoven, la quiete preannunciò la tempesta. Sicché l’eterogenesi dei fini, i cui effetti sono incontenibili, aprì scenari inquietanti. All’inizio del 1968, il “libretto rosso” e il berretto grigioazzurro di Mao cominciarono a circolare nelle Università che furono occupate dai giovani in rivolta al grido di: “Contro l’autoritarismo accademico, potere agli studenti!”. Slogan coniato dagli intellettuali comunisti che, senza perdere tempo, monopolizzarono la contestazione giovanile. A Roma, in piazza San Pietro, gli studenti dell’Università del 123


Sacro Cuore esposero uno striscione con la scritta: “Dio ci ha dato la libertà, la ‘Cattolica’ ce l’ha tolta”. Insomma, la svolta conciliare che avrebbe dovuto alimentare l’aspirazione al cambiamento, fortemente avvertita dalle nuove generazioni, mostrava, invece, le caratteristiche della ribellione contro l’Occidente. Proprio come aveva previsto Eleonora. Ai giovani di sinistra si unirono studenti di estrema destra che a Roma occuparono la facoltà di giurisprudenza, gridando: “C’è un solo modo di migliorare il sistema: distruggerlo”. Alcuni gruppi si dichiararono addirittura “nazimaoisti”. Gli avvenimenti dei caldi giorni del ‘68 fecero scorrere all’indietro la moviola dei ricordi. A Marcello ed Eleonora si ripresentarono nitidi i fatti accaduti in Italia negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, allorché la ribellione contro i nuovi assetti mondiali, la società consumistica, il liberismo e il comunismo fu condotta dai giovani nazionalisti che in poco tempo riuscirono a organizzare la rivolta ideale degli studenti. Tra gli animatori si distinsero Marcello e Corrado. Anche se, a onor del vero, Marcello a differenza del fratello era pregiudizialmente contrario a ogni forma di violenza. Questa esperienza fu di breve durata e portò i due fratelli a dividersi. Marcello aderì alla corrente del MSI che sosteneva l’inserimento democratico nel sistema politico, mentre Corrado scelse la via della lotta al sistema alimentata dalla destra radicale. Dieci anni dopo, in una bella serata della primavera del ‘68, Marcello ed Ellen passeggiavano per il Corso, ignari che i giovani assembrati nelle vicinanze di Montecitorio avrebbero scatenato gravi tafferugli con la polizia. Affrettarono il passo, per poi correre velocemente. Riuscirono appena in tempo ad entrare nel portone di uno stabile, lasciato provvidenzialmente aperto, evitando così di essere coinvolti. Salirono fino al pianerottolo del secondo piano, e dalla finestra socchiusa osservarono per oltre un’ora lo svolgimento dei violenti scontri. 124


“È davvero paradossale. - disse a un tratto Ellen impaurita e meravigliata – Nei paesi comunisti le rivolte dei giovani che lottano per la libertà sono represse nel sangue dai carri armati sovietici. Qui, invece, la ribellione dei giovani scaturisce da un eccesso di libertà. Francamente non riesco a darmi una spiegazione”. “Vedi, Ellen, la maggior parte di quei giovani che aggrediscono i poliziotti sono figli di papà ai quali è venuta a noia la democrazia, perché non ha più gli affascinanti colori della guerra”. “Presumo che dalla profondità dell’inconscio collettivo riemergano le ancestrali pulsioni che per lunghi secoli hanno spinto i popoli europei a farsi la guerra ogni venti anni” - lo interruppe Ellen. “È proprio così. - continuò Marcello, mentre Ellen lo guardava con interesse - Poiché il lungo periodo di pace ha annoiato le generazioni che non hanno conosciuto la guerra, alla scadenza di ogni ventennio risorge ‘lo spirto guerrier ch’entro mi rugge’, e improvvisano immaginarie sceneggiature rivoluzionarie - precisò Marcello, mentre Ellen continuava a guardarlo incuriosita - Salvo incontrare, dopo qualche tempo, i ‘duri e puri’, diventati autorevoli esponenti di quel potere che avevano ferocemente contestato, imbolsiti e imborghesiti”. “Comprendo allora la confusione ideologica che connota questa protesta piena di contraddizioni. - disse con convinzione Ellen - Se osserviamo gli aspetti della ribellione notiamo che i giovani dell’opulenta borghesia, che godono di un’illimitata libertà, esaltano Mao e Fidel Castro, paladini del comunismo cinese e cubano, i quali reprimono spietatamente le più elementari libertà. Allora non capisco perché aggrediscono i poliziotti, che sono autentici figli del popolo. Che senso ha questa guerriglia?”. “Sei molto perspicace, Ellen. Li aggrediscono perché, a loro avviso, le forze dell’ordine sono lo strumento del potere borghese che è espresso paradossalmente dagli interessi, non sempre legittimi, delle loro famiglie. Nello stesso tempo esaltano la lotta delle femministe, Bob Dylan, Martin Luther King e quelli che in America difendono i diritti civili dei neri. Obnubilati dall’ideologia non considerano che in Russia, a Cuba e in Cina questi personaggi sarebbero perseguitati, deportati e massacrati”. “Allora ha ragione Eleonora - disse Ellen - quando afferma che il tanto decantato cambiamento cela la strategia della sovversione comunista?”. “A questo punto, credo proprio di sì”. Marcello ritenne che la profezia della madre fosse ormai 125


una verità lapalissiana, quando parlò del tragico epilogo della Primavera di Praga, la cui icona è rappresentata dal rogo che consumò la giovane esistenza di Jan Palach. In effetti, mentre in Occidente infuriava la ribellione, monopolizzata dai movimenti studenteschi, una coltre di delittuoso silenzio era scesa sul vero e antiborghese movimento studentesco dell’Est. Al di qua del Muro si era sviluppato un rivoluzionarismo velleitario che lottava contro una non meglio definita “tolleranza repressiva”. Al di là del Muro era concreta la crudele repressione dei carri armati. I giovani rampolli della borghesia occidentale manifestavano violentemente nelle piazze per il Vietnam, ma non vedevano il Vietnam che era a poca distanza dalle loro case. Nemmeno questa dichiarazione di Jan Palach, trovata nei suoi quaderni, aveva turbato i rivoluzionari di casa nostra: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero uno, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy, il Notiziario delle forze d’occupazione sovietiche. Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà”. Un’ulteriore manifestazione dell’amore e del male subdolo al di qua e al di là dal Muro! Alla fine degli scontri, Ellen e Marcello, dopo un tenero e prolungato bacio, uscirono dallo stabile. L’aria era ancora impregnata dagli insopportabili fumi dei lacrimogeni. Percossero con circospezione le strade del centro segnate dalle conseguenze del conflitto, per ritornare a casa. I gravi avvenimenti furono oggetto della conversazione serale, alla quale partecipò Eleonora che era rimasta tutto il giorno vicina a Corrado. “Come avevo facilmente intuito - disse Eleonora appena fu mes126


sa a conoscenza dell’accaduto - le contestazioni in corso sono dirette dai servizi segreti sovietici, il famigerato KGB, per fiaccare il morale del mondo libero. Gli striscioni issati dai dimostranti con le scritte ‘No alla scuola dei padroni’ e ‘No all’università di classe’ sono abbastanza eloquenti. L’aspetto inquietante del fenomeno è che un’esigua minoranza dei partecipanti ai cortei appartiene a famiglie di operai. La stragrande maggioranza dei giovani proviene proprio dalla classe borghese”. “È il segno evidente della grave crisi che attraversa l’Occidente - interloquì Marcello - Il mito del benessere economico regolato dalla mano miracolosa del mercato, avulso da ogni regola etica, ha portato in pochi anni a rimuovere i valori della tradizione, promettendo in alternativa un’illusoria felicità. Ha prodotto invece una diffusa e profonda insoddisfazione”. “La medesima crisi attanaglia l’Oriente, dove al mito della dittatura del proletariato e della società senza classi sono state sacrificate tutte le libertà” - disse Ellen. “La verità è che hai avuto ragione tu, mamma. Che sia in atto un processo sovvertitore è dimostrato dal fatto che gli studenti dell’Università Statale di Milano abbiano approvato una carta programmatica con la quale si chiede l’abolizione della figura tradizionale del docente e della lezione cattedratica, così come degli esami di profitto e di laurea e la loro sostituzione con una valutazione pubblica complessiva. Anche all’Università di Roma sul portone principale del rettorato è apparso un cartello con queste futuristiche scritte: ‘L’immaginazione al potere’, ‘Vietato vietare’, ‘Stiamo inventando un mondo nuovo’, ‘Siamo realisti; chiediamo l’impossibile’ ” - affermò Marcello. “Questo potrebbe essere considerato il pensiero di un pacifico emulo di Marinetti. Ma il proclama apparso sulla porta del rettorato manifesta in pieno la sua carica sovversiva quando afferma: ‘Lo studente ha il potere di respingere il voto. Il voto di esame va discusso pubblicamente con gli studenti presenti. A richiesta dello studente l’esame può avvenire su argomenti che non sono in programma’ ” - disse Eleonora con veemenza. “Per dirla tutta, v’informo che in alcune università gli esami sono stati sostituiti con dibattiti sulla rivoluzione culturale cinese o sulla guerra del Vietnam. Sempre a Roma circola un documento ciclostilato in cui si sostiene che non è sufficiente distruggere la ‘scuola dei padroni’, in quanto, 127


per realizzare una società di eguali, è indispensabile annullare anche lo studio. E… buona notte al secchio!” - sottolineò Marcello. “Confesso, mamma, che inizialmente ho provato un certo interesse per la critica alla società industriale del filosofo tedesco-americano Herbert Marcuse. La sua opera fondamentale ‘L’uomo a una dimensione’ è diventato il testo sacro della contestazione. I giovani di sinistra se ne sono appropriati, probabilmente senza averlo neanche sfogliato” - aggiunse Marcello. “Sì, ho letto qualche recensione su Marcuse. Mi pare, però, che le tesi di fondo siano state anticipate, in tempi non sospetti, dai pensatori tradizionalisti” - disse Eleonora. “È vero. Fu la lettura di ‘Rivolta contro il mondo moderno’ di Julius Evola che mi convinse ad aderire alla contestazione giovanile degli anni Cinquanta contro la società di massa e la modernità in quanto fondamentalmente edonistica, e per la strenua difesa dei valori della tradizione. La contestuale lotta all’americanismo e al bolscevismo, ritenuti le diverse facce dello stesso male, conferì alla ribellione le caratteristiche di un autentico movimento nazionale e libertario, affrancato da qualsiasi condizionamento internazionale” - disse Marcello. “Per queste valide motivazioni condivisi il tuo impegno politico, soprattutto nel 1953, in occasione del ritorno di Trieste all’Italia, quando la gioventù nazionale irrorò con il suo sangue le strade della città giuliana, e nel 1956, quando a Budapest i carri armati sovietici affogarono nel sangue la rivoluzione ungherese” - interloquì Eleonora. La discussione continuò per oltre un’ora, mentre Ellen, in silenzio, li seguiva attentamente. L’onda dei ricordi, stimolata dai gravi fatti avvenuti durante la giornata, fu incontenibile. Travolse perfino il desiderio di intrattenersi sui temi musicali, divenuti ormai abituali. Il flashback li riportò alle strade affollate di quei giorni. Nelle università, nelle scuole e nelle piazze irruppero migliaia di giovani che vissero quella contestazione come un mito generazionale, rifiutando sia la politica compromessa con gli interessi americani sia quella dei comunisti, asserviti all’imperialismo sovietico. “L’epica lotta per riaffermare l’italianità di Trieste mise in chiara evidenza il nostro amor di Patria, ma anche la nostra indipendenza dalle 128


due potenze che a Jalta avevano diviso il mondo in due sfere d’influenza” - disse Marcello. “Gli scontri tra le opposte fazioni, che avvenivano frequentemente nelle università e nelle piazze, mi procuravano forti preoccupazioni. Provavo, invece, un immenso piacere nell’apprendere che alle violenze si intrecciavano momenti di studio e di civile discussione con i vostri coetanei di sinistra. Spesso ti sorprendevo a leggere le pubblicazioni animate dai maestri spiritualisti come Rudolf Steiner, Massimo Scaligero e Julius Evola” disse Eleonora. “Infatti le nostre pubblicazioni diventarono delle vere e proprie tribune di confronto e di discussione, così coinvolgenti da essere prese in seria considerazione anche dai nostri oppositori, perché la nostra eresia non scaturiva da un ribellismo fine a se stesso, ma era soprattutto la rivendicazione dell’indipendenza nazionale e della libertà del popolo italiano contro le nuove forme di colonialismo delle potenze vincitrici”. A tale proposito, Eleonora e Marcello non trascurarono di ricordare le ambigue posizioni del PCI, che per un verso sollecitava un antifascismo militante e per l’altro verso stimolava la strategia dell’attenzione nei confronti dei reduci di Salò, elaborata da Ruggero Zangrandi, il quale riconobbe loro “un malinteso e tuttavia non troppo facilmente discutibile amor di Patria”. Tra i giovani di destra e di sinistra si sviluppò un dialogo denso di contraddizioni. Tuttavia alla buona fede di coloro che volevano superare i drammatici esiti della guerra civile, sostenendo ideali giusti o sbagliati a seconda dei rispettivi punti di vista, si contrapposero coloro che miravano esclusivamente a sfruttare la passione ideale dei giovani. Il radicalismo dei missini, almeno quelli della componente “spiritualista”, si spinse così avanti da mettere in discussione anche gli aspetti modernisti del fascismo, per rivendicare con forza il ritorno alla tradizione. La rivolta ideale degli anni Cinquanta fu un vero “sessantotto nero”, avvenuto con oltre dieci anni di anticipo, che poteva realizzare la pacificazione delle nuove generazioni, ma la politica conservatrice delle opposte classi dirigenti ne determinò il fallimento, perché avevano l’interesse di perpetuare la 129


guerra civile per vivere di rendita sulle macerie morali della Nazione. Ellen, rimasta per lungo tempo in silenzio, ritenne di ricordare i moti di Berlino scoppiati il 16 giugno 1953: “Ero giovanissima quando a Berlino esplose con tanta rabbia la ribellione. Il pretesto furono i provvedimenti impopolari del governo, ma il vero motivo era l’aspirazione alla libertà dei tedeschi dell’Est. Ricordo che agli operai edili di un cantiere della Stalinallee, che avevano incrociato le braccia, si unirono moltissimi giovani. Si formò un lungo corteo che travolse gli sbarramenti della polizia. Quando il governo si decise a ritirare i provvedimenti era ormai troppo tardi. La protesta si era estesa a Dresda, Lipsia, Jena, Halle, Rostock, ma nel giro di una ventina di ore fu repressa nel sangue dai carri armati russi”. “Ho ben presente quel terribile evento - disse Marcello - È ancora impressa nella mia mente la tragica espressione del drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, che, contrariamente al comportamento della maggior parte degli intellettuali, aveva deciso spontaneamente di vivere nella Germania comunista: ‘Quando il popolo sbaglia, occorre eleggerne un altro’ ”. Dopo un’attenta riflessione Marcello concluse che le contestazioni del dopoguerra avevano avuto lo stesso epilogo, perché gli assetti mondiali, stabiliti a Jalta nel 1945 dagli Stati Uniti e dalla Russia sovietica, non dovevano essere messi in discussione. Purtroppo, la contestazione del ‘68 ebbe un ulteriore drammatico sviluppo. La rabbia e la ribellione giovanile furono indirizzate verso finalità eversive emerse in tutta evidenza, ma non comprese in tempo, quando a Roma apparvero due nuove scritte sui muri dell’università: “Il potere sta sulle canne dei fucili” e “Armi agli operai e agli studenti”. Si aprì così la lunga e sanguinaria stagione della strategia della tensione e del terrorismo. Nel corso della lunga conversazione né Eleonora né Ellen, ma neanche Marcello, ebbero il minimo sospetto che l’agguato a Corrado fosse uno dei prodromi della tragedia che avrebbe sconvolto l’Italia per tanti anni, giacché già aleggiava sulle frange estreme della contestazione giovanile la presenza strategica dei contrapposti servizi segreti. 130


Infatti l’impegno politico di Corrado era seguito con una certa attenzione dai servizi segreti deviati della Nato, che si avvalevano della collaborazione di alcune organizzazioni estremiste. La conversazione terminò con molti interrogativi rimasti senza risposta. Si abbracciarono prima di andare a letto, consapevoli che avrebbero trascorso una notte insonne.

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IL REGOLAMENTO DI CONTI

L’indomani mattina, di buonora, Eleonora arrivò in ospedale con il cuore gonfio di dolore e si diresse mestamente verso il reparto di terapia intensiva, per sedersi al capezzale di Corrado. Nel primo pomeriggio si accorse che due sconosciuti, vestiti elegantemente, si aggiravano con fare sospetto e, attraverso il vetro, davano ogni tanto uno sguardo dentro la stanza. Avvertì l’agente preposto alla sorveglianza, che fece di tutto per tranquillizzarla, e comunicò le sue preoccupazioni anche a Marcello ed Ellen, i quali assicurarono che l’avrebbero raggiunta più tardi. Erano da poco trascorse le ventidue. Eleonora si era assopita quando alcuni rumori, quasi impercettibili, la svegliarono. Gli sconosciuti che l’avevano insospettita stavano armeggiando attorno alle apparecchiature. Indossavano il camice, perciò potevano essere confusi con i medici, ma il sesto senso materno le fece intuire che non si trattava di operatori sanitari. Ebbe la netta sensazione che si stesse preparando una nuova aggressione ai danni del figlio. Lanciò un grido disperato, proprio mentre Marcello, che precedeva Ellen, sbucava in fondo al corridoio. L’imprevista reazione di Eleonora mise in fuga i due malintenzionati che, appena usciti dalla stanza, si scontrarono con il giovane, e ingaggiarono con lui una furibonda colluttazione. Uno di loro, colpito da un pugno in pieno viso, si fece sfuggire un’imprecazione che tradì la sua origine siciliana. Poi si dileguò, aiutato dal complice. Svanì ogni dubbio sulle effettive intenzioni dei due uomini allorché nel bagno fu trovato il cadavere dell’agente addetto alla sorveglianza. Era stato strangolato. Eleonora ed Ellen pensarono subito alla vendetta commissionata da Tanino, ma volevano esserne certi, prima di informare la Polizia. Dopo la mezzanotte arrivò anche Mario. Mo132


glie e marito, nonostante la tragedia, continuarono a ignorarsi. Non si degnarono nemmeno di uno sguardo. L’Avvocato, con un comportamento dimesso, si avvicinò a Marcello per salutarlo. Non l’aveva più visto né sentito dalla sera della vigilia di Natale. “Ciao Marcello… non avrei mai pensato di incontrarti in una circostanza così dolorosa” - gli disse con malcelata difficoltà. Adesso, come d’incanto, lo vedeva con una luce diversa. Il senso di colpa, che aveva invaso la sua coscienza, aveva annullato la sua abituale tracotanza. Sentiva il desiderio incontenibile di abbracciare il figlio, per riconoscere i suoi errori e chiedergli umilmente perdono. Ma Marcello si ritrasse istintivamente, rispondendo al saluto. “Ciao papà, purtroppo è accaduto quello che avevo largamente previsto. Quando si scherza con il fuoco è facile scottarsi. Comunque, non è questo il momento e il luogo per parlarne. Ti dico subito, però, che devi sentirti responsabile di ciò che è accaduto”. “Non ho nessuna difficoltà ad ammetterlo. Tuttavia vorrei tanto che tu venissi a conoscenza delle circostanze e dei fatti che si sono susseguiti, e di cui sono tuttora vittima. Avrei voluto incontrarvi a casa, per una sincera discussione, certo che alla fine mi avreste compreso. Ma il giusto risentimento di tua madre non l’ha finora consentito” - rispose il padre. Marcello, che non aveva perso la speranza di vedere la famiglia riunita dall’amore, come l’aveva conosciuta per tutta l’infanzia fino all’adolescenza, non si mostrò contrariato, anzi con un certo sussiego gli consentì di proseguire. “Che ne dici di incontrarci domani pomeriggio da Rosati, a Piazza del Popolo? Puoi farti accompagnare dalla tua dolce e bella fidanzata. Non ti preoccupare. So tutto di lei e dei vostri rapporti: sono stato puntualmente informato. Anzi ti prego di presentarmela”. “Ellen… mio padre” - disse Marcello guardando Mario alla stregua di chi nutre una forte incertezza sulle reali intenzioni dell’interlocutore. Non gli sembrava verosimile la sua repentina metamorfosi. L’Avvocato baciò la mano che Ellen gli aveva porto con molta grazia. Sapeva essere squisitamente galante con le donne. 133


“Sei bellissima, Ellen. Marcello è un uomo davvero fortunato. Conosco bene la tua storia, che ti rende ancora più affascinante. Ci vedremo domani?”. “Va bene, papà” - rispose Marcello. “Allora da Rosati alle quindici”. Si abbracciarono senza un eccessivo trasporto. Prima di andare via Mario, attraverso il vetro della stanza asettica, guardò lungamente Corrado, immobile e intubato. E una lacrima fu assorbita da una ruga profonda. Il dramma lo stava trasfigurando. Marcello trascorse una notte insonne. Gli avvenimenti che lo avevano visto protagonista gli ritornarono alla mente senza soluzione di continuità. Cercava in tutti i modi di allontanarli, pensando alla dolcezza di Ellen, ma, come orribili fantasmi, lo continuavano ad inseguire, fino a quando le dissolvenze non gli fecero apparire il volto invecchiato del padre. Allora provò un’immensa compassione, e si addormentò. Ellen lo svegliò dolcemente quando apparvero i primi albori di un nuovo giorno. Decisero di pranzare da Rosati, per trovarsi con largo anticipo nel luogo dell’appuntamento. Mancavano pochi minuti alle quindici quando vide il padre sbucare da via del Corso. Il passo incerto, la schiena ricurva. La vita gli era grave. Per un attimo pensò di averlo confuso con uno dei tanti anziani che si aggirano per Roma senza una meta. Allorché fu abbastanza vicino ebbe la certezza che fosse proprio lui. Si alzò, seguito da Ellen, per andargli incontro. Si strinsero in un abbraccio. Questa volta con affettuoso trasporto. Per tanti anni il giovane aveva provato per il padre una profonda avversione. Ora, istintivamente, avvertiva per lui un autentico senso di compassione. “Che cosa posso offrirti?” - gli chiese Marcello appena presero posto. “Un caffè, grazie” - Non aggiunse altro, perché la commozione gli tolse per qualche attimo la parola. Proprio a lui che era un noto parlatore. “Come ti ho anticipato, sento forte la responsabilità per il dramma 134


che stiamo vivendo. A questo punto, però, è bene tu sappia che, per un insieme di fattori, anch’io sono stato vittima di complesse circostanze e di una serie di errori”. “Ti è forse mancata la comprensione della famiglia?” - disse il figlio con il cuore contrito. “Non avete nessuna colpa. Anzi, voi siete quelli che, a causa delle mie smisurate ambizioni, hanno pagato un prezzo altissimo. Ora ti chiedo soltanto di aiutarmi a trovare i delinquenti che hanno tentato di assassinare tuo fratello” - disse il padre con tono supplichevole. “Francamente, papà, non so come posso aiutarti” - disse Marcello. “Hai avuto tutto il tempo per osservare la faccia dei falsi medici. Ti chiedo di descrivermeli. È probabile che io possa identificarli” - chiese il padre. “Entrambi sui quaranta. Uno era alto e biondo. Più o meno come me. L’altro, che ho colpito con un pugno in viso, era di statura media. Olivastro. Da una sua imprecazione mi è sembrato di origine siciliana” - rispose prontamente Marcello. “L’uomo alto e biondo è sicuramente tedesco - intervenne con convinzione Ellen - L’ho capito quando, nella mia lingua, ha sollecitato il suo amico che, colpito dal pugno di Marcello, era rimasto steso a terra”. L’Avvocato trasalì. Un commando composto da un tedesco e da un siciliano era la conferma che la mafia e i servizi segreti deviati si fossero infiltrati nell’organizzazione. “Con la tua indagine privata non corri gravi pericoli? Non ti sembra che spetti alla Polizia il compito di assicurare questi delinquenti alla giustizia?” - disse Marcello nel vedere il padre molto preoccupato. A questo punto Mario ritenne indispensabile informare il figlio circa il suo ruolo al vertice dell’Alfa. “È bene, allora, che conosciate la mia storia segreta. La rivelo anche a te, Ellen. Conosco la tua vicenda familiare e personale, perciò mi fido ciecamente di te. Nel 1945, a pochi mesi dalla fine della guerra mondiale, fui contattato da alcuni seguaci del principe Junio Valerio Borghese, i quali m’informarono che l’invasione sovietica di tutta l’Europa orientale fino a Berlino metteva in serio pericolo la libertà dell’Italia. Poiché la mia fede politica e la mia affidabilità erano ben note, mi fu proposto di entrare a fare parte dell’Office of Strategic Service: l’attuale CIA. In quella circostanza fui messo a conoscenza che già dal 1943 i 135


servizi segreti della marina americana si erano accordati con il boss mafioso Lucky Luciano per appoggiare l’invasione della Sicilia”. “In poche parole, papà, sei tuttora una spia al servizio della CIA? chiese Marcello visibilmente preoccupato. “Sì. Nel dopoguerra fu reale il pericolo che l’Italia passasse sotto l’influenza sovietica, perciò aderii alla proposta con molto entusiasmo. Con il tempo sono diventato uno dei dirigenti dell’Alfa. Quando tuo fratello chiese, spontaneamente, di essere inserito nell’organizzazione provai una forte emozione. Soltanto da qualche mese ho cominciato a nutrire una seria preoccupazione per la sua sorte” - rispose il padre. “Hai informato Corrado del ruolo che rivesti nell’Alfa?” - chiese Marcello. “Mi è stato impedito dall’obbligo assoluto della segretezza. Allorché l’esaltazione ideologica invade la coscienza e si diventa, incautamente, membri di organizzazioni segrete con finalità paramilitari, si perde gradualmente il senso della realtà e si sacrificano pure i sentimenti familiari” - rispose il padre. “Non hai mai pensato ai gravi rischi che correva Corrado?” - chiese Marcello. “No, perché ha sempre svolto compiti marginali. Ma, recentemente, quando è tornato da Berlino accompagnato da Ellen, il gruppo operativo romano dell’Alfa gli ha affidato l’importante missione di trasportare un carico di armi e munizioni nella villetta che possiedo nei pressi del lago di Scanno. In quell’occasione, aprendo dei faldoni che maldestramente avevo lasciato in un armadio, ha letto documenti riservati e visto alcune fotografie che mi ritraggono con i suoi diretti superiori” - precisò Mario. “Potevi, però, evitargli una missione piena di insidie”. “No, perché sarebbe venuta meno la mia affidabilità”. A questo punto intervenne Ellen, facendo trasecolare l’Avvocato. Marcello restò impassibile perché era stato già informato dalla sua amica, per filo e per segno. “Ho accompagnato Corrado, anche se l’ordine era di agire da solo. Durante il viaggio, però, i nostri rapporti si sono alterati a seguito di una animata discussione sulla mia presunta appartenenza ai servizi segreti della Germania comunista. La famigerata Stasi. Da molto tempo era ossessionato da questo sciocco sospetto. Sono stata, perciò, costretta ad aspettarlo nello chalet di Forca d’Acero. Pertanto non so cosa sia successo in seguito”. 136


“Ho sempre saputo del tuo coinvolgimento, ma non sono stato informato della tua partecipazione alla missione. Corrado ha rivelato imprudentemente di avere visto le fotografie che mi riguardano e di essere venuto a conoscenza del mio ruolo nell’Alfa. Credo che questo errore gli sia stato fatale” - disse Mario. “Non ho mai condiviso l’ideologia che ispira Corrado. La mia adesione all’Alfa è stata preventivamente concordata con Eleonora per stargli vicino e per aiutarlo a uscire da una situazione molto rischiosa - si affrettò a precisare Ellen - Ora, io non so se il tentativo di uccidere Corrado sia stato causato dal suo maldestro comportamento. Ritengo, però, che sia opportuno prendere in seria considerazione anche la probabile vendetta commissionata da Tanino”. Per rispondere in modo convincente all’incredulità dell’Avvocato Ellen riferì tutti i particolari del suicidio di Annuccia. Mario non li sottovalutò, perché ritenne che l’interconnessione dei fatti potesse rientrare nel novero delle possibilità. La mafia era funzionale alle azioni delittuose dei servizi segreti deviati, perciò non poteva preventivamente escludere che i comuni interessi avessero portato alla decisione di uccidere suo figlio. Bisognava, quindi, indagare anche sul conto di Tanino e della sua famiglia, perché non era del tutto errata l’idea che si fosse trattato di un agguato della mafia condiviso da alcuni settori dei servizi segreti deviati. In tal caso si sarebbe trattato di un vero e proprio avvertimento, perché la lotta al vertice dell’Alfa era diventata particolarmente virulenta. Se questa ipotesi si fosse rivelata concreta, Mario avrebbe corso gravissimi pericoli. “Credo di avervi ulteriormente rattristato con le mie confessioni - disse a un tratto, come se avesse ritenuto esauriente il colloquio – Seguo sempre la tua attività concertistica, cara Ellen. Sinceri complimenti. Ormai tutta la critica prevede per te una luminosa carriera. Sono stato informato anche dei vostri rapporti sentimentali. Avete intenzione di sposarvi o di convivere?”. “Vogliamo sposarci, appena gli impegni di Ellen lo consentiranno. Con una cerimonia sobria. Senza clamore, tenuto conto delle condizioni di Corrado”. Constatarono che il tempo era trascorso rapidamente. Era 137


scesa la sera. Perciò decisero di salutarsi e di rivedersi quanto prima. Occorreva conoscere, prima di tutto, la vera identità degli aggressori di Corrado e dei loro mandanti. Quando tornarono a casa Marcello ed Ellen trovarono Eleonora assopita in poltrona. Appena avvertì la loro presenza, senza scomporsi, aprì gli occhi. E non pose domande, come se gli argomenti trattati dai due giovani con il marito non le interessassero affatto. Non sentirono nemmeno la necessità di cenare. Era esclusivo il bisogno di silenzio, che fu assoluto. Infine, ognuno per proprio conto decise di andare a letto. Nessuno dei tre riuscì a prendere sonno. La moviola continuò, per tutta la notte, a proiettare incessantemente i fotogrammi del film di un drammatico e interminabile momento. Perciò risultò vano ogni tentativo di rimuovere l’ossessivo pensiero. L’Avvocato trascorse la notte consultando un’abbondante documentazione, e dopo meticolose ricerche trovò il recapito di un massone siciliano, conosciuto qualche anno prima, molto addentro ai rapporti tra Cosa Nostra e i servizi di informazione. Gli telefonò e riuscì a farsi fissare un appuntamento a Trapani. Due giorni dopo Mario arrivò a Palermo con l’aereo partito da Fiumicino alle 9,45. Un taxi lo condusse a Trapani, dove giunse puntualissimo per incontrare il suo amico Giuseppe, che tutti chiamavano Pippo, nel ristorante prescelto di comune accordo. Si fecero riservare una stanzetta lontana da occhi indiscreti. Mario evitò ogni preambolo ed entrò immediatamente nel vivo della questione, perché voleva avere con urgenza ogni tipo di informazione sul conto di Tanino e della sua famiglia. Pippo, personaggio di poche parole, raggiunse il telefono posto all’angolo della sala, compose il numero che conosceva a memoria e impose alla persona che si era precipitata a rispondere di raggiungerlo. Arrivò dopo un quarto d’ora, e alla domanda di fornire le delucidazioni richieste dall’Avvocato rispose prontamente che 138


Tanino era il nipote del più potente boss mafioso del trapanese, inviato ad Amburgo per curare gli interessi della cosca. E pensare che Annuccia aveva creduto che Tanino fosse andato in Germania per trovare una definitiva sistemazione in vista del loro matrimonio. Ancora una volta il male subdolo aveva avuto la meglio sull’amore! Restava comunque il dubbio sul vero motivo del tentato omicidio di Corrado. Era stata la vendetta di Tanino o si era trattato di un avvertimento dei servizi segreti deviati? Nel primo caso non si capiva la presenza di un killer tedesco, nel secondo occorreva scoprire la funzione del siciliano. Comunque Mario ritenne proficuo il dialogo avuto con i siciliani, e prima di ripartire per Roma telefonò a Marcello per concordare un nuovo incontro. Era impellente il desiderio di riferirgli le informazioni acquisite in Sicilia. Marcello si presentò all’appuntamento accompagnato dall’inseparabile Ellen, che per restare vicina a Eleonora in un così triste momento aveva sospeso la sua attività concertistica. Al termine dell’esposizione di Mario, Ellen prese la parola. “Ho motivo di ritenere che la composizione di questo ingarbugliato puzzle si trovi a Berlino. La mia città è il quadrivio dove si incrociano tutte le attività spionistiche internazionali. Dobbiamo, quindi, consultare l’archivio di Corrado per metterci in contatto con i suoi amici tedeschi. Sono convinta che solamente loro potranno aiutarci”. L’Avvocato apprezzò molto il contributo di Ellen, e decise di partire per Berlino all’inizio dell’entrante settimana. Intanto Marcello aveva introdotto un’importante discussione che aveva soltanto un’indiretta connessione con la tentata uccisione di Corrado. “Vedi, papà… mi sono allontanato dalla politica attiva quando ho compreso che l’idea di Europa Nazione veniva nei fatti ostacolata da certi comportamenti. Infatti le mie posizioni si sono a poco a poco distanziate da quelle di Corrado perché erano evidenti le forti contraddizioni di chi esaltava i riti del regime nazista per celare un sostanziale filoamericanismo. 139


Mi chiedo adesso come tu abbia potuto metterti al servizio dell’american way of life, che ha come dichiarata finalità l’istituzione di un nuovo ordine mondiale”. “Nel 1945 era la sola possibilità per non finire sotto il dominio comunista, Marcello. Si correva per davvero il rischio di perdere la libertà. Insomma, preferii scegliere il male minore” - rispose l’avvocato con determinazione. “Un popolo, però, perde la libertà anche quando accetta supinamente una cultura che rimuove, di fatto, la sua tradizione, la sua identità e il suo spirito comunitario. Non ti sembra che il pragmatismo liberista e il materialismo storico, finalizzati alla realizzazione di un’utopica società, siano le prerogative di una stessa visione del mondo negatrice della spiritualità europea?” – disse Marcello con malcelata enfasi. “Avrei voluto vederti in quelle drammatiche circostanze, quando tra le macerie di una guerra perduta e la diffusa disperazione non c’era il minimo tempo per queste riflessioni. Non restava altro che difendere la libertà dal pericolo comunista” - ribadì il padre. “Oggi non sono in grado di stabilire che cosa avrei fatto a quel tempo. È certo, però, che ho conservato intatta la mia fede politica, e sarò sempre pronto a difendere le nostre tradizioni e la spiritualità dell’Europa contro il mondialismo e il pensiero unico di una società uniforme e senza anima” - disse Marcello. “Conosco bene le tue idee. Tuttavia mi sono sempre chiesto da dove attingi le tue certezze” - disse Mario un po’ seccato. “Papà, hai presente i simboli impressi sulla banconota americana da un dollaro?” - chiese Marcello. “Ne abbiamo sempre parlato. Fai riferimento all’espressione Novus Ordo Seclorun?” - domandò per tutta risposta il padre. “Sì. Riportata in latino maccheronico” - rispose Marcello. “No. Fu probabilmente ripresa da un frammento di un verso delle Bucoliche di Virgilio: ‘Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo’ (‘nasce di nuovo una grande serie di secoli’, Ecloga IV,5), con l’omissione del dittongo, seclorum, dovuta forse a mancanza di spazio o ad una svista” - rispose il padre. “Ti ringrazio, papà, per aver colmato una mia lacuna, ma hai osservato bene la banconota in questione? Ecco, la porto sempre con me - disse Marcello aprendo il portafoglio - Il numero tredici è raffigurato in modo sistematico. Sullo scudo vi sono tredici strisce. Nel bagliore a 140


forma di cerchio, sopra l’aquila, vi sono tredici stelle. L’aquila stringe con l’artiglio destro un ramo d’olivo con tredici rami e tredici olive, e con l’artiglio sinistro stringe tredici frecce. Le scritte E pluribus Unum e Annuit Coeptis contengono tredici lettere. La piramide è costituita da tredici strati di pietre”. “Ti ripeto che ne abbiamo parlato molte volte. Ma non ho mai capito a quali conclusioni tu voglia giungere” - disse il padre. “Papà, i simboli massonici riportati sulla banconota americana sono troppi, e tutti inseriti in modo organico e coerente, per credere a delle semplici coincidenze. Non riesco a immaginare che ti sfugga il significato del simbolo The Great Seals, il grande sigillo, composto da una piramide tronca sul cui vertice è posto un triangolo. Dentro di esso c’è un occhio onniveggente con le scritte Annuit Coeptis e Novus Ordo Seclorum” - precisò Marcello. Poiché la discussione rischiava di diventare stucchevole, tenuto conto che nel passato si erano già accapigliati sull’argomento, Mario non insistette, anche per non annoiare Ellen che li seguiva in silenzio ma con grande interesse. “Marcello, cosa significa la scritta Annuit Coeptis?” - chiese Ellen per continuare la discussione. “Vuol dire che ‘la divinità ha acconsentito’ o ‘approva le cose iniziate’. Insomma che è pienamente d’accordo con le finalità dell’Ordine degli Illuminati” - rispose Marcello. “Noto con piacere che Ellen è molto interessata all’argomento. Conosco bene tutti gli aspetti di questa controversa questione di cui si nutre l’antiamericanismo di contrapposti schieramenti. Paradossalmente dai comunisti alla destra radicale. Vi chiedo scusa se sono costretto a lasciarvi. Ho urgente bisogno di documentarmi e di prendere contatto con gli amici di Berlino. Riprenderemo la conversazione in un momento più opportuno. Vi auguro di cuore una buona serata” - disse l’Avvocato mentre salutava i due giovani. La discussione si era avviata lungo un binario inquietante. Infatti Mario era molto preoccupato che si scoprisse la sua adesione alla massoneria. Appena si allontanò, la giovane tedesca chiese maggiori spiegazioni. “L’Ordine degli Illuminati? È la prima volta che ne sento parlare”. “Mi sembra strano che tu non ne abbia mai sentito parlare. L’Or141


dine fu fondato a Monaco di Baviera nel 1776 dal principe tedesco Jean Adam Weishaupt, con lo scopo di distruggere la società mondiale caratterizzata dalle ingiustizie sociali per poi riedificarla su altre basi” - rispose Marcello. “Ma è il principio della rivoluzione comunista! ” - intervenne Ellen. “Della sovversione più in generale. L’Ordine degli Illuminati sosteneva l’impegno di sterminare tutti i re e la razza dei capeti; di distruggere la potenza del Papa; di predicare la libertà dei popoli e di fondare una repubblica universale” - precisò Marcello. “Ma è la finalità che persegue con tutti i mezzi l’imperialismo sovietico!” - disse Ellen. “Ma anche il mondialismo americano. La scritta sul dollaro E pluribus unum, racchiusa nel nastro stretto dal becco dell’aquila, significa che i princìpi degli Illuminati dovranno essere diffusi in tutte le nazioni per realizzare un nuovo ordine mondiale” - precisò Marcello. “Veramente incredibile! - esclamò Ellen - Non vorrai mica sostenere che la spartizione del mondo, avvenuta a Jalta nel 1945, sia finalizzata a realizzare questo insano disegno?”. “Ne sono fortemente convinto” - rispose Marcello. “Ma che c’entra la massoneria?” - chiese Ellen. “La proposta di stampare il suggello degli Illuminati sul dollaro americano fu avanzata dai presidenti degli Stati Uniti d’America Benjamin Franklin e Thomas Jefferson. Quest’ultimo era un Illuminato, ma il suggello The Great Seals fu stampato sulla moneta nell’anno 1933 per ordine del trentaduesimo presidente Franklin Roosevelt, che come è noto era massone, il quale ordinò che fosse riportato sul dollaro anche il simbolo degli Illuminati: la piramide formata da settantadue mattoni disposti su tredici livelli” - rispose Marcello. “Marcello, non riesco proprio a credere a queste tesi. Penso invece che si sia trattato di una sorta di esibizionismo culturale di una ristretta cerchia di persone in buona fede” - disse Ellen. “Allora, è bene che tu sappia che la banconota americana è così pregna di simbolismi massonici perché l’uso del potere finanziario è uno dei metodi utilizzati dagli Illuminati per dominare il sistema politico di ogni Paese e l’economia del mondo nel suo insieme. Mi rendo conto che corro il rischio di apparire un visionario, però, cara Ellen, chi vivrà vedrà” rispose apoditticamente Marcello. 142


“No. Non sono affatto di quest’avviso. Nel modo più assoluto. Non potrò mai dimenticare la brutalità dei sovietici quando, nel 1945, entrarono nella mia città. E, per contro, la fraterna solidarietà degli americani nel 1948, quando l’Unione Sovietica decise il Blocco di Berlino. Saremmo stati ridotti alla fame dai comunisti se gli americani non avessero attuato un ponte aereo per rifornirci di viveri e generi di prima necessità. Che dire poi del discorso di John Kennedy a Berlino nel 1963, quando dichiarò con grande convinzione ‘Ich bin ein Berliner’? - disse Ellen in preda a un’incontenibile emozione. “Dopo alcuni mesi, per questa coraggiosa presa di posizione fu assassinato! - disse Marcello, per poi aggiungere - Devi anche ricordare il tragico epilogo della rivoluzione ungherese che gli Usa incoraggiarono, promettendo il loro intervento militare in caso d’invasione per poi tradire vergognosamente il popolo magiaro”. “Sì, è vero. Ho ancora vivido il ricordo dell’ultimo messaggio di Imre Nagy rimasto inascoltato, quando la rivoluzione ungherese fu repressa nel sangue dai carri armati sovietici” - disse Ellen. “E che dire della Primavera di Praga? È troppo recente per considerarla un ricordo. Ancora brucia sulla nostra pelle il sacrificio di Jan Palach e dei cecoslovacchi traditi e abbandonati dall’Occidente. Questi validi esempi dimostrano chiaramente che gli equilibri stabiliti con la spartizione del mondo in due sfere d’influenza non devono in nessun caso essere rimessi in discussione!” - disse Marcello. “Non so cosa dirti. Non mi sono mai interessata di politica, a causa delle drammatiche circostanze che hanno segnato la mia esistenza. Ho preferito seguire decisamente la mia vocazione: la musica. Non ti sembra che sia arrivato il momento di tornare a casa?” - chiese Ellen. “Hai ragione. Ti chiedo scusa se mi sono lasciato prendere dalle situazioni che ruotano attorno alla vicenda di Corrado” - rispose Marcello. Seguì un lungo silenzio. A Ellen continuava a sfuggire il nesso. Giunti a casa, attesero seduti in salotto il ritorno di Eleonora dall’ospedale. Il silenzio aleggiò su di loro durante la frugale cena. A un tratto, Marcello pose fine al disagio. “Mamma… è davvero difficile descriverti il profondo cambiamento che ho riscontrato in papà…”. 143


Eleonora, che aveva previsto le parole del figlio, intervenne palesemente turbata. “Marcello, ti prego di non continuare… non voglio più sentire parlare di un uomo che ha rovinato la nostra vita”. “Mamma, permettimi solamente di dirti che ha iniziato un’indagine per scoprire l’identità degli aggressori di Corrado. Abbiamo ipotizzato una probabile vendetta di Tanino, ma papà pensa anche a un avvertimento di un’organizzazione politica di cui lui stesso è membro autorevole… è una lunga storia… te ne parlerò in un momento più opportuno”. “È la megalomania che lo spinge a sostituirsi agli organi inquirenti. Perciò non dargli alcun credito” – disse recisamente la madre. “Ti prego di perdonarmi se insisto… ho validi motivi per credere che possa riuscire nel suo intento. È stato già in Sicilia, e la settimana prossima partirà per Berlino” - disse Marcello. “Andasse anche all’inferno. Non m’interessa più niente di quello che fa” - rispose Eleonora. “Con il tuo permesso, vorrei accompagnarlo” - disse Marcello. “Non hai bisogno della mia autorizzazione. Hai l’età per prendere ogni decisione” - rispose Eleonora. Poiché sua madre non manifestò una palese contrarietà, Marcello pensò che la risposta contenesse un tacito consenso. E invitò Ellen ad unirsi a lui. “È una buona occasione per riprendere contatto con il direttore dell’Orchestra sinfonica di Berlino, per programmare il concerto sotto il Muro” - rispose Ellen. Eleonora non replicò, ma dopo averli salutati con molto affetto si ritirò nella sua stanza. Un comportamento che fu interpretato alla stregua di un’implicita accettazione. L’indomani mattina Marcello comunicò a suo padre che con Ellen aveva deciso di accompagnarlo, precisando però che a Berlino le strade si sarebbero divise, perché lo scopo del loro viaggio era legato all’attività concertistica della sua amica. Il pomeriggio del giorno dopo, all’ora del tè, si incontrarono da Rosati in Piazza del Popolo. Mario chiese subito al figlio se avesse ottenuto il consenso di Eleonora. “Ne ho parlato con mamma. A parte il risentimento che nutre nei tuoi confronti, non mi è sembrata di parere contrario” - rispose Marcello. 144


“Anche perché - disse Ellen - sa che devo incontrare il direttore dell’Orchestra sinfonica di Berlino, per programmare un concerto sotto il Muro. Se non avete nulla in contrario, gradirei molto che fosse prenotato l’albergo dove soggiornai con Corrado. È a poca distanza dalla Porta di Brandeburgo”. “Gli fu consigliato da me. Wilhelm, il direttore, è un vecchio amico. Bene… partiremo martedì. Per i biglietti dell’aereo provvederò oggi stesso” - disse l’Avvocato. Il tempo trascorse rapidamente. In una serata uggiosa trovarono Berlino incupita. Probabilmente così apparve agli occhi di Ellen, velati di melanconia. Fu gioioso invece l’incontro tra Mario e Wilhelm, tanto da far pensare che il loro rapporto andasse al di là di una semplice amicizia. Calorosa fu anche la presentazione dei due giovani. Subito dopo cena, assaliti dalla stanchezza, decisero di andare a letto. Almeno così sembrò. In realtà, mentre Marcello ed Ellen si ritirarono nella loro stanza l’Avvocato tornò nella hall per incontrarsi con il direttore. Wilhelm, ex ufficiale della Wehrmacht, aveva combattuto in Italia, dove aveva conosciuto Mario, ed era un agente del controspionaggio della Germania occidentale. Entrambi erano membri dell’Alfa. Nell’ufficio del direttore, lontani da occhi indiscreti, l’Avvocato riferì tutti i dettagli dell’attentato subìto dal figlio, la storia di Tanino e le informazioni ricevute in Sicilia sui rapporti tra la mafia e i servizi segreti deviati. “Mi dispiace molto per quello che è capitato a Corrado. Vedrai che se la caverà. È giovane, e ha una fibra molto forte. L’ho conosciuto nel corso del suo soggiorno in quest’albergo, e ho avuto modo di apprezzare la sua serietà e il suo coraggio. Conosco anche la travagliata storia di Ellen e della sua famiglia” - disse Wilhelm. “Lo spero tanto. Ho sempre preferito Corrado al fratello, perché mi assomiglia molto. Sono venuto in Germania per cercare i suoi aggressori, un siciliano e un tedesco, che secondo le informazioni raccolte in Sicilia avrebbero organizzato l’agguato ad Amburgo. Nello stesso tempo, devo scoprire se è stata la vendetta ordita da un certo Tanino o un avvertimento della mafia e dei servizi segreti deviati. Sai 145


bene che a causa di alcuni errori commessi da Corrado sono diventato un sorvegliato speciale” - disse Mario. “Se fossi in te non mi farei troppe preoccupazioni. Sei molto considerato per la tua comprovata affidabilità. Da sempre. Occorre allora andare ad Amburgo, dove Tanino, che è un nostro collaboratore, lavora in un noto ristorante controllato dalla mafia. Chiamo subito Franz, il nostro agente, per fissargli un incontro urgente” - disse Wilhelm. Intanto Ellen, appena entrata nella stanza del tutto simile a quella dove era stata brutalizzata da Corrado, si sentì venir meno. Si riprese immediatamente quando ricordò gli attimi d’amore vissuti nella bottega. A pochi passi da lì. Guardò lungamente Marcello e si accorse che somigliava molto a Maximilian. Entrambi alti e biondi, soltanto il colore degli occhi era diverso. Azzurri quelli di Maximilian, castani quelli di Marcello. Gli aveva già confessato le perversioni sessuali e l’aborto che era stata costretta a subire dal fratello, perché nel momento più drammatico della sua vita la conquista della libertà era l’unico valore al quale era disposta a concedere tutto. Anche la vita. Si avvinghiò a Marcello, e fu una notte tenera che cancellò il ricordo di tutte le crudeltà. Mario non riuscì a prendere sonno. Perciò alle sei, quando squillò il telefono, disse a Wilhelm che era ancora vestito come l’aveva lasciato. Con la veloce Porsche dell’amico raggiunsero l’aeroporto, dove li attendeva un aereo dell’Alfa. E dopo circa un’ora di volo raggiunsero Amburgo. All’uscita, era in attesa un uomo sulla quarantina. L’Avvocato ebbe l’impressione che fosse l’uomo descritto da Ellen, ma considerò subito che fossero moltissimi i tedeschi con quelle caratteristiche fisiche. Era Franz, l’agente segreto di stanza ad Amburgo con il quale dovevano incontrarsi. Il suo Maggiolino, dopo un lungo giro, si fermò nei pressi di un vecchio stabile alla periferia della città. Salirono al primo piano, e quando Franz aprì la porta blindata dell’appartamento Mario si rese conto di trovarsi all’in146


terno di un importante centro operativo, tecnologicamente avanzato. Si sedettero attorno a un tavolo ovale, e Wilhelm assunse subito un posto preminente. “Presumo che tu conosca l’Avvocato. È il padre di Corrado, il giovane italiano che ti fu affidato nel corso della sua missione a Berlino, ed è in Germania alla ricerca dei due killer che hanno tentato di assassinare il figlio. Uno è un nostro connazionale, l’altro è siciliano. Da informazioni di prima mano l’Avvocato ha dedotto che siano partiti da questa città. È necessario conoscere gli spostamenti di Tanino nei giorni in cui il commando ha tentato di uccidere Corrado. Sia quando gli è stato sparato un colpo di pistola alla nuca sia quando hanno provato, maldestramente, a bloccare le apparecchiature sanitarie che lo tengono in vita. Abbiamo buone ragioni per credere che sia stato Tanino a commissionare l’omicidio” - disse il direttore, rivolto con toni decisi al suo collaboratore, spiegando i motivi che avrebbero indotto il giovane siciliano a organizzare l’attentato. “Tanino è un nostro fidato collaboratore inviato ad Amburgo per curare gli interessi di una cosca mafiosa di Trapani, la quale, ora, ha perduto il suo tradizionale potere. Sono sicuro che in quei giorni non si sia per niente allontanato da Amburgo. Comunque, non avrebbe mai agito senza sentirmi preventivamente. Conosce bene le nostre regole e i pericoli che si corrono quando sono trasgredite” - rispose Franz. “Devi oggi stesso torchiarlo duramente. Intanto cosa sai dei due sconosciuti di cui l’Avvocato possiede soltanto l’identikit?” - chiese Wilhelm. Franz guardò il foglio con le due immagini, e concluse di non averli mai visti. “Resteremo ad Amburgo fino a quando non avremo acquisito utili informazioni. Ti premetto, però, che importanti e improrogabili impegni mi attendono a Berlino, e che l’Avvocato deve urgentemente rientrare in Italia” - disse il direttore mentre invitava l’agente ad accompagnarli fino all’albergo dove era solito andare quando soggiornava ad Amburgo. “C’è qualche cosa di oscuro nel comportamento di Franz. Conosce bene i due individui dell’identikit. Ne sono sicuro. È probabile che nelle prossime ore avverranno fatti di estrema gravità. In questi ultimi tempi deve essermi sfuggito il controllo della situazione” - disse Wilhelm, 147


palesemente preoccupato, appena l’agente si allontanò. “Ho avuto anch’io la stessa impressione. Quello - disse l’Avvocato indicando Franz - sa molto di più di ciò che intende far credere”. Infatti, la sera stessa Franz convocò Tanino; Michele, il siciliano; Klaus, il tedesco. Trascorse appena un’ora, e il terzetto era già nel centro operativo dell’agente. Klaus si dispose in piedi alle spalle di Franz, che si era già seduto di fronte agli altri due. “Tanino…” - esordì Franz scrutando con occhio indagatore prima l’uno e poi l’altro - Io non conosco i tuoi complici, perciò rispondi personalmente anche delle loro azioni. Devo sapere immediatamente da chi avete ricevuto l’ordine di attentare alla vita di Corrado, e tutti i dettagli dell’aggressione”. Mentiva spudoratamente, perché Klaus era un suo infiltrato. Franz sapeva perfettamente che era stato Tanino a organizzare l’aggressione al giovane romano con la preventiva autorizzazione del clan mafioso e dei servizi segreti deviati. I quali, con un solo colpo, volevano raggiungere due obiettivi: vendicare Tanino e ridimensionare il potere di Mario e di Wilhelm. “La situazione è diventata estremamente pericolosa. La famiglia di Tanino è in disgrazia e la nuova cosca, che controlla il trapanese, ha intrecciato stabili rapporti con i tradizionali membri dell’Alfa. Adesso l’Avvocato e il direttore sono più forti. Avete commesso un imperdonabile errore. Sapete quello che vi aspetta” - concluse in tono perentorio. Al termine della confessione di Tanino e Michele, Franz, con un tocco quasi impercettibile del gomito, ordinò a Klaus di agire secondo gli ordini ricevuti. Il killer tirò fuori la pistola munita di silenziatore e, a sangue freddo, colpì mortalmente in mezzo alla fronte i due siciliani, che stramazzarono al suolo senza un lamento. Klaus non fece in tempo a osservare i loro corpi senza vita, perché lo stecchirono i colpi di pistola che Franz, girandosi repentinamente, gli aveva sparato al cuore. Era stato avvertito che l’Alfa non gli avrebbe perdonato disattenzioni e doppi giochi. Senza perdere un minuto di tempo, Franz corse rapidamen148


te in albergo per informare Wilhelm. “Si è trattato di un regolamento di conti, mentre era in corso un’accesa discussione sollevata dalle mie domande. È avvenuto tutto repentinamente sotto i miei occhi, prima che io potessi avere qualsiasi informazione”. Wilhelm e Mario si scambiarono un fugace sguardo denso di interrogativi. L’indomani mattina furono visti tre cadaveri galleggiare in uno dei canali dall’Alster. La mattanza non permise di far fare un passo avanti all’indagine di Mario e di Wilhelm, che ripartirono per Berlino. Restava fitto il mistero. Chi aveva tentato di eliminare Corrado? E per quali motivi? Qual era stato il movente del triplice omicidio? Solamente l’esame balistico avrebbe potuto fornire qualche utile elemento. Bisognava, però, trovare le pistole per risalire ai loro possessori, sempre che fossero state regolarmente denunciate. Cosa molto improbabile. L’Avvocato e il suo amico erano ormai convinti che Corrado fosse stato colpito da una delle pistole usate nella strage, perciò decisero di segnalare alla Polizia, con una telefonata anonima, il luogo dove era stata compiuta: l’ufficio segreto di Franz. E, contestualmente, accennarono al fondato sospetto che il crimine di Amburgo e il tentato omicidio di Corrado avessero una stretta connessione. Abbattuta la porta blindata con l’uso della fiamma ossidrica, fu agghiacciante lo scenario che apparve ai poliziotti. Le due pistole facevano bella mostra di sé in mezzo a un lago di sangue. Non fu difficile identificare Franz, proprietario sotto falso nome dell’appartamento, che venne subito arrestato. E fu, contestualmente, interessata l’Interpol, per coordinare le indagini con la polizia italiana. In seguito, dopo avere confessato le modalità della strage di Amburgo e del tentato omicidio di Roma, Franz fu trovato morto nella sua cella. Era stato “suicidato”. A dimostrazione, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, della capillare presenza dell’Alfa. 149


L’INCONTRO DI ELLEN CON IL DIRETTORE DELL’ORCHESTRA SINFONICA DI BERLINO

Nell’albergo di Berlino Marcello, desideroso di vedere il posto dove Ellen aveva scavalcato il Muro, notò che la sua amica era già pronta per uscire. Durante la notte non aveva pensato ad altro. Era preso anche dalla curiosità di conoscere il punto preciso dove il fratello era stato intento a scrivere i graffiti, quando Ellen scese acrobaticamente dal Muro. L’ignobile costruzione fu raggiunta in poco tempo. I graffiti, in parte nascosti dai successivi interventi, furono subito individuati da Marcello, che conosceva molto bene la grafia del fratello. Ebbe un momento di indescrivibile emozione quando vide Ellen, con la testa appoggiata al Muro, che si era abbandonata a un irrefrenabile pianto. Marcello l’abbracciò teneramente, allontanandola dalla fredda parete di cemento. La cinse alla vita e s’incamminarono verso la vicina Porta di Brandeburgo. Ellen intravide il degrado della parte est della città, ed ebbe un fremito. Raggiunsero la Friedrichstrasse, riportata allo splendore di una volta, e alla giovane berlinese parve di riconoscere il negozio dove era solita scegliere i giocattoli sotto lo sguardo divertito dei genitori. La gioiosa e diffusa atmosfera li indusse a fantasticare sull’organizzazione del concerto che da molto tempo Ellen desiderava eseguire sotto il Muro. Il surrealismo li spinse oltre. Marcello, immaginifico, pensò di dipingere Ellen che volava dal Muro verso la libertà con le ali dispiegate, come un angelo, mentre suonava l’oboe accompagnata al pianoforte dalla madre. Pensarono anche ai dettagli, senza tener conto che la realpolitik, quasi sicuramente, non avrebbe consentito la realizzazione dei loro programmi. Tuttavia, animati da un’ingiustificata convinzione, si recaro150


no al Conservatorio per incontrare il direttore dell’Orchestra sinfonica. Fu un tentativo inutile. Non era a Berlino. Due giorni dopo, l’incontro fu improntato alla massima cordialità. E quando il direttore conobbe i particolari della travagliata esistenza di Ellen mostrò la massima disponibilità, senza celare, però, le notevoli difficoltà. “Ho conosciuto tuo padre. Era il migliore musicista dell’orchestra. Avrebbe raggiunto vertici inimmaginabili, se non avesse fatto quella terribile fine. La proposta di tenere un concerto sotto il Muro è semplicemente meravigliosa, ma devo avvertirti che in seguito ai tanti tentativi di fuga da Berlino Est le autorità comuniste, d’intesa con gli americani, hanno proibito ogni assembramento nei pressi del Muro” - disse il direttore. “Anche se la presenza è limitata ai soli musicisti?” - chiese Ellen. “È un’eventualità che devo verificare. Sei troppo nota per passare inosservata. Il tuo caso è diventato un vessillo di battaglia per tutti i berlinesi che aspirano alla libertà dal comunismo” - rispose il direttore. “Ma con quale potere possono proibire una manifestazione musicale nel territorio della Germania libera?” - chiese Marcello. “A Berlino gli Usa hanno raggiunto un equilibrio con l’Urss. Ora, per la libertà di pochi non intendono inasprire la tensione internazionale” rispose il musicista. “Allora tutti gli inni alla libertà non sono altro che espressioni propagandistiche?” - chiese Marcello. “In parte è così. Sono sicuro però che verranno momenti migliori. Vi farò conoscere tutti gli sviluppi della situazione. Nel frattempo, Ellen, potrei inserirti nel programma della prossima stagione sinfonica. Domani pomeriggio l’orchestra sarà al gran completo. Potremmo provare il Concerto n.2 in Do min. per pianoforte e orchestra di Rachmaninov” - concluse il direttore. “La ringrazio di cuore. È il dono più bello che potesse farmi” - rispose raggiante Ellen. “Ti aspetto in questa sala alle 15 di domani” - disse il direttore. “Sarò puntualissima” - rispose Ellen con uno splendido sorriso. Dopo avere pranzato in un vicino ristorante si salutarono calorosamente. 151


Nel tardo pomeriggio Marcello ed Ellen rientrarono in albergo. Nella hall trovarono Mario che li attendeva con ansia, disteso in poltrona con gli occhi chiusi. Ma non dormiva. Era notevolmente segnato dagli avvenimenti che, come un turbine, gli confluivano nella mente. Appena sentì la voce del figlio spalancò gli occhi, si ricompose e invitò i due giovani a sedersi. Fremeva per riferire il risultato delle sue indagini e per conoscere l’esito dell’incontro con il direttore dell’Orchestra sinfonica. Il risultato ottenuto da Ellen compensò l’angoscia suscitata dai fatti accaduti ad Amburgo. Decise di ritardare di qualche giorno la partenza per Roma, perché era pressante il desiderio di accompagnare Ellen al Conservatorio. Aveva intuito che quell’occasione avrebbe segnato il momento di svolta della carriera concertistica della ragazza. Perciò non volle far mancare la sua affettuosa presenza e il suo sostegno morale. I reiterati e martellanti accordi delle battute iniziali, presi a piene mani a poco a poco crescendo, eseguiti da Ellen con trasporto e forza interpretativa, introdussero un concerto che coinvolse il direttore e gli orchestrali in un vortice di romantica passionalità. Al termine fu entusiastico l’apprezzamento, tanto che subito dopo fu firmato il contratto per il concerto di Natale. “Bravissima, Ellen. Sono sicuro che il successo del concerto di Natale ci consentirà di realizzare quello sotto il Muro” - disse il direttore dopo la firma del contratto, abbracciandola teneramente. “Le sono grata per quello che ha già fatto per me. La mia gratitudine sarà eterna, perché sono convinta che con il suo autorevole sostegno realizzerò il mio sogno” - disse Ellen mentre si salutavano. Il direttore continuò a osservarla mentre si allontanava con un’andatura elegante, pensando a come il piano divino della sofferenza elevi le inclinazioni naturali ai vertici della genialità. Durante il viaggio di ritorno a Roma Marcello ed Ellen, seduti gomito a gomito, sprizzavano gioia da tutti i pori. Una 152


felicità che coinvolgeva relativamente Mario, che di tanto in tanto era assalito dallo sconforto per non avere ancora scoperto la verità sull’attentato. Arrivati a Roma l’Avvocato, dopo i saluti, si avviò verso l’uscita dell’aeroporto. L’incedere non era più sicuro e baldanzoso come una volta. La schiena leggermente ricurva mostrava tutto intero il peso della sua drammatica condizione. Marcello lo accompagnò con lo sguardo, e lo compatì. Nel senso che si fece carico della sua sofferenza. A casa, i due giovani trovarono Eleonora affranta. Corrado era sempre immobile. Non manifestava alcun segno di miglioramento. La sua era una vita apparente, sostenuta meccanicamente. Sicché, quando Marcello ed Ellen cercarono di trasmetterle la loro felicità lei non ebbe alcuna reazione. Sembrava del tutto indifferente. Paradossalmente, chiese notizie sulle indagini condotte dal marito. “Che cosa ha scoperto quell’invasato?” - domandò senza nominarlo. “Vaga nel buio più completo, perché Tanino e altri due delinquenti, un tedesco e un siciliano, si sono massacrati nel corso di un regolamento di conti. È probabile che i killer siano gli stessi individui travestiti da medici che si scontrarono con me in ospedale” - disse Marcello. “Tanino?” – chiese basita Eleonora. “Sì, proprio lui. Sai, mamma, non era quel bravo giovane che voleva apparire quando ti fu presentato da Annuccia. In realtà rappresentava ad Amburgo gli interessi di una cosca mafiosa di Trapani”. “No, non è possibile!”. “Invece sì… l’ha accertato papà. È stato informato dal massimo responsabile tedesco dell’organizzazione di cui lui è il dirigente del nucleo operativo romano. Corrado ne fa parte, però è venuto a conoscenza soltanto in questi ultimi tempi, e in modo fortuito, del ruolo di papà, commettendo l’ingenuità di rivelarlo nel corso di una riunione. Non è escluso che questa circostanza e la vendetta di Tanino siano collegate tra di loro”. A questo punto Marcello mise a conoscenza la madre delle motivazioni che avevano spinto il padre, nel dopoguerra, a diventare una spia al servizio degli americani, riferendo i 153


dettagli della conversazione avvenuta alcuni giorni prima. Il turbamento di Eleonora fu appalesato dal suo viso congestionato. “Adesso capisco tutto… i suoi continui viaggi all’estero… la camera blindata… la sua ostentata simpatia per Corrado… l’insofferenza per te… la relazione con la sua segretaria… senza parlare dei rapporti con le puttane di mezza Roma. Tutto ciò conferma che alle sue follie ha sacrificato la serenità della nostra famiglia”. “Hai tutte le ragioni, mamma. Però bisogna considerare anche le circostanze che l’hanno indotto a cambiare il suo modo di vivere. Prima della guerra non era così. Lo ricordo molto affettuoso con noi”. “No, caro Marcello, tuo padre ha avuto sempre un animo perverso. È un sepolcro imbiancato. Con lui il male subdolo dell’ipocrisia ha avuto sempre la prevalenza sull’amore e sulla verità. È assurdo che proprio tu che sei stato, insieme con me, la sua vittima adesso cerchi di giustificarlo”. “Ti posso assicurare che è profondamente cambiato. È difficile stabilire se sia stato il trauma per la sorte di Corrado o l’imperscrutabile disegno del destino. Sta di fatto, però, che è un altro uomo”. “Parliamo di altro, Ellen, - disse Eleonora cambiando discorso - questo argomento mi ha stancata. Com’è andata a Berlino? È possibile realizzare il concerto che ti sta tanto a cuore?”. “Dopo un’eccellente prova sono stata scritturata per il Concerto di Natale. Sono convinta che sarà la premessa per il successivo concerto sotto il Muro” - rispose Ellen. Dopo avere trattenuto tanta rabbia, la gioia di Eleonora esplose incontenibile. E un irrefrenabile moto liberatorio la spinse ad alzarsi dalla poltrona per abbracciare la giovane pianista. “Non hai la più pallida idea della felicità che mi dai. A volte mi domando come avrei fatto senza di te. Sei la donna della Provvidenza” - le disse sotto lo sguardo compiaciuto di Marcello. Una gioia durata un attimo, perché un angosciante pensiero ritornò prepotentemente fino ad invadere gli anfratti più nascosti della sua coscienza. “Mamma, cosa dicono i medici?” - chiese Marcello appena si accorse del motivo di tanta sofferenza. “Che siamo nelle mani di Dio. Corrado è gravissimo. Soltanto un 154


miracolo potrà riportarlo a una vita normale” - rispose Eleonora. “Quante probabilità esistono che esca dal coma?” - chiese Marcello. “Nessuno è in grado di dirmelo. L’estensione del danno cerebrale è notevole, ma i medici non escludono che possa uscire dal coma entro un mese” - rispose la madre. “E se non dovesse avvenire entro questo lasso di tempo?” - chiese con discrezione Ellen. “Dio ce ne scampi e liberi, perché il coma si trasformerebbe in uno stato vegetativo che potrebbe durare anche molti anni. Comunque, i medici stanno facendo tutto il possibile” - rispose Eleonora. Dato che la conversazione stava assumendo i contorni di un disperante tormento, Ellen chiese il permesso di suonare un Notturno di Chopin. L’effetto terapeutico della musica lenì, seppure per poco tempo, le sofferenze di Eleonora. Al termine seguì un affettuoso applauso. Allora Marcello, per prolungare il momento di dolce conforto, pensò di riferire alla madre la decisione di sposarsi, presa con Ellen giorni addietro. “È una notizia meravigliosa. Fatevi abbracciare… siete la mia consolazione…”. Il pensiero del figlio immobile e intubato nella stanza asettica dell’ospedale penetrò ossessivamente nella sua mente, e le spense il sorriso. “Questo, però, è il momento meno opportuno…” - aggiunse. “Sarà un matrimonio di coscienza senza vincoli civili, perciò la cerimonia sarà strettamente privata” - disse Marcello. “Va bene, se questa è la vostra volontà. Avete non solo la mia approvazione, ma anche la mia benedizione” - disse Eleonora. “Vuole essere una scelta di vita, perché riteniamo di dovere andare oltre una banale convivenza. E non per motivi morali, ma per dare un senso più alto al nostro amore” - disse Ellen. Avevano accertato che non potevano avere figli, ma non se ne fecero un grande problema. Marcello non considerava la donna un “imbuto entro il quale si sviluppa il seme maschile”, così come la riteneva il marchese De Sade. Ed Ellen non aveva mai pensato che l’uomo 155


dovesse essere lo strumento più o meno consapevole della procreazione. Il loro era un amore sublime. Nell’atmosfera, in parte, rasserenata decisero di andare a dormire. Eleonora riposò qualche ora. Per Ellen e Marcello fu una notte d’amore passionale. Nelle settimane successive ripresero i concerti, temporaneamente sospesi. Il primo era in programma al Carnegie Hall di New York. Sempre accompagnata dall’inseparabile Marcello, rimase sbigottita quando nella città della Mela si trovò sommersa dai grattacieli. Allora comprese lo spirito della Sinfonia Dal nuovo mondo di Dvorak. Il concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in Si bem. di Ciajkovskij riscosse un clamoroso successo. La standing ovation durò un quarto d’ora. In quei giorni Miles Davis e Sonny Rollins tenevano un concerto al Village Vanguard. Marcello non volle perdere l’occasione di ascoltare dal vivo i due giganti della musica afroamericana, perché sin dall’adolescenza era stato attratto dalla musica jazz, che riteneva affine alle sue accentuate simpatie per l’impressionismo e, quindi, alla sua naturale avversione per il rigorismo delle forme. Ellen, condizionata dall’esempio paterno, rifiutava pregiudizialmente l’uso estensivo dell’improvvisazione, delle cosiddette blue note e delle anomale progressioni armoniche che connotano il jazz, e che contrastano con i rigorosi canoni della musica classica. Probabilmente la causa principale del rifiuto era legata al fatto che il nazismo e in seguito il comunismo, rigorosamente formalisti, proibivano duramente qualsiasi simpatia per la musica del Nuovo Mondo. Tuttavia, dopo avere ascoltato alcuni dischi di Marcello era stata attratta dalle insolite sonorità del jazz, che nascono dall’ibridazione di diversi stilemi musicali. “Credo che, con il tempo, il jazz e la musica cosiddetta colta convergeranno nello stesso genere - disse Marcello nei pressi del Village Vanguard - Si parla già della World music. Sai meglio di me che l’evoluzione della musica europea ha percorso una lunga strada dalla 156


polifonia di Pierluigi da Palestrina alla musica dodecafonica. Un arco di circa cinquecento anni. La musica jazz, invece, ha dovuto precorrere i tempi per essere considerata degna di nota dagli ambienti accademici e dai conservatori. Il merito deve essere attribuito senza ombra di dubbio a George Gershwin”. “Non ho avuto mai la possibilità di suonare la musica di Gershwin. Devo confessarti che al Conservatorio alcuni colleghi ne parlavano spesso, dicendo che Gershwin fu ispirato da geniali compositori come Debussy e Ravel” - disse Ellen, sciorinando la sua vasta cultura musicale. “Infatti Debussy fu notevolmente influenzato dal jazz. Per esserne certa, ti consiglio di ascoltare una delle sue più celebri suite per pianoforte Children’s Corner. Nel brano Golliwoggs’ Cakewalk gli stilemi jazzistici sono molto evidenti” - aggiunse Marcello. “Possiedi il disco?” - chiese Ellen. “Sì” - rispose Marcello. “Quando torneremo a casa vorrei ascoltarlo. Se scoprirò di avere la giusta sensibilità, lo inserirò nel mio programma” - disse Ellen mentre varcavano la soglia del Village Vanguard. Il concerto di Miles Davis e Sonny Rollins entusiasmò tutti i presenti. Specialmente Marcello. E non dispiacque a Ellen. Senza averne ancora la consapevolezza, nella sua mente si erano aperti nuovi orizzonti. Il ritorno a Roma fu trionfale. Tutta la stampa mise in grande risalto l’eccellente performance newyorkese di Ellen, e nelle pagine dei giornali trovò ampio spazio anche la sua storia familiare e personale. Molti articoli furono riservati alla sua coraggiosa fuga da Berlino Est. Un noto giornale anticomunista propose addirittura di girare un film sulla vicenda, ma Ellen si oppose energicamente. Non voleva che su di essa si sviluppasse una speculazione politica. Sarebbe stata di grave nocumento alla sua carriera artistica. La gioia di Eleonora fu incontenibile. Abbracciò Ellen con tenerezza, e pianse. Le lacrime erano ancora abbondanti ma amare. Incombeva sempre, anche nei momenti felici, l’immagine fissa e dolente di Corrado. Anche Mario la chiamò, per esprimerle i suoi complimen157


ti. Al telefono rispose Marcello che, dopo aver descritto i momenti salienti dell’esperienza americana, gli passò Ellen. L’eloquenza dell’Avvocato entusiasmò ulteriormente la giovane pianista, che finì con l’accettare l’invito a colazione. Di buon mattino uscì con Marcello per recarsi alla Casina Valadier. Mario manifestò sinceramente tutta la sua gioia. Al figlio apparve prodigiosa la metamorfosi del padre. Dopo avere ascoltato con soddisfazione i dettagli della trionfale esperienza negli Usa, Mario riferì i contenuti della telefonata ricevuta la mattina stessa da Wilhelm. “La polizia di Amburgo ha accertato dalle impronte digitali rilevate sulle due pistole, a suo tempo regolarmente denunciate, che l’arma che ha ucciso Tanino e Michele era appartenuta a Klaus, mentre quella che ha freddato quest’ultimo era di Franz, il nostro agente di Amburgo”. “Un vero rompicapo. Non riesco a comprendere le ragioni che hanno spinto il tedesco a uccidere Tanino e il suo complice siciliano” - lo interruppe Marcello. “Appaiono incomprensibili anche a me. Purtroppo non mi è stato possibile acquisire maggiori informazioni. Secondo Wilhelm l’agente di Amburgo avrebbe ordinato a Klaus di uccidere i due siciliani. Ma subito dopo, per eliminare uno scomodo testimone, lo avrebbe fatto fuori” - disse Mario. “Uno sconcertante thriller!” - disse Ellen. “Indubbiamente. Ma l’aspetto più importante della vicenda è che l’esame balistico potrebbe stabilire che una delle due pistole ha colpito Corrado. Lo sapremo nei prossimi giorni, quando la polizia italiana comunicherà all’Interpol l’esito degli esami effettuati sulla pallottola trovata nella testa del mio povero figliolo” - disse Mario. In mancanza di nuovi elementi la conversazione ritornò sulla bella notizia del concerto di Natale, che ebbe il sopravvento su ogni altro argomento. “Sarò in prima fila, cara Ellen. Desidero essere presente al trionfo che ti decreterà Berlino. La tua cara città” - disse l’Avvocato mentre si salutavano, assicurando di tenerli informati sugli sviluppi dell’intricata vicenda. La settimana seguente Wilhelm telefonò a Mario, mettendolo a conoscenza delle sconcertanti verità accertate dalla polizia di Amburgo. Tanino, detto viso d’angelo, dietro la sua 158


apparente bonomia nascondeva in realtà l’animo spietato di un boss mafioso. In poco tempo era riuscito a costruirsi un forte potere personale, alleandosi con la nuova cupola mafiosa e con i servizi segreti deviati. Il comune interesse a ridimensionare l’ala tradizionalista dell’Alfa, rappresentata ai massimi livelli da Wilhelm e Mario, aveva spinto Franz ad accordarsi con Tanino, facendo leva sulla sua incontenibile sete di vendetta. Perciò gli fu estremamente facile organizzare l’uccisione di Corrado, senza precisare che il suo scopo era di inviare un avvertimento ai suoi capi. Per stabilire i particolari dell’agguato Franz riunì Tanino, Klaus e Michele e mise a punto la complessa operazione criminale. Arrivati a Roma, Franz telefonò a Corrado per concordare l’incontro. Il giovane non ebbe alcun sospetto, perché riconobbe subito la voce del tedesco. Era inconfondibile. L’aveva sentita tante volte in occasione della sua missione in Germania. Franz rimase in albergo, mentre Tanino, Michele e Klaus raggiunsero il luogo dell’incontro. E si appostarono in attesa dell’arrivo del giovane. Le persone che in quel momento erano nel bar sentirono due colpi. Uno andò a vuoto, l’altro colpì Corrado alla testa. Era stata la stessa pistola a sparare? O furono usate due armi diverse? Era certamente vera quest’ultima ipotesi, perché sul posto furono ritrovati due diversi bossoli. Ma quale pallottola aveva centrato il bersaglio? La polizia di Amburgo, ricevuto l’esito della perizia balistica effettuata in Italia, accertò che la pallottola estratta dalla testa di Corrado era stata esplosa dalla pistola di Klaus, però uno dei bossoli trovati sul luogo dell’agguato era dell’arma appartenuta a Michele. Prima di essere “suicidato” Franz confessò che Tanino aveva utilizzato l’arma di Michele, perché la sua si era inceppata, ma il tiro era stato impreciso. Nel momento decisivo, l’eterogenesi dei fini lo aveva privato del piacere della vendetta. Costretto a fuggire per l’arrivo degli avventori del bar, Ta159


nino non ebbe il tempo di sparare altri colpi. Anche perché, a causa della scarsa illuminazione, non era più visibile il corpo di Corrado rannicchiato tra due macchine in sosta. La polizia accertò anche l’identità dei due uomini che si erano introdotti nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale ed erano stati sorpresi da Eleonora mentre manomettevano le apparecchiature sanitarie. Le minuziose indagini identificarono i due falsi medici: Klaus e Michele. In Sicilia si ebbero gravi ripercussioni. Lo zio di Tanino fu trovato morto sulla spiaggia di Trapani. Era stato colpito con un colpo di pistola alla nuca, sparato a bruciapelo. La cupola tradizionale non gli aveva perdonato l’affronto di Tanino. Queste stupefacenti notizie turbarono profondamente l’Avvocato. La sua avventurosa esistenza l’aveva sovente posto al centro di fatti paradossali. Mai, però, avrebbe immaginato una così devastante realtà. Nel mondo della criminalità e dello spionaggio queste tragiche situazioni sono ricorrenti, ma quella che stava vivendo aveva coinvolto i suoi affetti più cari, ed era davvero angosciante. Avvertì immediatamente la necessità di riferire tutto quanto a Marcello ed Ellen. Si incontrarono da Rosati. “È una storia incredibile, papà” – commentò Marcello basito. “Non mi so dare pace. Mi tormenta il pensiero di avere coinvolto Corrado nelle mie torbide vicende. Per tanti anni l’ideologia mi ha obnubilato il cervello e mi ha fatto perdere il buon senso, rendendo amara l’esistenza della mia famiglia. Ho capito soltanto da poco tempo che l’intelligenza necessita di un’alta visione etica, se si vuole evitare di essere lo strumento di perverse decisioni. Dettate, come in questo caso, da finalità criminali” - disse Mario. “Comunque, papà, c’è sempre la possibilità, purché si voglia, di rimuovere nella profondità dell’inconscio gli esiti delle esperienze devastanti, per consentire alla propria coscienza di recuperare i valori che danno senso alla vita” - disse Marcello. “Sì, è vero. La musica, la fede, la famiglia, la libertà mi hanno consentito di superare i tanti travagli che come un uragano hanno attraversato 160


la mia esistenza” - aggiunse Ellen. “Ora dobbiamo occuparci di Corrado. Voglia Iddio che esca dal coma e che conservi tutte le sue facoltà” - aggiunse Marcello. Congestionati dalla quotidianità, avevano rimosso l’immagine immobile di Corrado. Un misto d’incredulità, speranza e rassegnazione lo aveva fatto uscire di scena. Ma in questi casi limite, quando un figlio lotta per non essere sopraffatto dalla morte, solamente l’amore di una madre riesce a percepire ancora la presenza dell’alito della vita.

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IL RISVEGLIO DI CORRADO

Ellen, accompagnata da Marcello, riprese regolarmente il tour di concerti. Di successo in successo, la loro esistenza era scandita dal ritmo degli impegni. La cadenza frenetica non concedeva molto tempo alla riflessione e rendeva sfumata, quasi surreale, l’immagine di Corrado intubato. Mario, amareggiato e depresso, contemplava il suo fallimento. Licenziata la segretaria, con la quale aveva già cessato ogni rapporto, arrivava spesso trafelato in ospedale, e, senza essere visto dalla moglie, osservava di soppiatto il figlio e gli si stringeva il cuore. Al dolore per la condizione di Corrado si univa anche la consapevolezza del disprezzo di Eleonora. La donna trascorreva gran parte delle sue giornate al capezzale del figlio. Tra una preghiera e l’altra gli parlava, intuendo le risposte alle sue pressanti domande. “Corrado, figlio mio, se ascolti le mie parole fammi un cenno, anche labile. Mi basta un piccolo movimento delle tue palpebre” - gli disse un giorno, supplicandolo dolcemente, quando erano trascorse quattro settimane dalla disgrazia. L’unica risposta perveniva dal monitoraggio multiparametrico. Il cuore pulsava, ma persisteva lo stato comatoso. Un pomeriggio, mentre gli teneva amorevolmente la mano, Eleonora avvertì un leggero movimento delle dita. Ebbe l’effetto di un elettrochoc. Si scosse e prestò la massima attenzione. Dopo qualche minuto sentì un flebile movimento di tutto l’arto. Si attaccò alla cordicella del campanello e la lasciò appena vide arrivare il medico di guardia, il quale, entrando nella stanza, aveva già notato dal monitor che non si era trattato di una semplice impressione. A distanza di pochi minuti intervenne anche il primario del reparto di terapia intensiva. “Stiamo assistendo a un vero e proprio miracolo, cara signora” - disse con evidente soddisfazione dopo avere osservato attentamente il monitoraggio delle funzioni vitali di Corrado. 162


“Le condizioni di suo figlio erano disperate. Quando fu trasportato in sala operatoria, per un attimo ebbi la sensazione che avesse varcato la soglia dove la vita ci consegna alla morte. Ma il monitoraggio intensivo segnalò che era subito tornato indietro. Adesso sono convinto che l’esito positivo dell’intervento chirurgico, gli effetti dei farmaci e i presidi invasivi ed extracorporei stiano gradualmente ripristinando le funzioni fisiologiche di Corrado” - disse l’illustre clinico. “Allora, professore, posso ben sperare che mio figlio torni a una vita normale?” - chiese Eleonora con il cuore aperto alla speranza. “È troppo presto per dirlo, signora. Questo, però, è un buon inizio. La terapia sta dando ottimi risultati. Devo al contempo ritenere che la sua presenza attiva sia fortemente stimolante. Continui a parlargli dei momenti più belli della sua infanzia. Nei prossimi giorni proveremo anche un ciclo di musicoterapia, perché negli Stati Uniti sta dando eccellenti risultati, specialmente con la musica di Mozart” - disse il primario. “Professore, è ospite a casa mia una nota pianista. Come potrebbe essere utile?” - chiese Eleonora. “La accompagni da me, per mettere a punto un programma” - disse il professore. “In questi giorni tiene un concerto a Milano. Al suo ritorno verremo da lei” - disse Eleonora. “In alto i cuori, signora. Vedrà che ce la faremo” - concluse il professore. Le perplessità di Eleonora sull’efficacia della musicoterapia cessarono quando riferì a Ellen il colloquio avuto con il professore. “Le tue buone notizie si uniscono alle mie. Non sai quanto sono felice per il miglioramento di Corrado. Questa bella novità completa la soddisfazione per il successo che mi hanno tributato i milanesi. Ho una scarsa conoscenza della musicoterapia, perché non è stata materia di studio al Conservatorio, ma posso assicurarti che molti terapeuti ne hanno accertato l’efficacia” - disse Ellen. Queste parole, espresse con grazia, tranquillizzarono Eleonora. La mattina seguente accompagnò l’amica all’incontro con il professore. “Sono veramente onorato di conoscerla. Proprio oggi ho letto un’ottima 163


recensione sul suo energico e scintillante pianismo. Come ho già anticipato alla signora, le funzioni vitali di Corrado sono notevolmente migliorate. Il danno subìto dall’emisfero cerebrale destro sembrava irreversibile. Adesso sono convinto che un ciclo di musicoterapia possa giovare al recupero di alcune facoltà” - disse il primario. “Professore, ma non ho nessuna competenza” - rispose Ellen. “Non occorrono particolari competenze. Dobbiamo semplicemente scegliere i brani musicali idonei a favorire la riorganizzazione dei circuiti neuronali, per ristabilire, nei limiti del possibile, i processi cognitivi e creativi dell’emisfero destro. I miei colleghi americani hanno ottenuto eccellenti risultati facendo ascoltare ai pazienti in coma la musica di Mozart. Con il tempo, nella maggior parte dei casi è migliorata la percezione spaziale e la capacità di espressione” - disse il professore. “Conosco il pensiero di Alfred Tomatis, secondo il quale la musica mozartiana è in grado di produrre un miglioramento delle abilità cognitive attraverso il ragionamento spazio-temporale. Le attuali condizioni di Corrado possono consentirlo?” - chiese Ellen. “Non posso darle una risposta esaustiva. È un tentativo che dobbiamo fare. Del resto la musicoterapia non ha controindicazioni” - disse il primario. Eleonora seguiva il colloquio con malcelato scetticismo, però era disposta ad accettare qualsiasi terapia in palese contraddizione con le sue profonde convinzioni religiose. “Se consideriamo che è l’emisfero cerebrale destro ad afferrare immediatamente il messaggio musicale nel suo insieme e con una certa approssimazione, per lasciare, subito dopo, a quello sinistro lo svolgimento di una precisa elaborazione analitica, possiamo supporre che la funzione di quest’ultimo stimoli la riorganizzazione dei circuiti neuronali di quello destro, determinando il recupero di importanti funzioni” - affermò il medico. Mentre proseguiva la conversazione tra la sua amica e il professore, Eleonora, convinta dell’inscindibilità dell’anima dal corpo, rifletteva invece sul mistero dell’anima che teneva ancora in vita il corpo di Corrado, e pensava al potere taumaturgico della preghiera declamata con profonda fede e a voce alta. “Per quanto io abbia analizzato, nel corso dei miei studi, le geniali doti logiche, mnestiche e musicali di Mozart, non riesco a comprendere 164


perché le sue composizioni suscitino effetti così sorprendenti” - disse Ellen. “Il motivo è semplice. Lei sa meglio di me che Mozart iniziò precocemente a comporre la sua musica, quando era all’apice delle sue potenzialità percettive e creative. Questa particolare peculiarità gli consentì di utilizzare al massimo le capacità di fissazione spazio-temporale di una corteccia cerebrale in fase evolutiva” - spiegò il professore. “Infatti basti pensare che compose la Prima Sinfonia all’età di otto anni. Quindi, professore, le sue prime composizioni sono quelle più stimolanti?” - chiese Ellen. “Credo proprio di sì”- rispose il primario. “Allora mi metterò subito all’opera. Oggi stesso inizierò a registrare una selezione di brani musicali. Nei prossimi giorni potremo già farli ascoltare a Corrado” - disse Ellen. Queste ultime precisazioni non fecero sparire del tutto le perplessità di Eleonora, che, tuttavia, pensò di alternare la musicoterapia con le sue propensioni mistiche. Non dichiarò espressamente le sue intenzioni, perché le sembrò molto difficile spiegare un fenomeno extrasensoriale che annulla ogni percezione spazio-temporale e inonda l’anima d’amore e beatitudine. Era sempre più convinta che fosse necessario ricorrere a esperienze estatiche, ai colloqui con Dio e con i Santi, per invocare un miracolo. Poi, a ben vedere, le sovvenne che la musica è la voce di Dio. Nei giorni successivi Ellen registrò una serie di brani eseguiti al pianoforte e iniziò il ciclo di musicoterapia, prima di partire per Bologna dove era in programma un concerto. Eleonora, rimasta sola con Corrado, gli parlava dolcemente, mentre il magnetofono diffondeva all’unisono la musica di Mozart alla stregua della colonna sonora di un film drammatico. Per tutta la settimana si ebbero graduali e costanti miglioramenti. Corrado aveva ripreso a respirare autonomamente, senza l’ausilio delle macchine. Tutto a un tratto, mentre la madre supplicava ripetutamente il figlio di darle un segno, il giovane mosse quasi impercettibilmente le palpebre, e, dopo qualche secondo, aprì gli occhi. 165


Eleonora, in ginocchio, le braccia rivolte al cielo, gridò al miracolo con tutta la forza della sua fede, facendo accorrere i medici e gli infermieri del reparto di terapia intensiva, visibilmente commossi. “Dio mio, ti ringrazio per avermelo ridato… Corrado caro, rispondi… dimmi qualcosa… il Signore ha ascoltato le mie invocazioni!” - esclamò Eleonora, abbracciando e baciando il figlio che continuava a rimanere immobile. Improvvisamente, un flebile sorriso apparve sul bel viso del giovane a testimoniare che la vita aveva avuto il sopravvento sulla morte. Durante la notte Corrado cominciò a muovere le braccia. Non rispondeva alle domande del professore, però si scuoteva quando sentiva la voce della madre. Gli accurati controlli clinici e strumentali accertarono la presenza delle facoltà visive, uditive e intellettuali. Non riusciva a parlare, e gli arti inferiori erano paralizzati. L’indomani mattina arrivarono Marcello ed Ellen, tornati precipitosamente da Bologna dove si erano trattenuti qualche giorno dopo il concerto. Giunse anche Mario, che incrociò teneramente lo sguardo della moglie. Il risentimento appariva mitigato. La gioia fu incontenibile. Il professore li invitò nel suo studio, per stabilire le terapie di riabilitazione. “Adesso posso sciogliere ogni riserva. Vi confesso che inizialmente non nutrivo molte speranze. Le condizioni di Corrado erano gravissime. Abbiamo fatto tutto il possibile per strapparlo alla morte. Devo confessare, però, che il risveglio di suo figlio ha qualche cosa di miracoloso. A questo punto ha bisogno di un’efficace riabilitazione”. “Cosa ci consiglia, professore? Tenga conto che io non bado a spese” disse l’Avvocato. “Il giovane ha bisogno di un trattamento intensivo e globale che deve essere eseguito in un ambiente extra-ospedaliero da un’équipe composta da terapisti della riabilitazione, neuropsicologi, logopedisti, fisiatri. Uno dei migliori centri di riabilitazione è a Parigi. È il caso di dire che fanno i miracoli”. Il professore si dilungò molto sulle possibilità di recupero, partendo dal presupposto che la riorganizzazione globa166


le della personalità di Corrado necessitava di una complessa programmazione attuata da esperti operatori che soltanto un centro di alta specializzazione poteva offrire. Si trattava, infatti, di recuperare la coscienza, la cognitività, l’autonomia e le capacità relazionali e sociali. Il centro parigino, a suo avviso, assicurava precoci interventi rieducativi, perché utilizzava modelli metodologici d’avanguardia. I probabili miglioramenti avrebbero consentito di utilizzare le capacità di riadattamento del sistema modulare del cervello, all’interno del quale i moduli sani sarebbero stati rieducati a sostituire quelli necrotizzati. “Professore, quando sarà possibile trasferirlo al Centro di riabilitazione di Parigi?” - chiese con apprensione l’Avvocato. “Occorre attendere la completa guarigione chirurgica. Nel frattempo, con la vostra autorizzazione, posso già mettermi in contatto con il Centro, per la prenotazione di una stanza che comprenda anche due lettini per i genitori” - rispose il professore. Eleonora e il marito si fissarono per un attimo, che sembrò un’eternità, e assentirono con un cenno della testa. L’amore per Corrado stava riunendo le due triadi del quadrato? Marcello ed Ellen, rimasti in silenzio per tutta la durata del colloquio, appena usciti dallo studio del professore passeggiando lungo il corridoio del reparto di terapia intensiva manifestarono la soddisfazione per le rassicurazioni ricevute dal primario, ma anche per avere notato un miglioramento nei rapporti dei genitori. Trovò spazio pure la considerazione che sovente dal male nasca il bene. “Marcello, penso che nei primi giorni del ricovero parigino sia opportuna anche la nostra presenza. L’incertezza, però, sulla data del trasferimento di Corrado rende problematica la programmazione dei concerti”- disse Ellen. “Nel prossimo mese non sono previsti particolari impegni. Dovrò consultare l’agenda per stabilire quale di essi dovrà essere rinviato. Penso che in questo lasso di tempo avverrà il trasferimento di Corrado. Resteremo a Parigi il tempo necessario per stare vicino a mamma e papà nel momento più delicato. È probabile che salveremo il concerto di Bruxelles, per poi tornare a Parigi tutte le volte che i tuoi impegni lo consentiranno” - disse Marcello. 167


Eleonora e Mario tornarono al capezzale di Corrado. Nella stanza asettica il magnetofono diffondeva le stimolanti note mozartiane. Improvvisamente Corrado prima si girò verso la madre, e subito dopo verso il padre. “Mamma… papà…” - proferì queste amorevoli parole accompagnate da un largo sorriso, ma non fu in grado di aggiungere altro. Mario, uscendo di corsa per chiedere l’intervento del professore, informò Marcello ed Ellen che si precipitarono nella stanza. “Marcello… Ellen…” - disse Corrado appena li vide arrivare. Le espressioni di gioia dei due giovani furono irrefrenabili. Dopo pochi minuti arrivò il primario, che fu accolto da Corrado con una radiosa espressione. “Bene, giovanotto, come andiamo?” - non ricevette alcuna risposta, ma il sorriso di Corrado fu più eloquente di ogni discorso. “Pocanzi ho chiamato il Centro di riabilitazione di Parigi. La camera è disponibile già da lunedì. Oggi è giovedì, possiamo prepararci per la fine della prossima settimana. Avverto immediatamente il direttore del Centro” - disse il professore uscendo dalla stanza. Anche Ellen e Marcello, appena notarono che Corrado si era assopito, salutarono Eleonora e l’Avvocato, i quali, rimasti soli, uscirono dalla stanza e, in silenzio, si misero a passeggiare per il corridoio. Dall’esterno si sentivano le svolazzanti note della musica di Mozart. Fu Mario a porre fine all’incomunicabilità che caratterizzava i fugaci incontri con la moglie. “Ely…” - Mario era noto per la sua sciolta eloquenza, ma ebbe qualche difficoltà prima di continuare. Eleonora si girò, lo guardò profondamente negli occhi e si convinse di trovarsi al cospetto di un uomo nuovo. Questa evidente apertura incoraggiò il marito. “Non è facile, in poco tempo, esprimerti i miei sentimenti. In questi tormentati giorni ho riconsiderato tutta la mia esistenza e la vita che abbiamo trascorso insieme. La smodata ambizione non mi ha fatto capire di avere a fianco una donna meravigliosa. Ero pressato solamente dall’irrefrenabile desiderio di affermarmi professionalmente e di scalare l’ordine sociale”. 168


Durante il monologo di Mario Eleonora ripensò agli attimi d’amore che il marito le aveva regalato soltanto a sprazzi, per poi abbandonarla a una quotidianità di deprimente solitudine. In verità lei era da sempre perdutamente innamorata del marito, mentre lui la considerava lo strumento per soddisfare le sue ambizioni. Eleonora aveva sostanzialmente sposato il teorema del quadrato enfatizzato da Mario, convinta che l’innamoramento sarebbe arrivato con la vita matrimoniale e la nascita dei figli. Invece la routine familiare aveva accentuato le distanze e i dissapori. Per questo il marito fu frequentemente confortato dai fugaci incontri con prostitute di alto bordo, prima di intrecciare la relazione con la giovane segretaria, mentre Eleonora, per smorzare i morsi della solitudine e della depressione, finì con l’accettare le attenzioni saffiche della domestica filippina. In questo contesto Marcello e Corrado assunsero, loro malgrado, il ruolo di vittime sacrificali. “Mi chiedo ripetutamente come potrò farmi perdonare le sofferenze che vi ha causato la mia vita dissoluta”. Il monologo dell’Avvocato continuava senza essere interrotto da Eleonora - “La disperazione mi pervade quando penso di avere indotto Corrado a fare le scelte politiche che lo hanno portato a vedere in faccia la morte. Solamente in questi giorni ho capito che l’intelligenza può condurre a convinzioni deleterie, se non è illuminata dall’amore e dalla verità. A che cosa è servito inseguire le mie ambizioni? La ricchezza smisurata, il potere fine a se stesso, lo sfruttamento dei deboli, il possesso forsennato delle donne hanno forse dato un senso alla mia esistenza? No, hanno prodotto solamente la corrosione della mia anima”. Questo sfogo richiamò alla mente di Eleonora i lamenti di Qohelet, personaggio del Vecchio Testamento che nel passato il marito aveva sempre irriso, esaltato com’era dal mito del Superuomo: “Ho preso in odio la vita, perché mi è sgradito quanto si fa sotto il sole. Ogni cosa, infatti, è vanità e un inseguire il vento. Allora quale profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica e in tutto l’affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono 169


che dolori e preoccupazioni penose… Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva d’ogni mia fatica; questa è stata la ricompensa di tutte le mie fatiche. Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo durato a farle; ecco, tutto mi è apparso vanità e un inseguire il vento: non c’è alcun vantaggio sotto il sole”. Eleonora ascoltava e meditava, senza interferire, e restò in attesa di sapere se il marito avesse finalmente compreso che l’amore non è vanità. “La caduta del fascismo rappresentò per me la fine di ogni ideale. A causa del mio anticomunismo viscerale caddi fatalmente nella logica della contrapposizione delle sfere d’influenza determinate dal Patto di Jalta. Tra il mondo libero e l’impero sovietico la scelta fu obbligata. L’errore consistette nel diventare membro dello spionaggio americano. Da quel momento i servizi segreti hanno favorito il raggiungimento di tutti i miei obiettivi, ma ho, di fatto, perduto l’autonomia”. Marcello aveva già riferito alla madre alcuni particolari della complessa storia del padre, ma Mario volle ripercorrerla interamente, sperando che la moglie comprendesse le circostanze di cui era stato vittima. Persisteva il male subdolo dell’ipocrisia? In verità, Mario sosteneva che l’esistenza si svolgesse attraverso una serie continua di atti della volontà, e che le circostanze condizionassero le scelte personali soltanto quando esse si erano già formate dentro la coscienza. Il cambiamento era sincero, ma troppo repentino perché fosse preso in seria considerazione da Eleonora. Pertanto, Mario pensò di non insistere nella ricerca di improbabili assoluzioni. Tuttavia, volle che la moglie sapesse che l’ingresso di Corrado nell’organizzazione neonazista non fu da lui né invogliato né preventivamente autorizzato. Fu un sofferto tentativo di liberarsi dal complesso di colpa che lo tormentava, ma si rese subito conto dell’insussistenza della sua giustificazione, perché nulla gli avrebbe impedito di dissuadere il figlio. Anzi, fu orgogliosamente soddisfatto dell’adesione di Corrado all’Alfa. Adesso incontrava insormontabili difficoltà per far comprendere alla moglie il suo lacerante rimorso. Intuì 170


subito che il persistente silenzio di Eleonora mostrava l’assoluta indifferenza per le vicende del passato. Ormai le aveva largamente rimosse. In quel momento desiderava esclusivamente salvare il figlio, con tutte le sue forze. Perciò era ben disposta ad accettare l’aiuto di chiunque. Anche del marito che aveva chiesto la separazione. “Ho deciso di lasciare tutte le mie attività, anche quella forense, per dedicarmi interamente a Corrado” - disse Mario con determinazione. Queste parole scossero Eleonora, che guardò il marito lungamente negli occhi. L’eccezionale capacità intuitiva la convinse che con quell’uomo avrebbe potuto stabilire un nuovo inizio. L’amore comune per Corrado rappresentava la linea diagonale del quadrato capace di ricongiungere le due triadi. Proprio come aveva vaticinato Mario, all’inizio della loro storia, con il suo teorema. “Corrado dovrà rimanere molto tempo nel Centro di riabilitazione di Parigi. Verrò pure io a darvi compagnia. Non ti lascerò sola. Considera che Marcello dovrà accompagnare Ellen, perciò le loro visite saranno sporadiche” - disse Mario quando si accorse dell’accondiscendenza della moglie. Eleonora era convinta di potercela fare da sola, tuttavia non volle far cadere nel vuoto l’opportunità che le offriva il marito. La fede religiosa la conduceva per mano verso il perdono, ma per l’oblio occorreva ancora del tempo. Intanto non riusciva a cancellare le sue responsabilità, perché le immagini dei rapporti saffici ritornavano ossessivamente, e il pensiero di essere stata vista da Corrado, attraverso lo specchio della camera Beta, mentre si scambiava le effusioni con la domestica suscitava in lei uno stato di profonda frustrazione. È vero che tutto era dipeso dal comportamento del marito, però questo non poteva assolverla dalla colpa di avere assecondato le proprie pulsioni, sebbene fossero servite per limitare i danni della depressione. Ad un tratto, nella consapevolezza di avere le stesse responsabilità del marito, pensò che anche Mario doveva aver avu171


to delle inconfessabili motivazioni per condurre un’esistenza così depravata. E che dietro la scorza dell’uomo forte si nascondesse una sostanziale debolezza. Probabilmente tentava di giustificare il loro passato prima di rimuoverlo, cercando una soluzione autoconsolatoria. Non si è sempre detto che il mal comune è mezzo gaudio? Era invece cominciato un nuovo inizio, totalmente incentrato sull’amore per Corrado e sulla comune volontà di dargli una nuova vita. Tutto il resto aveva perduto qualsivoglia importanza. L’amore aveva avuto il sopravvento sul male subdolo. Una calda stretta di mano sigillò il nuovo patto. Prima di partire per Parigi, Mario ritirò la richiesta di separazione.

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IL RACCONTO DI CORRADO

Era primavera avanzata quando arrivarono a Parigi. Due infermieri, accompagnati da un medico, trasbordarono dall’aereo privato la barella sulla quale aveva viaggiato Corrado, sedato per motivi precauzionali. All’uscita dell’aeroporto era in attesa un’ambulanza. Eleonora e il marito salirono su una vettura del Centro di Riabilitazione e, preceduti dall’ambulanza, raggiunsero la clinica. La donna guardò il cielo azzurro, assaporò la dolce atmosfera della bella campagna parigina e trasse un lungo respiro di sollievo. Il favorevole impatto con l’ottima struttura sanitaria, la serenità del marito e la cordiale accoglienza dei medici furono un buon auspicio. E per la prima volta, dopo tanto tempo, Eleonora sorrise a Mario. Non si perse un attimo di tempo. L’équipe di specialisti aveva già consultato la cartella clinica trasmessa la settimana precedente dall’ospedale romano. Nella camera già approntata Corrado fu sottoposto a monitoraggio, mentre venivano fatti i prelievi per eseguire con urgenza le prescritte analisi. Eleonora e il marito, rimasti soli al capezzale di Corrado, continuarono a guardarsi in silenzio. Improvvisamente Corrado, con gli occhi chiusi e con una voce flebile, esclamò: “Il muro… il muro… il muro”, come se stesse delirando. Poi il silenzio tornò a imperare nella stanza. Sollecitarono l’intervento del medico, che li tranquillizzò. Quasi sicuramente Corrado, nella fase che precede il risveglio, stava sognando. Infatti, da lì a poco aprì gli occhi e sorrise ai genitori. Il giorno dopo, di prima mattina, dopo avere attentamente consultato gli esiti degli accertamenti l’équipe composta dallo psicologo, dal fisioterapista e dal logopedista iniziò la riabilitazione con la prudenza che il caso richiedeva. I tempi lunghi previsti si ridussero notevolmente. Sarà stato 173


per la forte fibra di Corrado, o per la notevole professionalità degli specialisti; sta di fatto che, nel giro di una settimana, i miglioramenti furono prodigiosi. Per Eleonora, addirittura miracolosi. Corrado fu in grado di mettersi seduto e di parlare. Certo, l’eloquio non era scorrevole. Il giovane mostrava vuoti di memoria, e permaneva la paralisi degli arti inferiori. Un pomeriggio, nello splendido giardino del Centro, Corrado era seduto nella sedia a rotelle a fianco della madre, che gli teneva con delicatezza la mano. Mario, in piedi, appoggiato all’albero che li sovrastava, meditava su come chiedere al figlio i motivi per cui avesse parlato, in sogno, di un muro. Era incerto sulla domanda, perché il verosimile riferimento al Muro di Berlino avrebbe potuto turbare la serenità del giovane. “No… non è sta…to un so…gno…” - disse Corrado sillabando le parole. “Ti prego di non sforzarti, figlio mio. Ne parleremo appena starai meglio. Adesso potrebbe essere dannoso per la tua salute” - disse la madre. Invece Corrado iniziò il racconto della sua drammatica vicenda, noncurante delle amorevoli raccomandazioni dei genitori i quali, a mano a mano che l’eloquio del figlio diventava sempre più sicuro, notarono che la conversazione gli era di notevole giovamento. Eleonora si tranquillizzò soltanto dopo avere ricevuto la conferma dai medici. Il ragazzo descrisse dettagliatamente gli avvenimenti di quella tragica serata quando, dopo la telefonata di Franz, raggiunse in moto il luogo dell’incontro. Precisò che conosceva molto bene la voce dell’interlocutore, per la lunga frequentazione avuta con lui in Germania. Perciò andò all’appuntamento senza nutrire alcun sospetto. Appena arrivato, mentre parcheggiava la moto avvertì un lancinante dolore alla testa, anticipato dal colpo secco di uno sparo. Poi sprofondò in un abisso, dove un vento impetuoso lo spinse lungo un tunnel gelatinoso, infinito, bianco ghiaccio. Avvertì un brivido, quando su una delle pareti dell’immensa galleria cominciarono a scorrere i fotogrammi della sua esistenza. 174


Il vento lo spingeva velocemente in avanti, mentre la pellicola scorreva a ritroso. Le immagini dei pochi momenti sereni degli ultimi tempi passavano velocemente, lasciando una veloce scia. Perciò i fotogrammi erano quasi impercettibili, tanto che riusciva soltanto a intuirli. La moviola, invece, si soffermava lungamente sulle sue devastanti esperienze esistenziali: il suicidio di Annuccia, i rapporti saffici della madre, le perversioni sessuali del padre, le turpitudini imposte a Ellen. Nello stesso tempo una terrificante colonna sonora accentuava la sua disperazione, mentre le invocazioni di aiuto restavano inascoltate. Improvvisamente si trovò sotto un muro altissimo, ed era spinto dal vento verso l’alto. Ogni volta che giungeva in cima la tetra oscurità dell’altra parte lo angosciava e gli toglieva le forze. La morte lo ghermiva e, come in una danza macabra, lo spingeva ripetutamente su e giù, fino a quando un vento dolce e tiepido lo allontanò dal muro, riportandolo velocemente indietro. Per tutto il tempo in cui ripercorse il tunnel gelatinoso nella direzione opposta, sulla parete scorrevano lentamente le immagini felici dell’adolescenza e dell’infanzia. Tutte le altre erano state cancellate. Ebbe la consapevolezza di essere rinato a nuova vita. Il racconto fu interrotto dall’arrivo di Marcello ed Ellen. Il prolungato abbraccio tra i due fratelli fu commovente. Eleonora si sciolse in lacrime velate di gioia. Mario avvertì un groppo alla gola che gli tolse la parola. Delle loro vecchie divergenze non c’era più traccia. Era sparito anche il ricordo delle violenze subìte dalla giovane tedesca. “Non credevamo ai nostri occhi, Corrado, quando da lontano ti abbiamo visto conversare con mamma e papà. Di questo passo tornerai a essere un giovane pieno di vita. Con immenso piacere ti annuncio che abbiamo deciso di sposarci. Aspettiamo il tuo prossimo ritorno a Roma” - disse Marcello con l’assenso di Ellen. Eleonora era già a conoscenza delle decisioni dei due giovani, pertanto si limitò ad esprimere il suo consenso con uno splendido sorriso. L’Avvocato ne fu compiaciuto. Corrado 175


volle abbracciarli nuovamente con molta intensità. La passata brutalità era stata ormai relegata negli anfratti più segreti dell’inconscio. Era scesa la sera. Eleonora e il marito decisero di cenare con Corrado nel ristorante del Centro di riabilitazione. Marcello propose a Ellen di trascorrere la serata in una delle caves di Saint-Germain désPres per festeggiare quel felice momento e per ascoltare del buon jazz. Il quartiere parigino ricordava a Marcello il periodo della sua breve esperienza esistenzialista. A quei tempi Les Deux Magots era il locale frequentato da scrittori, attori, filosofi e musicisti, dove il jazz americano si crogiolava con l’esistenzialismo francese. Era frequente incontrare Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Jean Luc Godard, Francois Truffaut e Miles Davis con l’enigmatica cantante Juliette Greco durante la loro travolgente stagione d’amore. Quella sera era in programma un concerto del Modern Jazz Quartet diretto dal pianista John Lewis. Marcello era sicuro che lo stile classicheggiante del famoso quartetto americano sarebbe stato gradito da Ellen. Era prevista anche la partecipazione, come ospite, del clarinettista francese Claude Luter. L’Adagio del Concerto di Aranjuez e Django, celeberrimi brani eseguiti alla perfezione dal MJQ, convinsero definitivamente Ellen che la musica jazz e quella classica volgessero ormai verso la fusione. Appena, però, Claude Luter suonò con trasporto Petite Fleur di Sidney Bechet, la giovane pianista si sciolse e si strinse languidamente a Marcello. La passione d’amore risuonò per tutta la notte. L’indomani mattina si apprestavano a uscire dall’albergo. Erano appena arrivati nella hall quando Marcello avvertì un forte tremore, accompagnato da un’abbondante sudorazione, e si abbandonò sulla poltrona più vicina. “Che cos’hai, amore?” - gli chiese Ellen molto preoccupata. “Non è niente. È stato un semplice capogiro” - rispose Marcello minimizzando. 176


“Bisogna chiamare un medico. Non ti ho mai visto così” - disse Ellen. “Adesso mi sento bene... possiamo uscire tranquillamente… non diciamo nulla ai miei… sarebbe un vero peccato rovinare la loro ritrovata serenità. Senza pensare che la notizia non gioverebbe alla salute di Corrado” - disse Marcello. “Perdonami, Marcello, credo sia necessario l’intervento di un medico” - insistette Ellen. “Ti ripeto, amore mio, che non è stato nulla. Sono sicuro che si è trattato di un malessere passeggero causato dallo stress. Adesso sto benissimo” - disse Marcello. Le cinse le spalle e s’incamminarono lungo gli Champs Elyseés. Un invitante bar li accolse per prendere un caffè all’italiana. Marcello si sentì rinascere. Ellen se ne accorse, e si tranquillizzò. Dopo un po’ erano in taxi, per raggiungere il Centro di riabilitazione. Trovarono Corrado nella sedia a rotelle che conversava con i genitori. Il suo eloquio era incerto ma lucido. Molto probabilmente per effetto dell’emozione, Marcello avvertì un lancinante dolore alla testa. Si allontanò per andare in bagno. Fece appena in tempo. Vomitò il caffè e avvertì subito un senso di benessere. Persisteva però una leggera emicrania. All’infermeria assunse un analgesico, e dopo qualche minuto si sentì meglio. Quando rientrò nella stanza di Corrado Ellen lo osservò attentamente, ma non si avvide di nulla. E trasse un sospiro di sollievo. Prima di ripartire per Roma Marcello volle visitare Montmartre, il quartiere degli artisti, e in particolare Le Bateau-Lavoir, dove Amedeo Modigliani, influenzato da Paul Cezanne, dipinse nel suo stile originale i famosi nudi femminili. Le meravigliose donne che posavano per lui, e che condividevano la dolce sensazione “che era come farsi spogliare l’anima”. Nel frattempo era continuata la conversazione tra Corrado e i suoi genitori, che, per non affaticarlo, di tanto in tanto lo intrattenevano con esilaranti digressioni. Ma il tema dominante era sempre lo stesso. “Mi sembra di capire che, quando nel tunnel ripercorrevi il cammino a ritroso, temevi che il vento ti sospingesse nuovamente verso il muro per 177


andare oltre…” - disse il padre con grande interesse. “Sì… perché il muro è la linea di confine… dove la vita… ci consegna alla morte”. Il silenzio che fece seguito a queste inquietanti parole fu interrotto da Eleonora. “Condivido pienamente, caro Corrado. Quello che tu chiami vento era l’anima che spingeva in avanti il tuo corpo all’incontro con la morte, per riportarlo indietro verso la vita. Non era ancora giunta l’ora di andare oltre il muro”. Il razionalismo materialista che connotava le sue convinzioni non consentiva a Mario di comprendere che “un padre può dare a suo figlio il naso e gli occhi, e magari l’intelligenza, ma non l’anima. Essa è nuova in ogni uomo”, secondo il pensiero dello scrittore tedesco Hermann Hesse. “È proprio così… mamma” - disse Corrado con un eloquio incerto. E precisò che il vento gli proveniva da dentro, fuoriusciva e lo spingeva ora in avanti ora indietro, prima verso le tenebre e dopo verso un fantastico scenario, per poi rientrare nel suo corpo. E così via, ripetutamente, al di fuori del tempo. L’anima e il corpo erano inscindibili, ma la prima muoveva il secondo. A tratti lo abbandonava, per riagguantarlo immediatamente. Sicché tutto il suo essere veniva coinvolto in una travolgente sinfonia di sentimenti. Alla disperazione più cupa si alternava la speranza di una nuova vita. Il freddo glaciale e le pareti gelatinose del tunnel, uniformemente bianche, mettevano in maggiore risalto le agghiaccianti tenebre, che si prospettavano oltre il muro e lo costringevano a emettere urla di disperazione. Sulla cima del muro, quando le tenebre stavano per avvolgerlo, aveva avvertito l’angosciante sensazione del nulla. Improvvisamente, iniziò il viaggio di ritorno. A mano a mano che il vento lo spingeva verso l’ingresso del tunnel sentiva un dolce tepore, mentre intravedeva in lontananza un meraviglioso arcobaleno. Si era, intanto, creata un’atmosfera mistica che coinvolgeva particolarmente Eleonora, mentre aumentava a dismisura lo 178


scetticismo dell’Avvocato. Nella mente della donna si affollarono le reminiscenze scolastiche relative all’estasi mistica trattata nell’antichità dai filosofi greci. E ricordò un brano dell’Enneadi di Plotino. “È accaduto molte volte: essere portato fuori dal mio corpo e dentro me stesso; farsi straniero a tutte le cose e centrarmi su me stesso; vedere una meravigliosa bellezza, più che mai certo di una comunanza con quanto esiste di più elevato; vivere la più nobile delle vite, identificandomi con il Divino; aver conseguito la possibilità di dimorare in esso, in equilibrio su qualunque cosa all’interno dell’Intelletto, che è minore del Supremo. Eppure, arriva il momento della discesa dall’Intelletto alla ragione, e poi quel rimanere nel Divino, e mi chiedo come succede che io possa star scendendo e come l’Anima sia mai potuta entrare nel mio corpo, l’Anima che, perfino dentro il corpo, è la cosa più alta che si sia mai mostrata esistente”. Eleonora, assillata inizialmente dall’inquietudine suscitata dal pensiero che il suo figliolo avesse percorso il disperante cammino dei tenebrosi abissi, si angosciò e pianse. Si riprese immediatamente quando Corrado iniziò a descrivere la conclusione del viaggio di ritorno. All’inizio del tunnel, proprio dove cominciava la risalita dalla profondità del precipizio, accolto da un fantastico arcobaleno il pianto di disperazione scaturito dalla paura di oltrepassare il muro si confuse con un urlo di gioia. L’anima lo aveva fatto rinascere a nuova vita. Al termine del racconto la madre pensò subito al miracolo. Il padre, invece, ancora incredulo, ritenne che l’efficacia delle terapie, modificando il funzionamento neurochimico del cervello, avesse alterato il metabolismo, provocando la guarigione. E così trovò ampio spazio l’ideologia nazista che ancora non gli consentiva la completa conversione. Era convinto che l’uomo neuronale non avesse nulla a che fare con l’anima, e che la sua coscienza fosse regolata dalla complessa funzione dei neuroni. Mario identificava per l’appunto l’uomo con il cervello. Il mistero, però, che avvolgeva la metamorfosi di Corrado cominciò a scardinare le sue certezze. Il giovane, infatti, mentre ricordava le sue esperienze escludeva sistematicamente quelle 179


negative. Come se fossero state cancellate dalla sua memoria. Riemergevano tutti i valori dell’infanzia e dell’adolescenza. E il piacevole ricordo degli anni felici e spensierati. Eleonora e il marito continuavano a dialogare in silenzio. Le due triadi del quadrato non erano ancora completamente ricongiunte dall’amore. Intanto, Corrado si era appisolato. I miglioramenti del giovane erano vistosi. Sicché, dopo un mese di efficaci terapie, il direttore del Centro invitò i genitori nel suo ufficio. “Sono immensamente soddisfatto. Ce l’abbiamo fatta. Nei prossimi giorni, sempre che lo riteniate opportuno, Corrado potrà ritornare a casa. A questo punto devo confessarvi che le lesioni cerebrali riportate da vostro figlio erano gravissime, tali da escludere un recupero di tutte le funzioni. Abbiamo trattato migliaia di casi analoghi, ma il miglioramento di Corrado mostra aspetti misteriosi. La relazione dell’équipe di specialisti ha messo in chiara evidenza che il riequilibrio neuronale di Corrado, oltre che dalle efficaci terapie, è stato determinato da fattori la cui natura è tutta da accertare”. Eleonora ebbe la conferma che si fosse trattato di un miracolo. Non espresse, però, questa sua convinzione, nel timore di essere considerata una visionaria. “Professore, ritiene che Corrado possa tornare a una vita normale? chiese con timidezza. “Ha già recuperato gran parte delle funzioni vitali, fatta eccezione dell’uso delle gambe” - disse il primario. “Perciò è destinato a vivere sulla sedia a rotelle?” - chiese Eleonora. “No, non sia così pessimista, signora. Gli arti inferiori rispondono alle stimolazioni, seppure in modo molto flebile. Occorre continuare la fisioterapia ancora per molto tempo. A Roma esistono importanti centri di riabilitazione” - affermò il professore. Dopo pochi giorni erano a casa, accompagnati da una vettura del Centro specificamente attrezzata per il trasporto degli invalidi. Per la prima volta, a distanza di diversi mesi, Mario rientrò a casa manifestando qualche difficoltà. Furono accolti entusiasticamente da Marcello ed Ellen. La 180


giovane pianista sprizzava felicità da tutti i pori, perché la mattina stessa aveva ricevuto un invito dal Conservatorio di Berlino per trattare tutti gli aspetti del Concerto sotto il Muro. Corrado fu al centro dell’attenzione per gran parte della serata. A un tratto, però, furono richiamati dall’importanza del concerto. Prima di entrare in argomento, però, Marcello ed Ellen annunciarono le loro nozze. “Credo che il nostro matrimonio sia il modo migliore per festeggiare il ritorno a casa di Corrado. La cerimonia, che si svolgerà in forma privata, sarà molto sobria. Abbiamo intenzione di sposarci prima di partire per Berlino”- disse Marcello. “Evviva! Questa bella notizia merita un brindisi!” - disse Eleonora. L’Avvocato ricordò di avere conservato una bottiglia di champagne. Era rimasta dove l’aveva lasciata qualche mese prima. “Brindiamo alla felicità di Ellen e Marcello, ma soprattutto al ritorno di Corrado!”- disse Mario, elevando il bicchiere. Intanto Eleonora e il marito continuavano a guardarsi, ma non si rivolgevano la parola. Ellen, per porre fine a una situazione che rischiava di diventare imbarazzante, riportò la discussione sul Concerto sotto il Muro. “Stiamo attraversando un momento magico. Alla felicità per il ritorno di Corrado si unisce la gioia delle prossime nozze e la bella notizia del concerto che spero di tenere prossimamente a Berlino nel luogo dove scavalcai il Muro, inseguendo la libertà. Da molto tempo Eleonora ed io stiamo preparando un concerto per oboe e pianoforte. Si tratta della trascrizione di un brano per oboe e archi di Vivaldi, che desidero farvi ascoltare in anteprima. Mio padre amava la musica barocca veneziana. Ed è proprio a lui che lo voglio dedicare”. Parlava teneramente del padre, ma pensava con trasporto a Maximilian mentre guardava con molta intensità Marcello. Una somiglianza sconvolgente. Li distingueva soltanto il diverso colore degli occhi. Senza aggiungere altro prese l’oboe, mentre Eleonora si sedette al pianoforte, come se tra loro ci fosse stata una tacita intesa. Al termine l’entusiasmo si confuse con la commozione. 181


Scattarono tutti in piedi e le applaudirono lungamente. Corrado, nella sedia a rotelle, allargò le braccia per accoglierle con affetto. “Siete bravissime. Tu, Ellen, sei stata meravigliosa” - disse con lucidità e con uno scorrevole eloquio. “Adesso, cara Ellen, ti prego di eseguire un brano di Mozart. La sua musica risuona con insistenza nella mia mente e mi crea uno stato di soave beatitudine”. Durante il coma la musica mozartiana aveva invaso continuamente il suo cervello devastato dal proiettile. Lo sapeva bene Ellen, che si mise nuovamente al pianoforte e suonò Il Rondò alla turca. Corrado fu scosso notevolmente e, per un attimo, ebbe la sensazione di avvertire uno strano formicolio alle gambe. Nel dubbio, non riferì nulla. Tutto il sangue gli affluì al cervello. Il suo viso si avvampò. E tutti si accorsero che la musica di Mozart lo aveva molto stimolato. Soltanto Ellen, che aveva lungamente discettato con il primario dell’ospedale sull’efficacia della musicoterapia, capì che Corrado aveva ricevuto un autentico beneficio dalla sua performance musicale. Gli altri, in particolare Eleonora, manifestarono una certa preoccupazione. “Non vi agitate. Anzi, dovreste essere soddisfatti. In questi pochi minuti ho avuto la certezza che la musicoterapia sia stata decisiva nel recupero di Corrado. Lui stesso potrà riferirci le sensazioni che ha provato poco fa” - disse Ellen. “Sì, è vero. Non ho detto nulla, perché temevo di non essere creduto. In effetti ho sentito un diffuso formicolio alle gambe. E vi assicuro che non è stata un’impressione, perché l’effetto non è stato di breve durata” - disse Corrado, mentre il rossore del viso si accentuava sempre di più. L’emozione l’aveva conturbato. Tutti si precipitarono ad abbracciarlo. Eleonora, sempre più convinta del miracolo, ringraziò il Signore. Per tutta la notte l’armonia continuò a risuonare tra le pareti di una casa afflitta, per troppo tempo, dalla perversione e dalla sofferenza. Eleonora e il marito dormirono in stanze separate, ma si pensarono molto. Con qualche sprazzo di tenerezza. La settimana successiva si celebrò il matrimonio di Marcello 182


ed Ellen nella chiesa di Santa Maria in Domnica alla Navicella, nei pressi del Colosseo. Corrado sulla sedia a rotelle fu il testimone del fratello, Eleonora di Ellen. Al termine della cerimonia Eleonora e il marito si abbracciarono teneramente e decisero di tornare a vivere insieme. Il piano divino della sofferenza, incentrato sulla drammatica condizione di Corrado, aveva generato un nuovo percorso di vita. Due giorni dopo, Ellen e Marcello partirono per la Germania.

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LA MALATTIA DI MARCELLO

Arrivarono a Berlino nella tarda mattinata. Il cielo plumbeo annunciava una giornata uggiosa. Per Ellen non fu una novità. Conosceva bene il clima della sua città. Tuttavia ebbe una triste sensazione. Come se l’intensa felicità assaporata nei giorni passati dovesse essere improvvisamente turbata da un grave evento. Non era la prima volta che, nel corso della sua esistenza, alla breve durata della quiete doveva succedere la tempesta. E risuonarono nella sua mente le note della Sesta sinfonia di Beethoven. Appena, però, furono nei pressi del Conservatorio, scomparvero i fantasmi che l’avevano ossessionata. E la gioia ricomparve quando s’incontrarono con Braun, il direttore dell’Orchestra sinfonica. “Con molto piacere vi comunico che il Borgomastro, venuto a conoscenza del nostro programma, ha rimosso tutti gli ostacoli frapposti dalle autorità alleate e, soprattutto, dalla Germania comunista” - disse il direttore. “È il più bel dono di nozze, direttore. Siamo sposati da pochi giorni” - disse Ellen. “Vivissimi auguri, ragazzi. Ora dobbiamo metterci subito al lavoro. È probabile che il programma subisca qualche modifica” - disse il direttore. “Spero in meglio” - interloquì Marcello. “Certamente. Ho chiesto al Borgomastro di autorizzare la partecipazione dell’intera orchestra sinfonica al Concerto sotto il Muro” - disse il direttore. “Evviva! Pensa, quindi, a un concerto per pianoforte e orchestra?” domandò Ellen. “Sì. In onore alla memoria di tuo padre ritengo che tu debba iniziare con il concerto per oboe e pianoforte, per poi coinvolgere l’intera orchestra. Hai qualche idea in proposito?” - chiese Braun. “Il mio compositore preferito è Chopin. Sempre che lei non abbia nulla in contrario, propongo il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra” - rispose Ellen. 184


“Pienamente d’accordo” - disse Braun. “Per quanto concerne il concerto per oboe, è mio desiderio essere accompagnata al pianoforte da mia suocera. Da diversi mesi proviamo insieme un brano di Vivaldi. Lui era il compositore preferito da mio padre” - disse Ellen. “Non ho nulla in contrario, purché la signora venga a Berlino in tempo utile per le prove. È noto a tutti che non consento improvvisazioni” rispose Braun. “Ci raggiungerà tra pochi giorni” - disse Ellen. “Molto bene. Ti comunicherò appena possibile il giorno delle prove” concluse Braun salutandoli affettuosamente. La felicità di Ellen e Marcello raggiunse l’apice, perché si stava per realizzare un meraviglioso sogno: il Concerto sotto il Muro. Decisero, pertanto, di trascorrere la serata in un night club. L’appassionante spettacolo e l’effetto inebriante dello champagne, bevuto a profusione per festeggiare il felice evento, contribuirono ad annullare ogni resistenza. Dietro il separé, lontani da occhi indiscreti, per un tempo incommensurabile si scambiarono diffuse carezze. Quando il marito iniziò ad accarezzarla dalla caviglia fino all’inguine Ellen ebbe un sussulto, e fu invasa da un irrefrenabile desiderio. Nel delirio dei sensi si adagiò dolcemente su un divanetto, si aprì come una rosa e, inarcando il suo armonioso corpo, accolse la prorompente passione di Marcello. Tornarono in albergo a tarda ora. Durante la notte, Marcello la svegliò. “Ellen, ti prego di perdonarmi. Non mi sento bene” - disse con una voce flebile. “Marcello, che ti succede?” - disse Ellen allarmata. Non ebbe, però, il tempo di aggiungere altro né di ricevere una risposta, perché Marcello aveva perso i sensi. Mentre l’ambulanza, prontamente chiamata dalla reception, lo trasportava nella vicina clinica, Ellen si tormentava. Pensò al precedente di Parigi, ma fu presa anche da un complesso di colpa perché temette che il malore fosse stato provocato dagli eccessi della serata. E pianse disperatamente. Fu diagnosticato un coma diabetico, perciò Marcello fu im185


mediatamente trasferito nel reparto di terapia intensiva. Migliorò in una quindicina di giorni. Il concerto, però, fu rinviato. Il giovane fu sottoposto a tutti gli esami clinici, che da parecchio tempo la moglie gli aveva consigliato e che invece lui aveva sempre rinviato. Non emersero, però, elementi per diagnosticare altre patologie, oltre ovviamente la conferma del diabete. Quando a Parigi ebbe il malore che gli causò un momentaneo sbandamento, Marcello fu pervaso dalla sensazione che toccasse a lui, secondo la scansione di un esoterico piano, aprire un nuovo ciclo di sofferenze per la famiglia. Fece, però, di tutto per allontanare l’infausto presentimento. Ecco perché quella notte non volle l’intervento del medico, nonostante i pressanti consigli di Ellen. Il nuovo episodio accentuò l’insistenza della moglie, che dopo le dimissioni dalla clinica, per una maggiore tranquillità, ottenne finalmente da Marcello la decisione di rivolgersi a un noto diabetologo di Berlino, il quale consigliò il ricovero per più approfonditi accertamenti. Fu una notte piena d’incubi quella che precedette l’ingresso in clinica. Il persistente sogno della sua tragica decapitazione lo costringeva, di tanto in tanto, a svegliarsi di scatto. “Marcello… che ti succede?” - chiese allarmata Ellen. “Nulla, cara… è stato un brutto sogno… va tutto bene. Ti prego di non preoccuparti”- rispose Marcello con la sua convincente sicurezza. Mentiva. Il sogno premonitore aveva trasformato la sensazione in certezza. Si stava aprendo il sipario su un altro doloroso scenario. Dopo ripetuti approfondimenti, la tac accertò un neuroblastoma cerebrale. Un tumore maligno del sistema nervoso centrale, rarissimo nelle persone adulte. La notizia sconvolse Ellen. Pure in questo modo gioca il suo ruolo devastante il male subdolo, che non è solo morale, ma anche fisico. Si annida silenziosamente e compare sovente quando ha completato la sua opera di distruzione. “Raccomando vivamente di non farvi prendere dallo scoramento - disse il neurochirurgo accompagnandoli nel suo studio - Nel no186


stro centro l’intervento chirurgico è stato risolutivo in un’alta percentuale di casi analoghi. Devo operare con estrema urgenza, perché è necessario ridurre la pressione che il tumore esercita all’interno del cranio per diminuire i sintomi”. Ellen era affranta. Marcello pensieroso. Sembrava quasi non essere interessato alla vicenda che lo riguardava personalmente. Non riusciva a trovare il modo per manifestare i suoi sentimenti ai genitori. Incombeva su di lui un angoscioso complesso di colpa. Perché doveva essere proprio lui a compromettere la serenità che la famiglia aveva ritrovato dopo tante sciagure? Proprio lui che non aveva mai creato soverchi problemi? “Oggi un preciso esame istologico del tumore consente di scegliere terapie mirate. Perciò, anche quelli più aggressivi possono essere curati con la chemioterapia. Completeremo l’intervento chirurgico con la radioterapia, per evitare il rischio di recidiva” - Il neurochirurgo osservava i suoi interlocutori e faceva di tutto per alleviare le loro preoccupazioni. Anche ricorrendo alla menzogna. Sapeva bene che la chemioterapia era di scarsa efficacia nei tumori cerebrali, perché i farmaci incontravano notevoli difficoltà a raggiungere il cervello a causa delle naturali barriere agli agenti esterni. Continuava a guardarli, ma non poteva comprendere i diversi sentimenti che li animavano. Ellen pensava di smettere l’attività concertistica per assistere il marito. Marcello era sempre più condizionato dal complesso di colpa. Cosa avrebbe potuto fare per fermare la realizzazione del piano divino della sofferenza? Soccombere? Dare spazio all’autoannientamento? Decise di essere di conforto a tutti, e in particolar modo a Ellen, fino alla fine dei suoi giorni. Perciò, mise in mostra il suo splendido sorriso. “Devo operare con la massima urgenza” - concluse il neurochirurgo, certo di essere stato convincente. Rientrati in albergo, Marcello telefonò alla madre. Rispose la domestica che lo pregò di attendere. Passarono alcuni minuti. Un tempo provvidenziale che consentì a Marcello di assumere un tono della voce più rassicurante. 187


“Ciao, mamma, come stai? E Corrado?”. “Corrado migliora a vista d’occhio. Come sta Ellen? Dalla tua voce mi sembra che le cose procedano ottimamente. Avete già stabilito la data del concerto?”. “Tutto si svolge secondo i programmi. Però…”. “Però che cosa?”. “Ecco, mamma, ho avuto un leggero malore. Niente di preoccupante. Ecco… il medico mi ha consigliato di sottopormi a un piccolo intervento chirurgico. Sarà eseguito sabato prossimo”. “Marcello caro, dimmi la verità… perché tutta questa urgenza? Partiremo subito per Berlino”. “Mamma, ti ripeto che non è proprio il caso di preoccuparvi. Lascio a te ogni decisione”. “Partiremo con il primo aereo. Un bacio, figlio mio”. “Un bacione, mamma”. La sera stessa Eleonora e il marito arrivarono all’aeroporto di Berlino, dove Marcello ed Ellen erano in attesa da mezz’ora circa. Madre e figlio si corsero incontro per abbandonarsi a un lungo e tenero abbraccio. Marcello ostentava un’apparente tranquillità. Eleonora era profondamente turbata. E quando lesse il dramma sul viso di Ellen, scoppiò in un irrefrenabile pianto. Il cuore di una madre intuisce il dolore che affligge il figlio, nonostante le apparenze. Sovente, invece, è incomprensibile ad altri. Infatti Mario, in mancanza di precise informazioni, stentava a capire. “Marcello, si può sapere che cosa sta succedendo?”. “Sapessi, papà, come sono felice di vederti con mamma”. “Lascia stare. Avremo modo di parlarne. Piuttosto come stai? In effetti ti trovo molto bene. Anzi ottimamente, se non fosse per un leggero pallore”. “Devo essere sottoposto a un lieve intervento chirurgico alla testa. Adesso credo che sia il caso di raggiungere l’albergo. Ne parleremo meglio dopo cena”. Scese su di loro una cappa di silenzio. Nessuno osava parlare. Sembravano muti. Marcello ed Ellen temevano che una parola o una maldestra espressione facesse scoprire la triste 188


verità prima di un’opportuna preparazione. Eleonora e Mario cercavano di allontanarla quanto più possibile. Durante la cena il loro mutismo fu colmato dal brusio delle numerose persone e dal tintinnio delle posate. Improvvisamente, Eleonora si alzò e si diresse verso il salotto. Quella strana sinfonia la ossessionava, come una danza macabra. Fu immediatamente imitata. Il silenzio fu rotto da Marcello, che iniziò il racconto partendo da lontano. Pensò, opportunamente, di preparare i suoi genitori a ricevere la dolorosa notizia. “Qualche mese fa, a Parigi, ebbi una prima avvisaglia. Un malore mi costrinse, seppure per pochi minuti, a distendermi sulla poltrona. Passò subito, perciò non gli detti troppa importanza. Purtroppo in quest’occasione, durante la notte, si è ripetuto lo stesso malessere con conseguenze più serie. Sono stato ricoverato in stato di coma diabetico. A proposito, ne ha sofferto qualcuno in famiglia? Prima di allora non avevo mai avvertito alcun sintomo”. Con queste domande Marcello tentò di arrivare gradualmente alla verità. “Che io sappia non si sono avuti casi di diabete nelle nostre famiglie. Vero Eleonora?” - disse il padre. “Forse mia nonna. Non ne sono sicura” - rispose Eleonora. “Si tratta allora di diabete. Oggi si cura facilmente con delle ottime medicine e un’adeguata alimentazione. Al limite si può ricorrere all’insulina. Un mio collega è vissuto novant’anni. Che cosa c’entra, però, l’operazione alla testa con il diabete? Deve esserci qualche altra cosa che cercate di nasconderci” - disse Mario con tono perentorio, come per significare che era giunto il momento di sapere tutta la verità. “E sia, papà. Mi è stato diagnosticato un neuroblastoma cerebrale…”. “Un tumore?”. “Sì. Maligno. Rarissimo negli adulti”. Queste parole ebbero l’effetto del tuono che annuncia la bufera. Era troppo. Due figli con lo stesso destino. Eleonora perse i sensi, suscitando l’attenzione di tutti i presenti e l’intervento di un medico. “Si tratta di un semplice abbassamento di pressione. Passerà subito” 189


disse spruzzandole in faccia dell’acqua fredda. Infatti si riprese subito. Non pianse. La momentanea perdita di coscienza l’aveva distratta dalla realtà. Guardava un punto fisso, immaginario. Improvvisamente i volti sfocati di Corrado e di Marcello cominciarono a sovrapporsi, per poi sparire. E ritornare ossessivamente. Mario la prese in braccio e la condusse in camera, seguito da Marcello ed Ellen. Il grido di dolore di Eleonora arrivò fino al contiguo ristorante, attutito però dal brusio e dalle risate dei clienti dell’albergo, ritornati al loro posto dopo l’imprevisto inconveniente. “Mamma, non fare così. Vedrai che tutto andrà bene. Ho avuto ampie assicurazioni dal neurochirurgo. È convinto che il tumore sia allo stadio iniziale e che l’operazione sarà risolutiva. Tra pochi giorni torneremo a casa, e anche questa esperienza sarà soltanto un triste ricordo”. Il figlio fece del suo meglio per tranquillizzarla, ma ogni tentativo fu vano. Eleonora era inconsolabile. La angosciava il pensiero di vedere anche Marcello costretto a vivere su una sedia a rotelle. “No, non è possibile… ditemi che non è vero…” - sussurrò sommessamente, per poi abbandonarsi a un pianto liberatorio. Fu a questo punto che il marito la strinse teneramente a sé e le baciò il viso bagnato di lacrime. Dopo alcune ore, trascorse tra disperazione e speranza, sopraffatta dalla stanchezza cadde in un sonno profondo. Ai primi albori del nuovo giorno, appena sveglia, si stupì della serenità che la pervadeva. Era sempre posseduta dallo stesso pensiero, tuttavia non avvertiva più l’angoscia che le aveva causato il malessere. Anzi, si meravigliò di avere dormito profondamente. Imperscrutabili motivi l’avevano rinfrancata, e non le consentivano di darsi una qualsiasi spiegazione. Tuttavia, volle essere accompagnata in clinica per avere maggiori assicurazioni dal neurochirurgo. “Stia tranquilla, signora. Abbiamo localizzato il sito di origine del tumore. E non si sono evidenziate metastasi. Posso, perciò, asportarlo totalmente. Mi creda: tra pochi giorni Marcello potrà tornare a casa completamente risanato” - le disse il chirurgo con estrema sicurezza. Il giorno che precedette l’intervento trascorse in un’atmo190


sfera alquanto serena. L’Avvocato restò in camera, e alternò la lettura dei Pensieri di Pascal con momenti di profonda meditazione. Marcello ed Ellen preferirono fare un giro senza meta per il centro di Berlino. Eleonora si chiuse in preghiera nella cappella della clinica. Un cielo intensamente azzurro aprì la fatidica giornata. Un buon auspicio, osservarono all’unisono. Nella mente dell’Avvocato risuonarono le parole di Pascal: “Noi conosciamo la Verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore”, mentre salutava il figlio che entrava in sala operatoria. Eleonora l’abbracciò con tanto amore, e gli disse con uno splendido sorriso: “Non ti preoccupare, figlio caro. La mia anima ti sarà accanto per tutta la durata dell’intervento. Sono sicura che il Signore guiderà la mano del chirurgo”. Ellen lo strinse forte a sé e lo baciò intensamente sulla fronte: “Coraggio, Marcello. Ci aspetta ancora una lunga vita da trascorrere insieme”. Dopo oltre un’ora dall’ingresso di Marcello in sala operatoria Eleonora cominciò ad agitarsi. Ripensando, però, alle rassicurazioni del neurochirurgo si tranquillizzò. In fondo si trattava di un intervento che, per quanto breve, non poteva essere eseguito in un’ora, considerato il tempo necessario per la preparazione e l’anestesia. Con il passar del tempo, però, cominciò ad avvertire una strana sensazione. Era tormentata da un’insopportabile compulsione. Cercava in ogni modo di allontanare l’angoscia, ma non riusciva a liberarsi dal pensiero fisso che le procurava la malattia di Marcello. In compenso, però, l’anima la rasserenava. E si convinse sempre più di essere in comunione spirituale con il figlio. Mario, invece, passeggiava nervosamente per il corridoio. Il suo algido razionalismo lo conduceva per mano verso un cupo pessimismo. Ellen, seduta in poltrona, non riceveva alcun conforto dalla musica che ossessivamente le invadeva l’emisfero destro del cervello. Erano ormai trascorse circa tre ore, ma dalla sala operatoria 191


non proveniva alcuna notizia. Eleonora si diresse con passo lento verso la cappella per pregare sotto un ligneo Crocifisso. In un momento di profondo raccoglimento ebbe l’impressione di stare vicino a Marcello nei momenti più delicati dell’operazione, durata oltre quattro ore. E ringraziò il Signore. Questa sua certezza fu confermata, poco dopo, dal neurochirurgo. “È stato più impegnativo del previsto. La massa tumorale era circoscritta in un’area delicata del cervello, perciò l’intervento ha richiesto molto tempo. Ho dovuto operare con microscopica precisione, perché era forte il rischio di compromettere funzioni vitali”. “Desidero esprimerle tutta la nostra gratitudine, professore. Mi consenta, però, di chiederle se mio figlio potrà condurre una vita normale” - chiese Eleonora con un malcelato timore reverenziale. “L’operazione è riuscita ottimamente, signora - rispose il chirurgo - Per motivi precauzionali terrò Marcello in coma farmacologico per alcuni giorni. In seguito controllerò come reagirà agli stimoli. Soltanto dopo un approfondito esame sarò in grado di fare una precisa valutazione”. “Professore, Marcello ha goduto sempre di ottima salute. Mai un mal di testa, mai un capogiro. Com’è stata possibile la formazione del tumore in così breve tempo? Ha avvertito i primi sintomi solamente da poco” – chiese Mario. “In genere i tumori hanno una lunga e lenta evoluzione. Per molti anni Marcello ha vissuto con una spada di Damocle sospesa sulla testa, perché in ogni momento poteva avvenire l’irreparabile. Sono convinto di essere arrivato in tempo a salvargli la vita. Credetemi, deve ritenersi per davvero un ragazzo fortunato ”. Per tutta la durata del coma farmacologico si ripropose lo stesso drammatico scenario dell’ospedale di Roma. E allora i volti dolenti di Corrado e Marcello si sovrapposero continuamente nella mente di Eleonora, attraverso un immaginario gioco di dissolvenze incrociate. Uscito dal coma indotto, non fu necessaria la valutazione del medico per sapere quale sarebbe stata la futura vita di Marcello. Nell’arco di poche ore il giovane aveva ripreso tutte le funzioni. “Mamma… - poi girandosi lentamente dall’altra parte - papà… - sussurrò con un bel sorriso - è andato tutto bene, vero?”. 192


Nel frattempo Ellen, dopo una breve assenza, era rientrata nella stanza. Marcello allargò le braccia e la accolse con un tenero abbraccio. L’esplosione della loro incontenibile felicità fece accorrere il personale sanitario. Si precipitò anche il neurochirurgo, appena arrivato in clinica. Le grida gli avevano fatto temere il peggio. Si rese subito conto dell’atmosfera gioiosa, e manifestò calorosamente la sua soddisfazione. “Ero sicuro della rapida ripresa di questo baldo giovane. Le cose procedono ottimamente, oltre ogni più rosea previsione” - disse mentre effettuava un’accurata visita. Marcello rispose positivamente a tutte le stimolazioni e intrattenne un lungo colloquio con il medico, che si meravigliò della lucidità del paziente. “Di questo passo potrai essere dimesso entro i prossimi quindici giorni. Complimenti vivissimi e auguri”. Detto questo uscì dalla stanza. La sorprendente condizione fisica e psicologica di Marcello indusse il medico a rammentare che durante l’intervento chirurgico aveva avuto la sensazione di una misteriosa presenza. Era certo che imperscrutabili fattori gli avessero guidato la mano. E ciò a prescindere dalla consapevolezza del suo valore professionale. Per tutto il giorno ne parlò con i collaboratori, definendolo un caso prodigioso. Intanto Mario, dopo avere espresso al figlio la sua gioia, pensò che sarebbe stato opportuno informare Wilhelm sugli ultimi avvenimenti. Invero l’Avvocato meditava di uscire dall’Alfa, e voleva il conforto e l’aiuto del suo migliore amico. Abbracciò, quindi, con tenerezza Marcello, salutò le due donne e si accomiatò. Marcello, che aveva ripreso tutte le sue facoltà, rimasto solo con Eleonora ed Ellen fremeva per raccontare la sua esperienza onirica vissuta durante l’intervento chirurgico. La madre se ne accorse e lo invitò a parlare, raccomandandogli di non sforzarsi eccessivamente. “All’alba di un giorno radioso - esordì - mi sono trovato su un’immensa distesa di cirri filamentosi, resi rosei dal sole nascente. Il cielo di un azzurro terso mi donava un senso di serenità, e saltavo da un cirro all’altro mentre l’orizzonte si tingeva sempre più del colore rosso della vita. Di tanto in tanto, però, si dissolveva la felicità che mi suscitava la 193


corsa saltellante, perché affondavo nell’inconsistenza dei cirri e trovavo difficoltà a innalzarmi di nuovo. L’alternarsi di contrapposte sensazioni mi procurava un’indicibile angoscia, fino a quando un soave soffio mi ha spinto verso un’immensa nube biancastra sulla quale si proiettavano alternativamente le vostre immagini. Tu, Ellen, mi allietavi con il suono di un flauto dolce, facendo cessare come d’incanto la mia inquietudine. E tu, mamma, in estasi, conducevi la mia anima verso una celestiale beatitudine”. “È stato un sogno sublime. Ed è un vero prodigio che tu possa ricordarne addirittura i dettagli. In genere se ne perde ogni traccia” - disse Ellen con un sorriso di soddisfazione che illuminò il suo bel viso. La musica come taumaturgica cura psicologica aveva già dato ottimi risultati nella guarigione di Corrado. Ellen, però, non comprendeva come la preghiera potesse infondere, a distanza, un senso di beatitudine in un’altra persona. Per tutta l’infanzia aveva ricevuto un’educazione rigidamente religiosa dalla madre luterana e dal padre cattolico. In seguito, l’ateismo praticato totalitariamente dal regime comunista le aveva oscurato la fede, costringendola a ricercare nella musica ogni risposta alle pressanti richieste della sua spiritualità. Di diverso avviso fu Eleonora. “Marcello… non è stato un sogno… la mia anima è stata in comunione con la tua nei momenti più delicati dell’intervento. Perciò durante le mie preghiere ho avvertito nella mia carne il tuo dolore, e nello spirito la beatitudine che ti ha risanato. Capisco che è difficile farlo comprendere a chi non è ancora illuminato dalla luce della fede. Si rischia di essere malgiudicati”. Perciò Eleonora ritenne di non insistere. Temeva di essere considerata una visionaria da Marcello e da Ellen, la cui spiritualità non andava oltre la visione artistica della realtà perché erano stati fermati sulla soglia della trascendenza dallo scientismo e dallo psichismo, largamente diffusi nella cultura contemporanea. “In effetti ho ancora ben presente la sensazione che non si sia trattato di un semplice sogno, ma francamente non credo di potergli dare una diversa interpretazione - disse Marcello per andare incontro alle convinzioni religiose della madre - Tuttavia, rimane l’impressione 194


di avere ‘visto’ le vostre meravigliose anime, ed è impellente il desiderio di dipingerle su una tela, appena torneremo a casa”. “Comprendo le perplessità. - disse Eleonora - Le tue sensazioni, però, richiamano alla mia mente i versi del Chiaro di luna di Paul Verlaine: ‘L’anima vostra è uno squisito paesaggio/che maschere e bergamaschi incantano/ suonando il liuto e danzando…’. Vi traspare la sensibilità impressionistica del poeta francese, che supera il sentimentalismo romantico per descrivere le sue impressioni irreali, evanescenti e oniriche”. “Nello stesso periodo i pittori come Manet, Renoir, Monet, Cézanne - disse Marcello - uscirono fuori dagli atelier per dipingere all’aria aperta, con colori sfumati, le impressioni che ricevevano dalla natura”. “E Debussy si espresse con toni sfuggenti, comunicando atmosfere immaginarie. È noto che fu notevolmente influenzato dall’improvvisazione jazzistica…” - interloquì Ellen, interrotta da Marcello. “A proposito, Ellen, quando torneremo a casa mi piacerebbe ascoltare Golliwoggs’ Cakewalk”. “È un brano di Debussy che non ho mai suonato. Appena mi sarò procurata lo spartito lo eseguirò con molto piacere” - disse Ellen. “Neanche io lo conosco. Preferisco Chiaro di luna” - disse Eleonora. “È la composizione di Debussy che amo di più” - rispose Ellen. Senza averne consapevolezza, li legava un sottile fil rouge: la fuga dal tempo e dal mondo verso l’eterno e l’invisibile alla continua ricerca dell’anima. Di un’anima carnale. Quella dei versi di David Maria Turoldo: “Inquieta anima mia quasi carne, / in te rientra, /parla piano, taci anzi, /se vuoi udirLo; / Egli non è lontano, /è nel tuo mare di sangue… /Alla terra torna, alla terra resta /anima quasi carne”. “Marcello, sono sicura che non si sia trattato di un sogno, ma di uno stato di estasi che ti ha condotto nel mondo dell’ultrasensibile. Perciò ho la certezza che nel quadro che dipingerai ‘vedrò’ la mia anima e quella di Ellen” - concluse Eleonora augurando al figlio un buon riposo. Nel frattempo Mario aveva riferito a Wilhelm gli ultimi avvenimenti. Minuziosamente. Come premessa, però, alla richiesta di comprensione e di aiuto per lasciare l’Alfa. “La sorte toccata ai miei figli mi ha profondamente cambiato. Sono in195


seguito da un terribile complesso di colpa, che rende insonni le mie notti, e non ho più la sicurezza di una volta. Temo di non possedere più i requisiti che la nostra delicata funzione richiede. In poche parole, credo di essere diventato un serio problema per la nostra organizzazione. Intendo perciò essere messo ‘in sonno’. Conto sul tuo autorevole aiuto, caro Wilhelm” - disse Mario. “In effetti ti vedo notevolmente cambiato. In nome della nostra consolidata amicizia, però, ti prego di credermi: non sarà facile aiutarti. Sei ritenuto uno dei nostri migliori dirigenti. Tieni anche presente che sei a conoscenza di tutti i segreti dell’Alfa” - rispose Wilhelm. “Ho motivo di ritenere che il tuo intervento sarà decisivo” - disse Mario, certo che la soluzione dipendesse dalla sua insindacabile decisione. “Farò tutto il possibile. Puoi esserne sicuro. Intanto auguro una pronta guarigione a Corrado e Marcello, che hanno bisogno della tua affettuosa e costante presenza. Comunque vada, conta sempre su di me” - disse Wilhelm accomiatandosi dall’amico. Trascorse una settimana. Marcello, completamente ristabilito, passeggiava per il lungo corridoio della clinica quando il neurochirurgo, che aveva attentamente visionato i risultati degli ultimi approfonditi esami clinici, gli pose affettuosamente la mano sulla spalla e lo invitò nel suo studio con Ellen, la madre e il padre. “Sembra incredibile, ma è come se tu non fossi stato operato. Il tuo è un caso da studiare, perché non esistono precedenti. Ha del miracoloso. Ritengo che non esistano più i motivi per trattenerti. Perciò, con il tuo consenso, posso dimetterti oggi stesso”. “Allora sono completamente guarito?” - disse Marcello. “Nel modo più assoluto. Certo, dovrai, per un certo periodo, sottoporti agli opportuni controlli. Ma posso assicurarti che il tumore non è più un problema. Piuttosto, mi raccomando di tenere costantemente sotto controllo il diabete, che è la causa di gravi patologie” - disse il neurochirurgo salutandoli cordialmente. Ritornati nella stanza, mentre Ellen preparava i bagagli Eleonora e Mario decisero di fare una passeggiata nel parco della clinica. Intanto Marcello, seduto in poltrona, meditava sul suo destino. 196


Che strana sensazione! Fino a pochi giorni prima era certo di non guarire, e pensava serenamente alla sua fine imminente. Adesso, a guarigione avvenuta, avvertiva un senso di angoscia. Pensava alle terribili conseguenze del diabete. Si vedeva paralizzato e demente, seduto per il resto dei suoi giorni su una sedia a rotelle. E fu percorso da un brivido. Prima di ripartire per Roma Ellen si premurò di telefonare al direttore dell’Orchestra sinfonica, per comunicargli i sopraggiunti contrattempi. Il direttore si felicitò per la guarigione di Marcello e concordò di rinviare alla successiva primavera il Concerto sotto il Muro.

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IL SOGGIORNO AL CIRCEO

Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, giunsero a Roma. Finalmente a casa. Fu proprio Corrado ad aprire la porta. L’incontro tra i due fratelli fu struggente. Per un tempo incommensurabile si guardarono, per poi abbandonarsi a un irrefrenabile pianto. Marcello si chinò su Corrado, seduto sulla carrozzella, e lo abbracciò. Eleonora e Mario si strinsero teneramente attorno ai figli, e si sfiorarono. Come erano lontani i momenti di quel triste Natale! Era passato un anno, ma a Marcello sembrò che fosse trascorso un secolo. L’ambiente di casa che gli era sempre apparso grigio, un po’ retrò, era invece luminoso e gioioso. Chiese, perciò, che cosa nel frattempo fosse stato cambiato. Alla risposta che tutto era rimasto come prima, pensò come la predisposizione d’animo poteva addirittura modificare la soggettiva visione delle cose. Meditò anche sulla situazione paradossale che si era determinata. Quando tutto deponeva per una vita felice, la famiglia viveva nell’inquietudine del male subdolo; ora che era attraversata da immani disgrazie, aveva ritrovato la serenità dell’amore. Dopo cena, in salotto, l’attenzione di Mario fu richiamata dal quadro di Ellen desnuda. Riconobbe immediatamente lo stile di Marcello, e chiese al figlio in quale circostanza e per quali motivi avesse ritenuto di accostare Ellen alla Maja desnuda di Goya. Appena fu messo a conoscenza dei particolari esoterici del quadro le sue razionalistiche convinzioni cominciarono a vacillare. I segni ultrasensibili, connessi organicamente tra loro, lo indussero a una profonda riflessione. A un tratto osservò, al di qua della stanza Beta, la parete dove aveva fatto installare lo specchio attraverso il quale poteva vedere gli altri senza essere visto. 198


Poiché era stato coperto da una gigantografia di Chopin, Mario pensò che il salotto non fosse più visivamente comunicante con la stanza Beta. Come se la coscienza, per non essere invasa dalle pulsioni rimosse, avesse precluso all’inconscio di risalire prepotentemente dalla profondità del baratro. Si alzò e si diresse verso la stanza segreta. Trovò la porta spalancata. Non c’era più il divano di pelle bianca. Erano scomparsi gli artistici nudi femminili. Le pareti della stanza grondavano musica. E, sorprendentemente, provò un senso di totale serenità. Come se la coscienza avesse visitato l’inconscio e l’avesse trovato libero da pulsioni mefistofeliche. Lo sguardo si posò sul frontespizio di uno spartito: La dannazione di Faust di Hector Berlioz. Conosceva bene il personaggio dell’importante opera di Goethe, perciò senza volerlo l’associò alla sua complessa esistenza. Infatti, come Faust, anche lui aveva venduto l’anima al diavolo nell’illusoria convinzione di ottenere in cambio potere, sapienza ed eterna giovinezza. E, soprattutto, la capacità diabolica di disporre malvagiamente della vita degli altri. Faust aveva condotto una povera ragazza, Margherita, alla follia e alla morte prematura; lui, con l’irrefrenabile egoismo e la vita dissoluta, aveva spinto la moglie sulla via di un drammatico desiderio di autoannullamento. Nel constatare che Margherita, strumento della pietà divina, aveva salvato l’anima di Faust, Mario si commosse e si convinse che Eleonora lo stesse accompagnando lungo il cammino della redenzione. Nel tornare in salotto vide il luminoso profilo di Ellen, e considerò che senza il suo arrivo in famiglia non sarebbe stato forse possibile percorrere insieme una nuova vita. E rivolse un affettuoso sguardo a Corrado, che l’aveva condotta a Roma. “Papà, spero tanto che non ti siano dispiaciute le modifiche che abbiamo apportato alla stanza Beta. Avrei voluto parlartene da molto tempo, ma è mancata l’occasione - disse Marcello appena il padre si sedette tra lui e Corrado - È stata una decisione concordata con 199


mamma, perché Ellen aveva urgente bisogno di uno studio per preparare la sua intensa attività concertistica”. “Tutt’altro - rispose il padre - Ho provato un grande senso di liberazione quando dalla porta spalancata ho visto le meravigliose novità. Il mio assurdo egocentrismo mi aveva spinto a ritagliarmi uno spazio entro il quale esaltare lo ‘spirito della vita’, compiacendomi delle debolezze del prossimo che, attraverso lo specchio, osservavo senza essere visto. E ciò aumentava a dismisura la mia volontà di potenza”. “In tutti questi anni, papà, non hai mai pensato di avere perduto la libertà a causa di un illusorio dominio esercitato sulle persone che ti chiedevano semplicemente di ricambiare il loro amore?”. “Purtroppo no. Quando l’egoismo trasborda tutto diventa patologicamente funzionale ai propri esclusivi interessi. E si diventa cinici e crudeli”. “Ma il nostro divenire non lo portiamo già ‘dentro’ di noi?” - domandò Eleonora. Tutti si girarono verso di lei, perché il suo intervento fu ritenuto una cortese provocazione per riallacciare i rapporti con Mario. “Cara Ely, l’uomo è una realtà duale, molto complessa. Goethe fa dire al suo Faust: ‘Due anime abitano nel mio petto, l’una si vuol separare dall’altra’. La prima tende verso il divino e l’infinito, l’altra si lascia avvincere dai desideri terreni. È impresa sovrumana armonizzare lo slancio verso l’infinito con il titanismo faustiano, perché nell’uomo predomina l’elemento dionisiaco. È possibile, però, sublimare lo spirito dionisiaco, che gioca con l’ebbrezza e l’estasi, con il razionale spirito apollineo, che gioca invece con il sogno”. “Le due anime sono inconciliabili - disse Eleonora - Esiste un abisso incolmabile tra il mondo dello spirito e la realtà terrena, perciò non devono essere confusi”. “Ogni uomo aspira al divino, ma è portato a vivere secondo la sua natura. Faust vendette la sua anima al diavolo per avere in cambio tutti i piaceri del mondo, ma alla fine dei suoi giorni la ritrovò grazie a una donna” - disse Mario, mentre Eleonora ed Ellen lo guardavano compiaciute. “Io credo che sia possibile raggiungere l’equilibrio se tendiamo verso l’infinito e ci limitiamo a godere le manifestazioni del divino nella realtà terrena. Ho maturato questa convinzione quando ho attraversato il punto in cui la vita ci consegna alla morte, per ritornare subito tra i viventi. 200


Non sono in grado di stabilire se sia stato un sogno, ma ho vissuto l’esperienza tra il finito e l’infinito come se fosse stato un fatto realmente accaduto” - disse Corrado con il tacito consenso di Marcello. Queste parole suscitarono nel padre una profonda meditazione. Pensò alle ragioni esistenziali che l’avevano indotto a concentrare tutte le sue aspirazioni all’interno della stanza Beta: volontà di potenza, egocentrismo, spasmodico desiderio di possesso, voglia sfrenata di sesso, ricerca del pericolo per rimuovere lo squallore della quotidianità, quando invece aveva gli ampi spazi di un’incantevole casa, confortata dall’amore della moglie e dei figli. Le recenti tragedie avevano già aperto la via verso la sua conversione, ma fu il breve tragitto tra la stanza Beta e il salotto a illuminarlo. Per molto tempo aveva trascinato la sua esistenza nell’illusoria convinzione di avere conquistato lo “spirito della vita”, che non voleva condividere con nessuno, blindandolo nel ristretto spazio del suo gretto egoismo mentre spiava i sentimenti del prossimo attraverso lo specchio, che gli consentiva di osservare senza essere visto. La scomparsa dei simboli che avevano arredato la stanza segreta, sostituiti dal pianoforte e dal quadro di Chopin, svolse la funzione dell’ouverture in un’opera lirica. L’altruismo, l’amore, la comprensione reciproca, la sofferenza nobilmente accettata, i sentimenti che danno valore alla vita erano lì, a pochi passi, da sempre, ma per tanto tempo erano stati rimossi dalla sua coscienza “invasa” dall’io ipertrofico. Insomma, la morte lo aveva ghermito lentamente per tutta la sua passata esistenza, mentre la vita, quella autentica, gli scorreva tra le dita. Era arrivato il momento di trattenerla, chiudendo la mano. La meditazione di Mario fu di breve durata, perché fu richiamato da un nuovo argomento sollevato da Corrado per distoglierlo dai suoi pensieri. “Mi dispiace Ellen che, a causa mia, tu sia stata costretta a rinviare il Concerto sotto il Muro”. “Se è per questo, io ne porto le maggiori responsabilità” - aggiunse Marcello. 201


“Vi prego. Non dovete nemmeno pensarlo. Avrò più tempo per prepararmi meglio. Intanto festeggiamo questo felice momento” - disse Ellen. “Che ne direste allora di trascorrere insieme una quindicina di giorni nella nostra villa del Circeo?” - continuò Corrado. “È una bella idea. Però tu non puoi interrompere la fisioterapia per un lungo periodo. Devi anche considerare che Ellen sarebbe costretta a sospendere la preparazione dei concerti, perché nella villa non c’è il pianoforte” - disse Marcello. “Non vedo il problema. Esiste a pochi chilometri da casa un ottimo centro fisioterapico. Quanto al pianoforte, possiamo traslocare questo o noleggiarlo” - disse Eleonora, indicando il pianoforte in fondo alla sala sotto il quadro di Ellen desnuda. Il suo entusiastico consenso fu accompagnato da uno splendido sorriso che contagiò tutti. Corrado chiuse gli occhi e, per un attimo, gli apparve la sottile linea dell’orizzonte, dove il cielo si unisce all’immensa distesa marina. Mario, che si stava liberando dalle catene del passato, volle manifestare il suo sentimento declamando un sublime pensiero di Friedrich Nietzsche: “Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle - e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito. Oh, quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nelle pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà - e non esiste più ‘terra’ alcuna!”. Eleonora ebbe un sussulto di gioia. Avvertì un piacere intenso pulsare dentro le vene, dal cuore fino alla profondità delle viscere. E guardò languidamente il marito. La certezza della conversione di Mario aveva risvegliato le sue pulsioni, da parecchio tempo sopite. E si “illuminò d’immenso”. Le immagini delle lunghe corse sulla sabbia cocente delle dune riapparvero nitide nei ricordi di Corrado, che aveva in 202


gran parte rimosso l’inquietante esperienza vissuta con Giulia. Appariva sfumata sotto l’immenso scenario del mare osservato dal Picco di Circe. Marcello pensò di dipingere l’impressione che gli avrebbe suscitato Ellen quando le onde del mare l’avessero dolcemente accarezzata, e rivolse a sua moglie un lungo sguardo denso di sensualità. L’affettuosa atmosfera che aleggiava su di loro richiedeva un sottofondo musicale. Perciò Ellen non dovette essere sollecitata. La richiesta era evidente sul volto di ognuno. Si sedette al pianoforte ed eseguì la sonata Per Elisa di Beethoven. Con il reciproco augurio di una serena notte si concluse la più bella serata della loro vita. Quell’anno l’estate arrivò con anticipo sul calendario. Ellen, Marcello e Corrado partirono con la jeep alla volta del Circeo. Mario ed Eleonora decisero di raggiungerli qualche giorno dopo. Era fremente il desiderio di trascorrere un po’ di tempo nella più completa intimità. L’indomani, all’imbrunire, il caldo improvviso era mitigato da un dolce ponentino. Mario ed Eleonora, sottobraccio, passeggiavano per il centro di Roma, e non si avvedevano che erano guardati con malcelata curiosità. Un uomo e una donna non più giovani e con i volti illuminati dalla felicità non potevano passare inosservati. I sentimenti erano diversi eppure coincidenti, perché Eleonora aveva ritrovato l’innamoramento dei primi tempi, mentre Mario aveva finalmente scoperto l’amore per la moglie. Pertanto, ritornati a casa, constatarono che si era finalmente realizzato il teorema del quadrato. “L’amore reciproco ha ricongiunto le due triadi, divise per tanto tempo. Mi rendo conto soltanto ora di averti fatto soffrire a causa del mio sfrenato egoismo” - disse Mario. “Apprezzai la tua onestà intellettuale, allorché mi confessasti di non amarmi. Tuttavia volli ardentemente sposarti, convinta che la vita matrimoniale avrebbe, con il tempo, suscitato in te sentimenti di affetto. Fu proprio la descrizione del teorema del quadrato che mi indusse ad accettare il compromesso per il quale ho pagato un prezzo altissimo” - disse Eleonora. 203


In salotto si sedettero una dirimpetto all’altro. E, per una sorta di tacita intesa, restarono in silenzio per diversi minuti. Eleonora ripensava all’esperienza vissuta con la domestica filippina e alla sensazione di essere diventata frigida. Infatti gli incontri saffici non rispondevano a una sua naturale inclinazione, ma all’esigenza di riempire il vuoto della solitudine. Era trascurata dal marito, ma non aveva mai pensato di incoraggiare i tanti corteggiatori. Si era compiaciuta quando, in un momento di estrema debolezza, era riuscita a respingere il tentativo del giovane spagnolo. Mario, a sua volta, mentre guardava con tenerezza la moglie ripensava ai corpi senza anima delle donne che in cambio di denaro si erano prestate alle più ignobili perversioni. Osservò attentamente Eleonora e si avvide che l’anima aveva reso più armonioso il suo sinuoso corpo. Eleonora notò un profondo turbamento dal viso di Mario. Le guance si erano arrossate e le pupille erano diventate acquose. Le sue sensazioni trovarono conferma quando, abbassando lo sguardo, notò un evidente turgore nei pantaloni del marito. Una vampata le invase il cervello, per poi scendere lungo tutto il corpo. Si abbandonò sulla poltrona e iniziò un eccitante movimento delle gambe, mettendo ripetutamente in evidenza le sue deliziose cosce. Sembravano degli adolescenti timidi e inesperti. Mario sollevò Eleonora, la prese in braccio e la condusse nella camera che per tanto tempo era stata testimone di numerosi amplessi, nel corso dei quali lei si concedeva totalmente mentre lui lamentava sempre un’angosciante insoddisfazione. “No, Mario, qui no” - disse Eleonora, assalita dai ricordi. Entrarono nella stanza degli ospiti. Il marito la adagiò lentamente sul tappeto persiano e iniziò a spogliarla con tenerezza. Appena le sfiorò l’inguine lei ebbe un sussulto e si inarcò. “Ti voglio, Mario... ti ho sempre amato… ho aspettato tutta la vita questo momento” - disse Eleonora, manifestando il timore che l’estasi dovesse improvvisamente finire. 204


Mario, però, volle vivere intensamente la “prima volta” con la moglie, e ricorse alla sua consolidata esperienza. L’eccitazione dei corpi raggiunse la soglia del parossismo, ma l’anima mitigò le loro pulsioni. Sicché quando Mario, dopo averla baciata lungamente nelle parti più intime del corpo, la penetrò con tutto il suo vigore, il piacere fisico fu sublimato dall’amore. Un amplesso durato un’eternità, perché si erano congiunti i loro corpi e le loro anime, assaporando il godimento della presenza divina nella realtà umana. Per troppi anni la tenacia prometeica di Mario si era illusa di liberare il corpo dall’anima, nella vana ricerca di un’illimitata libertà. La disperazione era stata la triste conseguenza delle sue scelte di vita, giacché, pur essendo parte dell’essere, aveva creduto di essere il “tutto”. Ma nel momento topico della sua crisi esistenziale fu raggiunto dall’anima. Si squarciò, allora, il velo dell’ignoranza, e comprese che l’uomo non è il narcisistico padrone della Terra, ma semplicemente una sua essenziale risorsa che subisce la punizione della solitudine quando insegue l’affannosa illusione di ritenersi simile a Dio. Giorni addietro Ellen, Marcello e Corrado erano stati accolti da un falco pescatore che da qualche ora volteggiava sulla villa del Circeo, come se fosse stato preavvertito del loro arrivo. La palma nana, piantata qualche anno prima da Eleonora, faceva bella mostra di sé all’inizio del giardino. I cespugli di rose e di oleandri sparsi qua e là, ben curati dal fedele giardiniere, facevano da cornice alla serenità della villa. Arrivato il pianoforte, noleggiato a una ditta di Latina, Ellen riprese la preparazione del Concerto sotto il Muro. Marcello le era sempre accanto; dipingeva, e si allontanava solamente quando accompagnava il fratello al vicino istituto fisioterapico. Tolte le ore dedicate alla fisioterapia, Corrado trascorreva il tempo a leggere, deliziato dalla musica del pianoforte che gli arrivava soffusamente. Di tanto in tanto alzava lo sguardo, per osservare il mare da una parte e la distesa delle dune dall’altra. Però era l’incontro con il sole, all’inizio di ogni nuovo giorno, 205


che gli suscitava profonde meditazioni. Pertanto ogni mattina, aiutandosi con la forza delle braccia per assidersi sulla sedia a rotelle e preoccupandosi di non svegliare Ellen e Marcello, raggiungeva l’ampio e panoramico terrazzo quando il colore livido dell’aurora sfumava quello tetro della notte fonda, annunciando gli sfavillanti colori dell’alba. Il sole, prima di apparire, contornava di rosso la cima del monte Giove, che sovrasta Terracina, e faceva filtrare i suoi raggi tra le colonne dell’omonimo tempio. In quel preciso momento, allargando le braccia a dismisura, Corrado accoglieva l’astro nascente che arrossava il cielo e il mare, formando sull’immensa distesa marina una lunga scia argentata diretta fino a lui per inneggiare insieme alla vita. Al benvenuto dell’alba seguiva l’arrivederci del tramonto, quando il sole s’inabissava oltre la sottile linea dell’orizzonte, alimentando la certezza che dopo il buio della notte dovesse tornare la luce del giorno. Così, eternamente, percorrendo sempre lo stesso itinerario. Senza mutare mai. Al termine dell’intensa contemplazione Corrado pensò di farne oggetto di conversazione con Ellen e Marcello. “Oggi, per tutto il giorno, osservando l’itinerario del sole, dall’alba al tramonto, mi sono posto l’antico dilemma: il nostro destino è predeterminato e immutabile? O siamo noi che stabiliamo il nostro divenire con continui atti della volontà? Insomma, sono state le mie scelte sconsiderate o una misteriosa eterogenesi dei fini a determinare la mia triste condizione?”. “Nel quadro dedicato a Ellen - rispose Marcello - ho dipinto alcuni particolari che non potevo conoscere. Perciò, quando ho visto per la prima volta Ellen ho avuto l’impressione di averla già conosciuta. Ecco perché abbiamo pensato che la nostra vita sia stata già vissuta in un’altra epoca, e ritorni incessantemente”. “Ma è mai possibile! Mi passi, per cortesia, quel libro di papà? È una raccolta di aforismi di Nietzsche” - disse Corrado, che dopo avere consultato l’indice del volumetto lesse un pensiero tratto da La gaia scienza: “Che accadrebbe se un giorno o una notte un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: ‘Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma 206


ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione… L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!’. Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: ‘Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina?’ ” - Corrado terminò la lettura e sorrise al fratello. “È proprio così, caro Corrado. I miei attimi immensi si susseguono continuamente, tanto da farmi desiderare di vivere questa vita innumerevoli volte” - rispose Marcello guardando intensamente Ellen. La persistente paralisi delle gambe non consentiva a Corrado di condividere le convinzioni del fratello. Infatti, come avrebbe potuto desiderare di rivivere quella drammatica condizione in un’altra vita? Tuttavia, il ricordo delle immagini oniriche del vento che lo spingeva oltre il muro per andare verso la più totale oscurità, ma soprattutto la spinta del vento per tornare verso la luce, sminuì i suoi dubbi. E se non si fosse trattato di un sogno? E se l’anima avesse sospinto il corpo per tornare verso la vita, proprio nel momento in cui stava per essere consegnato alla morte? Questi e altri interrogativi affollarono la sua mente. Il silenzio più assoluto avrebbe fatto sentire anche il rumore della caduta di una foglia. Ellen e Marcello, perplessi, temettero che stesse per cedere allo scoramento. Per tranquillizzarli Corrado, dopo avere espresso un cenno di assenso, lesse il successivo aforisma: “Imprimere al divenire il carattere dell’essere, è questa la suprema volontà di potenza. Che tutto ritorni, è l’estremo avvicinamento del mondo del divenire a quello dell’essere: culmine della contemplazione”. Questa digressione stemperò l’atmosfera di incombente mestizia che aleggiava su di loro. E tornò il sorriso sui loro volti. “Oggi, mentre contemplavo il mare, ho associato l’antica isola di Eea, l’odierno promontorio del Circeo, al viaggio di Ulisse. E ho pensato che sarebbe meraviglioso partire per una breve navigazione, dall’alba al tramonto, e vivere intensamente l’esperienza del ritorno. Chiediamo a Gio207


vanni se può ospitarci per un giorno sul suo veliero” - disse Corrado abbandonandosi a una sgangherata risata, perché era consapevole che la sua richiesta sarebbe stata considerata irrealizzabile a causa delle sue condizioni fisiche. In effetti, la vera intenzione era di cambiare argomento. Marcello, invece, non considerò affatto peregrina l’idea del fratello. Giovanni era il loro più caro amico, pertanto avrebbe fatto anche l’impossibile per esaudire il desiderio di Corrado. Decisero, perciò, di invitarlo a pranzo per mostrargli la proposta. Detto e fatto. L’indomani, sotto l’ampio gazebo della villa, mentre gustavano con Giovanni un buon piatto di spaghetti alle vongole, misero a punto il programma. “Ho acquistato il mese scorso Itaca, un fantastico veliero bialbero che fa proprio al caso nostro. Nella prua c’è la possibilità di ancorare la sedia a rotelle, perciò, Corrado, potrai goderti la navigazione nella massima sicurezza” - disse Giovanni compiaciuto. “Non so come ringraziarti. È possibile allora partire nella tarda mattinata per seguire il declino del sole fino all’imbrunire?” - chiese Corrado, che al momento non seppe dare una spiegazione a tale richiesta ma poi, a pensarci bene, si rese conto che inconsciamente aspirava a ripercorrere da “sveglio” l’esperienza vissuta in “sogno” nel tunnel gelatinoso. Pensò che lontano dalla costa, in alto mare, dove la profondità dell’acqua separa il navigatore dal fondo dell’abisso, poteva guardarsi “dentro”, mentre la realtà terrena si allontanava. A mezzogiorno dell’indomani il bialbero, governato da un esperto skipper, veleggiava verso l’isola di Ponza. Un sole caldo dardeggiava sul veliero e addolciva la forte brezza. A prua Corrado, tenuto ben assicurato alla sedia a rotelle, guardò alla sua destra il Picco di Circe e ricordò l’infantile meraviglia che aveva provato quando, accompagnato dal padre, aveva osservato da lassù per la prima volta la distesa marina. Adesso, invece, la montagna, vista dall’immensità del mare, gli appariva infinitamente piccola, e provò un’indicibile delusione. Sollevò lo sguardo verso il cielo azzurro, e il sole gli riscaldò il cuore. 208


Nel primo pomeriggio, doppiata l’isola di Ponza e ammainate le vele, Itaca fu ancorato nei pressi dell’isola di Palmarola. Il forte vento aveva spinto il veliero troppo avanti, distanziando il sole che dopo un po’ lo sorpassò, proseguendo la sua inarrestabile corsa. Lo raggiunsero più tardi, prima del tramonto. Corrado lo contemplò fino a quando non lo vide declinare oltre la linea dell’orizzonte di un mare rosso fuoco. Scese la sera. Corrado, aiutato da Marcello e Giovanni, lasciò il suo posto e scese sottocoperta per gustare il pesce cucinato dallo skipper, che dimostrò, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, di essere un autentico lupo di mare. “Desidero tornare sul ponte di coperta nella sedia a rotelle” - disse il giovane al termine della cena, suscitando la meraviglia di Giovanni. “Ma è una grossa imprudenza, Corrado. Diglielo pure tu, Marcello. La mia lunga esperienza lo sconsiglia nel modo più assoluto. Durante la notte la temperatura scende notevolmente, e rischi per davvero una polmonite” - disse Giovanni. “Userò tutte le precauzioni” - rispose Corrado. “Francamente non riesco a capire la tua insistenza e questa indefinibile voglia di sfidare l’ignoto” - replicò Giovanni. “Non è facile spiegarti i motivi che mi spingono ad attraversare i gelidi pericoli della notte per poi rivedere l’abbagliante luce del sole” - disse Corrado. Lo stupore espresso dal viso di Giovanni indusse l’amico a raccontare il “sogno” del tunnel gelatinoso. “Perciò non è l’ignoto che mi attrae. È la conoscenza di me stesso che mi spinge a compiere questa esperienza estrema. Devo assolutamente verificare se è stato un sogno o il ritorno alla vita. Devo sapere se il terrificante buio che ho intravisto oltre il muro sia l’immagine della morte” - affermò Corrado. Soddisfatti i suoi bisogni, indossò il maglione, la giacca a vento e un copricapo di lana e si fece riportare a prua nella sua carrozzella. Sulla via del ritorno, il freddo e le tenebre della notte gli suscitarono le stesse sensazioni che aveva provato nel tunnel gelatinoso, quando il vento l’aveva spinto contro il muro verso il buio più cupo. Nemmeno la troppa luna e il cielo stellato 209


riuscirono a sopire il suo profondo turbamento. Era stato accarezzato dal vento gelido della morte. Improvvisamente, i violacei colori dell’aurora si stemperarono nei primi albori del nuovo giorno, e ad un tratto sfavillò il sole. Com’era solito fare nei momenti di gioia accolse l’astro nascente con le braccia aperte a dismisura, stringendolo forte a sé. Dopo essere stato lambito dal senso della fine aveva riabbracciato la vita. Si convinse, allora, che non si fosse trattato di un sogno, e che la drammatica realtà vissuta nel tunnel gli avesse consentito di rinascere, facendo tornare alla sua coscienza il prevalente sentimento della sua adolescenza: l’amore, che per troppo tempo aveva confinato negli strati più profondi dell’inconscio. Giovanni e Marcello non chiusero occhio. E dalla cabina, attraverso l’oblò, osservarono Corrado per tutta la notte, mentre lo skipper governava il veliero. L’immobilità del giovane li preoccupava. Corrado era di spalle, quindi non era possibile percepire l’espressione del suo viso. Tuttavia decisero di non interrompere le sue meditazioni. All’alba, però, quando inneggiò alla vita, uscirono dalla cabina e lo abbracciarono con intensità. Durante tutto il giorno, tolte alcune brevi pause, Ellen si era esercitata al pianoforte in vista del Concerto sotto il Muro, rinviato alla primavera successiva. Nella stessa mattinata, Eleonora e Mario arrivarono nella villa del Circeo. La loro venuta era prevista, ma non se ne conosceva l’ora precisa. All’ingresso, sulla bella consolle trovarono un biglietto dei figli. “Carissimi, siamo partiti con il veliero di Giovanni per una breve navigazione. Il ritorno è previsto per domani attorno a mezzogiorno. Ellen vi spiegherà tutto. Un abbraccio. Corrado e Marcello”. Ellen, seduta al pianoforte nella stanza che guardava il mare, si accorse della loro presenza solamente quando si sentì sa210


lutare. Si alzò e li abbracciò. Eleonora e Mario vollero essere subito informati. Era evidente la loro agitazione. “La richiesta è partita da Corrado, che ha espresso il desiderio di navigare verso occidente per salutare il sole al tramonto e tornare poi indietro verso oriente, per aspettarlo all’alba dell’indomani al termine della lunga attraversata notturna” - esordì Ellen. “Possibile che Marcello non abbia tentato di persuaderlo a non commettere questa imprudenza? Del resto anche lui è ancora convalescente. Francamente non riesco a farmene una ragione” - intervenne Mario molto alterato. “Credo che Corrado abbia voluto tentare di rivivere il sogno del tunnel gelatinoso, per convincersi che non si trattò di un fenomeno onirico, quando tornò in vita dopo essersi incontrato fugacemente con la morte. Manca poco a mezzogiorno. Andiamo di corsa al molo per accogliere il loro ritorno” - esclamò Eleonora con convinzione. Arrivarono al porto di San Felice Circeo giustappunto per vedere spuntare Itaca dal frangionde. Emisero un urlo di gioia quando videro Corrado nella prua del bialbero, seduto raggiante nella sua carrozzella. A Eleonora, che aveva intuito le motivazioni del viaggio, breve per il tempo impiegato ma imperituro per le finalità, sembrò l’icona di un moderno Ulisse. È pleonastico affermare che tutto il resto della giornata fu riempito dalla descrizione delle vicende vissute con estrema intensità. Decisero di restare al Circeo ancora per qualche giorno, prima di rientrare a Roma. Eleonora e Mario passeggiavano lungo i sentieri del promontorio e facevano scorrere la carrellata dei ricordi, a volte teneri, sovente drammatici. Corrado, dopo la seduta di fisioterapia, si faceva accompagnare al Faro, dove per lunghe ore osservava l’immensità del mare abbandonandosi a interminabili meditazioni sul suo destino. Ellen, a poca distanza, posava per Marcello, come una Venere dei nostri tempi. “Cara… da qualche giorno avverto una strana sensazione. Di tanto in tanto, improvvisamente, un velo di tristezza offusca la mia gioia di 211


vivere” - disse a un tratto posando il pennello sul cavalletto. “Dovresti essere felice, amore mio. Non ti sembra che i momenti più difficili siano ormai alle nostre spalle?” - disse la moglie allontanandosi dal parapetto, posto al limitare del precipizio a strapiombo sul mare, per andare in fretta verso il marito. Temette, per un attimo, l’insorgenza di un’incipiente depressione, che, in verità, era stata prevista dal neurochirurgo come conseguenza dell’operazione al cervello. Ma si tranquillizzò subito. Conosceva molto bene le doti di carattere di Marcello, che però confermò senza infingimenti il suo stato d’animo. “Ripenso spesso alle parole del professore. Ricordi quando disse che il tumore era un problema definitivamente superato?” - disse Marcello. “Certamente. Proprio per questo dovresti essere felice” - rispose Ellen. “E lo sono”- disse Marcello. “Non capisco, allora, questi momenti di scoramento” - insistette Ellen. “In questi ultimi giorni ho ripensato alle parole del professore, quando mi avvertì che avrei dovuto, per il resto della mia vita, preoccuparmi delle conseguenze del diabete. E mi enumerò i tanti rischi che questa malattia comporta. Del resto non ho già subìto alcuni inquietanti episodi?” - affermò Marcello. Soltanto in quel momento, avvicinandosi al marito, Ellen lanciò uno sguardo al quadro appena abbozzato, e comprese il tormento che lo affliggeva. Marcello aveva suddiviso la tela a metà: da una parte aveva tracciato le linee di un sinuoso corpo di donna, e dall’altra aveva tratteggiato la figura di un invalido seduto su una carrozzella. Ellen intuì immediatamente i sentimenti che avevano ispirato il quadro: la gioia che gli procurava il suo amore era offuscata dalla tristezza che gli suscitava la condizione di Corrado. In verità non era la prima volta che Marcello manifestava questi contrapposti sentimenti, però mai l’afflizione si era sovrapposta alla sua innata serenità. Ellen pensò che un grave evento l’avesse turbato, quasi sicuramente avvenuto durante la navigazione con Corrado e Gio212


vanni, perché in tutti gli altri momenti erano rimasti sempre insieme. Giorno e notte. Un angosciante pensiero s’impresse sul suo volto, ma non chiese spiegazioni. Dopo un lungo silenzio denso di interrogativi cercò amorevolmente di tranquillizzarlo. “Sai bene che il diabete è una malattia curabilissima - disse Ellen - Può essere affrontata con una dieta appropriata, modificando anche il regime di vita. A volte mi chiedo se i miei impegni di lavoro ti coinvolgano eccessivamente, e se sia il caso di ridimensionarli. Vedremo. Adesso, però, gradirei conoscere i reali motivi delle tue preoccupazioni. È la prima volta che dai così tanta importanza al diabete”. “Sì, è intervenuto un fatto nuovo - rispose Marcello - Per i motivi che abbiamo dettagliatamente raccontato Corrado ha voluto trascorrere in coperta la notte della navigazione. A prua, nella sua sedia a rotelle. Non correva nessun rischio, perché l’avevamo ben assicurato tra la prua e l’albero maestro. Era di spalle, immobile, proprio come lo vediamo adesso, perciò non era possibile guardare l’espressione del suo volto e comprendere i suoi pensieri. Una scena struggente durata fino all’alba”. “Capisco, amore mio, ma ormai dovresti essertene fatta una ragione” - disse Ellen. “Le tragedie della vita assumono una diversa dimensione se mutano le condizioni di tempo e di luogo. In precedenza avevo visto tante volte mio fratello in quella posizione, fino alla più dolorosa rassegnazione. Ma in quelle ore della notte, sospeso tra il cielo punteggiato di stelle e l’abisso marino, il cuore infranto ha avuto il sopravvento sulla ragione” - disse Marcello. “I tuoi sentimenti sono squisiti. Ma cosa c’entra tutto questo con il diabete?”- chiese Ellen. Intanto si erano allontanati, per non essere ascoltati da Corrado. “Insomma, Ellen, in quei dolorosi momenti ho associato il mio destino a quello di mio fratello. E sono stato sfiorato dal pensiero che sarebbe stato preferibile morire in breve tempo devastato dal tumore che continuare a sopravvivere così” - disse Marcello indicando il fratello con un gesto del viso. “Non comprendo perché associ il tuo destino a quello di Corrado” disse Ellen. “Perché un infarto, un ictus cerebrale, causati dal diabete, potrebbero 213


ridurmi in quelle condizioni, con l’aggravante della demenza” - rispose Marcello. Dopo questa sconcertante affermazione Ellen ebbe la certezza che la depressione fosse la vera causa del disagio del marito, perciò lo strinse a sé, si avvinghiò a lui e lo baciò con intensa sensualità. Un gesto che ebbe l’effetto di un elettrochoc. Marcello tornò a sorridere. “Ti chiedo scusa, Ellen, è stato un momento di debolezza. Vedrai che da oggi scaccerò all’origine ogni assurdo presentimento” - disse Marcello per compiacere la moglie. A differenza di chi è sano, e considera la morte un’astrazione, il suo precario stato di salute alimentava la consapevolezza di dover morire. Ma, come Mozart, non temeva la morte, anzi la considerava una beatitudine. Purtuttavia, senza volerlo era inseguito da un inquietante presentimento. Più cercava di rimuoverlo nell’inconscio e più tornava ossessivamente a invadere la sua coscienza, quando osservava il fratello paralizzato sulla sedia a rotelle. Corrado, girato di spalle, rapito dall’immensità del mare, percepiva le loro parole come un lontano bisbiglio; ciononostante, aveva compreso il disagio di Marcello. “Vi sono grato per avere esaudito il mio desiderio” - esordì appena entrarono in macchina per tornare a casa. “Quale desiderio?” - disse Marcello, che aveva comunque intuito a cosa il fratello facesse riferimento. “Per tanti anni ho inseguito il fumo di uno sfrenato vitalismo, e non capivo che correvo inconsapevolmente verso la morte. Avevo bisogno di trascorrere alcuni giorni al Circeo, per meditare sulla mia condizione esistenziale. Vi ringrazio affettuosamente, perché avete accolto la mia richiesta senza chiedere preventive spiegazioni” - disse Corrado. “Spero tanto che tu abbia ottenuto il tuo scopo” - disse Marcello. “Oggi, ammirando il mare, mi sono lasciato condurre dall’anima oltre la linea sottile dell’orizzonte, e ho provato una gioia immensa. Ora la paralisi delle mie gambe non rappresenta più un problema, perché la forza dello spirito riesce a compensare le mie difficoltà fisiche” - disse Corrado. “Sono io che devo ringraziarti per la tua taumaturgica lezione di vita” 214


- disse Marcello riflettendo sulla vacuità dei suoi presentimenti. Il colloquio, che continuò fino a tarda sera, coinvolse anche Ellen, Eleonora e Mario, e si concluse con la decisione di fare ritorno a Roma.

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IL CONCERTO SOTTO IL MURO DI BERLINO

Lungo la via Appia, nei pressi della capitale, Ellen fu attratta dalla lunga filiera di conifere, e le sovvenne il poema sinfonico I pini di Roma di Ottorino Respighi. Le sembrò un buon auspicio. È noto che le gioie della vita, come le disgrazie, non vengono mai da sole. Infatti a casa li attendeva la lettera di Braun. “Carissima Ellen, mi è gradito comunicarti che nei prossimi giorni sarò in Italia. L’Orchestra che mi onoro di dirigere è stata inserita nel programma della stagione sinfonica, che si svolgerà a Roma nel prossimo mese di settembre. Si richiede la mia presenza per concordare il relativo programma. È una buona occasione per incontrarci e per parlare del Concerto sotto il Muro. Ti annuncio con molto piacere che la proposta è stata recepita entusiasticamente dal Borgomastro di Berlino”. La settimana successiva Braun sbarcò all’aeroporto di Fiumicino, accolto affettuosamente da Ellen e Marcello. “L’idea di tenere un concerto sotto il Muro è stata ritenuta geniale esordì il direttore - E non solo dai berlinesi, ma anche dagli Alleati. Gli americani, in particolare, temevano che la nostra iniziativa potesse turbare l’equilibrio faticosamente raggiunto con la Germania orientale e l’Unione sovietica. Ma i governi comunisti hanno dovuto considerare che qualsiasi divieto avrebbe suscitato lo sdegno unanime dell’opinione pubblica internazionale”. “In effetti il mio concerto non ha finalità politiche” - disse Ellen. “È vero. Però la tua storia familiare e, soprattutto, la tua ardimentosa fuga da Berlino Est, per giunta avvenuta con la complicità di un Vopos, hanno assunto un forte valore simbolico” - disse Braun. Era scesa la sera quando giunsero a casa. Eleonora accolse il musicista tedesco con squisita affabilità, e dopo i convenevoli si accomodarono in salotto, dove furono raggiunti da Mario, che intrattenne l’ospite su svariati argomenti. Dall’attualità politica alla filosofia, dalle ideologie che insanguinarono il mondo alla musica. 216


“Ha deciso di restare a Roma per molti giorni?” - chiese a un tratto l’Avvocato. “Sì. Desidero visitare la vostra meravigliosa città”- disse Braun. “Ha una particolare preferenza?” - chiese Mario. “Senza ombra di dubbio la Cappella Sistina” - rispose entusiasta il musicista. “Possiedo un prezioso volume che descrive dettagliatamente il capolavoro di Michelangelo. Nella parte centrale del libro si apre a portafoglio un’ampia immagine della volta della Cappella, che evidenzia il particolare della Creazione di Adamo” - disse Mario dirigendosi verso la biblioteca. “È sublime l’immagine di Dio che infonde lo spirito in Adamo” disse Eleonora. “Indubbiamente - rispose il direttore - Il genio michelangiolesco ha rappresentato plasticamente il movimento di Adamo, ossia dell’uomo, che si protende verso Dio, spinto dal soffio divino della vita”. “Infatti sono convinta che Michelangelo, credente e perfetto conoscitore dell’anatomia umana, abbia voluto significare che il corpo e l’anima formino un’unità mistica. Inscindibile” - disse Eleonora mentre il marito, tornato dalla biblioteca, apriva un voluminoso libro, dispiegando la grande immagine della volta della Cappella Sistina. “Come potete osservare, il particolare della Creazione di Adamo contiene anche un altro esoterico messaggio. Un gruppo di cherubini attornia la figura di Dio, formando l’immagine di una sezione sagittale del cervello” - disse Mario, che sull’argomento si era più volte intrattenuto con un suo amico neurologo. “Il cervello?” - intervenne Marcello, che, per ovvi motivi, manifestò un notevole interesse - “Ho osservato tante volte il particolare della Creazione di Adamo, però non ho mai colto questa impressione, e men che meno il suo significato”. “Eppure è molto evidente - disse Mario tratteggiando con il dito i contorni della volta del cervello - Il braccio sinistro di Dio, che forma un arco, traccia il giro del cingolo, mentre le gambe del Creatore si prolungano, disegnando l’immagine del midollo spinale. Osservate bene: non vi sembra che il cherubino che sorregge Dio corrisponda al ponte di Varolio?” Si interruppe e osservò gli sguardi basiti dei familiari, per continuare con maggiore foga – “E il panno verde che fuoriesce 217


alla base non appare come il corso dell’arteria vertebrale?”. “A ben vedere le somiglianze sono molteplici - lo interruppe Marcello, che conosceva l’immagine radiografica del suo cervello - Mi sfugge però il significato di un’apparente contraddizione. Dio è proteso verso Adamo, per infondere il soffio della vita al suo intero corpo, e si attornia di angeli per configurare l’immagine sagittale del cervello che è una sua parte, anche se è la più nobile”. “Eccellente considerazione, caro Marcello. Sai bene che nei capolavori michelangioleschi si celano messaggi esoterici che danno luogo alle più disparate interpretazioni. È certo, però, che nella Creazione di Adamo l’irrequieto genio abbia voluto indicare nell’intelletto il luogo dell’anima. Tieni presente che si era in pieno Umanesimo e che si ricercava la conoscenza della natura reale delle cose, liberandosi dai retaggi religiosi del Medioevo. Perciò, nella Creazione di Adamo Michelangelo non fu libero di esprimere compiutamente il suo pensiero. Ecco perché fece ricorso alla metafora del cervello” - disse Mario suscitando le perplessità di Eleonora. “Se l’anima risiede nel cervello, quale funzione svolge il cuore? Ricordo a me stessa il sublime aforisma di Pascal: ‘Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce’. Ammesso pure che la tua interpretazione sia esatta, in quale parte del cervello risiederebbe l’anima? Nell’emisfero cerebrale destro, che afferra le sensazioni extrasensoriali, o nell’emisfero sinistro che le razionalizza?” - chiese Eleonora. “Nel sinistro. Credo che sia questo il significato da dare alla metafora del cervello” - rispose Mario. “Vuoi forse affermare che l’intelletto abbia la predominanza sul soffio vitale che unisce indissolubilmente l’anima al corpo?” - replicò Eleonora. “No. Dico semplicemente che il libero arbitrio discenda dalla capacità razionale del cervello. Ed è questa l’incontestabile verità che Michelangelo ha voluto esprimere con il suo capolavoro” - rispose apoditticamente l’Avvocato. Ellen e Braun seguivano con notevole interesse la conversazione tra Eleonora e Mario, mentre i due fratelli ripensavano ai loro rispettivi “sogni”. Corrado, che per tanti anni era stato suggestionato dall’agnosticismo paterno, meditava sull’assenza di ogni sentimento razionale quando nel tunnel gelatinoso il vento lo spinse verso 218


le tenebre, infondendogli la gelida sensazione della morte, per risospingerlo subito dopo verso la luce, facendogli assaporare di nuovo il gusto della vita. Marcello, più affine alla spiritualità della madre, appariva convinto della prevalenza del soffio divino dello spirito su ogni forma di algida razionalità. La musica del flauto dolce di Ellen, “sognata” in clinica, risuonò nella sua mente, e “rivide” la madre mentre lo conduceva per mano verso la celestiale beatitudine. Ad un tratto, i due fratelli si fissarono profondamente negli occhi sotto lo sguardo compiaciuto di Eleonora. Si era creata tra di loro una perfetta sintonia. Mario si accorse finalmente della spiritualità che aleggiava sulla sua famiglia; perse, come d’incanto, le sue razionali certezze e si ammutolì. Ellen, che era stata educata all’ateismo dal regime comunista, sentì prepotentemente risalire dall’inconscio il senso religioso della vita, per lungo tempo rimosso e compensato con la sua spiccata sensibilità artistica. E si commosse, ricordando la sua infanzia e la profonda fede dei suoi genitori. Braun, intimamente coinvolto nella surreale conversazione, che, a suo avviso, era più congeniale all’esoterico spirito germanico che a quello italico intriso di pragmatico vitalismo, decise di intervenire. “Avvocato, pensa veramente che la Nona sinfonia sia esclusivamente il frutto delle immense capacità intellettuali di Beethoven? Non crede invece che la sua musica sia stata ispirata da Dio, per rendersi visibile e per incontrare gli uomini? Non pensa che il Creatore lo abbia privato dell’udito, che è la peggiore disgrazia che possa subire un musicista, perché anche gli scettici potessero credere? Per rendersene conto, provi ad ascoltare a occhi chiusi l’Inno alla gioia della Nona sinfonia”. Mario non rispose agli incalzanti interrogativi del musicista tedesco. Da sempre ottimo conversatore, appariva privo di argomenti. L’egoismo, il potere, il successo, la ricchezza avevano alimentato sempre di più la sua inquietudine, e ogni tentativo di compensarla con la sopraffazione e l’arroganza era stato inutile. In quel momento, però, era pervaso da un’indefinibile sere219


nità che non scaturiva da un programma, da un calcolo, da un ragionamento. I drammatici fatti che avevano coinvolto la sua famiglia, legati da un imperscrutabile filo conduttore, lo spingevano a riflettere sulla sua esistenza e sulla misteriosa eterogenesi dei fini. Ebbe la definitiva consapevolezza che era in atto la sua conversione. “Vede, Avvocato, - proseguì il direttore - l’idea di un Concerto sotto il Muro di Berlino non è legata a un interesse economico: nasce invece dalla perenne aspirazione dell’anima. Ellen lo vuole dedicare alla memoria del padre, all’amore e alla libertà dei popoli”. “È sicuro lo svolgimento del Concerto?” - chiese Mario. “Ho già riferito ad Ellen che, a causa della particolare situazione politica di Berlino, abbiamo dovuto superare molte difficoltà. Dopo estenuanti trattative le autorità comuniste e gli americani, che si opponevano al concerto per non turbare i compromessi raggiunti, hanno ritirato i rispettivi veti” - rispose Braun. “È incredibile che la proposta di tenere un pacifico concerto sotto il Muro abbia creato dei problemi alle relazioni internazionali, tenuto conto che la manifestazione musicale dovrebbe svolgersi nella zona occidentale della città” - disse Eleonora. “Gli autocrati della Germania comunista sospettavano che la storia personale di Ellen, unitamente al programma, contenesse un preciso messaggio politico. Le infantili paure dei dittatori danno sempre corpo alle ombre” - rispose il musicista tedesco. “Quali sospetti si possono nutrire per la musica di Vivaldi e di Chopin?” - chiese Eleonora. “Gli esperti musicologi comunisti hanno sempre presente il giudizio di Schumann, espresso nel 1836, sulla musica del polacco: ‘… se il potente autocrate del Nord sapesse come nelle opere di Chopin, nelle semplici melodie delle sue mazurke, lo minacci un pericoloso nemico, egli proibirebbe la sua musica. Le opere di Chopin sono cannoni sepolti sotto i fiori…’ ” - rispose Braun. “Capisco. È stato allora cambiato il programma?” - chiese Mario. “No. Il Borgomastro di Berlino, sostenuto dagli Alleati, ha fornito ampie garanzie, ottenendo le prescritte autorizzazioni” - rispose Braun. 220


“È stata già stabilita la data?”- chiese infine Mario. “Non ancora. Domani mi incontrerò con il direttore del Conservatorio per programmare la prossima stagione sinfonica romana. Cercherò di inserire anche Ellen. I primi di settembre, quando tornerò a Roma con la mia orchestra, sarò sicuramente in grado di precisare la data del Concerto sotto il Muro” - rispose Braun. Questo riferimento riportò nella mente di Mario la linea diagonale del quadrato. “Tutte le volte che penso al ‘Muro della vergogna’, anzi a ogni muro, mi sovviene il teorema che mi ha sempre ossessionato. Il quadrato, che è il simbolo dell’unità, perde questa sua peculiarità quando viene diviso all’interno da una linea diagonale. Si formano così due triangoli con i vertici che tendono verso contrapposte direzioni”. “Ha ragione, Avvocato. Il Muro di Berlino ne è la riprova. Ai muri, però, è necessario unire anche i reticolati di ferro spinato e le incomprensioni” - rispose il direttore. Queste parole ebbero l’effetto di un tuono. Ellen sobbalzò, e un velo di tristezza apparve sul suo bel viso. Erano ricomparsi i demoni del passato: un lungo reticolato di ferro spinato e una nuvola di fumo biancastro sulla quale si dissolveva l’immagine del padre. Braun comprese di avere incautamente ricordato un tragico passato alla giovane connazionale, e riportò la conversazione sul Concerto sotto il Muro. “Se non hai nulla in contrario, mi piacerebbe aggiungere l’Adagio per oboe in Re min. di Alessandro Marcello”. Dovette ripetere la richiesta, perché Ellen era troppo assorta nei suoi pensieri. Sembrava assente. “Con molto piacere, è uno dei miei brani preferiti” - rispose dopo un attimo di esitazione. E invitò il direttore a sedersi al pianoforte. Prese l’oboe, come se fosse una reliquia, ed eseguì l’Adagio con struggente trasporto. “Complimenti, Ellen, è stata un’eccellente esecuzione. Mi piacerebbe ora ascoltare il Concerto per oboe di Vivaldi, accompagnata al pianoforte dalla signora” - disse Braun cedendo il posto a Eleonora. Una prova convincente. Durante la cena, la buona esecuzione delle due donne accentuò l’interesse per il Concerto sotto il Muro. Nella tarda mattinata del giorno dopo il musicista tedesco, 221


accompagnato da Ellen e Marcello, si incontrò con il direttore della stagione sinfonica romana per concordare la partecipazione dell’Orchestra di Berlino e della giovane pianista. E, nel pomeriggio, ripartì per la Germania. I giorni trascorsero velocemente. A settembre, Roma era più incantevole del solito. Il caldo torrido dei giorni precedenti era solo un ricordo. E sulla città spirava un dolce ponentino. Nell’antico scenario del Teatro di Caracalla si aprì la stagione sinfonica con il Concerto per pianoforte e orchestra di Chopin, eseguito da Ellen. Il travolgente successo rappresentò una sorta di anteprima del Concerto sotto il Muro. Il tiepido autunno introdusse un inverno gelido. Nel Concerto di Natale, che si svolse a Berlino sotto una coltre di neve, Ellen eseguì alcuni brani di Alexander Scriabin, e la sua celebrità raggiunse l’acme. Influenzata da Eleonora, si era avvicinata al misticismo del compositore russo. Si susseguivano i successi della giovane pianista, ma la primavera stentava ad arrivare. Permaneva un algido inverno. Insolito a Roma. Tuttavia, a una quindicina di giorni dal Concerto sotto il Muro l’intera famiglia si trasferì a Berlino. La città era sempre innevata, ma Ellen ed Eleonora erano convinte che il tempo dovesse migliorare. Di buon mattino si recavano al Conservatorio, e per diverse ore, tolte alcune pause, preparavano i concerti per oboe di Antonio Vivaldi e Alessandro Marcello. Nel tardo pomeriggio Ellen provava quello per pianoforte con l’Orchestra diretta da Braun. Nel frattempo, Corrado aveva espresso il desiderio di vedere il luogo dove si sarebbe svolto l’evento musicale. Ben coperto per difendersi dal freddo pungente, il giovane, accompagnato dal fratello che spingeva la sedia a rotelle e con il padre a fianco, attraversò le strade di Berlino, ripulite dalla neve e rese sicure dall’efficienza tedesca. Dopo una dozzina di minuti arrivarono sotto il Muro, e il suo primo pensiero andò a Maximilian, trafitto dalle pallottole nella “striscia della morte”. 222


Il piazzale, in leggero declino, gli apparve come un naturale anfiteatro. Marcello si fece indicare dal fratello il punto preciso del Muro dal quale scese Ellen la notte della fuga verso la libertà, perché proprio lì voleva dipingere la moglie con le ali di un angelo. Corrado, immobile nella sua carrozzella, osservava l’andirivieni dei Vopos sopra quell’orribile muraglia di cemento, e meditava sull’insensatezza del mondo. Gli era incomprensibile la monotona quotidianità di quegli uomini, che con un salto avrebbero potuto conquistare la libertà e che invece, nel nome di un’ideologia, consumavano la loro vita dando la morte a coloro che aspiravano alla libertà. Ebbe un brivido quando pensò che, in forza di una contrapposta ideologia, avesse perseguito le stesse finalità. E pianse appena riaffiorò dall’inconscio il ricordo di avere costretto Ellen ad abortire, recidendo il fiore che Maximilian aveva concepito nell’attimo fuggente dell’amore verso la libertà. Mario, defilato, osservò Corrado senza parlare. Non era in grado di comprendere quel pianto sommesso. Poi si girò verso Marcello, che stava tratteggiando sul Muro l’immagine di un angelo, e la sua meraviglia si accentuò. Lungo la strada del ritorno, per quanto si sforzasse di capire, l’Avvocato non riusciva a darsi una spiegazione dello strano comportamento dei figli. Appena giunti in albergo si fermarono nella hall, in attesa di Eleonora e di Ellen. Dopo qualche minuto di esitazione Mario ruppe ogni indugio e chiese a Corrado di conoscere i motivi del suo pianto. Poiché ogni conversione è vera se è preceduta dalla confessione, il giovane si aprì al padre e riferì, per filo e per segno, la tragica circostanza che gli consentì di conoscere Ellen, e le violenze che le aveva fatto subire. Tutto gli fu chiaro, e comprese anche le intenzioni di Marcello quando Corrado precisò di avere visto Ellen scendere dal Muro, volando come un angelo, mentre il silenzio della notte era rotto dalle raffiche dei mitra dei Vopos. La conversazione cessò con l’arrivo gioioso delle due don223


ne. Le prove del concerto proseguivano ottimamente, e ciò alimentava il loro ottimismo, nonostante l’inclemenza del tempo. A pochi giorni dal concerto, apparve il sole. Si sciolse la neve e si diffuse nell’aria un dolce tepore primaverile. Eleonora pensò che fossero state esaudite le sue preghiere, ma non espresse questa sua certezza. Era frenata dall’eccessiva preoccupazione di non essere creduta. Ma ormai anche lo scetticismo di Mario era stato consegnato al passato. Il pianoforte fu collocato in un’ampia aiuola, dove sarebbe stata disposta anche l’orchestra. Le autorità comuniste avevano vietato l’installazione di un palco nelle vicinanze del Muro, perché continuavano a dare corpo alle ombre. Forse temevano che dall’alto della struttura si vedesse la squallida realtà di Berlino Est. Di prima mattina Marcello scese da un taxi sotto lo sguardo vigile dei Vopos, i quali non capirono le intenzioni del giovane che aveva scaricato numerosi barattoli di vernice e pennelli di varie dimensioni. Si tranquillizzarono quando furono informati dal comando che il giovane italiano, durante il concerto, avrebbe disegnato sul Muro dei banali graffiti. La notizia destò l’ilarità dei militari, che avevano temuto chissà quali pericoli. Nel pomeriggio, alle 15 in punto, Ellen prese posto con il suo oboe accanto ad Eleonora seduta al pianoforte. Gli orchestrali fecero corona alle due donne, alle quali Braun, salito sulla pedana, rivolse un affettuoso saluto. Quindi il direttore invitò un quintetto d’archi ad avvicinarsi alle concertiste e dette subito inizio ai concerti per oboe di Antonio Vivaldi e Alessandro Marcello. Il folto pubblico, informato dettagliatamente sulle modalità dell’evento, aveva lasciato un varco per consentire a Ellen di vedere Marcello. Mentre Corrado si era portato con la sua carrozzella sotto il Muro, a una decina di metri dal fratello. Al centro del varco era in grado di osservare contemporaneamente la madre, Ellen e Marcello. Tra la folla il padre fotografava con la sua magnifica Canon i momenti salienti del concerto. 224


Marito e moglie erano in perfetta sintonia. Alle note di Ellen si susseguivano armoniosamente le pennellate di Marcello, il quale, di tanto in tanto, si voltava per avere la giusta ispirazione dal quadro d’insieme. Aveva già dipinto le ali, e si apprestava a delineare la figura della moglie che volava dal Muro verso la libertà, quando Ellen iniziò a suonare le dolenti note dell’Adagio di Alessandro Marcello. Fu proprio in quel momento che il pittore ebbe una sgradevole sensazione. Cominciò a pensare ossessivamente che il classico rigorismo delle forme limitasse l’ideale rappresentazione dell’anima di Ellen. Nello stesso tempo, considerò che l’eccellente macchina fotografica del padre avrebbe colto più realisticamente i tratti esteriori della sua bellezza, mentre soltanto il suo pennello avrebbe potuto dipingerne i colori dell’anima. Convinto ormai che un eccessivo formalismo rendesse banale la sua opera, iniziò a descrivere sul Muro l’anima della moglie con i colori che gli venivano trasmessi dalle sublimi note dell’oboe. Al termine della prima parte del coinvolgente concerto anche il lungo applauso del pubblico trovò la sua giusta collocazione cromatica. Non si era ancora spenta la standing ovation quando l’orchestra iniziò a suonare l’Allegro maestoso del Concerto di Chopin. Subito dopo il preludio Marcello ebbe un sussulto, quando Ellen assunse il ruolo di protagonista con i virtuosismi del suo pianoforte enfatizzati dagli archi con estrema dolcezza e dipinti sul Muro dalle pennellate rosso fuoco della sua passione per la moglie. Il canto soave del tema successivo gli ricordò le atmosfere rarefatte, surreali e sognanti dei Notturni del genio polacco, con i quali Ellen era solita intrattenere la famiglia nelle riunioni serali. E con pennellate variopinte fermò l’immagine azzurrina della loro serenità. L’intensità raggiunse l’apice quando l’orchestra introdusse la Romanza del secondo movimento. 225


Il canto d’amore del pianoforte si librò nell’aria, suscitando pensieri densi di pathos che Marcello impresse sul Muro con colori tenui e soffusi. Ma all’improvviso il giovane pittore avvertì un forte dolore, che in poco tempo dalla spalla sinistra si diffuse per tutto il braccio. Fu di breve durata. L’atmosfera gioiosa del terzo movimento aveva avuto un effetto placebo. Ellen aveva appena iniziato gli svolazzi ritmici delle ultime battute del concerto, dipinti con schizzi di colori accesi, quando il marito fu colto da un grave malore. “Marcellooooo…” - gridò con tutta la sua forza Corrado, che in quel momento stava guardando il fratello. Marcello si voltò per vedere Ellen, si appoggiò con la schiena al Muro e si accasciò lentamente a terra, lasciando sul dipinto ancora fresco una “striscia variopinta”. Corrado scattò in piedi, allontanò la sedia a rotelle con una vigorosa spinta e, dopo un attimo di esitazione, con il passo inizialmente incerto corse verso il fratello. Si inginocchiò accanto a lui, e lo invocò. Alla fine del concerto gli spettatori plaudenti si erano stretti attorno ad Ellen e all’orchestra, chiudendo il varco. I prolungati e assordanti applausi avevano smorzato il grido di dolore di Corrado. Quando il pubblico, richiamato dalle grida di disperazione del giovane, riaprì il varco, il sipario si alzò sulla tragica scena. Eleonora, che si trovava più vicina al Muro, raggiunse il figlio, gli si inginocchiò a fianco, gli sollevò la testa e lo baciò ripetutamente, inondando il suo viso di lacrime. Poi rivolse uno sguardo supplicante al cielo, e vide Corrado ritto in piedi accanto a lei. E fu uno sciame di sentimenti contrastanti. La disperazione per il dramma di Marcello e la gioia per la guarigione di Corrado si confusero in una miscela di struggenti sofferenze mitigate da una soffusa speranza. Prese per mano Corrado, invitandolo tacitamente a inginocchiarsi, e strinse i figli in un amorevole abbraccio. Ellen, sopraggiunta, trovò lo spazio per formare con loro 226


un cumulo di incontenibile dolore. Mario, impietrito, si era appoggiato al Muro e guardava, esterrefatto, la pietosa scena. Dall’alto della torretta due Vopos, con il mitra a tracolla, avevano seguito la successione dei fatti ed erano manifestamente commossi. Probabilmente per la prima volta. Mario si scosse e invitò le due donne e Corrado ad alzarsi. Soltanto in quel momento Ellen notò l’incredibile somiglianza del marito con Maximilian. L’unica differenza era il colore degli occhi: castani quelli di Marcello, azzurri quelli del giovane berlinese. Chiusi per sempre. Avvertì una stretta al cuore quando, alzando lo sguardo, osservò il dipinto con al centro la “striscia variopinta”. E la sua anima vibrò al pensiero che al di là e al di qua del Muro aleggiassero due grandi spiriti, separati da una linea diagonale. Il Muro; le tornò in mente il teorema del quadrato. Da una traversa giunse discretamente un’ambulanza, dalla quale scese un medico che dispose il trasporto della salma nella camera mortuaria del vicino ospedale. La sirena lanciò un breve ma lacerante urlo, e l’ambulanza ripartì. Lentamente, facendosi largo tra la folla. Attonita. Eleonora ed Ellen, strette in un abbraccio dolente, erano circondate da Mario e Corrado quando Braun e numerosi orchestrali si avvicinarono a loro. Nessuno del folto pubblico si era allontanato dal piazzale. Tutto intorno regnava un silenzio spettrale. “Non ho parole per esprimere il mio cordoglio… sono affranto… doveva essere il momento più bello della nostra vita… e invece… - disse Braun in evidente difficoltà - Posso accompagnarvi in ospedale con la mia macchina?”. I quattro annuirono, e con il direttore attraversarono il piazzale tra due ali di folla. La loro storia, conosciuta ormai da tutti, alimentò l’onda di commozione. Ellen, prima di salire in macchina, lanciò uno sguardo al dipinto sul Muro, proprio mentre il sole all’imbrunire, dopo avere allontanato due grosse nubi che l’avevano oscurato, proiettava su di esso raggianti fasci di luce che lo resero immateriale, nel grigio contesto della struttura di cemento. Quasi etereo, 227


come la presenza di un’anima. La morte aveva dato vita al capolavoro che il marito sognava da molto tempo. E per Ellen fu un momento di pietosa consolazione. Per tutta la notte vegliarono la salma di Marcello e presero finalmente atto della guarigione di Corrado, relegando nei loro cuori la felicità repressa dal dolore. Tre giorni dopo, sbrigate le pratiche burocratiche, ripartirono per l’Italia. I funerali si svolsero al Verano in forma privata. Durante le esequie Corrado osservò i suoi genitori ed Ellen, e meditò a lungo sul nuovo percorso di vita che si era aperto alla sua famiglia. Infatti Mario riprese l’attività forense, Eleonora dedicò gran parte del suo tempo all’assistenza dei più bisognosi ed Ellen si immerse nei numerosi e solitari concerti. Non c’era più la costante ed affettuosa presenza di Marcello a colmare la sua solitudine. Corrado ricominciò a studiare con notevole profitto, frequentando assiduamente l’università. E guardava a Ellen come a una sorella. Aveva ormai segregato il suo inquieto passato nell’abissale fondo dell’inconscio. Intanto trascorrevano i mesi nella serena atmosfera familiare alimentata sempre più dall’amore, che aveva sconfitto per sempre il male subdolo cancellando la linea diagonale che per molto tempo aveva diviso l’unità del quadrato familiare. Continuavano le impegnative conversazioni su argomenti prevalentemente musicali che fungevano da prologo alle esibizioni al pianoforte di Ellen, quando i concerti non la tenevano lontana da Roma. Passavano i giorni, ed Ellen pensava che la sua “missione” in quella famiglia fosse giunta alla sua conclusione. Più meditava sulla successione degli avvenimenti che l’avevano coinvolta e più si convinceva che non si fossero verificati a caso, perché la loro stretta e organica connessione la portava a credere che ogni accadimento fosse collegato all’altro nell’ambito di un imperscrutabile mosaico. Il drammatico incontro con Corrado, la somiglianza di Marcello con Maximilian, la breve e avventurosa esperienza poli228


tica, le tragedie e la ritrovata armonia di una famiglia che sembrava destinata a un terribile declino la indussero a decidere che la sua missione doveva continuare a Berlino, dove la linea diagonale divideva ancora inesorabilmente l’anima della sua città e quella dei suoi amori, impressi al di là del Muro dalla “striscia di sangue” lasciata da Maximilian e al di qua del Muro dalla “striscia variopinta” lasciata da Marcello. Ellen attese il momento più opportuno per rendere note le sue intenzioni. Aveva pensato al modo e alle parole più appropriate per introdurre l’argomento, perché si rendeva perfettamente conto che avrebbe inflitto un duro colpo a Eleonora. Sapeva che il distacco avrebbe costituito un ulteriore motivo di turbamento dell’animo della sua amica. E temeva che una nuova prova potesse esserle fatale. Le sue preoccupazioni, però, furono di breve durata, perché l’affinità elettiva che la legava a Eleonora la indusse a considerare che un nuovo dolore avrebbe suscitato un effetto placebo nell’animo dell’amica. È noto, infatti, che l’ultimo struggente evento ha la capacità di alleviare il tragico esito di quello precedente, secondo la massima del “chiodo scaccia chiodo”. Del resto, questo assunto non era dimostrato emblematicamente dai dolorosi avvenimenti che connotavano la sua tormentata esistenza? Per un attimo Ellen considerò che le sofferenze causate dal comunismo avessero steso una patina sulle tribolazioni determinate dal nazismo, e che le crudeli conseguenze del male subdolo avessero oscurato quelle del male assoluto, per concludere, però, che il male non ha distinzioni e soluzione di continuità. Pensò allora che fosse l’anima, proprio secondo le convinzioni religiose di Eleonora, a dare provvidenzialmente forza alla coscienza, che, in mancanza, sarebbe preda del tormento e della disperazione. Al termine di queste elucubrazioni si convinse dell’ineluttabilità della sua scelta, e si rasserenò. I reiterati tentativi per dissuaderla furono vani, perché tutti presero atto della fondatezza delle sue convinzioni. Eleonora, in particolare, anche se era persuasa che la lonta229


nanza non avrebbe mai potuto separare la sua anima da quella di Marcello, da sempre in perfetta simbiosi, pensò che la presenza di Ellen a Berlino avrebbe dato continuità alla “vita” di suo figlio, deponendo quotidianamente un fiore, con un gesto di fedeltà, nel piazzale del Concerto sotto il Muro, dove si era spenta la sua vita terrena. Perciò, anche se considerava impossibile la costruzione di un “altarino del dolore” laddove Marcello aveva dipinto il suo capolavoro dedicato all’anima di Ellen, perché le autorità non l’avrebbero mai consentito, pensò che deporre un fiore nel luogo dove la vita manifestò l’ultima presenza di suo figlio potesse avere un grande potere consolatorio. Purtuttavia, il giorno della partenza fu inconsolabile la sofferenza di Eleonora, ma anche quella di Corrado e Mario. I loro occhi, gonfi di lacrime, seguirono l’aereo fino a quando scomparve nell’azzurro orizzonte del cielo di Roma.

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LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO

All’aeroporto di Berlino Ellen fu accolta da un’atmosfera plumbea. Come se il cielo fosse ancora addolorato. Il taxi la condusse velocemente sotto il Muro. Ai piedi del dipinto di Marcello depose due fasci di rose rosse: uno per il marito e l’altro per Maximilian. E pianse, al pensiero che non le sarebbe mai stato consentito di posare un fiore all’interno della “striscia della morte”, delimitata da due muri paralleli, dove Maximilian fu colpito mortalmente dai Vopos. Quindi rivolse un tenero sguardo alla “striscia variopinta” sul Muro, e fu pervasa da un arcano brivido. Nell’attraversare la strada ricordò il momento drammatico vissuto la notte della fuga verso la libertà e le premure di Corrado. Aveva ormai rimosso le brutalità subìte in seguito, perché l’immagine del giovane sulla sedia a rotelle si confondeva ancora con la fissità di Marcello, esanime sotto il Muro. Raggiunse il mini appartamento che Braun le aveva procurato nelle immediate vicinanze del Conservatorio, e lo trovò confacente alle sue necessità. Sistemò le sue poche cose e telefonò al direttore dell’Orchestra sinfonica. “Bentornata a casa, Ellen. Ti sono vicino in questo momento di grande dolore, e non ti nascondo la mia apprensione per le ripercussioni che la prematura scomparsa di tuo marito potrebbe avere sulla tua carriera” - le disse Braun con un tono di voce che non nascondeva la sua profonda commozione. “Ben trovato, caro direttore. Ho vissuto altre drammatiche esperienze, ma questa è certamente la più dolorosa. La perdita di Marcello mi ha obnubilato la volontà. Pertanto sono stata costretta a sospendere i concerti, come in altre analoghe circostanze, ma è la prima volta che non avverto il pressante desiderio di riprenderli. Soffro un’opprimente apatia che mi ha privato di ogni stimolo” - rispose Ellen con una voce accorata che impressionò il direttore. “Ti aspetto al Conservatorio - disse Braun - devo farti una bella proposta”. Il direttore aveva percepito il profondo disagio psicologico 231


di Ellen, pertanto volle continuare la conversazione da vicino, per accertare visivamente il suo stato d’animo. “Sarò da lei tra pochi minuti” - rispose la pianista. Il Conservatorio era a pochi passi dal suo appartamento. Braun la strinse teneramente a sé, e la osservò attentamente mentre si sedeva su una comoda poltrona. Notò subito che sul viso si erano formate delle appariscenti rughe ed era scomparso il naturale sorriso. “Come hai trovato la tua nuova sistemazione?” - chiese Braun. “Eccellente. È molto funzionale. Non so proprio come ringraziarla” - rispose Ellen. “Era il minimo che io potessi fare. Ho il piacere di comunicarti, cara Ellen, che il consiglio di amministrazione del Conservatorio ha deciso all’unanimità di affidarti la cattedra di pianoforte, nominandoti contestualmente mia diretta collaboratrice nella direzione dell’orchestra sinfonica. Che ne pensi? Non è una bella notizia?” - chiese Braun, che non si aspettava certo salti di gioia, ma la fredda reazione di Ellen gli confermò il suo preoccupante stato di salute. “Oggi stesso, sempre che tu lo voglia, puoi riprendere le prove, e dalla prossima settimana potrai iniziare le lezioni. Ti assicuro che gli allievi ti aspettano con grande trepidazione” - continuò il direttore con l’intenzione di stimolare il sopito interesse di Ellen. Dopo un sobrio pranzo raggiunsero l’auditorium, dove l’orchestra li attendeva da qualche minuto. “Inizieremo con il Concerto per pianoforte e orchestra n.2 di Rachmaninov, che abbiamo già eseguito in altre occasioni” - disse Braun senza preamboli per testare la reazione della giovane. Per ovvie ragioni aveva preventivamente escluso il concerto di Chopin eseguito sotto il Muro il giorno della morte di Marcello. “È pieno di difficoltà, ed io sono fuori esercizio” - disse Ellen visibilmente scossa. “Sono convinto che lo suonerai con la bravura di sempre…” - disse il direttore simulando un inconsistente entusiasmo. Ma dopo le martellanti battute iniziali, eseguite con scarso vigore, il fuori tempo del pianoforte costrinse Braun a fermare l’orchestra. Tutti i successivi tentativi furono disastrosi. Gli orchestrali ebbero l’impressione di trovarsi di fronte ad 232


un’altra persona, mentre Braun dovette prendere atto che le condizioni di salute di Ellen erano più gravi di quelle prima percepite. Ma non fece minimamente trasparire i suoi sentimenti. “È comprensibile il tuo stato d’animo. Riprenderemo le prove nei prossimi giorni, quando avrai ripreso la tua abituale e smagliante forma” - disse il direttore cercando in tutti i modi di non turbarla ulteriormente. Anzi, facendo di tutto per alimentare la sua sicurezza. Tuttavia, l’amarezza suscitata dall’assillante condizione psicologica era compensata dalla soddisfazione che le procurava l’insegnamento. Avvertiva un notevole giovamento dal quotidiano rapporto con l’entusiasmo dei giovani allievi. Ma l’incipiente depressione non le consentiva di andare oltre i defaticanti esercizi al pianoforte, e l’insicurezza le suscitava il panico al solo pensiero di esibirsi in pubblico. Il trauma della morte di Marcello aveva fatto riaffiorare i demoni del passato, che credeva di avere definitivamente confinato nell’abisso del suo inconscio. Trascorreva inesorabilmente il tempo senza che Ellen mostrasse alcun miglioramento, benché fosse stata sottoposta a un lungo ciclo di psicoterapia. Decise, perciò, di lasciare definitivamente l’attività concertistica, nonostante gli amorevoli consigli di Eleonora che da lontano non smise mai di esserle spiritualmente vicino. Il clamoroso successo di alcuni giovani allievi compensò la sua dolorosa decisione. Passarono diversi anni. L’esistenza di Ellen continuò a svolgersi tra l’insegnamento e i frequenti pellegrinaggi ai piedi del Muro, convinta sempre più che l’atto di fedeltà continuasse a tenere in vita Marcello e Maximilian. Una mattina si osservò lungamente allo specchio: il viso segnato da profonde rughe; i capelli incanutiti; la schiena ricurva. Il giorno del suo compleanno lo specchio mostrò molto più dei suoi cinquantaquattro anni. Lo splendente sorriso era definitivamente svanito. La sua anima, però, godeva di un’indefinibile beatitudine. 233


Quel giorno arrivò al Conservatorio un violinista fuggito da Berlino Est. Si chiamava Georg. In gioventù aveva conosciuto Ellen, ed era al corrente della sua storia personale. Perciò chiese subito di lei. L’incontro fu commovente. “A Berlino Est, cara Ellen, sei considerata un’eroina. Il tuo esempio è stato contagioso. Molti hanno tentato di fuggire dall’inferno comunista. Alcuni hanno raggiunto la terra della libertà, molti altri hanno irrorato il Muro con il loro sangue. L’immagine di Peter Fechter crivellato di colpi è diventata in tutto il mondo l’icona dell’aspirazione alla libertà” disse Georg con enfasi. “Maximilian è stato più sfortunato, perché il suo corpo insanguinato è rimasto racchiuso all’interno della ‘striscia della morte’ delimitata dai muri paralleli” - rispose Ellen. “Il regime comunista ha usato ogni mezzo per rimuovere dall’immaginario collettivo la coraggiosa scelta di Maximilian. Ma anche se non esistono, come per Peter, le immagini del suo sacrificio, circola una sua bella foto tra i giovani dissidenti” - disse Georg che non conosceva la storia d’amore di Ellen e Maximilian sbocciata durante la guerra, esplosa quando si ritrovarono dopo tanti anni nella bottega e proseguita con Marcello. “Da allora, però, la situazione è completamente cambiata - proseguì Georg - Per tanti anni l’obsoleta economia centralizzata della Germania comunista è stata sostenuta dall’Unione Sovietica con l’approvvigionamento di materie prime e la fornitura del fabbisogno energetico, reprimendo con i carri armati ogni aspirazione alla libertà”. “Seguo con apprensione i mutamenti in corso - disse Ellen - La Perestrojka di Gorbaciov ha eliminato ogni intervento militare a sostegno dei Paesi dell’Est europeo, pertanto la montante ribellione di una massa crescente di europei orientali contro l’opprimente sistema sovietico ha aperto il mio cuore alla speranza”. “C’è di più. Gorbaciov è stato costretto a prendere atto della decisa volontà dei tedeschi di abbattere il Muro e di porre fine alla divisione della Germania. Ecco perché ritengo che sia ormai vicina la tanto auspicata ‘rivoluzione di velluto’. Infatti la mia fuga da Berlino Est non è stata ostacolata. Quando, con la mia piccola Trabant, mi sono avvicinato al Muro i Vopos si sono messi a discutere tra loro, consentendomi di varcare liberamente il posto di blocco” - disse Georg, precisando 234


che inizialmente la sua unica intenzione era di verificare gli sviluppi della situazione. Dopo alcune settimane, nel caldo mese di agosto del 1989, un massiccio esodo si sviluppò verso l’Ungheria, dove migliaia di tedeschi orientali occuparono le sedi diplomatiche. Le autorità magiare, che in un primo momento avevano deciso di chiudere le ambasciate e di rafforzare il pattugliamento lungo i confini con l’Austria, furono costrette a lasciare aperta la frontiera all’incontenibile massa di profughi, consentendo la fuga verso i paesi occidentali. Il governo della Germania comunista attese inutilmente l’arrivo dei carri armati sovietici per reprimere il desiderio di libertà del popolo tedesco. Il 9 novembre circa quattro milioni di Berlinesi, occidentali e orientali, si riunirono spontaneamente sotto il Muro. Alle prime luci dell’alba, Georg telefonò a Ellen. “Ellen... siamo finalmente liberi… corri… stiamo demolendo il Muro… è uno spettacolo indimenticabile…”. Ellen non perse tempo. In pochi minuti si vestì e scese per strada. Una fiumana di persone la spinse fino al piazzale dove si era svolto il Concerto. Il Muro non c’era più. Era sparita, come d’incanto, la linea diagonale che aveva diviso l’unità di Berlino e l’anima dei suoi amori. Ma alla gioia subentrò subito lo sgomento, perché con il Muro era stato abbattuto anche il quadro dipinto da Marcello. Si fece largo tra le migliaia di persone festanti e, con il cuore palpitante, raggiunse il cumulo di macerie. Scavò con le mani fino a quando non trovò due frammenti. Uno era inconfondibilmente parte della “striscia variopinta” di Marcello e l’altro, di colore rosso, si illuse che fosse un frantume della “striscia di sangue” di Maximilian. Dopo averli accuratamente spolverati li strinse amorevolmente al seno, come sacre reliquie, e s’incamminò per raggiungere la vicina bottega, dove conobbe l’amore prima di correre verso la libertà. 235


Lo stabile era stato demolito, però l’area era stata trasformata in un giardino che, nonostante l’autunno avanzato, le apparve fiorito. Con i due frammenti sempre stretti al seno s’incamminò lungo il viale Unter den Linden. Tutto a un tratto, mentre attraversava la Porta di Brandeburgo il sole fece improvvisamente capolino tra le nubi e gettò uno strabiliante fascio di luce sulla quadriga e tra le colonne doriche. L’immenso bagliore illuminò il cammino di Ellen e proiettò, lungo la strada, un’ombra che a volte si sdoppiava per poi ricongiungersi, fino ad esplodere in una mirabile fantasmagoria di suoni e di colori. Ellen ebbe la certezza di non essere più sola, e sorrise alla vita.

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Indice

Il concerto sotto il muro

9 PREFAZIONE 14 PRESENTAZIONE 19 LA FUGA VERSO LA LIBERTÀ 30 FINALMENTE A ROMA 44 L’ARRUOLAMENTO DI ELLEN 55 L’ATTIVITA’ EVERSIVA DI CORRADO 69 IL TENTATO OMICIDIO DI CORRADO 84 IL RITORNO DI MARCELLO 99 111 122 132 150 162 173 184 198 216 231

ELLEN E MARCELLO UNITI DALL’AMORE E DALL’ARTE IL MISTICISMO DI ELEONORA LA CONTESTAZIONE DEL SESSANTOTTO IL REGOLAMENTO DI CONTI L’INCONTRO DI ELLEN CON IL DIRETTORE DELL’ORCHESTRA SINFONICA DI BERLINO IL RISVEGLIO DI CORRADO IL RACCONTO DI CORRADO LA MALATTIA DI MARCELLO IL SOGGIORNO AL CIRCEO IL CONCERTO SOTTO IL MURO DI BERLINO LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO





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