Mario Deluigi - Scenografie

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MARIO DELUIGI

SCENOGRAFIE



Non mi interessa ripetere che questo artista ha avuto un certo percorso: quarant’anni di attività, tesa di decennio in decennio ad appuntamenti regolarmente mancati con la cultura italiana; ogni volta in ritardo per distrazione, per malizia, per ignavia. Dico della cultura critica, ma potrei dire anche del gusto, della preferenza dell’amateur, della generica reazione del pubblico; che hanno fatto eccezione pochi “intelligenti” e che sono architetti: F. L - Wright, Max Bill, G. Samonà, F. Albini, C. Scarpa, B. Zevi, Gardella, E. Trincanato; venuto a Venezia negli ultimi mesi della sua vita, Le Corbusier. Giuseppe Mazziariol 1966 3

Ne sono passati altri cinquanta e ancora se non siamo a quel punto, non è cambiato molto. Ho voluto citare Mazzariol per dare peso alla necessità di far conoscere la molteplicità dell’opera di mio padre Mario Deluigi. Uno degli aspetti meno citati anche nelle biografie sono le sue scenografie, che rappresentano a mio modo di vedere una conferma della sua ricerca in tutte le forme d’arte e non solo. Io ho pensato che bisognava colmare in parte questa lacuna anche perché probabilmente il mio lavoro ha subito la sua influenza sia come scelta che come modo di agire nello spettacolo. Il dialogo con lui non era solo da padre a figlio, ma da maestro ad allievo, la sua qualità pedagogica è confermata da tanti allievi che ricordano la sua lezione su Guernica di Picasso come insuperabile. La sua prima vocazione era la musica tanto che fuggi dal collegio insofferente alla disciplina, per andare a Milano ad apprendere il violino, si racconta che seguisse le opere dalle quinte. In tutto l’arco della sua vita non ha mai smesso di frequentare musicisti stabilendo profonde amicizie con autori ed interpreti, come Arturo Benedetti Michelangeli che si esercitava sul pianoforte di casa, Gino Gorini, i direttori Ettore Gracis, Nino Sanzogno, Herbert von Karajan mentre teneva un corso


di pittura a Salisburgo precedentemente tenuto da Oscar Kokoscha. In particolare era legato a musicisti nell’ambito veneziano che si dedicavano alle problematiche compositive della musica contemporanea quali Gianfrancesco Malipiero, Luigi Nono, Bruno Maderna. Collaborò con il teatro di prosa in particolare nel 1943 alla Fenice curò le scene di un “Mercante di Venezia” con un mostro sacro del teatro italiano Memo Benassi che ne era regista, ed interpretava Shylock . Con Bruno Maderna svilupparono un progetto di un balletto. Nella Basilica di San Marco crea nel 1953 per il Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Fenice una scenografia da sacra rappresentazione moderna, tutta impostata nelle luci delle candele, la croce centrale cosparsa di lumini rossi di vetro, un velo veniva offerto alle signore, nero con dei disegni di Gino Severini al quale era legato da una fraterna amicizia. Il concerto era diretto da Sergiu Celibidache, con musiche di Giovanni Croce, Claudio Monteverdi. Io posso testimoniare quanto lo interessava il teatro, quando per una mia rappresentazione de “Istruttoria di Peter Weiss” mi costruì un grande pannello dove dipinse in rosso segni di luce, ora è conservato allo Iuav. Dialogavamo spesso sul teatro contemporaneo, ricordo quanto si era impegnato nelle “Le nozze dei piccoli borghesi” una delle prime opere di Bertolt Brecht, era entusiasta del testo tanto che voleva farne una traduzione più letterale con parole tedesche. Essendo il racconto la farsa di un matrimonio piccolo borghese, dove oltre che il disfacimento dei rapporti anche gli oggetti costruiti in casa si disfano uno alla volta, mi spiegava come doveva essere costruita la scenografia per disfarsi lentamente, schizzando a fianco del testo, purtroppo gli schizzi si sono perduti. Probabilmente in qualche archivio si trovano altri bozzetti di opere diverse bisognerà intraprendere una accurata ricerca. Questi bozzetti non sono certo esaustivi, ma devo ringraziare mio fratello Filippo per avermeli donati e fatti scoprire. Gianni DeLuigi

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MARIO DE LUIGI Scenografo “eccelso” In memoriam

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La Scenografia si distingue in Scenografia banale e Scenografia eccellente fino all’eccelsa. Ma la Banalità e l’Eccellenza scenografica non si oppongono in termini di valore. Lo scenografo banale non è il male per rispetto allo scenografo eccellente, che non è il bene. Dal momento che la Banalità contrapposta all’Eccellenza scenografica costituiscono una contrarietà, e non vi è pertanto soluzione di continuità tra le due scenografie che si oppongono, potrà aversi uno scenografo tendenzialmente banale e uno scenografo tendenzialmente eccellente a seconda della circostanza in cui opera che muta e il suo carattere che non muta. De Luigi, che mi fu maestro, fu uno scenografo eccellente. Rifuggiva sempre dalla Banalità pur accettandola per la bonomia e la classe del suo stile nel comportarsi con gli altri. Come non fu mai banale, non poté mai essere uno scenografo banale Per Banalità deve intendersi il valore e la pesantezza del concreto che nel rapporto con gli altri rappresenta la convivenza e che è nella Scenografia il mirare al consenso del pubblico investendo sulla materialità dell’opera. Per Eccellenza deve intendersi il suo contrario, cioè la fuga dal concreto verso il miraggio della pura forma, del trascendente fino all’incomprensione e alla solitudine e nella Scenografia l’accentuazione dello stile e del rigore formale. E così nella pratica concreta della Scenografia, nello “stage design” potrebbe ridursi e rendersi comprensibile l’opposizione di Eccellenza e Banalità come la stilizzazione di contro al sovraccarico della materia. Le scene hanno un peso fisico ed estetico. Esiste una pesantezza scenica e una leggerezza scenica e ciò coinvolge l’intelligenza del testo. Sovraccaricare inutilmente un testo teatrale o teatrale musicale di per sé già gravido di significati ed intreccio è puro pleonasmo ed esibizione. E tutto ciò si evince dal fondamento


filosofico della Rappresentazione Teatrale. La Scenografia aveva uno scarso peso nella Poetica Aristotelica con cui fin dall’inizio della Storia dell’Occidente si pose e si fondò il basamento ideologico e iconico dello spettacolo teatrale, della sua liturgia e funzione. Innanzitutto, e verrebbe di dire in principio, fu il Testo Logos come Mito e Favola. Secondo viene il Carattere, la costanza del Carattere che è l’Ethos, l’Etica, il Costume, la Morale che il protagonista vive fino al sacrificio di sé. Quegli altri elementi del Tragico e del Comico sussidiano i precedenti e li servono e sono il pensiero connesso ed espresso “dianoia” e “lexis”, la musica, e infine la vista “opsis”, cioè quella che s’intende come Scenografia. L’Eccellenza scenografica mira all’essenza per competere con la purezza del mito e la prominenza del carattere. Per non essere banale tende all’escorporazione del mezzo fisico. Meno c’è n’è meglio è. Una simile forma più essenziale può non rendere favorevole l’impianto artigianale, la competenza e l’opera degli artigiani, e suscitare dissenso negli operatori. è questo un prezzo che l’Eccellenza paga più spesso alla Banalità. Più si sovraccarica d’ornamenti la torta più sembra guadagnarne il sapore dello spettacolo! Ma non è così!

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Ma non è tanto questo o ancora questo, se non per semplificazione ed esemplificazione, il senso della Banalità e dell’Eccellenza Scenografia. Quest’opposizione è originaria e originale e si trova nel nome stesso di Scenografia come si dimostra. La parola, il termine Scenografia si compone di due parole dal greco che sono grafia e scena. Per grafia s’indente la scrittura e la linearità curvilinearità continua del procedere grafico. Gramma significa ancora linea e lettera in greco donde il termine grammatica come posizionamento corretto dei grammi che sono lettere in forma di parole connesse, correnti, fluenti, discorrenti e sensate nel discorrere e nel dimostrare. La parola scena traduce e riporta immediatamente il temine greco che è skenè cioè tenda diaframma ma che è per il nucleo radicale skia cioè ombra. La Scenografia pertanto è la scrittura, il tracciato dell’ombra. E’ il contorno e l’impressione, il vacuo in cui si deposita la luce. I geroglifici egizi si rivelavano con il sole che si arrestava nell’ombra depositata negli incavi escavati della superficie pietrosa. L’ombra o forse meglio la penombra è in definitiva quel che rivela la luce, che rimarrà l’oltre di sempre come la tenebra. Nella prassi del disegno architettonico si distingueva fino al 700 in modo esplicito per la fattura del progetto il momento dell’Ortografia cioè la rappresentazione dell’alzato, il prospetto della costruzione. Seguiva o precedeva nell’assetto formale I’Icnografia cioè il momento della rappresentazione, della pianta dell’edificio intesa come l’orma sprofondante o poggiata, gravante, gravida, “gravure” incisa sul suolo. Ed ecco infine la sintesi di Ortografia e Icnografia cioè la Scenografia, la rappresentazione prospettica, la Prospettiva dell’edificio, la trasparenza e l’opacità della sua ombra, di quel che è termine, articolazione del configgere dell’oscurità, della tenebra con la luce e il suo dolore, la sua ferita o piaga di rivelazione. Mario de Luigi non fu di volta in volta scenografo o pittore ma per la trazione mistica che informò la sua ricerca, fu sempre uno Scenografo dell’Eccellenza. Egli tese a gestire sempre lo scoprimento tramite la sottigliezza penetrante della sua sensibilità di un’oltre che è la luce che filtra dal quel diaframma d’opacità e concretezza - e in ciò risiede il banale - che ci separa dalla luce nel mistero della crucialità della vicenda


umana nella sua costante interferenza col divino. E’ così che lo scenografo eccellente deve ritrovare il tempo nello spazio e render ragione del tempo nell’immediatezza della visione. De Luigi non fece che questo nel corso della sua bella vita! Egli fu eccellente, sottile e puntuto, scalfiva e penetrava, come deve esserlo chi tende all’ Eccellenza che è celeste e distaccata e pertanto incisa e sofferta. Egli non fu mai banale. Egli per me fu addirittura eccelso. Renato Padoan Professore Associato di Scenografia IUAV - Venezia 8


Spazio e Spazialismo

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Di natura diversa l’opera di Mario Deluigi. Spirito speculativo, ogni suo segno era preceduto da una profonda presa di coscienza nei riguardi della problematica che affrontava: la sua figura assumeva, specialmente durante le lezioni che teneva alla Facoltà di Architettura, il carisma dell’iniziato. Anche la sua tecnica pittorica era andata via via affinandosi, seguendo un pensiero sempre più sottile e preciso. Dall’olio usato ad impasto con corpi, mezzicorpi e velature, il tutto lavorato a pennello con largo respiro, al grattage. In questo una punta acuminata incide la superficie del dipinto, seguendo millimetro per millimetro il pensiero che muove la mano. Punto fermo della sua produzione è il San Sebastiano del 1945, appartenente al periodo fisiologico che precede la sua adesione al movimento spazialista nel 1951. In quest’opera forme concrete, ma libere da ogni riferimento naturalistico, si muovono parallelamente allo spettatore. Il gioco ritmico dei pieni e dei vuoti, il contrapporsi delle masse nel loro reciproco rapporto concavo e convesso e la luce che anima il tutto determinano il fascino di questo dipinto, che si svolge davanti ai nostri occhi in una continua metamorfosi. Lo spazio riecheggia il palcoscenico serliano: una lunga e stretta piattaforma destinata agli attori e dietro questa la scena prospettica, soluzione che si ritrova nel San Giorgio e il drago di Carpaccio e nella Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. La scena del San Sebastiano non rappresenta un paesaggio ma è un fondale azzurro che contrasta, in rapporto freddo/caldo, con la piattaforma rosata dove si svolge l’azione: frecce, lance e spade sono i vettori che determinano la dinamica spaziale nelle tre opere. Seguendo quindi l’evolversi della pittura di Deluigi, dagli Amori del 1951 al motivo sui Vuoti del 1953 fino alle sue ultime opere, siamo coinvolti in uno spazio che perde di volta in volta qualsiasi riferimento prospettico, per diventare espressione di un universo interiore. Tracce di riferimento ad un ipotetico orizzonte sono infatti ancora intuibili in Tobia e l’angelo del 1947 ed in Susanna al bagno del 1948, ove la luce è riconducibile ad un’ipotetica sor-


gente fisica, generatrice di chiari e scuri, di ombre proprie e portate e di riflessi. Ma negli Amori, come negli Avvenimenti di Bacci, la sua meditazione intorno allo spazio si realizza in forme che nascono dalle forme e che si evolvono in una compenetrazione di pieni e di vuoti in incessante e continua osmosi, rivelata da una luce cosmica che si riflette e si propaga, tramutandosi in ombra e ritornando luce per tutto lo spazio. Siamo ad un punto cruciale della sua ricerca. Nel passo successivo del grattage Deluigi inizia il suo lavoro su una superficie preparata a gesso. Invece di procedere con l’abbozzare figura e sfondo all’interno di campiture già predestinate, per poi procedere via via alle loro rispettive definizioni in funzione della luce del dipinto, egli stende ora sulla superficie bianca un colore dal tono omogeneo in chiave bassa. Nel suo “visionario” si trova innanzi all’ombra cosmica. Incidendo con strumenti che, secondo le necessità di “segno”, sono accuratamente scelti in base alla loro lunghezza, flessibilità e sezione di punta, toglie ombra svelando il bianco sottostante e facendo così vibrare la superficie con un contrasto chiaroscurale. Interviene poi con una velatura per modulare ulteriormente i chiari e gli scuri. L’operazione successiva, se necessaria, è la ripresa del grattage per poi ritornare a velare. Alla fine di questi passaggi, l’intervento in alcuni punti con un grattage mirato, può recuperare i chiari assoluti. La tecnica, il cui carattere fondamentale è la freschezza, pulizia di segni, passaggi cromatici e chiaroscurali di sottile sensibilità, deve essere condotta con grande abilità e decisione, non permettendo infatti né pentimenti né cancellazioni. Nel 1959 Deluigi scrive «non illuminare ma togliere ombra», parole che definiscono chiaramente il suo procedere nel grattage. Non esistono più pieni in rapporto a vuoti, non esistono luce ed ombra, non si rivelano forme ma semmai continue metamorfosi di un «vuoto plastico», cioè «modulazione di luce ed ombra». Leggo negli appunti di Deluigi «A me sembra infatti che l’unico legittimo fondamento per un’attuale interpretazione figurativa sia nella riscoperta del valore di spazio adimensionale, concepito come vuoto plastico, cioè modulazione di luce ed ombra... tutto si muove nel supporto dei vuoti... la luce di sempre che proviene dal nulla e va al nulla... l’Assoluto, forse quando non c’è più relazione tra ombra e luce e perciò l’Eterno...». Mentre leggo i suoi appunti, vedo emergere lentamente dall’intricata struttura di

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segni di uno dei suoi ultimi grattage le figure di tre donne: i loro sguardi sono rivolti verso l’infinito. Le loro voci, unite in coro, scandiscono questi versi «luce è l’ombra e ombra la luce. Pieno è il vuoto e vuoto il pieno. Andiamo nella nebbia e l’aria sporca». Giovanni Soccol

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TORNEO NOTTURNO

LA TRAMA. L’opera è composta da sette scene che l’autore ha definito Notturni, ognuna con un titolo particolare e attraverso questi sette brevi quadri si assiste all’eterna lotta fra il Disperato, l’uomo triste, destinato a soccombere, e lo Spensierato, l’uomo che sa cogliere i piaceri della vita nell’attimo stesso in cui si presentano. Nel primo notturno, intitolato La serenata, Aurora, una bellissima fanciulla, ascolta una lieta canzone dello Spensierato e, affascinata, s’abbandona tra le sue braccia. Un improvviso pentimento però la spinge a fuggire, ma è trattenuta dallo Spensierato e dopo una breve lotta cade a terra senza vita. Il Disperato, che aveva tentato invano di difendere la fanciulla, si getta angosciato e impotente sul suo corpo. Nel secondo notturno, La tormenta, durante una tempesta, lo Spensierato seduce un’ingenua fanciulla, convincendola ad abbandonare la vecchia madre. Il Disperato assiste impotente all’azione malvagia. La foresta. Raggiunta in una foresta la fanciulla sedotta, il Disperato cerca inutilmente di sottrarla al fascino dello Spensierato che la domina e la trascina con sé. La taverna del buon tempo: in una taverna due cortigiane tentano di consolare il Disperato, ma giunge lo Spensierato che, con le sue canzoni insidiose, affascina le due donne. In un impeto di ribellione il Disperato si getta su di lui, ma l’altro lo scaraventa a terra, suscitando l’ilarità generale. Il focolare spento: rifugiatosi nella propria casa buia e desolata, il Disperato trova la propria sorella che è stata sedotta dallo Spensierato e che cerca inutilmente di trattenerlo; lo Spensierato la respinge e si allontana, gettandole alcune monete. Il castello della noia. In un castello il Giocoliere e il Buffone tentano invano di far divertire il vecchio castellano e la sua non piú giovane moglie. Sopraggiunge lo Spensierato che porta subito una nuova animazione e conquista la castellana. Il Disperato si getta contro lo Spensierato, ma viene trattenuto dai servi e condotto in prigione. La prigione. Nella prigione in cui è rinchiuso il Disperato viene condotto anche lo Spensierato, colpevole di aver sedotto la castellana.

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Approfittando dell’oscurità il Disperato lo uccide. Poco dopo giunge la castellana con l’intenzione di liberare l’innamorato, ma il Disperato, con uno stratagemma, riesce a rinchiuderla nella cella e a fuggire. Presentatosi al pubblico il Buttafuori avverte che né la morte del rivale, né la riconquistata libertà hanno quietato l’animo del Disperato: gli uomini sono dominati da passioni tormentose che niente può placare. Torneo notturno è considerato il capolavoro di Malipiero. Segue ancora la linea delle Sette canzoni (seconda parte della trilogia L’Orfeide): abolizione pressoché totale del recitativo e innesto delle canzoni. L’opera costituisce nella sua irripetibile essenzialità e perfezione la somma delle aspirazioni del compositore in campo teatrale. 13

I PERSONAGGI. Madonna Aurora (parte muta); tre innamorati (tenore, baritono e basso); il Disperato (tenore); lo Spensierato (baritono); la madre (mezzosoprano); la figlia (soprano); due giovani donne (parti mute); l’oste (baritono); gli avventori, uomini e donne (parti mute); una cortigiana (soprano); un’altra cortigiana (parte muta); la sorella del Disperato (parte muta); il vecchio castellano, la castellana, servi e guardie (parti mute); il buffone (baritono); il trombettiere, il piffero, i tamburi, quattro giovani che passano cantando (tenori); il guardiano (parte muta); il Buttafuori (parla, ma non canta) Maria Simone Mongiardino


Portale Rodoni dizionario della musica I Quattro rusteghi, di Ermanno Wolf-Ferrari (1876-1948) libretto di Giuseppe Pizzolato, da Goldoni [Die vier Grobiane] Commedia musicale in tre atti Prima: Monaco, Hoftheater, 19 marzo 1906 Personaggi: Lunardo, antiquario (B); Margarita, sua seconda moglie (Ms); Lucieta, figlia di primo letto di Lunardo (S); Maurizio, cognato di Marina (B); Filipeto, suo figlio (T); Marina, zia di Filipeto (S); Simon, mercante, suo marito (Bar); Cancian, ricco borghese (B); Felice, sua moglie (S); il conte Riccardo, nobile forestiero (T); una giovane serva (Ms) Atto primo. Venezia, verso la metà del Settecento. In casa di Lunardo, ricco antiquario, sta finendo il carnevale, e Lucieta si lamenta con Margarita, sua matrigna, di non poter partecipare, per volontà del severo padre, a quegli sgoccioli di festa. Anche Margarita si lamenta degli austeri princìpi di Lunardo. Lucieta, che vede nel matrimonio una via verso la libertà, chiede allora a Margarita se si stia pensando, per lei, a qualcosa in tal senso: Margarita elude, Lucieta spera. Arriva il burbero Lunardo, ben contento di aver invitato a casa Maurizio, Simon (e signora) e Cancian (e signora), suoi amici, per stare un po’ insieme. In realtà - come Lunardo confida a Margarita, non appena Lucieta si allontana - l’occasione sarà buona per far fidanzare la figliola con Filipeto, figlio di Maurizio; naturalmente Lucieta e Filipeto, secondo le buone usanze, non dovranno vedersi fino al giorno delle nozze: buone usanze non condi-

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vise da Margarita, che comincia a tramare per il contrario, mentre Lunardo mette a punto il contratto matrimoniale col sopravvenuto Maurizio.

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Atto secondo. Altana in casa di Simon e Marina. Mentre Marina stende il bucato arriva Filipeto, che le riepiloga quanto Simon ha deciso riguardo il matrimonio con Lucieta: specularmente, rivolgendosi alla zia come Lucieta si era rivolta alla matrigna per lamentarsi del padre, ha le stesse preoccupazioni della promessa sposa. Arriva Simon che, fatto allontanare Filipeto, comunica a Marina dell’invito a cena, senza dirle dove e con chi: tanto da far lamentare la moglie, a consolare la quale arriva Felice col marito Cancian e il conte Riccardo, cavalier servente di Felice. Marina sa così dove sarà la cena e, notizia che la rallieta, del progetto tramato per Lucieta e Filipeto. Tuttavia quell’idea che gli sposi siano destinati a non vedersi fino alle nozze indispettisce le donne, che pensano a come rimediare all’assurda convenzione, diventata pretesa di Lunardo. Rientra Simon che, burberamente e scontroso, fa sì che gli ospiti si allontanino; colpita dal comportamento, anche Marina si ritira. L’ultimo a uscire è Cancian, che non sopporta il conte Riccardo, ma deve, per amore dell’amatissima Felice, alla quale nell’uscire è caduta la sciarpa; Cancian la raccoglie e vi poggia le labbra, lasciandovi un bacio. Nella sua camera, Lucieta prega la Madonna che lo sposo che le è stato scelto le piaccia e chiede a Margarita, giunta già abbigliata per la cena, di darle qualche aiuto nel vestirsi; di tutto ciò, ovviamente, Lunardo si irrita e si sfoga con Simon, già arrivato insieme a Marina: e via cantando sul buon tempo antico. Per fortuna arriva Felice, che interrompe il dolce rimembrare; allontanatisi Lunardo e Simon e rimaste fra donne, Felice manifesta il piano che permetterà ai due sposi di darsi una sbirciatina: nel clima carnevalesco, Filipeto arriverà travestito da donna, accompagnato dal conte Riccardo. Così avviene e i due giovincelli, vistisi, subito si innamorano, perfin si parlicchiano. Ma apriti cielo! Arrivano infatti Lunardo, Simon e Cancian, con i loro modi (e il corredo di voci scure, a interrompere la chiara trama sopranile e tenorile), e Filipeto con Riccardo va a nascondersi in un’altra stanza. All’oscuro dell’accaduto, Lunardo annuncia solennemente le progettate nozze; e dice anche che Maurizio è andato a prendere il figlio per portarlo


alla cena. Che ne sarà del piano? Le donne fremono, anche per le conseguenze di collera dei bassi. Arriva Maurizio, che dice di non aver trovato Filipeto, ma di saperlo col conte Riccardo. Cancian dà la stura ai suoi risentimenti contro il conte che, ascoltandoli dall’altra stanza, non sa più nascondersi e svela anche Filipeto. Riapriti cielo! I bassi si indignano per la presa in giro, i soprani si indignano per l’indignazione dei bassi. Lucieta vien minacciata di convento, e sviene fra le braccia di Margarita; Maurizio prende a calci Filipeto e lo porta via. Atto terzo. Nella semioscurità della bottega d’antiquario di Lunardo, le voci scure e semiscure di Lunardo, Cancian e Simon discettano su come punire tanta femminile imprudenza. Ma arriva Felice: si prende la responsabilità di tutto, ma osserva sul fin di bene che la mosse e perora: ci si può sposare senza conoscersi? E se il matrimonio avesse consegnato Lucieta all’infelicità per tutti i suoi giorni? Tanto arringa, che persuade i burberi animi a capire e perdonare. Approfittando del varco aperto in quei cuoracci, alla fine non esenti da bontà sotto la scorza e la dura pelle, Felice fa entrare Margarita, Lucieta e Marina, pentite. Lunardo vorrebbe ostinarsi nel suo duro atteggiamento, ma le lacrime lo inteneriscono; fatta accostare a sé la figliola Lucieta, le indica nel frattanto arrivato Filipeto il promesso sposo. Mentre tutti escono per andare in un’altra stanza, Lucieta e Filipeto rimangono per ultimi: lei si aspetta un bacio, ma lui non capisce; quando però la vede ridere e correr via la insegue, cogliendo l’attimo e l’occasione per il primo bacio.

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Non mi giudichi meno di quanto sottintenda tanto con il palcoscenico forse io non ci avrò mai più da fare e mi creda invece il suo devotissimo amico Mario deLuigi I Nielsen a Malipiero Bologna 20 giugno 1950

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Caro Maestro, sono in attesa dei bozzetti per le scene del Notturno. Mi erano stati promessi per il 9 giugno! La prego di voler sollecitare il Suo amico pittore di inviarmeli ai più presto e di darmi anche tutti i ragguagli necessari per la realizzazione. Molti cordiali saluti. Il Sovrintendente M° Riccardo Nielsen 2 Nielsen a Malipiero Bologna 12 luglio 1950 Caro Maestro, grazie per le libellule che consegnerò a mio fratello al suo rientro da un breve viaggio entomologico. In


questi giorni sto mettendo a punto la compagnia del “Torneo”. Che cosa pensa dì Gianni Raimondi quale “disperato”? E’ un bravo giovane che ha una bella voce (il che non guasta!). Inoltre stando egli a Bologna si avrebbe il vantaggio di tenerlo sotto la mia diretta sorveglianza. Il Suo amico pittore, dopo avermi scritto il 23 giugno promettendomi al più presto i bozzetti, non si è più fatto vivo. La prego di un Suo intervento. Molti cordiali saluti. Suo R. Nielsen. 3 Nielsen a Malipiero Bologna 18 luglio 1950 Caro Maestro, mi occorrono al più presto le note dei costumi (con descrizioni dettagliate) e degli attrezzi da inviare ai fornitori. Inoltre Le sarei grato se fin da oggi mi potesse precisare il numero delle comparse e dei figuranti. Colombo a causa dei suoi impegni in Svizzera non ha potuto accettare perciò ho affidato la parte dello “spensierato” a Malaspina che è veramente un ottimo elemento. In questi giorni mi ha scritto Gracis chiedendomi se fosse possibile affidargli la direzione del Torneo. Prima di dargli una risposta desidero il Suo parere. Molti cordiali saluti. Il Sovrinetendente R. Nielsen

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4 Gracis a Malipiero Firenze 26 luglio 1950

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Caro Maestro stamattina ho ricevuto da Nielsen una meravigliosa notizia. Lei forse non può immaginare la gioia che mla dato. E veramente non trovo un espressione sufficiente a manifestarle i miei sentimenti. Dopodomani sarò a Bologna e verso il 3 verrò ad Asolo (stavolta però bisognerà andar cauti con la regia - e se già non è ancora stato stabilito niente in merito, desidererei proporre Horowiez***)Con i migliori saluti Ettore Gracis 5 Nielsen a Malipiero Bologna 28 luglio 1950 Caro Maestro, e da De Luigi nessuna nuova! Sono preoccupatissimo poiché nella prossima settimana debbo assentarmi e vorrei aver già comandato il lavoro di realizzazione al nostro scenografo. Poiché non possiedo l’indirizzo del De Luigi. La prego, caro Maestro, di spronarlo e sollecitarlo altrimenti non posso garantire il lavoro. Domani invierò alla sartoria i bozzetti dei costumi.


Oggi è stato qui da me Gracis col quale mi sono già accordato su tutto. Tenga presente che la compagnia di canto si riunirà il 6 novembre, che il 16 avrà luogo la prima recita e il 18 la seconda. Molti cordiali saluti. Suo R. Nielsen 6 Malipiero a Deluigi Asolo (Treviso) 31 luglio 1950 Caro De Luigi, il suo silenzio preoccupa il sovrintendente di Bologna ed io non sono meno preoccupato di lui perché non so come interpretarlo; l’avverto che è necessario entro la settimana corrente cioè entro il 5 agosto stabilire (al sovrintendente Riccardo Nielsen sovrintendente Teatro Comunale Bologna, I Largo respighi,) il giorno preciso in cui ella consegnerà i bozzetti delle scene perché l’opera andrà in scena in ottobre e non c’è tempo da perdere. La prego di una parola tranquillizzante a me e altrettanto faccia, la prego, con il sovrintendente. Cordiali saluti G.Francesco Mahpiero Raccomando questa lettera perché non so il suo indirizzo Asolo (Treviso) 31. VII. 1950 Mi accorgo di essere stato troppo ottimista, a scanso di equivoci le trascrivo il brano della lettera del Sovrintendente: Sono preoccupatissimo poiché nella prossima settimana debbo assentarmi e vorrei aver già coman-

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dato il lavoro di realizzazione al nostro scenografo. Poiché non possiedo l’indirizzo di De Luigi, la prego di spronarlo e sollecitarlo altrimenti non posso garantirne il lavoro. 7 Nielsen a Malipiero Bologna 2 agosto 1950

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Caro Maestro, De Luigi non si fa vivo. il giorno 5 agosto si chiudono gli uffici del Teatro per le ferie e si riapriranno il 25 agosto. Se per quest’ultima data non sarò in possesso dei bozzetti provvederò altrimenti poiché non voglio mettere a repentaglio l’andata in scena dell’opera. La prego ancora una volta, caro Maestro, di sollecitare il pittore. Mi raccomando inoltre che i bozzetti siano facilmente realizzabili e che siano semplici poiché i cambiamenti vanno fatti in tempo di musica e gli


intermezzi non sono lunghi. Molti cordiali saluti Suo R. Nielsen 8 Malipiero a Nielsen Asolo (Treviso) 2 agosto 1950 Caro Nielsen, le invio il telegramma di De Luigi, si figuri che io, avendogli sempre mandato i miei messaggi a mano, ignoravo il suo indirizzo preciso. Glielo accludo: Accademia, Calle Nani 981. Ho mandato un mio incaricato a parlargli al quale ha detto di averle scritto e di non aver mai ricevuto risposta. Tutto questo insieme non mi entusiasma, perciò vorrei che con la venuta del De Luigi ad Asolo tutto si risolvesse nel miglior modo possibile. So che l’agente teatrale Liduino di Milano le ha proposto per il Torneo Notturno la soprano Ada Bertelle, è veramente una intelligente musicista che credo potrebbe fare molto bene la parte della cortigiana nel Torneo Notturno (IV scena. all’osteria); sarei contento se trovasse impiego nel Torneo Notturno. Mi dia sue notizie perché il ritardo di De Luigi mi ha molto disturbato, le confesso però che non sapevo che il Torneo Notturno andasse così presto in scena, non che io lo deplori, credevo soltanto che la stagione cominciasse più tardi. Ho sempre dimenticato di dirle una cosa; l’importanza di alcune parti mimate e più delle altre quella della Castellana che a Monaco di Baviera è stata interpretata dalla più famosa fra le cantanti del Teatro nazionale della quale certo non si è potuto ammirare la voce, ma l’intelligenza si. Come le ho già detto mi piacerebbe se qualche cantante, se buon attore per esempio come la Bertene interpretasse qualche parte muta. Tanti cordiali saluti

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La sua assenza da Bologna mi preoccupa le sarei grato se potesse dirmi (no ch’io voglia disturbare la quiete delle vacanze) dove al principio della prossima settimana potrei comunicare con lei. Non vorrei che il mio desiderio di aiutarla si convertisse in difficoltà e noie per lei. Asolo (Treviso) 2. VIII. 1950 9 Nielsen a Malipiero Bologna 3 agosto 1950 Caro Maestro, 23

ricevo in questo momento la Sua lettera assieme ad una di De Luigi. Ora possiamo stare tranquilli. Ho scritto al De Luigi che mi faccia avere i bozzetti con la Sua approvazione per il 25 agosto. Oggi predispongo tutto in modo che per quell’epoca possano iniziarsi i lavori di realizzazione. Ho scritturato quale cortigiana un buon elemento locale che è anche una buona attrice. Per le parti mimate non è difficile trovare qui a Bologna gli elementi adatti. Ma a ciò penseremo ai primi di settembre. Da lunedì prossimo può scrivermi a Vidiciatico (Bologna), ove sarò fino al 20 agosto, dopo di che sarò per una decina di giorni in Austria senza fissa dimora. Molti cordiali saluti Suo R. Nielsen


10 Malipiero a Nielsen Asolo (Treviso) ? agosto 1950 Foglio con schizzi 11 Maiipiero a Deluigi Asolo (Treviso) 8 agosto 1950 Caro De Luigi. detto questa lettera perché la mia simpatia per lei m’impedirebbe di scriverla e creerei così un altro malinteso. tipo Scala. Ho ripensato ai suoi bozzetti e mi permetto di dirle in via generale che il sottotitolo del Torneo Notturno è: Sette Notturni. il che vuol dire che l’azione si svolge se non in un buio reale. in un’atmosfera oscura, difatti, il Disperato, non avendo visto lo Spensierato, vaga nel buio e lo cerca ascoltando la canzone che uccise la sua amata. La più buia fra le scene è la prima (Le serenate) ed io farò illuminare le tre apparizioni degli innamorati con tre luci dal basso in modo che il raggio dì luna che illumina la bruttezza dello spensierato giunga al momento opportuno chè questo raggio è proprio il movente del dramma. Le confesso che vorrei una porta eventualmente in forma di clessidra, ma senza le colonne che la trasformano in una clessidra reale; la prima scena la condanno completamente. La seconda (La tormenta) mi piace ma è assolutamente agli antipodi col Notturno, è una capanna in mezzo a una collina e quando dico questo le dimostro che la mia fantasia ha accolto con simpatia il suo bozzetto, ma mi manca il senso del chiuso e della notte, perciò qualunque cosa spieghi il suo

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bel bozzetto questo non corrisponderà mai a quello che ho pensato. Il bosco: la luna ch’ella ha fatto se non rischiara non ha ragione d’essere. Una teoria d’alberi (traforata la tela e munita dì veli di vari spessori) potrebbe dare una impressione precisa di tronchi chè io ho pensato a un bosco pauroso: una notte oscura. Mi piace molto la sua scena per La Taverna del buon tempo, ma anche lì siamo in un’osteria in cima a un monte, mentre io ho bisogno di tavoli in primo piano dove si svolge la scena atroce tra i due rivali. Quantunque l’osteria ci consenta qualche nota di colore l’incubo della notte deve prevalere, per questo ci vogliono due grandi lampade al centro con due grandi paralumi. L’interno della quinta scena (Il focolare spento) una tela grigia e un seggiolone con un’ombra nera è quanto basta per dare l’immagine di una lugubre tristezza, è stato cretino da parte mia pensare a un focolare che giustifichi il titolo, mentre la morte è quella che


deve dominare, una morte subdola al di sopra di ogni elemento decorativo. Bisogna pensare che nella sesta scena avremo il Castellano e la Castellana vestiti con vecchi abiti del tempo di un esagerato, grottesco romanticismo e seggono su due troni dorati di un barocco altrettanto grottesco. Gli alabardieri (guardie) vestiranno quasi come le guardie svizzere del Papa e i servitori indosseranno delle enormi livree con grandi galloni dorati, un castello addormentato (da un secolo, anzi nella notte dei tempi). Due tende con in mezzo un mascherone che spalanchi la bocca dalla noia formerebbero un ottimo fondale. La prigione: una tela grigia con una inferriata all’altezza d’uomo è tutto ciò che ci vuole. lo sono rimasto ammirato di ciò ch’ella aveva fatto per l’Allegra brigata, perciò ho forse avuto il torto di non dirle per il Torneo Notturno più di quanto io le avevo detto per l’Allegra brigata.


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Riepilogando; non prendo in considerazione ciò che un pubblico italiano possa dire per le sue scene, ma se si trattasse pure della scapigliata Parigi dovrei insistere sul fatto che non ci vogliono raggi di luna o di luce dipinti, bensì questi debbono essere proiettati appunto per variare un po’ l’eterna notte. Nella seconda e quarta scena, pure per New York, Vorrei un senso di chiuso e il bosco dovrebbe dare un’impressione di terrore, senza luna. lo ho capito la sua interpretazione e quello che lei ha detto dei rapporto fra la mia musica e la sua interpretazione pittorica. Mi perdoni se le dico una cosa: temo ch’ella abbia dimenticato che si tratta di scene e non di libere interpretazioni pittoriche. Infine mi lasci dire una cosa che molto mi tormenta: son passati due mesi da quando le parlai di questo incarico che si doveva affidarle, da più di un mese e mezzo ella aveva il libretto, ebbene ella mi disse di aver fatto le scene qualche giorno fa; le confesso che questo suo tardare mi fa dispiacere perché contavo sul suo entusiasmo. Non faccia differenze tra l’Allegra brigata e il Torneo Notturno, ci ripensi come una cosa che dovrebbe rappresentare una nostra stretta, amichevole e fruttuosa collaborazione. La prego mi tranquillizzi rispondendo subito a questa lettera. Grazie e cordialissimi saluti G. Francesco Malipiero Asolo (Treviso) 8. VIII. 1950 12 Deluigi a Malipiero Venezia 10 agosto 1950 Mio diletto Maestro, non posso dire che io specchio si sia rotto. ma certamente ha corso pericolo! E noti bene che strada facendo ad Asolo ho incontrato tre gobbi! Escludo di dovermi giocare la sua preziosa


amicizia: troppo mi sta a cuore la felicità di convivere la sua rara intelligenza. Ma può darsi che io non sappia fare quello che vorrei intendere. Quanto è detto nella lettera è chiaro e forse avevo già capito dalla sua viva voce. Non mi oppongo: non ho nulla di personalmente artistico da difendere, resto solo sorpreso e rammaricato di non aver fatto centro. La scena è coefficiente, aria, ambiente del dramma, e non essendo fine, guai a dissociarla, renderla autonoma, per quanto splendida dallo scopo cui essa stessa serve. Ma da Boris a Bohème l’ambiente deve tenersi alla descrizione sentimentale - melodica, oserei dire naturalistica della espressione emotiva, non così, anzi, della musica contemporanea che proprio a questo si è opposta per districare la decantazione assolutamente musicale dell’espressione da quell’altra, come lei mi disse con cruda evidenza, un giorno, da quell’altra passionalmente bestiale che farà piangere Mimi e il gran fegato del pubblico fra colpi di tosse vera e lagrime verissime. Anche Boris, per me, porta questo peso. Ecco la mia perplessità quando credo di intendere che lei, già musicalmente dichiarato, e inutilmente impossibile di ritrovare l’analogia sentimentale umana che ha generato l’estro musicale; stranamente si riporta il fatto ambientale, quasi che lei intimorito dal suo stesso genio non voglia pensare se non sia giusto invece di portare tutto nel suo vero verso al di là di ogni possibile controllo naturale. Non difendo me stesso, Maestro, e meno la parte di pittore, giuro di no. Per provare la mia fede devota a lei mi metto subito a tentare quanto lei stesso mi propone, ma le confesso con un certo... struggimento! Calcolo quanto Bestione e il suo carattere ma non temo dicendole: so che il Disperato non è Sigfrido. Eppure a me i boschi e i tronchi per quanto grandi in teatro non mi hanno convinto mai e meno ancora quelli Wagneriani. Ecco perché io ho sbagliato tutto. Luna a parte. La foresta era per me una scena imprevista: di tronchi sì e di foglie modulate di colori per tenere fermo il discorso musicale, essenzialmente musicale, anche la scena prendesse il pubblico alle spalle, per meravigliosa sensazione e non veridica realtà. Adesso non mollo, troppo fervida è la mia convinzione per la sua musica; farò di mettere in calma la

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sua preoccupazione ma io voglio, dico voglio che le verità sceniche della Scala non debbano decidere della bellezza e della comprensione della musica, anche a Bologna. è una pretesa, ma tutto serve per l’integrità e l’unità di un’opera. Senza questo vantaggio declinerei l’incarico. Non è vero che in un giorno ho fatto tutto. Ci ho pensato sempre e soprattutto per essere nuovo dai primi accenni dell’altro tema: l’Allegra brigata. Ma con non minore entusiasmo. Mi ritengo il solo di poterlo capire e un poco me ne vanto e a Bologna vorrei aver ragione io per legarmi fortissimo al suo grande genio. Farò tutto e verrò prestissimo. Ossequi alla Signora e tanto affetto per lei. Suo Mario de Luigi Saluti per la Signorina Giuditta. 13 29

Nielsen a Malipiero Vidiciatico (Bologna) 10 agosto 1950 Carissimo Maestro, i suoi disegni sono centrati in pieno e, se Lei è d’accordo, vorrei farli realizzare dal nostro scenografo. Attendo la Sua autorizzazione per passarglieli. Sono certo che ne sortirebbe una cosa non solo indovinatissima, ma piena di atmosfera che influenzerebbe piacevolmente il pubblico. Inoltre avremmo la sicurezza che potendo iniziare il lavoro il giorno 25 - e questa sicurezza il De Luigi non può darmela - le scene saranno pronte per i primi giorni di novembre. Unico appunto che debbo fare è la mancanza del focolare nel 5 notturno “il focolare spento” coi nostri pubblici è cosa un po’ rischiosa. Non crede opportuno aggiungerlo? Mi suggerisca come. Inoltre manca il disegno del 3° notturno “la foresta”. Me lo faccia avere prime del 20 agosto - partirò da Vidiciatico lunedì 21 - in modo che possa consegnare tutto il materiale allo scenografo prima della mia partenza per l’Austria. sarebbe


opportuno che Lei indicasse anche i colori dominanti di ogni quadro. (S’intende i colori di fondo poiché dovranno essere le luci a creare le giuste tonalità) Attendo disegno e istruzioni. Molti affettuosi saluti Suo R. Nielsen 14 Malipiero a Nielsen Asolo (Treviso) 16 agosto 1950 Caro Nielsen, sono molto in ritardo con la risposta perché speravo che, avendomi il De Luigi scritto il 10 agosto una lettera in risposta alla mia, molto simpatica e che finiva con queste parole: “farò prestissimo e verrò prestissimo” aspettavo di poterle dire qualche cosa, viceversa tutto tace. Io sono molto affezionato e stimo assai il De Luigi. facciamo così: attendiamo il massimo di tempo possibile, comunque faccia come se io le avessi dato, quando la vidi a Bologna fine maggio i disegni che gli inviai giorni fa e dica che per ragioni finanziarie quelli sono da lei preferiti. Quei disegni, in fondo, io li chiamerei dei grafici. In quanto al focolare le mando una mia idea: qui accluso un grafico pure per questa scena. Il focolare si può dipingere sulla scena però se ella mette la finestra della seconda scena (La tormenta) a sinistra anziché a destra ella può utilizzare la stessa scena per il ritorno se costruisce il focolare e con esso copre la porta della seconda scena; dietro il mio disegno per il focolare spento, lei troverà per trasparenza la spiegazione di quanto le ho detto. Ella non risponde a una mia domanda molto importante, quella che riguarda i velluti per l’arlecchino e le così dette quinte, si può rimediare con le solite quinte in tono neutro, però i velluti, per le pieghe che fanno, mettono più in risalto il fondale e fanno delle ombre interessanti. Se va a Salisburgo o in altra parte dell’Austria passi dì qui; io non andrò a Venezia

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per l’inaugurazione del Festival (concerto degli enfants prodiges) ma qualche giorno dopo cioè verso il 7 o l’8; mi tenga ad ogni modo informato. Asolo (Treviso) 16. VIII. 1950 15 Deluigi a Malipiero Venezia 17 agosto 1950 Preparati sette nuovi arrivo venerdì cordialità Deluigi 16 31

Deluigi a Malipiero Venezia 18 agosto 1950 Causa scuola vengo sabato arrivederci Deluigi 17 Nielsen a Malipiero Bologna 18 agosto 1950 (non completa***) Carissimo maestro. ho ricevuto questa mattina il suo espresso. Come d’accordo attenderò fino al giorno 25 prima di dare inizio al lavoro di realizzazione. Se per tale data fossi in possesso dei bozzetti del


De Luigi (da inviarsi a Bologna e non a Vidiciatico) con la sua approvazione potrei senz’altro prenderli in considerazione - benintesi se la spesa per realizzarli si manterrà nei giusti limiti e se nell’ideazione si è tenuto presente che vi sono dei cambiamenti a tempo di musica. Il che significa: niente rumori (non si possono fissare le scene battendo chiodi ecc.) minuti contati! Perciò tutto ora va ridotto al minimo indispensabile, proprio così come sono i suoi grafici. (Manca ancora quello della festa!) L’arlecchino e le quinte di velluto non rappresentano un problema. O li noleggeremo, o, se necessario, li compreremo poiché possono essere sempre utilizzati. Ho dovuto rinunciare al viaggio in Austria... 18 Malipiero a Nielsen Asolo (Treviso) 20 agosto 1950 Caro Nielsen, mi sono messo in un brutto pasticcio. Ieri il pittore De Luigi mi ha portato i bozzetti rifatti. Non c’è più l’inconveniente degli interni che sembrano esterni e viceversa ma non so come giudicarli. Mi rincresce tanto far della pena a De Luigi, l’ho consigliato dì mandarle i bozzetti faccio arbitro lei. Sono tormentato anche dal dubbio che realizzati possano dare quello che ora trovo che manca, in ogni modo ogn’uno è vittima del proprio carattere e sempre nella mia vita per la mania di non far dispiacere lo faccio a me stesso o devo ricorrere a soluzioni estreme. Posso considerare lei un amico? Mi aiuti e mi salvi De Luigi. Ella può trovare facilmente qualche cavillo finanziario chè certo i miei grafici sono più facili da realizzare. Siccome io non esigo un soldo caso mai indenizzi De Luigi che fa fatto tra le altre cose due viaggi ad Asolo. Sono certo di averle mandato il bosco (scena terza) che è stampato dietro la scena seconda, se lei l’ha incollato basta che lo scolli e lo troverà, la cosa non è difficile. Conto sempre vederla

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cordialissimi saluti. G. Francesco Malipiero Asolo (Treviso) 20. VIII. 1950 19 Deluigi a Malipiero Venezia 25 agosto 1950

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III. Maestro, ho spedito i bozzetti con accompagnatoria - adesso attendo risposta, avendo anche suggerito l’idea ed il desiderio io stesso con il pittore scenografo. Però, le confesso, io resto sempre attaccato un poco alle prime scene, mi sembrano più originali e perciò più vicine all’originalità della sua musica. Pazienza, alle volte può consolare anche l’obbedienza! Qui fa caldo e non sento gli amici. Gorini sparito - Michelangeli morto. Non mi resta che invidiare la serenità del suo splendido romitaggio. Ossequi alla Signora, saluti per la signorina Giuditta e a lei il mio devoto affetto M. deLuigi 20 Nielsen a Malipiero Bologna 25 agosto 1950 ore 18 Caro Maestro,


con oggi è scaduto il termine ultimo posto al De Luigi per la consegna dei bozzetti. Pertanto ho consegnato oggi stesso - dopo aver atteso anche la posta del pomeriggio - al nostro scenografo i suoi schizzi ordinandogli d’iniziare i lavori. Ho trovato la scena del bosco come da sua indicazione. Adesso sono tranquillo! Per il siparietto, quali sono le sue istruzioni? Me le faccia avere per tempo in modo che il lavoro possa procedere ***mente. Non si preoccupi per DeLuigi vedremo di risolvere tutto nel migliore dei modi. Molti cordiali saluti Suo R. Nielsen 21 34

Nielsen a Malipiero Bologna 31 agosto 1950 Carissimo Maestro, ieri, 30 agosto, sono giunti i bozzetti di De Luigi. Sinceramente Le confesso che non mi piacciono e che sono lieto di aver dato, or è una settimana, l’ordine di realizzare i Suoi schizzi. Pur facendo astrazione da quello che può essere il mio gusto personale, trovo questi bozzetti troppo lontani da una qualsiasi realtà scenica e questo loro astrattismo anziché aiutare lo spettatore, lo disorienterebbe mettendo così in pericolo il successo dell’opera. Forse per un pubblico d’eccezione queste scene potrebbero essere passabili, non certo per un pubblico provinciale come quello di Bologna. E. come Sovrintendente non posso non preoccuparmi del successo dello spettacolo che debbo allestire!


Questa mia affermazione non vuole significare che non oserei affrontare la battaglia se le scene lo meritassero, ma così a vantaggio di chi si dovrebbe correre questo rischio? Per delle cose di cui noi stessi non siamo convinti e che perciò non sapremmo come giustificare? Meglio dunque attenerci ai Suoi schizzi, cosi semplici, ma cosi aderenti allo spirito dell’opera. Oggi stesso scriverò al De Luigi. Naturalmente non gli dirò quello che Le ho scritto, ma mi trincererò dietro al fatto del ritardo. cercherò per le spese da lui sostenute di compensarlo in qualche modo. Posso quasi assicurarLe che l’undici e il dodici settembre sarò a Venezia. Potremo così parlare tranquillamente di tutto ciò che riguarda l’andata in scena del Torneo. Molti cordiali saluti Suo R. Nielsen 22 35

Deluigi a Malipiero Venezia 1 settembre 1950 Illustre e carissimo Maestro, il mese comincerà di venerdì ed io ne sento già le fisime. Il sovrintendente di Bologna non ha risposto nulla, non ha detto nulla ed perciò annovero questo come primo sberleffo di questo mese fesso. Comunque mi dispiace e glielo scrivo per questa tristezza e per la affettuosa amicizia che mi lega a lei. Suo dev. Mario deLuigi


23 Malipiero a Deluigi Asolo (Treviso) 4 settembre 1950 Caro De Luigi, non lo specchio, non il mese che cominciò di venerdì, ma io l’ho condotta a questo triste e per me spiacevolissimo risultato. Vorrei, perché ella si rendesse meglio conto del mio errore, vorrei che vedesse la situazione mia di fronte a questo paese, moralmente e spiritualmente distrutto. Come iene sono tutti pronti a saltarmi addosso ad ogni occasione. Persino insultano le opere mie di 30 anni fa, che han fatto il giro del mondo e già rappresentate (cioè eseguite) in Italia. Non le darò ad intendere che il successo sia mai stato trionfale (non si possono piantare rose e attendere che fiorisca il cavolo) però è persino


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interessante questa inverosimile ostilità. Tutto ciò che mi fecero durante il periodo 1923 - 1945 non aveva nessuna importanza, chè all’estero erano lieti di fare dispetto all’Italia d’allora aiutandomi in tutti i modi. Ma un po’ grazie ai “compagni”, un po’ alla democrazia internazionale, risento pure all’estero conseguenze di una lotta ignobile e che mi preoccupa - sono nato nell’anno 1882, faccia il calcolo lei chè per consolarmi ho deciso di dimenticare l’aritmetica. A Bologna non dovevo permettere che si eseguisse il Torneo notturno, ma commesso questo sbaglio (dopo l’allegra brigata!) quale sarà il successo? Errori sopra errori, e pure per la parte scenografica meglio è non pretendere uno sforzo celebrale nel paese dei tortellini e tagliatelle. Una sola cosa le chieggio: non si rende conto di quello che è Bologna? Come non pensare alle conseguenze di una scenografia come la sua? Le chieggio dunque perdono e mi dimostri che mi


ha capito, cioè che ha capito com’è la situazione mia ecc. ecc. Cordiali saluti dal suo G. Francesco Malipiero Asolo (Treviso) 4. IX. 1950 L’avverto che le due parole più importanti dì questa lettera sono l’ecc. ecc. 24 Deluigi a Malipiero Venezia 12 settembre 1950 Illustre Maestro, se il restar muto può essere significativo s’arresti a questo punto e butti via questo foglio. La sua lettera, unico autografo che io tengo e che tanto speravo, non illumina il lato più felice della sua personalità. La distruggo. Che la nostra amicizia non abbia la stessa sorte, questo da parte sua naturalmente. Ho regolato le mie cose col il Sovrintendente di Bologna. Chiedo scusa se ho dato motivo di questi contrattempi e mi creda il suo dev. Mario deLuigi 25 Nielsen a Malipiero Bologna 18 settembre 1950 Caro Maestro,

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ricevo, trasmessami dall’Agenzia A.L.C.I. di Milano, una lettera datata 13/9 della signora Ada Bertelle nella quale fra l’altro ci sta scritto: “ieri il Soprintendente di Bologna Maestro Nielsen si è incontrato col M° Malipiero autore del “Torneo Notturno” per definire cose inerenti all’esecuzione di tale lavoro. Il Malipiero nuovamente ha ribadito al M° Nielsen il suo desiderio di avermi quale interprete di tale opera nella pare della “Figlia”. Il M° Malipiero dandomi contezza del suo colloquio col Nielsen (?!)” Ora, caro Maestro, nel nostro incontro veneziano si è parlato di molte cose, ma non della signorina Bertelle. Sono certo di quanto affermo poiché se Lei me ne avesse parlato, Le avrei detto che non era possibile scritturare la Sua raccomandata in quanto fino dal luglio scorso avevo provveduto a coprire** il ruolo con un ottimo elemento locale. La pazzia di De Luigi sta acutizzandosi poiché quale indennizzo spese ha chiesto cinquantamila lire! Se diventa ragionevole lo pagherò altrimenti non gli dò un soldo poiché i bozzetti non solo non sono stati da me approvati, ma non sono arrivati entro il termine prescritto. Fra giorni verrà da Lei Sandro Bolchi per accordarsi sulla regia. Molti cordiali saluti. Suo R. Nielsen 26 Bolchi a Malipiero Bologna ? 28 settembre 1950 Arriverei domani prego confermarmi sua presenza cordialmente - Sandro Bolchi


27 Malipiero a Nielsen Asolo (Treviso) 11 ottobre 1950 Caro Maestro, sono ritornato dalla Svizzera con un raffreddore in stile impero. Non riesco a cacciarlo, per ora il padrone è lui. Non le ho detto che la visita di Sandro Bolchi è andata molto bene, credo che da questo lato non ci saranno difficoltà. Mi riposo alcuni giorni poi ritorno a Venezia. Cordialissimi saluti G. Francesco Malipiero Asolo (Treviso)11/X/1950 40

L’agente Liduino di Milano ha tenuto in sospeso la soprano Ada Bertene, la quale mi tempesta di lettere. Non ha la possibilità dì farle fare almeno un doppio? In ogni modo grazie. 28 Deluigi a Malipiero Venezia 21 ottobre 1950 Maestro carissimo, mi dicono che Lei tornerà a Venezia in novembre e so con quanta gioia! Comunque c’è sempre modo di invidiarla. Questa mia, anzi, le verrà inopportuna e d’altronde non so che fare per quella benedetta Bologna. Del Maestro Nielsen non ho alcuna notizia salvo quelle dei giornali per certe banali disavventure che a


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pare mio non invogliano a sperare gran che. Scrivo a Lei piuttosto per non aver l’aria di troppa autonomia economica... per quanto la vicenda dei bozzetti e di una certa mia presa di posizione siano sorte dalle stesse lettere e impegni del Nielsen, naturalmente Lei escluso. Ora il Signor Nielsen al 4° capoverso di una sua lettera mi diceva di riparare con denaro al mio lavoro mancato, però ancora non l’ha fatto e non ne parla. E non creda che io glielo dica per invitarla ad interessarsene, per carità, intendo solo informarla e per il resto ci penso io. In fondo se il Nielsen avesse scritto delle parole sensate, manco mi sarei mosso, tanto, il più mi aveva abbastanza mortificato e oramai non restava altro che andare fino in fondo. Che a Lei dispiaccia tutto questo, credo, e per salvare capra e cavoli sarei anche tentato a chi sa cosa... ma! fare il disperato d’amore è bello non cosi quando l’economia fa stringere la cinghia! E siamo proprio in questo sciagurato caso. Ecco di cosa è fatta la mia intransigenza e la mia... personalità. Non mi giudichi meno di quanto sottintenda tanto con il palcoscenico forse io non ci avrò mai più da fare e mi creda invece il suo devotissimo amico Mario deLuigi 29 Malipiero a Deluigi Asolo (Treviso) 24 ottobre 1950 Caro De Luigi La sua lettera mi ha profondamente addolorato. Ella dice che non desidera ch’io mi occupi della faccenda


bolognese, però il 18 settembre u.s.** mi scriveva il soprintendente Nielsen, che “nei limiti del ragionevole egli le pagherà ecc. ecc.” Dunque la cosa è chiara. Purtroppo non so più nulla di Bologna, e il tempo stringe. Non do mai peso a ciò che si legge sui giornali, però complicazioni sono possibili perché (se la cosa è vera) soprintendente e segretario sono compromessi. Chi prenderà in mano la direzione del teatro? E proprio un eterno “torneo” nelle tenebre questa nostra vita italiana. Che accadrà? In ogni caso devono comunicarmi qualche cosa prima della fine del mese o ai primi di novembre. Quando sarò di ritorno a Venezia le chiederò il favore di mostrarmi i suoi bozzetti dell’allegra brigata. Non mi neghi questo favore, le dirò poi il perché. Il pasticcio bolognese è colpa mia chè da bel** principio sapevo che nel regno delle tagliatelle, bisognava andar cauti così coordinati**. Non l’è brisa** così? Pensi al

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brisa** ed è detto tutto. Un solo appunto le vorrei fare: ogni arte ha il suo gesto, così la pittura = pennello. Come può lei accettare i colori belli e fatti della carta e lavorare di forbici anziché di pennello? Eresia? Non potrei scrivere con pezzi di dischi grammofonici. Sbaglio? Mi perdoni e a presto dunque. Cordialissimi saluti dal suo G. Francesco Malipiero Asolo (Treviso) 24. X. 1950 30

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Donati a Malipiero Bologna 2 novembre 1950 Caro Maestro, desidero subito assicurarLa che i Suoi accordi con Nielsen valgono, naturalmente, anche con me. E che sono ad attenderLa secondo il piano stabilito. Con viva cordialità Suo M° Pino Donati P.S. = Le ricordo che la riunione della Compagnia di “Torneo” è fissta per lunedì 6 corr. e che il M° Gracis riprende le prove d’orchestra martedì 7 in mattinata.


31 Donati a Malipiero Bologna 6 novembre 1950 Caro Maestro, Alla Sua del 5 rispondo: 1°) La compagnia di “Torneo” è presente da oggi e ha iniziato le prove in sala. 2°) La prima prova di assieme è fissata per il 10 mattina. E dal 13 in poi proseguono ininterrottamente fino all’andata in scena stabilita del 16. L’attendo al più presto per valerci dei Suoi preziosi consigli nell’allestimento della Sua opera che desidero sia presentata in una edizione accuratissima. Molte cordialità Suo Pino Donati 32 Gracis a Malipiero Bologna 6 novembre 1950 ore 22 Caro Maestro, sono appena giunto in teatro ancora non ho potuto vedere Donati e quindi sapere se Le abbia già scritto. Comunque la situazione grave è la seguente - fino avenerdì compreso una prova al giorno (mattino) in orchestra - da sabato in poi il calendario è ancora da attuare. Per ciò che riguarda le prove di sala, sia musicali che sceniche, avremo a disposizione tutti i pomeriggi. Il giorno 8 (mercoledì) non avrò prove in orchestra. Nell’attesa di vederLa presto si abbia i miei più devoti saluti. Suo Ettore Gracis

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P.S. Circa le prove di palcoscenico ancora non Le posso dire niente, comunque non appena ne saprò qualcosa glielo comunicherò. 33 Donati a Malipiero Bologna 9 novembre 1950 Le ho fissato stanza Hotel Maglioni cordialita - Donati 34 45

Donati a Malipiero Bologna 12 novembre 1950 Generale fissata mattino mercoledì cordialità - Donati 35 Donati a Malipiero Bologna 17 novembre 1950 Caro Maestro, il Suo scritto vivo e amichevole mi ha dato animo. Credevo di avere mancato in qualche cosa, e la Sua


partenza, e quindi la Sua assenza dal battesimo del Torneo. mi ha tolta - non lo nego - una autentica gioia: quella di sentirLa vicino al momento del parto. Ella già saprà che i... peruviani hanno apprezzato, e anche applaudito il lavoro. Le sono grato delle cortesi espressioni, e mi auguro di rivederLa presto, a Venezia, ad Asolo, o dove il mio cervello Le possa essere utile. Cordialità Suo Donati 36 Malipiero a Deluigi Venezia 24 gennaio 1951 46

Caro De Luigi, Grazie. Restituisco i bozzetti che tutto è tramontato. Credo che l’aurora si presenti con nubi nerissime. Accludo lettera del nuovo soprintendente di Bologna. E la risposta a una mia nella quale pregavo di risolvere il suo affare, che rappresenta per me un grande dispiacere. Cordiali saluti G. Francesco Malipiero Venezia 24. I. 1951


Carteggio Malipiero - Deluigi Malipiero a Deluigi, Asolo (Treviso) 31 Luglio 1950* Malipiero a Deluigi, Asolo (Treviso) 8 Agosto 1950* Malipiero a Deluigi, Asolo (Treviso) 4 Settembre 1950*

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Malipiero a Deluigi, Asolo (Treviso) 24 Ottobre 1950* Malipiero a Deluigi, Venezia 24 Gennaio 1951*

* Gli originali sono conservati presso l’Archivio Mario Deluigi


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