Vanagloria - Marco Bernardi

Page 1


BUGNO ART GALLERY

Modern - Contemporary - Photography S. MARCO 1996/D, 30124 VENEZIA tel. 041 5231305 fax 041 5230360 info@bugnoartgallery.com www.bugnoartgallery.com Special thanks: Massimiliano Bugno, Ilaria testi di: Silvano Manganaro Saverio Verini Claudio Morici traduzione inglese a cura di Luigi Sabatino e Dave Di Vito Progetto grafico: AndrĂŠs David Carrara


V a n a G l o r i a o p e r e 2010 - 2015

M

a

r

c

o

B e r n a r d i


4

Zerbino - (insert coin) 2010


4-5 5


Black Flag - 2010


6-7


Zerbini - 2010


8-9


Black Flag - 2010


10 - 11


12 - 13


Svolgitore - 2010


Svolgitore - 2010


14 - 15


Campo Magnetico - 2010


16 - 17


18 - 19


Pendolo - 2010


Binario - 2010


20 - 21


Sis ifo - 2010


22 - 23


24 - 25


Sis ifo - 2010


Italiet ta con Allodole - 2011


26 - 27


Allodola meccanica - 2011


28 - 29


Piccolo re - 2011


30 - 31


32 - 33


Banderuola - 2011

33


Due banderuole - 2011


34 - 35


Piccolo re - 2011


36 - 37


38 - 39


Sindacalista - 2011


Armabianca - 2011


40 - 41


Burro - 2011


42 - 43


Burro - 2011


44 - 45


Vedovedove - 2012


46 - 47


Vedovedove - 2012


48 - 49


50 - 51


Vedovedove - 2012


Italia pacco - 2012


52 - 53


Q.A. - 2012


54 - 55


Q.A. - 2012


56 - 57


Interval - 2012


58 - 59


Interval - 2012


60 - 61


IntervaL - 2012


62 - 63


Interval - 2012


64 - 65


Interval - 2012


66 - 67


68

Elaboratore sentimentale - 2012


68 - 69


Elaboratore sentimentale - 2012


70 - 71


Cuore di stoffa - 2013


72 - 73


Cuore di stoffa - 2013


74 - 75


76 - 77


Cuore di stoffa - 2013


Cuore di stoffa - 2013


78 - 79


Cuore di stoffa - 2013


80 - 81


Veduta nord - Veduta sud - 2013


82 - 83


Veduta s ud - 2013


84 - 85


Veduta nord - 2013


86 - 87


Italia bivacco - 2013


88 - 89


Torno subito - 2013


90 - 91


Registratore - 2013


92 - 93


complimentatore - 2013


94 - 95


Carrarmatino - 2013


96 - 97


Aeroplanino - 2013


98 - 99


arazzet ti da guerra - 2013


100 - 101


Rigore! - 2014


102 - 103


Rigore! - 2014


104 - 105


Bye Bye - 2014


106 - 107


Monolocale con vista - 2014


108 - 109


Monolocale con vista - 2014


110 - 111


Monolocale con vista - 2014


112 - 113


Monolocale con vista - 2014


114 - 115


Monolocale con vista - 2014


116 - 117


Monolocale con vista - 2014


118 - 119


120 - 121


Italiet ta Prêt-à-porter - 2015


Italiet ta Prêt-à-porter - 2015


122 - 123


Italiet ta Prêt-à-porter - 2015


124 - 125


Italiet ta Prêt-à-porter - 2015


126 - 127


Italiet ta Prêt-à-porter - 2015


128 - 129


Sant ’Isidoro (Forcone nella roccia) - 2015


130 - 131


132 - 133


Sant ’Isidoro (Forcone nella roccia) - 2015


Lavagna con labirinto - 2015


134 - 135


136 - 137


Lavagna con labirinto - 2015


Lavagna con labirinto - 2015


138 - 139


Spirale in bianco - 2015


140 - 141


Topo meccanico a spazzola - 2015


142 - 143


Topo meccanico serpe - 2015


144 - 145


Topi meccanici - 2015


146 - 147


148 - 149


Topo meccanico fuori strada - 2015


Spirale in bianco - 2015


150- 151


Monocromo con zampet te - 2015


152 - 153


154 - 155


Monocromo con zampette - 2015


monocromo in bianco con zampe - 2015


156 - 157


158 - 159


Opera modulare - 2015


Opera modulo in nero - 2015


160 - 161


Opere modulari - 2015


162 - 163


Ogget to volante - 2015


164 - 165


166 - 167


Ogget to volante - 2015


Ogget to volante - 2015


168 - 169


X Qui - 2015


170 - 171


Martellatore a muro - 2015


172 - 173


Martellatore a muro - 2015


174 - 175


Qui - 2015


176 - 177


178 - 179


Esploratore su pat tino - 2015


Oggi niente - 2015


180 - 181


Oggi niente - x Qui - 2015


182 - 183



M a r c o B e r n a r d i : l ’a n t i m o d e r n o che veniva dal futuro

Il mito della macchina ha guidato la modernità fin dai suoi albori; una macchina che, evolvendo, ha perduto la sua essenza di congegno massiccio e poco maneggevole per adattarsi sempre più all’uomo, fino alla più totale simulazione. Non a caso l’apice della tecnica divenuta tecnologia è l’androide: il robot umanoide tanto più riuscito quanto più capace di occultare la sua vera natura. Le ultime ginoidi giapponesi – così come, per certi versi, le varie Siri e Cortana divenute nostre segretarie personali intrappolate in uno smartphone – ne sono un esempio lampante. Incredibilmente, nel lavoro di Marco Bernardi (grande appassionato di fantascienza), è possibile assistere ad un processo inverso. È nel regresso che le macchine assumono uno statuto umano, diventando empatiche, emozionanti e, in qualche modo, “emozionate”. Se nell’industria contemporanea il massimo della tecnologia viene utilizzata per celare se stessa, uno dei processi creativi di Bernardi è smontare oggetti già obsoleti, scoprirne i meccanismi e il funzionamento di base (spesso estremamente

185


semplice) e utilizzare il tutto per la costruzione di macchine celibi. Un atteggiamento, quello dello smontaggio, che rimanda a un’infanzia curiosa, geniale e virginale; una necessità, quella dello smembramento, legata alla scoperta del funzionamento delle cose, allo svelamento del mistero in esse racchiuso, del loro segreto. È da qui che parte tutto il lavoro di Bernardi. Luciano Fabro (artista cui è impossibile non pensare guardando opere come Italia Bivacco, Italia pacco, ecc.), nel suo Arte torna Arte scriveva che nella vita ci sono cose che implicano fondamentalmente un sapere, altre principalmente un fare, mentre l’arte è un saper fare. Bernardi, in una via tutta personale, parte dal fare per pensare o, meglio, il fare lo aiuta a pensare. L’idea e l’oggetto–opera finale si costruiscono nel mentre. C’è prima l’interesse per un marchingegno (un vecchio mangianastri, un ombrello, una macchina da scrivere, un meccanismo a molla, uno zerbino insolito, ecc.), poi arriva lo smontaggio e l’idea di trasformarlo in qualcosa d’altro, in un processo di liberazione–non liberazione. Affranca le macchine da una schiavitù razionale e finalizzata per restituirgli una nuova funzione, irrazionale o ludica, ma comunque ossessiva e ripetitiva. Ed è proprio in questo la modernità di Marco Bernardi, il suo essere, paradossalmente, del suo tempo. La sua liberazione delle macchine rispecchia la nostra liberazione post–moderna, divenuta nuova schiavitù. Più disinibita, non finalizzata ma altrettanto opprimente. Lo smontaggio della macchina e del suo mito parte da quello che può essere la parola chiave del lavoro di Bernardi: la vanagloria. Un “compiacimento senza meriti effettivi” che l’artista inquadra attraverso uno sguardo disincantato sul mondo, una visione che contempla irregolarità e instabilità. Un senso della vita che diventa senso della Storia: l’interesse per gli oggetti vecchi, usati, che racchiudono un’anima (retaggio di quello che può essere considerato il suo maestro, ovvero Fabio Mauri) denotano da un lato una sensibilità tutta contemporanea verso il modernariato, il mobile della nonna o il vintage in genere (una nostalgia per le “buone cose di una volta”), dall’altro il tramonto dell’uomo–macchina sostituito dalla “macchina umana”, con le sue insicurezze, fragilità e imperfezioni. Operazione che ci rende i suoi oggetti e le sue opere particolarmente “simpatiche”,

186


nella doppia accezione del termine. Il tutto, però, senza prendersi troppo sul serio, e senza prendere sul serio il mondo (portando avanti, in questo, un discorso opposto a quello di Fabio Mauri). Quello che domina è un’idea di futuro infranto, di qualcosa che non ha funzionato come avrebbe dovuto e che ci lascia in balia di uno sguardo malinconico e fatalista. È un’idea che si incarna, secondo Bernardi, nel fallimento tipico della fantascienza, un dispositivo che funziona perfettamente ma che, quasi sempre, fallisce nelle previsioni. Le macchine non ci hanno aiutato a divenire migliori e, ora, non possiamo che guardarle con tenerezza e compassione. Ad un’analisi più approfondita, e in qualche modo più corretta, quello che caratterizza le creazioni di Marco Bernardi è però l’attenzione all’oggetto. Non possiamo nel suo caso parlare di sculture. Oggetti vagamente pop, ma di un pop lontano da quello nato in un’America in cui Andy Warhol dichiarava: “I want to be a machine”. È più vicino, piuttosto, al nouveau realisme teorizzato da Pierre Restany, erede di uno sguardo tutto europeo, lontano dal glamour e dai mass media. Un cammino che sembra partire da stanze polverose di campagna, da un oggetto un po’ consunto, da un immaginario ormai desueto. Non c’è idolatria per la cultura del consumo, il suo essere pop fa pensare al popolare (quasi folklorico) e non al popular. Al calendario di Frate Indovino e non a Playboy. La serie dei cuori di stoffa, ad esempio, mi fa pensare al Sacro Cuore di Pompeo Batoni (il celebre quadro del 1767, riprodotto infinite volte sulle immaginette votive), evitando di passare attraverso una rilettura kitsch alla Pierre et Gilles. C’è, prima di tutto, l’elemento del cucire (che troviamo anche nelle Italiette Prêt–à–porter, nell’Aeroplanino, in Carrarmatino, ecc.) che porta con sé uno sfasamento che è temporale e di genere. Usare ago e filo rimanda a un sapere antico che richiede tempi lenti e che è stato monopolio delle donne. Ma proprio nel gesto della ricucitura sta tutta la volontà di Bernardi di tentare una rilettura del passato. Oggi come non mai è necessario guardare a ciò che è stato, armarsi di pazienza – e sapienza – e rammendare gli strappi e gli errori. Proprio riconoscendo la vanagloria di tutte le ideologie del passato e del presente è possibile tessere un futuro differente. È forse in una visione

187


disincantata e scettica, tipica degli italiani (e di Marco Bernardi), che si nasconde un’ancora di salvezza. La serie delle Italie, dopotutto, ci dice anche questo. Se Luciano Fabro partiva dall’idea a lui cara di tautologia – scriveva nel 1981 Paul Groot: “[le sue Italie] riproducono due volte una realtà: rappresentano la tautologia della forma e del materiale” – trasformando una carta geografica in una scultura (in una forma che allude e rimanda a se stessa), Bernardi fa il contrario: non parte da una carta geografica ma da un concetto che viene poi incarnato nell’oggetto–Italia. Quella forma serve a dire “gli italiani”, “l’Italietta”; un popolo ben rappresentato da Piccolo re, opera che ironizza sulla figura di Vittorio Emanuele III, non a caso ribattezzato “re pippetto”. Quello di un Paese bellissimo e glorioso è un concetto sul quale ci si può accomodare (non a caso il materasso!) ma che risulta essere oltre che vuoto anche ridicolo. Tanto le Italie di Fabro erano fatte di un materiale duro e respingente (vetro, metallo, ecc.), tanto quelle di Bernardi sono soffici, dagli angoli smussati, accoglienti. Ironiche proprio perché perdono la loro durezza, diventando così, in qualche modo, seducenti e, appunto, vanagloriose. Inoltre l’Italia è l’unico Stato al mondo che ha una forma significante, allude ad altro da sé (uno stivale). Non è forma astratta ma figurativa. La totalità delle nazioni del globo ha dei confini informi, capaci di generare una figura se non sgraziata, almeno confusa, poco più di una macchia. L’Italia invece è subito riconoscibile, senza tentennamenti. Si fa facilmente oggetto, oltre che soggetto. Ed eccola infatti disposta a farsi attrice, a cambiare abito per ben settanta volte. Una sfilata che rimanda al grande export italiano: abiti (per le stoffe) e calzature (per la forma). È tuttavia un’opera del 2010, Zerbini, che incarna perfettamente il metodo di lavoro e la concezione filosofica di Marco Bernardi. Incuriosito da un tappetino in gomma usato per pulirsi le scarpe, l’artista ha trasformato le piccole protuberanze dello zerbino in pixel dalla grana assai poco definita. Evidente il richiamo ai vecchi videogiochi anni ‘80: ne sono testimonianza la scritta “insert coin to continue” o gli alieni di “space invaders”. Su questa trama obsoleta, però, passa tutta la storia del nostro pianeta: dal fossile paleolitico alla celebre immagine con il saluto del genere umano presente sulla sonda Pioneer 10, dal mosaico con il “cave canem” di Pompei

188


agli organi umani più importanti come cuore e cervello, fino alla mappa della metropolitana di Roma. L’oggetto umile per eccellenza, lo zerbino, si trasforma quindi in immagini pronte per essere calpestate. Anche quando l’artista nobilita questa sua pratica incisoria (che potrebbe essere paragonata alla xilografia) ribaltando l’orizzontalità in verticalità, il riferimento all’oggetto originale e alla sua funzione resta. Objet trouvé, obsolescenza, cultura alta e cultura bassa, ironia. Attraverso questa concatenazione tutto finisce sotto ai nostri piedi: Vanitas vanitatum et omnia vanitas. Silvano Manganaro

Marco Bernardi: the anti modernist who came from the future The myth of the machine has driven modernity from its beginnings: it’s a machine that has evolved and shed its essence of being a bulky, unwieldy contraption to increasingly adapt itself to man, right through to its complete simulation. It’s no accident that the pinnacle of technology is found in the android: the humanoid robot that is as equally refined as it is capable of masking its own true nature. The latest Japanese fembots – as well as, in some ways, the various Siri and Cortana; our personal secretaries trapped inside a smartphone – are shining examples of this. Incredibly, in the work of Marco Bernardi (a huge fan of science fiction), it is possible to witness a reverse process being undertaken. It is in this regression that the machines assume a human state, becoming empathetic, and in some way, also exciting. If the height of technology in contemporary industry is used to conceal itself, one of Bernardi’s creative processes is to instead deconstruct already obsolete objects, discovering their mechanisms and base functions (which are often extremely simple), and utilising all of this to construct bachelor machines. The act of dismantling is one which takes us back to curious, brilliant and innocent childhoods: to a necessity (to dismantle) that is tied to discovering what makes things work, and to unveiling the mysteries of these enclosed

189


subjects and their secrets. This is the starting point for Bernardi’s work. Luciano Fabro (an artist that it is impossible not to think of when seeing works like Italia Bivacco, Italia pacco etc.), in his Arte torna Arte (Art Returns to Art), wrote that there are things in life that fundamentally imply knowledge and other things that imply mostly a ‘doing’, whereas art is a know how to do. In a completely personalized way, Bernardi’s starting point is a ‘doing to think’, or, better yet, a ‘doing to help him think’. The idea and the final object/work are realised in the meantime. It starts with an interest in a gimmick (an old tape recorder, an umbrella, a typewriter, a spring mechanism, an unusual doormat etc.), and is followed by the dismantling and the idea of transforming the object into something else, in a process of liberation/non–liberation. He liberates the machines from a rational and functional slavery to bestow on them a new purpose, which may be irrational or playful, but still obsessive and repetitive. It is in this process that Marco Bernardi’s modernity lies, his paradoxically being of his time. Bernardi’s liberation of the machines mirrors our post–modern liberation, which has become a new form of slavery… more uninhibited and undefined but equally oppressive. The dismantling of the machines and of his myths stems from what could be the keyword behind Bernardi’s work: vainglory or boasting. It’s a “gratification without any real merit” that the artist frames through a disenchanted view of the world and a vision that contemplates irregularity and instability. A sense of life that becomes sense of history: the interest in old, used objects that capture a spirit (this is the legacy of Fabio Mauri, who can be considered his teacher) on the one hand denotes an entirely contemporary sensibility towards modern antiques, grandmother’s furniture or to vintage things in general (and a nostalgia for the “good things from once upon a time”); on the other hand, that interest denotes the decline of the man–machine replaced by the human machine, with its own insecurities, fragilities and imperfections. These are actions that render his subjects and his works particularly “sympathetic” in both senses of the word. All this, however, without taking himself and the world too seriously (and thus, continuing the discussion from an opposing angle to that of Fabio Mauri’s).

190


The over–arching idea is that of a broken future: of something that hasn’t worked out in the way we may have wanted, and that leaves us exposed to lingering fatalist and melancholic views. It is an idea that in Bernardi’s view, is embodied by the typical failure often found in science fiction: that of a vehicle which functions perfectly, but that almost always fails in its predictions. The machines didn’t help us to become better, and so now, we can only look at them with compassion and fondness. Through a closer and, in some way, more precise examination, we realize that the thing that characterises Marco Bernardi’s creations is, however, the attention to the object. In his case, we can’t speak of sculpture. These are objects that are vaguely pop like, but in a form of pop that is distant from that born in an America where Andy Warhol declared “I want to be a machine.” Rather, it is closer to the nouveau realism theorized by Pierre Restany, the heir of an entirely European point of view that lies far from glamour and the mass media. It’s a path that seems to have taken off from dusty, country rooms, from tired, slightly worn objects and an already obsolete vision. There’s no idolatry of consumer culture: its pop essence suggests popular more in the folkloric sense than popular per se. It’s more the stuff of Frate Indovino spiritual calendars than it is Playboy ones. The series of cloth hearts, for example, bring to my mind Sacro Cuore (Sacred heart) by Pompeo Batoni (the famous 1767 painting, which has since been infinitely reproduced on votive cards), but they avoid any kitsch, Pierre et Gilles style re–reading. There is, first of all, the element of sewing (which we also find in Italiette Prêt–à–porter, in Aeroplanino, Carrarmatino and others) that brings with it a displacement of time and gender. Using a needle and thread recalls the ancient knowledge that called for slower times and that was monopolized by women. But within the act of mending lies Bernardi’s desire to re–read the past. Today, like never before, we are required to look at what was, and to arm ourselves with patience and knowledge, as we repair the rips and errors. Merely recognising the vainglory or boastfulness of all the past and present ideologies makes it possible for us to weave a different future. It is probably part of a disenchanted and sceptical view, typical to Italians (and Marco Bernardi) that masks a lifeline. The Italie series, after all, also

191


tell us this. If Luciano Fabro began with the idea of tautology that he held dear – of which Paul Groot wrote in 1981: “[his Italie] twice reproduce the one reality: they represent the tautology of form and material” – transforming a map into a sculpture (in a form that alludes to and refers to itself), Bernardi instead does the opposite. He doesn’t begin with a map, but rather, begins with a concept that becomes embodied by the object–Italy. That form is used to represent “the Italians”, the “Italietta”: a people well represented by the Piccolo re (Little King), a work that mocks the figure of Vittorio Emanuele III, who not surprisingly, was dubbed “re pippetto” (lit. the pippetto King. “Pippetto” is a derogatory term used to suggest that the king was small). The concept of a beautiful and glorious country is one on which you can also sit – (the mattress is no accident!) – but that turns out to be not only empty, but also ridiculous. While Fabro’s Italie were made with durable, buffering materials (glass, metal etc.), Bernardi’s are soft, rounded and welcoming. Ironic, especially because they lose their hardness, and instead become, in some way, seductive and indeed boastful. Additionally, Italy is the only country in the world which has a significant shape that alludes to something else (in this case, a boot). It is not an abstract form, but rather a figurative one. The rest of the world’s nations have unremarkable boundaries, capable of generating figures that if not blurry, are at least a little more confused than a smudge. Italy however, is immediately recognisable without any difficulty. It lends itself easily to being an object in addition to being a subject. And in fact, here it is willing to be an actress, willing to switch outfits seventy times. It is a fashion parade that reminds of us the huge Italian exports: fashion (through the cloths) and shoes (through form). It is, however, a 2010 work, Zerbini, that perfectly encapsulates Marco Bernardi’s approach to work and his philosophical view. Intrigued by a rubber doormat used to clean shoes, the artist has transformed the poorly defined texture of the doormat’s small bumps into pixels. It’s an obvious reference to 80s video games: further proof of this offered by the inclusion of the texts “insert coin to continue” and the reference to the aliens of “space invaders”. This outdated plot however, encompasses the entire history of our planet: from the Palaeolithic fossils to the famous

192


image of mankind’s greeting on the Pioneer 10 probe; from the Pompeii mosaic bearing the message of “cave canem” (beware of the dog) to the most important of the human organs such as the heart and the brain, passing right through to a map of the Roman subway network. The humble object, par excellence; the doormat, thereby transforms itself into a series of images ready to be trampled over. Even when the artist dignifies his practice of engraving (which can be compared to wood engraving), and vertically flips the horizontals, the reference to the original object and its purpose remains. Objet trouvé (found objects), obsolescence, high culture and low culture and irony. It is through this chain that everything ends at our feet: Vanitas vanitatum et omnia vanitas (vanity of vanities, all that is vain). Silvano Manganaro

193



Aforismi tridimensionali. Brevi note su tre opere di Marco Bernardi Marco Bernardi ha occhi mobili e un’autoironia che non credevo potesse appartenere a un artista, categoria in genere molto attenta a prendersi sul serio – talvolta giustamente, altre volte meno. Da quando ho avuto modo di conoscerlo, nel 2011, ho seguito costantemente il suo lavoro, abbracciando di fatto il periodo che questo volume prende in considerazione. Negli ultimi due anni mi è capitato più volte di scrivere di Marco Bernardi, di passare del tempo nel suo studio, di condividere con lui progetti espositivi. E mi sono reso conto che le categorie per parlarne non sono soltanto quelle strettamente interne ai linguaggi dell’arte visiva. Le sue opere hanno un carattere diverso e sembrano attingere a un vocabolario che evoca suggestioni letterarie e personaggi teatrali; icastici e pungenti, i lavori di Bernardi somigliano a degli aforismi tridimensionali che parlano di vanagloria, ironia, debolezze. Per questo ho scelto di concentrarmi sulla breve lettura di tre opere dell’artista, abbinandole ad altrettante massime – che funzionano da incipit – di un campione dell’aforisma come Leo Lon-

195


ganesi. Un tentativo di corrispondenza forse poco ortodosso, ma a mio avviso calzante. *** Italietta prêt–à–porter (2014) “Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione” (La sua signora, 1957) Per Marco Bernardi – così come per molti altri artisti (da Luciano Fabro a Maurizio Cattelan) – l’iconica silhouette dell’Italia esercita un fascino magnetico, quasi un’ossessione. Basta prendere alcuni titoli delle sue opere: Italietta con allodole (2011), Italia pacco (2012), fino alla più recente Italietta prêt–à–porter (2014), presentata a Venezia alla Bugno Art Gallery. L’installazione è costituita da settanta pezzi, tutti raffiguranti lo stesso soggetto: l’italico stivale. Ma lo scheletro di gommapiuma che dà forma all’opera è di volta in volta rivestito con tessuti disparati: floreali, dorati, a righe, vellutati, a pois. Italietta prêt–à–porter rivela infatti il carattere molteplice e ondivago del nostro paese e dei suoi abitanti. Attraverso questa installazione Marco Bernardi tratteggia una mappatura che ricalca stili di vita e inclinazioni: i colori sparati evocano serate in discoteche kitsch; i motivi floreali richiamano ai foulard delle nostre nonne; le righe di alcuni tessuti ricordano tristi pigiami da ospedale; le tinte unite scure suggeriscono la sobrietà di un mezzobusto della Rai mentre conduce un telegiornale. In questo senso l’opera restituisce un perfetto ritratto italiano: anche quando il tessuto appare più “nobile”, l’anima di gommapiuma ci riporta alla vera natura di un paese dal ventre molle, che pretende comodità senza esserne disposto a pagare il prezzo. Ciò che conta è che ognuno possa sfilare con il proprio abito, salvando le apparenze, come nella citazione di Longanesi. E le settanta “Italiette” di Bernardi conservate nelle teche di plexiglass somigliano tanto agli abiti in vetrina di una collezione autunno/inverno: stagioni buie, dove il sole tramonta presto all’orizzonte.

196


Sant’Isidoro (Il forcone nella roccia) (2015) “Un’idea imprecisa ha sempre un avvenire” (Parliamo dell’elefante, 1947) Sant’Isidoro è stata realizzata da Marco Bernardi durante la residenza Apulia Land Art Festival, a Ostuni. Individuata una sporgenza rocciosa all’interno degli orti urbani (area destinata agli interventi) l’artista, silenziosamente, si è messo a conficcare un vecchio forcone nella roccia stessa. Come un jazzista che improvvisa su uno standard collaudato, questo gesto rappresenta il tipico “guizzo” di Bernardi. Un approccio tutt’altro che casuale, dal momento che l’intervento racchiude molti degli aspetti che informano la poetica dell’artista. Affidandosi all’ironia, cifra distintiva del suo lavoro, Bernardi ha dato vita a un intervento spiazzante, solennemente visionario e al tempo stesso icasticamente concreto. Il “forcone nella roccia” spicca ancora altezzoso all’interno del percorso degli orti, sopra un cumulo di pietre. Ambirebbe forse a essere una spada nella roccia, ma non ha di certo la stessa “nobiltà”. Poco importa: dall’alto della propria posizione “elevata”, il forcone, trovato chissà dove dall’artista, ostenta un certo physique du rôle. Attraverso un’installazione dotata di un’immediatezza sfuggente, Bernardi ha così realizzato un omaggio alla tradizione agricola di Ostuni e al santo agricoltore – Sant’Isidoro è uno dei “protettori” dei contadini –, elevando il forcone a simbolo dell’area degli orti e della sua storia. Ecco così che un’idea inizialmente imprecisa e incerta – sempre per citare Longanesi – ha trovato una formalizzazione tutt’altro che approssimativa. Oggi niente (2015) “L’arte di trascorrere il tempo [...] è l’arte di non inseguirlo” (Le teste di ferro, da In piedi e seduti, 1948) L’ultima opera in ordine cronologico costituisce una summa della pratica artistica di Marco Bernardi. “Il mio ultimo quadro è uguale al primo”: così parlava Alberto Burri a proposito delle proprie opere. Parafrasando il maestro di Città di Castello, potremmo adattare la stessa frase al lavoro di Bernardi, tanto è coerente la sua ricerca. Oggi niente si presenta così: una sfera di grandi dimensioni; una sedia posizionata di fronte a essa;

197


un plinto di legno con applicate delle ruote e sormontato da un neon; una scritta di colore nero. Ogni elemento dell’installazione ci racconta un pezzo della poetica dell’artista. L’ingombro della sfera è una parodia della monumentalità cui ambiscono molte opere d’arte (e, con esse, gli artisti che le realizzano); il basamento con ruote e neon è una strana creatura, a metà tra giocattolo e oggetto d’uso quotidiano, che somiglia solo lontanamente a un utensile con una possibilità di impiego; la scritta commenta in maniera secca l’immobilismo rassegnato che pervade la scena, citando Cesare Pavese, che nel 1936 annotò nel proprio diario “Quest’oggi, niente”. E poi la sedia vuota, simile a quelle dei bar di provincia o dei Centri di Vita Associata sui quali sono soliti sedersi gli anziani avventori, che ci parla di assenza e solitudine. Oggi niente racconta l’ironia amara di Bernardi, l’inesorabilità del trascorrere del tempo, l’attitudine – tragica e giocosa insieme – con la quale l’artista si serve dei materiali più disparati.

*** Quasi l’intera produzione di Marco Bernardi si concentra sulla costruzione di piccoli, grandi monumenti dedicati all’inutilità. A dircelo è la natura effimera, sghemba e precaria delle sue opere: a prescindere dalla scala (si va da oggetti di pochi centimetri a lavori ambientali) e dal materiale impiegato (dal legno alla plastica, passando per leghe metalliche e oggetti trovati) l’artista proietta sulle proprie creazioni un senso di disillusione e impotenza. In un ipotetico dizionario illustrato il termine “vanagloria” sarebbe senz’altro affiancato dalle opere di Bernardi: un desiderio di gloria – come recita il dizionario etimologico – indotto da vanità, orgoglio, presunzione. Così appaiono i suoi oggetti. Tuttavia, nei lavori dell’artista, ogni possibile interpretazione in chiave patetica è rispedita al mittente dall’ironia, dal senso del grottesco. È questo l’attributo che rende la lingua di Bernardi viva e vicina alla nostra sensibilità: i suoi oggetti hanno tutto che suggerisca un loro possibile impiego pratico e, proprio per questo, la loro mancata destinazione d’uso rimanda a uno humour nero, che assimila quelle creature così strambe alle nostre vicende di uomini.

198


Come personaggi che si muovono senza senso sulla scena di una rappresentazione teatrale di Samuel Beckett, l’effetto che scaturiscono le opere di Bernardi è di comicità e frustrazione, giocosità e amarezza. Saverio Verini

Three dimensional aphorisms. Notes about three works by Marco Bernardi Marco Bernardi has mobile eyes is a self–mockery that I didn’t think could pertain to an artist, given that artists tend to take themselves seriously – sometimes quite rightly, other times less so. From the time I met him, on 2011, I’ve constantly followed the work of Marco Bernardi, embracing the period of which this publication takes into consideration. I have come to realise that speaking of him isn’t something that is strictly limited to the vocabulary of visual art. His works have a different character, and seem to be tinged by a vocabulary that evokes literary ideas and theatrical personalities: immediate and biting, Marco Bernardi’s works resemble three dimensional aphorisms that speak of vainglory, irony and weakness. It is for this reason that I’ve chosen to concentrate on the brief reading of three of his works, and to pair them with three aphorisms – that work as incipit or opening words – by a champion of the aphorism like Leo Longanesi. It’s an approach that is probably unorthodox, but in my opinion, fitting. *** Italietta prêt–à–porter (2014) (Italietta ready to wear) “When it comes to maintenance, Italy prefers inaugurations” (from La sua signora, 1957) For Marco Bernardi – as with many other artists (from Luciano Fabro to Maurizio Cattelan) – the iconic silhouette of Italy exudes a magnetic appeal that verges on the obsessive. You need only look at certain titles of his work: Italietta con allodole (Italietta With Skylarks) (2011), Italia

199


pacco (Italy pack) (2012) through to the most recent Italietta prêt–à– porter (Italietta Ready to Wear) (2014) presented for the first time in Venice at the Bugno Art Gallery. The installation is made up of seventy pieces, each depicting the same subject: the Italian boot. But the foam rubber outlines that shape the works are time and again reupholstered with differing fabrics: floral, gilded, striped, velvety, polka dots. Italietta prêt–à–porter reveals the multiple, wavering character of our country and its inhabitants. Through this very installation Marco Bernardi sketches a map that traces lifestyles and inclinations: the colours fired evoke nights in kitsch discotheques, the floral motifs remind us of the headscarves of our grandmothers, the stripes of some of the fabrics the sad, hospital pyjamas, the plain colours absolutely recall the torsos of Rai’s anchormen as they deliver the news. In this sense, the work gives us a perfect Italian portrait: even when the fabric appears to be more noble, the spirit of the foam rubber takes us back to the core nature of a country with a soft underbelly: one that seeks comfort but that is unwilling to pay for it. What matters though, is that everyone can walk in their own outfits and keep up appearances, as per the Longanesi quote. And the seventy Italiette by Bernardi, preserved as they are in plexiglass display cabinets, look a lot like the Autumn/Winter collections we see in shop windows: outfits designed for those darker seasons when the sun sets early on the horizon. Sant’Isidoro. Il forcone nella roccia. (2015) (St. Isidoro. The Pitchfork in the Rock) “An imprecise idea always has an outcome” (From Parliamo dell’Elefante, 1947) Marco Bernardi created “Sant’Isidoro” work during the residency at the Puglia Land Art Festival, in Ostuni. Bernardi stumbled upon a rocky overhang within the urban vegetable gardens of Ostuni (the location of the artistic interventions), and, quietly went about installing the old pitchfork, lodging it into the rock. Like a jazz musician who improvises and experiments with a standard, this gesture of the “pitchfork in a rock” represents the typical Bernardi twist. An approach which is anything but casual: from the moment the action was conceived in Ostuni it was

200


marked by many of the aspects that inform the artist’s poetry. Relying on the irony that is a hallmark of his work, Bernardi has conceived an unsettling intervention that is earnestly visionary and, at the same time, soundly graphic. The “pitchfork in the rock” stands loftily among a pathway in the vegetable gardens, wedged into a pile of stones. It aims, perhaps, at being a sword in a stone, but certainly lacks any of that same ‘nobility’. It’s unimportant: the pitchfork, heaven knows where he’d found it, placed in that high and elevated position, flaunts a certain physique du rôle. Through an installation that is equipped with only an elusive immediacy, Bernardi has realized a homage to the traditions of Ostuni agriculture and to the patron saint of agriculture – Saint Isidoro is in fact one of the “protectors” of farmers – elevating the pitchfork to the level of a symbol of the agricultural patches and their history. And it is with this idea that initially seemed unclear and uncertain – to once again quote Longanesi – that Bernardi has formulized something that is anything but approximate. Oggi niente (2015) (Nothing today) The art of passing the time [...] is the art of not chasing it. (Le teste di ferro, from In piedi e seduti, 1948). The last work in chronological order is the sum of Bernardi’s artistic practice. Alberto Burri once said “My last painting is equal to the first” when asked about his own works. By paraphrasing the master from Città di Castello, we can apply the same phrase to Bernardi’s work, given that it is consistent with his own approach. Oggi niente consists of a sphere of grand dimensions, a seat positioned in front of it, a wooden plinth with wheels attached and crowned with neon, a black writing. Each element expresses an aspect of the artist’s poetry. The bulky dimensions of the sphere are a parody of the monumentality that many artworks (and their artists) aim for; the base with wheels and neon is a strange creature, hovering somewhere between a toy and a used daily object that only distantly resembles a tool that could possibly be used; the writing comments in a dry way on the resigned inaction that pervades the arts scene, citing Cesare Pavese who in 1936 recorded the words “This day,

201


nothing” in his own diary. Then there is the empty chair, similar to those found in provincial bars or in Centri di Vita Associata (aged care centres) upon which elderly patrons are usually seated, that speaks to us of absence and solitude. Oggi niente is probably the work that best reflects the resigned viewpoint of Bernardi’s works, through the combination of its bitter irony, the relentlessness of passing time, its approach and use of materials which together are both playful and tragic. *** The entire artistic production of Marco Bernardi is aimed at the construction of small, grand monuments dedicated to uselessness. The ephemeral, crooked and fragile nature of his works tell us this: regardless of their scale (ranging from objects that are just a few centimetres in dimension through to environmental works) or the materials used (from wood to plastic through to metal alloys and found objects), the artist projects a sense of disillusion and impotence onto his own creations. In a hypothetical illustrated dictionary, the term “vainglory” would undoubtedly be accompanied by Bernardi’s works: a desire for glory – as defined in the etymological dictionary – induced by vanity, pride and conceit. His objects appear in this way. Nevertheless, in the artist’s work, each possible pathetic reading or interpretation is rejected through the sense of irony and of the grotesque. It is this attribute that makes Bernardi’s language a living one and close to our own sensibilities: his objects have what it takes to suggest their possible, practical uses, and it is for this reason that their failure of intended use reminds of us of black humour, inviting these incredibly strange creatures into the events of our lives. Just as the characters in a Samuel Beckett theatrical performance move pointlessly across the stage, the effects that Bernardi’s work spark are those of comedy and frustration and of playfulness and bitterness. Saverio Verini

202


C i ao, so n o u n ’o p e ra d i M a rco B e r n a r d i Come va? Tutto bene? Io abbastanza. Cioè, non mi posso lamentare: mi ha messo in catalogo. Non è che l’ha messe tutte. Comunque, prima di proseguire, scusami ma devo farti una domanda un po’ antipatica. L’hai comprato questo catalogo o lo stai sfogliando e basta? Lo stai sfogliando? Allora posalo immediatamente per favore. Prima compralo e poi ci risentiamo. Bene, eccoci qui. Tranquillo sono X euro spesi bene, ne hai spesi ieri la metà per andare a cena e non mi pare ti sia cambiato l’immaginario, no? Ma torniamo a noi. Come ti dicevo sono un’opera di Marco Bernardi. Le mie intenzioni? Io aspiro ad essere la più grande opera d’arte contemporanea mai realizzata. Sì. Marco non te lo direbbe mai, giustamente. Lui non può, ma io sì. Io voglio arrivare in alto, in cima. Voglio essere uno scopettone da bagno lunghissimo che arriva a pulire i peccati del mondo. Si capiva già? Le avevi già capite le mie intenzioni dalle altre opere in catalogo? Okay. Hai ragione. Io, a differenza loro, dovrei comunicarti qualcosa in più visto che ti parlo senza peli sulla lingua. Non solo le mie intenzioni

203


ma anche, che so, i retroscena, un punto di vista davvero interno, qualche aneddoto di gossip, cose che ti fanno capire veramente come stanno le cose. Hai ragione. Ma allora c’è da pagare un piccolo extra. Mi spiace, sembro un po’ cafone, ma questa è la situazione. Oh, nessun obbligo, ok? Puoi sempre dare un’occhiata alle altre opere in catalogo e a posto così. Certo però, se vuoi veramente capire... Pensaci. Scusa, ma tu davvero per X euro volevi capire tutto? Marco Bernardi c’ha messo tutta la vita a capire (e quindi a farmi) e tu te la volevi cavare con X euro? Questo è l’iban di Marco Bernardi YYYYY (mettere quello vero). Fai tu, da 70 in su. Poi continua a leggere. Eccoci ancora qui. Grazie. Vedrai, sono soldi ben spesi. Solo un’opera d’arte ti parla davvero con il cuore. Sono anche bella. Non puoi dire neanche che mi manca la parola. Considera che con 10 euro ti paghi le cuffie con le spiegazioni in Italiano al Louvres. 18–30 euro costa un catalogo cartaceo come questo. 50 euro una guida personale che ti accompagna per un’oretta. Ovvio che io valgo di più, no? Nessuno più di me può sapere chi sono, da dove vengo, cosa voglio, ecc. Massimiliano Bugno è un gallerista forte ma è comunque un “esterno”. Potrà aver colto alcuni aspetti dell’opera di Bernardi prima degli altri ma mai prima dell’opera stessa. Lo stesso Marco Bernardi non è che ne sappia molto più di lui, anzi. Sta più di qua che di là, a volte lavora in una sorta di sonnambulismo, per quanto riguarda il suo lavoro spesso non è capace di intendere e di volere. E questo, dal mio punto di vista, è un grosso gesto di umiltà, credetemi. In ogni caso, ripeto: sfido chiunque a saperne più di me. A meno che, ora non tiri fuori quello che comunico “involontariamente”, senza saperlo nè volerlo. Quello che faccio senza sapere che sto facendo. A meno che non ti metti ora a spiattellare concetti come “l’inconscio dell’opera d’arte”. Magari all’inizio dovevo essere una semplice bocca di metallo su un piedistallo nero, poi sono diventato questo monologo ma dentro di me mi porto dietro ancora quell’intenzione iniziale, ecc. ecc. Oppure: volevo comunicarti una cosa con tutte le mie forze quando però i miei sentimenti, le mie emozioni mi hanno fatto agire tutt’altro. E io potrei

204


addirittura non essermene accorto, tanto ero preso da questi sentimenti, ecc. ecc. Boh. Non ci ho mai creduto a queste cose. Alle “interpretazioni”. C’è gente che si arricchisce per farti delle “interpretazioni”. Buffoni. Quando io, invece, potrei dirti in maniera molto schietta quelli che sono i miei sentimenti più autentici, con un incremento di soli 25 euro. Sì, sempre lo stesso iban. Fatto? Bene. Scusami, ma i sentimenti sono cose molto personali non è che uno li va dire a tutti. E questi 25 euro aggiuntivi, in qualche modo scremano, fanno una selezione. Danno valore ai sentimenti, questa è la verità. Ma vediamoli questi sentimenti, appunto. I miei sentimenti sono innanzi tutto di stoffa e quindi declinati in vari tipi di stoffa. Da quella più avvolgente a quella più brillante, passando per una stoffa tutta a fiori che ricorda la tovaglia di tua nonna. Se vuoi puoi toccare questa stoffa, strapparla, accartocciarla. Farci un cuore e capire che, a volte, è solo questo che vorrei dirti e basta. La verità è che ci tengo più che ad essere la più grande opera d’arte contemporanea mai realizzata. A volte, per dirtela tutta, mi basterebbe essere una piccola opera d’arte che però ti fa capire questa cosa dei sentimenti e basta. Perché comunicare i propri sentimenti senza farlo, è paragonabile ad essere la più grande opera d’arte contemporanea mai realizzata. Non a caso tanta gente ambisce a un risultato del genere. Infondo poi gli anni ‘70 sono lontani, e non c’è più bisogno di essere i numeri uno, ecc. La gente fa downshifting anche sulle aspettative artistiche. E, detto tra noi, anche a te ti ha detto bene che non siamo negli anni ‘70. Mica te la saresti cavata così facilmente. Negli anni ‘70 pagavi 10 volte di più per una conversazione del genere. Stiamo scherzando? Per quello che hai donato su quell’iban neanche ci leggevi il titolo dell’opera. Parliamoci chiaro, lo so che forse non hai fatto il bonifico. Sono un’opera consapevole, sono. Il sistema della sottoscrizione non ha mai funzionato nell’arte contemporanea, gliel’ho detto a Marco Bernardi ma lui niente. Ma io non mi lamento, non voglio lamentarmi. Sto bene, mi ha messo nel catalogo, non ce l’ha messe tutte le opere. Certo, questa cosa della sottoscrizione è una cazzata, secondo me. Io c’avrei provato. Prima paghi e poi ti arrivano le mie parole per

205


email? Lasci il contante al gallerista e ti telefono? C’avrei provato. Io sono un’opera d’arte che ci prova anche se non ci riesce. Mi stimo per questo. Perché quando non ci riesco divento quello che sono. E mi sta bene così. Non credo che a te vada meglio.

Claudio Morici Hello, I’m a Marco Bernardi artwork How are you? Everything okay? Everything’s fine with me. I mean I can’t complain. He included me in the catalogue after all. It’s not as if he included all the artworks. Anyway, before I continue, forgive me, I have to ask you a slightly unpleasant question. Have you already bought this catalogue or are you just flicking through it? If so, please put it down right now. Go and buy it first and then we can talk. Great, so, here we are. Don’t worry, it was money well spent. You spent half as much yesterday to go out for dinner and it doesn’t seem to me as if it changed your world, right? Let’s get back to us. As I was saying, I’m a Marco Bernardi artwork. My goal? I’m hoping to be the most important contemporary artwork ever created. Yes. Marco, quite rightly, would never tell you as such. He can’t, but I can. I want to reach the heights… the very top. I want to be a really long toilet brush that manages to clean the world of its sins. Was that clear already? Had you already understood my intentions from the other artworks in the catalogue? Okay. Maybe you’re thinking that I, unlike the others – seeing as I’m speaking to you straight up – need to communicate something more to you. Not just about my intentions, but also, gee… I don’t know, something about the background, or an insider’s view or some kind of anecdote or gossip that will help you truly understand how things are. You’re right. But that means you’ll have to pay a little bit more. I’m sorry if that seems a bit uncouth, but it’s normal. Think about it. After all, it’s not as if you’re obliged. You can just look at the other works in the catalogue and leave it at that. But of course, if you do want to understand…

206


But seriously, you expect to understand everything for just xx euro? Marco Bernardi has spent a lifetime in trying to understand and, therefore, also in creating me, and you just expected to make it happen for xx euro? This is Marco Bernardi’s bank account number: yyyy Put something into it! Anything from 70 euro and upwards. Then you can continue reading. And so, here we are again. Thanks. You’ll see it was money well spent. Only a work of art can speak to you from the heart. I’m beautiful. You can’t even say that I’m at a loss for words. Consider that 10 euro buys you headphones with a recorded Italian guide at the Louvre. A printed catalogue like this one costs between 18 and 30 euro. 50 euro can buy you a catalogue and a personal guide for an hour. It’s obvious that I’m worth more than that, right? Nobody can know better than me who I am, where I’m from, what I want etc. etc. Massimiliano Bugno is great and all, but he’s part and parcel of the xx euro printed catalogue. When it all boils down, he’s still an “outsider”: he can be as great as he wants, but at the end of the day he’s not the artwork. Same goes for Marco Bernardi, my author. By the way, it’s not as if he knows that much more than Bugno. Marco, as for his work, he’s neither here nor there. He often seems to work as if he’s sleepwalking and seems incapable of doing anything in general. And this, believe me, is a compliment from my perspective. In any case, let me repeat, I challenge anyone that thinks they know more about me than I do. Unless you are talking about the things that I “involuntarily” communicate without knowing or wanting to. You know, like what I do without knowing that I’m doing it… unless you’re going to start blurting out concepts like “the unconsciousness of the artwork”. Perhaps at the beginning I should’ve just been a simple metal mouth on a black pedestal, and then I became this story, but I still carry that initial intention deep inside of me blah, blah, blah. Or perhaps I wanted to communicate one thing with all of my strength but… then the feelings and my emotions brought out something else entirely. And I honestly couldn’t have even been aware of it seeing as I was so taken by these emotions etc. etc. Well, I don’t believe in these kinds of things. In “interpretations”. There are

207


people who get rich by telling you their “interpretations”. They’re clowns. Whereas I, however, can tell you, quite frankly, my feelings on the matter for just an extra 25 euro. Yes, into the same bank account. Done it? Great. Sorry, but my feelings are really personal things, it’s not as if I go around sharing them with everybody. And that extra 25 euro narrows the field and leaves just an elite. It gives value to sentiments. So, let’s look at these sentiments. My sentiments are, above all, made of cloth, and therefore can be broken down into various kinds of fabric. From the most enveloping, the shiniest or even the entirely floral fabric that reminds you of your grandmother’s tablecloth. You’re welcome to touch the material… to rip it or crumple it up. You could make a heart out of it and understand that sometimes it’s the only thing that I would like to say to you. It’s something that, at times, means more to me than being the most important contemporary artwork ever made. If I can be completely honest, there are times when it would be enough to be a small work of art which, nonetheless makes you understand this thing about feelings. Because to communicate these feelings without ‘doing’ is like being the greatest contemporary artwork that has never been made. It’s no coincidence that I’m not the only one who is aiming for something similar. The 70s are of course now long gone, and there’s no longer any need to be number one etc. etc. People are downsizing now even when it comes to artistic expectations. And just between the two of us, you’re also lucky that we’re not still in the seventies. As if you would’ve had it so easily back then. Back in the seventies you would’ve paid ten times as much for a conversation like this one. Who are we kidding? What you’ve just paid into the bank account wouldn’t have even permitted you to read the title of an artwork back then. Let’s talk straight. I know that you probably haven’t made the payment. I am, after all, a quite aware as an artwork. The ‘donations’ system has never worked with contemporary art, and I told Marco Bernardi that, but it didn’t do any good. But I don’t want to complain. I’m alright. He put me in the catalogue.

208


But still, to me, this thing of “making a donation” is just bullshit. I would have gave it a shot. I’m an artwork that gives it a shot even if I don’t succeed. I appreciate that about myself. Because when I don’t manage to do something, I become what I really am. And that suits me fine. I don’t think it’s going to go any better for you.

Claudio Morici

209



BIOGRAFIA Roma 1969. Si diploma all’Accademia delle Belle Arti di Venezia. Vive e lavora tra Roma e Venezia. Dal 2004 al 2007 lavora con l’artista Fabio Mauri. Nel 2008 apre a Roma la galleria “Condotto C”. Ha esposto a Roma, Torino, Venezia, Londra, Parigi, Mosca, San Pietroburgo, Argentina, Slovenia, Repubblica Slovacca, Croazia. Born in Rome in 1969, Marco Bernardi graduated from the Venice Academy of Fine Arts and now divides his time between the two cities. He worked with the artist Fabio Mauri from 2004 to 2007 and opened the “Condotto C “, an exhibition space for experimental art in Roma in 2008. He has exhibited work in Rome, Turin, Venice, London, Paris, Moscow, Saint Petersburg, Argentina, Slovenia, the Slovak Republic and Croatia.

211


D i dasc a li e c ata logo p.4 Zerbino, gomma PVC / rubber PVC, 70 x 45 cm, 2010 ph Claudio Martinez p.6 Black Flag, installation, 2010 ph C.M p.8 Zerbini, gomma PVC / rubber PVC, 280 x 180 cm, 2010 ph C.M p.11 Black Flag, metallo, stoffa, motore elettrico / metal, fabric, electric engine, 250 x 80 x 80 cm, 2010 ph C.M p.12 Svolgitore, corda, metallo, motore elettrico / rope, metal, electric engine, 190 x 50 x 50 cm, 2010 ph C.M p.14 Svolgitore, corda, metallo, motore elettrico / rope, metal, electric engine, 190 x 50 x 50 cm, 2010 ph C.M p.16 Campo Magnetico, metallo, legno, magneti, motore elettrico / metal, wood, magnets, electric engine, 40 x 70 x 140 cm, 2010 ph C.M p.18 Pendolo, resina, metallo, motore elettrico / resin, metal, electric engine, 30 x 25 x 300 cm, 2010 ph C.M p.20 Binario, resina, legno, magneti, metallo, motore elettrico / resin, wood, magnets, metal, electric engine, 260 x 40 x 60 cm, 2010 ph C.M p.23 Sisifo, resina, metallo, motore elettrico / resin, metal, electric engine, 39 x 39 x 26 cm, 2010 ph C.M p.24 Sisifo, resina, metallo, motore elettrico / resin, metal, electric engine, 39 x 39 x 26 cm, 2010 ph C.M p.27 Italietta con Allodole, gommapiuma, stoffa / foam rubber, fabric, 230 x 110 x 15 cm, 2011 p. 28 Allodola meccanica, legno, metallo, motore elettrico / wood, metal, electric engine, 9 x 8 x 12 cm, 2011 p.31 Piccolo re, installation, 2011 ph C.M p.32 Banderuola, stoffa, metallo, motore elettrico / fabric, metal, electric engine, 160 x 50 x 50 cm, 2011 ph C.M p.35 Due Banderuole, stoffa, metallo, motore elettrico / fabric, metal, electric engine, 100 x 80 x 10 cm, 2011 ph C.M p.37 Piccolo re, legno, metallo, resina, litografia / wood, metal, resin, lithography, 70 x 25 x 152 cm, 2011 ph C.M p.38 Sindacalista, legno, altoparlante / wood, speaker, 13 x13 x 36 cm, 2011 ph C.M p. 40 Armabianca, metallo, legno, piume / metal, wood, plumage, 105 x 20 x 17 cm, 2011 ph C.M p.43 Burro, gomma, carta / foam, paper, 4 X 17 X 11 cm, 2011 ph C.M p.44 Burro, gomma, carta / foam, paper, 4 X 17 X 11 cm, 2011 ph C.M p.47 Vedovedove, legno, carta, moneta, motore elettrico / wood, paper, coin, electric engine, 55 x 55 x 75 cm, 2012 p.48 Vedovedove, legno, carta, moneta, motore elettrico / wood, paper,coin, electric engine, 55 x 55 x 75 cm, 2012 p.50 Vedovedove, legno, carta, moneta, motore elettrico / wood, paper, coin, electric engine, 190 x 50 x 50 cm 2012 p.52 Italia pacco, legno, carta, gomma piuma /wood, paper, foam rubber, 200 x 90 x 30 cm, 2012 p.54 Q.A., misuratori elettrici / electrical meters, 2012 p.56 Q.A., misuratori elettrici / electrical meters, 2012 p.59 Interval, resina, corda, motore elettrico / resin, rope, electric engine, 13 x 13 x13 cm, 2012 ph C.M p.60 Interval, resina, corda, motore elettrico / resin, rope, electric engine, 13 x 13 x13 cm, 2012 ph C.M p.62 Interval, resina, corda, motore elettrico / resin, rope, electric engine, 13 x 13 x13 cm, 2012 ph C.M p.65 Interval, resina, corda, motore elettrico / resin, rope, electric engine, 13 x 13 x13 cm, 2012 ph C.M p.66 Interval, resina, corda, motore elettrico / resin, rope, electric engine, 13 x 13 x13 cm, 2012 p.68 Elaboratore sentimentale, motore elettrico, plastica, carta / electric engine, plastic, paper, 15 x 17 x 25 cm, 2012 p.71 Elaboratore sentimentale, motore elettrico, plastica, carta / electric engine, plastic, paper, 15 x 17 x 25 cm, 2012 p.72 - 81 Cuore di stoffa, stoffa, gomma / fabric, rubber, 14 x 7 x 8 cm, 2013 p.82 Veduta nord - Veduta sud, metallo, carta, lenti /metal, paper, lenses, 135 x 68 x 35 cm, 2013 p.84 Veduta sud, metallo, carta, lenti /metal, paper, lenses , 135 x 68 x 35 cm, 2013

212


p.86 Veduta nord, metallo, carta, lenti /metal, paper, lenses , 135 x 68 x 35 cm, 2013 p.88 Italia bivacco, stoffa, gomma piuma, corda / fabric, foam rubber, rope, 40 X 104 X 71 cm, 2013 p.91 Torno subito, macchina da scrivere , carta / typewriter, paper, 41 X 29 X 9 cm, 2013 p.93 Registratore, registratore, corda / recorder, rope, 16 x 12 x71 cm, 2013 p.94 Compilatore, metallo, altoparlante / metal, speaker 20 x 18 x 8 cm, 2013 p.96 Carrarmatino, stoffa , gomma piuma / fabric, foam rubber, 30 x 30 x 26 cm, 2013 p.98 Aeroplanino, stoffa , gomma piuma / fabric, foam rubber, 48 x 30 x 50 cm, 2013 p.100 Arazzetti da guerra, stoffa, feltro / fabric, felt, 65 x 70 cm, 2013 p.103 Rigore!, fotografia / photo, 150 x 90 cm, 2014 p.104 Rigore!, fotografia / photo, 150 x 90 cm, 2014 p.107 Bye Bye, ombrelli / umbrellas, 130 x 130 x 130 cm, 2014 p.108 - 119 Monolocale con vista, resina, gomma piuma, stoffa, plastica / resin, foam rubber, fabric, plastic, 50 x 70 x 230 cm, 2014 ph C.M p.120 - 129 Italietta prĂŞt-Ă -porter, gomma piuma, stoffa / foam rubber, fabric, 41 x 29 x 9 cm, 2015 p.130 - 132 Sant ‘Isidoro (Forcone nella roccia) - legno, metallo / wood, metal, 2015 p.134 Lavagna con labirinto, legno, plexiglass, magnete / wood, plexiglass, magnet, 140 x 140 x 8 cm, 2015 p.136 Lavagna con labirinto, legno, plexiglass, magnete / wood, plexiglass, magnet, 140 x 140 x 8 cm, 2015 p.139 Lavagna con labirinto, legno, plexiglass, magnete / wood, plexiglass, magnet, 140 x 140 x 8 cm, 2015 p.141 Spirale in bianco, feltro / felt, 280 x 280 x 3 cm, 2015 p.142 Topo meccanico a spazzola, metallo, setola, rotella / metal, bristle, roller, 14 x 6,5 x 21,5 cm, 2015 p.144 Topo meccanico serpe, metallo, gomma piuma, stoffa, plastica / metal, foam rubber , fabric, plastic, 114 x 13 x 12 cm, 2015 p.146 Topi meccanici, installation, 2015 p.148 Topo meccanico fuori strada, legno, metallo, rotelle / wood, metal, rollers, 21 x 22 x 14,5 cm, 2015 p.150 Spirale in bianco, feltro / felt, 280 x 280 x 3 cm, 2015 p.152 Monocromo con zampette, legno, gomma piuma, stoffa / wood, foam rubber, fabric, 118 x 140 x 40 cm, 2015 p.154 Monocromo con zampette, legno, gomma piuma, stoffa / wood, foam rubber, fabric, 118 x 140 x 40 cm, 2015 p.157 Monocromo in bianco con zampette, - resina, legno, gomma piuma, stoffa / resin, wood, foam rubber, fabric; 118 x 140 x 40 cm, 2015 p.158 Opera modulare, legno, gomma piuma, stoffa / wood, foam rubber, fabric, 33 x 43 x 10 cm, 2015 p.161 Opera modulo in nero, legno, gomma, carta, polistirolo, stoffa / wood, rubber, paper, polystyrene, fabric, 33 x 43 x 10 cm, 2015 p.162 Opere modulari, installation, 2015 p.164 - 169 Oggetto volante, fotografia / photo, 150 x 100 cm, 2015 ph C.M p.171 Qui, gomma, nastro adesivo, sedia / rubber, scotch tape, chair, 220 x 220 x 220 cm, 2015 p.173 - 175 Martellatore a muro, legno, metallo, motore elettrico / wood, metal, electric engine, 13 x 60 x 9 cm, 2015 p.176 Qui, gomma, nastro adesivo, sedia / rubber, scotch tape, chair, 220 x 220 x 220 cm, 2015 p.178 Esploratore su pattino, legno, pattino, corda, led / wood, skate, rope, led, 120 x 12 x 67 cm, 2015 p.181 Oggi niente, gomma piuma, stoffa / foam rubber, fabric, 330 x 45 x 5 cm, 2015 p.183 Oggi niente, installation, 2015

213



Ritratto di Marco Bernardi - foto di Claudio Martinez


€ 18,00


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.